StampaQuotidiana ,
Ottantasei
miliardi
.
E
'
la
più
strepitosa
vincita
al
Superenalotto
,
con
una
schedina
da
poche
migliaia
di
lire
giocata
a
Montopoli
Sabina
.
La
cifra
è
tanto
colossale
-
quindici
volte
il
bilancio
di
quel
piccolo
Comune
che
qualcuno
ha
pensato
addirittura
ad
una
leggenda
metropolitana
.
Altri
hanno
paventato
una
pericolosa
e
diseducativa
tracimazione
del
mercato
del
gioco
d
'
azzardo
,
una
verticalizzazione
indotta
e
amplificata
dall
'
eco
mediatica
.
Effetti
nuovi
per
un
fenomeno
antico
e
di
lunga
durata
.
Il
nostro
è
,
infatti
,
un
paese
dove
i
giochi
pubblici
hanno
sempre
avuto
schiere
infinite
di
adepti
di
ogni
ceto
.
Basti
pensare
alla
fortuna
del
lotto
.
Il
più
popolare
e
più
antico
dei
nostri
giochi
è
nato
nel
Cinquecento
a
Genova
.
Solo
nell
'
Ottocento
,
però
,
la
sua
diffusione
è
cresciuta
fino
a
creare
una
vera
e
propria
mitologia
,
soprattutto
a
Napoli
,
che
ne
è
diventata
l
'
indiscussa
capitale
.
Al
punto
che
la
grande
giornalista
e
scrittrice
Matilde
Serao
definiva
il
gioco
dei
numeri
"
acquavite
di
Napoli
"
.
Al
gioco
pubblico
in
Italia
,
alla
sua
storia
,
alla
cultura
che
lo
sottende
,
alle
dinamiche
di
mercato
che
lo
governano
è
dedicato
un
bel
libro
curato
,
per
i
Tipi
di
Marsilio
,
da
Giuseppe
Imbucci
(
"
Il
gioco
pubblico
in
Italia
.
Storia
,
cultura
e
mercato
,
38.00Olire
)
,
già
noto
per
i
suoi
studi
sul
tema
.
Il
volume
raccoglie
gli
atti
di
un
convegno
svoltosi
all
'
Università
di
Salerno
nel
maggio
dello
scorso
anno
.
Studiosi
come
Giampaolo
Dossena
,
Paolo
Macry
,
Domenico
Scafoglio
,
Augusto
Piacanica
,
Vittorio
Dini
,
Antonio
Cavicchia
Scalamonti
,
Valdo
D
'
Arienzo
,
oltre
allo
stesso
Imbucci
e
molti
altri
ancora
,
esplorano
le
mille
sfaccettature
dell
'
universo
retto
dall
'
imperscrutabile
capriccio
del
caso
.
Qual
è
il
lungo
filo
rosso
che
unisce
il
lotto
,
le
riffe
,
gli
altri
giochi
tradizionali
,
con
l
'
umanità
che
in
essi
si
rifletteva
,
agli
anonimi
e
esso
immateriali
giochi
d
'
alea
che
muovono
oggi
cifre
da
capogiro
:
in
lire
e
in
bits
?
La
fortuna
popolare
delle
"
ruote
"
si
fondava
di
fatto
su
un
sistema
di
interpretazione
della
realtà
largamente
condiviso
.
Ogni
avvenimento
,
ogni
cosa
diventavano
dei
segni
,
delle
verità
nascoste
,
degli
arcani
che
si
rivelavano
in
numeri
.
Tutta
la
realtà
,
presente
passata
e
futura
,
era
insomma
riconducibile
alle
novanta
enigmatiche
cifre
della
Smorfia
che
funzionava
così
come
un
grande
libro
del
mondo
.
Charles
Dickens
scriveva
che
il
popolo
di
Napoli
credeva
tanto
ciecamente
che
ogni
cosa
avesse
un
riferimento
nel
gioco
del
lotto
che
il
governo
era
costretto
a
sospendere
le
scommesse
su
fatti
di
cronaca
troppo
giocati
,
per
non
rischiare
il
fallimento
delle
casse
detto
Stato
.
Attraverso
i
"
numeri
"
l
'
Italia
di
ieri
interpretava
gli
eventi
.
Li
commentava
,
li
traduceva
in
"
vox
populi
"
,
in
una
sorta
di
grande
mormorio
collettivo
simile
a
un
coro
greco
,
e
affidava
la
verifica
dei
suoi
giudizi
alla
sentenza
inappellabile
della
sorte
.
Il
lotto
serviva
così
a
creare
legame
sociale
e
opinione
collettiva
.
Rifletteva
la
morale
comunitaria
per
cui
la
fortuna
,
anche
attraverso
gli
spiriti
degli
antenati
-
il
quarantotto
,
nella
Smorfia
,
fa
proprio
il
morto
che
parla
-
premiava
i
discendenti
più
meritevoli
con
la
concessione
dei
sospiratissimi
numeri
.
Sullo
sfondo
del
gioco
la
comunità
metteva
in
scena
i
suoi
valori
,
intrecciando
il
presente
al
passato
e
traendone
criteri
per
orientarsi
nel
futuro
.
Ciò
anche
per
effetto
delle
trasformazioni
subite
in
età
moderna
dalla
Cabala
.
Questa
si
fondava
in
origine
su
uno
stretto
intreccio
tra
matematica
,
astronomia
ed
astrologia
per
cui
le
cifre
arcane
della
realtà
erano
traducibili
in
numeri
.
Si
trattava
di
un
connubio
tra
scienza
divina
e
sapienza
umana
da
usare
a
fini
nobili
,
non
vani
,
come
quelli
della
previsione
del
futuro
e
della
divinazione
dei
numeri
del
lotto
.
Già
dalla
metà
del
Cinquecento
la
Cabala
viene
piegata
invece
ad
una
popolarizzazione
che
tende
a
sfumare
progressivamente
il
confine
tra
scienza
e
divinazione
facendo
del
cabalista
un
interprete
di
sogni
da
tradurre
in
numeri
.
La
Smorfia
napoletana
è
proprio
un
esempio
di
tale
volgarizzazione
della
Cabala
per
cui
il
cabalista
smette
di
essere
un
sapiente
,
studioso
di
cose
segrete
,
per
divenire
un
divulgatore
di
arcani
dispensati
al
popolo
:
un
"
assistito
"
.
Con
questo
nome
a
Napoli
venivano
identificati
nell
'
Ottocento
quegli
individui
capaci
di
interpretare
i
sogni
o
addirittura
di
sognare
su
commissione
-
proprio
come
gli
sciamani
-
di
entrare
in
contatto
con
gli
spiriti
dei
morti
per
ottenerne
la
rivelazione
dei
numeri
da
giocare
al
lotto
.
E
'
vero
,
dunque
,
che
la
fortuna
era
determinante
,
ma
è
vero
anche
che
essa
era
determinata
:
non
del
tutto
cieca
.
Premiava
chi
mostrava
di
sapersela
meritare
.
Pertanto
i
terni
e
le
quaterne
divenivano
il
riconoscimento
a
posteriori
e
a
giusta
ricompensa
di
una
capacità
di
lettura
della
realtà
e
del
saper
stare
al
mondo
.
C
'
è
dunque
nella
filosofia
tradizionale
del
lotto
un
'
idea
di
reciprocità
che
non
è
riducibile
al
puro
caso
.
Il
Superenalotto
-
con
una
chance
su
seicentoventidue
milioni
di
azzeccare
la
combinazione
vincente
-
riflette
invece
una
realtà
in
cui
dal
gioco
sono
esclusi
valori
comunitari
,
valori
di
senso
e
quindi
di
merito
.
Non
diversamente
dalle
tante
lotterie
che
non
a
caso
impazzano
in
una
congiuntura
come
quella
attuale
in
cui
ogni
capacità
di
interpretare
la
realtà
,
di
prevederne
le
tendenze
,
di
ricondurla
ad
un
significato
e
a
una
morale
collettivi
e
condivisi
sembra
ormai
perduta
.
Anche
se
nel
superenalotto
sembra
riaffiorare
un
'
idea
del
valore
della
comunità
come
giocatore
collettivo
-
lo
rileva
Imbucci
-
è
da
chiedersi
se
tale
"
collettivismo
"
produca
realmente
valori
comunitari
o
se
non
sia
piuttosto
una
semplice
società
d
'
impresa
,
una
joint
venture
,
spesso
tra
sconosciuti
,
senza
reale
ricaduta
in
termini
di
legame
sociale
e
di
solidarietà
.
In
questo
senso
le
forme
e
le
trasformazioni
del
gioco
,
nello
spazio
e
nel
tempo
,
le
analogie
e
le
differenze
tra
le
filosofie
dell
'
alea
di
ieri
e
quelle
di
oggi
riflettono
come
in
uno
specchio
,
le
forme
e
le
trasformazioni
della
società
"
tout
court
"
.
Nel
nostro
tempo
la
febbre
del
gioco
si
accompagna
non
casualmente
ad
uno
spostamento
insidiosamente
illusionistico
dei
confini
del
ludico
che
incrocia
fenomeni
come
la
globalizzazione
e
,
prima
ancora
,
la
mediatizzazione
,
la
virtualizzazione
della
realtà
.
Si
pensi
a
fenomeni
dilaganti
come
i
giochi
televisivi
in
tutte
le
loro
varianti
,
generaliste
e
localistiche
:
dai
quiz
alle
riffe
,
fino
alle
tradizionalissime
tombole
che
si
celebrano
per
la
gloria
delle
emittenti
locali
nei
bassi
napoletani
.
O
alla
lottomatica
,
alla
progressiva
verticalizzazione
del
jackpot
nel
Superenalotto
:
potentissimi
moltiplicatori
della
velocità
dei
flussi
e
della
crescita
del
consumo
di
giochi
.
E
ancora
al
gioco
"
in
rete
"
che
fa
di
ciascun
individuo
un
giocatore
e
,
insieme
,
una
potenziale
posta
,
giocato
dal
suo
stesso
gioco
.
Si
direbbe
che
il
villaggio
globale
prima
che
i
suoi
servizi
tenda
a
strutturare
i
suoi
vizi
.
Anche
in
questo
senso
il
gioco
è
specchio
fedele
della
mondializzazione
.
Alla
fine
il
giocatore
perde
sempre
.
Vince
il
banco
,
alias
il
mercato
.
Ma
se
fosse
proprio
questa
la
ragione
oscura
del
gioco
?
Qualcosa
di
simile
al
potlatch
,
lo
scambio
competitivo
diffuso
tra
gli
Indiani
del
Nord
Ovest
americano
e
fondato
sull
'
acquisizione
di
prestigio
e
di
identità
attraverso
lo
spreco
di
risorse
?
E
'
quello
che
Georges
Bataille
chiamava
la
"
proprietà
costitutiva
della
perdita
"
.
Guadagnare
per
perdere
.
O
perdersi
.