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Aldo Crespi ( Montanelli Indro , 1978 )
StampaQuotidiana ,
Il dottor Aldo Crespi è morto alla bella età di 93 anni , ma credo che avrebbe fatto volentieri a meno di arrivarci . Sebbene lucidissimo , o forse proprio per questo , l ' ultimo periodo lo ha trascorso in amara solitudine , distaccato dal mondo , chiuso nella sua casa senz ' altra compagnia che quella dei propri ricordi . I ricordi del dottor Aldo erano il Corriere della Sera , di cui per quasi mezzo secolo fu proprietario e editore insieme ai suoi due fratelli Mario e Vittorio , scomparsi da tempo . Fu nel '25 che , secondo una certa leggenda , essi " s ' impadronirono " del giornale di via Solferino , estromettendone Albertini con l ' aiuto del fascismo . Non è qui il caso di far polemiche . Ma crediamo che , se fosse sopravvissuto , lo stesso Albertini , nella sua immacolata onestà , avrebbe contestato questa versione dei fatti . La maggioranza azionaria del Corriere era già , grazie al loro padre Benigno , in mano ai Crespi . Quando Mussolini ne decise l ' allontanamento , fu lo stesso Albertini a proporre loro di rilevare la sua quota , che venne pagata - a quanto ne so - una cinquantina di milioni : prezzo considerato , coi milioni di quei tempi , abbastanza equo . Dei tre , il dottor Aldo era di gran lunga quello più attaccato al giornale . Ma di questo amore erano a conoscenza solo gl ' intimi perché era considerato peccaminoso . I fratelli Crespi non erano litigiosi come quelli Perrone del Messaggero , che trascorsero la vita a farsi processi tra loro . Però si sorvegliavano strettamente , in modo che nessuno potesse apparire più editore dell ' altro . La legge di famiglia imponeva che le decisioni le prendessero d ' accordo , ma l ' accordo era difficile da trovare . Nel bagno annesso al loro ufficio c ' erano tre saponi e tre salviette , ognuna con la sua cifra : anche l ' epidermide volevano salva dal contagio . In quell ' ufficio , il dottor Aldo avrebbe volentieri trascorso le sue giornate , domenica compresa . Ma siccome gli altri due ci venivano una volta sola alla settimana , anche lui si sentiva in obbligo di osservare la regola . Vi arrivavano insieme , in modo da escludere " precedenze " passando da una porticina quasi di servizio per non farsi notare . Una volta che , trovandola chiusa , imboccarono quella principale , furono bruscamente scacciati da un fattorino che , non avendoli mai visti , non sapeva chi fossero . Nemmeno io , in trentasette anni di Corriere , li ho mai visti passare per le stanze e gli anditi della redazione . Fuori di lì li conobbi , e qualche volta li incontravo , ma dalla conversazione era severamente bandito l ' argomento del giornale . Del giornale , parlavano solo col direttore , poco anche con lui , e tutti e tre insieme . Tale era il dettato costituzionale di quella curiosa monarchia trina . Fu parecchio dopo la Liberazione che seppi di dover loro qualcosa . I tedeschi mi avevano arrestato e sulla mia testa pendeva la condanna a morte . Qualcuno della Gestapo andò dai Crespi e chiese , per la mia pelle , un milione . I Crespi lo sborsarono senza batter ciglio . Ma questo racconto mi fu fatto dietro giuramento di non farne mai parola con loro . Dopo vent ' anni mi considerai esentato dall ' impegno e , morti ormai Mario e Vittorio , ne parlai col dottor Aldo . Non negò , ma finse di non ricordar bene come si erano svolte le cose , poi concluse : « Se andarono veramente così , non fu un cattivo affare » , e cambiò discorso . A quei tempi , avevo stabilito con lui una certa dimestichezza , e qualche volta m ' invitava al Biffo , la bella villa che aveva in Brianza . Non mi ci trovavo molto ad agio perché sua moglie Giuseppina ne aveva fatto un centro di mondanità , nella quale ho sempre guazzato male . Ma credo che il dottor Aldo mi c ' invitasse appunto per avere sotto mano qualcuno che ci guazzasse male quanto lui e gli facesse compagnia nelle passeggiate nel parco e nella sua appartata libreria . I suoi interessi erano più letterari che politici . Era uomo di buone , anche se non vaste letture , tutte nel filone e nel gusto di quel cattolicesimo liberale manzoniano , ch ' era tipico della grande borghesia milanese , quando Milano aveva una grande borghesia . Scriveva anche , ma di nascosto . E ricordo lo sgomento che s ' impadronì di tutti noi al Corriere , quando si seppe che aveva pubblicato un libro sotto lo pseudonimo Alpi . A chi sarebbe toccata la difficile incombenza di recensirlo in modo da evitare lo sgarbo di una stroncatura senza cadere nella piaggeria ? Per fortuna giunse , discreto ma perentorio , l ' ordine d ' ignorare il libro . Quando , con l ' animo sollevato dal cessato pericolo , mi decisi a leggerlo , mi accorsi che si poteva parlarne bene senza ricorrere al falso : non erano più che bozzetti e ritratti di personaggi della vita ambrosiana , ma centrati e vivaci , pur tra i vezzi un po ' stantii di uno stile ottocentesco . Non mi sono mai accorto ch ' egli fosse il " padrone " nel senso che a questa parola davano i giornali concorrenti e avversari . Mai , in trentasette anni , mi fece rilievi su qualche articolo , o mi suggerì argomenti . Una sola volta ricevetti da lui un biglietto di sommessa doglianza , che conservo , e che cominciava così : « Caro Montanelli , Ella sa con quanta simpatia , partecipazione e ammirazione ho seguito e seguo i suoi scritti , sempre trovandovi ( anche nei più impertinenti ) motivi di consenso . Mi permetta quindi , per una volta , di fare eccezione e di esprimerle un addolorato dissenso - di cui tuttavia Ella è liberissimo di non tenere alcun conto - per quanto ha detto a proposito della conversione di Manzoni ... » . Ecco : quando parlava da " padrone " , il dottor Aldo Crespi lo faceva in questi termini , e solo per difendere Manzoni . Poco prima di passar la mano alla figlia nella gestione del Corriere , lo incontrai ai giardini , di fronte ai quali abitava e dove , quando era a Milano , andava sovente a passeggiare . Non mi fece cenno delle sue intenzioni di ritiro . Mi disse soltanto che si sentiva molto stanco - aveva passato da un pezzo gli ottanta - e infatti la sua alta e fragile figura non era più dritta come una volta . Poi , si rinchiuse in casa , e non lo rividi che quando mi pregò di passare da lui per ringraziarmi di un libro che gli avevo mandato . Capii che si trattava di una scusa , e lo era . Per la prima volta , mi chiese esplicitamente cosa pensavo del Corriere nella sua nuova versione . Altrettanto esplicitamente glielo dissi . Un velo di tristezza gli scese sugli occhi . « Me lo immaginavo » rispose , e parlammo d ' altro , a lungo e affettuosamente . Capii che quello era un addio , e infatti non ci vedemmo più . Quando seppe che anch ' io me n ' ero andato , mi scrisse una lettera che " affidata al riserbo dell ' amico " , non chiedeva risposta , anzi la escludeva . A mia volta gliene scrissi una quando seppi che anche l ' ultima fetta di Corriere , quella ch ' era stata sua , era passata in proprietà ad altro editore . Gli chiedevo se potevo andarlo a trovare . Attraverso un comune amico mi pregò di non farlo " perché temeva di commuoversi " . L ' ultimo messaggio , anch ' esso orale , me lo mandò attraverso il medesimo amico , pochi giorni dopo l ' uscita del Giornale : « Grazie » diceva « di avermi ridato da leggere un Corriere » . Il dottor Aldo morì allora , credo . E con lui moriva un certo tipo di editore , il cui unico torto è stato quello di non aver allevato dei successori . Non erano stati i Crespi a fare la grandezza del Corriere , ma erano stati i Crespi , e particolarmente il dottor Aldo , a salvarne quanto , nei mutati tempi , si poteva salvare . Non ho mai capito se il Corriere era com ' era perché lui era così , o se lui era così perché il Corriere era com ' era . So soltanto che , senza mai interferirvi , quest ' uomo schivo e discreto sapeva fare tutt ' uno di se stesso e del suo giornale . Che al Corriere ci fosse un padrone noi ci accorgemmo solo quando lui non fu più tale . E anche per questo ce ne andammo .
Il «crociato siculo» ( Montanelli Indro , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Un amico palermitano mi ha mandato una cartolina con una veduta della sua città in cui spicca il convitto Don Bosco , soffocato in mezzo a tanti altri edifici . Un tempo - un tempo che ho fatto in tempo a conoscere - , al posto di quella mareggiata di cemento , c ' era uno stupendo parco . Al centro del parco c ' era una stupenda villa , la villa Ranchibile , e al centro della villa c ' era uno dei più bizzarri personaggi che si potessero incontrare nella pur bizzarrissima Sicilia : il principe di Maletto . Non l ' ho conosciuto : è morto , credo , prima ch ' io nascessi . Ma ho avuto come compagno d ' arme , proprio lì a Palermo , un suo nipote , che me ne raccontò le avventure , del resto note a tutta la città . Erano avventure sedentarie perché il principe non si mosse mai dalla sua casa , anzi dalla sua biblioteca . Solitario e misantropo , afflitto da una sorta di agorafobia , il mondo esterno se l ' era ricostruito sui libri che divorava insaziabilmente . A un certo punto sprofondò in quelli sulle Crociate , e tanto vi s ' immerse e compenetrò che alla fine concepì il disegno di farne una per conto suo , ma dal vero , cioè tutta a piedi e in costume dell ' epoca : lungo saio di tela grezza con la croce bianca disegnata sul petto , cappuccio , spada e scudo . Il sarto non si meravigliò molto quando il principe gli fece quell ' ordinativo per sé e per Alfio , il suo cuoco , da cui naturalmente egli si sarebbe fatto accompagnare come i Cavalieri dell ' epoca dai loro famigli : era abituato alle stranezze di quel suo cliente . A meravigliarsi , quando il principe gli comunicò la sua decisione , fu Alfio , al quale parve incredibile che il suo padrone si fosse deciso a mettere il naso fuori di casa . « Voscienza perdoni » disse . « Ma quanto ci vuole per arrivare a Gerusalemme ? » « A una media di venticinque chilometri al giorno , duemilacinquecentosettantasei giorni , compresi quelli di riposo per la domenica e le feste consacrate » rispose il principe squadernando sotto gli occhi atterriti del cuoco la carta geografica su cui aveva disegnato tutto l ' itinerario . « E come lascio la famiglia per tutto questo tempo ? » balbettò il poveretto quando ebbe ripreso fiato « e pure a voscienza la pasta con le sarde come ce la faccio ? » « Me la farai , me la farai : il Signore non ci abbandonerà proprio quando andiamo in pellegrinaggio al suo Santo Sepolcro » rispose placidamente il principe . E per un paio di settimane tenne il poveruomo nell ' angoscia di quella partenza , citandogli l ' esempio dei servitori del Medio Evo che non muovevano obiezioni , anzi seguivano con entusiasmo il loro signore quando li conduceva in Terrasanta . Poi , una bella mattina , gli annunciò che il pellegrinaggio lo avrebbero fatto senza muoversi di lì , dentro il parco , e quindi non si preoccupasse della pasta con le sarde : l ' avrebbero mangiata come sempre , cucinata come sempre , se non dalle mani del cuoco , da quelle della moglie del cuoco . Il principe aveva studiato mesi e mesi per calcolare quanti giri del parco occorrevano per coprire idealmente la distanza fra Palermo e Gerusalemme . Suo nipote me lo disse , ma non me lo ricordo . Comunque , erano diecine di migliaia . E gli sembrava che il Signore potesse contentarsene , anche se li faceva intorno alla villa . I due crociati partirono all ' alba di un giorno di primavera , presente il parroco che gli diede la benedizione . Il principe era stato molto incerto se noleggiare , per ragioni di verisimiglianza , un cavallo . Ma poi ci aveva rinunziato per non attribuirsi - aveva detto - un trattamento di favore rispetto ad Alfio , in realtà perché non aveva mai cavalcato e aveva paura di cascare . Consentì però ad Alfio di comprare un mulo per caricarvi il bagaglio perché il principe , sempre per ragioni di verisimiglianza , lo voleva sia pur ridotto , ma completo . C ' erano la tunica e i calzari di ricambio , le pezze da piedi , le fiasche d ' acqua per l ' attraversamento dei deserti , il libro dei salmi e gl ' itinerari con le date perché , come aveva spiegato ad Alfio , bisognava essere puntuali agli appuntamenti con Goffredo di Buglione , Tancredi e gli altri comandanti di colonna . Il primo giorno camminarono sette ore , quattro al mattino , tre al pomeriggio , con siesta sotto un leccio al centro del parco , dove la moglie di Alfio li raggiunse con la pasta alle sarde . Alfio la trovò scotta , ma il principe lo redarguì severamente : i veri crociati , disse , non avevano mangiato per anni che orzo e fave , quando li trovavano . Per cui , dopo il pasto , gli ordinò un certo numero di pateravegloria di ringraziamento al Signore per la manna che gli aveva dato . Quando calò il sole , drizzarono una specie di tenda , di cui il principe aveva studiato e fatto copiare il modello sull ' iconografia medievale , ci misero a dormire il mulo , e ritornarono in villa , ma senza smettere la loro divisa di crociati . Prima di andare a letto pregarono che il Signore gli desse la forza di arrivare fino al suo Santo Sepolcro . L ' indomani ricominciarono , sempre al canto del gallo e con la benedizione del parroco ( il quale però disse che d ' allora in poi sarebbe venuto una volta la settimana : bastava ) . D ' estate cambiarono orario : partivano addirittura al buio , e alle dieci si fermavano , per lasciare che la calura si sfogasse , facendo sosta e siesta presso una fontanella che , secondo il principe , era quella del Clitunno , dove , secondo i suoi calcoli , erano arrivati . Alfio si arrampicava su un muretto , metteva una mano a visiera sugli occhi , e scrutava l ' orizzonte . « Vedi nessuno ? » gli chiedeva il principe . «Nessuno.» « Sono in ritardo » diceva il principe con disappunto , e si rimetteva a consultare le carte con gli orari . Oppure Alfio diceva : « C ' è gente » . « Sono i nostri » gli faceva eco il principe . « Dio sia lodato . » Riprendevano a camminare al tramonto , e quando si accendevano le luci della città , il principe annunciava : « E Lubiana » . Camminarono anni , e il loro passo si faceva sempre più stanco perché diventavano vecchi . Alfio chiese una riduzione di orario , ma inutilmente . « Qua non arriviamo più » brontolava . « Dobbiamo arrivare , e per questo dobbiamo camminare : il Signore ce ne darà la forza . Così diceva Goffredo , e così dobbiamo dire noi . » « E picchì ? » chiedeva Alfio . « Chi è questo Goffredo ? » Ma il principe non lo ascoltava . « Perché avremmo vissuto » diceva « se non per vedere il Santo Sepolcro ? » « Mio padre e mio nonno hanno vissuto » rispondeva Alfio . « E che , il Santo Sepolcro hanno visto ? Bagheria hanno visto . » Il mulo morì , bisognò rimpiazzarlo . Morì anche il parroco , e il suo giovane sostituto si rifiutò di venire a dare la benedizione ai pellegrini . Infine morì anche una sorella del principe , che stava all ' altro capo della città . Ma il principe non poté andarla a vedere , e nemmeno partecipare ai suoi funerali , perché in quel momento era in vista di Costantinopoli . Le ultime tappe furono penose perché il principe soffriva di prostata , e ogni poco doveva fermarsi . Ma l ' approssimarsi di Gerusalemme moltiplicava le sue forze . E l ' arrivo fu epico . Il principe fece l ' ultimo chilometro quasi di corsa , recitò a fiato mozzo il Tasso : « Ecco apparir Gerusalem si vede - ecco additar Gerusalem si scorge - , ecco da mille voci unitamente - Gerusalemme salutar si sente » , e cadde in ginocchio . Anche Alfio era contento : contento di aver finito quella sgambata . I giorni successivi i due crociati fecero il giro dei Luoghi Santi , raccogliendosi in preghiera su ognuno di essi . Caricarono il mulo di reliquie . Poi il principe annunciò : « E ora intraprendiamo la strada del ritorno » . Alfio lo fissò , capì le sue intenzioni , si sfilò di dosso tunica e cappuccio e , indicando con la mano la villa , rispose : « A Gerusalemme sugnu e a Gerusalemme sto » . Stavolta però il principe gli dette ragione . Anche lui rimase a Gerusalemme , e due anni dopo ci morì . Le sue ultime parole furono : « Dite al Conte Goffredo ... » .
Caro Fiorelli ( Montanelli Indro , 1978 )
StampaQuotidiana ,
Il celebre giornalista che ha inventato i due neologismi è ( tanto per cambiare ) Longanesi che una sera , sorprendendo me e Ansaldo in trattoria a discutere su certe tipologie umane , tagliò la questione con una delle sue solite perentorie battute : « Tutte baggianate . Gli uomini si dividono in due categorie : i nardones e i leccobardi » . Sono sicuro che inventò quelle parole lì per lì perché non seppe darci nessuna spiegazione della loro etimologia ( solo in seguito risultò che nardones gli era rimasto nell ' orecchio dai suoi tempi di Napoli dove c ' è un vicolo , una volta famoso per i suoi bordelli , che s ' intitola così ) , ma in compenso cominciò subito a chiarirci il concetto con riferimenti storici concreti . « Per esempio - disse - Churchill era un nardones , Eden un leccobardo ; Stalin era un nardones , Trotzki un leccobardo ; Cesare era un nardones , Augusto un leccobardo . Mussolini e Franco erano nardones ; mentre Hitler no , era un leccobardo Gli avventori delle tavole accanto avevano smesso di mangiare e di parlare fra loro per ascoltare Longanesi che , come al solito , declamava . E piano piano , senza conoscerci né conoscersi tra loro , cominciarono a partecipare al giuoco di quella contrapposizione , facendo domande e accendendo discussioni . « E oggi ? » chiedevano . « Oggi - pontificava Longanesi - , assistiamo a un fenomeno di leccobardizzazione collettiva : la democrazia cristiana . C ' erano tre nardones soli in quel partito : Don Sturzo , De Gasperi e Scelba , e appunto per questo sono stati eliminati . Ma anche all ' estero i nardones sono pochi : Mao , Tito , De Gaulle , Salazar ... No , mi sbaglio : Salazar è leccobardo . » Fu un contagio . Accorsero anche dai tavoli più lontani , la discussione diventò generale , durò accesissima fino alle due del mattino . E se lei , caro Fiorelli , si prova a riaprirla coi suoi amici , al caffè o al circolo , vedrà che ottiene lo stesso effetto . Ci cascano tutti , tutti ci si divertono . Ma attenzione : che nessuno tenti di spiegare quei due termini e di dargli un significato preciso . Granzotto , che ci si è provato , ha fatto fiasco : per fare un nardones ci vuol altro che la calma , la serenità eccetera : Petrarca era calmo e sereno , eppure era un leccobardo . E per fare un leccobardo non bastano la magrezza e la bile : Dante possedeva al massimo sia l ' una che l ' altra , eppure era un nardones . No , né all ' uno né all ' altro archetipo si possono attribuire connotati definiti . Contentatevi delle esemplificazioni , e soprattutto sfuggite alla tentazione di stabilire , fra i due termini , una gerarchia . Nardonismo non è affatto sinonimo di grandezza , come leccobardismo non è affatto sinonimo di meschinità . Fra i nardones ci sono molti grandi , ma c ' è anche , per esempio , Starace ch ' era solo un bravo e onesto coglione . Mentre fra i leccobardi c ' è un Roosevelt , canaglia sì , ma di non comuni dimensioni , molto più grosso di Johnson che era nardones ( come Truman e Nixon ) . Fra i contemporanei , i due leccobardi più esemplari sono stati Paolo VI e Moro . Wojtyla è certamente nardones . Su Andreotti , sono incerto : a volte mi sembra un leccobardo travestito da nardones , a volte un nardones travestito da leccobardo : comunque , un travestito . Caro Fiorelli , dia retta a me . Stasera stessa apra coi suoi amici questa discussione . Vedrà : ci rimarrete appiccicati fino all ' alba , come successe a noi e continua ogni tanto a succederci . Perché Longanesi aveva ragione : le due categorie umane son quelle . E sebbene io non sia riuscito a spiegargliene la differenza , sono sicuro che lei l ' ha capita .
Caro amico ( Montanelli Indro , 1978 )
StampaQuotidiana ,
Caro amico , non solo capisco la sua amarezza e il suo sdegno , ma li condivido . L ' Università italiana è in pezzi : anzi è in pezzi la scuola italiana , a tutti i livelli . Logico che , quanto più si sale di livello , tanto più siano avvertibili , e funeste , la degradazione dell ' insegnamento , la disorganizzazione : insomma il caos demagogico . Non voglio dilungarmi sulle ragioni specifiche di questa o quella rivendicazione , agitazione , occupazione . Ce n ' è sempre . Stia pur certo che , se non cambia il clima generale della scuola italiana , rimosso un ostacolo se ne presenterà un altro , all ' infinito , in una spirale progressiva ( e pseudo progressista ) che porta alla paralisi . Prima che i rivoluzionari e riformatori si mettessero all ' opera , l ' Università italiana non era certo perfetta . Peccava di accademismo ; non preparava i ragazzi all ' esercizio delle professioni cui aspiravano ; dava posto eccessivo , nella composizione della massa studentesca , ai figli della borghesia ; era dominata da « baroni » che a volte avevano conquistato il loro titolo professorale per veri meriti , ed esercitavano la loro missione con scrupolo , e a volte erano soltanto pompose e arroganti nullità . Pur con tutti questi grossi difetti , l ' Università italiana nel suo complesso reggeva , dal punto di vista degli studi e delle ricerche , il confronto con le Università estere . Alcuni Atenei , e alcune facoltà , erano di altissimo livello . Era , quella , una Università , che doveva certamente essere migliorata , resa più efficiente dal punto di vista tecnico , più giusta dal punto di vista sociale , e più severa - rilievo che riguarda soprattutto talune sedi - dal punto di vista degli studi . Se si fosse agito in questo senso , gli studenti di modeste condizioni economiche , ma bravi - come immagino sia suo figlio - avrebbero potuto ottenere non solo la gratuità della frequenza , ma un presalario sufficiente per vivere , e riservato a chi meritasse questo sacrificio della collettività . Gli svogliati , gli eterni fuori corso , i venditori di chiacchiere demagogiche , anche se ricchi e privilegiati economicamente , fuori . Ma sull ' onda dell ' ormai mitico '68 , sotto la spinta di sciagurati agitatori , come Capanna , che si proclamavano apostoli degli studenti , e sono stati i loro peggiori nemici , con la complicità di professori malati di giovanilismo spensierato , deboli , politicamente ambiziosi , con l ' avallo di governanti sprovveduti e populisti , si è proceduto in senso opposto : Università aperte a tutti , studi declassati , lauree a portata di qualsiasi somaro , gli Atenei trasformati in covi di una rivoluzione permanente e inconcludente , tanti Lenin in sessantaquattresimo associati all ' insegnamento . Questa stravolta riforma , culminata nei fasti del 27 a tutti ( da qualche professore vergognosamente accettato ) nelle facoltà di architettura , ha punito , caro amico , proprio le famiglie come la sua . I giovani intelligenti e diligenti , che hanno fretta di laurearsi perché un padre operaio deve scannarsi per mantenerli agli studi , sono bloccati dalle lotte continue di professori politicizzati e di compagni « rivoluzionari » con Kawasaki e vacanze alle Seychelles . Quando il suo ragazzo entrerà - le auguro presto - nella professione riuscirà probabilmente , perché è in gamba e perché ha scelto una facoltà che ritengo sia tra le meno affollate . Ma altri faticheranno immensamente trovandosi a competere con laureati che sono bestie : ma grazie al metodo Capanna hanno completato senza fatica i corsi , e sono ammanigliati , e hanno famiglie influenti . I « rivoluzionari » hanno cioè punito proprio i figli dei proletari , che asseriscono vociando di voler redimere . Se tanti studenti in gamba che sono figli di povera gente non potranno essere , nella vita , ciò che avrebbero voluto , e dovranno ammainare le ali delle loro legittime aspirazioni , ne rendano grazie ai demagoghi .
Caro Bertani ( Montanelli Indro , 1978 )
StampaQuotidiana ,
Caro Bertani , è curioso : di tutti i nostri lettori , lei è l ' unico ad aver interpretato quel mio articolo come una presa di posizione contro le centrali elettronucleari . Non è così , e tengo a ribadirlo per chiunque possa essere caduto nello stesso abbaglio . Se ho fatto un ' allusione a Hiroshima , cioè all ' uso perverso che si può fare dell ' energia nucleare , è stato solo per prevenire la propaganda avversaria che certamente si varrà di questo ingannevole , ma suggestivo argomento per impostare il suo referendum . E per controbatterlo ne ho portati altri tre che mi sembrano di facile comprensione anche per il lettore più digiuno di questa materia , e quindi i più adatti a una contro - propaganda di massa : 1° ) Il fatto di non avere centrali termonucleari non basterebbe a metterci al riparo da catastrofi tipo Hiroshima perché in un mondo nuclearizzato , « zone di rispetto » non ne esistono . 2° ) Le installazioni termonucleari costruite finora ( e sono più di 600 ) non hanno mai dato luogo a incidenti , e si dimostrano anche meno inquinanti di tante altre . 3° ) Lo sviluppo industriale è a un bivio : o infila la strada termonucleare , o dovrà rassegnarsi a restare a corto , di qui a un po ' , di fonti di energia perché il petrolio non è inesauribile e costa sempre più caro . Più di questo , caro Bertani , che dovevo dire ? Lei forse mi rimprovera di non avere abbastanza sottolineato la differenza che passa fra l ' uso bellico e distruttivo , e quello pacifico e costruttivo , dell ' energia nucleare . Ma , santo Dio , questa differenza la conoscono tutti ed è implicita nel discorso . Nessuno dubita , nessuno può dubitare che l ' Italia voglia le centrali per lanciarsi nella gara dell ' armamento atomico : d ' imbecilli nel nostro Paese ce ne sono tanti , ma non fino al punto di correr dietro a simili sogni , o per meglio dire incubi . Il mio ragionamento era questo , già implicito nel titolo dell ' articolo ( A lume di candela ) : « Decidiamoci : o l ' energia termonucleare , o il ritorno alla candela » . E questo , lei , me lo chiama un argomento contro l ' energia termonucleare ?
Caro Banfi ( Montanelli Indro , 1978 )
StampaQuotidiana ,
Caro Banfi , vedo che lei ha abbastanza ben capito la differenza , per quanto refrattaria ad ogni definizione , fra nardones e leccobardi . Per quanto mi riguarda , anch ' io credo che spetti ai lettori , non a me , stabilire a quale categoria appartengo . Lei però rischia di trarli in inganno spacciando per leccobardismo il mio invito a votare Dc « con schifo , con rabbia , con voltastomaco » ecc. E glielo dimostro con un esempio . Lei , vedo , elenca Churchill fra i nardones , e ha ragione perché ne era addirittura un archetipo . Ma non crede lei che , dopo aver passato la vita a combattere il comunismo , avesse anche lui la rabbia , lo schifo e il voltastomaco quando dovette allearsi con Stalin e stringergli la mano ? E crede che questo basti a trasformarlo in leccobardo ? Con ciò non voglio mettermi , per l ' amordiddio , sul piano di Churchill . Voglio soltanto dire che un uomo non si può giudicarlo dalle azioni che compie in stato di necessità . Eppoi , non creda che la qualifica di leccobardo mi offenderebbe . Pericle ( dico Pericle ) lo era . Lo era Erasmo . E molte sono le volte in cui un leccobardo - p . es. Federico il grande di Prussia - ha fregato i nardones . Anche fra i nostri contemporanei , guardi un Giscard d ' Estaing . Più leccobardo di lui , si muore . Eppure , sebbene non ne abbia le forze , riesce a tenersi alla pari di un nardones come Schmidt . Dimenticavo di aggiungere che il discorso vale anche per le donne . Esse passano quasi sempre per leccobarde . Ma anche fra loro ci sono le nardones . Anzi , di solito succede questo : che uno crede di sposare una leccobarda , e poi si trova in casa una nardones , e che nardones . Prenda la signora Anna Bonomi . Ma forse l ' esempio è scelto male : la signora Bonomi non ha mai nemmeno tentato di passare per leccobarda .
Caro senatore ( Montanelli Indro , 1978 )
StampaQuotidiana ,
Caro senatore , il suo discorso non fa una grinza . Io sono perfettamente d ' accordo con lei che una spesa di 74 miliardi , e anche quella di 270 prevista per il '79 , è ben poca cosa in confronto al valore dell ' enorme patrimonio artistico da salvare ; e anzi questo giornale è sempre stato in prima linea nel reclamare che a questa difesa siano dati mezzi sempre più grandi ed efficienti . Ma Ricossa non contestava affatto questa tesi . Semplicemente diceva : Prendiamo il più modesto di tutti i nostri bilanci , quello per i Beni culturali , 74 miliardi appena . Il cittadino è in grado di controllare come viene amministrato questo stanziamento , e se esso serve di più a mantenere il suddetto patrimonio o coloro che vi sovrintendono ? No . E allora figuriamoci quanto è in grado di controllare una spesa globale di 64 mila miliardi , qual è quella dello Stato , del suo Stato . Questo , diceva Ricossa . Egli ha portato l ' esempio del bilancio dei Beni culturali perché , appunto per la sua modestia , era quello che meglio si prestava a dimostrare il suo assunto che trova consenzienti - glielo posso garantire - tutti i lettori . Perché tutti i lettori - anche questo le posso garantire - hanno le scatole piene di questo Stato ciaccione , avido e dissipatore , che vuol fare troppe cose e le fa malissimo , a cominciare da una contabilità talmente ingarbugliata che nessuno , nemmeno i cosiddetti uomini di Stato e la loro burocrazia , riescono a capirci più nulla . Lei non vorrà negarmi , spero , che l ' enorme prelievo che lo Stato fa del pubblico denaro viene adibito soprattutto a mantenere coloro che lo maneggiano , e a mantenerli male perché sono troppi e costretti ad operare in un guazzabuglio di leggi che li condanna all ' inefficienza e al parassitismo : Non so se i Beni culturali facciano eccezione alla regola . Ma la regola è quella che dice Ricossa : uno Stato che dovunque mette le mani combina guai e per ripararli ha sempre più bisogno di succhiare quattrini al cittadino senza dargli modo di controllare come li usa . Per difendersi non c ' è che un mezzo : ridurre la spesa pubblica , che significa anche ridurre gl ' interventi dello Stato , insomma riprivatizzare il Paese . Ne convenga anche lei , caro senatore . Altrimenti , perde i voti . Lei parla di contraddizione , caro Lo Cascio , e ha ragione . Ma il problema va posto , a mio avviso , in termini un po ' diversi da quelli esposti nella sua lettera . E ' vero : il mondo politico italiano intrattiene rapporti assidui con gli esponenti di quegli stati dell ' Est « socialista » che hanno indubbie connotazioni totalitarie . Ciò può turbare la coscienza dei democratici ma è difficilmente evitabile , anche se certe inutili sbracature e indulgenze sono eccessive . L ' impero sovietico è una realtà . Così come è una realtà la assoluta prevalenza numerica , nel mondo , dei regimi dittatoriali sui regimi democratici . Se questi ultimi dovessero chiudersi in se stessi , rifiutando ogni contatto con gli « impuri » , e troncando con essi rapporti diplomatici , economici , culturali , si arriverebbe a una situazione paradossale : alla situazione cioè di una coalizione della libertà che rinuncerebbe ad influire sulle vicende del mondo , e che , respingendoli in blocco , costringerebbe gli altri , i non liberi , ossia , ripetiamo , la maggioranza degli stati , a coalizzarsi a loro volta . La confusione tra morale e politica produce effetti di solito negativi , a volte catastrofici . Se ne è accorto anche Carter , che giuoca la carta cinese contro la carta russa pur sapendo perfettamente che , quanto a democrazia , se Mosca piange Pechino non ride . Io penso , insomma , che la politica internazionale di un Paese debba accettare questi compromessi e adattarsi agli incontri , ai brindisi , ai comunicati finali , con tutte le loro ipocrisie e reticenze . La contraddizione , secondo me , sta altrove . Sotto la spinta dei partiti di sinistra e della loro propaganda la politica estera italiana pecca di duplicità e di incoerenza . Se la ragion di stato deve prevalere sulla morale internazionale , se impone di colloquiare con i totalitari , la regola deve valere per tutti : per la Unione Sovietica come per il Cile , per l ' Albania come per la Rhodesia . Invece non è così . Non si vuole che sia così . Pertini , Andreotti e Forlani , possono tranquillamente recarsi in visita ufficiale a Mosca , ma guai se si azzardassero a visitare Argentina e Cile ; possono ricevere Gheddafi , ma guai se accogliessero a Roma Pinochet . Abbiamo normali rappresentanze diplomatiche perfino nell ' Uganda di Idi Amin , ma non a Santiago del Cile . Allora qual è il criterio ? Vale la ragion di stato , che consiglia di mantenere canali in ogni direzione , o vale la morale politica , che consiglierebbe di negare reciprocità di rapporti a chi non ha le carte in regola con la democrazia ? Non si sa . O piuttosto si sa benissimo . In obbedienza non a un criterio uniforme , ma al vociare propagandistico e al ricatto parlamentare , si usano due pesi e due misure . I totalitari di sinistra sono ritenuti internazionalmente più frequentabili di quelli di destra . La Farnesina si indigna : ma con juicio .
Caro amico ( Montanelli Indro , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Caro amico ( visto che lei mi considera tale ) , se l ' allusione sul modo in cui vivono certi giornali è rivolta al nostro , la invito senz ' altro a fare un sopralluogo da noi , pagandole anche biglietto e diaria , e in compagnia di uno stuolo di avvocati e commercialisti per controllare , fatture alla mano , quanto e da dove introiamo , quanto e come spendiamo . Si accorgerebbe che , come rigore amministrativo , e non soltanto amministrativo , abbiamo lezioni da dare , non da prendere , specie dai Comuni e dalle Province . Per quanto concerne la sua attività di consigliere provinciale , lei ha tutto il diritto di credere che in essa rientri anche la politica estera nazionale ; io ho quello di pensare e di scrivere che gli elettori eleggono un consigliere provinciale perché s ' interessi delle cose della provincia , non della Rhodesia e dello Zimbabwe , delle quali può benissimo occuparsi quando parla con gli amici al caffè , non quando siede nel consiglio provinciale . Chi di noi due abbia ragione , lasciamolo giudicare ai lettori . Quanto alla Dc , lei fa benissimo , come militante e gerarca , a difenderla . Ma non può dire che chi vota per essa perde , dopo aver depositato la scheda nell ' urna , qualsiasi diritto , compreso quello di avvertire certi puzzi e di turarsi il naso . Noi , lo sappiamo benissimo , non possiamo impedirvi di puzzare ; ma voi non potete impedirci di sentire il puzzo e di dire che lo sentiamo . Resta la questione dei butteri , di cui lei si aderge a difensore . Ma contro chi ? Io sono un vecchio amico dei butteri coi quali ho convissuto intere estati , quando mio nonno mi conduceva a caccia a Capalbio e dintorni . Magari ce ne fossero ancora , perché erano gran gente . Ma dove fossero la Rhodesia e lo Zimbabwe non lo sapevano , né credo che lo sappiano oggi , se ce n ' è ancora qualcuno . Ecco tutto , caro amico .
Pubblico insieme queste due lettere ( Montanelli Indro , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Pubblico insieme queste due lettere perché mi pare ch ' esse formino un perfetto pendant , a conferma di quanto dicevo nell ' articolo ( è il caso di dirlo ) incriminato . Per coloro che non lo avessero letto , o non lo ricordassero , ne riassumerò brevemente la tesi . Non capisco , dicevo , perché il contrasto fra Stato e Chiesa sull ' aborto faccia scandalo . Essi parlano a due diversi interlocutori : l ' uno al cittadino , l ' altra al credente . Quando l ' uno concede come diritto ciò che l ' altra proibisce come peccato , sta ad ognuno di noi decidere secondo coscienza il da farsi . Nessuno è condannato all ' aborto . È una facoltà . Lo Stato non poteva non regolarla , visti i pericoli e le ingiustizie della pratica clandestina . La Chiesa non può non condannare questa pratica . Non è la prima volta , e non è questo il solo caso in cui norma civile e norma religiosa discordano . La grande conquista dello Stato di diritto è di porre il cittadino nella condizione di scegliere fra l ' una e l ' altra . Ora il sig. Tornaquinci mi dice addio perché non trova questa posizione abbastanza laica , il sig. Strampelli mi dice addio perché non trova questa posizione abbastanza cattolica . Sembra che dicano cose antitetiche . E invece dicono la stessa cosa . Dicono cioè che non vogliono esser loro a scegliere . Secondo l ' uno questo compito spetta allo Stato , secondo l ' altro alla Chiesa , senza rendersi conto che uno Stato che proibisse alla Chiesa d ' interloquire su un problema morale come questo sarebbe uno Stato totalitario , così come una Chiesa che proibisse allo Stato di regolare un problema come questo , che è anche civile , sarebbe una teocrazia . Per quanto mi dispiaccia perderli ( e mi dispiace moltissimo ) , debbo riconoscere che il nostro giornale non è fatto per questi lettori . Noi ci rivolgiamo a quelli che , fra un imperativo civile e un imperativo religioso , accettano di assumersi la responsabilità di una scelta , anche quando è angosciosa come nel caso dell ' aborto . In quanti siamo ? Non lo so . Certo , una minoranza . Ma una minoranza di uomini , qualifica che spetta solo a coloro che hanno una coscienza , e non sono disposti a portarla all ' ammasso pur sapendo di avere in essa il tribunale più difficile cui rispondere . Anche in pochi , è preferibile restare tra noi .