StampaQuotidiana ,
Il
dottor
Aldo
Crespi
è
morto
alla
bella
età
di
93
anni
,
ma
credo
che
avrebbe
fatto
volentieri
a
meno
di
arrivarci
.
Sebbene
lucidissimo
,
o
forse
proprio
per
questo
,
l
'
ultimo
periodo
lo
ha
trascorso
in
amara
solitudine
,
distaccato
dal
mondo
,
chiuso
nella
sua
casa
senz
'
altra
compagnia
che
quella
dei
propri
ricordi
.
I
ricordi
del
dottor
Aldo
erano
il
Corriere
della
Sera
,
di
cui
per
quasi
mezzo
secolo
fu
proprietario
e
editore
insieme
ai
suoi
due
fratelli
Mario
e
Vittorio
,
scomparsi
da
tempo
.
Fu
nel
'25
che
,
secondo
una
certa
leggenda
,
essi
"
s
'
impadronirono
"
del
giornale
di
via
Solferino
,
estromettendone
Albertini
con
l
'
aiuto
del
fascismo
.
Non
è
qui
il
caso
di
far
polemiche
.
Ma
crediamo
che
,
se
fosse
sopravvissuto
,
lo
stesso
Albertini
,
nella
sua
immacolata
onestà
,
avrebbe
contestato
questa
versione
dei
fatti
.
La
maggioranza
azionaria
del
Corriere
era
già
,
grazie
al
loro
padre
Benigno
,
in
mano
ai
Crespi
.
Quando
Mussolini
ne
decise
l
'
allontanamento
,
fu
lo
stesso
Albertini
a
proporre
loro
di
rilevare
la
sua
quota
,
che
venne
pagata
-
a
quanto
ne
so
-
una
cinquantina
di
milioni
:
prezzo
considerato
,
coi
milioni
di
quei
tempi
,
abbastanza
equo
.
Dei
tre
,
il
dottor
Aldo
era
di
gran
lunga
quello
più
attaccato
al
giornale
.
Ma
di
questo
amore
erano
a
conoscenza
solo
gl
'
intimi
perché
era
considerato
peccaminoso
.
I
fratelli
Crespi
non
erano
litigiosi
come
quelli
Perrone
del
Messaggero
,
che
trascorsero
la
vita
a
farsi
processi
tra
loro
.
Però
si
sorvegliavano
strettamente
,
in
modo
che
nessuno
potesse
apparire
più
editore
dell
'
altro
.
La
legge
di
famiglia
imponeva
che
le
decisioni
le
prendessero
d
'
accordo
,
ma
l
'
accordo
era
difficile
da
trovare
.
Nel
bagno
annesso
al
loro
ufficio
c
'
erano
tre
saponi
e
tre
salviette
,
ognuna
con
la
sua
cifra
:
anche
l
'
epidermide
volevano
salva
dal
contagio
.
In
quell
'
ufficio
,
il
dottor
Aldo
avrebbe
volentieri
trascorso
le
sue
giornate
,
domenica
compresa
.
Ma
siccome
gli
altri
due
ci
venivano
una
volta
sola
alla
settimana
,
anche
lui
si
sentiva
in
obbligo
di
osservare
la
regola
.
Vi
arrivavano
insieme
,
in
modo
da
escludere
"
precedenze
"
passando
da
una
porticina
quasi
di
servizio
per
non
farsi
notare
.
Una
volta
che
,
trovandola
chiusa
,
imboccarono
quella
principale
,
furono
bruscamente
scacciati
da
un
fattorino
che
,
non
avendoli
mai
visti
,
non
sapeva
chi
fossero
.
Nemmeno
io
,
in
trentasette
anni
di
Corriere
,
li
ho
mai
visti
passare
per
le
stanze
e
gli
anditi
della
redazione
.
Fuori
di
lì
li
conobbi
,
e
qualche
volta
li
incontravo
,
ma
dalla
conversazione
era
severamente
bandito
l
'
argomento
del
giornale
.
Del
giornale
,
parlavano
solo
col
direttore
,
poco
anche
con
lui
,
e
tutti
e
tre
insieme
.
Tale
era
il
dettato
costituzionale
di
quella
curiosa
monarchia
trina
.
Fu
parecchio
dopo
la
Liberazione
che
seppi
di
dover
loro
qualcosa
.
I
tedeschi
mi
avevano
arrestato
e
sulla
mia
testa
pendeva
la
condanna
a
morte
.
Qualcuno
della
Gestapo
andò
dai
Crespi
e
chiese
,
per
la
mia
pelle
,
un
milione
.
I
Crespi
lo
sborsarono
senza
batter
ciglio
.
Ma
questo
racconto
mi
fu
fatto
dietro
giuramento
di
non
farne
mai
parola
con
loro
.
Dopo
vent
'
anni
mi
considerai
esentato
dall
'
impegno
e
,
morti
ormai
Mario
e
Vittorio
,
ne
parlai
col
dottor
Aldo
.
Non
negò
,
ma
finse
di
non
ricordar
bene
come
si
erano
svolte
le
cose
,
poi
concluse
:
«
Se
andarono
veramente
così
,
non
fu
un
cattivo
affare
»
,
e
cambiò
discorso
.
A
quei
tempi
,
avevo
stabilito
con
lui
una
certa
dimestichezza
,
e
qualche
volta
m
'
invitava
al
Biffo
,
la
bella
villa
che
aveva
in
Brianza
.
Non
mi
ci
trovavo
molto
ad
agio
perché
sua
moglie
Giuseppina
ne
aveva
fatto
un
centro
di
mondanità
,
nella
quale
ho
sempre
guazzato
male
.
Ma
credo
che
il
dottor
Aldo
mi
c
'
invitasse
appunto
per
avere
sotto
mano
qualcuno
che
ci
guazzasse
male
quanto
lui
e
gli
facesse
compagnia
nelle
passeggiate
nel
parco
e
nella
sua
appartata
libreria
.
I
suoi
interessi
erano
più
letterari
che
politici
.
Era
uomo
di
buone
,
anche
se
non
vaste
letture
,
tutte
nel
filone
e
nel
gusto
di
quel
cattolicesimo
liberale
manzoniano
,
ch
'
era
tipico
della
grande
borghesia
milanese
,
quando
Milano
aveva
una
grande
borghesia
.
Scriveva
anche
,
ma
di
nascosto
.
E
ricordo
lo
sgomento
che
s
'
impadronì
di
tutti
noi
al
Corriere
,
quando
si
seppe
che
aveva
pubblicato
un
libro
sotto
lo
pseudonimo
Alpi
.
A
chi
sarebbe
toccata
la
difficile
incombenza
di
recensirlo
in
modo
da
evitare
lo
sgarbo
di
una
stroncatura
senza
cadere
nella
piaggeria
?
Per
fortuna
giunse
,
discreto
ma
perentorio
,
l
'
ordine
d
'
ignorare
il
libro
.
Quando
,
con
l
'
animo
sollevato
dal
cessato
pericolo
,
mi
decisi
a
leggerlo
,
mi
accorsi
che
si
poteva
parlarne
bene
senza
ricorrere
al
falso
:
non
erano
più
che
bozzetti
e
ritratti
di
personaggi
della
vita
ambrosiana
,
ma
centrati
e
vivaci
,
pur
tra
i
vezzi
un
po
'
stantii
di
uno
stile
ottocentesco
.
Non
mi
sono
mai
accorto
ch
'
egli
fosse
il
"
padrone
"
nel
senso
che
a
questa
parola
davano
i
giornali
concorrenti
e
avversari
.
Mai
,
in
trentasette
anni
,
mi
fece
rilievi
su
qualche
articolo
,
o
mi
suggerì
argomenti
.
Una
sola
volta
ricevetti
da
lui
un
biglietto
di
sommessa
doglianza
,
che
conservo
,
e
che
cominciava
così
:
«
Caro
Montanelli
,
Ella
sa
con
quanta
simpatia
,
partecipazione
e
ammirazione
ho
seguito
e
seguo
i
suoi
scritti
,
sempre
trovandovi
(
anche
nei
più
impertinenti
)
motivi
di
consenso
.
Mi
permetta
quindi
,
per
una
volta
,
di
fare
eccezione
e
di
esprimerle
un
addolorato
dissenso
-
di
cui
tuttavia
Ella
è
liberissimo
di
non
tenere
alcun
conto
-
per
quanto
ha
detto
a
proposito
della
conversione
di
Manzoni
...
»
.
Ecco
:
quando
parlava
da
"
padrone
"
,
il
dottor
Aldo
Crespi
lo
faceva
in
questi
termini
,
e
solo
per
difendere
Manzoni
.
Poco
prima
di
passar
la
mano
alla
figlia
nella
gestione
del
Corriere
,
lo
incontrai
ai
giardini
,
di
fronte
ai
quali
abitava
e
dove
,
quando
era
a
Milano
,
andava
sovente
a
passeggiare
.
Non
mi
fece
cenno
delle
sue
intenzioni
di
ritiro
.
Mi
disse
soltanto
che
si
sentiva
molto
stanco
-
aveva
passato
da
un
pezzo
gli
ottanta
-
e
infatti
la
sua
alta
e
fragile
figura
non
era
più
dritta
come
una
volta
.
Poi
,
si
rinchiuse
in
casa
,
e
non
lo
rividi
che
quando
mi
pregò
di
passare
da
lui
per
ringraziarmi
di
un
libro
che
gli
avevo
mandato
.
Capii
che
si
trattava
di
una
scusa
,
e
lo
era
.
Per
la
prima
volta
,
mi
chiese
esplicitamente
cosa
pensavo
del
Corriere
nella
sua
nuova
versione
.
Altrettanto
esplicitamente
glielo
dissi
.
Un
velo
di
tristezza
gli
scese
sugli
occhi
.
«
Me
lo
immaginavo
»
rispose
,
e
parlammo
d
'
altro
,
a
lungo
e
affettuosamente
.
Capii
che
quello
era
un
addio
,
e
infatti
non
ci
vedemmo
più
.
Quando
seppe
che
anch
'
io
me
n
'
ero
andato
,
mi
scrisse
una
lettera
che
"
affidata
al
riserbo
dell
'
amico
"
,
non
chiedeva
risposta
,
anzi
la
escludeva
.
A
mia
volta
gliene
scrissi
una
quando
seppi
che
anche
l
'
ultima
fetta
di
Corriere
,
quella
ch
'
era
stata
sua
,
era
passata
in
proprietà
ad
altro
editore
.
Gli
chiedevo
se
potevo
andarlo
a
trovare
.
Attraverso
un
comune
amico
mi
pregò
di
non
farlo
"
perché
temeva
di
commuoversi
"
.
L
'
ultimo
messaggio
,
anch
'
esso
orale
,
me
lo
mandò
attraverso
il
medesimo
amico
,
pochi
giorni
dopo
l
'
uscita
del
Giornale
:
«
Grazie
»
diceva
«
di
avermi
ridato
da
leggere
un
Corriere
»
.
Il
dottor
Aldo
morì
allora
,
credo
.
E
con
lui
moriva
un
certo
tipo
di
editore
,
il
cui
unico
torto
è
stato
quello
di
non
aver
allevato
dei
successori
.
Non
erano
stati
i
Crespi
a
fare
la
grandezza
del
Corriere
,
ma
erano
stati
i
Crespi
,
e
particolarmente
il
dottor
Aldo
,
a
salvarne
quanto
,
nei
mutati
tempi
,
si
poteva
salvare
.
Non
ho
mai
capito
se
il
Corriere
era
com
'
era
perché
lui
era
così
,
o
se
lui
era
così
perché
il
Corriere
era
com
'
era
.
So
soltanto
che
,
senza
mai
interferirvi
,
quest
'
uomo
schivo
e
discreto
sapeva
fare
tutt
'
uno
di
se
stesso
e
del
suo
giornale
.
Che
al
Corriere
ci
fosse
un
padrone
noi
ci
accorgemmo
solo
quando
lui
non
fu
più
tale
.
E
anche
per
questo
ce
ne
andammo
.
StampaQuotidiana ,
Un
amico
palermitano
mi
ha
mandato
una
cartolina
con
una
veduta
della
sua
città
in
cui
spicca
il
convitto
Don
Bosco
,
soffocato
in
mezzo
a
tanti
altri
edifici
.
Un
tempo
-
un
tempo
che
ho
fatto
in
tempo
a
conoscere
-
,
al
posto
di
quella
mareggiata
di
cemento
,
c
'
era
uno
stupendo
parco
.
Al
centro
del
parco
c
'
era
una
stupenda
villa
,
la
villa
Ranchibile
,
e
al
centro
della
villa
c
'
era
uno
dei
più
bizzarri
personaggi
che
si
potessero
incontrare
nella
pur
bizzarrissima
Sicilia
:
il
principe
di
Maletto
.
Non
l
'
ho
conosciuto
:
è
morto
,
credo
,
prima
ch
'
io
nascessi
.
Ma
ho
avuto
come
compagno
d
'
arme
,
proprio
lì
a
Palermo
,
un
suo
nipote
,
che
me
ne
raccontò
le
avventure
,
del
resto
note
a
tutta
la
città
.
Erano
avventure
sedentarie
perché
il
principe
non
si
mosse
mai
dalla
sua
casa
,
anzi
dalla
sua
biblioteca
.
Solitario
e
misantropo
,
afflitto
da
una
sorta
di
agorafobia
,
il
mondo
esterno
se
l
'
era
ricostruito
sui
libri
che
divorava
insaziabilmente
.
A
un
certo
punto
sprofondò
in
quelli
sulle
Crociate
,
e
tanto
vi
s
'
immerse
e
compenetrò
che
alla
fine
concepì
il
disegno
di
farne
una
per
conto
suo
,
ma
dal
vero
,
cioè
tutta
a
piedi
e
in
costume
dell
'
epoca
:
lungo
saio
di
tela
grezza
con
la
croce
bianca
disegnata
sul
petto
,
cappuccio
,
spada
e
scudo
.
Il
sarto
non
si
meravigliò
molto
quando
il
principe
gli
fece
quell
'
ordinativo
per
sé
e
per
Alfio
,
il
suo
cuoco
,
da
cui
naturalmente
egli
si
sarebbe
fatto
accompagnare
come
i
Cavalieri
dell
'
epoca
dai
loro
famigli
:
era
abituato
alle
stranezze
di
quel
suo
cliente
.
A
meravigliarsi
,
quando
il
principe
gli
comunicò
la
sua
decisione
,
fu
Alfio
,
al
quale
parve
incredibile
che
il
suo
padrone
si
fosse
deciso
a
mettere
il
naso
fuori
di
casa
.
«
Voscienza
perdoni
»
disse
.
«
Ma
quanto
ci
vuole
per
arrivare
a
Gerusalemme
?
»
«
A
una
media
di
venticinque
chilometri
al
giorno
,
duemilacinquecentosettantasei
giorni
,
compresi
quelli
di
riposo
per
la
domenica
e
le
feste
consacrate
»
rispose
il
principe
squadernando
sotto
gli
occhi
atterriti
del
cuoco
la
carta
geografica
su
cui
aveva
disegnato
tutto
l
'
itinerario
.
«
E
come
lascio
la
famiglia
per
tutto
questo
tempo
?
»
balbettò
il
poveretto
quando
ebbe
ripreso
fiato
«
e
pure
a
voscienza
la
pasta
con
le
sarde
come
ce
la
faccio
?
»
«
Me
la
farai
,
me
la
farai
:
il
Signore
non
ci
abbandonerà
proprio
quando
andiamo
in
pellegrinaggio
al
suo
Santo
Sepolcro
»
rispose
placidamente
il
principe
.
E
per
un
paio
di
settimane
tenne
il
poveruomo
nell
'
angoscia
di
quella
partenza
,
citandogli
l
'
esempio
dei
servitori
del
Medio
Evo
che
non
muovevano
obiezioni
,
anzi
seguivano
con
entusiasmo
il
loro
signore
quando
li
conduceva
in
Terrasanta
.
Poi
,
una
bella
mattina
,
gli
annunciò
che
il
pellegrinaggio
lo
avrebbero
fatto
senza
muoversi
di
lì
,
dentro
il
parco
,
e
quindi
non
si
preoccupasse
della
pasta
con
le
sarde
:
l
'
avrebbero
mangiata
come
sempre
,
cucinata
come
sempre
,
se
non
dalle
mani
del
cuoco
,
da
quelle
della
moglie
del
cuoco
.
Il
principe
aveva
studiato
mesi
e
mesi
per
calcolare
quanti
giri
del
parco
occorrevano
per
coprire
idealmente
la
distanza
fra
Palermo
e
Gerusalemme
.
Suo
nipote
me
lo
disse
,
ma
non
me
lo
ricordo
.
Comunque
,
erano
diecine
di
migliaia
.
E
gli
sembrava
che
il
Signore
potesse
contentarsene
,
anche
se
li
faceva
intorno
alla
villa
.
I
due
crociati
partirono
all
'
alba
di
un
giorno
di
primavera
,
presente
il
parroco
che
gli
diede
la
benedizione
.
Il
principe
era
stato
molto
incerto
se
noleggiare
,
per
ragioni
di
verisimiglianza
,
un
cavallo
.
Ma
poi
ci
aveva
rinunziato
per
non
attribuirsi
-
aveva
detto
-
un
trattamento
di
favore
rispetto
ad
Alfio
,
in
realtà
perché
non
aveva
mai
cavalcato
e
aveva
paura
di
cascare
.
Consentì
però
ad
Alfio
di
comprare
un
mulo
per
caricarvi
il
bagaglio
perché
il
principe
,
sempre
per
ragioni
di
verisimiglianza
,
lo
voleva
sia
pur
ridotto
,
ma
completo
.
C
'
erano
la
tunica
e
i
calzari
di
ricambio
,
le
pezze
da
piedi
,
le
fiasche
d
'
acqua
per
l
'
attraversamento
dei
deserti
,
il
libro
dei
salmi
e
gl
'
itinerari
con
le
date
perché
,
come
aveva
spiegato
ad
Alfio
,
bisognava
essere
puntuali
agli
appuntamenti
con
Goffredo
di
Buglione
,
Tancredi
e
gli
altri
comandanti
di
colonna
.
Il
primo
giorno
camminarono
sette
ore
,
quattro
al
mattino
,
tre
al
pomeriggio
,
con
siesta
sotto
un
leccio
al
centro
del
parco
,
dove
la
moglie
di
Alfio
li
raggiunse
con
la
pasta
alle
sarde
.
Alfio
la
trovò
scotta
,
ma
il
principe
lo
redarguì
severamente
:
i
veri
crociati
,
disse
,
non
avevano
mangiato
per
anni
che
orzo
e
fave
,
quando
li
trovavano
.
Per
cui
,
dopo
il
pasto
,
gli
ordinò
un
certo
numero
di
pateravegloria
di
ringraziamento
al
Signore
per
la
manna
che
gli
aveva
dato
.
Quando
calò
il
sole
,
drizzarono
una
specie
di
tenda
,
di
cui
il
principe
aveva
studiato
e
fatto
copiare
il
modello
sull
'
iconografia
medievale
,
ci
misero
a
dormire
il
mulo
,
e
ritornarono
in
villa
,
ma
senza
smettere
la
loro
divisa
di
crociati
.
Prima
di
andare
a
letto
pregarono
che
il
Signore
gli
desse
la
forza
di
arrivare
fino
al
suo
Santo
Sepolcro
.
L
'
indomani
ricominciarono
,
sempre
al
canto
del
gallo
e
con
la
benedizione
del
parroco
(
il
quale
però
disse
che
d
'
allora
in
poi
sarebbe
venuto
una
volta
la
settimana
:
bastava
)
.
D
'
estate
cambiarono
orario
:
partivano
addirittura
al
buio
,
e
alle
dieci
si
fermavano
,
per
lasciare
che
la
calura
si
sfogasse
,
facendo
sosta
e
siesta
presso
una
fontanella
che
,
secondo
il
principe
,
era
quella
del
Clitunno
,
dove
,
secondo
i
suoi
calcoli
,
erano
arrivati
.
Alfio
si
arrampicava
su
un
muretto
,
metteva
una
mano
a
visiera
sugli
occhi
,
e
scrutava
l
'
orizzonte
.
«
Vedi
nessuno
?
»
gli
chiedeva
il
principe
.
«Nessuno.»
«
Sono
in
ritardo
»
diceva
il
principe
con
disappunto
,
e
si
rimetteva
a
consultare
le
carte
con
gli
orari
.
Oppure
Alfio
diceva
:
«
C
'
è
gente
»
.
«
Sono
i
nostri
»
gli
faceva
eco
il
principe
.
«
Dio
sia
lodato
.
»
Riprendevano
a
camminare
al
tramonto
,
e
quando
si
accendevano
le
luci
della
città
,
il
principe
annunciava
:
«
E
Lubiana
»
.
Camminarono
anni
,
e
il
loro
passo
si
faceva
sempre
più
stanco
perché
diventavano
vecchi
.
Alfio
chiese
una
riduzione
di
orario
,
ma
inutilmente
.
«
Qua
non
arriviamo
più
»
brontolava
.
«
Dobbiamo
arrivare
,
e
per
questo
dobbiamo
camminare
:
il
Signore
ce
ne
darà
la
forza
.
Così
diceva
Goffredo
,
e
così
dobbiamo
dire
noi
.
»
«
E
picchì
?
»
chiedeva
Alfio
.
«
Chi
è
questo
Goffredo
?
»
Ma
il
principe
non
lo
ascoltava
.
«
Perché
avremmo
vissuto
»
diceva
«
se
non
per
vedere
il
Santo
Sepolcro
?
»
«
Mio
padre
e
mio
nonno
hanno
vissuto
»
rispondeva
Alfio
.
«
E
che
,
il
Santo
Sepolcro
hanno
visto
?
Bagheria
hanno
visto
.
»
Il
mulo
morì
,
bisognò
rimpiazzarlo
.
Morì
anche
il
parroco
,
e
il
suo
giovane
sostituto
si
rifiutò
di
venire
a
dare
la
benedizione
ai
pellegrini
.
Infine
morì
anche
una
sorella
del
principe
,
che
stava
all
'
altro
capo
della
città
.
Ma
il
principe
non
poté
andarla
a
vedere
,
e
nemmeno
partecipare
ai
suoi
funerali
,
perché
in
quel
momento
era
in
vista
di
Costantinopoli
.
Le
ultime
tappe
furono
penose
perché
il
principe
soffriva
di
prostata
,
e
ogni
poco
doveva
fermarsi
.
Ma
l
'
approssimarsi
di
Gerusalemme
moltiplicava
le
sue
forze
.
E
l
'
arrivo
fu
epico
.
Il
principe
fece
l
'
ultimo
chilometro
quasi
di
corsa
,
recitò
a
fiato
mozzo
il
Tasso
:
«
Ecco
apparir
Gerusalem
si
vede
-
ecco
additar
Gerusalem
si
scorge
-
,
ecco
da
mille
voci
unitamente
-
Gerusalemme
salutar
si
sente
»
,
e
cadde
in
ginocchio
.
Anche
Alfio
era
contento
:
contento
di
aver
finito
quella
sgambata
.
I
giorni
successivi
i
due
crociati
fecero
il
giro
dei
Luoghi
Santi
,
raccogliendosi
in
preghiera
su
ognuno
di
essi
.
Caricarono
il
mulo
di
reliquie
.
Poi
il
principe
annunciò
:
«
E
ora
intraprendiamo
la
strada
del
ritorno
»
.
Alfio
lo
fissò
,
capì
le
sue
intenzioni
,
si
sfilò
di
dosso
tunica
e
cappuccio
e
,
indicando
con
la
mano
la
villa
,
rispose
:
«
A
Gerusalemme
sugnu
e
a
Gerusalemme
sto
»
.
Stavolta
però
il
principe
gli
dette
ragione
.
Anche
lui
rimase
a
Gerusalemme
,
e
due
anni
dopo
ci
morì
.
Le
sue
ultime
parole
furono
:
«
Dite
al
Conte
Goffredo
...
»
.
StampaQuotidiana ,
Il
celebre
giornalista
che
ha
inventato
i
due
neologismi
è
(
tanto
per
cambiare
)
Longanesi
che
una
sera
,
sorprendendo
me
e
Ansaldo
in
trattoria
a
discutere
su
certe
tipologie
umane
,
tagliò
la
questione
con
una
delle
sue
solite
perentorie
battute
:
«
Tutte
baggianate
.
Gli
uomini
si
dividono
in
due
categorie
:
i
nardones
e
i
leccobardi
»
.
Sono
sicuro
che
inventò
quelle
parole
lì
per
lì
perché
non
seppe
darci
nessuna
spiegazione
della
loro
etimologia
(
solo
in
seguito
risultò
che
nardones
gli
era
rimasto
nell
'
orecchio
dai
suoi
tempi
di
Napoli
dove
c
'
è
un
vicolo
,
una
volta
famoso
per
i
suoi
bordelli
,
che
s
'
intitola
così
)
,
ma
in
compenso
cominciò
subito
a
chiarirci
il
concetto
con
riferimenti
storici
concreti
.
«
Per
esempio
-
disse
-
Churchill
era
un
nardones
,
Eden
un
leccobardo
;
Stalin
era
un
nardones
,
Trotzki
un
leccobardo
;
Cesare
era
un
nardones
,
Augusto
un
leccobardo
.
Mussolini
e
Franco
erano
nardones
;
mentre
Hitler
no
,
era
un
leccobardo
Gli
avventori
delle
tavole
accanto
avevano
smesso
di
mangiare
e
di
parlare
fra
loro
per
ascoltare
Longanesi
che
,
come
al
solito
,
declamava
.
E
piano
piano
,
senza
conoscerci
né
conoscersi
tra
loro
,
cominciarono
a
partecipare
al
giuoco
di
quella
contrapposizione
,
facendo
domande
e
accendendo
discussioni
.
«
E
oggi
?
»
chiedevano
.
«
Oggi
-
pontificava
Longanesi
-
,
assistiamo
a
un
fenomeno
di
leccobardizzazione
collettiva
:
la
democrazia
cristiana
.
C
'
erano
tre
nardones
soli
in
quel
partito
:
Don
Sturzo
,
De
Gasperi
e
Scelba
,
e
appunto
per
questo
sono
stati
eliminati
.
Ma
anche
all
'
estero
i
nardones
sono
pochi
:
Mao
,
Tito
,
De
Gaulle
,
Salazar
...
No
,
mi
sbaglio
:
Salazar
è
leccobardo
.
»
Fu
un
contagio
.
Accorsero
anche
dai
tavoli
più
lontani
,
la
discussione
diventò
generale
,
durò
accesissima
fino
alle
due
del
mattino
.
E
se
lei
,
caro
Fiorelli
,
si
prova
a
riaprirla
coi
suoi
amici
,
al
caffè
o
al
circolo
,
vedrà
che
ottiene
lo
stesso
effetto
.
Ci
cascano
tutti
,
tutti
ci
si
divertono
.
Ma
attenzione
:
che
nessuno
tenti
di
spiegare
quei
due
termini
e
di
dargli
un
significato
preciso
.
Granzotto
,
che
ci
si
è
provato
,
ha
fatto
fiasco
:
per
fare
un
nardones
ci
vuol
altro
che
la
calma
,
la
serenità
eccetera
:
Petrarca
era
calmo
e
sereno
,
eppure
era
un
leccobardo
.
E
per
fare
un
leccobardo
non
bastano
la
magrezza
e
la
bile
:
Dante
possedeva
al
massimo
sia
l
'
una
che
l
'
altra
,
eppure
era
un
nardones
.
No
,
né
all
'
uno
né
all
'
altro
archetipo
si
possono
attribuire
connotati
definiti
.
Contentatevi
delle
esemplificazioni
,
e
soprattutto
sfuggite
alla
tentazione
di
stabilire
,
fra
i
due
termini
,
una
gerarchia
.
Nardonismo
non
è
affatto
sinonimo
di
grandezza
,
come
leccobardismo
non
è
affatto
sinonimo
di
meschinità
.
Fra
i
nardones
ci
sono
molti
grandi
,
ma
c
'
è
anche
,
per
esempio
,
Starace
ch
'
era
solo
un
bravo
e
onesto
coglione
.
Mentre
fra
i
leccobardi
c
'
è
un
Roosevelt
,
canaglia
sì
,
ma
di
non
comuni
dimensioni
,
molto
più
grosso
di
Johnson
che
era
nardones
(
come
Truman
e
Nixon
)
.
Fra
i
contemporanei
,
i
due
leccobardi
più
esemplari
sono
stati
Paolo
VI
e
Moro
.
Wojtyla
è
certamente
nardones
.
Su
Andreotti
,
sono
incerto
:
a
volte
mi
sembra
un
leccobardo
travestito
da
nardones
,
a
volte
un
nardones
travestito
da
leccobardo
:
comunque
,
un
travestito
.
Caro
Fiorelli
,
dia
retta
a
me
.
Stasera
stessa
apra
coi
suoi
amici
questa
discussione
.
Vedrà
:
ci
rimarrete
appiccicati
fino
all
'
alba
,
come
successe
a
noi
e
continua
ogni
tanto
a
succederci
.
Perché
Longanesi
aveva
ragione
:
le
due
categorie
umane
son
quelle
.
E
sebbene
io
non
sia
riuscito
a
spiegargliene
la
differenza
,
sono
sicuro
che
lei
l
'
ha
capita
.
StampaQuotidiana ,
Caro
amico
,
non
solo
capisco
la
sua
amarezza
e
il
suo
sdegno
,
ma
li
condivido
.
L
'
Università
italiana
è
in
pezzi
:
anzi
è
in
pezzi
la
scuola
italiana
,
a
tutti
i
livelli
.
Logico
che
,
quanto
più
si
sale
di
livello
,
tanto
più
siano
avvertibili
,
e
funeste
,
la
degradazione
dell
'
insegnamento
,
la
disorganizzazione
:
insomma
il
caos
demagogico
.
Non
voglio
dilungarmi
sulle
ragioni
specifiche
di
questa
o
quella
rivendicazione
,
agitazione
,
occupazione
.
Ce
n
'
è
sempre
.
Stia
pur
certo
che
,
se
non
cambia
il
clima
generale
della
scuola
italiana
,
rimosso
un
ostacolo
se
ne
presenterà
un
altro
,
all
'
infinito
,
in
una
spirale
progressiva
(
e
pseudo
progressista
)
che
porta
alla
paralisi
.
Prima
che
i
rivoluzionari
e
riformatori
si
mettessero
all
'
opera
,
l
'
Università
italiana
non
era
certo
perfetta
.
Peccava
di
accademismo
;
non
preparava
i
ragazzi
all
'
esercizio
delle
professioni
cui
aspiravano
;
dava
posto
eccessivo
,
nella
composizione
della
massa
studentesca
,
ai
figli
della
borghesia
;
era
dominata
da
«
baroni
»
che
a
volte
avevano
conquistato
il
loro
titolo
professorale
per
veri
meriti
,
ed
esercitavano
la
loro
missione
con
scrupolo
,
e
a
volte
erano
soltanto
pompose
e
arroganti
nullità
.
Pur
con
tutti
questi
grossi
difetti
,
l
'
Università
italiana
nel
suo
complesso
reggeva
,
dal
punto
di
vista
degli
studi
e
delle
ricerche
,
il
confronto
con
le
Università
estere
.
Alcuni
Atenei
,
e
alcune
facoltà
,
erano
di
altissimo
livello
.
Era
,
quella
,
una
Università
,
che
doveva
certamente
essere
migliorata
,
resa
più
efficiente
dal
punto
di
vista
tecnico
,
più
giusta
dal
punto
di
vista
sociale
,
e
più
severa
-
rilievo
che
riguarda
soprattutto
talune
sedi
-
dal
punto
di
vista
degli
studi
.
Se
si
fosse
agito
in
questo
senso
,
gli
studenti
di
modeste
condizioni
economiche
,
ma
bravi
-
come
immagino
sia
suo
figlio
-
avrebbero
potuto
ottenere
non
solo
la
gratuità
della
frequenza
,
ma
un
presalario
sufficiente
per
vivere
,
e
riservato
a
chi
meritasse
questo
sacrificio
della
collettività
.
Gli
svogliati
,
gli
eterni
fuori
corso
,
i
venditori
di
chiacchiere
demagogiche
,
anche
se
ricchi
e
privilegiati
economicamente
,
fuori
.
Ma
sull
'
onda
dell
'
ormai
mitico
'68
,
sotto
la
spinta
di
sciagurati
agitatori
,
come
Capanna
,
che
si
proclamavano
apostoli
degli
studenti
,
e
sono
stati
i
loro
peggiori
nemici
,
con
la
complicità
di
professori
malati
di
giovanilismo
spensierato
,
deboli
,
politicamente
ambiziosi
,
con
l
'
avallo
di
governanti
sprovveduti
e
populisti
,
si
è
proceduto
in
senso
opposto
:
Università
aperte
a
tutti
,
studi
declassati
,
lauree
a
portata
di
qualsiasi
somaro
,
gli
Atenei
trasformati
in
covi
di
una
rivoluzione
permanente
e
inconcludente
,
tanti
Lenin
in
sessantaquattresimo
associati
all
'
insegnamento
.
Questa
stravolta
riforma
,
culminata
nei
fasti
del
27
a
tutti
(
da
qualche
professore
vergognosamente
accettato
)
nelle
facoltà
di
architettura
,
ha
punito
,
caro
amico
,
proprio
le
famiglie
come
la
sua
.
I
giovani
intelligenti
e
diligenti
,
che
hanno
fretta
di
laurearsi
perché
un
padre
operaio
deve
scannarsi
per
mantenerli
agli
studi
,
sono
bloccati
dalle
lotte
continue
di
professori
politicizzati
e
di
compagni
«
rivoluzionari
»
con
Kawasaki
e
vacanze
alle
Seychelles
.
Quando
il
suo
ragazzo
entrerà
-
le
auguro
presto
-
nella
professione
riuscirà
probabilmente
,
perché
è
in
gamba
e
perché
ha
scelto
una
facoltà
che
ritengo
sia
tra
le
meno
affollate
.
Ma
altri
faticheranno
immensamente
trovandosi
a
competere
con
laureati
che
sono
bestie
:
ma
grazie
al
metodo
Capanna
hanno
completato
senza
fatica
i
corsi
,
e
sono
ammanigliati
,
e
hanno
famiglie
influenti
.
I
«
rivoluzionari
»
hanno
cioè
punito
proprio
i
figli
dei
proletari
,
che
asseriscono
vociando
di
voler
redimere
.
Se
tanti
studenti
in
gamba
che
sono
figli
di
povera
gente
non
potranno
essere
,
nella
vita
,
ciò
che
avrebbero
voluto
,
e
dovranno
ammainare
le
ali
delle
loro
legittime
aspirazioni
,
ne
rendano
grazie
ai
demagoghi
.
StampaQuotidiana ,
Caro
Bertani
,
è
curioso
:
di
tutti
i
nostri
lettori
,
lei
è
l
'
unico
ad
aver
interpretato
quel
mio
articolo
come
una
presa
di
posizione
contro
le
centrali
elettronucleari
.
Non
è
così
,
e
tengo
a
ribadirlo
per
chiunque
possa
essere
caduto
nello
stesso
abbaglio
.
Se
ho
fatto
un
'
allusione
a
Hiroshima
,
cioè
all
'
uso
perverso
che
si
può
fare
dell
'
energia
nucleare
,
è
stato
solo
per
prevenire
la
propaganda
avversaria
che
certamente
si
varrà
di
questo
ingannevole
,
ma
suggestivo
argomento
per
impostare
il
suo
referendum
.
E
per
controbatterlo
ne
ho
portati
altri
tre
che
mi
sembrano
di
facile
comprensione
anche
per
il
lettore
più
digiuno
di
questa
materia
,
e
quindi
i
più
adatti
a
una
contro
-
propaganda
di
massa
:
1°
)
Il
fatto
di
non
avere
centrali
termonucleari
non
basterebbe
a
metterci
al
riparo
da
catastrofi
tipo
Hiroshima
perché
in
un
mondo
nuclearizzato
,
«
zone
di
rispetto
»
non
ne
esistono
.
2°
)
Le
installazioni
termonucleari
costruite
finora
(
e
sono
più
di
600
)
non
hanno
mai
dato
luogo
a
incidenti
,
e
si
dimostrano
anche
meno
inquinanti
di
tante
altre
.
3°
)
Lo
sviluppo
industriale
è
a
un
bivio
:
o
infila
la
strada
termonucleare
,
o
dovrà
rassegnarsi
a
restare
a
corto
,
di
qui
a
un
po
'
,
di
fonti
di
energia
perché
il
petrolio
non
è
inesauribile
e
costa
sempre
più
caro
.
Più
di
questo
,
caro
Bertani
,
che
dovevo
dire
?
Lei
forse
mi
rimprovera
di
non
avere
abbastanza
sottolineato
la
differenza
che
passa
fra
l
'
uso
bellico
e
distruttivo
,
e
quello
pacifico
e
costruttivo
,
dell
'
energia
nucleare
.
Ma
,
santo
Dio
,
questa
differenza
la
conoscono
tutti
ed
è
implicita
nel
discorso
.
Nessuno
dubita
,
nessuno
può
dubitare
che
l
'
Italia
voglia
le
centrali
per
lanciarsi
nella
gara
dell
'
armamento
atomico
:
d
'
imbecilli
nel
nostro
Paese
ce
ne
sono
tanti
,
ma
non
fino
al
punto
di
correr
dietro
a
simili
sogni
,
o
per
meglio
dire
incubi
.
Il
mio
ragionamento
era
questo
,
già
implicito
nel
titolo
dell
'
articolo
(
A
lume
di
candela
)
:
«
Decidiamoci
:
o
l
'
energia
termonucleare
,
o
il
ritorno
alla
candela
»
.
E
questo
,
lei
,
me
lo
chiama
un
argomento
contro
l
'
energia
termonucleare
?
StampaQuotidiana ,
Caro
Banfi
,
vedo
che
lei
ha
abbastanza
ben
capito
la
differenza
,
per
quanto
refrattaria
ad
ogni
definizione
,
fra
nardones
e
leccobardi
.
Per
quanto
mi
riguarda
,
anch
'
io
credo
che
spetti
ai
lettori
,
non
a
me
,
stabilire
a
quale
categoria
appartengo
.
Lei
però
rischia
di
trarli
in
inganno
spacciando
per
leccobardismo
il
mio
invito
a
votare
Dc
«
con
schifo
,
con
rabbia
,
con
voltastomaco
»
ecc.
E
glielo
dimostro
con
un
esempio
.
Lei
,
vedo
,
elenca
Churchill
fra
i
nardones
,
e
ha
ragione
perché
ne
era
addirittura
un
archetipo
.
Ma
non
crede
lei
che
,
dopo
aver
passato
la
vita
a
combattere
il
comunismo
,
avesse
anche
lui
la
rabbia
,
lo
schifo
e
il
voltastomaco
quando
dovette
allearsi
con
Stalin
e
stringergli
la
mano
?
E
crede
che
questo
basti
a
trasformarlo
in
leccobardo
?
Con
ciò
non
voglio
mettermi
,
per
l
'
amordiddio
,
sul
piano
di
Churchill
.
Voglio
soltanto
dire
che
un
uomo
non
si
può
giudicarlo
dalle
azioni
che
compie
in
stato
di
necessità
.
Eppoi
,
non
creda
che
la
qualifica
di
leccobardo
mi
offenderebbe
.
Pericle
(
dico
Pericle
)
lo
era
.
Lo
era
Erasmo
.
E
molte
sono
le
volte
in
cui
un
leccobardo
-
p
.
es.
Federico
il
grande
di
Prussia
-
ha
fregato
i
nardones
.
Anche
fra
i
nostri
contemporanei
,
guardi
un
Giscard
d
'
Estaing
.
Più
leccobardo
di
lui
,
si
muore
.
Eppure
,
sebbene
non
ne
abbia
le
forze
,
riesce
a
tenersi
alla
pari
di
un
nardones
come
Schmidt
.
Dimenticavo
di
aggiungere
che
il
discorso
vale
anche
per
le
donne
.
Esse
passano
quasi
sempre
per
leccobarde
.
Ma
anche
fra
loro
ci
sono
le
nardones
.
Anzi
,
di
solito
succede
questo
:
che
uno
crede
di
sposare
una
leccobarda
,
e
poi
si
trova
in
casa
una
nardones
,
e
che
nardones
.
Prenda
la
signora
Anna
Bonomi
.
Ma
forse
l
'
esempio
è
scelto
male
:
la
signora
Bonomi
non
ha
mai
nemmeno
tentato
di
passare
per
leccobarda
.
StampaQuotidiana ,
Caro
senatore
,
il
suo
discorso
non
fa
una
grinza
.
Io
sono
perfettamente
d
'
accordo
con
lei
che
una
spesa
di
74
miliardi
,
e
anche
quella
di
270
prevista
per
il
'79
,
è
ben
poca
cosa
in
confronto
al
valore
dell
'
enorme
patrimonio
artistico
da
salvare
;
e
anzi
questo
giornale
è
sempre
stato
in
prima
linea
nel
reclamare
che
a
questa
difesa
siano
dati
mezzi
sempre
più
grandi
ed
efficienti
.
Ma
Ricossa
non
contestava
affatto
questa
tesi
.
Semplicemente
diceva
:
Prendiamo
il
più
modesto
di
tutti
i
nostri
bilanci
,
quello
per
i
Beni
culturali
,
74
miliardi
appena
.
Il
cittadino
è
in
grado
di
controllare
come
viene
amministrato
questo
stanziamento
,
e
se
esso
serve
di
più
a
mantenere
il
suddetto
patrimonio
o
coloro
che
vi
sovrintendono
?
No
.
E
allora
figuriamoci
quanto
è
in
grado
di
controllare
una
spesa
globale
di
64
mila
miliardi
,
qual
è
quella
dello
Stato
,
del
suo
Stato
.
Questo
,
diceva
Ricossa
.
Egli
ha
portato
l
'
esempio
del
bilancio
dei
Beni
culturali
perché
,
appunto
per
la
sua
modestia
,
era
quello
che
meglio
si
prestava
a
dimostrare
il
suo
assunto
che
trova
consenzienti
-
glielo
posso
garantire
-
tutti
i
lettori
.
Perché
tutti
i
lettori
-
anche
questo
le
posso
garantire
-
hanno
le
scatole
piene
di
questo
Stato
ciaccione
,
avido
e
dissipatore
,
che
vuol
fare
troppe
cose
e
le
fa
malissimo
,
a
cominciare
da
una
contabilità
talmente
ingarbugliata
che
nessuno
,
nemmeno
i
cosiddetti
uomini
di
Stato
e
la
loro
burocrazia
,
riescono
a
capirci
più
nulla
.
Lei
non
vorrà
negarmi
,
spero
,
che
l
'
enorme
prelievo
che
lo
Stato
fa
del
pubblico
denaro
viene
adibito
soprattutto
a
mantenere
coloro
che
lo
maneggiano
,
e
a
mantenerli
male
perché
sono
troppi
e
costretti
ad
operare
in
un
guazzabuglio
di
leggi
che
li
condanna
all
'
inefficienza
e
al
parassitismo
:
Non
so
se
i
Beni
culturali
facciano
eccezione
alla
regola
.
Ma
la
regola
è
quella
che
dice
Ricossa
:
uno
Stato
che
dovunque
mette
le
mani
combina
guai
e
per
ripararli
ha
sempre
più
bisogno
di
succhiare
quattrini
al
cittadino
senza
dargli
modo
di
controllare
come
li
usa
.
Per
difendersi
non
c
'
è
che
un
mezzo
:
ridurre
la
spesa
pubblica
,
che
significa
anche
ridurre
gl
'
interventi
dello
Stato
,
insomma
riprivatizzare
il
Paese
.
Ne
convenga
anche
lei
,
caro
senatore
.
Altrimenti
,
perde
i
voti
.
Lei
parla
di
contraddizione
,
caro
Lo
Cascio
,
e
ha
ragione
.
Ma
il
problema
va
posto
,
a
mio
avviso
,
in
termini
un
po
'
diversi
da
quelli
esposti
nella
sua
lettera
.
E
'
vero
:
il
mondo
politico
italiano
intrattiene
rapporti
assidui
con
gli
esponenti
di
quegli
stati
dell
'
Est
«
socialista
»
che
hanno
indubbie
connotazioni
totalitarie
.
Ciò
può
turbare
la
coscienza
dei
democratici
ma
è
difficilmente
evitabile
,
anche
se
certe
inutili
sbracature
e
indulgenze
sono
eccessive
.
L
'
impero
sovietico
è
una
realtà
.
Così
come
è
una
realtà
la
assoluta
prevalenza
numerica
,
nel
mondo
,
dei
regimi
dittatoriali
sui
regimi
democratici
.
Se
questi
ultimi
dovessero
chiudersi
in
se
stessi
,
rifiutando
ogni
contatto
con
gli
«
impuri
»
,
e
troncando
con
essi
rapporti
diplomatici
,
economici
,
culturali
,
si
arriverebbe
a
una
situazione
paradossale
:
alla
situazione
cioè
di
una
coalizione
della
libertà
che
rinuncerebbe
ad
influire
sulle
vicende
del
mondo
,
e
che
,
respingendoli
in
blocco
,
costringerebbe
gli
altri
,
i
non
liberi
,
ossia
,
ripetiamo
,
la
maggioranza
degli
stati
,
a
coalizzarsi
a
loro
volta
.
La
confusione
tra
morale
e
politica
produce
effetti
di
solito
negativi
,
a
volte
catastrofici
.
Se
ne
è
accorto
anche
Carter
,
che
giuoca
la
carta
cinese
contro
la
carta
russa
pur
sapendo
perfettamente
che
,
quanto
a
democrazia
,
se
Mosca
piange
Pechino
non
ride
.
Io
penso
,
insomma
,
che
la
politica
internazionale
di
un
Paese
debba
accettare
questi
compromessi
e
adattarsi
agli
incontri
,
ai
brindisi
,
ai
comunicati
finali
,
con
tutte
le
loro
ipocrisie
e
reticenze
.
La
contraddizione
,
secondo
me
,
sta
altrove
.
Sotto
la
spinta
dei
partiti
di
sinistra
e
della
loro
propaganda
la
politica
estera
italiana
pecca
di
duplicità
e
di
incoerenza
.
Se
la
ragion
di
stato
deve
prevalere
sulla
morale
internazionale
,
se
impone
di
colloquiare
con
i
totalitari
,
la
regola
deve
valere
per
tutti
:
per
la
Unione
Sovietica
come
per
il
Cile
,
per
l
'
Albania
come
per
la
Rhodesia
.
Invece
non
è
così
.
Non
si
vuole
che
sia
così
.
Pertini
,
Andreotti
e
Forlani
,
possono
tranquillamente
recarsi
in
visita
ufficiale
a
Mosca
,
ma
guai
se
si
azzardassero
a
visitare
Argentina
e
Cile
;
possono
ricevere
Gheddafi
,
ma
guai
se
accogliessero
a
Roma
Pinochet
.
Abbiamo
normali
rappresentanze
diplomatiche
perfino
nell
'
Uganda
di
Idi
Amin
,
ma
non
a
Santiago
del
Cile
.
Allora
qual
è
il
criterio
?
Vale
la
ragion
di
stato
,
che
consiglia
di
mantenere
canali
in
ogni
direzione
,
o
vale
la
morale
politica
,
che
consiglierebbe
di
negare
reciprocità
di
rapporti
a
chi
non
ha
le
carte
in
regola
con
la
democrazia
?
Non
si
sa
.
O
piuttosto
si
sa
benissimo
.
In
obbedienza
non
a
un
criterio
uniforme
,
ma
al
vociare
propagandistico
e
al
ricatto
parlamentare
,
si
usano
due
pesi
e
due
misure
.
I
totalitari
di
sinistra
sono
ritenuti
internazionalmente
più
frequentabili
di
quelli
di
destra
.
La
Farnesina
si
indigna
:
ma
con
juicio
.
StampaQuotidiana ,
Caro
amico
(
visto
che
lei
mi
considera
tale
)
,
se
l
'
allusione
sul
modo
in
cui
vivono
certi
giornali
è
rivolta
al
nostro
,
la
invito
senz
'
altro
a
fare
un
sopralluogo
da
noi
,
pagandole
anche
biglietto
e
diaria
,
e
in
compagnia
di
uno
stuolo
di
avvocati
e
commercialisti
per
controllare
,
fatture
alla
mano
,
quanto
e
da
dove
introiamo
,
quanto
e
come
spendiamo
.
Si
accorgerebbe
che
,
come
rigore
amministrativo
,
e
non
soltanto
amministrativo
,
abbiamo
lezioni
da
dare
,
non
da
prendere
,
specie
dai
Comuni
e
dalle
Province
.
Per
quanto
concerne
la
sua
attività
di
consigliere
provinciale
,
lei
ha
tutto
il
diritto
di
credere
che
in
essa
rientri
anche
la
politica
estera
nazionale
;
io
ho
quello
di
pensare
e
di
scrivere
che
gli
elettori
eleggono
un
consigliere
provinciale
perché
s
'
interessi
delle
cose
della
provincia
,
non
della
Rhodesia
e
dello
Zimbabwe
,
delle
quali
può
benissimo
occuparsi
quando
parla
con
gli
amici
al
caffè
,
non
quando
siede
nel
consiglio
provinciale
.
Chi
di
noi
due
abbia
ragione
,
lasciamolo
giudicare
ai
lettori
.
Quanto
alla
Dc
,
lei
fa
benissimo
,
come
militante
e
gerarca
,
a
difenderla
.
Ma
non
può
dire
che
chi
vota
per
essa
perde
,
dopo
aver
depositato
la
scheda
nell
'
urna
,
qualsiasi
diritto
,
compreso
quello
di
avvertire
certi
puzzi
e
di
turarsi
il
naso
.
Noi
,
lo
sappiamo
benissimo
,
non
possiamo
impedirvi
di
puzzare
;
ma
voi
non
potete
impedirci
di
sentire
il
puzzo
e
di
dire
che
lo
sentiamo
.
Resta
la
questione
dei
butteri
,
di
cui
lei
si
aderge
a
difensore
.
Ma
contro
chi
?
Io
sono
un
vecchio
amico
dei
butteri
coi
quali
ho
convissuto
intere
estati
,
quando
mio
nonno
mi
conduceva
a
caccia
a
Capalbio
e
dintorni
.
Magari
ce
ne
fossero
ancora
,
perché
erano
gran
gente
.
Ma
dove
fossero
la
Rhodesia
e
lo
Zimbabwe
non
lo
sapevano
,
né
credo
che
lo
sappiano
oggi
,
se
ce
n
'
è
ancora
qualcuno
.
Ecco
tutto
,
caro
amico
.
StampaQuotidiana ,
Pubblico
insieme
queste
due
lettere
perché
mi
pare
ch
'
esse
formino
un
perfetto
pendant
,
a
conferma
di
quanto
dicevo
nell
'
articolo
(
è
il
caso
di
dirlo
)
incriminato
.
Per
coloro
che
non
lo
avessero
letto
,
o
non
lo
ricordassero
,
ne
riassumerò
brevemente
la
tesi
.
Non
capisco
,
dicevo
,
perché
il
contrasto
fra
Stato
e
Chiesa
sull
'
aborto
faccia
scandalo
.
Essi
parlano
a
due
diversi
interlocutori
:
l
'
uno
al
cittadino
,
l
'
altra
al
credente
.
Quando
l
'
uno
concede
come
diritto
ciò
che
l
'
altra
proibisce
come
peccato
,
sta
ad
ognuno
di
noi
decidere
secondo
coscienza
il
da
farsi
.
Nessuno
è
condannato
all
'
aborto
.
È
una
facoltà
.
Lo
Stato
non
poteva
non
regolarla
,
visti
i
pericoli
e
le
ingiustizie
della
pratica
clandestina
.
La
Chiesa
non
può
non
condannare
questa
pratica
.
Non
è
la
prima
volta
,
e
non
è
questo
il
solo
caso
in
cui
norma
civile
e
norma
religiosa
discordano
.
La
grande
conquista
dello
Stato
di
diritto
è
di
porre
il
cittadino
nella
condizione
di
scegliere
fra
l
'
una
e
l
'
altra
.
Ora
il
sig.
Tornaquinci
mi
dice
addio
perché
non
trova
questa
posizione
abbastanza
laica
,
il
sig.
Strampelli
mi
dice
addio
perché
non
trova
questa
posizione
abbastanza
cattolica
.
Sembra
che
dicano
cose
antitetiche
.
E
invece
dicono
la
stessa
cosa
.
Dicono
cioè
che
non
vogliono
esser
loro
a
scegliere
.
Secondo
l
'
uno
questo
compito
spetta
allo
Stato
,
secondo
l
'
altro
alla
Chiesa
,
senza
rendersi
conto
che
uno
Stato
che
proibisse
alla
Chiesa
d
'
interloquire
su
un
problema
morale
come
questo
sarebbe
uno
Stato
totalitario
,
così
come
una
Chiesa
che
proibisse
allo
Stato
di
regolare
un
problema
come
questo
,
che
è
anche
civile
,
sarebbe
una
teocrazia
.
Per
quanto
mi
dispiaccia
perderli
(
e
mi
dispiace
moltissimo
)
,
debbo
riconoscere
che
il
nostro
giornale
non
è
fatto
per
questi
lettori
.
Noi
ci
rivolgiamo
a
quelli
che
,
fra
un
imperativo
civile
e
un
imperativo
religioso
,
accettano
di
assumersi
la
responsabilità
di
una
scelta
,
anche
quando
è
angosciosa
come
nel
caso
dell
'
aborto
.
In
quanti
siamo
?
Non
lo
so
.
Certo
,
una
minoranza
.
Ma
una
minoranza
di
uomini
,
qualifica
che
spetta
solo
a
coloro
che
hanno
una
coscienza
,
e
non
sono
disposti
a
portarla
all
'
ammasso
pur
sapendo
di
avere
in
essa
il
tribunale
più
difficile
cui
rispondere
.
Anche
in
pochi
,
è
preferibile
restare
tra
noi
.