StampaPeriodica ,
Perché
il
tradimento
dei
professori
è
ritenuto
peggiore
e
'
senz
'
altro
più
colpevole
'
di
quello
della
gente
comune
?
Lo
spiega
il
diario
di
un
grande
filologo
ebreo
tedesco
,
Victor
Klemperer
.
Victor
Klemperer
era
un
professore
di
filologia
nell
'
università
di
Dresda
.
Suo
fratello
Otto
era
un
celebre
direttore
d
'
orchestra
.
Siccome
erano
di
famiglia
ebraica
,
negli
anni
30
non
poterono
più
essere
tedeschi
.
Otto
andò
in
esilio
.
Victor
fu
cacciato
dall
'
università
,
cacciato
da
casa
,
assegnato
al
lavoro
obbligatorio
-
spazzino
,
scaricatore
in
fabbriche
e
altri
simili
-
costretto
a
indossare
la
stella
gialla
.
Gli
era
vietato
possedere
libri
e
leggere
giornali
,
o
prendere
un
autobus
.
Ma
Victor
fu
molto
fortunato
.
Prima
per
aver
militato
nella
guerra
del
'14
,
poi
perché
aveva
una
moglie
ariana
,
e
alla
fine
per
il
disordine
dei
catastrofici
bombardamenti
su
Dresda
,
riuscì
a
scampare
alla
deportazione
e
a
sopravvivere
.
In
tutti
quegli
anni
si
impegnò
sistematicamente
,
perfino
un
po
'
pedantescamente
,
a
studiare
le
mutazioni
che
il
Terzo
Reich
imponeva
alla
lingua
tedesca
:
chiamò
questa
neolingua
Lti
,
'
Lingua
tertii
imperii
'
.
Pubblicò
questo
trattatello
sulla
persecuzione
nel
1947
,
nella
Dresda
ormai
appartenente
alla
Repubblica
democratica
tedesca
.
La
traduzione
italiana
(
di
Paola
Buscaglione
:
eccellente
)
è
stata
appena
pubblicata
dalla
Giuntina
.
'
Scrupoloso
e
non
geniale
'
(
così
lo
elogia
Michele
Ranchetti
nella
prefazione
)
il
diario
di
Victor
Klemperer
dà
una
idea
esatta
e
turbante
della
vita
ordinaria
nella
persecuzione
'
minore
'
:
sulla
quale
lo
sterminio
incombeva
,
ma
capricciosamente
dilazionato
.
Fra
le
osservazioni
più
specifiche
di
Klemperer
segnalerò
il
destino
delle
parole
'
fanatico
'
e
'
fanatismo
'
,
che
il
nazismo
capovolge
rendendole
sinonimi
di
virtù
.
E
anche
l
'
auge
della
'
weltanschauung
'
(
la
visione
del
mondo
)
,
che
spodesta
la
filosofia
e
sostituisce
con
una
venatura
magico
-
intuitiva
il
rispetto
per
il
pensiero
e
il
linguaggio
chiaro
e
distinto
.
Molte
preziose
notizie
si
troveranno
in
questo
taccuino
di
filologo
,
che
si
applica
,
con
la
testa
bassa
,
a
una
lingua
che
,
per
volontà
di
dominio
,
'
si
è
votata
alla
povertà
'
.
Ma
si
troverà
anche
una
testimonianza
illuminante
su
un
rovello
grande
e
ancora
da
esplorare
:
la
viltà
,
non
genericamente
degli
'
intellettuali
'
,
ma
di
quella
loro
aristocrazia
del
lustro
e
del
reddito
che
era
l
'
insegnamento
universitario
.
Davanti
ai
'
segnati
'
i
banchi
diventano
ogni
giorno
più
vuoti
,
fino
all
'
espulsione
(
nel
1935
)
.
Il
francesista
Victor
Klemperer
ricorda
gli
antichi
versi
di
Rutebeuf
sugli
'
amis
que
vent
emporte
et
il
ventait
devant
ma
porte
'
:
'
Il
vento
ha
soffiato
davanti
alla
mia
porta
.
Però
non
voglio
essere
ingiusto
:
ho
trovato
amici
fedeli
e
coraggiosi
,
soltanto
che
fra
loro
non
c
'
erano
appunto
i
colleghi
e
i
collaboratori
più
stretti
'
.
Licenziando
il
suo
diario
,
Victor
Klemperer
guardava
indietro
i
'
tradimenti
a
perdita
d
'
occhio
'
di
letterati
,
poeti
,
giornalisti
,
professori
universitari
.
'
Peggiore
'
,
quell
'
ambiente
di
studenti
e
professori
,
'
della
gente
comune
,
e
senz
'
altro
più
colpevole
'
.
Klemperer
,
cui
le
circostanze
suggerivano
un
'
ammirazione
per
la
Russia
e
il
suo
regime
,
scriveva
contemporaneamente
a
Vasilij
Grossman
,
la
cui
titanica
opera
(
Tutto
scorre
,
ma
soprattutto
Vita
e
destino
,
usciti
ambedue
postumi
)
ha
al
centro
la
debolezza
,
l
'
abiezione
,
il
tradimento
-
e
anche
la
resistenza
-
dei
maestri
,
degli
accademici
,
letterati
e
scienziati
,
nell
'
Unione
Sovietica
staliniana
.
Forse
i
professori
universitari
devono
essere
più
coraggiosi
,
o
più
dignitosi
,
degli
operai
o
degli
impiegati
di
banca
?
Certamente
no
,
immagino
che
abbiate
già
risposto
.
Forse
sì
.
O
almeno
la
loro
è
una
prostituzione
più
indecorosa
.
Ben
prima
del
'68
,
quando
nessuno
avrebbe
immaginato
la
rivolta
studentesca
contro
l
'
accademia
e
i
suoi
baroni
,
c
'
era
già
fra
i
giovani
un
'
insofferenza
contro
le
carriere
universitarie
.
Non
era
universale
,
ma
neanche
era
soltanto
questione
di
individui
eccentrici
.
Era
un
'
impazienza
morale
,
o
moralistica
,
come
volete
:
non
c
'
è
differenza
,
all
'
inizio
.
Aspirare
alla
carriera
universitaria
(
eufemismi
:
alla
ricerca
,
alla
docenza
)
costava
servilismo
,
cortigianeria
,
conformismo
,
rivalità
sleale
o
meschina
.
Fra
i
miei
(
più
o
meno
)
coetanei
,
potrei
citare
un
certo
numero
di
persone
che
per
questo
esclusero
dal
proprio
orizzonte
la
carriera
universitaria
,
magari
per
tornarci
molto
più
tardi
,
quando
sia
loro
che
l
'
università
erano
un
'
altra
cosa
.
Non
ho
nostalgia
di
quel
moralismo
,
e
tanto
meno
penso
che
quei
disertori
di
concorsi
fossero
perciò
più
stimabili
di
altri
.
La
questione
che
resta
è
quella
della
viltà
della
categoria
intellettuale
privilegiata
costituita
dai
professori
universitari
.
Si
sono
appena
ricordate
(
altro
che
'68
)
le
leggi
razziste
del
fascismo
,
sessant
'
anni
fa
.
Nell
'
università
italiana
,
passarono
tra
viltà
e
soddisfazione
:
non
tanto
di
fanatici
,
quanto
di
aspiranti
ai
posti
che
si
erano
liberati
.
In
appendice
al
suo
L
'
università
italiana
e
le
leggi
antiebraiche
(
Editori
Riuniti
1997
)
Roberto
Finzi
pubblica
i
96
nomi
di
professori
'
ebrei
'
espulsi
.
E
che
nomi
!
Più
del
7
per
cento
delle
cattedre
.
Ernesto
Rossi
,
dalla
galera
,
commentò
:
'
Una
manna
per
tutti
i
candidati
che
si
affolleranno
ora
ai
concorsi
'
.
StampaPeriodica ,
Indro
Montanelli
ha
rivendicato
l
'
intenzione
di
disporre
di
sé
anche
al
momento
della
propria
morte
e
si
è
augurato
di
trovare
un
medico
ad
aiutarlo
.
Ha
spiegato
di
non
voler
accettare
la
degradazione
fisica
e
tantomeno
morale
.
In
apparenza
,
si
è
trattato
di
un
intervento
sull
'
eutanasia
.
Ma
solo
in
apparenza
,
come
ha
mostrato
Lalla
Romano
,
la
quale
ha
sostenuto
l
'
opinione
di
Montanelli
,
dichiarando
la
propria
avversione
(
se
ho
capito
bene
)
alle
discussioni
categoriali
,
in
particolare
su
una
nozione
carica
di
ombre
come
quella
di
eutanasia
;
e
soprattutto
ha
trasferito
la
riflessione
sul
rifiuto
della
sofferenza
,
della
rassegnazione
alla
sofferenza
,
e
di
qualunque
sua
valorizzazione
.
Per
questo
rifiuto
,
ha
detto
,
«
non
possiamo
dirci
cristiani
»
.
Mi
pare
un
punto
molto
importante
e
complicato
.
Esso
eccede
il
tema
del
triste
diritto
a
decidere
di
sé
anche
per
la
propria
morte
,
che
riconosco
senz
'
altro
.
È
invece
il
punto
del
significato
della
sofferenza
e
,
anzitutto
,
se
la
sofferenza
abbia
un
significato
.
Di
recente
,
Paolo
Flores
è
intervenuto
con
passione
contro
il
divieto
religioso
o
legale
al
suicidio
assistito
e
contro
il
suo
pregiudizio
profondo
:
il
«
dovere
»
della
sofferenza
.
«
La
condanna
a
una
sofferenza
...
senza
fine
,
senza
scopo
,
senza
riscatto
.
Insensata
,
innanzitutto
(
a
meno
che
non
soccorra
la
fede
di
chi
considera
la
sofferenza
un
bene
in
sé
,
ovviamente
)
.
Nella
malattia
terminale
non
c
'
è
più
nulla
,
infatti
,
oltre
la
sofferenza
stessa
.
Quando
l
'
anestesia
era
ancora
e
solo
qualche
sorsata
di
acquavite
,
le
mostruose
sofferenze
di
un
'
amputazione
possedevano
il
senso
della
differenza
capitale
:
quella
tra
la
vita
e
la
morte
.
L
'
agonia
irreversibile
del
malato
terminale
è
,
invece
,
semplice
certezza
di
tortura
a
morte
»
.
Flores
,
che
ha
dovuto
pensare
a
ciò
di
cui
parla
,
parla
tuttavia
della
malattia
terminale
:
che
non
è
l
'
orizzonte
esclusivo
della
discussione
ora
riaccesa
.
In
una
vecchiezza
che
immagina
il
modo
della
propria
fine
,
la
malattia
terminale
è
la
vita
stessa
che
si
approssima
al
suo
compimento
,
e
minaccia
la
perdita
di
sé
.
Con
questa
forte
differenza
,
resta
il
problema
posto
da
quell
'
inciso
:
«
A
meno
che
non
soccorra
la
fede
di
chi
considera
la
sofferenza
un
bene
in
sé
,
ovviamente
»
.
Esso
vuol
dire
,
com
'
è
davvero
ovvio
,
che
il
diritto
al
«
suicidio
assistito
»
è
appunto
solo
un
diritto
e
non
un
opposto
dovere
,
e
che
non
può
coinvolgere
se
non
la
libera
volontà
delle
persone
,
senza
di
che
diventa
un
fanatismo
opposto
e
abominevole
,
come
la
decisione
di
Stato
,
o
medicale
,
o
di
qualunque
altra
autorità
o
convenienza
fuori
delle
persone
,
a
metter
fine
a
vite
«
inutili
»
.
Pascal
pregava
«
pour
demander
à
Dieu
le
bon
usage
des
maladies
»
:
«
Fate
che
io
mi
senta
in
questa
malattia
come
in
una
specie
di
morte
,
separato
dal
mondo
,
privo
di
tutto
,
solo
in
vostra
presenza
...
»
.
La
domanda
delicata
è
un
'
altra
:
solo
la
fede
può
indurre
a
considerare
la
sofferenza
«
un
bene
in
sé
»
?
Anche
a
Flores
la
questione
non
sfugge
,
benché
non
vi
veda
che
un
espediente
estremo
del
bigottismo
per
replicare
alla
perdita
di
autorità
dogmatica
della
gerarchia
ecclesiastica
.
È
la
questione
della
«
natura
»
,
del
«
lasciare
che
la
natura
faccia
il
suo
corso
»
.
In
suo
nome
,
e
ipocritamente
,
dice
Flores
,
si
rifiuta
il
farmaco
che
«
in
una
volta
»
abbrevi
la
sofferenza
insopportabile
,
e
si
somministrano
i
farmaci
che
,
pur
micidiali
,
accorciano
la
vita
in
una
specie
di
eutanasia
al
rallentatore
.
Lasciar
fare
alla
natura
imporrebbe
,
per
coerenza
,
di
rinunciare
a
ogni
vaccino
,
a
ogni
antibiotico
.
Che
cosa
,
se
non
un
'
ipocrisia
,
separa
l
'
omissione
,
l
'
astensione
dall
'
accanimento
terapeutico
,
la
spina
staccata
,
dall
'
azione
(
una
flebo
attaccata
,
una
compressa
fornita
)
che
ottiene
lo
stesso
risultato
?
Io
sono
,
tremando
,
d
'
accordo
.
Ma
ho
fatto
in
tempo
ad
appartenere
a
una
cultura
umana
millenaria
,
solo
da
poco
abbandonata
,
per
la
quale
(
non
solo
nella
sua
versione
cristiana
)
il
timore
nei
confronti
della
violazione
della
«
natura
»
,
il
senso
del
sacrilegio
,
era
forte
e
profondo
.
Si
sentiva
che
una
febbre
doveva
alzarsi
e
bruciare
,
prima
di
ricadere
.
Si
sentiva
che
il
dolore
era
parte
della
guarigione
,
e
anzi
ne
era
il
prezzo
.
La
«
natura
»
,
e
per
essa
il
tempo
,
il
tempo
che
uccide
,
o
risana
,
erano
sentiti
come
inviolabili
e
pronti
a
prendersi
la
rivincita
.
L
'
anestesia
era
sentita
con
vergogna
come
una
debolezza
da
quella
cultura
virile
,
ma
anche
come
un
'
usurpazione
.
Quella
cultura
era
spaventata
e
coraggiosa
insieme
,
superstiziosa
e
nobile
.
Per
essa
Tolstoj
avversava
come
immorale
la
cura
del
mal
di
denti
e
si
teneva
la
sofferenza
.
Non
ho
nostalgia
di
quella
cultura
,
al
contrario
.
Bisogna
che
tutti
gli
esseri
viventi
vengano
liberati
quanto
è
possibile
dal
dolore
e
dalla
debolezza
.
Ma
so
che
nel
modo
di
questa
liberazione
c
'
è
un
prezzo
alto
.
Che
la
longevità
spinta
in
cerca
dell
'
immortalità
e
l
'
anestesia
universale
possono
storcere
il
disegno
della
vita
umana
in
qualcosa
di
cattivo
.
Che
nel
modo
della
manipolazione
della
natura
può
esserci
l
'
eccesso
e
la
ritorsione
.
Sia
lode
agli
antibiotici
:
ma
abbiamo
imparato
a
temerne
gli
effetti
di
ritorno
.
La
sanità
personale
,
come
l
'
ecologia
comune
,
non
ci
promettono
più
solo
felicità
e
progresso
,
ma
vulnerabilità
e
riparazione
perpetua
.
Anche
a
non
voler
vedere
la
folla
di
persone
condannate
alla
fame
,
all
'
umiliazione
e
a
una
breve
vita
che
riterremmo
per
noi
peggiore
della
morte
.
Dunque
:
c
'
è
un
significato
nella
sofferenza
,
e
che
significato
è
?
Io
non
lo
so
.
Provo
a
immaginarlo
,
da
molto
lontano
,
immagino
che
l
'
esperienza
della
sofferenza
dia
un
solo
acquisto
:
la
comprensione
della
sofferenza
altrui
.
La
cognizione
del
dolore
.
Non
è
poco
.
Nel
Cristianesimo
c
'
è
anche
questo
,
oltre
al
bigottismo
della
sofferenza
salvifica
ed
espiatrice
.
StampaPeriodica ,
Nelle
prigioni
nascono
e
si
affermano
parole
nuove
.
Il
detenuto
che
viene
spedito
in
un
altro
carcere
è
'
sballato
'
,
'
impacchettato
'
.
Oppure
si
dice
che
'
l
'
hanno
partito
'
.
Cambia
il
gergo
,
ma
il
recluso
resta
sempre
un
pacco
.
Se
i
linguisti
lo
sapessero
,
e
in
particolare
i
vocabolaristi
,
farebbero
carte
false
per
venire
in
galera
.
Intanto
,
i
luoghi
chiusi
funzionano
come
isole
per
la
lingua
,
producendo
un
lessico
e
un
gergo
peculiare
,
e
conservando
intatte
parole
e
forme
dal
contagio
con
la
lingua
di
fuori
.
Benché
minata
dalla
presenza
della
tv
e
dal
tramonto
della
malavita
tradizionale
e
dei
suoi
gerghi
,
questa
capacità
di
autosufficienza
e
di
congelamento
linguistico
resta
notevole
.
Al
tempo
stesso
,
le
galere
,
'
isolate
'
dal
mondo
fuori
,
tengono
una
comunicazione
fra
loro
,
assicurata
non
solo
dall
'
alto
-
le
autorità
e
i
regolamenti
,
e
i
loro
idiomi
,
spesso
agghiaccianti
,
spesso
esilaranti
-
ma
anche
,
orizzontalmente
,
dai
travasi
di
prigionieri
dentro
il
così
detto
'
circuito
carcerario
'
.
Norma
non
estirpabile
dell
'
amministrazione
carceraria
è
infatti
una
specie
di
moto
perpetuo
per
cui
i
detenuti
vengono
trasferiti
da
un
carcere
all
'
altro
,
come
patelle
staccate
dallo
scoglio
,
per
evitare
che
ci
si
attacchino
troppo
.
Questo
maniacale
moto
perpetuo
produce
l
'
effetto
di
far
tornare
periodicamente
le
cose
al
punto
di
partenza
.
Così
,
l
'
innovazione
linguistica
sorta
nella
prigione
X
,
e
dimostrata
capace
di
successo
,
si
trasferisce
,
viaggiando
addosso
al
detenuto
,
come
un
pidocchio
mutante
,
nella
prigione
Y
,
e
in
un
giro
breve
di
tempo
,
mentre
il
mondo
di
fuori
non
ne
sa
niente
,
il
mondo
di
dentro
aggiorna
il
suo
magazzino
linguistico
.
L
'
esempio
che
voglio
illustrare
è
proprio
quello
della
parola
che
designa
il
trasferimento
.
Il
termine
più
ricorrente
è
:
sballare
.
In
subordine
:
impacchettare
.
È
chiara
la
parentela
fra
i
due
verbi
.
Il
loro
successo
era
legato
alla
capacità
di
cogliere
due
aspetti
essenziali
del
trasferimento
penitenziario
.
Il
primo
,
che
il
suo
oggetto
non
è
una
persona
,
ma
un
pacco
;
il
secondo
,
che
la
dislocazione
dell
'
oggetto
avviene
in
modo
brusco
e
burocraticamente
brutale
,
come
quando
si
dà
un
calcio
a
un
barattolo
su
una
strada
di
periferia
.
Sballare
,
e
il
suo
contrario
,
imballare
,
descrivono
l
'
oggetto
(
l
'
'
unità
detenuta
'
,
sic
)
incartato
e
legato
come
un
salame
,
e
buttato
,
più
che
verso
la
destinazione
ulteriore
,
lì
,
fuori
dai
piedi
,
qui
.
Significazione
indispensabile
,
perché
il
trasferimento
di
un
detenuto
somiglia
,
rudezza
a
parte
,
a
una
prestidigitazione
,
a
un
illusionismo
:
un
momento
fa
c
'
era
,
ora
non
c
'
è
più
.
Sballato
,
scomparso
.
Non
ha
avuto
il
tempo
di
salutare
,
non
gli
si
è
detto
perché
,
né
dove
sta
andando
.
Qualcuno
,
al
passeggio
,
dice
:
'
Ma
il
tale
,
oggi
,
non
scende
?
'
.
E
un
altro
,
con
un
po
'
di
rammarico
,
o
neanche
,
risponde
:
'
L
'
hanno
sballato
'
.
Si
fa
la
mattina
presto
,
quando
tutti
dormono
,
o
sono
chiusi
.
C
'
era
una
volta
Gigino
e
Gigetto
,
via
Gigino
,
via
Gigetto
.
A
volte
,
altrettanto
inopinatamente
,
torna
Gigino
,
torna
Gigetto
.
Il
detenuto
ora
graziato
dopo
trent
'
anni
di
galera
,
ne
aveva
girate
una
cinquantina
.
Il
tempo
di
attaccare
una
cartolina
di
ragazza
al
muro
e
via
,
al
prossimo
scoglio
.
Ora
,
sempre
di
più
,
sento
impiegare
il
verbo
'
partire
'
,
in
una
sua
forma
transitiva
.
Un
grido
nella
mattina
:
'
Mi
stanno
partendo
'
.
Una
domanda
al
passeggio
:
'
Ma
Gigino
dov
'
è
?
'
.
'
L
'
hanno
partito
'
.
Trovo
questa
variazione
molto
interessante
.
È
chiara
la
sua
matrice
meridionale
:
ma
già
la
ripetono
anche
detenuti
italiani
che
meridionali
non
sono
,
per
non
dire
degli
stranieri
,
che
non
hanno
alcun
pregiudizio
ad
accogliere
e
ripetere
una
forma
ascoltata
,
da
qualunque
parte
provenga
.
Meridionale
è
l
'
impiego
transitivo
dei
verbi
di
moto
:
scendimi
la
valigia
,
escimi
la
bicicletta
.
Se
di
'
partire
'
transitivo
,
fuori
,
gli
esempi
mancano
,
è
perché
alla
gente
di
fuori
non
capita
spesso
di
essere
impacchettati
e
spediti
con
un
calcio
da
un
'
altra
parte
:
cioè
di
'
venire
partiti
'
.
Un
trasferimento
di
fuori
,
non
so
,
da
un
provveditorato
all
'
altro
,
avviene
in
forme
meno
brusche
.
L
'
estremizzazione
di
attività
-
in
chi
parte
qualcuno
-
e
passività
-
in
chi
viene
partito
-
è
affare
di
carcere
.
Uno
è
un
po
'
indocile
,
e
l
'
occhio
clinico
dei
compagni
,
e
la
testa
scossa
,
prevedono
:
'
A
questo
lo
partono
subito
'
.
Se
non
sapessi
che
bisogna
guardarsi
dalle
etimologie
grossolane
,
se
non
ricordassi
Varrone
dagli
anni
della
scuola
(
che
avevano
pure
loro
delle
belle
parole
-
timbro
:
promosso
,
bocciato
,
'
mandato
a
ottobre
'
)
,
mi
piacerebbe
suggerire
un
'
analogia
di
'
mi
stanno
partendo
'
col
verbo
partorire
:
per
sottolineare
,
invece
,
che
l
'
ottimistica
idea
di
essere
dati
alla
luce
,
messi
al
mondo
,
la
perigliosa
e
non
richiesta
espulsione
dal
grembo
.
Un
rifiuto
,
piuttosto
che
un
'
ammissione
,
che
in
carcere
si
ripete
all
'
infinito
.
Infine
,
partire
è
un
po
'
morire
.
Morire
era
,
fino
a
poco
fa
,
anche
transitivo
,
ma
nel
senso
di
ammazzare
.
'
Ohimè
,
che
m
'
hai
morto
'
.
Più
affascinanti
sono
quelle
lingue
in
cui
morire
è
riflessivo
:
morirsi
.
Sembrano
più
consapevoli
del
fatto
che
morire
è
un
tornare
dentro
,
e
che
quando
si
muore
,
si
muore
soli
.
Questo
avviene
in
Abruzzo
.
'
Quiju
s
'
è
mortu
'
,
il
tale
è
morto
.
Ne
Ji
Raccunti
de
Cazzirru
dell
'
aquilano
Giuseppe
Placidi
,
leggo
:
'
Me
sembra
ieri
che
s
'
è
mortu
ju
poru
Luiggi
,
oi
'
.
(
Non
so
se
rientri
in
questo
uso
il
romanesco
'
sinnò
me
moro
'
,
più
parente
del
traslato
morire
d
'
amore
,
o
dalle
risate
)
.
Con
ciò
si
conclude
il
mio
avviso
ai
linguisti
,
Crusca
e
gli
altri
,
che
vorranno
apprezzare
la
comunicazione
e
passarla
sotto
i
loro
ferri
.
Io
,
da
dilettante
,
sto
meditando
il
colpo
grosso
.
Chi
non
ha
desiderato
di
coniare
,
di
creare
,
una
parola
nuova
e
inaudita
,
piena
di
vocali
,
come
quella
di
Hamsun
in
Fame
?
Una
parola
bellissima
,
come
'
idea
'
,
oppure
un
nome
di
ragazza
,
come
Anahita
.
Peccato
che
ci
siano
già
.
Io
oggi
posso
inventare
la
mia
,
e
metterla
in
circolazione
nel
mio
piccolo
.
Di
qui
,
la
gente
via
via
partita
la
porterà
in
giro
nel
circuito
.
Quanto
al
mondo
di
fuori
,
prima
o
poi
qualcuno
dovrà
pur
uscire
e
portarsela
dietro
,
la
parola
nuova
.
StampaPeriodica ,
La
notizia
di
un
convegno
sull
'
inquinamento
atmosferico
fa
tornare
alla
mente
le
lettere
della
sorella
nubile
di
Leopardi
,
reclusa
dalla
madre
a
Recanati
.
Che
sognava
l
'
aria
sana
della
cittá
sull
'
Arno
.
Come
i
detenuti
di
oggi
.
Pisano
già
da
oltre
due
anni
,
leggo
ogni
giorno
le
cose
locali
sul
Tirreno
.
Ora
ho
letto
un
annuncio
del
servizio
ambiente
della
Provincia
:
"
29-30
gennaio
1999
.
Prima
Conferenza
sulla
qualità
dell
'
aria
nella
provincia
di
Pisa
"
.
Sapete
che
fra
gli
effetti
della
galera
c
'
è
di
tramutare
le
cose
più
elementari
in
concessioni
regolamentate
,
sicché
l
'
aria
che
si
respira
diventa
"
l
'
ora
d
'
aria
"
:
una
specie
di
apnea
a
intervalli
ossigenati
.
Così
ritagliata
,
l
'
aria
viene
convocata
con
un
grido
dell
'
agente
:
"
Aria
"
,
e
i
detenuti
si
infilano
nel
loro
sfiatatoio
.
Dunque
,
chi
di
noi
più
interessato
alla
qualità
dell
'
aria
di
Pisa
?
Ma
tutto
questo
è
solo
un
pretesto
per
parlarvi
di
Paolina
,
la
sorella
nubile
di
Giacomo
Leopardi
,
e
dell
'
aria
di
Pisa
.
(
Mi
piace
,
"
nubile
"
,
altri
la
chiamarono
zitella
:
destino
più
amaro
,
avendole
Giacomo
dedicato
la
precoce
canzone
Nelle
nozze
della
sorella
Paolina
.
Nubile
vuol
dire
sposabile
,
e
lei
lo
fu
a
lungo
e
invano
,
in
trattative
penose
sulla
dote
,
la
quale
bisognava
che
fosse
appetitosa
per
quella
giovane
intelligente
e
bruttina
,
doppio
difetto
.
E
nubile
fa
pensare
a
qualcosa
di
lievemente
annuvolato
,
una
turbolenza
in
aria
chiara
,
in
quella
creatura
che
scriveva
:
"
Unico
godimento
mio
in
tutta
la
vita
-
quello
di
mirare
il
cielo
sereno
-
sicché
quando
vedi
nuvole
di
'
pure
che
la
tua
amica
è
più
triste
del
solito
"
)
.
Giacomo
visse
in
una
prigionia
stretta
in
quella
casa
maniacale
,
e
invano
tentò
di
fuggirne
con
una
vera
evasione
,
di
notte
e
con
carte
false
.
Figurarsi
una
figlia
femmina
,
che
solo
il
matrimonio
avrebbe
fatto
uscire
.
"
Quello
che
io
posso
vedere
dalla
finestra
è
sempre
sorvegliato
da
mia
madre
,
la
quale
gira
per
tutta
la
casa
,
si
trova
per
tutto
,
e
a
tutte
le
ore
"
.
Paolina
restò
ai
suoi
arresti
domestici
fino
a
un
'
età
anziana
,
e
perfino
il
suo
carteggio
con
poche
amiche
dovette
essere
clandestino
,
per
scampare
al
rigore
pazzesco
della
madre
.
Le
lettere
arrivavano
a
un
bravo
prete
alla
casa
di
fronte
,
lui
esponeva
una
pianta
alla
finestra
,
e
lei
furtivamente
andava
a
ritirarle
.
Una
lettera
le
arrivò
un
giorno
da
Pisa
,
dove
Giacomo
era
venuto
a
svernare
,
e
restò
memorabile
,
per
quella
sorella
appassionata
,
e
per
tutti
gli
scolari
a
venire
,
e
per
Pisa
.
Era
datata
al
12
novembre
1827
:
"
Questo
lung
'
Arno
è
uno
spettacolo
così
bello
,
così
ampio
,
così
magnifico
,
così
gaio
,
così
ridente
,
che
innamora
:
non
ho
veduto
niente
di
simile
...
Vi
si
passeggia
poi
nell
'
inverno
con
gran
piacere
,
perché
v
'
è
quasi
sempre
un
'
aria
di
primavera
...
"
.
Così
l
'
aria
"
balsamica
"
di
Pisa
soffiò
fino
alla
galera
domiciliare
di
Paolina
,
al
suo
"
orrido
e
aborrito
"
Recanati
,
alla
sua
"
infame
aria
,
vera
rovina
per
la
salute
,
per
i
denti
,
per
tutto
"
,
"
aria
essiccatrice
di
polmoni
"
.
Paolina
si
compiangeva
,
come
quella
che
non
aveva
"
per
sollievo
né
un
viaggio
di
Parigi
e
di
Londra
,
e
né
pure
quello
di
Sinigaglia
(
Senigallia
)
"
!
Aveva
i
furori
smaniosi
e
impossibili
di
ogni
carcerato
.
"
Non
puoi
credere
quanto
mi
abbia
tormentata
sempre
il
pensiero
che
vi
sia
qualche
cosa
a
questo
mondo
ch
'
io
non
vi
vedrò
mai
!
e
se
queste
cose
poi
sono
belle
,
belle
assai
,
come
le
ghiacciaie
della
Svizzera
,
il
cielo
di
Napoli
,
un
'
aurora
boreale
e
Pietroburgo
...
"
.
Soffocò
le
illusioni
d
'
amore
,
e
leggeva
racconti
di
viaggi
altrui
:
"
Solo
amerei
che
la
mia
catena
fosse
un
tantino
più
lenta
"
.
Studiava
il
Journal
des
Modes
,
leggeva
il
"
suo
"
Stendhal
,
e
traduceva
una
Vita
di
Mozart
,
che
l
'
avrà
fatta
pensare
all
'
affetto
fra
sorella
e
fratello
,
e
incitata
alla
sua
parolaccia
più
temeraria
e
cara
:
"
Diavolo
!
"
.
Tradusse
anche
,
e
questo
è
particolarmente
commovente
se
si
pensa
alla
sua
clausura
,
il
Viaggio
notturno
intorno
alla
mia
camera
di
Joseph
de
Maistre
.
"
Io
non
sono
lieta
e
non
posso
esserla
che
in
sogno
"
.
La
lettera
dell
'
adorato
Giacomo
dovette
restarle
fissa
in
mente
.
Quando
una
sua
amica
va
ad
abitare
a
Pisa
,
le
invidia
la
sua
fortuna
:
quella
"
deliziosa
Città
...
che
in
ogni
stagione
deve
essere
un
soggiorno
incantatore
"
(
1829
)
.
Là
,
"
se
io
fossi
indipendente
,
vorrei
abitare
perpetuamente
"
(
1830
)
.
E
"
godere
di
quel
caro
cielo
,
e
di
quell
'
aria
che
io
t
'
invidio
tanto
"
(
1833
)
.
A
un
'
altra
amica
,
di
passaggio
a
Pisa
,
aveva
scritto
:
"
Hai
fatto
bene
a
scegliere
il
tuo
albergo
lungo
l
'
Arno
,
del
quale
Giacomo
mi
ha
fatto
una
descrizione
incantevole
"
.
Paolina
uscì
da
Recanati
solo
dopo
che
tutti
i
suoi
furono
morti
.
Anzi
,
fece
passare
altri
anni
.
"
Io
già
lo
so
che
mi
sono
ricalcati
i
miei
ferri
da
me
stessa
"
.
E
dopo
che
la
casa
-
carcere
fu
prodigalmente
rinnovata
.
"
In
questo
momento
alla
porta
del
mio
giardino
si
sta
compiendo
un
bel
lavoro
-
si
fa
una
camera
di
cristallo
per
levarmi
l
'
aria
cattiva
che
mi
veniva
da
quella
striscia
di
mare
che
si
vedeva
in
quel
punto
"
.
Successe
nel
1864
,
quell
'
ergastolo
graziato
:
era
una
donna
libera
di
64
anni
.
Rinnovò
il
suo
guardaroba
e
lo
rese
civettuolo
.
Andò
in
Emilia
,
in
Umbria
,
nelle
Puglie
.
Pensava
a
Napoli
:
"
Spero
alle
prime
benefiche
aure
di
primavera
di
muovermi
di
qui
e
respirare
l
'
aria
di
Napoli
"
;
e
finalmente
ci
andò
,
nel
1867
,
a
pregare
sulla
tomba
di
Giacomo
.
L
'
anno
dopo
decise
che
avrebbe
passato
l
'
inverno
a
Pisa
.
Scese
all
'
albergo
sul
lungarno
,
il
Victoria
,
che
è
ancora
lì
,
il
più
bello
di
Pisa
.
Non
riuscì
a
svernare
,
ma
per
poco
:
morì
a
Pisa
il
13
marzo
del
1869
,
"
dei
postumi
di
un
'
infreddatura
"
presa
in
gita
a
Firenze
,
quando
alla
primavera
mancavano
otto
giorni
.
"
Ma
io
...
io
non
ho
vissuto
mai
"
.
Ho
un
libro
-
antologia
di
Alessandro
Agostinelli
e
Daniele
Luti
,
Sotto
il
cielo
di
Pisa
.
Ci
sono
molte
notizie
sull
'
aria
di
Pisa
al
tempo
che
fu
.
Carlo
Goldoni
:
"
L
'
aria
della
città
è
considerata
la
migliore
d
'
Italia
"
.
E
Gabriele
D
'
Annunzio
:
"
Pisa
...
primaverile
e
tutta
d
'
argento
"
.
Mi
ha
colpito
soprattutto
una
riga
di
Charles
Dickens
:
"
Non
c
'
è
altro
che
si
muova
in
Pisa
,
eccetto
l
'
aria
tiepida
"
.
Noi
abbiamo
alcune
ore
d
'
aria
.
A
giorni
alterni
,
in
un
cortile
più
piccolo
e
uno
meno
piccolo
.
Tre
giorni
quelli
in
attesa
di
giudizio
,
tre
giorni
quelli
in
attesa
di
niente
.
La
domenica
a
turno
.
Ci
diamo
delle
arie
.
Li
chiamiamo
l
'
aria
grande
e
l
'
aria
piccola
.