StampaQuotidiana ,
Mentre
scrivo
(
sono
le
ore
15
del
16
aprile
)
non
so
ancora
se
gli
astronauti
dell
'
Apollo
13
riusciranno
ad
ammarare
felicemente
...
in
mare
,
ciò
che
sarebbe
fatto
assai
raro
perché
di
solito
il
verbo
ammarare
(
io
preferisco
la
forma
amarrare
)
significa
il
raggiungimento
della
terraferma
dal
mare
.
L
'
infelice
esito
del
tredicesimo
ludo
apollineo
non
porrà
certo
fine
ai
viaggi
spaziali
,
anzi
sarà
considerato
come
una
«
sfida
»
che
bisogna
accettare
perché
l
'
onore
della
scienza
non
tollera
smentite
.
Il
«
mirabil
mostro
»
(
cfr.
Vincenzo
Monti
,
ode
Al
Signor
di
Montgolfier
)
sarà
certo
sostituito
da
un
altro
che
porterà
un
numero
meno
infausto
e
raggiungerà
i
previsti
obiettivi
.
Ma
messe
a
parte
eventuali
congratulazioni
o
condoglianze
-
e
facciamo
i
debiti
scongiuri
-
quel
che
vorrei
sottolineare
è
il
carattere
illogico
,
irrazionale
,
di
simili
tentativi
.
Sembra
un
paradosso
:
le
imprese
dell
'
uomo
,
le
conquiste
della
tecnica
sono
da
un
lato
il
trionfo
della
mente
umana
,
dall
'
altro
il
fatto
evidente
che
la
scienza
«
non
pensa
»
e
non
lo
può
costituzionalmente
.
Se
la
scienza
pensasse
si
troverebbe
di
fronte
all
'
opzione
tra
il
bene
e
il
male
,
tra
l
'
utile
e
l
'
inutile
,
tra
la
felicità
e
l
'
infelicità
:
e
dovrebbe
trarne
le
debite
conseguenze
.
Ma
questo
non
avviene
né
risulta
che
sia
mai
avvenuto
.
La
scienza
non
opta
perché
non
conosce
:
la
scienza
agisce
,
confronta
,
trova
(
e
talvolta
trova
cose
utilissime
)
,
ma
la
sorte
dell
'
uomo
le
è
del
tutto
indifferente
.
In
questo
la
scienza
è
un
prolungamento
della
natura
.
E
opinione
assai
diffusa
che
l
'
ingegno
dell
'
uomo
vinca
e
domini
gli
ostacoli
dell
'
avversa
natura
,
ma
non
è
così
.
Natura
e
scienza
rivelano
la
loro
profonda
affinità
per
il
fatto
ch
'
esse
sono
le
sole
e
invincibili
nemiche
dell
'
uomo
.
E
'
molto
strano
(
anche
se
comprensibile
)
che
sorgano
società
per
la
protezione
della
natura
.
Io
stesso
inorridisco
per
la
scomparsa
degli
alberi
,
per
l
'
insania
dei
parlamentari
che
permettono
il
barbaro
aucupio
con
le
reti
;
io
stesso
mi
commuovo
pensando
che
Venezia
sarà
,
un
giorno
,
visitata
solo
da
coraggiosi
sommozzatori
.
Ma
questo
non
toglie
nulla
all
'
evidenza
che
la
natura
può
fare
a
meno
dell
'
uomo
e
che
l
'
uomo
ha
qualche
giustificazione
quando
tenta
,
con
sporadici
successi
,
di
sopprimerla
.
Avversa
la
natura
,
neutra
o
agnostica
la
scienza
,
che
cosa
resta
all
'
uomo
?
Certamente
il
pensiero
,
non
il
pensiero
che
crea
il
mondo
e
la
storia
(
idealismo
,
marxismo
ecc
.
)
,
ma
il
pensiero
che
l
'
ignoranza
è
una
forma
del
tutto
oscura
ed
embrionale
della
conoscenza
.
La
sola
autentica
,
in
ogni
modo
.
Tutto
il
resto
è
vanità
;
è
astronautica
,
è
riforma
della
scuola
,
riforma
del
clero
,
riforma
della
burocrazia
(
figuriamoci
!
)
,
riforma
delle
riforme
,
di
tutto
ciò
che
aiuta
a
vivere
perché
con
la
verità
non
è
neppure
concepibile
la
vita
.
(
Postilla
.
E
la
vita
stessa
sarebbe
dunque
inutile
?
No
assolutamente
,
perché
io
credo
che
la
vita
sia
una
cosa
meravigliosa
.
)
StampaQuotidiana ,
Nel
1961
Enzo
Bettiza
,
da
quattro
anni
corrispondente
da
Vienna
,
fu
trasferito
a
Mosca
;
e
non
senza
disappunto
abbandonò
il
prezioso
«
fossile
»
che
per
cultura
ed
estrazione
familiare
gli
era
tanto
caro
.
Nato
a
Spalato
jugoslava
,
studente
liceale
nell
'
italianissima
Zara
,
figlio
di
un
irredentista
dalmata
cittadino
italiano
e
di
una
montenegrina
,
Bettiza
si
è
sempre
considerato
un
mitteleuropeo
e
più
precisamente
un
Altósterreicher
,
sentimentalmente
legato
alla
sua
«
defunta
»
capitale
.
Alla
nuova
residenza
egli
non
giunge
tuttavia
impreparato
.
Ha
una
moglie
goriziana
,
parla
perfettamente
la
lingua
slovena
,
conosce
il
serbo
-
croato
e
il
tedesco
,
non
gli
è
difficile
impadronirsi
del
russo
.
Gli
sarà
perciò
meno
dura
quella
crisi
di
rigetto
ch
'
egli
,
confrontandosi
con
altri
suoi
colleghi
italiani
,
ci
descrive
nel
suo
nuovo
libro
Il
diario
di
Mosca
(
Longanesi
)
,
rendiconto
dei
quattro
anni
da
lui
trascorsi
in
quella
città
e
prima
parte
di
un
'
opera
che
avrà
un
seguito
.
Più
che
preparato
Bettiza
era
vaccinato
.
Ha
assistito
all
'
ingresso
dei
titoisti
a
Spalato
,
giovane
comunista
ha
contemplato
con
un
misto
di
desolazione
e
di
esultanza
l
'
impoverimento
della
famiglia
;
in
seguito
ha
lasciato
il
partito
,
definitivamente
immunizzato
dal
fideismo
marxista
.
In
che
cosa
poteva
respingerlo
la
nuova
sede
?
L
altro
pericolo
,
l
'
insabbiamento
,
a
cui
vanno
soggetti
gli
stranieri
che
si
stabiliscono
in
Russia
fu
da
lui
evitato
studiando
il
fenomeno
davvicino
,
nei
giornalisti
stranieri
che
vivono
da
molti
anni
in
quella
capitale
.
L
'
immensa
Russia
ha
una
dimensione
temporale
diversa
dalla
nostra
.
La
lentezza
,
la
monotonia
,
l
'
incolore
opacità
del
mastodonte
sovietico
possono
indurre
chi
vi
soggiace
ad
una
sorta
di
claustrofilia
.
Non
vale
la
pena
di
uscirne
,
tutto
il
resto
del
mondo
è
un
technicolor
di
cui
si
perde
anche
il
desiderio
.
Quando
Bettiza
giunge
a
Mosca
la
destalinizzazione
ha
già
compiuto
molti
passi
e
forse
sta
facendone
qualcuno
indietro
.
Tukacevski
e
quasi
tutti
i
generali
che
Stalin
ha
mandato
a
morte
sono
stati
riabilitati
;
ma
in
altri
settori
non
si
avvertono
veri
mutamenti
.
Qualcuno
trova
che
si
esagera
.
Con
Stalin
,
dichiara
confidenzialmente
un
cremlinologo
,
si
sapeva
benissimo
dove
si
andava
a
finire
;
ma
con
Kruscev
nulla
è
prevedibile
.
Dopo
tutto
Stalin
non
era
per
niente
incolto
,
afferma
un
poeta
che
recita
i
suoi
versi
dinanzi
a
folle
entusiaste
.
Narratori
e
teatranti
godono
di
qualche
maggiore
libertà
ma
accettano
i
benevoli
consigli
della
censura
.
La
più
nota
gazzetta
letteraria
è
meno
prudente
ma
manca
del
tutto
la
stampa
d
'
informazione
.
Le
notizie
,
se
ci
sono
,
si
devono
cercare
tra
le
righe
della
«
Pravda
»
.
Quel
che
conta
negli
articoli
di
quel
giornale
non
è
il
generico
ottimismo
ma
quell
'«eppure...»,
quel
«
tuttavia
»
che
sarà
il
campanello
d
'
allarme
di
qualche
alto
funzionario
periferico
.
Quel
«
tuttavia
»
permetterà
ai
cremlinologi
(
nuovo
ramo
di
una
più
vasta
scienza
,
la
sovietologia
)
di
tirare
l
'
oroscopo
.
Il
comune
lettore
sorvola
sul
«
tuttavia
»
che
di
solito
appare
nelle
ultime
righe
dell
'
articolo
;
ma
le
vere
notizie
deve
cercarle
in
qualche
giornale
straniero
(
se
lo
trova
o
se
riesce
a
leggerlo
)
.
Non
c
'
è
stata
vera
riabilitazione
neppure
per
Pasternak
.
Gli
si
riconoscono
qualità
di
poeta
ma
si
osserva
che
il
romanzo
non
era
pane
per
i
suoi
denti
.
La
sua
dacia
non
diventerà
un
museo
nazionale
.
In
un
Paese
dove
la
mummia
di
Lenin
-
tolta
dal
mausoleo
quella
di
Stalin
-
è
meta
di
un
continuo
e
adorante
pellegrinaggio
,
un
senso
d
'
incombente
mummificazione
generale
desta
l
'
attenzione
del
giornalista
che
voglia
sfuggire
al
mortale
invito
.
Bisogna
sfuggire
al
primo
click
,
dice
Frane
Barbieri
,
altro
dalmata
che
è
corrispondente
di
un
giornale
di
Zagabria
.
Come
si
difendono
gli
stranieri
?
I
francesi
vivono
in
un
mondo
a
sé
,
distaccati
.
Gli
inglesi
sono
più
curiosi
che
interessati
,
non
abbandonano
mai
il
loro
fondamentale
empirismo
,
mentre
i
tedeschi
sono
irretiti
,
imprigionati
da
quel
complesso
di
amore
-
odio
per
il
mondo
russo
che
non
sarà
una
sorpresa
per
chi
abbia
letto
il
grande
romanzo
di
Gonciarov
e
qualche
altro
classico
della
letteratura
russa
.
In
Oblomov
il
personaggio
di
Stolz
,
tedesco
,
è
l
'
eroe
positivo
,
sebbene
di
una
positività
assai
mediocre
,
e
non
mancano
esempi
in
altri
autori
.
Da
Bielinski
in
poi
,
assai
prima
che
il
pensiero
di
Marx
giungesse
in
Russia
,
la
filosofia
di
Hegel
ha
fatto
strage
nell
'
intelligenza
slava
(
molto
prima
che
in
Italia
,
sia
detto
tra
parentesi
)
.
Nessuna
inimicizia
è
così
grande
come
quella
che
scoppia
tra
lontani
parenti
,
tra
affini
.
Ed
è
proprio
su
questo
tema
che
Bettiza
ci
dà
alcune
delle
sue
pagine
migliori
,
perché
in
lui
l
'
amore
per
le
idee
è
di
gran
lunga
superiore
all
'
amore
per
gli
uomini
.
E
non
è
,
intendiamoci
,
ch
'
egli
non
sia
un
attento
osservatore
degli
uomini
;
ma
il
fatto
è
che
il
color
locale
,
la
barzelletta
,
l
'
aneddoto
sono
del
tutto
estranei
ad
un
temperamento
come
il
suo
.
Uno
scrittore
impressionistico
avrebbe
speso
molte
pagine
per
descriverci
gli
orrori
di
quell
'
hotel
Lux
dove
a
migliaia
di
uomini
furono
inflitte
mostruose
torture
per
ottenere
confessioni
di
inesistenti
congiure
,
autoaccuse
,
delazioni
;
dove
quella
«
historia
generai
de
la
infamia
»
progettata
dal
Borges
ha
scritto
una
delle
sue
vette
più
ingloriose
.
Tre
o
quattro
pagine
sole
,
plumbee
,
dure
,
senza
un
filo
di
commozione
,
ma
proprio
per
questo
tanto
più
dure
nel
giudizio
.
Ne
sanno
qualcosa
i
giovanissimi
russi
di
oggi
?
Bettiza
è
incline
a
credere
che
non
ne
sappiano
nulla
,
o
meglio
che
non
vogliano
saperne
nulla
.
D
'
altronde
,
chi
è
meglio
qualificato
a
descrivere
i
grandi
eventi
della
storia
?
Chi
li
ha
vissuti
o
colui
che
li
osserva
da
lontano
,
col
cannocchiale
,
esperto
del
prima
e
del
poi
,
delle
cause
e
delle
conseguenze
?
Il
non
comprendere
,
il
non
voler
comprendere
ciò
che
ci
sta
davanti
agli
occhi
non
è
specifico
della
mentalità
slava
,
sebbene
l
'
immensa
costellazione
sovietica
,
tanto
diversa
nelle
sue
componenti
,
abbia
avuto
un
comune
destino
:
quello
di
saltare
a
piè
pari
almeno
un
secolo
passando
da
un
'
autocrazia
feudale
a
un
tipo
di
collettivismo
anche
più
accentratore
,
non
certo
previsto
da
Marx
che
mai
nascose
la
sua
antipatia
per
il
mondo
russo
.
Né
credo
che
in
Marx
agisse
quell
'
ambivalenza
che
Bettiza
ha
posto
in
luce
con
tanta
precisione
.
Fabrizio
del
Dongo
non
si
rese
conto
di
essere
coinvolto
nella
battaglia
di
Waterloo
così
come
molti
tedeschi
e
molti
italiani
non
videro
ciò
che
stava
accadendo
sotto
i
loro
occhi
.
La
storia
che
non
si
ripete
mai
,
in
questo
si
ripete
sempre
.
Vede
chi
vuole
e
pochi
sono
nella
condizione
di
volere
.
E
sono
certo
che
anche
in
Russia
la
pietà
è
di
gran
lunga
più
forte
della
ferocia
.
Un
luogo
comune
,
accettato
da
tutti
coloro
che
conoscono
la
grande
letteratura
russa
,
è
che
in
quei
paesi
sia
vivo
e
ineliminabile
il
sentimento
religioso
.
Su
questo
punto
la
testimonianza
di
Bettiza
non
suona
discorde
.
Nella
Russia
d
'
oggi
la
religiosità
non
è
solo
fuoco
sotto
la
cenere
ma
assume
anche
forme
spettacolari
:
non
tali
però
da
mettere
in
causa
la
solidità
del
regime
.
Non
c
'
è
grande
differenza
tra
quelli
che
ascoltano
in
massa
le
poesie
di
chitarristi
stipendiati
dallo
Stato
e
coloro
che
affollano
le
cerimonie
della
Chiesa
ortodossa
e
i
culti
non
certo
clandestini
della
seconda
Chiesa
russa
,
riconosciuta
dallo
Stato
,
quella
dei
Vecchi
Credenti
,
non
riconosciuta
dall
'
Ortodossia
.
Pare
che
all
'
origine
di
questo
scisma
tardo
-
seicentesco
sia
un
diverso
modo
di
farsi
il
segno
della
croce
.
Con
tre
dita
o
con
due
(
a
pizzico
)
?
Poi
sorsero
altre
divergenze
dottrinali
che
ignoro
.
I
Vecchi
Credenti
sono
milioni
,
hanno
le
loro
chiese
,
i
loro
preti
,
una
loro
organizzazione
.
E
come
ho
già
detto
anche
l
'
orrendo
teschio
di
Lenin
esercita
una
morbosa
attrazione
mistica
sui
visitatori
che
sostano
in
fila
per
essere
ammessi
alla
beatitudine
.
Lo
spettacolo
dev
'
essere
allucinante
.
Non
è
affatto
prevedibile
una
futura
mummificazione
di
Kruscev
.
Non
lo
era
neppure
nel
'6l'62
,
quando
Bettiza
scriveva
questo
suo
diario
.
La
prova
secca
,
precisa
,
lineare
di
Bettiza
non
è
quella
del
journal
,
non
consente
citazioni
,
estrapolazioni
.
Non
vuol
essere
«
prosa
d
'
arte
»
nel
significato
più
dubbio
della
parola
.
D
'
altronde
Bettiza
considera
questo
libro
e
i
suoi
precedenti
(
tra
gli
altri
quel
Fantasma
di
Trieste
che
fu
tradotto
in
molte
lingue
)
come
il
materiale
che
dovrebbe
confluire
in
un
futuro
romanzo
mitteleuropeo
,
globale
,
sinfonico
,
«
completamente
distaccato
dagli
umori
passeggeri
dello
scrittore
»
.
Ardua
impresa
in
un
tempo
nel
quale
arte
e
scienza
tendono
piuttosto
al
micro
che
al
macroscopico
.
Ma
non
è
lecito
porre
limiti
alle
giuste
ambizioni
di
uno
scrittore
tanto
dotato
.
Può
darsi
che
un
giorno
egli
si
avveda
che
il
Diario
di
Mosca
e
quelli
che
eventualmente
seguiranno
sono
già
il
romanzo
ch
'
egli
,
in
astratto
,
vagheggiava
.
Un
romanzo
che
ha
un
solo
personaggio
:
l
'
uomo
,
il
Singolo
di
fronte
alla
Moltitudine
.
La
scomparsa
del
singolo
sarebbe
la
fine
dell
'
avventura
umana
;
e
di
questo
la
provvidenza
ci
ha
dato
già
qualche
annuncio
ma
non
la
sentenza
definitiva
.
Può
darsi
che
ce
la
risparmi
,
anche
se
non
l
'
abbiamo
meritato
.
StampaQuotidiana ,
Vivo
a
Milano
dal
1948;
avevo
allora
cinquantadue
anni
.
Perché
ho
scelto
Milano
a
preferenza
d
'
altre
città
?
Molti
amici
,
quando
vado
a
Roma
o
altrove
,
me
lo
chiedono
,
tra
stupiti
e
scandalizzati
.
E
la
mia
risposta
è
sempre
la
stessa
:
perché
a
Milano
ho
trovato
un
posto
di
lavoro
soddisfacente
.
Ma
gli
amici
non
si
arrendono
e
obiettano
:
che
ne
è
del
clima
o
meglio
dell
'
habitat
intellettuale
della
città
?
Non
è
forse
vero
che
l
'
incomunicazione
di
massa
ha
qui
toccato
uno
dei
suoi
vertici
?
E
a
questo
punto
la
mia
risposta
è
sempre
la
stessa
:
1°
)
l
'
incomunicazione
di
massa
può
essere
molto
favorevole
a
uno
scrittore
o
artista
che
non
sia
eterodiretto
,
che
non
dipenda
dagli
alti
e
bassi
della
moda
culturale
;
mentre
sarebbe
disastrosa
per
quei
titani
dell
'
aggiornamento
porno
-
sociologico
che
contestano
«
il
sistema
»
ritraendone
lauti
vantaggi
;
2°
)
anche
mettendo
da
parte
ciò
che
Milano
e
la
Lombardia
rappresentano
nella
vita
economica
del
nostro
Paese
,
anche
se
ci
scordiamo
per
un
momento
la
meravigliosa
stagione
del
romanticismo
lombardo
possiamo
tranquillamente
affermare
che
gli
anni
della
scapigliatura
e
del
primo
naturalismo
hanno
fatto
di
Milano
una
città
civilissima
e
culturalmente
importante
.
Sì
,
hanno
fatto
:
ma
ora
?
Io
posso
riferire
due
episodi
diversissimi
,
ma
forse
significativi
.
Nel
1926
incontrai
a
Milano
Italo
Svevo
,
di
cui
conoscevo
solo
l
'
opera
e
la
fotografia
.
Mi
feci
coraggio
,
mi
presentai
e
lo
condussi
subito
in
via
Borgospesso
,
al
«
Convegno
»
.
Vi
trovai
alcuni
scrittori
ben
lieti
di
rendere
omaggio
al
loro
più
anziano
collega
.
Enzo
Ferrieri
,
naturalmente
,
Carlo
Linati
,
Eugenio
Levi
,
Alessandro
Pellegrini
ed
altri
ancora
.
Qualche
mese
dopo
Svevo
tornò
al
«
Convegno
»
per
leggere
una
sua
conferenza
su
Joyce
:
fu
un
avvenimento
che
oggi
non
potrebbe
ripetersi
.
Secondo
episodio
,
trent
'
anni
dopo
.
Nel
1956
si
dette
alla
Scala
un
dramma
lirico
di
sir
William
Walton
,
Troilo
e
Cressida
.
Io
ero
il
traduttore
del
bellissimo
libretto
.
Musicalmente
,
la
partitura
era
elegantissima
,
la
parte
vocale
non
facile
.
Lo
feci
notare
a
Victor
de
Sabata
,
il
quale
sorrise
e
mi
disse
che
la
Scala
sapeva
il
fatto
suo
.
De
Sabata
,
grande
direttore
d
'
orchestra
,
era
notoriamente
incapace
di
mettere
insieme
un
cast
.
Il
risultato
fu
disastroso
:
l
'
opera
,
eseguita
da
artisti
di
terz
'
ordine
,
finì
tra
fischi
assordanti
.
Alla
fine
dello
spettacolo
né
il
Sovrintendente
,
né
il
De
Sabata
,
né
il
direttore
d
'
orchestra
si
fecero
vedere
dall
'
autore
.
Faceva
freddo
,
nevicava
.
Accompagnai
Walton
sguazzando
nella
neve
e
nelle
pozzanghere
.
Lui
era
tranquillo
,
io
pieno
di
vergogna
.
Nonostante
il
freddo
,
la
nebbia
e
lo
smog
Milano
ha
o
avrebbe
tutto
ciò
che
occorre
per
essere
un
'
importante
città
d
'
arte
e
di
cultura
.
Ha
molte
opere
d
'
arte
,
musei
,
biblioteche
(
eccellente
la
Biblioteca
comunale
)
,
alcune
università
;
possiede
due
grandi
orchestre
,
parecchie
istituzioni
musicali
,
è
sede
dei
maggiori
editori
italiani
,
i
suoi
giornali
e
rotocalchi
raggiungono
alte
tirature
.
Ogni
sera
vi
si
tengono
decine
di
conferenze
e
dibattiti
,
il
Piccolo
Teatro
ha
ottenuto
successi
internazionali
,
la
Scala
fa
quel
che
può
(
meno
di
quel
che
potrebbe
)
per
sopravvivere
,
la
direzione
locale
della
Rai
-
TV
compie
lodevoli
sforzi
,
ma
non
si
è
mai
riusciti
a
dare
alla
città
un
decente
museo
d
'
arte
moderna
.
Tuttavia
la
somma
di
simili
meriti
e
demeriti
è
ben
lontana
dal
dare
un
risultato
positivo
.
Non
mancano
le
apparecchiature
e
i
mezzi
,
è
invece
assente
la
volontà
di
coordinare
gli
strumenti
a
disposizione
e
di
dare
al
pubblico
,
anche
al
pubblico
dei
meno
abbienti
,
quei
«
servizi
»
ch
'
esso
avrebbe
il
diritto
di
pretendere
.
Che
Milano
sia
stata
sempre
una
città
sorda
all
'
intelligenza
non
può
dirsi
in
alcun
modo
.
Anche
senza
essere
un
longobardista
(
com
'
era
il
compianto
Bognetti
)
e
nemmeno
un
lombardista
(
com
'
è
il
valentissimo
Dante
Isella
)
io
so
quanto
Milano
abbia
contato
nella
storia
dell
'
intelligenza
italiana
.
Lo
so
per
averlo
letto
nei
libri
,
non
lo
so
affatto
per
mie
recenti
esperienze
personali
.
Tra
il
'25
e
il
'30
io
venivo
a
Milano
come
si
va
alla
Mecca
:
per
rendere
il
mio
tributo
a
una
città
d
'
eccezione
.
Ma
se
debbo
prescindere
dall
'
enorme
importanza
che
Milano
ha
nel
campo
dell
'
industria
e
dell
'
economia
,
io
amo
questa
città
per
l
'
innegabile
senso
civico
dei
suoi
abitanti
,
l
'
amo
perché
vivendoci
riesco
quasi
a
dimenticarmi
di
essere
in
Italia
(
e
non
è
dir
poco
)
,
l
'
amo
perché
qui
il
sottobosco
politico
e
pseudo
culturale
fa
poca
presa
,
l
'
amo
perché
i
miei
amici
A
B
C
...
Z
non
potrebbero
viverci
e
prosperare
,
l
'
amo
perché
qui
si
può
vivere
senza
vedere
nessuno
,
senza
essere
coinvolto
in
qualsiasi
indecoroso
intrallazzo
mondano
,
senza
vergognarmi
di
essere
al
mondo
,
l
'
amo
con
tutto
il
cuore
ma
non
riesco
ad
amarla
per
la
souplesse
,
l
'
agilità
e
l
'
acume
della
sua
intelligenza
.
Dipenderà
dai
cittadini
di
Milano
un
futuro
e
imprevedibile
mutamento
del
volto
,
del
carattere
della
città
?
Certamente
,
ma
non
dai
suoi
uomini
d
'
oggi
.
Milano
è
una
città
buona
,
ma
non
è
una
città
interessante
.
Gli
stranieri
vengono
qui
per
ragioni
d
'
affari
,
ma
ben
pochi
viaggiatori
sentimentali
(
nel
senso
reso
tradizionale
da
Sterne
)
vengono
a
stabilirvisi
.
Milano
potrà
dunque
,
anzi
dovrà
,
diventare
una
città
di
cultura
rinunziando
(
et
pour
cause
)
a
quanto
non
ha
di
congeniale
:
il
colore
locale
,
la
cattiva
reputazione
,
lo
scandalo
,
la
moda
.
Sarà
possibile
?
Tutto
dipenderà
dai
suoi
uomini
di
domani
.
Se
i
giovani
d
'
oggi
si
tagliassero
la
barba
e
imparassero
a
studiare
senza
far
credito
alle
molte
università
che
vi
sorgeranno
,
numerose
come
i
funghi
,
allora
Milano
potrebbe
acquistare
quella
dimensione
morale
e
culturale
che
altre
città
italiane
,
malgrado
l
'
infuriare
delle
discordie
politiche
,
hanno
saputo
in
qualche
modo
difendere
.
Ricordiamo
però
che
la
cultura
non
si
fabbrica
,
nasce
da
sé
quando
è
giunto
il
momento
propizio
.
E
il
momento
stesso
è
una
grazia
che
bisogna
meritare
.
StampaQuotidiana ,
L
'
uomo
alienato
,
anzi
reificato
come
si
dice
oggi
,
ridotto
a
cosa
e
non
più
individuo
,
è
veramente
infelice
per
la
condizione
in
cui
è
venuto
a
trovarsi
?
Il
problema
è
certamente
mal
posto
perché
dell
'
uomo
libero
,
non
condizionato
che
da
se
stesso
,
la
storia
non
offre
esempi
;
ma
se
vogliamo
ammettere
ch
'
esso
esista
e
sia
anzi
il
problema
d
'
oggi
si
deve
escludere
che
psicologi
sociologi
e
ah
nettali
specialisti
dell
'
uomo
-
uomo
e
dell
'
uomo
-
formica
siano
i
più
idonei
a
risolverlo
.
Gli
artisti
invece
hanno
qualcosa
da
dire
in
proposito
perché
la
loro
vocazione
-
e
più
nell
'
ultimo
secolo
,
da
quando
sono
sorti
verismo
,
naturalismo
e
altre
scuole
affini
-
sembra
essere
quella
di
denunciare
l
'
universale
infelicità
umana
.
Non
sono
però
concordi
nella
prognosi
e
tanto
meno
nella
diagnosi
.
L
'
infelicità
dell
'
uomo
è
costitutiva
,
originaria
oppure
è
l
'
effetto
dei
«
sistemi
»
sociali
sinora
sperimentati
?
Gli
artisti
così
detti
engagés
propendono
per
questa
seconda
ipotesi
ma
sanno
benissimo
che
l
'
utopia
della
città
Felice
non
fu
e
mai
sarà
attuabile
.
Altri
invece
accettano
l
'
infelicità
come
la
sola
possibile
fonte
di
ispirazione
.
L
'
arte
sarebbe
la
vita
di
chi
non
vive
.
E
difficile
immaginare
che
un
uomo
felice
,
un
uomo
«
riuscito
»
,
rinunci
alla
sua
presente
felicità
per
crearsi
una
soddisfazione
post
mortem
scrivendo
opere
letterarie
di
non
probabile
sopravvivenza
.
Non
mancano
,
sono
anzi
numerosi
,
gli
scrittori
che
pur
non
essendo
impegnati
nella
contestazione
socio
-
politica
sentono
il
bisogno
di
giustificare
il
no
da
essi
opposto
alla
vita
dell
'
uomo
d
'
oggi
.
Tra
questi
,
e
tra
i
più
giovani
,
particolarmente
interessante
è
Goffredo
Parise
.
Il
suo
no
non
è
a
senso
unico
:
nel
suo
ultimo
libro
Il
crematorio
di
Vienna
(
Feltrinelli
)
l
'
accusa
non
è
rivolta
alla
vita
intesa
come
istituzione
,
bensì
alla
civiltà
consumistica
,
che
è
la
sua
bestia
nera
,
non
certo
l
'
unica
.
Lo
sguardo
di
Parise
è
stato
sempre
quello
di
un
antropologo
che
abbia
il
capolavoro
di
Darwin
come
livre
de
chevet
.
Non
tanto
lo
interessa
l
'
uomo
come
animale
privilegiato
(
che
pensa
e
modifica
a
piacer
suo
o
distrugge
la
sua
vita
)
quanto
l
'
uomo
animalesco
tout
court
che
continua
a
mostrarsi
nell
'
attuale
uomo
civile
ed
economico
.
Non
so
se
Parise
si
faccia
illusioni
su
ciò
che
potrebbe
essere
l
'
uomo
allo
stato
di
natura
,
il
buon
selvaggio
.
In
ogni
modo
è
la
vita
primordiale
quella
che
attrae
la
sua
attenzione
;
ed
è
per
questo
che
in
un
libro
di
tinte
uniformi
,
volutamente
composto
sullo
schema
di
«
tema
e
variazioni
»
(
una
trentina
di
pezzi
numerati
senza
titoli
)
si
può
trovare
ad
apertura
di
pagina
una
frase
come
questa
:
O
pesci
!
,
in
amore
muto
e
natante
,
in
seminagione
stagionale
,
la
vostra
tecnocrazia
o
sistematica
riproduttiva
non
conosce
le
belle
regole
della
dialettica
:
fate
e
basta
.
Non
conoscete
,
beati
voi
,
la
didattica
delle
convenzioni
ideologiche
(...)
o
pesci
,
fate
,
guizzate
con
l
'
occhio
non
cosciente
,
privo
di
quel
miraggio
,
verso
non
tecnici
miraggi
:
il
vermetto
,
magari
traditore
,
la
libellula
,
il
pesce
femmina
,
gli
infiniti
e
gioiosi
misteri
di
quel
grande
Luna
Park
subacqueo
che
è
la
vita
ittica
,
ottusi
ai
ragionamenti
,
alla
presenza
,
alla
bella
presenza
con
cappello
grigio
,
guanti
grigi
,
soprabito
grigio
dei
marciatori
dall
'
universale
bella
presenza
,
delle
confezioni
,
dei
prodotti
di
bellezza
per
uomo
,
o
pesci
!
Non
dico
che
questo
sia
un
bellissimo
squarcio
di
prosa
;
ma
a
chi
non
conoscesse
Parise
potrebbe
servire
per
comprendere
tanti
altri
motivi
di
lui
.
Il
tema
che
prevale
nel
Crematorio
trovava
già
nel
Padrone
(
il
più
fortunato
romanzo
di
Parise
)
due
personaggi
ancora
individuabili
da
un
punto
di
vista
che
diremmo
vagamente
naturalistico
:
il
padrone
Max
,
pianta
carnivora
che
risucchia
un
suo
dipendente
:
il
quale
,
a
conti
fatti
,
accetta
una
situazione
a
lui
non
del
tutto
sfavorevole
.
Il
motivo
del
consumo
,
della
quasi
perfetta
simbiosi
tra
il
consumante
e
il
consumatore
e
il
consumato
,
dava
luogo
a
un
grottesco
di
forte
interesse
narrativo
.
Qui
invece
,
nel
Crematorio
,
i
personaggi
pure
restando
anonimi
(
portano
soltanto
un
nome
che
è
una
lettera
dell
'
alfabeto
)
vivono
in
ambienti
ben
definiti
,
hanno
caratteri
fisici
e
psicologici
accettabili
ma
perdono
alquanto
in
credibilità
.
Altro
è
trovarsi
nella
condizione
di
robot
,
altro
sapere
di
esserlo
.
Le
figure
di
questo
défilé
pensano
e
riflettono
sulla
loro
condizione
con
una
straordinaria
consapevolezza
,
ciò
che
nella
vita
quasi
mai
accade
.
Nella
vita
l
'
infelicità
non
è
di
entrare
nel
circolo
produttore
-
prodotto
ma
nell
'
uscirne
.
Non
è
psicologicamente
vero
che
l
'
uomo
desideri
la
libertà
:
è
vero
però
ch
'
egli
deve
illudersi
di
desiderarla
.
Solo
in
rari
esempi
la
paranoia
si
affaccia
nei
personaggi
monologanti
di
Parise
.
Tale
è
il
caso
dell
'
uomo
che
uccide
molte
persone
senza
alcun
proposito
criminale
,
ma
per
darsi
prova
della
propria
abilità
nel
tiro
a
segno
.
Ma
in
casi
analoghi
,
e
assai
meno
cruenti
,
il
tema
del
rapporto
tra
divoratore
e
divorato
è
quasi
nascosto
e
si
crea
allora
una
situazione
veramente
poetica
restando
nascosta
la
nuda
e
cruda
motivazione
.
Tale
la
storia
dell
'
innominato
signore
che
vede
in
bianco
e
nero
la
sua
casa
,
la
sua
famiglia
e
se
stesso
,
mentre
ogni
altro
«
esterno
»
conserva
vividi
colori
.
Si
ha
qui
il
tema
dell
'
usura
,
ben
diverso
da
quello
dell
'
uomo
strumentalizzato
.
Là
dove
,
invece
,
prevale
un
implacabile
j
'
accuse
,
una
requisitoria
contro
la
robottizzazione
dell
'
individuo
,
l
'
ossessiva
iterazione
del
motivo
perde
in
efficacia
e
lascia
alquanto
incredulo
il
lettore
-
consumatore
.
Perché
alla
fin
dei
conti
il
paradosso
di
Parise
e
di
tutti
gli
anticonsumisti
(
anch
'
io
ho
peccato
in
questo
senso
in
miei
vecchi
scritti
non
narrativi
)
è
ch
'
essi
stessi
sono
professionali
produttori
e
avidi
consumatori
di
merce
culturale
.
Si
tratta
di
una
contraddizione
di
fondo
presente
in
tutta
la
letteratura
d
'
oggi
.
Contraddizione
più
apparente
che
reale
perché
non
si
può
uccidere
,
artisticamente
,
la
vita
senza
una
forte
carica
di
amor
vitae
.
Questa
volontà
di
vivere
è
sempre
stata
presente
in
tutti
i
libri
di
Parise
e
nei
suoi
reportages
giornalistici
.
Nel
suo
ultimo
libro
essa
sembra
quasi
espunta
come
una
imperdonabile
debolezza
.
Ciò
non
toglie
che
quand
'
essa
trapela
Parise
riacquisti
tutta
la
sua
forza
.