StampaQuotidiana ,
La
frequenza
con
cui
ricorre
nel
linguaggio
politico
quotidiano
l
'
espressione
«
patto
sociale
»
merita
qualche
riflessione
.
L
'
idea
che
lo
Stato
sia
derivato
da
un
patto
degl
'
individui
che
lo
compongono
e
lo
hanno
istituito
per
rendere
possibile
una
convivenza
stabile
e
pacifica
risale
agli
antichi
,
ed
è
diventata
dominante
nell
'
età
moderna
attraverso
le
dottrine
cosiddette
«
contrattualistiche
»
.
Ma
queste
dottrine
,
da
Hobbes
a
Kant
,
hanno
concepito
il
«
contratto
sociale
»
come
una
specie
di
«
fiat
»
divino
,
un
atto
di
creazione
e
di
fondazione
,
che
si
esaurisce
nel
momento
stesso
in
cui
nasce
la
sua
creatura
,
lo
Stato
.
Una
volta
costituito
,
lo
Stato
si
erge
al
di
sopra
degli
individui
che
gli
hanno
dato
vita
con
il
loro
accordo
,
e
la
sua
volontà
si
esprime
d
'
ora
innanzi
in
forma
di
legge
,
cioè
di
comando
al
di
sopra
delle
parti
.
Come
modo
di
prendere
decisioni
comuni
,
il
contratto
viene
degradato
a
istituto
del
diritto
privato
,
di
un
diritto
che
,
usciti
gl
'
individui
dallo
stato
di
natura
,
riceve
legittimità
ed
efficacia
dal
riconoscimento
dello
Stato
.
Tutt
'
al
più
,
se
lo
Stato
nato
da
quell
'
accordo
è
uno
Stato
democratico
,
uno
Stato
il
cui
fondamento
di
legittimità
risiede
nel
consenso
,
il
contratto
iniziale
deve
essere
periodicamente
rinnovato
attraverso
libere
elezioni
dell
'
organo
o
degli
organi
principali
cui
è
attribuito
il
potere
di
prendere
decisioni
vincolanti
per
tutta
la
collettività
.
In
questo
modello
ideale
i
soggetti
principali
del
rapporto
politico
sono
,
da
un
lato
,
gl
'
individui
singoli
che
decidono
di
istituire
lo
Stato
,
dall
'
altro
il
sovrano
che
secondo
le
diverse
interpretazioni
del
contratto
sociale
è
,
o
egli
stesso
una
delle
parti
contraenti
,
oppure
un
terzo
a
favore
del
quale
il
contratto
viene
stipulato
dagli
individui
desiderosi
di
uscire
dallo
stato
di
natura
.
Non
c
'
è
posto
in
questo
modello
per
i
corpi
intermedi
,
i
gruppi
sociali
,
le
corporazioni
,
insomma
per
le
società
particolari
,
che
stanno
in
mezzo
fra
i
singoli
e
la
società
globale
(
la
società
politica
o
civile
,
della
tradizione
)
.
O
per
lo
meno
esse
non
svolgono
la
parte
del
protagonista
nella
formazione
dello
Stato
.
Stanno
dentro
allo
Stato
,
come
del
resto
gl
'
individui
dopo
che
lo
Stato
è
istituito
,
ma
,
a
differenza
degli
individui
,
non
hanno
contribuito
a
formarlo
,
né
sono
chiamati
a
dare
a
esso
una
periodica
legittimazione
.
Quando
oggi
si
parla
di
«
patto
sociale
»
,
ci
si
riferisce
invece
a
una
forma
di
rapporto
politico
in
cui
i
protagonisti
sono
proprio
quei
corpi
intermedi
di
cui
la
dottrina
tradizionale
del
contratto
sociale
aveva
ritenuto
di
potere
non
tener
conto
.
Che
cosa
è
successo
?
È
toccata
anche
al
modello
astratto
del
contratto
sociale
la
sorte
di
tutti
i
modelli
astratti
:
la
realtà
il
più
delle
volte
li
ignora
e
procede
per
conto
suo
.
Ciò
che
caratterizza
le
moderne
società
industriali
e
democratiche
sono
la
molteplicità
,
la
varietà
,
l
'
influenza
,
delle
società
particolari
in
permanente
conflitto
fra
di
loro
.
Non
a
caso
vengono
chiamate
con
una
connotazione
ormai
ricorrente
«
pluralistiche
»
,
o
«
poliarchiche
»
.
Che
vuol
dire
:
a
più
centri
di
potere
.
Le
forze
sociali
(
intendi
i
sindacati
)
e
le
forze
politiche
(
intendi
i
partiti
)
,
che
appaiono
continuamente
sulla
scena
politica
come
gli
attori
principali
,
non
sono
né
gl
'
individui
né
lo
Stato
nel
suo
complesso
,
i
due
protagonisti
del
rapporto
politico
secondo
il
modello
tradizionale
.
Sono
le
società
particolari
che
la
dottrina
tradizionale
aveva
espunto
dal
proprio
modello
.
Recentemente
è
uscito
in
traduzione
italiana
(
con
introduzione
di
Angelo
Scivoletto
)
un
libro
ben
noto
agli
studiosi
,
Poliarchia
,
di
Robert
Dahl
(
Franco
Angeli
editore
,
Milano
1980
)
.
Secondo
Dahl
,
la
caratteristica
saliente
delle
poliarchie
è
,
oltre
l
'
estensione
della
partecipazione
popolare
,
la
presenza
di
una
forte
competitività
.
Ma
questa
caratteristica
non
sarebbe
completa
se
non
si
aggiungesse
che
i
soggetti
attivi
,
rilevanti
,
determinanti
,
della
competizione
,
non
sono
gl
'
individui
.
Sono
enti
collettivi
:
o
grandi
gruppi
organizzati
,
come
i
sindacati
e
i
partiti
,
oppure
grandi
organizzazioni
,
come
le
imprese
(
non
importa
se
private
,
pubbliche
o
semipubbliche
)
.
Più
che
una
società
non
egemonica
,
come
la
definisce
Dahl
,
la
nostra
società
poliarchica
è
contrassegnata
dall
'
esistenza
di
più
gruppi
tendenzialmente
egemoni
in
concorrenza
fra
loro
.
Partendo
dalla
concezione
monistica
dello
Stato
,
che
ha
accompagnato
la
formazione
dello
Stato
moderno
,
costruito
idealmente
come
antitesi
alla
società
medievale
,
si
è
spesso
manifestata
una
tendenza
a
considerare
lo
Stato
unitario
come
modello
ideale
anche
per
la
società
internazionale
.
Se
pure
con
una
certa
forzatura
,
mi
pare
si
possa
dire
che
nella
realtà
è
avvenuto
il
processo
inverso
.
Lo
Stato
poliarchico
contemporaneo
assomiglia
sempre
più
alla
società
internazionale
,
disarticolato
com
'
è
in
tanti
potentati
quasi
sovrani
,
la
cui
competizione
trova
soluzioni
provvisorie
(
tregue
,
non
paci
)
attraverso
laboriosi
e
spesso
lunghi
negoziati
,
che
finiscono
in
accordi
,
come
sono
i
contratti
collettivi
fra
le
forze
sociali
,
o
le
coalizioni
fra
le
forze
politiche
(
si
badi
,
«
coalizione
»
è
un
termine
proprio
del
diritto
internazionale
)
,
sottoposti
,
gli
uni
e
le
altre
,
alla
clausola
di
validità
a
parità
di
condizioni
(
che
corrisponde
al
«
rebus
sic
stantibus
»
dei
trattati
internazionali
)
.
Da
questa
constatazione
discendono
alcune
conseguenze
destinate
a
mutare
l
'
immagine
ideale
dello
Stato
moderno
.
Ne
indico
tre
.
Come
possiamo
osservare
ogni
giorno
,
in
una
situazione
di
forte
competitività
fra
gruppi
potenti
,
il
governo
o
agisce
egli
stesso
come
parte
in
causa
,
oppure
svolge
la
propria
azione
come
mediatore
delle
parti
in
conflitto
e
alla
fine
come
garante
(
spesso
impotente
)
dell
'
accordo
intervenuto
.
In
nessuno
dei
due
casi
la
sua
azione
rispecchia
l
'
immagine
tramandata
per
secoli
del
potere
statale
come
potere
sovrano
.
In
contrasto
col
mito
del
governo
forte
si
va
formulando
l
'
ipotesi
del
governo
debole
,
la
cui
debolezza
non
è
patologica
ma
fisiologica
.
Il
principio
della
supremazia
della
legge
richiede
in
una
società
democratica
il
rispetto
della
regola
della
maggioranza
,
espediente
tecnico
indispensabile
dove
coloro
che
debbono
prendere
una
decisione
sono
molti
,
in
una
situazione
in
cui
,
se
fosse
richiesta
l
'
unanimità
,
la
decisione
sarebbe
praticamente
impossibile
.
Al
contrario
,
la
soluzione
di
un
conflitto
mediante
accordo
rappresenta
una
decisione
presa
all
'
unanimità
,
in
quanto
è
valida
solo
se
è
accettata
da
entrambe
le
parti
.
Come
tale
,
è
possibile
soltanto
là
dove
i
contraenti
sono
due
o
poco
più
.
Ma
là
dove
i
contraenti
sono
due
o
poco
più
,
è
segno
che
i
singoli
individui
sono
esautorati
,
non
contano
nulla
(
gli
unici
individui
che
entrano
in
scena
sono
i
leaders
dei
gruppi
)
.
Infine
,
una
società
poliarchica
è
una
società
a
equilibrio
instabile
,
che
deve
essere
continuamente
ricomposto
,
senza
che
vi
siano
regole
generali
,
accettate
da
tutti
,
per
questa
ricomposizione
.
Si
consideri
la
facilità
con
cui
si
fanno
e
disfanno
le
coalizioni
di
governo
(
lo
stesso
si
può
dire
dei
contratti
collettivi
)
.
Nella
teoria
politica
classica
,
il
tema
dell
'
equilibrio
si
riferiva
al
rapporto
interno
fra
i
tre
poteri
dello
Stato
,
dei
quali
nessuno
dovrebbe
prevaricare
sugli
altri
due
.
Oggi
il
problema
dell
'
equilibrio
di
cui
si
deve
preoccupare
una
teoria
politica
all
'
altezza
dei
tempi
è
quello
delle
parti
sociali
.
Ma
si
tratta
di
un
equilibrio
per
cui
non
sono
state
fissate
regole
costituzionali
e
vale
come
unico
principio
equilibratore
il
diritto
del
più
forte
.