StampaQuotidiana ,
C
'
è
qualcuno
che
ha
paragonato
la
mossa
americana
per
il
dollaro
alla
bomba
di
Nixon
per
la
Cina
.
Identiche
le
procedure
;
analoghe
le
reazioni
a
catena
,
appena
cominciate
ma
dagli
sviluppi
imprevedibili
.
Con
l
'
annuncio
della
visita
a
Pechino
,
il
presidente
degli
Stati
Uniti
poneva
fine
ad
un
'
epoca
,
l
'
epoca
degli
assetti
post
-
bellici
sul
piano
delle
relazioni
internazionali
,
l
'
epoca
di
Yalta
culminata
nell
'
equilibrio
del
terrore
atomico
,
reciprocamente
bilanciato
,
fra
Washington
e
Mosca
.
Con
la
sospensione
della
convertibilità
fra
dollaro
e
oro
,
allargata
ad
un
piano
neppure
troppo
dissimulato
di
protezione
dell
'
industria
americana
,
Nixon
liquida
la
politica
di
Bretton
Woods
,
che
aveva
affidato
al
dollaro
la
funzione
di
moneta
internazionale
di
riserva
,
e
prepara
la
detronizzazione
dell
'
oro
-
il
magico
Sovrano
tanto
caro
al
generale
De
Gaulle
-
delineando
un
ritorno
ad
un
sistema
di
rapporti
economici
che
avrà
ben
poco
a
che
fare
col
«
Kennedy
Round
»
e
con
tutti
i
giganteschi
sforzi
di
liberalizzazione
dei
mercati
mondiali
.
Non
si
può
negare
che
Nixon
sia
un
grosso
giocatore
di
poker
.
Con
l
'
apertura
alla
Cina
di
Mao
,
in
funzione
di
bilancia
verso
l
'
Unione
Sovietica
,
il
presidente
degli
Stati
Uniti
ha
messo
consapevolmente
in
crisi
tutto
il
sistema
delle
tradizionali
alleanze
americane
in
Asia
,
a
cominciare
dal
Giappone
e
senza
contare
Formosa
,
nella
speranza
,
che
attende
la
conferma
dei
fatti
,
di
un
nuovo
e
più
valido
equilibrio
inglobante
la
grande
«
realtà
Cina
»
.
È
una
sfida
,
da
cui
dipende
il
futuro
della
presidenza
Nixon
ma
non
solo
quello
.
Con
la
decisione
spregiudicata
e
realistica
sul
dollaro
,
a
parte
le
indiscutibili
motivazioni
tecniche
,
Nixon
ha
messo
in
difficoltà
le
economie
dei
paesi
alleati
od
amici
-
il
Giappone
per
l
'
Asia
,
la
Germania
di
Bonn
e
un
po
'
tutto
il
Mec
per
l
'
Europa
-
pur
di
creare
le
condizioni
volte
a
superare
la
crisi
del
dollaro
che
rischiava
di
riflettersi
,
coi
danni
congiunti
dell
'
inflazione
e
della
recessione
,
sul
tenore
di
vita
americano
.
Nessuno
ha
il
diritto
,
in
materia
,
di
scagliare
la
prima
pietra
.
La
Francia
gollista
e
post
-
gollista
,
che
da
dieci
anni
pratica
la
guerra
al
dollaro
-
appena
temperata
dal
sapiente
scetticismo
di
Pompidou
e
dal
sagace
realismo
di
Giscard
d
'
Estaing
-
è
l
'
ultimo
paese
che
può
levare
un
grido
di
protesta
contro
l
'
iniziativa
unilaterale
degli
Stati
Uniti
,
ispirata
a
quegli
stessi
criteri
di
patriottismo
ad
oltranza
che
fioriscono
sulle
rive
della
Senna
.
La
Germania
,
che
procedette
mesi
fa
alla
rivalutazione
del
marco
con
tranquilla
indifferenza
per
i
danni
che
ne
sarebbero
derivati
agli
Stati
Uniti
,
non
ha
neppure
essa
i
titoli
sufficienti
a
condannare
una
misura
che
nasce
da
una
crisi
obiettiva
in
campo
monetario
cui
Bonn
ha
contribuito
in
misura
determinante
.
La
realtà
è
quella
che
è
e
va
giudicata
col
massimo
di
freddezza
possibile
.
Il
dato
dell
'
interesse
nazionale
,
inteso
con
una
punta
di
pragmatismo
evocante
nostalgie
e
vibrazioni
isolazioniste
,
torna
a
prevalere
nella
politica
generale
non
meno
che
in
quella
economica
di
Nixon
:
conformemente
alle
scaturigini
repubblicane
della
sua
stessa
filosofia
politica
.
Il
filo
-
europeismo
,
non
esente
da
errori
e
da
ingenuità
,
dell
'
epoca
dei
democratici
rischia
di
diventare
un
ricordo
di
tempi
lontani
.
La
partnership
euro
-
americana
sognata
da
Kennedy
appartiene
al
libro
dei
sogni
,
e
per
di
più
dei
sogni
svaniti
.
Gli
Stati
Uniti
si
muovono
con
realismo
,
con
concretezza
,
con
una
difesa
puntuale
e
aderente
dei
loro
interessi
:
dalla
legge
Mills
,
che
danneggia
settori
delicati
dell
'
esportazione
europea
,
a
tutto
il
campo
delle
spese
militari
per
la
difesa
comune
,
un
campo
in
cui
Washington
denuncia
una
crescente
stanchezza
per
l
'
esclusivo
peso
gravante
sulle
sue
spalle
.
Il
«
pentapolarismo
»
,
adombrato
da
Nixon
,
significa
,
nella
mente
degli
americani
,
la
preparazione
ad
una
vera
,
e
non
retorica
,
assunzione
di
responsabilità
economiche
e
finanziarie
da
parte
delle
cinque
forze
,
inclusa
,
anzi
preminente
,
la
quarta
,
l
'
Europa
occidentale
.
Washington
è
stanca
di
fare
il
gendarme
del
mondo
,
magari
per
riceverne
in
cambio
fischi
e
improperi
;
la
fine
della
guerra
nel
Vietnam
implicherà
tutta
una
rielaborazione
,
e
revisione
,
e
riduzione
degli
impegni
americani
nel
mondo
(
non
si
riparla
forse
di
taglio
delle
forze
Usa
in
Europa
,
in
significativa
coincidenza
con
la
tempesta
monetaria
?
)
.
Sullo
sfondo
delle
misure
che
hanno
accompagnato
il
«
ridimensionamento
»
del
dollaro
,
a
cominciare
dal
pesante
tasso
del
dieci
per
cento
sulle
importazioni
,
non
manca
neppure
una
certa
preoccupazione
per
la
concorrenza
economica
e
finanziaria
che
il
«
quarto
grande
»
Europa
,
una
volta
costituito
sul
serio
,
potrebbe
finire
per
esercitare
nella
gara
per
i
mercati
mondiali
.
Ma
sarebbe
un
motivo
di
più
per
stimolare
l
'
Europa
,
l
'
Europa
comunitaria
nel
suo
insieme
,
ad
assumere
coscienza
dei
suoi
doveri
irrinunciabili
.
Non
c
'
è
più
il
solo
filo
diretto
fra
Cremlino
e
Casa
Bianca
;
l
'
ombrello
americano
non
può
bastare
;
il
giuoco
si
allarga
.
Mao
incita
l
'
Europa
a
farsi
forte
;
Ciu
En
-
lai
rivolgeva
di
recente
auguri
di
successo
e
di
sviluppo
al
Mercato
comune
.
Qual
è
stata
invece
la
risposta
della
Comunità
europea
?
Il
quadro
dell
'
ultima
riunione
di
Bruxelles
non
potrebbe
apparire
più
sconsolante
.
Un
'
altra
occasione
è
stata
perduta
;
un
'
altra
speranza
delusa
.
È
mancata
una
risposta
europea
all
'
America
:
base
per
ogni
futuro
negoziato
,
premessa
di
ogni
necessario
equilibrio
.
Il
contrasto
franco
-
tedesco
,
contenuto
sul
piano
politico
,
è
riesploso
su
quello
economico
.
Parigi
non
vuole
inchinarsi
alla
realtà
dell
'
economia
tedesca
in
via
di
continua
,
e
meritata
,
espansione
;
guarda
ad
un
primato
del
franco
,
e
ad
un
legame
con
l
'
oro
,
che
sono
fuori
della
realtà
.
La
linea
realistica
e
seria
seguita
dalla
delegazione
italiana
ci
assicura
che
tutte
le
speranze
di
un
ragionevole
compromesso
non
sono
perdute
,
per
la
prossima
sessione
di
Bruxelles
.
La
babele
monetaria
non
rappresenta
una
soluzione
:
con
alcuni
paesi
che
si
regolano
in
un
modo
,
altri
in
modo
diverso
od
opposto
.
Le
incognite
dell
'
anarchia
economica
sono
almeno
altrettanto
gravi
delle
rinnovate
minacce
di
protezionismo
e
di
barriere
economiche
proibitive
che
si
levano
su
un
mondo
alla
ricerca
disperata
di
più
larghe
solidarietà
.
Per
l
'
Italia
,
poi
,
non
c
'
è
da
scherzare
.
Il
nostro
sistema
economico
è
forse
il
più
esposto
ai
contraccolpi
di
una
lotta
commerciale
e
valutaria
condotta
senza
esclusione
di
colpi
.
La
guerra
che
da
qualche
parte
si
vorrebbe
muovere
alla
saggia
politica
del
governatore
Carli
-
presupposto
della
relativa
stabilità
monetaria
con
cui
abbiamo
affrontato
il
recente
ciclone
-
rientra
in
quel
clima
di
dilettantismo
in
cui
,
purtroppo
,
primeggiano
taluni
socialisti
di
casa
nostra
.
Sognatori
ancora
,
dopo
tante
delusioni
e
tante
crudeli
smentite
,
di
una
autarchia
incapace
di
resistere
alla
prima
difficoltà
.
Altro
che
l
'
eccessivo
accumulo
di
dollari
nelle
casse
della
Tesoreria
!
Non
manca
mai
una
nota
di
umorismo
nelle
crisi
più
difficili
.