StampaQuotidiana ,
Nella
maggior
parte
dei
paesi
dell
'
Est
non
c
'
è
stato
solo
un
crollo
del
sistema
politico
,
la
società
stessa
è
esplosa
.
Il
post
-
comunismo
non
è
ancora
riuscito
a
"
raggiungere
"
i
regimi
che
si
dicevano
comunisti
(
livello
di
vita
e
di
produzione
,
diversi
tipi
di
scambi
,
economici
e
culturali
,
sicurezza
sociale
,
ecc
)
.
Questa
considerazione
non
ha
lo
scopo
di
riabilitare
le
pratiche
del
comunismo
stalinista
(
ovvero
del
"
socialismo
reale
"
)
e
neppure
di
giustificare
qualsiasi
forma
di
ciò
che
viene
chiamato
,
in
modo
poco
preciso
e
troppo
generico
,
il
post
-
comunismo
.
Certi
fenomeni
che
ci
riproponiamo
di
evocare
si
riscontrano
ben
al
di
là
dell
'
"
Altra
Europa
"
.
Quello
che
succede
oggi
nel
Kosovo
,
che
è
accaduto
ieri
in
Bosnia
,
può
riprodursi
in
vari
altri
luoghi
.
Nell
'
Est
dell
'
Europa
-
e
analogamente
in
molti
punti
della
costa
mediterranea
e
del
suo
entroterra
-
le
transizioni
durano
molto
più
a
lungo
del
previsto
.
Riescono
soltanto
eccezionalmente
a
diventare
vere
trasformazioni
,
e
,
quando
ci
riescono
,
i
risultati
sembrano
spesso
desolanti
,
talvolta
tragici
.
Abbiamo
potuto
constatarlo
nei
paesi
che
furono
sottomessi
all
'
Urss
e
anche
in
ex
-
Jugoslavia
,
in
Albania
e
altrove
-
nel
Sud
del
Mediterraneo
,
non
solo
in
Algeria
.
Il
cattivo
odore
dell
'
ancien
régime
ristagna
ancora
in
molte
aree
del
nostro
continente
e
fuori
di
esso
.
Un
'
atmosfera
avariata
si
diffonde
sul
litorale
mediterraneo
,
da
Levante
a
Ponente
.
L
'
Unione
europea
si
preoccupa
poco
del
suo
proprio
Sud
e
dello
stesso
Mediterraneo
:
dalle
sue
rive
molti
constatano
,
con
amarezza
,
che
si
sta
costruendo
"
un
'
Europa
senza
la
culla
dell
'
Europa
"
.
Sugli
spazi
molto
estesi
di
un
"
mondo
ex
"
,
ci
si
confronta
con
una
realtà
che
sembra
già
compiuta
pur
senza
concludersi
.
è
una
situazione
difficile
da
sopportare
e
dalla
quale
non
ci
si
riesce
facilmente
ad
affrancare
.
"
Paludismo
morale
e
sociale
nello
stesso
tempo
"
,
sarebbe
una
diagnosi
abbastanza
approssimativa
di
questo
stato
d
'
animo
.
Molti
becchini
si
danno
invano
da
fare
,
senza
riuscire
a
sbarazzarsi
delle
spoglie
.
è
un
ruolo
tutt
'
altro
che
gradevole
.
Più
di
un
regime
proclama
in
modo
ostentato
la
democrazia
senza
pervenire
a
fornirne
un
'
apparenza
un
poco
credibile
:
tra
passato
e
presente
si
determina
uno
iato
,
tra
presente
e
avvenire
l
'
ibrido
incontro
tra
un
auspicio
di
emancipazione
e
un
residuo
di
assoggettamento
.
Da
più
di
sette
anni
,
io
chiamo
questo
non
-
luogo
ambiguo
con
il
nome
di
democratura
.
Non
so
quanto
si
attagli
esattamente
alla
realtà
che
vorrei
definire
nell
'
Altra
Europa
e
altrove
.
Vi
incontriamo
molti
eredi
senza
eredità
.
Si
fanno
spartizioni
senza
che
rimanga
granché
da
spartire
.
Si
è
creduto
di
conquistare
il
presente
e
non
si
riesce
a
dominare
il
passato
.
Vi
nascono
certe
libertà
senza
che
si
sappia
sempre
cosa
farne
e
rischiando
di
abusarne
.
In
quei
paesi
è
stato
necessario
difendere
un
patrimonio
nazionale
-
ed
oggi
bisogna
difendersi
da
quello
stesso
patrimonio
.
Altrettanto
dicasi
per
la
memoria
:
si
doveva
salvaguardarla
-
ed
essa
sembra
adesso
voler
punire
quelli
che
la
volevano
salvare
.
I
regimi
totalitari
lasciano
dietro
di
sé
un
'
ansia
di
totalitarismo
.
Le
nazioni
marginalizzate
dalla
storia
,
con
l
'
aspirazione
di
farsi
avanti
,
coltivano
uno
storicismo
retrogrado
.
Si
possono
comparare
alcune
tendenze
più
promettenti
,
e
le
speranze
che
esse
portano
con
sé
,
a
corsi
d
'
acqua
che
si
prosciugano
,
spariscono
nella
sabbia
o
nelle
crepe
del
suolo
.
Il
suolo
della
storia
è
pieno
di
crepe
e
le
sabbie
sono
spesso
mobili
.
So
bene
che
non
si
possono
generalizzare
queste
constatazioni
appositamente
forzate
:
ciò
che
vale
per
l
'
Albania
o
per
l
'
Algeria
,
e
per
certi
paesi
che
facevano
parte
dell
'
ex
-
Jugoslavia
-
in
primo
luogo
il
Kosovo
o
la
Bosnia
-
non
può
essere
applicato
allo
stesso
titolo
per
la
Bulgaria
,
la
Romania
o
la
Russia
.
La
situazione
bulgara
,
rumena
o
russa
non
è
invece
comparabile
con
quella
dell
'
Ungheria
,
della
Polonia
o
,
soprattutto
,
con
quella
della
Repubblica
Ceca
.
Quella
della
Croazia
,
della
Slovenia
e
della
Serbia
sono
differenti
.
Comunque
sia
,
ci
sono
delle
somiglianze
che
si
ritrovano
in
diversi
di
quei
paesi
europei
o
balcanici
e
anche
al
di
fuori
di
essi
:
mancanza
di
idee
-
forza
e
di
riferimenti
affidabili
;
deficienza
di
valori
stabiliti
o
di
esempi
probanti
;
fallimento
delle
ideologie
e
diffidenza
nei
confronti
della
politica
;
perdita
o
sviamento
di
fiducia
e
di
fede
.
Incertezze
e
incongruità
.
Dispersione
e
disorientamento
.
Non
si
tratta
più
di
una
semplice
crisi
culturale
,
ma
di
ben
altro
:
di
una
crisi
di
credito
nella
cultura
.
Il
ritorno
al
passato
è
soltanto
una
chimera
,
il
ritorno
del
passato
è
una
vera
sciagura
.
Riprendere
le
forme
più
primitive
del
capitalismo
-
che
lo
stesso
capitalismo
contemporaneo
ha
abbandonato
-
non
può
sostenere
nessun
tipo
di
ricostruzione
né
incoraggiare
rinnovamenti
di
sorta
.
L
'
idolatria
dell
'
economia
di
mercato
dà
scarsi
risultati
laddove
manca
lo
stesso
mercato
,
vuol
dire
la
mercanzia
!
I
risultati
della
democrazia
borghese
,
che
quelle
"
democrature
"
cercano
di
fare
propri
,
non
possiedono
,
nemmeno
essi
,
valori
universali
.
Le
conoscenze
in
materia
dei
riformatori
occasionali
sono
spesso
limitate
.
Tutte
queste
diagnosi
in
sequenza
sembrano
,
bisogna
pur
ammetterlo
,
delle
lamentazioni
.
Io
stesso
talvolta
le
definisco
litanie
.
"
L
'
apocalisse
c
'
è
già
stata
"
,
mi
assicura
un
amico
bosniaco
,
"
bisogna
viverla
a
ritroso
,
per
continuare
a
vivere
"
.
Nel
cuore
dell
'
Europa
,
proprio
vicino
alla
"
culla
"
della
sua
civiltà
,
abbiamo
potuto
vedere
-
ciò
vale
per
chi
voleva
guardare
-
più
di
duecentomila
morti
,
oltre
due
milioni
di
esiliati
(
profughi
,
rifugiati
,
sfollati
,
deportati
,
fuggiaschi
,
espatriati
,
respinti
,
espulsi
,
clandestini
ecc
-
mi
rendo
conto
che
la
lingua
italiana
ha
tantissime
parole
per
dirlo
)
.
Si
tratta
di
una
vera
profusione
terminologica
o
semplicemente
di
una
confusione
?
Tanti
paesi
e
città
in
rovina
,
ponti
ed
edifici
,
scuole
e
ospedali
bombardati
e
distrutti
,
templi
e
monumenti
rasi
al
suolo
o
profanati
,
violenze
e
torture
,
stupri
e
umiliazioni
,
"
etnocidi
"
,
"
genocidi
"
,
"
culturocidi
"
,
"
urbicidi
"
,
"
memoricidi
"
:
è
diventato
necessario
forgiare
tanti
nuovi
termini
dopo
Vukovar
,
Sarajevo
,
Srebrenica
,
Mostar
e
il
Kosovo
stesso
.
C
'
è
da
stupirsi
se
qualche
volta
i
nostri
discorsi
sono
così
pessimistici
?
Sono
probabilmente
piuttosto
disillusi
che
disperati
.
StampaQuotidiana ,
Le
guerre
postmoderne
appaiono
cambiatissime
,
perché
si
combattono
tra
le
funzioni
avanzate
nelle
tecnologie
delle
armi
contro
quelle
dei
media
.
Però
la
gente
in
gran
parte
cambia
poco
,
e
dunque
i
danni
psicologici
e
spirituali
rimangono
più
o
meno
gli
stessi
.
Come
ai
tempi
delle
baionette
del
Duce
e
dei
cinegiornali
Luce
.
Mentre
la
Storia
si
rivela
una
maestra
sempre
più
inutile
,
per
chi
non
ha
memoria
.
Malgrado
quei
fantasmi
che
poi
ritornano
intatti
,
come
nella
psicoanalisi
da
film
di
Hitchcock
.
Basta
un
po
'
di
povere
rimembranze
infantili
.
Come
si
vive
,
cosa
si
prova
e
si
pensa
,
sotto
le
bombe
in
testa
?
Chi
ci
ha
passato
mesi
e
anni
,
piccolo
pseudo
-
vincitore
e
poi
disgraziato
sconfitto
,
improvvisamente
ricorda
tutto
.
Poveri
bambini
in
cantina
,
fra
le
esplosioni
,
ridacchiando
come
coglioncini
su
"
Re
Giorgetto
d
'
Inghilterra
/
per
paura
della
guerra
/
chiede
aiuto
e
protezione
/
al
ministro
Ciurcillone
"
.
MENTRE
gli
studenti
più
grandi
e
alla
moda
saltavano
le
lezioni
e
sfilavano
in
corteo
applauditi
dalle
ragazze
più
moderne
quando
scandivano
:
"
Nizza
,
Savoia
,
Corsica
fatal
,
Malta
baluardo
di
romanità
!
"
.
E
poi
gli
"
eia
,
eia
,
alalà
!
"
in
aggregazione
e
coinvolgimento
,
con
gli
inni
dei
sommergibili
rapidi
ed
invincibili
(
o
forse
invisibili
)
,
e
tutte
le
Canzoni
del
Tempo
di
guerra
trasmesse
ogni
sera
dopo
il
Giornale
Radio
.
Un
immenso
successo
tra
i
giovani
:
ci
si
passavano
i
fascicoli
con
parole
tipo
"
colpir
,
e
seppellir
,
ogni
nemico
che
si
incontra
sul
cammino
"
.
Mentre
i
più
"
sophisticated
"
mondani
,
sotto
le
bombe
di
Roosevelt
,
invocavano
la
"
Blue
Moon
"
e
le
stelle
d
'
America
,
in
italiano
:
"
Ma
tu
,
pallida
luna
perché
...
In
questa
polvere
di
stelle
vedo
te
"
...
(
Ma
solo
i
più
ammirati
gagà
sussurravano
che
quella
star
dust
era
cocaina
:
"
un
leggendario
lusso
per
nababbi
!
"
)
.
Tutte
le
casalinghe
si
ripetevano
,
nelle
portinerie
:
"
Siamo
nelle
mani
di
una
manica
di
...
Bocca
mia
taci
!
Chissà
se
quelli
ci
pensano
,
a
quello
che
fanno
.
Qui
ci
vanno
di
mezzo
i
bambini
.
E
i
figli
sono
figli
.
E
chi
muore
giace
.
Signora
mia
,
se
tutti
i
grandi
della
terra
si
potessero
riunire
una
volta
nel
mio
tinello
,
gustando
il
mio
famoso
sformato
si
metterebbero
d
'
accordo
in
quattro
e
quattr
'
otto
"
.
(
E
le
nonne
:
brave
,
arrivano
loro
)
.
La
radio
lodava
sempre
la
buona
tenuta
del
Fronte
Interno
,
attentissima
nell
'
assegnazione
di
aggettivi
-
chiave
come
glorioso
,
fraterno
,
miserabile
,
immancabile
,
immutabile
,
immarcescibile
;
e
si
abbandonava
a
continue
mazurche
,
popolari
e
autarchiche
,
e
a
ritornelli
sulla
fortuna
di
vincere
al
Lotto
.
Dicevano
gli
spiritosi
da
caffè
:
"
Ottimo
,
disse
il
presentatore
assaggiando
il
surrogato
.
Indi
vomitò
e
svenne
"
.
Gli
intellettuali
si
dividevano
da
sé
in
caratteristiche
categorie
d
'
epoca
:
strateghi
da
tavolino
,
mormoratori
disfattisti
,
fautori
del
regime
,
panciafichisti
,
pericolosi
estremisti
,
pseudo
-
idealisti
,
ascoltatori
di
radio
nemiche
(
cioè
alleate
)
.
I
giornali
erano
pieni
di
"
calorose
adesioni
"
.
Quanto
si
aderiva
.
Soprattutto
a
"
radiose
giornate
"
con
sfilate
di
camerati
,
legionari
,
squadristi
,
militi
,
massaie
rurali
,
cappellani
militari
,
vedove
di
guerra
,
ciechi
di
guerra
,
squadre
di
"
baldi
giovani
"
desiderosi
di
"
menare
le
mani
"
sotto
i
labari
e
i
fasci
e
i
gagliardetti
e
le
aquile
dei
prodi
battaglioni
universitari
e
dei
brillanti
ingegni
littoriali
.
E
giù
bombe
,
intanto
.
Le
discussioni
nel
"
fronte
interno
"
erano
accanitissime
.
Ben
vengano
le
bombe
alleate
perfino
su
Montecassino
e
sulla
Scala
(
perdite
rimediabili
)
pur
di
liberare
la
Patria
dall
'
infausto
regime
e
consegnarla
ai
sei
partiti
democratici
.
Gli
italiani
sono
remissivi
e
buoni
,
bisogna
aiutarli
a
liberarsi
di
quel
buffone
,
anche
a
costo
di
distruggere
il
Paese
.
I
tedeschi
no
,
sono
tutti
complici
di
Hitler
,
dunque
si
meritano
la
distruzione
totale
.
Frattanto
,
andando
e
tornando
da
scuola
in
bicicletta
,
si
incappava
sempre
nei
rastrellamenti
e
mitragliamenti
tedeschi
lungo
le
strade
,
nelle
sparatorie
alleate
dai
caccia
in
picchiata
(
col
tipico
sibilo
,
seguito
dal
ta
-
ta
-
ta
e
dal
rimbalzo
dei
bossoli
)
e
nelle
vendette
porta
a
porta
dei
fascisti
locali
.
Dunque
si
andava
a
lezione
d
'
inglese
,
ci
si
chiedeva
se
i
cugini
irlandesi
(
che
avevano
sempre
mandato
gli
auguri
di
Natale
)
abitassero
ancora
a
Londra
dopo
il
blitz
,
e
se
per
i
prossimi
corsi
d
'
inglese
sul
posto
le
pensioni
più
convenienti
sarebbero
ancora
a
Notting
Hill
Gate
;
e
per
non
portarsi
dietro
i
soldi
,
se
non
sarebbe
stato
il
caso
di
combinare
dei
cambi
"
au
pair
"
con
i
primi
conoscenti
inglesi
in
arrivo
dopo
la
guerra
.
Scarse
le
differenze
con
l
'
oggi
.
Hitler
lo
si
vedeva
nei
cinegiornali
,
anche
più
spesso
di
Mao
negli
anni
sessanta
,
ogni
volta
che
si
andava
a
un
film
con
Alida
Valli
o
Amedeo
Nazzari
o
Totò
;
e
non
veniva
in
mente
di
paragonarlo
a
nessun
altro
.
L
'
Eiar
faceva
in
pratica
da
sé
un
blob
fra
guerra
e
varietà
e
canzoncine
pubblicitarie
,
come
in
ogni
zapping
attuale
.
Mancavano
i
complessini
musicali
che
invocano
la
pace
sotto
sigle
tipo
"
Attack
"
o
"
Kombat
"
.
E
gli
intellettuali
dell
'
ancorché
e
del
benché
non
facevano
la
fila
per
sottoscrivere
i
loro
sebbene
e
quantunque
.
Anzi
,
la
cacciata
del
Duce
da
parte
del
Gran
Consiglio
(
allora
liquidata
dalle
brave
nonne
con
"
finalmente
un
briciolo
di
buon
senso
,
santa
Madonna
"
)
diventerà
un
gesto
fra
i
più
coraggiosi
del
Novecento
italiano
,
fra
giganti
della
disobbedienza
civile
come
Eduardo
(
"
nun
me
piace
o
'
presepe
"
)
e
Montale
(
"
ciò
che
non
siamo
,
ciò
che
non
vogliamo
"
)
.
StampaQuotidiana ,
Con
la
"
guerra
"
per
il
Kosovo
viene
al
pettine
il
nodo
irrisolto
del
1945
:
fra
la
lezione
che
suona
"
mai
più
la
guerra
"
e
quella
che
suona
"
mai
più
Auschwitz
"
.
Quei
due
fili
si
ingarbugliarono
e
oggi
,
quando
è
diventato
urgente
ridipanarli
,
ce
ne
troviamo
in
mano
uno
solo
alla
volta
.
D
'
altro
canto
,
la
"
guerra
"
fa
appello
al
"
nuovo
diritto
internazionale
"
,
mettendone
alla
prova
insieme
la
concezione
ispiratrice
,
e
i
modi
di
attuazione
.
La
differenza
fra
i
modi
è
offuscata
,
finché
l
'
attenzione
continua
a
fissarsi
su
pretese
linee
di
principio
,
pacifismo
o
interventismo
:
e
invece
è
decisiva
,
come
mostra
giorno
dopo
giorno
la
strategia
dei
raid
aerei
.
Quest
'
ultima
ha
una
storia
e
un
carico
simbolico
,
che
non
mi
sembra
meno
importante
di
quello
strettamente
militare
.
Menzionando
la
promessa
"
Mai
più
Auschwitz
"
,
non
intendo
né
paragonare
la
deportazione
e
gli
eccidi
in
Kosovo
alla
Shoah
,
né
Milosevic
a
Hitler
-
che
può
essere
solo
un
generico
,
e
allora
meritato
,
insulto
.
Inoltre
,
nel
"
Mai
più
Auschwitz
"
,
è
contenuto
il
"
Mai
più
Gulag
"
,
benché
questa
connessione
abbia
tardato
molto
a
farsi
riconoscere
.
I
giudici
di
Norimberga
,
e
le
potenze
vincitrici
che
li
avevano
insediati
,
affrontarono
due
questioni
maggiori
:
la
prima
,
la
preservazione
futura
della
pace
,
e
dunque
i
"
crimini
contro
la
pace
"
;
e
l
'
altra
,
i
"
crimini
contro
l
'
umanità
"
,
incunabolo
dell
'
odierno
diritto
all
'
ingerenza
.
Fu
la
prima
a
prevalere
,
al
punto
che
buona
parte
dell
'
accusa
si
improntò
alla
nozione
(
giuridicamente
dubbia
)
di
"
cospirazione
"
per
provocare
e
attuare
la
guerra
d
'
aggressione
.
I
crimini
contro
l
'
umanità
,
"
l
'
assassinio
,
lo
sterminio
,
la
schiavizzazione
,
la
deportazione
,
e
ogni
atto
inumano
commesso
contro
tutte
le
popolazioni
civili
,
o
le
persecuzioni
per
motivi
politici
,
razziali
o
religiosi
...
"
furono
largamente
assorbiti
dai
"
crimini
di
guerra
"
,
i
quali
erano
invece
codificati
nel
diritto
internazionale
dall
'
inizio
del
secolo
.
Lo
stesso
sterminio
degli
ebrei
,
cuore
della
nuova
figura
di
crimine
contro
l
'
umanità
,
venne
inizialmente
trattato
come
parte
del
piano
per
la
guerra
aggressiva
,
e
della
sua
esecuzione
.
Il
processo
finì
nell
'
ottobre
del
1946
,
e
tuttavia
il
peso
cruciale
di
Auschwitz
-
almeno
un
milione
e
100.000
uccisi
,
più
del
90
per
cento
ebrei
-
non
vi
fu
sentito
.
Quanto
alla
parola
genocidio
,
coniata
da
Raphael
Lemkin
solo
nel
1944
,
non
comparve
agli
atti
del
Tribunale
militare
di
Norimberga
,
e
dovette
attendere
il
processo
a
Eichmann
,
1960
,
per
occupare
il
centro
dell
'
accusa
.
L
'
attenzione
soverchiante
al
tema
della
guerra
e
della
pace
nei
confronti
di
quello
dei
diritti
umani
,
manifesta
nell
'
orientamento
giuridico
di
Norimberga
,
ha
una
faccia
civile
drammatica
e
nota
,
benché
mai
abbastanza
.
Vi
ricordate
del
sogno
-
l
'
incubo
-
del
superstite
di
Auschwitz
,
raccontato
in
"
Se
questo
è
un
uomo
"
,
di
tornare
e
non
essere
creduto
.
Di
non
essere
neanche
ascoltato
.
(
Bisogna
ricordarsene
ora
,
ascoltando
con
cautela
i
racconti
di
Kukes
)
.
Comprensibile
,
no
?
In
fondo
tutti
sono
usciti
da
una
tragedia
,
come
è
stata
la
guerra
,
e
non
hanno
orecchie
per
il
racconto
altrui
,
e
oltretutto
vogliono
dimenticare
e
ricominciare
a
vivere
.
A
un
tale
sentimento
appartenne
anche
l
'
amara
difficoltà
di
"
Se
questo
è
un
uomo
"
a
farsi
pubblicare
,
e
riconoscere
.
Ma
che
spazio
trovasse
,
alla
lettera
,
la
Shoah
nell
'
Europa
liberata
,
lo
mostrarono
i
campi
cintati
di
filo
spinato
e
vigilati
con
le
armi
in
cui
le
migliaia
di
ebrei
superstiti
vennero
rinchiusi
,
"
displaced
persons
"
,
gente
fuori
luogo
,
dagli
Alleati
,
col
generale
Patton
in
testa
,
prima
che
Eisenhower
lo
destituisse
.
"
Fuori
posto
"
,
in
Europa
.
Fra
i
due
impegni
-
mai
più
guerra
,
mai
più
Auschwitz
-
l
'
Europa
delle
autorità
e
quella
della
gente
comune
non
ebbero
dubbi
,
ammesso
che
intuissero
il
problema
.
All
'
altro
capo
della
sconfitta
,
in
Giappone
,
si
svolse
una
vicenda
parallela
,
con
due
o
tre
differenze
capitali
.
Intanto
,
i
giapponesi
avevano
commesso
atrocità
enormi
nel
corso
delle
loro
lunga
guerra
(
fin
dalla
Manciuria
1931
)
,
ma
senza
un
equivalente
dell
'
antisemitismo
e
della
Shoah
.
Inoltre
il
Giappone
non
fu
occupato
da
un
gruppo
di
potenze
vincitrici
,
come
la
Germania
,
bensì
dai
soli
Stati
Uniti
e
anzi
da
un
plenipotenziario
assoluto
,
fino
al
1952
,
Mac
Arthur
.
Soprattutto
,
sul
Giappone
erano
state
sganciate
le
bombe
atomiche
.
Hiroshima
e
Nagasaki
furono
sentite
da
ciascuno
come
un
passaggio
epocale
,
benché
i
bombardamenti
convenzionali
della
Seconda
Guerra
,
la
"
tempesta
incendiaria
"
su
Amburgo
o
Berlino
,
o
Dresda
(
luglio
'43
,
decine
di
migliaia
di
morti
nel
giro
di
14
ore
)
,
o
a
Tokyo
(84.000
morti
in
una
notte
)
avessero
causato
un
numero
maggiore
di
vittime
.
Il
B29
su
Hiroshima
ne
uccise
71.379
.
Ma
a
Hiroshima
l
'
onnipotenza
di
una
scienza
che
si
rivaleva
sulla
creazione
divina
con
la
distruzione
nel
nulla
,
fece
strage
di
persone
e
cose
,
ma
più
ancora
rovesciò
l
'
orizzonte
simbolico
del
mondo
.
Molti
degli
stessi
giapponesi
vollero
sentirvi
,
più
che
il
colpo
schiacciante
del
nemico
americano
,
una
specie
di
vampata
sacrificale
,
nella
quale
rimuovere
le
proprie
colpe
,
ed
espiare
per
l
'
intero
genere
umano
,
tramutando
la
disfatta
in
una
missione
di
testimonianza
antimilitarista
e
pacifista
.
Nel
Tribunale
militare
di
Tokyo
,
gemello
di
quello
di
Norimberga
,
si
condannò
la
cospirazione
della
cricca
militarista
e
le
atrocità
(
gli
eccidi
,
gli
stupri
di
massa
,
le
schiavizzazioni
delle
popolazioni
asiatiche
conquistate
,
le
sevizie
ai
prigionieri
)
:
i
"
crimini
contro
l
'
umanità
"
furono
assimilati
del
tutto
ai
crimini
di
guerra
.
La
posta
dichiarata
era
la
capacità
di
prevenire
la
guerra
.
A
Norimberga
era
stato
vietato
alle
difese
dei
gerarchi
nazisti
di
rinfacciare
i
crimini
alleati
,
e
soprattutto
i
bombardamenti
delle
città
;
così
a
Tokyo
per
Hiroshima
.
(
Benché
il
giudice
indiano
,
Pal
,
considerasse
l
'
atomica
come
il
vero
crimine
contro
l
'
umanità
)
.
Ma
non
influì
solo
il
drastico
divieto
americano
.
È
stupefacente
,
di
quel
Giappone
,
scoprire
come
da
un
giorno
all
'
altro
-
i
giorni
di
Hiroshima
e
dell
'
inaudito
discorso
di
resa
di
Hirohito
-
un
mondo
di
mentalità
e
abitudini
che
sembravano
ferree
crolli
e
si
capovolga
in
un
'
adesione
al
modo
di
vita
del
vincitore
.
Il
quale
portò
,
con
l
'
"
arrogante
idealismo
"
(
o
,
in
un
'
altra
definizione
,
l
'
"
imperialismo
sentimentale
"
)
che
gli
era
ed
è
proprio
,
non
solo
la
manifestazione
della
sua
superpotenza
economica
a
un
paese
agonizzante
di
fame
,
ma
anche
una
radicale
riforma
democratica
della
vita
associata
(
diritti
delle
donne
,
liberazione
dei
prigionieri
politici
,
essenzialmente
di
sinistra
,
regole
elettorali
ecc
.
)
.
Questo
complesso
di
innovazioni
fu
chiamato
,
e
largamente
applaudito
,
come
"
rivoluzione
dall
'
alto
"
.
(
Ho
appena
letto
John
W
.
Dower
,
"
Embracing
Defeat
.
Japan
in
the
Wake
of
World
War
II
"
,
New
York
1999
,
cavandone
scoperte
forti
quanto
la
mia
ignoranza
)
.
Non
è
sconvolgente
che
nel
paese
di
Hiroshima
venga
adottata
l
'
immagine
di
un
"
alto
"
da
cui
arriva
il
bene
?
L
'
esplosione
riuscita
ad
Alamogordo
è
del
luglio
.
Hiroshima
del
6
agosto
.
Tempo
a
parte
,
avrebbero
gli
americani
sganciato
l
'
atomica
sulla
Germania
,
in
Europa
?
I
giudizi
più
affidabili
riconoscono
una
vena
di
disprezzo
razziale
nella
scelta
del
Giappone
.
Quel
colpo
ebbe
comunque
una
serie
di
ripercussioni
decisive
su
tutto
il
mondo
.
In
primo
luogo
,
associò
definitivamente
(
e
,
in
larga
misura
,
abusivamente
)
gli
americani
all
'
idea
di
un
egoismo
così
cinico
da
far
scegliere
un
olocausto
atomico
di
civili
,
militarmente
superfluo
,
per
non
mettere
a
repentaglio
vite
americane
.
Inoltre
,
eclissò
ogni
altro
giuramento
(
"
mai
più
Auschwitz
"
)
figurando
,
da
allora
in
poi
,
una
distruttività
totale
della
guerra
,
che
ne
esigeva
la
trasformazione
in
un
tabù
,
e
della
pace
in
un
imperativo
senza
alternativa
.
Il
mondo
si
sarebbe
spartito
d
'
ora
in
poi
in
un
prima
e
un
dopo
la
bomba
.
Qualcuno
sentiva
che
il
mondo
si
era
diviso
in
un
prima
e
un
dopo
Auschwitz
.
(
E
le
stesse
parole
si
evocavano
per
Auschwitz
e
Hiroshima
:
impensabile
,
indicibile
...
)
.
Ma
come
arrestarsi
davanti
alla
fine
di
un
mondo
,
quando
si
annunciava
la
fine
del
mondo
?
L
'
atomica
-
tanto
più
nel
colpo
raddoppiato
di
Nagasaki
-
era
stata
impiegata
anche
per
avvertire
l
'
Urss
,
la
quale
si
gettò
al
recupero
del
ritardo
,
e
in
pubblico
levava
la
bandiera
della
difesa
della
pace
contro
la
potenza
aggressiva
dell
'
America
.
Il
pacifismo
apparso
universalmente
come
la
lezione
da
tirare
dalla
tragedia
della
Seconda
Guerra
Mondiale
,
sarebbe
stato
segnato
dall
'
ipoteca
sovietica
.
Più
in
generale
,
Hiroshima
sarebbe
diventata
,
per
un
grande
e
sincero
numero
di
intellettuali
e
persone
comuni
in
tutto
il
mondo
,
l
'
argomento
da
opporre
in
pubblico
all
'
anticomunismo
,
e
da
mormorarsi
in
cuor
proprio
per
giustificare
le
nefandezze
dell
'
Urss
.
*
*
*
Nel
momento
dell
'
amministrazione
congiunta
della
vittoria
,
America
e
Urss
preparavano
il
terreno
della
futura
sfida
.
Nella
quale
un
altro
fattore
era
destinato
a
giocare
una
parte
simbolica
rilevante
.
Alla
fine
,
la
Seconda
Guerra
Mondiale
era
stata
vinta
soprattutto
da
due
forze
complementari
(
così
appariva
)
:
la
superiorità
economica
e
tecnologica
degli
Stati
Uniti
,
e
la
resistenza
umana
del
popolo
russo
.
La
seconda
portava
il
nome
glorioso
di
Stalingrado
,
la
prima
il
nome
terribile
di
Hiroshima
.
Una
aveva
l
'
aspetto
dell
'
aviatore
,
potente
di
una
potenza
distante
,
che
colpiva
dall
'
alto
;
l
'
altra
le
fattezze
antiche
del
fante
Ivan
,
del
contadino
russo
attaccato
alla
terra
,
e
inestirpabile
fino
alla
morte
.
(
L
'
armata
degli
Ivan
nella
sua
controffensiva
fino
al
centro
di
Berlino
commise
,
incitata
,
un
numero
incomparabile
di
stupri
:
questo
si
seppe
meno
,
o
si
"
capì
"
)
.
Un
tocco
peculiare
si
aggiunge
alle
immagini
opposte
,
e
dà
loro
il
suggello
che
può
dare
un
libro
quando
diventa
lo
schermo
attraverso
cui
riconosciamo
il
mondo
:
è
il
Tolstoj
di
Guerra
e
Pace
.
Sulla
sua
filigrana
si
imprime
l
'
epopea
di
Stalingrado
.
(
E
vi
si
ricalca
"
Vita
e
destino
"
,
la
grande
opera
di
Vasilij
Grossman
su
Stalingrado
,
gloria
di
un
popolo
e
insieme
del
suo
tiranno
,
e
anche
sugli
inferni
paralleli
di
Auschwitz
e
dei
campi
"
di
lavoro
"
russi
)
.
Sui
suoi
personaggi
gli
intellettuali
e
i
lettori
comuni
di
tanta
parte
del
mondo
leggono
i
nuovi
personaggi
:
Napoleone
e
Hitler
,
Kutuzov
e
i
marescialli
di
Stalin
,
il
soldato
contadino
Platon
Karatajev
e
le
donne
e
gli
uomini
difensori
del
Volga
.
(
Anche
il
recente
"
Stalingrado
"
dello
storico
militare
Antony
Beevor
,
Rizzoli
,
viene
pubblicizzato
col
richiamo
a
Guerra
e
Pace
)
.
Primo
Levi
,
cui
non
sfuggiva
la
"
vergogna
del
Gulag
"
,
vive
e
racconta
la
propria
storia
attraverso
quel
filtro
.
"
...
i
buoni
soldati
dell
'
Armata
Rossa
,
gli
uomini
valenti
della
Russia
vecchia
e
nuova
,
miti
in
pace
e
atroci
in
guerra
...
"
.
E
l
'
incontro
con
il
maresciallo
Timosenko
:
"
Semjon
Konstantinovic
Timosenko
,
l
'
eroe
della
rivoluzione
bolscevica
,
della
Carelia
e
di
Stalingrado
...
Si
intrattenne
alla
buona
con
noi
italiani
,
simile
al
rozzo
Kutuzov
di
Guerra
e
pace
,
sul
prato
,
in
mezzo
alle
pentole
col
pesce
in
cottura
e
alla
biancheria
stesa
...
"
(
È
"
La
tregua
"
)
.
Su
questa
idea
non
posso
fermarmi
qui
:
se
non
per
concludere
provvisoriamente
che
vi
si
trova
un
'
altra
spiegazione
dell
'
ostinato
e
dannato
attaccamento
di
tanti
a
Stalin
stesso
,
e
comunque
all
'
Urss
-
alla
Russia
-
e
alla
resistenza
invincibile
del
suo
popolo
contro
l
'
invasore
.
Non
era
stato
Tolstoj
,
del
resto
,
a
"
rendere
poetica
l
'
idea
della
guerra
del
popolo
"
(
Grossman
)
?
Nella
Seconda
Guerra
,
al
tempo
delle
incursioni
angloamericane
(
la
Raf
tenne
allora
il
primo
posto
)
sulle
città
tedesche
,
la
propaganda
nazista
non
aveva
tardato
a
sfruttare
l
'
argomento
.
(
Che
ora
Bossi
è
andato
a
ripetere
a
memoria
ad
Aviano
)
.
Nel
1943
Goebbels
aveva
parlato
del
"
terrorismo
aereo
...
prodotto
dalle
menti
malate
dei
plutocratici
distruttori
del
mondo
"
.
Gli
americani
furono
a
lungo
riluttanti
.
Il
primo
gennaio
1945
il
generale
Eaker
disse
:
"
Non
dobbiamo
permettere
che
la
storia
ci
accusi
di
aver
gettato
il
bombardiere
strategico
contro
l
'
uomo
della
strada
"
.
Più
tardi
,
quell
'
anno
,
un
deputato
laburista
inglese
osservò
polemicamente
che
i
russi
facevano
bombardamenti
"
tattici
"
e
non
a
"
tappeto
"
,
e
che
ciò
li
avrebbe
autorizzati
un
giorno
ad
accusare
l
'
Occidente
capitalistico
di
macchiarsi
di
quella
viltà
.
Dal
'45
in
poi
,
questo
stereotipo
(
che
è
tale
nonostante
sia
parzialmente
fondato
)
si
è
confermato
,
sul
versante
americano
:
sprofondato
com
'
è
il
versante
opposto
.
Gli
americani
hanno
combattuto
altre
guerre
lontane
:
per
tenere
i
confini
dell
'
impero
,
o
per
difendere
una
fede
civile
.
La
stessa
distanza
-
malvista
dagli
altri
come
il
privilegio
di
chi
non
subisce
la
guerra
a
casa
propria
,
o
ammirata
come
una
generosità
che
li
porta
a
morire
lontano
da
casa
-
appare
come
una
conferma
della
loro
prepotenza
:
americani
,
quasi
marziani
.
Arrivano
dall
'
alto
,
bombardano
:
come
in
Corea
(
benché
ne
siano
morti
35.000
)
,
come
in
Vietnam
(58.000),
come
,
teatralmente
,
in
Iraq
,
come
,
provvidenzialmente
,
in
Bosnia
.
In
Vietnam
,
erano
i
B52
del
napalm
e
le
falcidie
degli
elicotteri
.
(
Un
giorno
il
generale
Westmoreland
,
informato
della
presenza
di
Giap
in
una
località
nordvietnamita
,
le
aveva
fatto
sganciare
sopra
mille
tonnellate
di
bombe
.
Per
un
uomo
piccolo
come
Giap
...
Non
è
un
caso
che
in
questi
giorni
i
vietnamiti
abbiamo
mandato
ai
serbi
messaggi
e
auguri
in
cui
si
identificano
con
loro
.
Su
questa
immagine
-
la
bomba
in
alto
,
il
piccolo
combattente
in
basso
-
si
modellò
il
terzomondismo
)
.
L
'
evoluzione
della
tecnologia
(
gli
aerei
"
invisibili
"
,
culmine
di
questa
simbolica
sottrazione
possente
e
codarda
al
corpo
a
corpo
)
e
dello
spirito
pubblico
,
non
ha
fatto
che
accentuare
la
distanza
dal
campo
di
battaglia
.
In
Iraq
la
sproporzione
è
stata
madornale
:
però
,
dove
doveva
valere
a
proteggere
le
vite
stesse
del
nemico
,
approdò
a
una
carneficina
,
benché
a
cifre
differite
.
Ma
le
stesse
ragioni
che
spingono
in
questo
senso
-
il
progresso
scientifico
,
il
valore
assegnato
alla
vita
dei
singoli
"
nostri
"
-
esigono
anche
di
radicalizzare
la
differenza
fra
una
guerra
che
si
vuole
"
giusta
"
,
o
piuttosto
inevitabile
,
e
una
ingiusta
.
Differenza
che
non
può
esaurirsi
nel
movente
,
né
nel
fine
:
ma
sta
altrettanto
nel
modo
in
cui
viene
condotta
.
Se
no
,
la
generazione
"
del
Vietnam
"
nei
governi
rischia
di
ridursi
alla
novità
di
una
sinistra
che
firma
ora
lei
le
cose
di
destra
.
Ogni
scelta
militare
è
contemporaneamente
una
comunicazione
rivolta
a
chi
la
sostiene
,
e
a
maggior
ragione
a
chi
la
subisce
,
cui
dichiara
per
quale
idea
,
per
quale
convivenza
si
sta
combattendo
.
Non
sono
capace
di
valutare
i
termini
militari
di
un
problema
.
Al
tempo
stesso
sento
che
non
posso
eluderlo
:
non
si
può
restare
alla
convenzione
per
cui
,
una
volta
accettata
la
necessità
della
guerra
,
tutto
passa
nelle
mani
dei
militari
.
Con
tutta
la
timidezza
,
i
termini
militari
della
"
guerra
"
iniziata
il
24
marzo
,
sembrano
anche
a
me
,
convinto
della
necessità
dell
'
impiego
della
forza
per
il
Kosovo
,
amaramente
insoddisfacenti
.
La
guerra
,
una
volta
intrapresa
,
esige
il
prossimo
passo
con
la
ineluttabilità
del
fatto
compiuto
.
Contati
i
morti
e
la
devastazione
nel
campo
"
nostro
"
e
"
nemico
"
,
e
tanto
più
il
disastro
vergognoso
dei
deportati
e
fuggiaschi
:
chi
di
noi
,
il
primo
giorno
,
vi
avrebbe
acconsentito
?
Non
io
:
neanche
,
credo
,
il
generale
Clark
.
Ora
il
punto
è
questo
,
e
duro
,
perché
non
si
tratta
di
non
perdere
la
faccia
-
fra
i
privilegi
invidiabili
della
libertà
e
della
democrazia
c
'
è
la
disponibilità
a
perdere
la
faccia
,
persino
volentieri
-
ma
di
ratificare
il
deserto
del
Kosovo
,
le
vittime
di
cui
è
seminato
,
i
cacciati
,
e
l
'
impunità
della
gang
di
Belgrado
.
In
termini
nient
'
affatto
militari
,
io
penso
che
né
gli
americani
,
né
noi
,
possiamo
sottovalutare
il
costo
dello
stereotipo
della
guerra
asettica
(
per
chi
la
conduce
)
,
dei
raid
e
dei
bombardamenti
aerei
,
senza
faccia
e
senza
nome
,
salvo
qualche
incidente
sacrilego
,
come
l
'
abbattimento
dello
Stealth
,
e
la
danza
tribale
sulla
sua
carcassa
della
razza
di
chi
rimane
a
terra
.
C
'
è
un
solo
punto
in
cui
le
due
promesse
(
"
mai
più
guerra
"
,
e
"
mai
più
Auschwitz
"
)
possono
ricongiungersi
:
e
sta
nel
modo
in
cui
il
mondo
del
"
nuovo
diritto
"
sceglie
di
battersi
.
Il
mondo
libero
non
seppe
e
non
volle
bombardare
Oswiecim
,
e
non
potrà
esserne
perdonato
.
Quanto
alla
legittimità
,
"
quando
la
casa
brucia
,
non
è
il
caso
di
chiedere
la
legittimità
dei
pompieri
"
(
Günther
Anders
)
.
Ma
non
è
detto
che
debba
ora
ridursi
all
'
intransigenza
del
bombardamento
celeste
.
Ha
scritto
,
ferocemente
,
Pierre
Vidal
-
Naquet
:
"
Fare
la
guerra
senza
prendersi
i
propri
rischi
,
vuol
dire
aggravare
il
fossato
fra
il
mondo
dei
ricchi
e
quello
dei
poveri
;
non
è
combattere
,
è
praticare
una
specie
di
tortura
aerea
:
parla
,
o
ti
colpisco
...
"
.
Joschka
Fischer
,
sul
quale
pesa
la
prova
più
delicata
della
nuova
classe
dirigente
europea
,
ha
detto
:
"
Noi
siamo
la
generazione
che
si
è
promessa
"
Mai
più
guerra
"
e
"
Mai
più
Auschwitz
"
"
.
Così
dovrebbe
essere
,
ma
è
un
po
'
più
complicato
.
Nelle
mani
dei
pacifisti
,
sinceri
o
abusivi
,
rischia
di
restare
solo
il
filo
del
NO
alla
guerra
,
a
costo
dell
'
omissione
di
soccorso
.
Nelle
nostre
mani
,
l
'
urgenza
del
soccorso
rischia
di
delegare
per
intero
il
problema
ai
pompieri
,
che
a
volte
,
per
deformazione
professionale
,
sono
incendiari
.
StampaQuotidiana ,
Caro
direttore
,
alla
tua
richiesta
di
un
mio
intervento
sul
vostro
giornale
rispondo
con
imbarazzo
:
l
'
aggiunta
di
una
mia
opinione
circa
la
guerra
eurobalcanica
può
avere
il
solo
effetto
di
non
portare
nessun
chiarimento
e
trovo
giusto
che
questa
indigesta
Cosa
sia
pensata
col
meno
d
'
influenze
possibili
.
Influenzare
è
tradire
.
La
sfinge
pone
enigmi
su
enigmi
:
davanti
a
lei
siamo
nudi
e
bisogna
rispondere
,
senza
suggeritori
.
Ma
la
mia
invidia
va
tutta
agli
inviati
,
perché
nulla
vale
quanto
una
testimonianza
diretta
o
un
'
immagine
scattata
sul
posto
,
per
ispirazione
,
da
un
Capa
,
da
un
UP
di
turno
.
Posso
proporre
qui
di
seguito
alcuni
argomenti
,
necessariamente
accennati
in
fretta
,
come
me
li
sgrana
il
cuore
.
Guerre
del
secolo
-
Forse
un
'
unica
guerra
escatologica
percorre
il
secolo
a
partire
dalla
irrimediabile
rottura
della
diga
nel
1914
,
anno
demiurgico
.
Anche
questa
ne
è
un
sussulto
,
una
convulsione
,
un
rigurgito
.
Finirà
,
dunque
,
senza
finire
.
Dentro
il
frantoio
,
l
'
oliva
patisce
.
Responsabilità
,
cause
-
Essendomi
quasi
impossibile
considerare
come
realmente
libera
,
non
determinata
,
la
volontà
umana
,
non
c
'
è
catena
di
eventi
che
non
mi
appaia
soggetta
a
Fatum
,
a
Necessità
,
a
un
potere
divino
unico
o
a
potenze
extraumane
intermedie
,
agli
astri
,
al
Karma
,
al
Destino
...
Il
pensiero
tradizionale
dà
quel
che
sa
e
può
.
Ecco
:
vedo
un
errore
fondamentale
nel
credere
errori
gli
errori
.
Non
ci
sono
che
errori
,
in
questa
faccenda
sinistra
,
e
questo
rende
dubbio
che
ce
ne
siano
.
Quando
tengo
in
mano
una
marionetta
ho
in
mano
l
'
uomo
e
il
suo
fato
,
se
voglio
buttarlo
giù
va
giù
:
mi
arrivano
come
segnali
Quasar
,
attraverso
il
filo
,
i
suoi
messaggi
incondizionabili
,
troppo
deboli
per
contare
.
La
marionetta
può
avere
oggi
tutti
i
nomi
dei
personaggi
del
giorno
,
dai
più
famosi
ai
più
oscuri
:
tutti
i
suoi
sbattimenti
sono
regolati
dal
filo
.
Anche
le
loro
parole
:
un
copione
di
autore
ignoto
...
Chi
può
dire
falsi
i
loro
passi
falsi
,
giusti
i
loro
passi
giusti
?
È
amaro
avere
un
ruolo
:
ma
meglio
di
vittima
che
di
boia
...
La
storia
si
ripete
perché
il
Destino
è
una
barba
.
Riporto
questo
pensiero
,
più
taoista
che
cristiano
,
folle
s
'
intende
,
di
Léon
Bloy
in
piena
tenebra
1916
:
"
Poiché
il
tempo
in
Dio
non
esiste
,
l
'
inesplicabile
vittoria
della
Marna
potrebbe
essere
stata
decisa
dall
'
umile
preghiera
di
una
bambina
che
non
nascerà
prima
di
due
secoli
"
.
Civili
e
militari
-
Dalle
guerre
che
risparmiavano
i
civili
e
sacrificavano
i
militari
siamo
passati
alla
parità
di
sacrificio
tra
1940
e
1945
,
con
forte
sbilanciamento
finale
a
danno
dei
civili
.
(
Tutti
tornati
a
casa
quelli
dell
'
Enola
Gay
,
ma
là
sotto
...
)
.
Poi
la
marcia
è
andata
così
:
via
via
più
macellati
i
civili
e
sempre
meno
(
esclusi
quelli
di
Giap
)
i
militari
.
Strano
no
?
Chi
fa
la
guerra
di
professione
non
sarà
più
toccato
,
protetto
come
un
semidio
;
chi
non
la
fa
dovrà
bersela
tutta
,
il
fronte
è
Ogni
Luogo
...
Da
qui
un
sospetto
,
che
mi
è
quasi
certezza
:
che
siano
guerre
alla
specie
in
quanto
tale
(
anche
se
con
nomi
di
tribù
,
popoli
,
religioni
)
tutte
quelle
in
atto
,
comprese
le
terroristiche
,
le
teocratiche
,
le
mafiose
.
La
violenza
alle
donne
è
guerra
alla
specie
.
Nel
lavoro
delle
multinazionali
dell
'
alimentazione
e
del
farmaco
è
in
corso
da
tempo
una
gigantesca
manovra
a
tenaglia
di
guerra
alla
specie
.
Dove
si
spara
l
'
obiettivo
vero
è
l
'
inerme
,
la
gambetta
nuda
,
la
casa
coi
ricordi
.
Talvolta
la
malvagità
è
evidente
,
ma
c
'
è
spesso
(
lo
si
vede
anche
in
questa
guerra
)
capovolgimento
di
fini
nel
corso
stesso
delle
azioni
,
e
strumenti
di
sublime
precisione
conducono
proprio
nel
punto
dove
c
'
è
da
squarciare
e
spegnere
carne
indifesa
.
E
chi
può
negoziarla
una
guerra
alla
specie
,
ora
conscia
ora
inconsciente
,
quale
diplomazia
,
quale
Chiesa
?
Le
cosiddette
"
buone
volontà
"
,
quando
non
siano
finzioni
pure
,
non
sono
in
grado
di
arginare
e
di
contrapporsi
perché
non
comprendono
di
quale
natura
sia
il
fuoco
che
ne
irride
le
schiume
.
Tutti
oltrepassa
l
'
Inconcepibile
.
Piloti
di
bombardieri
-
L
'
immortalità
quasi
sfiorata
...
L
'
invulnerabilità
e
la
sopravvivenza
quasi
garantite
a
un
tempo
.
Il
mezzo
aereo
che
sfugge
ai
proiettili
,
lo
sperma
in
banca
.
Carne
,
sì
,
certo
:
eppure
non
più
del
tutto
:
al
di
là
del
rischio
mortale
non
c
'
è
che
l
'
ombra
...
In
queste
figure
mimetiche
,
esseri
futuri
,
individualità
smorte
stanno
sorgendo
...
Se
muoiono
,
la
moglie
resta
incinta
di
un
loro
figlio
,
a
Chicago
,
l
'
anno
dopo
,
o
più
tardi
ancora
.
Può
metterlo
al
mondo
-
menopausa
rinviata
-
anche
tra
dieci
,
quindici
anni
.
Avere
dello
sperma
surgelato
in
luogo
sicuro
è
macchina
del
tempo
,
corazza
fatata
...
Questa
iperumanità
sorgente
,
procreatrice
oltre
la
propria
morte
,
può
causare
,
alla
semplice
umanità
interamente
mortale
,
che
ha
sperma
in
canalini
poveri
,
molta
sofferenza
.
Bambini
-
Ma
quanti
bambini
!
Quanti
kosovarini
!
Fiumane
...
E
gli
tocca
un
patimento
simile
!
E
tenuti
per
mano
o
in
braccio
da
madri
in
gravidanza
...
Tende
intere
,
vere
infantopoli
...
Ogni
famiglia
ne
ha
almeno
sei
,
otto
,
una
normalità
di
follia
...
Sarà
perché
islamici
?
Perché
indifferenti
?
Questo
rivela
una
insensibilità
maschile
da
urlo
:
non
si
può
ridurre
le
donne
a
coniglie
,
non
è
lecito
procreare
a
quel
modo
quando
da
dodici
anni
covava
e
serpeggiava
la
vendetta
di
Milosevic
,
ora
esplosa
in
sterminio
e
deportazione
.
Prima
del
fucile
,
il
preservativo
!
In
una
macelleria
li
hanno
messi
al
mondo
,
per
agitare
dai
carri
e
dai
vetri
le
braccine
,
per
respirare
il
sangue
del
padre
crivellato
!
La
pillola
del
giorno
dopo
arriva
tardi
,
ma
benedetta
se
risparmia
altre
dismisure
di
sofferenza
.
Chi
gli
porta
pane
e
coperte
,
a
quelle
donne
disperate
,
gli
insegni
a
essere
donne
e
non
coniglie
...
che
limitare
le
nascite
è
un
dovere
civile
e
umano
e
kosovaro
da
anteporre
ad
ogni
sottomissione
...
Bruciati
anche
i
registri
,
la
malavita
in
agguato
sulla
linea
di
confine
,
quei
bambini
sono
figli
di
Rudyard
Kipling
,
affidati
alle
tigri
!
E
scaraventati
nelle
giungle
d
'
asfalto
delle
città
d
'
Occidente
che
cosa
diventeranno
?
Per
non
concludere
-
Domande
tante
ne
posso
fare
,
risposte
non
ne
so
dare
.
La
"
lucida
analisi
"
non
è
il
mio
forte
.
Solo
sento
gravare
,
onnipresente
,
la
sfinge
.
Sento
la
verità
infallibile
del
verso
di
Miguel
Hernández
durante
la
Guerra
Civil
:
"
Quale
abisso
si
svela
-
tra
l
'
ulivo
e
l
'
uomo
!
"
-
questa
è
una
radura
chiara
.
Immagini
mute
,
pietose
,
gettano
enigmi
.
StampaQuotidiana ,
L
'
occhio
del
missile
inquadra
il
manufatto
a
forma
di
ponte
,
il
cerchio
si
restringe
,
diventa
un
punto
e
,
vai
John
,
il
punto
diventa
una
palla
di
fuoco
finché
nella
scatola
nera
compare
la
scritta
deleted
.
Nel
videogioco
della
guerra
dal
cielo
,
la
distruzione
pare
un
atto
grammaticale
,
la
declinazione
di
un
participio
passato
.
Anche
la
distruzione
dei
ponti
.
Vengono
giù
uno
dopo
l
'
altro
,
in
queste
settimane
di
raid
.
Sul
Danubio
,
sulla
Morava
e
altri
fiumi
che
non
avevamo
mai
sentito
prima
.
Dopo
l
'
impatto
restano
lì
,
con
i
tronconi
nel
vuoto
.
Ma
non
sono
materia
inerte
.
Lanciano
avvertimenti
a
qualcuno
.
In
una
terra
che
è
di
per
sé
un
ponte
tra
i
mondi
,
i
ponti
hanno
ancora
un
significato
speciale
,
che
da
noi
si
è
perduto
.
Ogni
ponte
che
cade
è
un
confine
in
più
e
una
possibilità
di
riconciliazione
in
meno
.
In
otto
anni
di
guerra
i
ponti
più
antichi
sono
stati
distrutti
più
per
sradicare
i
simboli
dell
'
appartenenza
che
per
motivi
militari
.
E
d
'
istinto
i
giovani
di
Belgrado
hanno
scelto
,
in
questi
giorni
,
di
fare
da
scudi
umani
con
i
loro
canti
e
balli
non
accanto
alle
chiese
o
ai
monumenti
,
ma
lungo
i
ponti
sulla
Sava
.
"
Ovunque
nel
mondo
,
in
qualsiasi
posto
il
mio
pensiero
vada
o
si
arresti
-
scrive
Ivo
Andric
nel
suo
Ponte
sulla
Drina
-
trova
fedeli
e
operosi
ponti
,
come
eterno
e
mai
soddisfatto
desiderio
dell
'
uomo
di
collegare
,
pacificare
e
unire
tutto
ciò
che
appare
davanti
al
nostro
spirito
,
ai
nostri
occhi
,
ai
nostri
piedi
,
affinché
non
ci
siano
divisioni
,
contrasti
,
distacchi
"
.
I
ponti
,
scrive
ancora
il
Nobel
jugoslavo
,
sono
più
importanti
delle
case
,
più
sacri
e
più
utili
dei
templi
;
"
appartengono
a
tutti
e
sono
uguali
per
tutti
,
sempre
sensatamente
costruiti
nel
punto
in
cui
si
incrocia
la
maggior
parte
delle
necessità
umane
"
.
Abbiamo
dimenticato
che
i
ponti
sono
condensati
di
simboli
.
Una
volta
,
nel
nostro
mondo
,
chi
li
costruiva
era
definito
con
una
parola
di
speciale
rispetto
,
pontifex
,
quasi
il
sovrappasso
dell
'
acqua
richiedesse
un
patto
col
Grande
Spirito
.
La
più
alta
carica
della
cristianità
cattolica
fu
chiamata
allo
stesso
modo
:
se
il
diavolo
è
"
colui
che
divide
"
,
il
pontefice
è
"
colui
che
unisce
"
.
Allo
stesso
modo
,
se
la
costruzione
del
ponte
è
la
più
sublime
delle
ingegnerie
,
il
suo
abbattimento
è
la
più
impressionante
delle
distruzioni
.
"
Sprofondano
i
ponti
-
commentava
in
questi
giorni
lo
scrittore
bosniaco
Bozidar
Stanisic
-
abbattuti
dalla
cultura
della
morte
e
della
non
speranza
"
.
Un
ponte
che
cade
è
come
una
bestia
che
si
piega
sulle
ginocchia
dopo
il
colpo
alla
cervice
.
Lancia
un
segnale
cosmico
,
spezza
qualcosa
nell
'
universo
.
Quando
cadde
il
ponte
di
Mostar
non
fu
un
videogioco
.
Sprofondò
nell
'
abisso
,
per
un
attimo
acquistò
una
pesantezza
che
non
aveva
mai
avuto
,
poi
si
smaterializzò
nella
gola
della
Neretva
.
Rimase
-
e
sarebbe
rimasta
a
lungo
-
la
parabola
sospesa
di
un
ponte
che
non
c
'
era
,
tesa
fra
i
due
tronconi
che
si
chiamavano
.
Poi
sorse
un
pianeta
enorme
,
giallo
-
cartapesta
,
dai
monti
lunari
dell
'
Erzegovina
.
Solo
allora
si
vide
la
data
.
Era
il
9
novembre
1993
,
quarto
anniversario
della
caduta
del
muro
di
Berlino
.
Si
vide
che
,
con
lo
Stari
Most
,
era
franata
l
'
illusione
che
la
fine
del
comunismo
sarebbe
stata
,
per
i
popoli
,
una
festa
di
primavera
.
Solo
allora
tacquero
i
mortai
e
abbaiarono
i
cani
.
Tre
estati
prima
fu
proprio
quel
ponte
a
dire
che
la
guerra
arrivava
.
Era
sera
,
la
brezza
mediterranea
entrava
nella
gola
.
Il
fiume
era
gonfio
,
la
settimana
prima
era
piovuto
,
e
i
ragazzini
si
arrampicavano
per
un
sentierino
dopo
i
tuffi
.
Già
si
sparava
in
Croazia
,
ma
la
Bosnia
emanava
una
pace
infinita
.
Un
vecchio
venditore
di
souvenir
ci
offrì
un
caffè
sul
belvedere
.
Sedemmo
sulla
panca
in
pietra
alta
sulla
Neretva
,
mangiammo
piccoli
dolci
a
forma
di
mezzaluna
,
parlammo
di
cose
leggere
.
Solo
al
momento
di
congedarci
il
vecchio
ci
disse
quasi
con
noncuranza
:
questa
è
l
'
ultima
estate
di
pace
.
Il
pittore
di
Mostar
Affan
Ramic
era
un
uomo
piccolo
e
scolpito
di
rughe
.
Lo
incontrai
a
Sarajevo
un
giorno
del
'94
,
durante
l
'
assedio
.
In
un
angolo
in
penombra
,
incideva
su
una
tavola
di
legno
il
nome
di
suo
figlio
,
morto
al
fronte
pochi
giorni
prima
.
Parlò
di
come
ne
avrebbe
preparato
la
tomba
.
Poi
raccontò
di
Mostar
,
del
ponte
che
non
c
'
era
più
:
solo
allora
pianse
,
disperatamente
.
Capii
che
quel
ponte
non
era
un
manufatto
,
come
per
noi
e
il
soldato
John
.
Era
il
luogo
della
memoria
che
dava
senso
alla
sua
vita
e
persino
alla
morte
di
suo
figlio
.
Allora
tutto
si
illuminò
di
senso
:
dai
fascisti
croati
lo
Stari
Most
era
stato
abbattuto
per
questo
.
Per
negare
ai
bosniaci
il
diritto
alla
memoria
.
I
Balcani
non
hanno
dimenticato
i
simboli
.
L
'
Oriente
ci
dice
che
nella
nostra
cultura
c
'
è
una
finta
razionalità
,
che
nessuna
bomba
è
intelligente
,
che
le
guerre
scatenano
nei
popoli
tempeste
identitarie
che
nessun
computer
può
prevedere
.
La
nostra
logica
nei
Balcani
non
funziona
.
Un
giorno
chiesi
allo
scrittore
bosniaco
Miljenko
Jergovic
se
scrivere
,
di
fronte
a
una
guerra
,
non
fosse
abbaiare
alla
luna
.
Rispose
che
abbaiare
alla
luna
serviva
eccome
:
se
i
cani
non
protestassero
,
la
luna
resterebbe
sempre
piena
.
E
se
non
ci
fosse
il
vento
,
le
ragnatele
avrebbero
già
riempito
il
cielo
intero
.
Poi
parlò
dello
Stari
Most
,
disse
di
Harjudin
,
l
'
architetto
turco
che
lo
fece
.
Quando
la
gente
vide
quella
sfida
all
'
abisso
,
disse
:
non
reggerà
.
E
invece
durò
tre
secoli
.
Anche
per
raggiungere
l
'
Aldilà
,
secondo
la
mitologia
d
'
Oriente
,
l
'
uomo
deve
attraversare
un
ponte
sottile
come
un
capello
e
affilato
come
una
spada
.
Quel
ponte
celeste
si
chiamava
"
Sirat
Cuprija
"
,
e
per
poterlo
passare
l
'
uomo
doveva
essere
puro
di
cuore
.
Jergovic
disse
che
quel
mondo
desertificato
dalla
guerra
,
dove
le
colline
e
i
tumuli
si
confondevano
,
ancora
emanava
la
voce
delle
cose
perdute
.
I
ponti
,
specialmente
.
Tutta
la
guerra
in
Jugoslavia
sembra
concentrarsi
sui
ponti
.
Nel
videotape
della
memoria
ricompare
quello
della
Maslenica
,
tra
Fiume
e
Zara
,
in
un
surreale
silenzio
,
all
'
ombra
del
monte
Velebit
che
da
duemila
metri
precipita
su
un
mare
cobalto
.
L
'
esercito
serbo
l
'
aveva
preso
a
cannonate
,
spezzando
in
due
la
Dalmazia
,
e
tutto
il
traffico
croato
era
affidato
alla
spola
di
un
traghetto
tra
la
terraferma
e
l
'
isola
di
Pago
.
Un
ingorgo
impressionante
di
uomini
,
armi
,
merci
e
animali
.
Il
ponte
di
Visegrad
,
quello
raccontato
da
Andric
,
lo
vidi
da
lontano
nell
'
estate
'92
,
intatto
,
indifferente
all
'
inferno
che
era
diventata
la
gola
della
Drina
e
ai
cadaveri
che
scendevano
lungo
il
fiume
.
A
Bajna
Basta
,
poco
a
valle
,
gruppi
di
banditi
organizzavano
i
weekend
di
guerra
.
Partivano
cantando
sul
ponte
,
e
sul
ponte
tornavano
carichi
di
masserizie
rubate
.
Bastava
star
lì
per
capire
cos
'
era
davvero
quella
sporca
guerra
.
Una
rapina
su
scala
industriale
.
Stranamente
,
i
montanari
serbi
agli
ordini
di
Karadzic
non
abbatterono
ponti
a
Sarajevo
.
Bombardarono
moschee
,
biblioteche
,
persino
i
cimiteri
,
ma
non
i
ponti
.
Eppure
ce
n
'
erano
tantissimi
:
Sarajevo
è
una
città
costruita
sui
due
lati
di
una
valle
,
e
il
fiume
è
la
sua
colonna
vertebrale
.
Spezzarla
sarebbe
stato
facilissimo
.
Non
lo
fecero
,
forse
per
superstizione
,
forse
per
non
distruggere
l
'
oggetto
misterioso
e
oscuro
del
loro
desiderio
.
Con
lo
scrittore
Marko
Vesovic
camminai
lungo
il
fiume
verso
le
gole
che
portavano
al
nemico
.
Disse
:
da
Oriente
ci
arriva
l
'
acqua
,
la
fede
(
Costantinopoli
)
,
ma
anche
tutte
le
tragedie
.
Eravamo
accanto
al
ponte
dove
80
anni
prima
un
serbo
di
nome
Princip
colpì
un
principe
austriaco
,
dando
inizio
alla
Grande
Guerra
.
E
poi
i
ponti
sul
Danubio
.
Da
quando
sulla
Jugoslavia
sono
stati
cancellati
i
voli
,
a
Belgrado
si
arriva
via
terra
,
attraverso
i
campi
infiniti
della
Pannonia
.
Prima
che
tirassero
giù
il
ponte
di
Novi
Sad
,
il
passaggio
del
grande
fiume
,
poco
oltre
la
fortezza
mitica
di
Petrovaradin
,
era
come
un
decollo
,
una
lunga
rincorsa
tra
i
ciliegi
,
un
volo
sulle
acque
e
il
miracolo
della
loro
continuità
in
mezzo
a
tante
guerre
.
E
ancora
,
l
'
ultimo
ponte
sulla
Sava
prima
della
confluenza
col
Grande
Fiume
,
sotto
la
fortezza
bianca
del
Kalemegdan
,
solitaria
nella
pianura
.
è
la
primavera
del
'91
,
e
il
Brankov
Most
trema
,
invaso
da
un
fiume
di
studenti
in
marcia
contro
un
potere
che
li
porta
verso
la
guerra
.
Per
due
giorni
a
Belgrado
è
la
fantasia
al
potere
,
esplode
la
speranza
di
una
rivoluzione
di
velluto
che
fiorisce
in
ritardo
,
ma
con
forza
balcanica
,
fantastica
e
travolgente
.
Poi
i
manganelli
,
i
lacrimogeni
,
i
panzer
per
le
strade
.
E
allora
,
di
nuovo
su
quel
ponte
,
si
vide
che
a
Belgrado
tutto
cominciava
e
a
Belgrado
tutto
doveva
finire
.
Si
comprese
che
lì
,
su
quella
confluenza
di
acque
e
di
popoli
,
c
'
era
il
nero
e
il
bianco
,
tutto
il
peggio
e
tutto
il
meglio
di
un
mondo
già
alla
deriva
,
un
'
isola
nella
corrente
come
nell
'
epilogo
danubiano
del
film
Underground
.
StampaQuotidiana ,
Come
si
vive
ai
confini
della
guerra
?
A
poche
miglia
dal
conflitto
che
distrugge
terre
vicine
?
O
che
priva
della
loro
terra
quelli
che
la
storia
e
la
geografia
hanno
assegnato
come
nostri
vicini
?
è
questo
un
genere
di
domande
,
come
si
vede
un
po
'
contorte
,
che
rivelano
il
disagio
della
nostra
coscienza
.
Un
disagio
che
un
po
'
proviamo
e
un
po
'
sfruttiamo
per
mascherare
quella
che
ciascuno
di
noi
,
più
o
meno
consapevolmente
,
avverte
come
doppia
coscienza
.
E
questo
perché
da
una
parte
siamo
ai
confini
della
guerra
,
e
dall
'
altra
siamo
a
tutti
gli
effetti
in
guerra
.
SE
è
vero
infatti
che
gli
aerei
carichi
di
missili
che
piovono
su
terra
serba
partono
dalle
nostre
basi
,
noi
siamo
"
oggettivamente
"
in
guerra
con
la
Serbia
.
Lo
saremo
per
"
ragioni
umanitarie
"
,
lo
saremo
per
"
fedeltà
ai
patti
atlantici
"
,
ma
,
qualunque
sia
la
motivazione
,
noi
non
siamo
ai
confini
della
guerra
,
ma
siamo
in
guerra
.
Una
strana
guerra
.
Perché
"
oggettivamente
"
siamo
schierati
dalla
parte
di
chi
sta
distruggendo
la
Serbia
,
e
"
soggettivamente
"
non
abbiamo
nulla
contro
il
popolo
serbo
che
consideriamo
vittima
,
non
meno
della
popolazione
di
etnia
albanese
cacciata
dalla
terra
del
Kosovo
.
Questa
contraddizione
tra
i
nostri
comportamenti
oggettivi
e
i
nostri
sentimenti
soggettivi
si
traduce
nel
disagio
della
"
doppia
coscienza
"
che
attraversa
sia
quelli
che
sono
favorevoli
alla
guerra
sia
quelli
che
sono
contrari
,
perché
gli
uni
e
gli
altri
vivono
la
dissociazione
tra
i
loro
atti
oggettivi
(
la
distruzione
della
Serbia
)
e
i
loro
sentimenti
soggettivi
che
non
riescono
a
percepire
nel
popolo
serbo
il
nemico
.
A
questo
primo
disagio
se
ne
aggiunge
un
secondo
che
turba
non
meno
del
primo
le
nostre
coscienze
.
Nelle
guerre
che
abbiamo
conosciuto
,
morti
,
feriti
e
distruzioni
si
distribuivano
da
entrambe
le
parti
,
almeno
fino
alla
fase
finale
dove
una
parte
aveva
il
sopravvento
sull
'
altra
.
In
questa
guerra
no
.
Per
la
prima
volta
noi
siamo
in
guerra
,
per
ora
,
senza
morti
,
senza
feriti
,
senza
distruzioni
.
Tutte
queste
terribili
cose
stanno
dall
'
altra
parte
.
Dalla
parte
dei
serbi
il
cui
territorio
è
stato
praticamente
distrutto
e
dalla
parte
dell
'
etnia
albanese
privata
della
terra
che
abitava
.
Noi
,
che
non
siamo
solo
ai
confini
della
guerra
,
ma
in
guerra
,
possiamo
concorrere
all
'
opera
di
distruzione
della
terra
di
un
popolo
a
noi
vicino
senza
temerne
per
ora
la
ritorsione
.
Questa
incolumità
,
già
scontata
all
'
inizio
dei
bombardamenti
,
non
lascia
intatta
la
nostra
innocenza
,
come
non
è
mai
intatta
l
'
innocenza
del
più
forte
quando
entra
in
conflitto
con
il
più
debole
.
Ma
c
'
è
un
terzo
disagio
avvertito
da
chi
è
in
guerra
e
per
giunta
ai
confini
della
guerra
:
il
disagio
dell
'
informazione
.
Giustamente
ricca
di
notizie
,
di
immagini
e
di
sollecitazioni
emotive
per
le
sorti
della
popolazione
di
etnia
albanese
cacciata
dalle
terre
che
abitava
,
e
ingiustamente
povera
di
notizie
e
opaca
di
immagini
e
sollecitazioni
emotive
per
le
sorti
della
popolazione
serba
a
cui
le
forze
Nato
stanno
distruggendo
la
terra
.
Questa
disparità
di
informazioni
porta
,
tutti
noi
,
anche
se
non
ce
lo
proponiamo
,
a
identificare
senza
riserve
il
popolo
serbo
con
il
suo
feroce
dittatore
,
con
conseguente
immediata
assoluzione
della
nostra
coscienza
che
,
per
effetto
di
questa
identificazione
,
si
trova
immediatamente
nel
giusto
,
dalla
parte
cioè
del
perseguitato
(
la
popolazione
albanese
)
contro
il
persecutore
(
la
popolazione
serba
)
.
E
così
con
un
po
'
di
semplificazioni
,
a
cui
sempre
siamo
disposti
quando
il
disagio
in
cui
ci
troviamo
diventa
insopportabile
,
ci
assolviamo
dal
primo
conflitto
che
la
nostra
coscienza
avverte
nel
trovarsi
oggettivamente
in
guerra
col
popolo
serbo
senza
essere
nei
suoi
confronti
ostile
,
e
dal
secondo
conflitto
che
ci
vede
in
guerra
nella
condizione
di
incolumi
.
QUESTA
condizione
di
"
coscienza
lacerata
"
,
in
cui
il
conflitto
jugoslavo
da
un
lato
e
la
nostra
Alleanza
atlantica
dall
'
altro
ci
hanno
collocato
,
genera
un
'
ultima
sensazione
di
disagio
,
forse
la
più
grave
che
non
si
concluderà
con
la
fine
della
guerra
.
Abbiamo
rinunciato
a
considerare
noi
stessi
(
i
popoli
,
le
classi
,
le
nazioni
)
come
soggetti
della
storia
,
e
al
loro
posto
abbiamo
collocato
altri
soggetti
della
storia
.
Si
tratta
di
soggetti
un
po
'
astratti
,
poco
percepibili
dagli
individui
e
dai
popoli
come
le
regole
di
Maastricht
per
fare
l
'
Europa
,
la
potenza
militare
atlantica
per
mantenere
l
'
ordine
del
mondo
,
l
'
Onu
per
decidere
a
seconda
delle
convenienze
economico
-
politiche
dove
,
a
parità
di
tragedie
,
è
opportuno
o
non
opportuno
intervenire
,
per
cui
individui
e
popoli
sentono
ogni
giorno
di
meno
di
appartenere
alla
storia
(
che
di
loro
dovrebbe
essere
,
se
no
di
chi
?
)
,
e
venendo
meno
questo
senso
di
appartenenza
avvertono
ogni
giorno
di
più
di
essere
co
-
storici
,
quando
non
addirittura
a
-
storici
.
Tale
penso
si
senta
il
popolo
di
etnia
albanese
cacciato
dalle
terre
kosovare
che
abitava
,
il
popolo
serbo
che
forse
non
ha
granché
da
spartire
con
il
dittatore
che
lo
governa
(
ma
come
in
Iraq
il
popolo
paga
duramente
,
e
il
dittatore
continua
a
essere
un
interlocutore
)
,
e
infine
anche
il
popolo
d
'
Occidente
che
entra
ed
esce
incolume
da
una
guerra
"
oggettiva
"
,
"
soggettivamente
"
non
percepita
.
Questa
condizione
co
-
storica
o
a
-
storica
,
a
cui
la
politica
in
epoca
di
globalizzazione
sta
conducendo
individui
e
popoli
,
genera
in
Occidente
quel
qualunquismo
generalizzato
che
nasce
dall
'
impotenza
che
ogni
individuo
e
ogni
popolo
constata
di
fronte
a
quelle
entità
un
po
'
astratte
e
scarsamente
percepibili
,
perché
di
natura
tecnica
,
economica
e
politica
,
divenute
,
sopra
la
testa
degli
individui
e
dei
popoli
,
i
veri
soggetti
storici
,
rispetto
ai
quali
individui
e
popoli
sono
ricacciati
nella
grettezza
del
loro
egoismo
e
particolarismo
,
senza
più
capacità
o
voglia
di
reazione
.
Il
diffondersi
di
questa
cultura
dell
'
impotenza
(
dove
la
libertà
si
riduce
a
quella
di
ubbidire
o
disubbidire
,
e
la
democrazia
alla
manipolazione
mediatica
del
consenso
per
via
emotiva
)
è
un
fatto
molto
pericoloso
che
proietta
la
sua
ombra
al
di
là
di
questa
guerra
,
in
uno
scenario
caratterizzato
dall
'
indifferenza
politica
dei
popoli
ben
nutriti
e
nella
sofferenza
politica
dei
popoli
mal
nutriti
.
Ed
è
questo
il
maggior
disagio
che
la
coscienza
di
noi
in
guerra
,
ai
confini
della
guerra
,
avverte
come
condizione
mortificante
e
avvilente
,
perché
questo
sembra
il
nuovo
corso
della
storia
e
decisamente
insufficienti
sembrano
i
mezzi
a
disposizione
degli
individui
e
dei
popoli
per
modificarlo
.
StampaQuotidiana ,
Tra
un
ragazzo
praghese
che
offriva
fiori
ai
carristi
russi
e
un
ragazzo
occidentale
che
manifestava
contro
la
guerra
nel
Vietnam
non
era
facile
,
a
partire
dai
blue
-
jeans
e
dai
capelli
lunghi
,
marcare
le
differenze
.
C
'
è
stato
un
tempo
,
tutto
sommato
lungo
(
diciamo
,
grosso
modo
,
da
Easy
Rider
ai
rave
-party...),
nel
quale
ci
è
parso
che
il
cosmopolitismo
fosse
,
per
i
giovani
del
mondo
quasi
intero
,
un
destino
inevitabile
e
soprattutto
condiviso
.
Oggi
gli
studenti
di
Belgrado
cresciuti
a
rock
'
n
'
roll
rivoltano
il
loro
stesso
ritmo
contro
i
sorvoli
Nato
.
Ed
è
come
assistere
al
disastro
finale
di
un
tacito
,
lunghissimo
Piano
Marshall
infine
vomitato
dai
suoi
destinatari
in
faccia
al
mittente
.
I
loro
omologhi
montenegrini
disertano
per
non
obbedire
a
Milosevic
,
preferendo
onorare
remote
pulsioni
micronazionali
,
memorie
di
re
antichissimi
,
Lari
e
Penati
i
cui
frantumi
vengono
ricomposti
con
devozione
certosina
,
e
furore
quasi
medianico
,
davanti
ai
focolari
domestici
.
Ovunque
rivegetano
radici
profonde
e
dimenticate
,
e
sbucano
dal
suolo
superficialmente
mondializzato
i
fantasmi
delle
identità
ancestrali
:
ossari
di
battaglie
vecchie
di
secoli
,
santi
vendicatori
della
fede
,
martiri
della
Nazione
,
decrepite
date
che
ricominciano
a
sanguinare
.
I
satelliti
,
che
vagamente
e
forse
presuntuosamente
identificano
in
un
campo
smosso
di
fresco
le
tracce
di
una
fossa
comune
,
non
riescono
a
sorvegliare
e
neppure
a
indovinare
questo
sinistro
e
rigoglioso
risorgimento
,
che
pure
muta
il
territorio
,
e
la
sua
percezione
,
ben
più
di
quanto
vogliano
o
possano
gli
eserciti
e
i
bombardamenti
.
Se
sono
i
vecchi
pope
maledicenti
,
gli
anziani
governanti
,
i
consumati
generali
a
predicare
la
guerra
,
sono
poi
i
giovani
,
gli
studenti
,
gli
adolescenti
ad
accettarla
,
a
farla
e
a
sostenerne
,
sempre
,
ovunque
,
il
maggior
peso
emotivo
.
Sono
giovani
i
volontari
russi
che
scalpitano
per
andare
a
battersi
in
Serbia
,
giovani
i
manifestanti
di
Belgrado
,
giovani
i
top
-
gun
americani
,
tedeschi
,
francesi
,
italiani
.
Per
la
prima
volta
nella
storia
ascoltano
la
stessa
musica
,
vedono
gli
stessi
film
,
bevono
la
stessa
birra
,
bivaccano
in
caffè
e
pubs
identici
,
vestono
gli
stessi
panni
.
Non
è
bastato
,
questo
,
a
preservarli
dalla
guerra
più
di
quanto
sia
accaduto
,
cinquant
'
anni
fa
,
a
un
nero
americano
o
a
un
cosacco
o
a
un
siciliano
,
lontani
l
'
uno
dagli
altri
quanto
le
loro
diversissime
culture
,
psicologie
,
antropologie
,
allora
ancora
separate
,
non
comunicanti
.
Solo
la
guerra
,
allora
,
li
fece
incontrare
.
Oggi
la
guerra
divide
ciò
che
la
pace
era
riuscita
miracolosamente
-
ma
quanto
fragilmente
-
a
unire
.
Quanti
hanno
creduto
e
sperato
(
io
pure
)
che
il
cosmpolitismo
delle
gioventù
mondiali
,
lanciato
in
groppa
allo
sfrenato
galoppo
di
consumi
culturali
assai
simili
,
favorito
dai
viaggi
,
dagli
incontri
,
dalla
condivisione
di
un
'
identità
e
addirittura
di
un
pathos
giovanile
comune
,
potesse
favorire
una
convivenza
meno
bellicosa
tra
i
popoli
e
le
culture
,
devono
ricredersi
,
e
costringersi
a
ri
-
ragionare
su
moltissime
cose
.
è
come
se
una
foresta
dalla
chioma
uniforme
ricominciasse
a
manifestare
l
'
irrimediabile
differenza
delle
sue
radici
.
Che
gli
umori
rimessi
in
circolo
da
queste
radici
siano
spesso
velenosi
e
altrettanto
spesso
pretestuosi
,
posticci
come
può
esserlo
il
culto
di
identità
etniche
ormai
cancellate
dalle
migrazioni
e
dalla
storia
,
è
cosa
che
rende
ancora
più
grave
il
fallimento
della
precedente
,
supposta
uniformità
delle
speranze
e
delle
buone
volontà
.
Ben
superficiale
doveva
essere
la
patina
del
cosmopolitismo
,
se
a
bucarla
ovunque
sono
le
minute
ma
acute
pulsioni
etniche
:
evidentemente
,
e
purtroppo
,
per
molti
è
più
desiderabile
ed
efficace
un
'
identità
locale
,
per
quanto
imparaticcia
,
piuttosto
di
un
molto
generico
passaporto
di
cittadino
del
mondo
,
di
quelli
che
sognavano
i
beatnik
e
gli
studenti
"
alla
pari
"
valicando
decine
di
frontiere
in
autostop
.
Toccherà
interrogarsi
,
di
qui
in
poi
,
sulla
precarietà
e
forse
sulla
stessa
legittimità
di
un
'
idea
di
concittadinanza
,
di
amicizia
,
di
somiglianza
che
ha
viaggiato
,
per
decenni
e
per
due
generazioni
almeno
,
solo
a
cavallo
dei
consumi
,
culturali
e
non
.
Che
molti
di
noi
,
per
due
generazioni
almeno
,
abbiano
saputo
aggiungere
a
un
disco
,
a
un
paio
di
jeans
,
a
un
ostello
promiscuo
anche
il
serio
e
maturo
sogno
di
sentirsi
a
casa
anche
in
casa
altrui
,
non
toglie
evidenza
,
e
drammaticità
,
allo
spaesamento
che
questa
promiscuità
,
al
contrario
,
produce
in
tanti
altri
,
e
oggi
specialmente
in
tanti
giovani
.
Un
mostruoso
,
ricchissimo
catalogo
di
risposte
false
(
ma
percepite
come
utili
,
e
risolutive
)
sforna
in
mezzo
mondo
quantità
industriali
di
nuove
identità
.
Escono
dai
bauli
vecchie
uniformi
,
vecchie
icone
,
vecchi
"
Dio
è
con
noi
"
che
propongono
il
confortante
calore
della
tribù
.
L
'
illusione
che
a
mondializzare
il
mondo
bastasse
il
mercato
non
pare
,
in
questi
giorni
,
meno
patetica
dell
'
illusione
internazionalista
,
al
cui
ritirarsi
,
come
quando
la
marea
arretra
,
sono
tornati
alla
luce
tutti
i
rottami
del
nazionalismo
,
e
neanche
troppo
arrugginiti
.
L
'
identità
delle
persone
e
dei
popoli
è
,
evidentemente
,
una
faccenda
ben
più
complessa
e
ambigua
di
quanto
risulti
dai
gloriosi
grafici
che
illustrano
la
penetrazione
delle
merci
,
la
rapidità
di
circolazione
delle
notizie
,
l
'
incremento
esponenziale
del
turismo
,
i
matrimoni
misti
tra
capitali
finanziari
e
azioni
.
In
mezzo
a
questa
spaventosa
crisi
c
'
è
di
buono
,
almeno
,
che
i
concetti
di
reazione
e
progresso
,
pur
ridisegnandosi
,
riacquistano
senso
,
e
un
senso
bene
intelligibile
e
spendibile
.
Tipicamente
reazionario
è
ripudiare
lo
spaesamento
della
mondializzazione
riaprendo
i
vecchi
bauli
della
razza
e
della
nazione
.
Tipicamente
(
e
disperatamente
,
oggi
)
progressista
è
ricominciare
a
chiedersi
quali
strade
sminare
,
quali
frontiere
dismettere
perché
nuovamente
si
possano
incontrare
e
parlare
,
domani
,
coloro
che
la
guerra
divide
:
i
giovani
soldati
e
i
giovani
profughi
,
prima
di
tutto
,
perché
toccherà
a
loro
,
per
forza
,
riprendere
il
cammino
di
una
vita
che
per
i
capi
di
oggi
,
che
sono
i
giovani
di
ieri
,
è
meno
promettente
,
e
molto
più
breve
.
Internet
,
musica
e
cinema
,
viaggi
geografici
e
quelli
virtuali
,
chissà
.
Purché
si
possa
ripartire
proprio
da
quel
poco
di
utile
,
e
di
generoso
,
che
la
breve
era
cosmopolita
ha
lasciato
sul
campo
,
disperso
e
malinconico
come
le
lattine
dopo
un
concerto
rock
.
C
'
è
,
in
mezzo
alle
macerie
,
un
disco
rotto
da
raccattare
.
Il
vantaggio
è
che
ognuno
dei
reduci
,
l
'
americano
,
il
serbo
,
il
kosovaro
,
può
riconoscere
dalle
prime
note
qual
è
la
canzone
.
È
quasi
nulla
,
come
vantaggio
,
ma
è
forse
il
solo
che
ci
lascia
il
nostro
secolo
lungo
.
StampaQuotidiana ,
Henry
Kissinger
è
un
classico
.
Zbigniew
Brzezinski
è
,
al
contrario
,
un
romantico
.
Il
primo
,
un
americano
nato
in
Baviera
da
una
famiglia
ebrea
tedesca
sfuggita
al
nazismo
,
è
fedele
alla
tradizione
europea
basata
sull
'
equilibrio
delle
potenze
.
Il
secondo
,
un
americano
di
origine
cattolica
polacca
,
è
vincolato
all
'
ideologia
ed
è
più
brutale
,
al
tempo
stesso
più
innovatore
.
Da
queste
posizioni
,
i
due
grandi
intellettuali
,
tanto
utili
per
capire
i
rapporti
degli
Stati
Uniti
con
il
resto
del
mondo
,
esprimono
ovviamente
giudizi
assai
diversi
sulla
crisi
balcanica
.
KISSINGER
critica
le
democrazie
occidentali
(
vale
a
dire
Clinton
)
per
avere
proposto
a
Rambouillet
una
soluzione
inaccettabile
per
i
serbi
e
paventa
il
vuoto
che
aprirebbe
la
scomparsa
della
Serbia
dallo
scacchiere
dei
Balcani
.
All
'
opposto
Brzezinski
è
interventista
:
anche
perché
(
con
slancio
polacco
)
al
di
là
di
Milosevic
impegnato
a
reprimere
i
kosovari
vede
il
russo
Eltsin
che
ha
fatto
altrettanto
in
Cecenia
,
ed
altresì
il
regime
bielorusso
"
ammiratore
di
Hitler
"
,
e
perciò
tanto
solidale
con
quello
jugoslavo
di
Belgrado
.
Entrambi
,
Kissinger
e
Brzezinski
,
prevedono
l
'
impiego
delle
truppe
di
terra
.
Kissinger
lo
considera
una
conseguenza
ineluttabile
della
campagna
in
corso
:
la
quale
,
una
volta
cominciata
,
non
può
più
essere
sospesa
e
ancor
meno
chiusa
prima
di
avere
raggiunto
l
'
obiettivo
.
La
posta
in
gioco
è
ormai
troppo
alta
:
è
in
ballo
la
sopravvivenza
della
Nato
,
spina
dorsale
dell
'
impero
in
un
'
area
essenziale
quale
è
l
'
Europa
:
quindi
irrinunciabile
.
Anche
Brzezinski
vede
in
un
eventuale
cedimento
di
fronte
a
Milosevic
il
funerale
della
Nato
,
ma
per
lui
la
discesa
degli
occidentali
al
suolo
non
è
la
fatale
conseguenza
dell
'
intervento
,
è
un
atto
dovuto
:
è
il
passaggio
da
una
strategia
cauta
e
graduale
,
insomma
insufficiente
sul
piano
militare
,
a
una
strategia
intensiva
e
massiccia
,
la
sola
risposta
appropriata
"
al
genocidio
e
alla
pulizia
etnica
cui
stiamo
assistendo
"
.
Mi
pare
implicita
in
Brzezinski
la
condanna
definitiva
di
Milosevic
.
Come
si
può
trattare
con
il
responsabile
di
un
genocidio
?
Egli
va
del
resto
oltre
suggerendo
la
confisca
dei
beni
jugoslavi
in
Occidente
al
fine
di
risarcire
gli
abitanti
del
Kosovo
.
Traspare
invece
in
Kissinger
la
preoccupazione
del
vuoto
che
si
può
creare
in
Serbia
.
Il
suo
vocabolario
è
comunque
più
castigato
.
Dietro
questi
giudizi
sul
primo
conflitto
"
caldo
"
in
Europa
dal
1945
,
si
intravedono
due
visioni
del
ruolo
degli
Stati
Uniti
nel
mondo
postcomunista
,
in
cui
sono
rimasti
la
sola
superpotenza
in
esercizio
.
Due
visioni
basate
su
esperienze
dirette
circa
le
possibilità
e
i
limiti
dell
'
azione
americana
,
essendo
sia
Kissinger
sia
Brzezinski
due
professori
universitari
,
due
analisti
,
due
politologi
,
che
hanno
lavorato
nei
meccanismi
del
potere
:
il
primo
come
segretario
di
Stato
con
Nixon
;
il
secondo
come
consigliere
per
la
sicurezza
con
Carter
,
e
poi
consigliere
di
Reagan
durante
la
crisi
polacca
,
che
ha
preceduto
il
crollo
dell
'
Unione
Sovietica
(
e
,
in
quello
stesso
periodo
,
alleato
-
complice
di
Papa
Wojtyla
:
il
quale
,
adesso
,
nella
crisi
balcanica
,
si
trova
invece
sull
'
opposto
fronte
pacifista
)
.
Potrei
certo
ricorrere
ad
altri
intellettuali
americani
con
un
'
esperienza
del
genere
alle
spalle
.
Penso
a
James
Schlesinger
,
ex
segretario
alla
Difesa
ed
ex
capo
della
Cia
,
autore
di
Fragmentation
and
Hubris
.
A
Shaky
Basis
for
American
Leadership
:
in
cui
si
descrive
un
'
America
più
dedita
agli
interessi
particolari
che
agli
interessi
nazionali
,
e
indifferente
alle
sorti
del
mondo
,
nonostante
il
potere
,
la
Casa
Bianca
,
gli
dedichi
appassionati
discorsi
.
Penso
anche
a
Richard
Haass
,
ex
collaboratore
del
National
Security
Council
,
autore
di
Reluctant
Sheriff
.
The
United
States
after
the
Cold
War
"
:
in
cui
è
analizzata
proprio
la
ripugnanza
americana
a
intervenire
militarmente
con
il
rischio
di
perdite
umane
.
Ripugnanza
,
secondo
Haass
,
che
limita
e
rende
effimera
l
'
egemonia
americana
.
Kissinger
e
Brzezinski
hanno
espresso
tuttavia
con
maggior
chiarezza
,
per
noi
europei
,
la
loro
visione
in
due
opere
recenti
:
il
primo
in
Diplomacy
,
il
secondo
in
The
Grand
Chessboard
:
e
il
fatto
che
nel
suo
libro
Kissinger
abbia
soprattutto
analizzato
con
fredda
intelligenza
il
passato
e
Brzezinski
abbia
affrontato
con
geniale
passione
il
futuro
,
rende
ancora
più
interessanti
i
loro
discorsi
.
I
quali
,
alla
fine
,
guidati
entrambi
dalla
Storia
,
sostanzialmente
convergono
.
Kissinger
ci
presenta
il
carattere
ambivalente
degli
Stati
Uniti
:
da
un
lato
il
paese
isolazionista
,
la
cui
vocazione
si
limita
ad
essere
un
esempio
per
il
resto
dell
'
umanità
;
dall
'
altro
il
paese
interventista
,
la
cui
vocazione
non
si
riduce
all
'
esempio
e
vuole
salvare
attraverso
l
'
azione
il
resto
dell
'
umanità
diffondendo
la
democrazia
e
dunque
la
pace
.
Le
due
anime
hanno
un
'
aspirazione
comune
:
quella
di
vedere
il
pianeta
adottare
i
valori
universali
incarnati
dall
'
America
;
ed
entrambe
sono
riluttanti
,
anzi
rifiutano
di
confondere
gli
Stati
Uniti
con
altri
paesi
,
di
metterli
sullo
stesso
piano
,
fosse
anche
in
una
posizione
da
primus
inter
pares
,
nel
quadro
di
un
equilibrio
multipolare
.
Kissinger
resta
fedele
alla
formula
classica
dell
'
impero
e
dell
'
equilibrio
,
alla
quale
non
c
'
è
per
lui
alternativa
.
Per
questo
è
stato
paragonato
,
non
senza
ironia
,
al
Metternich
del
Congresso
di
Vienna
(
1815
)
.
Nel
dopo
guerra
-
fredda
si
è
reso
conto
che
il
mondo
non
è
diventato
,
come
si
pensava
,
unipolare
e
con
una
sola
incontrastata
superpotenza
,
e
quindi
che
la
geopolitica
postcomunista
non
esentava
dalla
tradizionale
ricerca
di
un
equilibrio
tra
gli
Stati
che
contano
.
Si
è
creata
una
situazione
multipolare
che
impone
come
nel
passato
una
serie
di
pazienti
calcoli
tendenti
a
una
convivenza
tra
l
'
impero
e
gli
altri
.
Calcoli
a
cui
l
'
America
è
refrattaria
.
Kissinger
riconosce
ovviamente
la
sua
supremazia
,
ma
gli
sembra
più
relativa
di
quel
che
appare
.
Più
fragile
di
quel
che
si
dice
.
Vede
affiorare
altri
centri
di
potere
,
di
cui
non
si
conosce
ancora
il
peso
e
l
'
orientamento
(
la
Cina
,
il
Giappone
,
l
'
Europa
,
la
Russia
,
forse
l
'
India
)
:
li
vede
delinearsi
,
con
forme
ancora
incerte
,
da
studiare
col
tempo
.
Il
gran
fracasso
dei
mass
media
è
come
una
nebbia
che
cancella
i
dettagli
e
lascia
vedere
soltanto
una
sagoma
rudimentale
della
realtà
in
mutazione
.
L
'
idealismo
americano
è
per
sua
natura
contrario
a
una
politica
di
puro
equilibrio
:
eppure
la
diplomazia
classica
è
indispensabile
all
'
impero
che
esercita
la
sua
egemonia
in
un
mondo
multipolare
.
Il
giudizio
di
Kissinger
sulla
crisi
balcanica
è
coerente
a
questo
principio
.
L
'
Occidente
(
in
sostanza
Clinton
)
non
ha
applicato
il
metodo
appropriato
alla
situazione
.
Ha
trascurato
la
Russia
;
l
'
universo
ortodosso
che
si
sente
solidale
con
la
Serbia
;
si
pensi
alla
Grecia
,
paese
della
Nato
in
questa
congiuntura
ancor
più
contrapposto
alla
Turchia
,
altro
pilastro
dell
'
alleanza
;
e
agli
altri
paesi
dei
Balcani
.
E
le
conseguenze
per
la
Nato
?
Il
professor
Kissinger
può
distribuire
bacchettate
.
La
visione
di
Brzezinski
è
più
americana
.
è
più
dinamica
,
scavalca
la
nozione
statica
dell
'
equilibrio
tra
le
potenze
;
è
anche
più
ottimista
,
nel
senso
che
contempla
la
trionfante
egemonia
degli
Stati
Uniti
;
egemonia
che
,
pur
essendo
insidiata
dal
mondo
multipolare
,
sarà
superata
col
tempo
soltanto
da
un
ordine
cooperativo
mondiale
.
In
sostanza
gli
Usa
sono
l
'
ultimo
impero
universale
,
grazie
alla
superiorità
senza
rivali
in
tutti
i
campi
:
economico
,
tecnologico
,
culturale
e
militare
.
è
tuttavia
un
impero
di
tipo
nuovo
:
simile
al
suo
sistema
interno
.
Vale
a
dire
che
implica
una
struttura
complessa
,
articolata
in
modo
da
provocare
il
consenso
e
attenuare
gli
squilibri
e
i
disaccordi
.
"
Così
la
supremazia
globale
americana
riposa
su
un
sistema
elaborato
di
alleanze
e
di
coalizioni
che
copre
,
in
concreto
,
l
'
intero
pianeta
"
.
Ne
risulta
per
Brzezinski
la
necessità
di
una
doppia
politica
:
una
tesa
a
mantenere
,
per
almeno
un
'
altra
generazione
,
l
'
egemonia
degli
Stati
Uniti
;
l
'
altra
tesa
ad
incoraggiare
gli
alleati
e
gli
ex
avversari
ad
entrare
in
un
sistema
che
prepari
appunto
un
governo
mondiale
,
facendo
in
modo
che
i
partner
non
diventino
troppo
indipendenti
.
L
'
Europa
costituisce
la
testa
di
ponte
della
democrazia
,
dunque
dell
'
America
,
sul
continente
euroasiatico
.
È
bene
favorire
la
sua
unità
,
sulla
base
dell
'
intesa
franco
-
tedesca
,
evitando
però
che
conquisti
un
'
autonomia
eccessiva
.
Il
capitolo
dedicato
alla
Russia
ha
un
titolo
esplicito
:
"
Il
buco
nero
"
:
l
'
americano
polacco
sottolinea
il
pericolo
che
costituisce
l
'
ex
superpotenza
:
non
si
tratta
di
distruggerla
o
di
escluderla
ma
di
impedirle
di
ridiventare
un
impero
minaccioso
per
i
vicini
.
Per
questo
si
devono
curare
i
rapporti
con
i
paesi
limitrofi
(
la
Cina
,
ma
anche
la
Turchia
,
l
'
Iran
,
l
'
Ucraina
,
l
'
Azerbajdzhan
e
l
'
Uzbekistan
)
:
e
favorire
gli
investimenti
americani
nell
'
Eldorado
petrolifero
sul
Mar
Caspio
per
evitare
che
la
Russia
ne
approfitti
.
Sulla
severità
di
Brzezinski
nell
'
analizzare
la
crisi
balcanica
pesa
anche
il
sospetto
che
Mosca
ne
possa
trarre
prestigio
e
comunque
vantaggi
:
sia
come
punto
di
riferimento
per
il
mondo
slavo
ortodosso
frustrato
,
sia
come
capitale
intermediaria
tra
Milosevic
e
l
'
Occidente
.
Un
compromesso
su
quest
'
ultima
base
sarebbe
un
'
umiliazione
inaccettabile
per
la
Nato
.
Siamo
ben
lontani
dagli
equilibri
di
Kissinger
.
Ma
anche
il
"
discepolo
di
Metternich
"
sostiene
,
in
queste
ore
,
che
,
se
vuole
sopravvivere
,
la
Nato
deve
vincere
in
modo
netto
.
Avverte
tuttavia
,
nella
sua
ultima
opera
,
che
una
delle
profonde
differenze
tra
l
'
analista
politico
e
l
'
uomo
di
Stato
risiede
nel
fatto
che
il
primo
è
padrone
del
proprio
tempo
quando
decide
una
conclusione
;
mentre
il
secondo
è
sottoposto
in
permanenza
a
una
corsa
contro
l
'
orologio
.
Inoltre
uno
non
rischia
nulla
,
mentre
l
'
altro
può
rischiare
tutto
.
Insomma
,
se
partecipasse
ancora
al
potere
,
Zbigniew
Brzezisnki
avrebbe
altri
impulsi
,
o
modererebbe
quelli
che
ha
.
StampaQuotidiana ,
Il
nostro
continente
rischia
dunque
di
riscoprirsi
all
'
improvviso
spezzato
dalle
storiche
nozioni
di
Oriente
e
Occidente
.
Là
dove
correva
la
cortina
di
ferro
,
torna
minaccioso
a
proporsi
il
fantasma
del
primo
grande
Scisma
della
cristianità
,
se
è
vero
che
Stati
neppure
tutti
confinanti
tra
loro
come
la
Serbia
,
la
Russia
e
la
Bielorussia
-
grazie
al
potere
suggestivo
degli
antichi
simboli
comuni
,
riesumati
dalle
ceneri
del
comunismo
-
addirittura
meditano
di
fondersi
in
una
federazione
.
Il
nostro
ecumenismo
laico
,
erede
di
una
tradizione
giudaico
-
cristiana
deprivata
dei
suoi
riferimenti
alla
trascendenza
,
da
noi
rimodellati
in
forma
di
ideali
civili
,
alla
fine
del
millennio
viene
chiamato
a
fare
i
conti
col
fenomeno
nuovo
delle
etno
-
religioni
.
Ha
certo
ragione
da
vendere
chi
,
come
Paolo
Rumiz
nei
giorni
scorsi
,
ci
mette
in
guardia
dagli
abusi
storici
e
dalle
manipolazioni
propagandistiche
che
contraddistinguono
l
'
irrompere
minaccioso
delle
etno
-
religioni
.
Ma
resta
il
fatto
della
loro
proliferazione
a
Oriente
,
per
mano
consapevole
dei
Patriarcati
delle
Chiese
ortodosse
di
Russia
e
di
troppi
leader
politici
rosso
-
bruni
.
Il
mito
ascetico
dei
"
folli
in
Cristo
"
nuovamente
s
'
incontra
col
mito
guerriero
del
principe
Lazzaro
evocato
da
preci
irriducibili
:
"
Con
cuore
virtuoso
e
per
amor
di
pietà
hai
affrontato
il
serpente
e
il
nemico
delle
chiese
di
Dio
,
giudicando
che
il
tuo
cuore
non
avrebbe
tollerato
la
vista
dei
cristiani
sottomessi
agli
Ismaeliti
"
.
è
evidente
che
preghiere
altrettanto
bellicose
si
possono
rintracciare
pure
tra
i
crociati
cattolici
,
i
combattenti
dell
'
Islam
e
dell
'
ebraismo
.
Anzi
,
bisogna
pur
dire
che
in
altre
zone
del
pianeta
,
dalla
metà
degli
Anni
Settanta
in
poi
,
l
'
integralismo
religioso
ha
scatenato
purtroppo
più
di
una
guerra
santa
.
Il
richiamo
al
divino
quale
strumento
di
organizzazione
dei
conflitti
sociali
e
di
civiltà
,
è
una
modernissima
conseguenza
della
globalizzazione
.
Ma
intanto
dobbiamo
fare
i
conti
con
i
Balcani
e
più
in
generale
con
un
'
Europa
nella
quale
le
spinte
unificanti
a
fatica
contrastano
quel
processo
di
frantumazione
da
cui
già
sono
nati
numerosi
nuovi
Stati
e
staterelli
,
per
lo
più
fondati
su
base
etnica
.
Danièle
Hervieu
-
Léger
,
nel
primo
volume
della
"
Storia
d
'
Europa
"
(
Einaudi
)
descrive
le
etno
-
religioni
come
una
conseguenza
dei
"
mutamenti
storici
che
fanno
vacillare
le
strutture
mentali
degli
europei
"
.
Proliferano
le
"
domande
identificanti
"
in
risposta
all
'
"
accentuata
diffusione
dell
'
individualismo
"
.
I
loro
inventori
cercano
di
salvare
"
la
finzione
dell
'
appartenenza
comunitaria
"
e
adoperano
le
religioni
storiche
"
come
una
materia
prima
simbolica
,
estremamente
malleabile
,
suscettibile
di
diversi
trattamenti
a
seconda
delle
esigenze
dei
gruppi
che
vi
attingono
"
.
Così
si
elaborano
le
identità
etniche
,
poco
importa
se
fasulle
.
I
simboli
religiosi
vengono
mobilitati
in
funzione
identificante
,
dalla
Giovanna
d
'
Arco
manipolata
da
Le
Pen
fino
al
beato
Basilio
moscovita
.
Come
dimenticare
,
dieci
anni
dopo
la
promulgazione
della
"
fatwa
"
contro
Salman
Rushdie
,
che
furono
i
giovani
indo
-
pakistani
in
scarpe
da
tennis
,
immigrati
di
seconda
generazione
,
a
imporla
al
Consiglio
delle
moschee
di
Bradford
,
ben
prima
del
sigillo
pervenuto
da
Teheran
?
Lo
spiega
bene
Gilles
Kepel
(
"
A
ovest
di
Allah
"
,
Sellerio
)
,
dimostrando
come
anche
il
fondamentalismo
islamico
sia
piuttosto
il
prodotto
moderno
di
una
crisi
della
laicità
dentro
i
circoli
universitari
,
approdato
solo
in
un
secondo
tempo
nei
ghetti
e
nelle
bidonvilles
.
Si
tratta
,
in
tutti
questi
esempi
,
di
manipolazioni
dei
più
antichi
simboli
religiosi
.
Quando
tre
anni
fa
,
in
casa
nostra
,
Umberto
Bossi
cercò
di
ancorare
una
posticcia
identità
etnica
dei
Padani
all
'
improbabile
invenzione
del
dio
Eridanio
sorgente
dal
Po
,
precipitò
nel
ridicolo
.
E
non
a
caso
oggi
anche
lui
-
abiurato
in
fretta
e
furia
il
neo
-
paganesimo
-
preferisce
riconoscersi
nello
"
scudo
cristiano
"
minacciato
dal
ritorno
dell
'
"
impero
musulmano
"
con
l
'
aiuto
dell
'
Anticristo
a
stelle
e
a
strisce
.
Le
etno
-
religioni
hanno
bisogno
di
solidi
riferimenti
al
sacro
,
come
tali
in
grado
di
alimentarsi
dalle
tragedie
storiche
più
recenti
.
Come
dimenticare
,
ad
esempio
,
che
alle
spalle
del
nuovo
nazionalismo
di
Belgrado
ci
sono
anche
gli
anni
feroci
della
Seconda
guerra
mondiale
,
quando
i
serbi
venivano
massacrati
a
centinaia
di
migliaia
nel
lager
croato
di
Jasenovac
in
cui
agivano
anche
dei
frati
francescani
come
il
famigerato
Filipovic
?
Nei
tempi
bui
delle
etno
-
religioni
,
anche
i
leader
democratici
dell
'
Occidente
laico
sono
tentati
di
ricorrere
all
'
immagine
di
Milosevic
quale
"
nuovo
Demonio
"
,
com
'
è
scappato
detto
a
Tony
Blair
.
Perché
la
guerra
europea
torna
ad
assumere
le
vesti
di
guerra
di
religione
.
La
trasformazione
è
impressionante
,
nel
confronto
con
gli
altri
conflitti
di
questo
secolo
.
è
stato
,
indubbiamente
,
un
secolo
costellato
di
pulizie
e
trapianti
etnici
di
intere
popolazioni
.
Non
possiamo
dimenticare
neppure
che
nella
primavera
di
sessantuno
anni
fa
la
stessa
nascita
dello
Stato
di
Israele
fu
favorita
dall
'
evacuazione
forzata
di
centinaia
di
migliaia
di
palestinesi
,
benché
non
vi
sia
paragone
possibile
con
la
ferocia
di
quanto
avvenuto
in
Bosnia
e
in
Kosovo
.
Se
cito
questo
esempio
"
imbarazzante
"
,
è
per
rilevare
le
profonde
differenze
culturali
rispetto
all
'
epoca
delle
etno
-
religioni
.
Le
due
correnti
sioniste
che
combattevano
in
Palestina
,
quella
socialista
e
quella
revisionista
,
erano
entrambe
profondamente
laiche
.
Zvi
Kolitz
,
il
militante
dell
'
Irgun
che
ci
ha
consegnato
un
meraviglioso
apocrifo
in
cui
raffigura
l
'
ultimo
ebreo
combattente
del
ghetto
di
Varsavia
(
"
Yossl
Rakover
si
rivolge
a
Dio
"
,
Adelphi
)
,
esibisce
addirittura
sfrontatezza
nel
rivendicare
la
propria
emancipazione
dal
Signore
:
"
Credo
nel
Dio
d
'
Israele
,
anche
se
ha
fatto
di
tutto
perché
non
credessi
in
lui
...
Il
mio
rapporto
con
lui
non
è
più
quello
di
uno
schiavo
verso
il
suo
padrone
,
ma
di
un
discepolo
verso
il
suo
maestro
.
Chino
la
testa
dinanzi
alla
sua
grandezza
ma
non
bacerò
la
verga
con
cui
mi
percuote
"
.
Nel
Novecento
,
fino
a
poco
tempo
fa
,
neppure
in
Terrasanta
si
osava
combattere
nel
nome
di
Dio
.
Sono
le
etno
-
religioni
,
oggi
,
in
Europa
,
a
disseppellire
il
dio
della
guerra
e
a
proporlo
come
supremo
garante
dei
confini
.
Confini
etnici
,
appunto
,
o
ancor
peggio
confini
tra
mondi
,
tra
il
Bene
e
il
Male
,
tra
l
'
Oriente
e
l
'
Occidente
.
Speriamo
di
fermare
in
tempo
questa
nuova
,
surreale
concezione
della
guerra
.
Facendo
televisione
,
in
questi
giorni
,
si
viene
sommersi
da
lettere
astruse
di
pseudo
-
esperti
che
sventolano
vigorosamente
le
più
varie
ascendenze
etniche
,
richiamando
la
nobile
origine
degli
albanesi
negli
illiri
,
piuttosto
che
la
slavità
di
molte
popolazioni
musulmane
europee
.
Così
incede
la
balcanizzazione
dei
nostri
cervelli
.
Qualcuno
un
giorno
o
l
'
altro
si
metterà
in
testa
di
riesumare
dal
Duomo
di
Otranto
le
ossa
dei
martiri
cristiani
trucidati
dai
saraceni
,
per
dimostrare
che
gli
albanesi
sono
nostri
nemici
.
StampaQuotidiana ,
C
'
è
un
borbottio
sommerso
che
sfugge
a
quest
'
Europa
delle
sinistre
,
filoatlantica
,
chiusa
nei
suoi
videogiochi
,
distratta
e
lontana
dal
territorio
.
Dice
:
il
Diavolo
parla
americano
,
paga
in
dollari
.
Impone
un
ordine
globale
totalitario
,
svuota
le
identità
locali
,
mina
l
'
euro
e
le
nostre
economie
,
costruisce
una
nuova
Babele
con
raffiche
di
missili
e
ondate
di
immigrati
:
ieri
i
marocchini
,
oggi
i
kosovari
albanesi
.
è
un
immaginario
diffuso
:
infiamma
i
partigiani
di
un
antiamericanismo
nuovo
,
si
salda
ai
regionalismi
etnici
,
alle
piccole
patrie
,
a
una
xenofobia
subdola
,
meno
roboante
e
ben
mascherata
di
buon
senso
e
pietismo
umanitario
.
La
guerra
dei
Balcani
fotografa
alla
perfezione
schematismi
e
pregiudizi
di
un
pensiero
medio
,
di
un
immaginario
diffuso
e
trasversale
che
offre
a
Milosevic
sponde
inattese
.
Il
duce
dei
serbi
,
col
suo
mito
del
sangue
e
della
terra
,
rientra
in
pieno
nella
mitologia
di
questo
scontro
epocale
:
simboleggia
la
resistenza
al
Moloch
americano
,
l
'
ultima
trincea
d
'
Europa
contro
l
'
espianto
delle
identità
,
la
difesa
della
"
Heimat
"
e
dell
'
autoctonia
contro
l
'
orda
degli
erranti
"
sans
papiers
"
e
senza
patria
,
contro
il
loro
corteo
di
droga
,
mafia
,
prostitute
e
intellettuali
cosmopoliti
.
Non
è
uno
schema
ideologico
.
Non
nasce
nei
partiti
.
NON
HA
niente
a
che
fare
con
i
pacifismi
in
guerra
con
le
basi
Nato
in
Italia
,
con
i
bollori
sovietici
di
Rifondazione
,
l
'
odio
neofascista
per
la
cricca
demo
-
pluto
-
giudaico
-
americana
,
e
nemmeno
con
gli
approcci
che
in
piena
guerra
Gianfranco
Fini
tentò
con
i
boss
di
Belgrado
per
riavere
la
Dalmazia
.
Non
viene
nemmeno
dagli
intellettuali
franco
-
tedeschi
in
trincea
contro
l
'
inquinamento
della
cultura
dello
zio
Sam
.
Qui
è
altra
musica
.
Questo
mugugno
nuovo
cresce
nel
cuore
più
ricco
e
conservatore
del
Continente
:
nei
capannoni
e
nei
bar
sport
della
Pedemontania
lombardoveneta
di
Bossi
,
nelle
birrerie
e
nelle
valli
"
higt
tech
"
della
potente
Baviera
di
Edmund
Stoiber
,
nelle
taverne
e
tra
i
contadini
della
Carinzia
appena
conquistata
da
Joerg
Haider
.
Esplode
in
Provenza
con
l
'
ondata
anti
-
immigrati
cavalcata
da
Jean
-
Marie
Le
Pen
;
serpeggia
tra
gli
indipendentisti
savoiardi
di
Patrice
Abeille
e
gli
allevatori
della
Svizzera
di
lingua
tedesca
,
arroccati
nei
loro
microcosmi
vallivi
per
paura
della
nuova
competizione
mondiale
.
Sfiora
persino
la
quieta
Slovenia
,
dove
la
febbre
europea
del
dopo
-
Jugoslavia
è
già
diventata
diffidenza
.
Cresce
nell
'
ombra
,
si
rivela
solo
in
parte
nei
sondaggi
.
A
Montebelluna
come
a
Rosenheim
in
Baviera
,
a
Lugano
come
ad
Avignone
,
è
il
sismografo
di
un
'
ansia
nuova
,
di
una
nevrosi
da
appartenenza
,
da
spaesamento
e
talvolta
da
superlavoro
.
è
l
'
affioramento
della
turbolenza
identitaria
di
un
mondo
ricco
ma
culturalmente
impoverito
,
economicamente
forte
ma
insicuro
,
gonfio
di
autostima
eppure
indifeso
di
fronte
alla
complessità
dei
tempi
.
Un
mondo
chiuso
che
si
autoreferenzia
,
rischia
derive
di
tipo
vittimistico
e
localista
,
ed
è
sensibile
alle
roboanti
metafore
e
alle
semplificazioni
della
demagogia
.
Esso
indica
una
trasformazione
culturale
e
antropologica
di
cui
non
si
sono
ancora
fotografate
le
dimensioni
.
Il
pensiero
che
coniuga
il
pregiudizio
antiamericano
a
quello
anti
-
immigrati
non
è
maggioritario
nelle
nazioni
di
riferimento
,
ma
è
geograficamente
compatto
,
delinea
quello
che
Luc
Rosenzweig
definisce
,
su
"
Le
Monde
"
,
un
fenomeno
di
"
populismo
alpino
"
.
Rosenzweig
ricorda
che
mentre
il
nazismo
e
il
fascismo
nacquero
nelle
metropoli
industriali
devastate
dalla
disoccupazione
di
massa
,
questo
populismo
cresce
nel
mondo
dei
ricchi
,
è
un
fenomeno
di
provincia
,
parte
dalle
valli
e
si
sente
minacciato
dalle
Capitali
,
dalle
loro
tasse
e
i
loro
politicanti
corrotti
.
Gli
stessi
Cobas
del
latte
,
gli
stessi
operai
della
piccola
industria
che
da
sempre
guardano
a
Bruxelles
come
al
simbolo
della
"
degenerazione
burocratica
dell
'
Europa
delle
pianure
"
,
oggi
,
con
la
guerra
dei
Balcani
,
guardano
all
'
America
come
alla
grande
destabilizzatrice
.
Ed
ecco
Bossi
che
in
pieno
parlamento
si
dichiara
a
favore
di
Milosevic
e
ricorda
al
mondo
che
gli
albanesi
sono
"
immigrati
"
per
definizione
.
Tali
,
dovunque
essi
siano
:
in
Italia
,
in
Serbia
dove
stanno
da
secoli
,
persino
in
Albania
che
è
casa
loro
.
Come
dire
:
sono
razzialmente
extracomunitari
,
biologicamente
dei
virus
.
Boutade
?
Niente
affatto
.
Come
tutti
i
demagoghi
,
Bossi
si
limita
ad
amplificare
un
malumore
diffuso
.
Percepisce
come
un
sismografo
il
borbottìo
di
fondo
,
il
pregiudizio
anti
-
immigrati
che
oggi
si
focalizza
attorno
agli
albanesi
con
immagini
parassitologiche
che
non
sentivamo
dai
tempi
del
dottore
Mengele
.
Otto
anni
fa
la
Lega
stava
con
i
secessionisti
sloveni
:
oggi
avrebbe
dovuto
,
per
coerenza
,
stare
con
quelli
albanesi
del
Kosovo
.
Invece
no
,
sta
con
la
Serbia
:
e
il
cambio
fotografa
meglio
di
ogni
altro
la
sua
deriva
"
voelkisch
"
,
etnoculturale
.
è
il
nuovo
razzismo
che
André
Taguieff
chiama
"
differenzialista
"
.
La
cacciata
degli
immigrati
è
nobilitata
da
un
principio
:
quello
del
"
ciascuno
a
casa
sua
"
.
Ed
ecco
che
il
Diavolo
non
è
più
chi
divide
ma
chi
unisce
,
dunque
"
uccide
le
razze
,
mescolandole
"
.
è
il
razzismo
che
utilizza
la
sintassi
dell
'
antirazzismo
;
è
la
destra
che
,
per
conquistare
consensi
,
ricicla
il
Pantheon
delle
sue
idee
servendosi
degli
idiomi
della
sinistra
.
Così
,
la
crisi
balcanica
è
commentata
su
"
La
Padania
"
di
Bossi
nientemeno
che
da
Alain
de
Benoist
,
il
padre
della
nuova
destra
europea
che
oggi
si
ispira
ad
Antonio
Gramsci
,
padre
della
sinistra
italiana
.
Nei
suoi
editoriali
in
prima
pagina
,
l
'
antiamericanismo
è
la
colonna
portante
.
Gli
yankee
,
scrive
de
Benoist
sul
quotidiano
della
Lega
Nord
,
"
questi
specialisti
della
guerra
di
diritto
,
sono
abituati
a
giustificare
il
massacro
di
migliaia
di
civili
per
considerazioni
umanitarie
e
morali
"
.
Del
genocidio
degli
albanesi
,
nemmeno
una
parola
.
"
Clinton
Moerder
"
,
Clinton
assassino
,
sta
scritto
intanto
sui
muri
di
Klagenfurt
in
questi
giorni
che
vedono
,
come
sessant
'
anni
fa
,
nuovamente
bombe
su
Belgrado
e
nuovamente
uno
xenofobo
al
potere
in
Austria
,
per
ora
nella
piccola
Carinzia
.
L
'
autunno
scorso
,
proprio
su
un
lago
carinziano
,
a
Portschach
,
gli
esordienti
D
'
Alema
e
Schroeder
inauguravano
il
nuovo
corso
di
sinistra
dell
'
Unione
.
Appena
cinque
mesi
dopo
quello
stesso
lago
vedeva
la
riscossa
della
Destra
etnica
e
il
massimo
risultato
mai
conseguito
da
un
partito
razzista
nel
dopoguerra
in
Europa
.
E
la
percentuale
più
alta
-
55
per
cento
per
Haider
-
era
,
incredibilmente
,
proprio
quella
del
Comune
di
Poertschach
.
Vi
sono
segnali
,
nella
storia
:
dicono
che
le
masse
si
muovono
rasoterra
,
indipendentemente
dai
voli
pindarici
della
politica
delle
cancellerie
.
Haider
è
il
simbolo
perfetto
di
questa
nuova
destra
presentabile
dal
forte
sentire
antiamericano
.
Il
giornalista
Bruno
Luverà
,
autore
su
"
Limes
"
di
un
saggio
dal
titolo
"
L
'
internazionale
regionalista
tra
maschera
e
volto
"
,
fotografa
bene
il
pensiero
che
,
a
cavallo
delle
Alpi
,
segna
il
nucleo
ricco
del
Continente
.
Al
federalismo
solidale
gestito
dagli
Stati
nazionali
si
sostituisce
in
Baviera
,
Carinzia
o
in
Padania
,
quello
etnico
-
regionale
basato
sul
sangue
e
sul
suolo
.
Il
concetto
di
razza
è
reso
digeribile
perché
trasformato
in
etnopluralismo
,
inteso
come
diritto
delle
"
Heimat
"
alle
rispettive
differenze
.
Da
qui
una
visione
"
mixofobica
"
,
ostile
all
'
America
del
melting
pot
e
quindi
potenzialmente
alleata
di
chiunque
resista
all
'
"
etnocidio
"
.
C
'
è
una
sola
guerra
che
conta
,
aveva
scritto
qualche
tempo
fa
il
nostro
de
Benoist
.
Quella
a
cui
bisogna
prepararsi
opporrà
l
'
Europa
agli
Stati
Uniti
,
la
civiltà
alla
barbarie
mercantile
e
degenerata
.
Pascal
Bruckner
ricorda
che
questo
è
esattamente
il
discorso
della
propaganda
di
Milosevic
in
queste
ore
cruciali
.
Clinton
come
Hitler
,
la
svastica
sulle
stelle
e
strisce
.
E
i
serbi
,
non
gli
albanesi
deportati
,
sono
i
nuovi
ebrei
,
le
nuove
vittime
della
crociata
americana
contro
l
'
Europa
.
Su
questa
lunghezza
d
'
onda
può
scattare
un
'
attrazione
fatale
fra
il
populismo
subalpino
e
quello
,
post
-
comunista
,
dei
Balcani
.