StampaQuotidiana ,
Nei
commenti
dedicati
dalla
stampa
italiana
alla
tragedia
vietnamita
non
mi
pare
di
aver
visto
messi
in
rilievo
alcuni
punti
che
a
mio
avviso
meriterebbero
di
esserlo
.
Primo
.
Gli
americani
hanno
condotto
nel
Vietnam
,
e
imposto
ai
loro
alleati
sud
-
vietnamiti
,
una
guerra
«
limitata
»
che
,
oltre
alle
numerose
restrizioni
nell
'
impiego
della
potenza
bellica
statunitense
sul
campo
,
comportava
anche
l
'
esclusione
di
ogni
attacco
terrestre
al
territorio
nord
-
vietnamita
.
Se
si
tiene
conto
inoltre
delle
drastiche
limitazioni
osservate
nei
bombardamenti
aerei
per
ciò
che
riguarda
la
scelta
degli
obiettivi
(
nulla
di
paragonabile
,
neppure
alla
lontana
,
con
quelli
effettuati
durante
la
seconda
guerra
mondiale
sulla
Germania
e
sul
Giappone
,
nonostante
il
tonnellaggio
sganciato
)
e
del
mancato
blocco
del
porto
di
Haiphong
,
ne
deriva
che
il
Nord
Vietnam
ha
potuto
combattere
tutta
la
sua
guerra
da
basi
invulnerabili
ai
fini
della
continuazione
dello
sforzo
bellico
.
Il
quale
dunque
,
come
ha
scritto
il
vincitore
della
guerriglia
in
Malesia
,
Sir
Robert
Thompson
,
per
i
comunisti
vietnamiti
è
sempre
stato
una
«
can
win
,
can
'
t
lose
war
»
:
una
guerra
,
cioè
,
che
essi
potevano
vincere
ma
non
perdere
;
mentre
per
gli
anticomunisti
di
Saigon
le
cose
stavano
in
modo
esattamente
opposto
.
Anni
fa
ebbi
occasione
di
chiedere
a
uno
dei
massimi
artefici
della
politica
americana
in
Vietnam
a
quali
condizioni
si
poteva
vincere
quella
guerra
.
La
risposta
fu
che
ciò
sarebbe
avvenuto
il
giorno
in
cui
i
nord
-
vietnamiti
si
fossero
decisi
ad
allevare
bambini
e
a
coltivare
riso
invece
che
a
far
la
guerra
.
Si
è
sempre
detto
che
un
'
invasione
del
Nord
Vietnam
avrebbe
comportato
il
rischio
di
un
intervento
cinese
.
E
'
una
considerazione
importante
,
anche
per
chi
ritiene
che
alla
fine
il
governo
di
Pechino
avrebbe
evitato
il
pericolo
mortale
di
un
nuovo
scontro
diretto
con
la
potenza
degli
Stati
Uniti
.
Ma
a
chi
invece
pensa
diversamente
resta
sempre
da
superare
l
'
argomento
di
cui
anni
fa
si
fece
sostenitore
l
'
ammiraglio
Sharp
,
già
comandante
delle
forze
americane
nel
Pacifico
:
le
guerre
che
si
deve
temere
di
vincere
non
si
combattono
.
Secondo
.
E
'
la
decisione
che
gli
americani
,
da
ultimo
,
hanno
preso
.
Ma
l
'
hanno
presa
dopo
avere
incoraggiato
gli
avversari
del
comunismo
nel
Vietnam
a
resistere
,
e
a
non
rassegnarsi
al
destino
che
forse
vent
'
anni
fa
avrebbero
accettato
con
atavica
saggezza
.
Fonti
americane
calcolano
a
circa
150
mila
i
funzionari
del
regime
di
Saigon
e
i
collaboratori
degli
americani
sicuramente
esposti
a
drastiche
rappresaglie
in
caso
di
sconfitta
;
e
la
cifra
(
secondo
R
.
Evans
e
R
.
Novak
)
sale
a
un
milione
se
si
tiene
conto
degli
ufficiali
dell
'
esercito
e
in
genere
dei
dipendenti
governativi
:
quanto
dire
di
tutti
coloro
che
nella
lotta
si
sono
impegnati
più
a
fondo
,
che
hanno
,
cioè
,
investito
la
loro
vita
nella
causa
per
la
quale
gli
americani
li
avevano
esortati
a
combattere
.
Di
costoro
,
solo
una
minuscola
frazione
è
stata
tratta
in
salvo
negli
ultimi
giorni
,
che
in
compenso
hanno
visto
partire
fino
all
'
ultimo
americano
.
Terzo
.
Da
ogni
parte
si
lanciano
accuse
sul
regime
«
marcio
e
corrotto
»
di
Saigon
,
e
derisioni
sulle
qualità
militari
dell
'
armata
sud
-
vietnamita
.
Non
ho
elementi
di
controllo
:
ma
se
si
tien
conto
della
popolazione
dei
due
paesi
,
i
200.000
morti
sud
-
vietnamiti
equivalgono
alla
perdita
,
da
parte
degli
Stati
Uniti
,
di
2.500.000
uomini
,
cinquanta
volte
superiore
a
quella
effettivamente
sostenuta
.
Quanto
alla
corruzione
,
mi
chiedo
se
a
questa
stregua
l
'
Italia
del
1944
,
quella
rievocata
da
Malaparte
nella
Pelle
,
avrebbe
meritato
che
gli
americani
combattessero
per
essa
.
Certo
,
l
'
Italia
ebbe
i
partigiani
e
il
movimento
di
liberazione
.
Ma
il
Sud
Vietnam
ha
avuto
i
suoi
vent
'
anni
di
guerra
e
i
suoi
200.000
morti
;
e
non
vorrei
che
troppo
facilmente
si
desse
credito
a
giudizi
diffusi
per
anni
dalla
stampa
«
liberale
»
americana
per
coprire
la
vera
natura
dell
'
atto
che
in
questi
giorni
è
giunto
alla
sua
consumazione
.
Proprio
il
rispetto
di
quei
caduti
e
il
dramma
che
attende
le
centinaia
di
migliaia
di
coloro
che
più
si
sono
esposti
in
questi
anni
(
adesso
chi
ricorda
Huè
e
le
fosse
comuni
riempite
in
poche
settimane
di
occupazione
nord
-
vietnamita
?
)
esigerebbero
,
quanto
meno
,
una
sospensiva
di
giudizio
.
La
dottrina
Nixon
prometteva
l
'
aiuto
americano
solo
a
quei
popoli
che
si
fossero
mostrati
disposti
a
combattere
per
meritarlo
.
In
fondo
,
non
c
'
è
popolo
al
mondo
che
negli
ultimi
vent
'
anni
si
sia
battuto
per
la
libertà
(
la
libertà
di
vivere
a
proprio
modo
,
senza
subire
la
violenza
di
coloro
che
vogliono
rendere
felici
gli
uomini
loro
malgrado
)
quanto
i
sud
-
vietnamiti
.
StampaQuotidiana ,
La
politica
scolastica
dei
governi
che
si
sono
succeduti
dal
1968
in
poi
sarà
registrata
fra
le
pagine
più
ingloriose
della
recente
storia
del
nostro
paese
.
Non
che
negli
anni
precedenti
le
cose
andassero
nel
migliore
dei
modi
,
ché
anzi
una
certa
responsabilità
nei
guai
del
periodo
successivo
va
anche
attribuita
ai
ritardi
e
alle
carenze
con
le
quali
allora
si
fronteggiarono
i
problemi
derivanti
dall
'
espansione
scolastica
e
dal
mutare
dei
tempi
:
anche
se
un
minimo
di
giustizia
vuole
che
di
quegli
anni
si
ricordino
altresì
la
creazione
della
media
unica
,
l
'
obbligo
scolastico
portato
a
14
anni
,
il
salutare
rinnovamento
della
didattica
nelle
elementari
.
Ma
ritardi
e
carenze
in
materia
scolastica
sono
riferibili
alle
medesime
ragioni
che
hanno
ostacolato
il
sollecito
adeguamento
di
tanti
altri
aspetti
delle
nostre
strutture
pubbliche
alla
tumultuosa
trasformazione
del
dopoguerra
.
Invece
,
dopo
il
1968
si
è
assistito
al
fatto
davvero
senza
precedenti
della
degradazione
della
scuola
a
strumento
di
ordine
pubblico
,
destinato
a
trattenere
e
assorbire
,
costi
quel
che
costi
,
spinte
e
minacce
d
'
ordine
politico
che
il
governo
non
si
sente
di
affrontare
sul
terreno
loro
proprio
,
come
metodi
e
iniziative
politiche
.
E
poiché
scuola
in
questo
caso
vuol
dire
essenzialmente
professori
e
insegnanti
,
su
di
essi
si
è
sistematicamente
esercitato
il
ricatto
dei
detentori
del
potere
(
e
cioè
non
solo
del
governo
e
dei
partiti
che
lo
sorreggono
)
,
i
quali
hanno
scaricato
sui
docenti
il
compito
impossibile
di
fronteggiare
problemi
che
la
scuola
è
istituzionalmente
impreparata
a
risolvere
,
nell
'
atto
stesso
in
cui
ne
minavano
l
'
autorità
morale
e
disciplinare
con
una
campagna
denigratoria
spesso
riecheggiata
in
settori
e
a
livelli
ai
quali
non
sarebbe
mai
dovuta
pervenire
.
Vittime
maggiori
dell
'
operazione
sono
stati
i
docenti
delle
scuole
medie
superiori
,
dove
la
contestazione
ha
assunto
le
forme
più
violente
e
aggressive
,
e
dove
nel
tempo
stesso
gli
insegnanti
potevano
contare
su
risorse
e
libertà
d
'
iniziativa
assai
minori
di
quelle
a
disposizione
dei
colleghi
universitari
.
Si
è
così
assistito
allo
spettacolo
indegno
di
vecchi
servitori
dello
Stato
e
uomini
di
scuola
costretti
in
situazioni
impossibili
,
alla
mercè
di
turbe
rotte
a
tutte
le
astuzie
della
disputa
politica
,
spesso
manovrate
dall
'
esterno
,
e
non
di
rado
addestrate
alle
tecniche
della
guerriglia
urbana
.
Non
è
stato
difficile
,
per
costoro
,
costringere
anche
professori
seri
e
valenti
a
optare
tra
cedimenti
pagati
col
sacrificio
di
tutti
i
valori
della
professione
e
rinunce
che
spesso
coincidono
con
l
'
indigenza
e
con
la
fine
anticipata
del
proprio
inserimento
sociale
.
Senza
contare
esiti
più
dolorosi
,
di
cui
taluno
è
riuscito
,
anche
di
recente
,
ad
attraversare
la
cortina
di
silenzio
che
troppo
spesso
la
nostra
libera
stampa
stende
su
queste
cose
.
Con
i
risultati
,
sul
livello
del
processo
educativo
e
sulla
salute
politica
del
paese
,
che
sono
sotto
gli
occhi
di
tutti
.
«
Chi
ha
permesso
che
a
una
società
accadesse
questo
ha
colpe
che
nessun
tribunale
giudicherebbe
con
indulgenza
»
,
scrive
Vittoria
Ronchey
in
un
singolare
diario
scolastico
(
Figlioli
miei
,
marxisti
immaginari
,
Rizzoli
,
Milano
1975
,
pp.
175
)
che
esce
in
questi
giorni
,
e
che
sotto
il
velo
trasparente
dell
'
invenzione
letteraria
rievoca
una
serie
di
vicende
della
cui
verità
ideale
nessuno
che
abbia
in
qualche
modo
partecipato
al
dramma
della
nostra
scuola
negli
anni
recenti
può
dubitare
.
Il
libro
si
affida
anche
a
un
'
abile
costruzione
narrativa
,
che
riesce
a
creare
una
sorta
di
suspense
intorno
alle
esperienze
di
un
'
ignara
professoressa
di
filosofia
e
storia
nei
licei
,
da
Bergamo
approdata
in
un
istituto
romano
dove
le
sue
illusioni
di
progressismo
pedagogico
vengono
infine
alla
prova
della
realtà
.
Quelle
illusioni
escono
per
buona
parte
infrante
e
calpestate
nello
scontro
con
una
situazione
nella
quale
protervia
di
allievi
e
complicità
di
colleghi
costringono
al
fine
la
protagonista
ad
abbandonare
la
scuola
.
Su
questo
sfondo
si
dispiega
una
serie
di
esempi
significativi
delle
tecniche
psicologiche
,
delle
chiusure
mentali
,
delle
azioni
di
concreta
ostilità
con
le
quali
tanta
parte
del
corpo
insegnante
è
stata
forzata
a
subire
un
tipo
di
scuola
che
ripugna
alle
sue
convinzioni
più
profonde
.
Ma
soprattutto
la
vicenda
offre
all
'
autrice
l
'
occasione
di
una
serie
di
riflessioni
sulla
crisi
della
scuola
,
di
cui
qui
si
vagliano
gli
aspetti
essenziali
alla
luce
,
insieme
,
di
un
serio
impegno
culturale
e
di
un
'
autentica
vocazione
educativa
.
I1
risultato
forse
più
rilevante
dell
'
analisi
è
l
'
individuazione
della
corresponsabilità
che
,
nell
'
origine
della
crisi
,
unisce
l
'
aggressione
politica
montata
dall
'
estremismo
di
sinistra
contro
la
supposta
«
cinghia
di
trasmissione
del
sistema
»
,
e
il
permissivismo
pedagogico
di
derivazione
americana
.
Su
questo
schema
di
fondo
una
serie
di
determinazioni
particolari
danno
materia
alle
pagine
più
valide
e
più
impegnative
del
libro
.
Sarà
dunque
da
ricordare
la
segnalazione
,
di
indiscutibile
evidenza
,
della
responsabilità
che
nell
'
aggressione
contro
la
scuola
spetta
a
quei
docenti
estremisti
dalle
cui
classi
è
quasi
sempre
partita
la
prima
ondata
dell
'
attacco
;
e
,
con
essa
collegata
,
la
precisa
accusa
rivolta
ai
docenti
comunisti
,
a
parole
sempre
pronti
a
distinguersi
dai
gruppuscoli
,
ma
di
fatto
impegnati
ad
assicurarne
la
impunità
anche
di
fronte
agli
eccessi
meno
giustificabili
.
E
,
in
fatto
di
docenti
,
sia
consentito
,
a
chi
li
ha
visti
all
'
opera
,
di
esprimere
la
propria
intera
solidarietà
con
la
denuncia
dei
«
vecchi
demagoghi
imbellettati
»
,
quali
sono
apparsi
agli
occhi
della
scrittrice
tanti
professori
universitari
venuti
a
patti
indecorosi
con
la
contestazione
anche
su
questioni
inerenti
agli
studi
che
dovevano
essere
la
loro
ragione
di
vita
.
L
'
autrice
,
a
suo
tempo
allieva
riconoscente
di
quei
«
maestri
»
,
non
tace
la
propria
sconfortata
delusione
:
e
chi
indaga
le
ragioni
della
crisi
di
ideali
e
di
modelli
di
vita
che
investe
tanta
parte
della
gioventù
intellettuale
farà
bene
a
non
trascurare
l
'
effetto
disastroso
che
su
di
essa
hanno
avuto
gli
esempi
di
questo
tipo
.
Con
ciò
non
si
vuole
certo
esonerare
dalle
sue
responsabilità
la
classe
politica
,
alla
quale
spettava
di
impedire
che
si
creassero
le
situazioni
sulle
quali
fatti
come
questi
si
sono
determinati
:
ma
i
tempi
straordinari
richiedevano
,
e
tuttora
richiedono
ai
professori
,
specie
universitari
,
prove
che
eccedono
i
limiti
dei
loro
ordinari
doveri
.
E
tuttavia
,
se
dovessi
indicare
dove
la
punta
accuminata
di
questo
libro
scava
più
in
fondo
,
additerei
piuttosto
la
seconda
direzione
,
della
pedagogia
velleitaria
e
parolaia
,
fondata
su
nozioni
di
così
povero
contenuto
intellettuale
e
di
tanta
impotenza
operativa
.
A
essa
hanno
attinto
a
piene
mani
i
molti
che
andavano
alla
ricerca
di
alibi
ai
propri
cedimenti
.
Specialmente
il
culto
dello
«
spontaneismo
pedagogico
»
,
correlato
al
disinvolto
abbandono
della
tradizione
culturale
-
che
poi
vuol
dire
l
'
intero
nostro
patrimonio
intellettuale
,
umanistico
e
scientifico
-
come
strumento
educativo
,
ha
spesso
fornito
una
mano
volenterosa
ai
banditori
della
crociata
contro
l
'
«
integrazione
nella
società
borghese
»
.
Milioni
di
giovani
hanno
già
fatto
le
spese
di
siffatti
esperimenti
politico
-
culturali
,
sul
terreno
intellettuale
e
su
quello
morale
.
Resta
solo
da
sperare
che
libri
come
questo
contribuiscano
a
indurre
le
forze
politiche
democratiche
a
impegnarsi
sempre
più
direttamente
in
una
scuola
che
appare
sempre
meno
in
grado
di
riscattarsi
con
forze
proprie
.
E
alla
speranza
vogliamo
anche
aggiungere
l
'
augurio
che
i
recenti
decreti
delegati
,
miranti
a
coinvolgere
più
direttamente
la
società
nella
vita
della
scuola
,
siano
anche
il
segno
che
la
classe
politica
ha
preso
finalmente
coscienza
della
sua
responsabilità
di
assicurare
ai
nostri
figli
un
'
educazione
adeguata
ai
cittadini
di
un
paese
libero
e
civile
.
StampaQuotidiana ,
Alla
fine
dello
scorso
aprile
si
tenne
,
a
Firenze
,
un
'
assemblea
nazionale
degli
studenti
comunisti
.
Nel
corso
del
dibattito
furono
pronunciate
dure
condanne
del
presalario
generalizzato
,
del
«30
garantito
»
,
dell
'
«
uguaglianza
stracciona
»
sulla
base
della
mezza
ignoranza
,
auspicata
e
promossa
,
negli
ultimi
anni
,
dai
gruppi
estremisti
,
«
figli
degeneri
del
sessantotto
»
.
Vennero
in
primo
piano
i
temi
della
serietà
e
del
rigore
,
la
lotta
contro
la
dequalificazione
dell
'
università
,
il
necessario
rilancio
della
ricerca
,
i
valori
della
competenza
e
dell
'
impegno
collettivo
e
individuale
.
Si
mise
in
rilievo
l
'
obiettivo
di
garantire
il
diritto
allo
studio
ai
meno
abbienti
,
attraverso
misure
organizzative
dirette
a
sostituire
lo
scandalo
e
il
parassitismo
delle
largizioni
di
presalario
.
Al
sovraffollamento
di
taluni
corsi
si
propose
di
rimediare
con
la
programmazione
dei
vari
settori
di
studio
,
in
vista
delle
prospettive
di
occupazione
del
lavoro
intellettuale
previste
nel
quadro
della
programmazione
nazionale
.
Come
non
ricordare
questi
saggi
propositi
fra
i
tanti
documenti
del
nuovo
volto
del
comunismo
italiano
,
partito
d
'
ordine
,
serio
e
riformatore
?
Dopo
il
15
giugno
è
venuto
di
rincalzo
l
'
on.
Amendola
.
A
scuola
,
ha
dichiarato
,
bisogna
che
«
si
impari
»
,
e
non
ci
si
limiti
a
distribuire
«
diplomi
facili
»
;
lo
studio
è
«
sforzo
e
selezione
»
.
Difficile
trovare
parole
più
adatte
a
calmare
il
trauma
provocato
anche
in
certi
settori
del
mondo
universitario
dai
risultati
elettorali
.
Negli
stessi
giorni
,
però
,
in
cui
apparivano
le
dichiarazioni
dell
'
on.
Amendola
,
la
federazione
sindacale
guidata
dalla
Cgil
,
insieme
con
il
comitato
nazionale
universitario
e
con
l
'
organizzazione
del
personale
non
docente
,
presentava
al
governo
una
piattaforma
per
la
vertenza
sull
'
università
nella
quale
,
fra
una
serie
di
altre
proposte
,
sono
incluse
le
richieste
seguenti
:
a
)
istituzione
del
dipartimento
,
da
affidare
al
governo
di
organismi
misti
di
docenti
,
non
docenti
e
studenti
;
b
)
abolizione
della
cattedra
«
come
sede
di
una
rigida
titolarità
disciplinare
»
;
c
)
istituzione
del
docente
unico
.
Si
tratta
di
un
determinato
attacco
alle
elementari
garanzie
di
libertà
dell
'
insegnamento
e
della
ricerca
,
sancite
nel
nostro
paese
dalla
Costituzione
,
e
patrimonio
di
ogni
società
libera
.
Soppressa
infatti
la
«
titolarità
dell
'
insegnamento
»
,
ciascun
professore
potrà
essere
costretto
a
colpi
di
assemblea
(
e
l
'
esperienza
,
soprattutto
universitaria
,
insegna
che
questa
espressione
può
spesso
equivalere
a
colpi
non
di
maggioranza
ma
di
minoranza
,
quando
si
tratti
di
minoranze
«
attive
»
)
,
a
far
tacere
il
proprio
insegnamento
,
e
destinato
ad
altra
disciplina
,
e
magari
a
compiti
diversi
,
di
carattere
ausiliario
o
subalterno
.
Il
docente
perderà
il
diritto
alla
propria
funzione
,
e
sarà
esposto
a
tutti
i
tiranneggiamenti
e
a
tutte
le
imposizioni
di
parte
senza
quelle
difese
istituzionali
che
furono
gloria
dell
'
università
liberale
:
sino
alla
conclusione
facilmente
prevedibile
della
resa
o
dell
'
allontanamento
.
In
tal
modo
la
«
democratizzazione
»
diventa
un
pretesto
per
l
'
imposizione
del
totalitarismo
ideologico
nell
'
università
.
Si
dirà
che
la
proposta
tende
solo
a
eliminare
le
superstiti
baronie
dei
titolari
di
cattedra
.
Ma
a
parte
che
di
siffatte
baronie
ben
poco
rimane
dopo
i
raddoppiamenti
,
le
triplicazioni
e
magari
le
decuplicazioni
di
cattedre
degli
ultimi
anni
,
a
raggiungere
questa
finalità
sarebbe
bastata
la
contemporanea
istituzione
del
docente
unico
,
che
sopprime
ogni
rapporto
di
subordinazione
tra
i
docenti
della
stessa
disciplina
.
Ciò
non
significa
,
del
resto
,
che
questa
del
docente
unico
sia
una
richiesta
decentemente
sostenibile
:
quale
uguaglianza
,
infatti
,
più
«
stracciona
»
di
quella
che
si
vorrebbe
consacrare
in
tale
figura
,
che
non
esiste
in
nessuna
università
del
mondo
,
e
che
tende
a
pareggiare
giovani
con
qualche
anno
di
laurea
a
maestri
riconosciuti
del
sapere
?
E
anche
possibile
che
a
premere
in
questa
direzione
,
più
ancora
della
Cgil
,
sia
il
Cnu
,
in
cui
si
raccoglie
tanta
parte
del
sottobosco
universitario
italiano
,
popolato
di
personaggi
decisi
a
far
carriera
con
tutti
i
mezzi
,
a
eccezione
del
serio
controllo
delle
attitudini
e
delle
competenze
.
Finora
i
comunisti
han
dato
prova
di
grande
abilità
nel
mettere
queste
pretese
del
peggiore
corporativismo
al
servizio
dei
propri
fini
di
potere
.
Ma
occorre
che
essi
mostrino
invece
di
sapere
resistere
a
spinte
di
questo
genere
prima
che
la
loro
nuova
immagine
possa
essere
in
qualche
modo
accettata
.
Se
alle
tante
parole
che
abbiamo
ascoltate
in
queste
settimane
essi
faranno
seguire
fatti
concreti
,
saremo
lieti
di
vederli
all
'
opera
.
Le
occasioni
non
mancheranno
.
StampaQuotidiana ,
Fin
da
quando
Stalin
,
nel
1936
,
lanciò
la
politica
dei
fronti
popolari
,
i
comunisti
hanno
mostrato
un
'
assoluta
spregiudicatezza
nella
ricerca
di
nuove
alleanze
.
Al
suo
ritorno
in
Italia
Togliatti
ne
diede
una
prima
prova
con
la
sua
offerta
di
collaborazione
con
la
monarchia
nel
governo
del
Sud
.
Manifesti
con
l
'
invito
a
votare
i
comunisti
per
la
difesa
dell
'
iniziativa
privata
comparvero
per
la
prima
volta
non
già
nell
'
ultima
campagna
elettorale
ma
in
quella
del
1948
.
Più
tardi
il
ventaglio
delle
offerte
si
allargò
sino
a
toccare
,
con
l
'
esperimento
Milazzo
in
Sicilia
,
gli
stessi
missini
;
e
anche
verso
le
motivazioni
dei
giovani
neofascisti
Togliatti
mostrò
,
a
un
certo
momento
,
la
più
larga
comprensione
.
C
'
è
tuttavia
una
radicale
differenza
tra
la
politica
delle
alleanze
praticata
dal
Pci
nel
primo
dopoguerra
e
quella
degli
ultimi
anni
.
Allora
,
essa
si
imperniava
sull
'
alleanza
leninista
e
gramsciana
degli
operai
e
dei
contadini
,
nella
quale
ai
contadini
del
Sud
era
riservato
il
compito
di
rovesciare
,
con
il
proprio
intervento
,
l
'
incerto
equilibrio
tra
le
due
componenti
,
borghese
e
operaia
,
dell
'
Italia
industriale
.
Adesso
,
ridotta
largamente
dallo
sviluppo
economico
la
componente
contadina
della
società
italiana
,
la
proposta
di
alleanza
si
rivolge
soprattutto
ai
ceti
medi
,
cresciuti
di
numero
e
d
'
importanza
negli
ultimi
decenni
.
Anche
qui
Gramsci
agisce
da
supporto
ideologico
e
da
garante
dell
'
alleanza
con
le
sue
riflessioni
sugli
intellettuali
e
stilla
egemonia
,
come
già
nella
fase
precedente
si
erano
invocate
le
sue
tesi
sulla
questione
meridionale
e
sulla
rivoluzione
agraria
mancata
del
Risorgimento
.
Ma
all
'
alleanza
con
i
ceti
medi
manca
il
cemento
di
quella
reale
comunanza
di
obiettivi
che
,
fino
a
un
certo
punto
almeno
,
sosteneva
il
progetto
di
alleanza
rivoluzionaria
tra
operai
e
contadini
.
La
conquista
della
terra
era
in
effetti
un
obiettivo
reale
e
largamente
sentito
dalle
masse
contadine
,
e
poteva
occupare
un
posto
di
primo
piano
in
un
disegno
di
strategia
rivoluzionaria
:
quanto
meno
per
la
prima
fase
,
ché
in
seguito
l
'
esperienza
mostra
quale
durissimo
prezzo
abbiano
dovuto
pagare
i
contadini
in
tutti
i
regimi
che
si
ispirano
al
modello
sovietico
.
Invece
,
tra
le
richieste
di
ogni
sorta
che
i
comunisti
negli
ultimi
anni
hanno
dichiarato
di
far
proprie
non
esiste
nessuna
reale
omogeneità
.
Non
è
possibile
,
infatti
,
assicurare
contemporaneamente
salari
(
e
quindi
consumi
individuali
)
più
elevati
,
e
investimenti
sociali
accresciuti
;
maggiori
retribuzioni
agli
occupati
e
incremento
dell
'
occupazione
;
soddisfazione
delle
istanze
corporative
e
settoriali
e
tutela
dei
ceti
produttori
;
socialismo
e
interessi
non
solo
della
piccola
ma
anche
della
media
e
persino
della
grande
impresa
privata
.
Questo
coacervo
di
obiettivi
,
utilissimo
a
un
partito
di
opposizione
per
raccogliere
voti
e
consensi
,
reggerebbe
assai
poco
alla
prova
quando
dovesse
misurarsi
con
la
realtà
nella
concreta
azione
di
governo
.
E
dunque
di
vitale
importanza
,
per
il
Pci
,
che
questo
confronto
non
avvenga
prima
che
esso
abbia
conquistato
il
controllo
di
quegli
strumenti
di
potere
che
gli
consentirebbero
di
fronteggiare
senza
danni
l
'
ondata
di
delusione
e
le
resistenze
che
inevitabilmente
seguirebbero
le
sue
prime
prove
di
governo
.
Da
ciò
l
'
estrema
cautela
della
sua
marcia
verso
il
potere
e
lo
scarso
desiderio
che
i
dirigenti
comunisti
mostrano
di
trarre
vantaggio
dalle
molte
occasioni
di
accelerarla
che
a
essi
si
offrono
fin
da
ora
.
E
da
ciò
anche
il
dramma
di
ogni
tentativo
di
conquista
democratica
del
potere
da
parte
del
comunismo
,
condannato
,
prima
o
poi
,
a
scontrarsi
con
le
resistenze
della
maggioranza
dell
'
elettorato
,
e
ad
affrontare
perciò
la
scelta
tra
potere
e
democrazia
.
Ma
se
questo
è
l
'
interesse
del
Pci
,
è
evidente
l
'
opposto
interesse
che
i
partiti
,
la
stampa
,
la
cultura
democratica
hanno
di
sollecitare
questo
confronto
fra
i
programmi
e
le
promesse
del
Pci
e
la
realtà
della
sua
azione
sociale
e
politica
.
In
troppi
casi
i
comunisti
si
sono
potuti
atteggiare
a
restauratori
di
un
ordine
e
di
una
buona
amministrazione
che
essi
stessi
avevano
in
larga
parte
contribuito
a
distruggere
,
appoggiando
le
più
arrischiate
richieste
sindacali
,
le
iniziative
dei
gruppuscoli
,
le
campagne
di
terrorismo
ideologico
volto
a
disorientare
e
paralizzare
governo
e
opinione
pubblica
.
Occorre
che
le
forze
democratiche
sviluppino
una
assidua
vigilanza
in
questa
direzione
,
e
impediscano
che
intimidazioni
e
sopraffazioni
come
quelle
,
per
esempio
,
che
hanno
portato
a
limitare
così
gravemente
la
libertà
di
molti
dei
maggiori
organi
di
stampa
italiani
possano
svilupparsi
per
anni
indisturbate
,
e
sotto
lo
schermo
,
per
di
più
,
di
battaglie
per
la
«
libertà
»
e
l
'
«
obiettività
»
dell
'
informazione
.
Occorre
che
la
situazione
esistente
nelle
scuole
,
nell
'
università
,
in
larghi
settori
del
mondo
del
lavoro
,
venga
proposta
all
'
opinione
pubblica
e
ai
cittadini
nei
suoi
termini
reali
di
gravissima
minaccia
alla
vita
e
alla
libertà
di
tutto
il
paese
.
Dire
questo
non
significa
invocare
lo
«
scontro
frontale
»
e
la
«
spaccatura
verticale
»
del
paese
.
Significa
però
invitare
il
Pci
a
misurarsi
in
modo
corretto
sui
problemi
essenziali
di
libertà
che
tuttora
dividono
le
forze
democratiche
dal
comunismo
,
in
maniera
che
il
confronto
suggerito
da
tante
parti
non
si
risolva
in
una
prova
di
comodo
,
sui
terreni
e
nei
momenti
prescelti
dal
Pci
.
Significa
anche
sollecitare
in
modo
concreto
lo
sviluppo
reale
e
non
meramente
propagandistico
dei
fermenti
liberali
di
cui
fa
mostra
il
comunismo
italiano
,
e
sui
quali
si
è
tanto
insistito
nella
grande
«
operazione
sorriso
»
lanciata
dal
Pci
nelle
ultime
settimane
.
Occorre
,
insomma
,
che
la
rinuncia
allo
«
scontro
frontale
»
si
accompagni
a
una
ripresa
di
iniziativa
e
di
combattività
delle
forze
democratiche
,
se
non
si
vuole
che
essa
si
risolva
,
come
ha
ammonito
anche
un
uomo
di
sinistra
quale
l
'
on.
La
Malfa
,
nella
«
resa
incondizionata
»
.
StampaQuotidiana ,
Quando
,
nel
dicembre
1954
,
apparve
a
Napoli
il
primo
numero
di
«
Nord
e
Sud
»
,
le
posizioni
del
liberalismo
meridionale
erano
in
gran
parte
crollate
,
si
profilavano
grossi
successi
elettorali
delle
destre
,
ed
era
in
pieno
svolgimento
la
grande
offensiva
gramsciana
della
cultura
comunista
,
sostenuta
dall
'
organizzazione
di
massa
del
movimento
di
«
Rinascita
»
.
Davanti
all
'
imponenza
di
questo
schieramento
poteva
sembrare
che
la
nuova
rivista
,
col
suo
appello
alla
tradizione
del
meridionalismo
riformatore
contro
il
meridionalismo
rivoluzionario
,
fosse
destinata
a
esaurirsi
in
una
prova
ulteriore
di
velleitarismo
intellettuale
.
Pure
,
di
lì
a
qualche
anno
fu
chiaro
che
quel
granello
di
sabbia
aveva
contribuito
non
poco
a
inceppare
il
potente
meccanismo
avversario
,
a
fargli
perdere
colpi
,
a
spingerlo
fuori
strada
:
aprendo
così
un
periodo
di
egemonia
del
meridionalismo
riformatore
che
si
sarebbe
esteso
per
tutto
il
successivo
quindicennio
.
A
rievocare
questa
fase
della
più
recente
vicenda
meridionalistica
,
a
ripensarne
i
problemi
teorici
e
le
giustificazioni
ideali
,
sono
dedicate
le
pagine
raccolte
nel
suo
Meridionalismo
liberale
(
Ricciardi
,
Milano
-
Napoli
,
1975
,
pp.
237
)
da
Francesco
Compagna
,
fondatore
e
direttore
di
«
Nord
e
Sud
»
,
e
promotore
di
gran
parte
delle
attività
politiche
e
di
studio
sviluppatesi
intorno
a
essa
.
Questo
meridionalismo
liberale
rivendica
orgogliosamente
il
suo
punto
di
riferimento
fondamentale
nel
pensiero
di
Benedetto
Croce
.
Che
può
apparire
un
riferimento
sorprendente
,
se
si
pensa
alle
molte
accuse
rivolte
al
filosofo
di
non
aver
sentito
e
addirittura
negato
l
'
esistenza
stessa
della
«
questione
meridionale
»
:
ma
di
cui
Compagna
mostra
la
piena
legittimità
,
addittando
,
nella
visione
crociana
della
storia
del
Regno
di
Napoli
,
la
matrice
ideale
alla
quale
,
meglio
di
ogni
altra
,
possono
riallaciarsi
coloro
che
nel
Mezzogiorno
intendono
battersi
per
una
società
aperta
ai
valori
di
libertà
e
di
modernità
dell
'
Europa
civile
.
All
'
insufficienza
e
agli
abusi
della
vecchia
classe
dirigente
meridionale
,
legata
alla
terra
e
alle
forme
più
arcaiche
di
sfruttamento
della
terra
,
Croce
aveva
infatti
contrapposto
l
'
eredità
degli
«
uomini
di
dottrina
e
di
pensiero
»
dell
'
illuminismo
e
del
liberalismo
napoletano
,
sola
tradizione
di
cui
l
'
Italia
meridionale
«
possa
trarre
intero
vanto
»
e
a
costoro
i
meridionalisti
democratici
vollero
consapevolmente
richiamarsi
.
Da
ciò
le
polemiche
durissime
contro
gli
strascichi
del
meridionalismo
«
querulo
e
querimonioso
»
alla
Scarfoglio
,
che
negli
anni
cinquanta
riaffioravano
accanto
all
'
ondata
di
risentimenti
di
tipo
borbonico
espressi
dai
successi
elettorali
del
laurismo
;
e
da
ciò
anche
l
'
impegno
diretto
nella
battaglia
per
l
'
Europa
,
altro
polo
irrinunciabile
se
si
voleva
che
davvero
la
cultura
meridionalista
facesse
da
tramite
tra
la
moderna
coscienza
civile
dell
'
Europa
e
l
'
arretratezza
meridionale
.
Ma
l
'
originalità
dell
'
operazione
culturale
rievocata
da
Compagna
acquista
il
suo
pieno
significato
solo
se
al
nome
e
all
'
insegnamento
di
Croce
si
accosta
l
'
altro
,
così
diverso
e
pur
essenziale
,
di
Gaetano
Salvemini
.
Nella
fusione
di
una
linea
di
pensiero
De
Sanctis
-
Croce
con
quella
che
da
Cattaneo
conduce
a
Salvemini
,
il
meridionalismo
democratico
ha
infatti
trovato
lo
strumento
che
ha
consentito
di
associare
alla
battaglia
per
i
valori
politici
e
morali
della
civiltà
liberale
un
puntuale
ed
esteso
impegno
di
ricerca
sul
terreno
dei
problemi
concreti
,
delle
indagini
sull
'
emigrazione
e
sui
nuovi
insediamenti
industriali
,
sulle
politiche
di
sviluppo
e
sui
temi
della
urbanizzazione
e
della
sistemazione
del
territorio
.
Lo
storicismo
idealistico
,
con
la
sua
tradizione
di
concretezza
e
il
suo
amore
per
i
problemi
particolari
,
ha
così
potuto
fare
da
supporto
a
indagini
nelle
quali
le
tecniche
economiche
e
sociologiche
sono
state
largamente
messe
a
profitto
,
senza
perciò
dar
luogo
,
come
è
invece
accaduto
in
tanta
parte
della
cultura
italiana
degli
anni
sessanta
,
ad
alcun
cedimento
di
sapore
scientifico
e
neopositivistico
.
Su
questa
via
il
meridionalismo
democratico
ha
contribuito
con
indubbia
efficacia
a
orientare
la
politica
meridionalistica
dello
Stato
repubblicano
,
incontrandosi
con
altre
esperienze
di
diversa
origine
,
come
quella
della
Svimez
e
di
Pasquale
Saraceno
.
Al
meridionalismo
classico
dei
liberali
della
prima
generazione
,
i
Villari
e
i
Sonnino
,
i
Franchetti
e
i
Fortunato
,
questo
nuovo
meridionalismo
si
riallaccia
infatti
per
l
'
impegno
riformatore
,
per
la
persuasione
della
fecondità
di
un
'
azione
che
si
avvalga
dello
Stato
moderno
realizzato
in
Italia
dal
Risorgimento
come
primo
ed
essenziale
strumento
di
innovazione
nelle
regioni
meridionali
.
Nella
crisi
e
nei
cedimenti
manifestatisi
durante
gli
ultimi
anni
nella
compagine
di
questo
Stato
sono
anche
state
coinvolte
molte
delle
prospettive
meridionalistiche
che
a
esso
erano
legate
:
e
non
sono
rari
,
oggi
,
i
bilanci
totalmente
negativi
dei
risultati
dell
'
impegno
meridionalistico
che
ebbe
inizio
nel
1950
.
Il
meridionalismo
democratico
può
a
buon
diritto
rifiutare
una
larga
parte
di
queste
responsabilità
,
additando
la
sua
lunga
e
tenace
battaglia
contro
le
deformazioni
clientelari
del
potere
nel
Mezzogiorno
;
e
può
dire
comunque
di
avere
contribuito
grandemente
a
creare
un
Mezzogiorno
che
,
nonostante
tutto
,
è
e
rimane
«
diverso
»
.
E
tuttavia
,
nelle
pagine
più
recenti
di
questo
libro
,
e
specialmente
in
quelle
scritte
dopo
il
1970
,
non
è
difficile
cogliere
i
segni
e
l
'
ammissione
di
una
crisi
.
Che
non
è
tanto
determinata
dallo
scontro
col
meridionalismo
frontista
e
comunista
,
oggi
in
ripresa
e
col
quale
Compagna
,
rievocando
vent
'
anni
di
civili
contrasti
con
esso
,
può
ancora
riconoscere
certe
matrici
e
ascendenze
comuni
;
quanto
dalla
«
rottura
della
continuità
culturale
dell
'
Italia
moderna
»
che
si
riscontra
nel
meridionalismo
recentissimo
dei
contestatori
,
tutto
Vietnam
e
America
Latina
,
e
ignorantissimo
al
tempo
stesso
di
De
Sanctis
e
di
Fortunato
.
E
quella
medesima
rottura
che
a
Mario
Pannunzio
suggerì
nel
1966
la
chiusura
del
«
Mondo
»
,
nella
previsione
,
qui
testimoniata
,
di
un
nuovo
avvento
di
irrazionalismo
,
portatore
di
un
'
atmosfera
radicalmente
antitetica
al
liberalismo
di
ragione
che
era
proprio
del
grande
settimanale
,
così
strettamente
legato
anche
alla
vicenda
del
meridionalismo
democratico
.
Sono
state
vicende
intellettuali
come
queste
,
insieme
con
le
ultime
rischiose
esperienze
politiche
,
a
ingenerare
in
molti
la
sensazione
di
un
crescente
isolamento
,
e
ad
alimentare
le
ondate
di
pessimismo
che
si
avvertono
con
tanta
frequenza
.
Chi
a
tutto
ciò
sente
di
dover
resistere
troverà
in
queste
pagine
il
sostegno
di
una
ricca
strumentazione
culturale
e
politica
;
e
insieme
,
la
rievocazione
di
quell
'
intransigenza
liberale
che
a
Pannunzio
consentì
di
lasciare
una
traccia
così
profonda
nella
vita
intellettuale
di
un
'
Italia
che
per
molti
segni
sembrava
andasse
verso
sponde
opposte
,
e
che
anche
alla
«
purezza
e
durezza
»
del
suo
liberalismo
deve
di
non
esserci
andata
.
StampaQuotidiana ,
Se
la
logica
e
la
politica
andassero
sempre
d
'
accordo
,
dopo
la
«
svolta
»
socialista
alla
Dc
non
resterebbe
,
dov
'
è
rimasta
in
minoranza
,
che
la
scelta
fra
l
'
adesione
alle
«
larghe
maggioranze
popolari
»
egemonizzate
dai
comunisti
e
il
passaggio
all
'
opposizione
.
La
prima
alternativa
appare
,
a
prima
vista
,
di
gran
lunga
la
più
agevole
e
vantaggiosa
.
La
Dc
,
da
trent
'
anni
assuefatta
al
potere
,
continuerebbe
a
parteciparvi
in
misura
rilevante
;
potrebbe
rivendicare
qualche
titolo
di
merito
come
protagonista
anch
'
essa
del
«
nuovo
modo
di
governare
»
;
avrebbe
l
'
occasione
di
ribadire
la
sua
vocazione
di
partito
«
popolare
ed
interclassista
»
.
Tutto
ciò
,
beninteso
,
sulla
carta
.
Di
fatto
,
una
Dc
associata
a
combinazioni
di
potere
dominate
dalle
sinistre
verrebbe
continuamente
fatta
responsabile
dei
limiti
dell
'
azione
riformatrice
,
aggredita
da
una
costante
offensiva
a
«
doppio
binario
»
(
nella
quale
i
comunisti
saprebbero
oscurare
persino
i
vistosi
precedenti
socialisti
)
,
coinvolta
in
una
serie
di
iniziative
dirette
a
colpire
soprattutto
i
ceti
sociali
che
forniscono
i
maggiori
contingenti
al
suo
elettorato
.
E
facile
prevedere
,
in
queste
condizioni
,
se
non
una
spaccatura
(
non
impossibile
)
del
partito
,
quanto
meno
una
disgregazione
di
quell
'
elettorato
,
che
in
larga
misura
verrebbe
respinto
a
destra
,
con
ulteriori
gravi
pericoli
per
le
istituzioni
democratiche
e
un
maggiore
indebolimento
della
linea
anticomunista
,
che
è
davvero
efficace
solo
sul
terreno
della
democrazia
.
Verrebbe
prima
o
poi
,
e
assai
prima
che
poi
,
il
momento
in
cui
la
Dc
sarebbe
costretta
a
imboccare
la
via
dell
'
opposizione
:
ma
la
imboccherebbe
in
una
situazione
gravemente
deteriorata
,
dopo
la
perdita
di
molte
posizioni
e
di
molti
consensi
,
e
nel
quadro
di
un
rapporto
di
forze
peggiorato
fino
a
diventare
insostenibile
.
Apparentemente
più
rischiosa
,
ma
di
fatto
più
produttiva
,
la
scelta
dell
'
opposizione
.
Non
solo
essa
sarebbe
il
modo
più
vero
di
attuare
la
«
rigenerazione
»
e
«
rifondazione
»
del
partito
,
che
è
impossibile
prendere
sul
serio
finché
la
si
attende
da
nuove
incarnazioni
dei
Gava
e
dei
Piccoli
,
dei
Rumor
e
degli
Andreotti
;
ma
consentirebbe
alla
Dc
(
e
agli
altri
partiti
democratici
)
di
mettere
effettivamente
alla
prova
le
amministrazioni
social
-
comuniste
,
di
proporre
alternative
ragionevoli
alle
genericità
demagogiche
in
cui
si
è
paludata
finora
la
sinistra
marxista
,
di
riguadagnare
,
soprattutto
,
la
propria
autonomia
politica
,
liberandosi
dalle
deformazioni
che
per
anni
le
sono
state
imposte
dall
'
alleanza
con
i
socialisti
.
L
'
evidenza
di
tutto
ciò
sembra
essersi
imposta
,
almeno
a
livello
nazionale
,
anche
ad
alcuni
esponenti
delle
sinistre
democristiane
.
Certo
,
il
controllo
di
altri
enti
locali
verrà
utilizzato
dai
comunisti
per
la
raccolta
di
nuovi
voti
e
di
nuovi
consensi
.
Ma
ciò
accadrebbe
anche
se
la
Dc
consentisse
a
entrare
nelle
giunte
;
mentre
non
vanno
trascurate
la
fragilità
degli
schieramenti
elettorali
messi
assieme
dal
Pci
e
le
difficoltà
ch
'
esso
incontrerà
nel
tentativo
di
soddisfare
i
molteplici
e
contrastanti
interessi
che
vi
sono
rappresentati
.
Su
questi
dati
una
opposizione
autorevole
e
ben
condotta
potrebbe
operare
con
efficacia
.
Che
poi
in
sede
di
governo
locale
la
Dc
debba
non
solo
contrapporre
ma
anche
confrontare
,
come
adesso
si
dice
,
i
propri
programmi
con
quelli
delle
maggioranze
di
sinistra
,
è
cosa
ovvia
nella
pratica
di
ogni
convivenza
democratica
:
a
meno
che
con
il
termine
confronto
non
si
voglia
invece
contrabbandare
qualcos
'
altro
,
che
meglio
si
designerebbe
come
accordo
e
collaborazione
.
Che
è
,
come
si
è
visto
,
cosa
politicamente
non
solo
diversa
ma
opposta
,
nella
sua
portata
e
nelle
sue
conseguenze
.
Vi
è
,
naturalmente
,
il
rischio
che
rapporti
del
genere
si
trasferiscano
dal
livello
locale
a
quello
nazionale
.
Checché
se
ne
dica
,
non
è
affatto
certo
che
una
crisi
di
governo
nella
quale
la
Dc
assumesse
posizioni
analoghe
a
quelle
che
ha
deciso
di
tenere
nella
questione
delle
giunte
debba
sboccare
nelle
elezioni
anticipate
.
Ma
anche
in
questo
caso
la
sola
piattaforma
elettorale
possibile
per
la
Dc
sarebbe
una
netta
contrapposizione
al
comunismo
.
E
se
poi
l
'
alleanza
di
sinistra
dovesse
conseguire
un
nuovo
successo
,
e
raccogliere
consensi
sufficienti
a
formare
un
governo
senza
la
Dc
,
una
politica
d
'
opposizione
sarebbe
la
sola
praticabile
dal
partito
cattolico
,
se
non
vuole
abdicare
a
se
stesso
e
alla
causa
della
democrazia
.
Anche
in
simili
,
gravissime
circostanze
,
la
trasformazione
dell
'
Italia
in
un
paese
socialista
resterebbe
un
'
impresa
non
facile
:
e
difficilissima
da
realizzare
,
come
più
volte
hanno
riconosciuto
gli
stessi
dirigenti
comunisti
,
con
una
maggioranza
risicata
del
51
o
del
55
per
cento
.
Misure
come
quelle
che
il
Pci
dovrebbe
promuovere
per
dare
anche
solo
un
principio
di
soddisfazione
alle
attese
degli
strati
più
decisi
(
e
tuttora
largamente
stalinisti
)
del
movimento
operaio
basterebbero
a
provocare
una
crisi
economica
di
vaste
proporzioni
,
con
l
'
inevitabile
strascico
di
delusioni
e
di
malcontento
.
Per
fronteggiare
difficoltà
di
questo
genere
i
comunisti
dispongono
di
metodi
sperimentati
,
atti
a
garantire
,
la
conservazione
del
potere
anche
quando
il
consenso
si
restringa
a
frazioni
minuscole
dell
'
elettorato
.
Ma
l
'
applicazione
di
questi
metodi
sarebbe
assai
difficile
di
fronte
a
un
'
opposizione
forte
di
quasi
la
metà
della
rappresentanza
parlamentare
,
circondata
di
una
sicura
reputazione
di
attaccamento
alla
democrazia
,
e
oggetto
di
larghe
simpatie
e
solidarietà
internazionali
.
In
queste
condizioni
,
e
sotto
lo
sguardo
di
un
'
Europa
e
di
un
'
America
già
allarmate
dalla
formazione
di
un
governo
paracomunista
a
Roma
,
i
metodi
polizieschi
e
i
crimini
giudiziari
che
hanno
sempre
accompagnato
la
nascita
delle
dittature
comuniste
comporterebbero
rischi
che
la
stessa
Unione
Sovietica
avrebbe
interesse
a
evitare
.
Allora
un
'
opposizione
energica
potrebbe
anche
costringere
il
partito
comunista
,
e
sarebbe
la
prima
volta
,
a
lasciare
il
potere
per
via
democratica
.
Tutto
ciò
è
ben
chiaro
ai
dirigenti
del
Pci
,
ed
è
la
ragione
di
fondo
della
loro
insistenza
sul
compromesso
storico
o
comunque
su
un
sistema
di
alleanze
preventive
che
disarmi
l
'
opposizione
prima
ancora
che
abbia
avuto
modo
di
esercitarsi
,
che
è
precisamente
ciò
che
le
forze
democratiche
e
la
Dc
in
primo
luogo
,
hanno
interesse
a
evitare
.
Una
Dc
all
'
opposizione
potrebbe
dunque
mirare
,
per
questa
via
,
anche
a
un
consistente
recupero
elettorale
.
Che
se
poi
essa
riuscisse
a
conservare
il
potere
a
livello
nazionale
,
varrà
sempre
la
massima
,
sperimentata
anche
in
altri
paesi
,
che
un
partito
di
governo
può
tutelare
le
proprie
fortune
elettorali
solo
governando
bene
,
con
autorità
e
con
successo
:
e
ciò
è
solo
possibile
quando
la
sua
politica
non
è
sottoposta
a
ipoteche
paralizzanti
da
parte
dell
'
opposizione
.
Rincorrere
l
'
avversario
sul
suo
terreno
serve
soltanto
ad
accreditarsene
la
propaganda
e
ad
accrescerne
il
prestigio
:
con
le
prevedibili
ripercussioni
sul
piano
elettorale
.
Non
vanno
neppure
trascurate
le
tensioni
alle
quali
il
passaggio
della
Dc
all
'
opposizione
,
anche
limitatamente
al
livello
locale
,
esporrà
il
Psi
.
De
Martino
ha
potuto
lanciare
la
sua
spregiudicata
manovra
contro
la
Dc
nella
persuasione
che
questa
alla
fine
si
rassegnerà
a
cedere
,
e
accetterà
di
costituire
,
rispetto
ai
comunisti
,
l
'
altro
polo
dello
schieramento
di
cui
i
socialisti
si
illudono
di
formare
l
'
ago
della
bilancia
.
Si
illudono
perché
neppure
essi
sono
in
grado
di
fronteggiare
adeguatamente
i
comunisti
,
pronti
a
ricattarli
a
tutti
i
livelli
e
con
tutti
i
mezzi
,
dalle
pressioni
sindacali
alle
agitazioni
di
piazza
.
Situazioni
del
genere
potrebbero
sollecitare
radicali
ripensamenti
da
parte
di
molti
socialisti
.
Ma
anche
qui
,
è
da
augurarsi
che
essi
non
giungano
troppo
tardi
:
e
una
politica
che
metta
il
Psi
davanti
all
'
amara
realtà
di
una
collaborazione
sempre
più
subordinata
con
un
Pci
dotato
di
una
schiacciante
egemonia
sarebbe
la
più
adatta
ad
affrettarli
.
Ma
la
politica
,
dicevamo
,
non
vive
solo
di
schemi
e
di
argomentazioni
logiche
.
Nella
varietà
delle
situazioni
locali
,
dei
rapporti
personali
,
dei
condizionamenti
di
ogni
genere
,
sono
possibili
deviazioni
anche
rilevanti
dalla
linea
politica
fissata
sul
piano
generale
:
e
la
Dc
(
ma
non
solo
la
Dc
)
ne
ha
già
fornito
esempi
vistosi
.
E
'
anche
troppo
facile
condannare
senz
'
altro
le
situazioni
di
questo
genere
:
anche
se
non
si
può
escludere
che
in
qualche
caso
nascano
dalla
sincera
persuasione
che
la
collaborazione
e
persino
la
partecipazione
a
comuni
responsabilità
col
Pci
possa
essere
la
soluzione
più
adatta
per
bloccare
i
comunisti
sulla
via
dell
'
assoluto
controllo
del
potere
.
Ma
almeno
due
avvertenze
vanno
rivolte
a
chi
si
accinge
a
battere
questa
strada
.
Distinzioni
sottili
e
accordi
sottobanco
con
i
comunisti
sono
stati
praticati
per
anni
dalla
Dc
:
con
i
risultati
che
ora
si
vedono
.
Oltre
tutto
,
è
assai
difficile
spiegare
ai
non
addetti
ai
lavori
(
ai
quali
,
in
definitiva
,
spetta
l
'
ultima
parola
in
democrazia
)
come
la
stessa
linea
politica
possa
essere
attuata
sostenendo
,
per
esempio
,
in
sede
comunale
,
proposte
e
programmi
che
vengono
invece
denunciati
come
rovinosi
in
sede
provinciale
e
regionale
.
E
poi
,
una
politica
di
questo
tipo
,
fondata
su
un
rapporto
di
concordia
discorde
con
gli
avversari
,
da
sostenere
per
anni
a
distanza
ravvicinata
,
può
essere
condotta
con
successo
solo
da
una
forza
politica
compatta
ed
efficiente
,
sicura
della
saldezza
e
della
combattività
di
tutte
le
sue
componenti
.
Si
dirà
che
questa
altro
non
è
che
la
linea
di
«
scontro
frontale
»
di
fanfaniana
memoria
.
Ma
Fanfani
muoveva
dall
'
ipotesi
che
la
Dc
dovesse
restare
partito
di
governo
,
e
a
questo
fine
aveva
sempre
guardato
al
recupero
di
un
piano
accettabile
di
collaborazione
con
i
socialisti
.
Solo
a
questa
condizione
ha
potuto
contare
sino
all
'
ultimo
sulla
solidarietà
non
casuale
di
Aldo
Moro
;
e
in
relazione
a
essa
ha
imposto
alla
sua
polemica
antisocialista
limitazioni
che
alla
Dc
sono
costate
pesantemente
sul
piano
elettorale
.
Ma
,
respinta
la
Dc
all
'
opposizione
,
sarebbe
assurdo
che
essa
cercasse
di
recuperare
voti
imbavagliando
se
stessa
,
e
condannandosi
fin
da
ora
a
continuare
,
nella
nuova
situazione
,
sulla
sciagurata
via
del
compromesso
che
ha
caratterizzato
la
sua
politica
negli
ultimi
anni
.
Se
non
ha
saputo
far
bene
il
mestiere
di
partito
di
governo
,
cerchi
,
quanto
meno
,
di
esercitare
decentemente
quello
di
partito
d
'
opposizione
.
Una
volta
tanto
,
la
fedeltà
ai
princìpi
e
l
'
interesse
di
partito
coincidono
.
StampaQuotidiana ,
Da
anni
ormai
si
torna
a
scuola
in
un
clima
di
tensione
che
è
uno
dei
segni
più
amari
di
questo
nostro
tempo
.
Forse
,
solo
a
livello
delle
elementari
sopravvive
quell
'
atmosfera
gioiosa
che
ricordiamo
dai
nostri
anni
infantili
e
che
neppure
l
'
ostentata
spregiudicatezza
dei
soliti
antideamicisiani
è
riuscita
a
privare
della
sua
carica
di
speranza
e
di
avvenire
.
A
questo
livello
,
anzi
,
l
'
«
ottimismo
pedagogico
»
è
riuscito
a
realizzare
effettivi
progressi
,
sostituendo
ai
metodi
inefficienti
e
tormentosi
di
un
tempo
un
atteggiamento
più
positivo
e
creativo
verso
la
scuola
e
verso
le
cose
.
Ma
il
quadro
cambia
di
molto
se
appena
si
passa
alle
medie
e
,
soprattutto
,
alle
scuole
superiori
e
all
'
università
.
C
'
è
,
anzitutto
,
la
politica
.
Entrata
nella
scuola
con
la
pretesa
di
introdurre
elementi
più
vasti
di
democrazia
in
una
struttura
rimasta
in
parte
autoritaria
,
essa
è
presto
degenerata
in
esercizio
puro
e
semplice
di
sopraffazione
e
di
violenza
;
e
la
riprova
se
ne
è
avuta
in
episodi
efferati
,
ancora
vivi
nella
memoria
di
tutti
.
La
scuola
è
stata
anzi
il
terreno
in
cui
per
la
prima
volta
sono
state
sperimentate
quelle
tecniche
dirette
a
capovolgere
i
processi
e
le
formule
della
democrazia
nel
loro
contrario
che
dovevano
essere
poi
applicate
con
tanto
successo
nelle
sfere
più
diverse
della
nostra
società
.
Non
solo
maggioranze
inerti
e
qualunquiste
ma
anche
gruppi
attivi
,
politicamente
e
intellettualmente
consapevoli
,
sono
stati
in
tal
modo
emarginati
dalla
vita
della
scuola
,
ridotta
a
terreno
riservato
alle
propagande
più
rozze
e
aggressive
.
Per
amore
di
quieto
vivere
e
permissivismo
suicida
autorità
politiche
e
società
civile
hanno
lasciato
che
tutto
ciò
accadesse
,
si
sviluppasse
,
assumesse
le
dimensioni
e
le
forme
ripugnanti
degli
ultimi
anni
.
I
risultati
si
sono
visti
,
anche
sul
piano
elettorale
,
con
lo
sbandamento
di
una
gioventù
abbandonata
alla
prepotenza
intellettuale
e
psicologica
di
chi
si
fa
forte
non
certo
di
cultura
e
di
argomenti
ma
di
ricatti
e
intimidazioni
.
E
tuttavia
sopraffazione
e
violenza
da
sole
non
sarebbero
bastate
,
se
non
avessero
trovato
il
sostegno
di
una
cultura
psico
-
pedagogica
insensata
,
priva
di
ogni
plausibile
fondamento
scientifico
,
e
proprio
per
questo
tanto
più
pretenziosa
e
irresponsabile
.
Sulla
base
di
un
avallo
così
precario
si
è
lasciato
che
nella
scuola
trionfassero
quasi
senza
contrasto
formule
sciocche
come
quella
del
rifiuto
della
cultura
«
borghese
»
,
identificata
tutt
'
insieme
con
Aristotele
e
con
i
trovatori
,
con
Galilei
e
con
Kant
;
e
si
è
lasciato
che
si
scatenasse
una
campagna
indecorosa
contro
i
valori
dell
'
intelligenza
e
della
cultura
nel
nome
di
un
egalitarismo
offensivo
di
ogni
principio
e
di
ogni
seria
socialità
.
Dove
ciò
che
conta
non
sono
certo
gli
argomenti
che
si
avanzano
a
sostegno
di
queste
fanciullaggini
,
di
per
sé
immeritevoli
di
considerazione
,
ma
l
'
effetto
politico
che
ne
deriva
:
perché
una
società
incapace
di
difendere
e
trasmettere
i
valori
che
stanno
alla
sua
base
è
una
società
incapace
e
anzi
indegna
di
sopravvivere
.
La
formazione
dei
giovani
migliori
,
più
capaci
di
dedizione
a
idealità
superiori
e
meglio
in
grado
di
far
propri
i
valori
su
cui
si
regge
la
nostra
civiltà
,
viene
così
soffocata
sul
nascere
,
in
modo
che
a
essi
resti
aperta
solo
la
via
della
resa
,
e
del
passaggio
all
'
avversario
.
Ogni
misura
e
criterio
si
è
smarrito
nella
pratica
,
impunemente
affermatasi
in
molti
istituti
,
della
approvazione
universale
di
tutti
gli
allievi
,
senza
alcun
riferimento
,
anche
fuori
della
scuola
dell
'
obbligo
,
al
lavoro
compiuto
e
ai
risultati
ottenuti
:
che
è
una
maniera
abbastanza
ovvia
di
distruggere
dalle
fondamenta
una
scuola
di
cui
sarebbe
difficile
dire
,
in
queste
condizioni
,
quali
siano
le
giustificazioni
e
gli
obiettivi
,
una
volta
che
essa
non
riesce
più
a
distinguere
fra
il
possesso
e
il
rifiuto
dei
propri
contenuti
culturali
.
Non
è
un
caso
,
del
resto
,
che
dopo
avere
protestato
per
anni
contro
il
basso
livello
di
istruzione
della
nostra
società
,
adesso
che
bene
o
male
si
è
riusciti
a
mandare
a
scuola
milioni
di
bambini
che
prima
ne
restavano
esclusi
,
si
comincia
invece
a
invocare
la
«
descolarizzazione
»
.
Tagliati
fuori
da
ogni
canale
di
normale
inserimento
nella
società
e
da
ogni
legame
con
la
cultura
,
quei
giovani
sarebbero
preda
ancora
più
facile
delle
organizzazioni
politiche
di
massa
,
già
oggi
in
agguato
per
reclutare
nuovi
aderenti
,
e
per
metterli
,
senza
la
protezione
di
alcuna
formazione
critica
,
al
servizio
dei
propri
obiettivi
.
Non
diverso
il
significato
della
insistenza
sui
contenuti
tecnici
e
pratici
dell
'
insegnamento
,
contro
i
valori
teorici
ed
estetici
.
Ridotti
a
strumenti
tecnici
,
gli
uomini
saranno
tanto
più
facili
da
asservire
al
dominio
di
chi
ha
già
pronti
da
tempo
(
e
mummificati
)
i
valori
teorici
ed
estetici
da
sostituire
agli
antichi
.
Adesso
che
davanti
ai
problemi
della
scuola
è
fallita
ogni
autorità
politica
e
intellettuale
,
e
che
i
ceti
dirigenti
di
ogni
sorta
hanno
dichiarato
bancarotta
su
questo
terreno
,
spetta
,
come
sempre
,
agli
uomini
di
scuola
assumersi
il
carico
maggiore
.
Essi
non
hanno
pretese
né
mezzi
rivoluzionari
,
anche
se
la
loro
cultura
è
spesso
tanto
più
seria
e
aggiornata
di
quella
dei
«
rinnovatori
»
.
L
'
arma
più
efficace
nelle
loro
mani
è
appunto
questa
cultura
:
da
essa
sono
germinati
gli
strumenti
critici
fuori
dei
quali
non
c
'
è
verità
ma
solo
propaganda
e
aggressione
intellettuale
;
e
da
essa
soltanto
possono
trarre
alimento
le
speranze
degli
esclusi
e
dei
deboli
.
Certo
,
gli
insegnanti
seri
si
scontreranno
spesso
con
i
saccenti
pronti
a
sottolineare
che
chi
viene
da
una
famiglia
nella
quale
si
ascolta
Mozart
parte
avvantaggiato
,
in
fatto
di
educazione
musicale
,
nei
confronti
di
chi
si
è
invece
formato
in
un
mondo
di
povertà
e
di
scarsa
cultura
:
ma
la
risposta
non
sta
certo
nella
negazione
di
Mozart
,
sta
nello
sforzo
di
far
sì
che
la
sua
opera
diventi
patrimonio
comune
.
E
ci
sono
poi
le
nuove
responsabilità
a
cui
la
società
e
le
forze
politiche
sono
chiamate
attraverso
le
nuove
strutture
dei
decreti
delegati
.
Nelle
loro
pieghe
si
insinueranno
,
e
se
ne
vedono
già
i
segni
,
i
fautori
della
sopraffazione
,
della
intimidazione
ideologica
,
dell
'
unitarismo
imposto
e
di
marca
chiaramente
totalitaria
.
Ma
proprio
per
questo
,
e
per
la
gravità
generale
della
situazione
del
paese
,
non
si
può
tollerare
che
essi
agiscano
ancora
incontrastati
.
Ciò
non
toglie
,
naturalmente
,
che
un
problema
vi
sia
nei
rapporti
tra
potere
e
cultura
o
,
come
meglio
va
detto
,
tra
forze
politiche
e
cultura
.
Non
si
tratta
tanto
di
esorcizzare
la
visione
servile
della
cultura
come
celebrazione
del
potere
,
remunerata
con
feluche
accademiche
e
sinecure
:
insidia
,
questa
,
evidente
e
facilmente
definibile
agli
occhi
di
tutti
.
Il
rischio
più
sottile
è
invece
quello
delle
nobili
giustificazioni
spesso
invocate
a
copertura
della
strumentalizzazione
della
cultura
,
in
termini
di
«
impegno
»
,
rapporto
«
organico
»
,
funzione
sociale
del
sapere
:
che
son
tutti
modi
attraverso
i
quali
la
cultura
rinuncia
a
discutere
le
finalità
e
i
compiti
ultimi
,
e
delega
le
funzioni
di
guida
a
forze
estranee
alla
vita
e
ai
problemi
del
mondo
intellettuale
.
E
un
pericolo
,
questo
,
sempre
presente
,
e
la
storia
dei
rapporti
del
Pci
con
gli
intellettuali
,
che
pur
vengono
spesso
,
e
con
tanta
leggerezza
,
citati
a
modello
,
ne
offre
una
pesante
documentazione
.
Forze
politiche
democratiche
di
tipo
moderno
non
possono
imitare
le
tattiche
dei
partiti
marxisti
senza
perciò
rinnegare
la
loro
ascendenza
liberale
:
ma
hanno
invece
il
diritto
di
chiedere
che
la
cultura
partecipi
con
le
sue
capacità
critiche
e
i
suoi
strumenti
di
conoscenza
alla
soluzione
dei
problemi
della
società
in
cui
vive
.
Il
potere
e
la
responsabilità
ultima
delle
decisioni
operative
spetta
pur
sempre
alle
forze
politiche
:
ma
esse
deriveranno
una
più
autentica
legittimità
democratica
e
una
più
incisiva
efficacia
dalla
loro
capacità
di
far
proprie
le
esigenze
reali
della
società
,
quali
vengono
espresse
e
criticamente
chiarite
dall
'
opera
della
cultura
.
Per
parte
sua
,
da
un
giusto
rapporto
con
la
politica
la
cultura
potrà
derivare
un
arricchimento
importante
dei
suoi
contenuti
specifici
,
e
uno
stimolo
a
guardarsi
dalla
irresponsabile
leggerezza
che
caratterizza
tanta
parte
degli
interventi
intellettuali
nelle
questioni
politiche
,
come
testimoniano
in
maniera
clamorosa
certe
cronache
recenti
del
nostro
paese
.
Tra
la
contestazione
permanente
auspicata
da
certo
radicalismo
e
i
vecchi
miti
dell
'
impegno
si
colloca
lo
spazio
autentico
della
cultura
democratica
:
caratterizzata
nei
confronti
della
politica
da
una
netta
distinzione
di
ruoli
,
ma
tuttavia
disponibile
per
il
dialogo
con
quei
settori
della
classe
politica
che
al
rapporto
con
gli
intellettuali
mostrano
di
avere
un
interesse
autentico
e
non
meramente
strumentale
.
StampaQuotidiana ,
E
'
certo
troppo
presto
per
una
valutazione
di
ciò
che
la
crisi
aperta
dall
'
iniziativa
socialista
di
fine
d
'
anno
potrà
significare
nella
tormentata
storia
della
nostra
democrazia
.
Anche
se
il
mondo
politico
italiano
sembra
avere
ormai
esaurito
gran
parte
delle
sue
risorse
come
classe
di
governo
,
resta
però
intatta
,
la
sua
capacità
di
produrre
soluzioni
a
sorpresa
,
atte
a
sconvolgere
ogni
previsione
.
Forse
anche
questo
contribuisce
a
spiegare
il
curioso
atteggiamento
dell
'
opinione
democratica
,
italiana
e
straniera
,
davanti
alla
crisi
:
diviso
com
'
è
tra
la
fatalistica
attesa
del
«
compromesso
storico
»
e
delle
sue
inevitabili
risultanti
totalitarie
,
e
una
sorta
di
spensierata
fiducia
che
ancora
una
volta
si
sia
fatto
molto
rumore
per
nulla
,
e
che
tutto
debba
continuare
più
o
meno
come
prima
,
grazie
a
un
'
altra
di
quelle
«
combinazioni
»
di
cui
è
sempre
stata
feconda
la
mente
italiana
.
Ciò
che
invece
sembra
indubitabile
è
la
riprova
del
livello
gravissimo
di
degradazione
del
nostro
sistema
democratico
che
viene
offerta
da
una
crisi
come
questa
,
con
le
responsabilità
che
stanno
alle
sue
origini
e
le
alternative
che
ne
derivano
.
L
'
iniziativa
socialista
si
colloca
infatti
sulla
linea
del
processo
avviato
con
l
'
uscita
del
Psi
dal
governo
dopo
le
elezioni
del
maggio
1968
,
e
sboccato
l
'
anno
successivo
nella
seconda
scissione
socialista
.
Dopo
di
allora
i
socialisti
hanno
rifiutato
sempre
più
nettamente
il
ruolo
di
garanti
dell
'
area
democratica
sulla
sinistra
,
che
avevano
svolto
nei
governi
precedenti
;
e
hanno
invece
cercato
di
presentarsi
come
mediatori
autorizzati
dell
'
ingresso
del
Pci
nell
'
area
del
potere
.
Sulla
sincerità
di
questa
vocazione
sono
lecite
le
più
ampie
riserve
:
ma
il
nuovo
indirizzo
della
politica
del
Psi
mostra
l
'
entità
dei
rischi
politici
che
i
partiti
democratici
si
erano
assunti
nel
tentativo
di
allargare
a
sinistra
lo
spazio
democratico
.
Non
sarebbe
giusto
sottovalutare
le
particolari
difficoltà
che
al
Psi
derivano
dall
'
esistenza
in
Italia
di
un
così
vasto
schieramento
comunista
,
senza
confronti
nel
mondo
occidentale
;
intorno
al
quale
si
aggregano
larghissimi
consensi
delle
classi
operaie
e
dei
lavoratori
in
genere
.
La
soluzione
offerta
ai
socialisti
dal
primo
centro
sinistra
era
stata
quella
di
una
politica
di
moderno
riformismo
,
atto
a
consolidare
ed
estendere
i
suoi
consensi
fra
le
masse
attraverso
un
'
incisiva
azione
di
rottura
in
grado
di
affrontare
i
molti
problemi
insoluti
,
rimasti
sulla
scia
del
tumultuoso
sviluppo
del
paese
:
ma
anch
'
essa
si
risolse
in
un
fallimento
,
certo
per
le
inadempienze
della
Dc
,
ma
anche
per
lo
scarso
mordente
e
la
mancanza
di
aggressività
dell
'
azione
socialista
negli
anni
facili
dei
primi
governi
presieduti
dall
'
on.
Moro
.
Nella
fase
successiva
il
Psi
non
ha
certo
rinunciato
a
mettersi
in
concorrenza
col
Pci
:
ma
per
esercitarla
ha
scelto
un
terreno
che
ha
finito
più
volte
per
metterlo
in
opposizione
con
gli
interessi
generali
del
paese
.
Siamo
tutti
d
'
accordo
sul
fatto
che
la
democrazia
italiana
farebbe
addirittura
un
«
salto
di
qualità
»
se
alla
testa
dell
'
opposizione
di
sinistra
vi
fosse
un
forte
partito
socialista
invece
che
un
Pci
le
cui
professioni
di
democrazia
sono
ancora
soggette
a
tante
riserve
.
Ma
in
vista
di
questo
obiettivo
,
il
Psi
ha
sostituito
alla
politica
delle
riforme
moderne
e
democratiche
,
che
è
propria
dei
grandi
partiti
socialisti
occidentali
,
una
ricerca
spesso
irresponsabile
di
consensi
,
tanto
più
accentuata
quanto
più
il
Pci
tendeva
invece
ad
esibire
la
sua
nuova
fisionomia
di
partito
serio
ed
efficientista
.
Sul
terreno
sindacale
e
su
quello
dell
'
ordine
pubblico
,
sul
piano
della
politica
economica
e
su
quello
della
finanza
e
dei
diritti
civili
,
per
non
parlare
delle
prese
di
posizione
dottrinali
e
di
principio
,
il
Psi
ha
così
svolto
un
ruolo
che
ha
finito
per
associare
il
suo
nome
a
molti
dei
più
gravi
processi
degenerativi
che
si
siano
lamentati
negli
ultimi
anni
:
non
escluse
le
forme
più
screditate
di
clientelismo
e
di
lottizzazione
partitica
.
La
constatazione
che
è
tanto
difficile
governare
l
'
Italia
senza
i
socialisti
quanto
lo
è
governarla
con
loro
,
non
ci
lascia
margine
che
a
speranze
più
o
meno
platoniche
.
All
'
interno
del
Psi
dovrebbe
aver
luogo
un
rinnovamento
profondo
perché
si
possa
contare
che
esso
sostituisca
una
politica
di
grandi
riforme
,
compatibili
con
il
sistema
produttivo
,
alla
facile
concorrenza
con
i
comunisti
sul
terreno
della
demagogia
.
Ma
l
'
esperienza
del
passato
,
con
la
pratica
inveterata
della
doppia
assunzione
di
ruoli
,
di
governo
e
di
opposizione
,
di
cui
i
socialisti
hanno
dato
tante
prove
,
non
ci
permette
di
farci
molto
assegnamento
.
Da
parte
sua
l
'
alternativa
comunista
,
in
termini
di
compromesso
storico
o
di
più
ampie
formazioni
di
governo
,
non
è
,
nelle
condizioni
attuali
,
carica
di
incognite
,
ma
solo
di
catastrofiche
certezze
.
E
quindi
non
si
vede
proprio
a
quale
gancio
certi
italiani
appendano
il
loro
ostinato
ottimismo
.
La
verità
è
che
il
tempo
delle
«
combinazioni
»
e
dei
papocchi
è
finito
per
sempre
.
Siamo
oramai
al
«
giorno
della
civetta
»
.
Per
affrontare
le
eventualità
che
l
'
avvenire
riserva
al
paese
,
una
condizione
sembra
in
ogni
caso
prioritaria
:
che
le
forze
democratiche
,
pur
nella
ricerca
di
tutte
le
possibili
e
inevitabili
collaborazioni
,
conservino
intera
la
propria
autonomia
e
la
propria
saldezza
ideale
e
politica
.
Solo
a
questo
patto
il
rapporto
coi
comunisti
non
si
tramuterà
automaticamente
in
sudditanza
e
asservimento
.
StampaQuotidiana ,
Com
'
è
giusto
,
la
nostra
stampa
ha
dedicato
molta
attenzione
al
discorso
tenuto
da
Berlinguer
al
congresso
del
Pcus
a
Mosca
.
Qualcuno
ci
ha
visto
una
coraggiosa
presa
di
posizione
per
una
«
via
italiana
al
socialismo
»
;
qualche
altro
un
ben
concertato
«
giuoco
delle
parti
»
fra
i
nostri
dirigenti
e
quelli
moscoviti
per
facilitare
la
conquista
del
potere
in
Italia
.
Noi
non
abbiamo
elementi
per
pronunciarci
.
Ci
contentiamo
di
una
notazione
che
va
alquanto
al
di
là
delle
circostanze
,
ma
che
ci
sembra
condizionarle
.
Nel
dibattito
sempre
più
largo
e
,
purtroppo
,
sempre
più
attuale
sulla
«
questione
comunista
»
è
finora
mancata
,
mi
pare
,
la
dimensione
storica
.
Si
è
molto
discusso
della
nuova
politica
delle
alleanze
del
Pci
e
,
sul
piano
ideologico
,
si
è
cercato
di
precisare
in
che
senso
si
possa
parlare
in
termini
nuovi
(
rispetto
alla
tradizione
leninista
)
dei
rapporti
tra
i
concetti
di
socialismo
e
di
democrazia
.
Ma
,
sebbene
l
'
auspicato
compromesso
sia
detto
«
storico
»
non
si
è
cercato
di
vedere
seriamente
in
che
misura
la
nuova
impostazione
berlingueriana
sia
coerente
con
la
visione
della
storia
del
nostro
paese
sulla
quale
il
Pci
ha
cercato
di
fondare
la
sua
strategia
e
di
giustificare
la
sua
funzione
nel
paese
.
La
prospettiva
di
Gramsci
era
la
rivoluzione
degli
operai
e
di
contadini
come
sbocco
ultimo
e
risolutivo
delle
secolari
contraddizioni
della
storia
italiana
.
Nella
spaccatura
fra
città
e
campagna
,
Gramsci
aveva
visto
il
limite
più
grave
della
rivoluzione
comunale
;
ed
essa
a
suo
giudizio
era
stata
alla
radice
della
ritardata
formazione
dello
Stato
nazionale
in
Italia
,
del
carattere
cosmopolitico
e
non
nazionale
della
cultura
italiana
,
della
mancata
rivoluzione
agraria
,
che
aveva
privato
il
Risorgimento
del
significato
radicale
e
«
giacobino
»
che
era
stato
proprio
della
Rivoluzione
francese
.
Lo
stesso
antagonismo
tra
Nord
e
Sud
,
in
questo
quadro
,
si
configurava
in
termini
di
contrapposizione
tra
città
e
campagna
.
Responsabili
di
tutto
questo
erano
le
tare
storiche
della
borghesia
e
in
genere
della
classe
dirigente
italiana
antesignane
della
rivoluzione
antifeudale
e
tuttavia
incapaci
di
portarla
sino
in
fondo
.
Il
revisionismo
gramsciano
degli
anni
sessanta
ha
contestato
duramente
l
'
ispirazione
«
meridionalista
»
e
«
contadina
»
di
queste
tesi
:
ma
si
è
trattato
in
genere
di
una
revisione
da
sinistra
,
volta
a
recuperare
,
al
di
là
della
politica
gramsciana
della
alleanze
,
le
condizioni
di
una
rivoluzione
proletaria
e
classista
.
Che
è
il
contrario
dell
'
impostazione
berlingueriana
,
protesa
alla
ricerca
di
nuove
alleanze
,
non
più
con
i
contadini
spazzati
via
dal
miracolo
economico
,
ma
con
i
ceti
medi
gli
intellettuali
e
una
parte
della
borghesia
imprenditoriale
.
Che
cosa
rimane
in
questa
impostazione
,
dell
'
originario
rapporto
con
la
visione
dell
'
irreparabile
arretratezza
della
società
italiana
,
superabile
solo
attraverso
una
rottura
rivoluzionaria
?
Si
dirà
che
il
Pci
guarda
a
un
rivolgimento
democratico
nei
metodi
ma
rivoluzionario
negli
obiettivi
:
ma
l
'
ammissione
che
i
grandi
problemi
della
società
italiana
siano
risolubili
per
via
democratica
è
già
una
negazione
della
premessa
gramsciana
.
L
'
obiettivo
di
controllare
democraticamente
i
problemi
derivanti
dallo
sviluppo
industriale
,
di
superare
il
permanente
ritardo
delle
campagne
,
di
assicurare
alla
classe
lavoratrice
un
peso
accresciuto
nella
direzione
dello
Stato
e
della
società
,
è
un
obiettivo
comune
a
tutti
i
partiti
socialisti
dei
paesi
avanzati
:
e
soltanto
nei
paesi
avanzati
il
processo
democratico
ha
raggiunto
l
'
ampiezza
necessaria
ad
assicurare
la
realizzazione
di
una
politica
di
grandi
trasformazioni
senza
traumi
e
senza
crisi
di
regime
.
Chi
ricorda
l
'
insistenza
di
Togliatti
sull
'
inevitabilità
della
reazione
fascista
come
ultimo
atto
della
risposta
borghese
all
'
avanzata
proletaria
può
misurare
quale
distanza
corra
fra
quelle
posizioni
e
la
prospettiva
democratico
-
pluralista
di
stampo
berlingueriano
.
Ammettere
che
questo
sia
possibile
in
Italia
significa
riconoscere
che
la
società
italiana
ha
raggiunto
le
dimensioni
di
una
grande
società
moderna
,
atta
a
risolvere
nel
quadro
democratico
i
suoi
problemi
:
e
dunque
relegare
in
soffitta
la
rottura
rivoluzionaria
che
Gramsci
teorizzava
come
inevitabile
.
Ma
con
essa
occorrerà
abbandonare
anche
la
visione
gramsciana
della
storia
d
'
Italia
,
sostenuta
e
sviluppata
in
un
trentennio
di
studi
dalla
cultura
di
sinistra
,
la
cui
logica
interna
appare
irrimediabilmente
compromessa
quando
essa
viene
amputata
delle
sue
conclusioni
storico
-
politiche
.
Senza
questa
revisione
ampia
e
certo
dolorosa
,
il
compromesso
storico
,
la
politica
delle
alleanze
,
la
rinuncia
alla
dittatura
del
proletariato
conservano
,
malgrado
le
indubbie
qualità
oratorie
di
Berlinguer
,
un
carattere
di
precarietà
che
le
abbassa
al
livello
di
espedienti
propagandistici
a
breve
termine
sempre
rinnegabili
quando
abbiano
esaurito
la
loro
utilità
.
Un
'
operazione
alle
cui
spalle
resta
una
visione
della
storia
del
paese
in
pieno
contrasto
con
gli
obiettivi
che
la
politica
dichiara
di
perseguire
è
poco
credibile
.
E
non
sembra
che
di
questa
contraddizione
la
cultura
di
sinistra
abbia
finora
preso
seria
coscienza
.
StampaQuotidiana ,
Questo
giornale
ha
già
preso
posizione
,
nel
suo
«
Osservatorio
scolastico
»
,
sulle
recenti
proposte
del
Pci
per
l
'
università
,
con
analisi
precise
che
ne
hanno
messo
in
luce
gli
aspetti
principali
.
La
serietà
degli
studi
e
della
scuola
,
la
fine
dello
chienlit
(
come
diceva
De
Gaulle
)
,
la
lotta
contro
la
«
dequalificazione
»
dell
'
università
e
della
ricerca
scientifica
,
hanno
costituito
il
tema
di
ripetuti
interventi
dei
massimi
dirigenti
comunisti
:
e
hanno
contribuito
non
poco
ad
accreditare
,
in
vasti
strati
della
società
italiana
,
l
'
immagine
nuova
del
Pci
,
partito
d
'
ordine
e
moderato
.
La
bozza
di
proposta
comunista
of
tre
l
'
occasione
di
saggiare
che
cosa
valgono
dichiarazioni
e
atteggiamenti
di
questo
tipo
.
Secondo
il
progetto
comunista
l
'
università
verrebbe
divisa
in
dipartimenti
,
ciascuno
dei
quali
destinato
ad
abbracciare
un
vasto
settore
del
sapere
(
fisica
,
storia
ecc
.
)
.
Sarebbe
invece
soppressa
la
denominazione
disciplinare
delle
cattedre
,
così
che
ciascun
docente
non
verrebbe
più
chiamato
a
insegnare
la
materia
della
quale
è
specialista
(
per
esempio
storia
medioevale
,
fisica
sperimentale
)
,
ma
quella
cui
gli
organi
di
governo
del
dipartimento
lo
destinerebbero
di
volta
in
volta
.
Tutti
i
docenti
,
dai
più
anziani
titolari
di
cattedra
agli
assistenti
,
sarebbero
inquadrati
in
un
'
unica
funzione
,
con
una
distinzione
in
due
livelli
che
ha
però
rilievo
solo
ai
fini
della
retribuzione
.
Di
fatto
viene
dunque
introdotta
la
figura
del
famigerato
«
docente
unico
»
:
e
di
conseguenza
ai
medesimi
organi
di
governo
spetterà
di
decidere
,
di
anno
in
anno
,
quale
debba
essere
il
compito
,
di
professore
,
assistente
o
«
esercitatore
»
,
assolto
da
ciascun
docente
all
'
interno
dell
'
unica
funzione
.
Tra
gli
organi
di
governo
un
posto
centrale
verrà
occupato
dal
Consiglio
di
dipartimento
,
dai
quale
emaneranno
tutti
gli
altri
,
e
che
sarà
formato
tutt
'
insieme
da
docenti
,
collaboratori
tecnici
,
personale
amministrativo
e
subalterno
,
e
da
studenti
nella
misura
di
un
quinto
del
totale
.
A
un
organo
così
composto
si
attribuisce
il
coordinamento
dell
'
attività
didattica
e
scientifica
,
e
dunque
l
'
approvazione
dei
corsi
da
svolgere
,
dei
docenti
che
li
svolgeranno
e
con
quale
funzione
,
e
la
determinazione
dei
programmi
di
ricerca
.
Solo
per
la
chiamata
di
nuovi
docenti
un
emendamento
dell
'
ultima
ora
riserva
il
voto
deliberativo
ai
docenti
di
ruolo
:
ma
la
relativa
discussione
sarà
comunque
effettuata
in
assemblee
comuni
a
tutto
il
personale
,
e
l
'
indipendenza
dei
votanti
risulterà
già
per
questo
gravemente
menomata
.
Nel
progetto
abbondano
le
dichiarazioni
a
favore
della
libertà
d
'
insegnamento
:
ma
son
solo
parole
,
prive
di
ogni
vero
presidio
giuridico
,
se
se
ne
toglie
,
per
il
dissenziente
,
la
facoltà
di
tenere
corsi
liberi
o
di
ardersene
,
se
trova
qualcuno
disposto
a
chiamarlo
altrove
.
Ma
non
sarà
facile
che
lo
trovi
,
perché
il
meccanismo
predisposto
dal
progetto
comunista
è
volto
precisamente
ad
assicurare
che
le
medesime
condizioni
di
monopolio
totalitario
del
potere
si
realizzino
dovunque
e
in
ogni
settore
.
Con
rappresentanze
studentesche
in
gran
parte
dominate
da
comunisti
ed
extraparlamentari
,
e
con
la
presenza
massiccia
nei
Consigli
di
dipartimento
del
personale
non
docente
,
inquadrato
e
controllato
dalle
organizzazioni
sindacali
,
il
Pci
mira
ad
assicurarsi
il
controllo
su
tutte
le
strutture
di
ricerca
e
anzi
su
tutti
gli
insegnamenti
,
uno
per
uno
,
impartiti
nelle
università
.
Questa
minaccia
è
anche
più
immediata
nei
dipartimenti
di
scienze
sperimentali
,
dove
il
gran
numero
di
collaboratori
tecnici
di
vario
livello
,
infermieri
ecc
.
,
assicura
ai
gruppi
di
potere
sindacale
una
maggioranza
automatica
nei
rispettivi
Consigli
di
dipartimento
:
e
se
si
considera
che
in
questi
settori
la
ricerca
scientifica
nella
grandissima
parte
non
è
attuabile
se
non
nei
laboratori
universitari
,
è
facile
intendere
che
per
questa
via
ogni
ricercatore
scientifico
sarà
costretto
a
subire
la
legge
di
queste
maggioranze
o
a
rinunciare
all
'
attività
di
ricerca
.
In
tal
modo
l
'
intero
settore
della
ricerca
scientifica
,
con
tutto
ciò
che
essa
significa
nel
mondo
moderno
,
cadrà
sotto
il
controllo
del
Pci
.
Ma
non
c
'
è
da
illudersi
che
possa
andare
diversamente
nei
dipartimenti
umanistici
,
di
tanto
maggiore
rilievo
ai
tini
del
dominio
ideologico
e
politico
del
paese
.
Le
rappresentanze
degli
attivisti
comunisti
mascherati
da
studenti
basteranno
a
determinare
la
maggioranza
nei
Consiglio
di
dipartimento
unendosi
ai
docenti
di
sinistra
,
che
sono
appunto
i
teorici
e
i
leader
del
totalitarismo
intellettuale
.
E
,
una
volta
soppressa
,
come
il
progetto
prevede
,
ogni
garanzia
individuale
per
il
singolo
docente
(
per
il
quale
non
si
ha
neppure
il
rispetto
della
«
qualifica
»
professionale
,
rivendicata
invece
per
il
personale
subalterno
)
,
queste
maggioranze
saranno
in
grado
di
determinare
anno
per
anno
che
cosa
il
docente
insegnerà
e
a
che
cosa
dedicherà
le
sue
ricerche
,
e
se
svolgerà
tali
attività
in
qualità
di
professore
,
di
assistente
o
altro
.
Per
questa
via
saranno
date
possibilità
infinite
di
rendere
inconciliabile
,
per
i
dissenzienti
,
la
propria
presenza
nell
'
università
con
il
rispetto
di
se
stessi
.
Certo
,
la
differenza
dei
livelli
retributivi
garantisce
ai
professori
che
restano
in
servizio
,
il
mantenimento
dello
stipendio
.
Ma
chi
ha
detto
che
si
tratti
solo
o
principalmente
di
stipendio
?
Si
tratta
,
in
realtà
,
della
libertà
della
scuola
,
del
pensiero
e
della
ricerca
,
che
non
interessano
solo
sparute
minoranze
di
studiosi
ma
investono
la
formazione
delle
nuove
generazioni
nell
'
insegnamento
medio
,
l
'
applicazione
della
legge
,
i
riflessi
della
ricerca
scientifica
e
tecnologica
sulla
vita
produttiva
del
paese
.
Con
questo
progetto
il
Pci
fa
proprie
,
dopo
tanta
ostentata
differenziazione
,
le
posizioni
più
estreme
dell
'
agitazione
extraparlamentare
nelle
università
,
mirando
ad
assicurarsi
,
attraverso
di
esse
,
il
controllo
della
mente
e
dell
'
anima
del
paese
,
nella
certezza
che
il
resto
verrà
di
conseguenza
.
Il
tutto
,
magari
,
nel
quadro
di
rinnovate
professioni
di
un
pluralismo
che
,
quando
sarà
stato
soppresso
nella
società
italiana
,
potrà
ben
restare
sulla
facciata
dei
discorsi
e
delle
proclamazioni
di
principio
.
Dopo
tutto
,
chi
ha
dimenticato
che
anche
Stalin
aveva
raccolto
la
bandiera
delle
libertà
borghesi
?