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> anno_i:[1970 TO 2000}
Pietà per i vinti ( Romeo Rosario , 1975 )
StampaQuotidiana ,
Nei commenti dedicati dalla stampa italiana alla tragedia vietnamita non mi pare di aver visto messi in rilievo alcuni punti che a mio avviso meriterebbero di esserlo . Primo . Gli americani hanno condotto nel Vietnam , e imposto ai loro alleati sud - vietnamiti , una guerra « limitata » che , oltre alle numerose restrizioni nell ' impiego della potenza bellica statunitense sul campo , comportava anche l ' esclusione di ogni attacco terrestre al territorio nord - vietnamita . Se si tiene conto inoltre delle drastiche limitazioni osservate nei bombardamenti aerei per ciò che riguarda la scelta degli obiettivi ( nulla di paragonabile , neppure alla lontana , con quelli effettuati durante la seconda guerra mondiale sulla Germania e sul Giappone , nonostante il tonnellaggio sganciato ) e del mancato blocco del porto di Haiphong , ne deriva che il Nord Vietnam ha potuto combattere tutta la sua guerra da basi invulnerabili ai fini della continuazione dello sforzo bellico . Il quale dunque , come ha scritto il vincitore della guerriglia in Malesia , Sir Robert Thompson , per i comunisti vietnamiti è sempre stato una « can win , can ' t lose war » : una guerra , cioè , che essi potevano vincere ma non perdere ; mentre per gli anticomunisti di Saigon le cose stavano in modo esattamente opposto . Anni fa ebbi occasione di chiedere a uno dei massimi artefici della politica americana in Vietnam a quali condizioni si poteva vincere quella guerra . La risposta fu che ciò sarebbe avvenuto il giorno in cui i nord - vietnamiti si fossero decisi ad allevare bambini e a coltivare riso invece che a far la guerra . Si è sempre detto che un ' invasione del Nord Vietnam avrebbe comportato il rischio di un intervento cinese . E ' una considerazione importante , anche per chi ritiene che alla fine il governo di Pechino avrebbe evitato il pericolo mortale di un nuovo scontro diretto con la potenza degli Stati Uniti . Ma a chi invece pensa diversamente resta sempre da superare l ' argomento di cui anni fa si fece sostenitore l ' ammiraglio Sharp , già comandante delle forze americane nel Pacifico : le guerre che si deve temere di vincere non si combattono . Secondo . E ' la decisione che gli americani , da ultimo , hanno preso . Ma l ' hanno presa dopo avere incoraggiato gli avversari del comunismo nel Vietnam a resistere , e a non rassegnarsi al destino che forse vent ' anni fa avrebbero accettato con atavica saggezza . Fonti americane calcolano a circa 150 mila i funzionari del regime di Saigon e i collaboratori degli americani sicuramente esposti a drastiche rappresaglie in caso di sconfitta ; e la cifra ( secondo R . Evans e R . Novak ) sale a un milione se si tiene conto degli ufficiali dell ' esercito e in genere dei dipendenti governativi : quanto dire di tutti coloro che nella lotta si sono impegnati più a fondo , che hanno , cioè , investito la loro vita nella causa per la quale gli americani li avevano esortati a combattere . Di costoro , solo una minuscola frazione è stata tratta in salvo negli ultimi giorni , che in compenso hanno visto partire fino all ' ultimo americano . Terzo . Da ogni parte si lanciano accuse sul regime « marcio e corrotto » di Saigon , e derisioni sulle qualità militari dell ' armata sud - vietnamita . Non ho elementi di controllo : ma se si tien conto della popolazione dei due paesi , i 200.000 morti sud - vietnamiti equivalgono alla perdita , da parte degli Stati Uniti , di 2.500.000 uomini , cinquanta volte superiore a quella effettivamente sostenuta . Quanto alla corruzione , mi chiedo se a questa stregua l ' Italia del 1944 , quella rievocata da Malaparte nella Pelle , avrebbe meritato che gli americani combattessero per essa . Certo , l ' Italia ebbe i partigiani e il movimento di liberazione . Ma il Sud Vietnam ha avuto i suoi vent ' anni di guerra e i suoi 200.000 morti ; e non vorrei che troppo facilmente si desse credito a giudizi diffusi per anni dalla stampa « liberale » americana per coprire la vera natura dell ' atto che in questi giorni è giunto alla sua consumazione . Proprio il rispetto di quei caduti e il dramma che attende le centinaia di migliaia di coloro che più si sono esposti in questi anni ( adesso chi ricorda Huè e le fosse comuni riempite in poche settimane di occupazione nord - vietnamita ? ) esigerebbero , quanto meno , una sospensiva di giudizio . La dottrina Nixon prometteva l ' aiuto americano solo a quei popoli che si fossero mostrati disposti a combattere per meritarlo . In fondo , non c ' è popolo al mondo che negli ultimi vent ' anni si sia battuto per la libertà ( la libertà di vivere a proprio modo , senza subire la violenza di coloro che vogliono rendere felici gli uomini loro malgrado ) quanto i sud - vietnamiti .
Vilipendio del professore ( Romeo Rosario , 1975 )
StampaQuotidiana ,
La politica scolastica dei governi che si sono succeduti dal 1968 in poi sarà registrata fra le pagine più ingloriose della recente storia del nostro paese . Non che negli anni precedenti le cose andassero nel migliore dei modi , ché anzi una certa responsabilità nei guai del periodo successivo va anche attribuita ai ritardi e alle carenze con le quali allora si fronteggiarono i problemi derivanti dall ' espansione scolastica e dal mutare dei tempi : anche se un minimo di giustizia vuole che di quegli anni si ricordino altresì la creazione della media unica , l ' obbligo scolastico portato a 14 anni , il salutare rinnovamento della didattica nelle elementari . Ma ritardi e carenze in materia scolastica sono riferibili alle medesime ragioni che hanno ostacolato il sollecito adeguamento di tanti altri aspetti delle nostre strutture pubbliche alla tumultuosa trasformazione del dopoguerra . Invece , dopo il 1968 si è assistito al fatto davvero senza precedenti della degradazione della scuola a strumento di ordine pubblico , destinato a trattenere e assorbire , costi quel che costi , spinte e minacce d ' ordine politico che il governo non si sente di affrontare sul terreno loro proprio , come metodi e iniziative politiche . E poiché scuola in questo caso vuol dire essenzialmente professori e insegnanti , su di essi si è sistematicamente esercitato il ricatto dei detentori del potere ( e cioè non solo del governo e dei partiti che lo sorreggono ) , i quali hanno scaricato sui docenti il compito impossibile di fronteggiare problemi che la scuola è istituzionalmente impreparata a risolvere , nell ' atto stesso in cui ne minavano l ' autorità morale e disciplinare con una campagna denigratoria spesso riecheggiata in settori e a livelli ai quali non sarebbe mai dovuta pervenire . Vittime maggiori dell ' operazione sono stati i docenti delle scuole medie superiori , dove la contestazione ha assunto le forme più violente e aggressive , e dove nel tempo stesso gli insegnanti potevano contare su risorse e libertà d ' iniziativa assai minori di quelle a disposizione dei colleghi universitari . Si è così assistito allo spettacolo indegno di vecchi servitori dello Stato e uomini di scuola costretti in situazioni impossibili , alla mercè di turbe rotte a tutte le astuzie della disputa politica , spesso manovrate dall ' esterno , e non di rado addestrate alle tecniche della guerriglia urbana . Non è stato difficile , per costoro , costringere anche professori seri e valenti a optare tra cedimenti pagati col sacrificio di tutti i valori della professione e rinunce che spesso coincidono con l ' indigenza e con la fine anticipata del proprio inserimento sociale . Senza contare esiti più dolorosi , di cui taluno è riuscito , anche di recente , ad attraversare la cortina di silenzio che troppo spesso la nostra libera stampa stende su queste cose . Con i risultati , sul livello del processo educativo e sulla salute politica del paese , che sono sotto gli occhi di tutti . « Chi ha permesso che a una società accadesse questo ha colpe che nessun tribunale giudicherebbe con indulgenza » , scrive Vittoria Ronchey in un singolare diario scolastico ( Figlioli miei , marxisti immaginari , Rizzoli , Milano 1975 , pp. 175 ) che esce in questi giorni , e che sotto il velo trasparente dell ' invenzione letteraria rievoca una serie di vicende della cui verità ideale nessuno che abbia in qualche modo partecipato al dramma della nostra scuola negli anni recenti può dubitare . Il libro si affida anche a un ' abile costruzione narrativa , che riesce a creare una sorta di suspense intorno alle esperienze di un ' ignara professoressa di filosofia e storia nei licei , da Bergamo approdata in un istituto romano dove le sue illusioni di progressismo pedagogico vengono infine alla prova della realtà . Quelle illusioni escono per buona parte infrante e calpestate nello scontro con una situazione nella quale protervia di allievi e complicità di colleghi costringono al fine la protagonista ad abbandonare la scuola . Su questo sfondo si dispiega una serie di esempi significativi delle tecniche psicologiche , delle chiusure mentali , delle azioni di concreta ostilità con le quali tanta parte del corpo insegnante è stata forzata a subire un tipo di scuola che ripugna alle sue convinzioni più profonde . Ma soprattutto la vicenda offre all ' autrice l ' occasione di una serie di riflessioni sulla crisi della scuola , di cui qui si vagliano gli aspetti essenziali alla luce , insieme , di un serio impegno culturale e di un ' autentica vocazione educativa . I1 risultato forse più rilevante dell ' analisi è l ' individuazione della corresponsabilità che , nell ' origine della crisi , unisce l ' aggressione politica montata dall ' estremismo di sinistra contro la supposta « cinghia di trasmissione del sistema » , e il permissivismo pedagogico di derivazione americana . Su questo schema di fondo una serie di determinazioni particolari danno materia alle pagine più valide e più impegnative del libro . Sarà dunque da ricordare la segnalazione , di indiscutibile evidenza , della responsabilità che nell ' aggressione contro la scuola spetta a quei docenti estremisti dalle cui classi è quasi sempre partita la prima ondata dell ' attacco ; e , con essa collegata , la precisa accusa rivolta ai docenti comunisti , a parole sempre pronti a distinguersi dai gruppuscoli , ma di fatto impegnati ad assicurarne la impunità anche di fronte agli eccessi meno giustificabili . E , in fatto di docenti , sia consentito , a chi li ha visti all ' opera , di esprimere la propria intera solidarietà con la denuncia dei « vecchi demagoghi imbellettati » , quali sono apparsi agli occhi della scrittrice tanti professori universitari venuti a patti indecorosi con la contestazione anche su questioni inerenti agli studi che dovevano essere la loro ragione di vita . L ' autrice , a suo tempo allieva riconoscente di quei « maestri » , non tace la propria sconfortata delusione : e chi indaga le ragioni della crisi di ideali e di modelli di vita che investe tanta parte della gioventù intellettuale farà bene a non trascurare l ' effetto disastroso che su di essa hanno avuto gli esempi di questo tipo . Con ciò non si vuole certo esonerare dalle sue responsabilità la classe politica , alla quale spettava di impedire che si creassero le situazioni sulle quali fatti come questi si sono determinati : ma i tempi straordinari richiedevano , e tuttora richiedono ai professori , specie universitari , prove che eccedono i limiti dei loro ordinari doveri . E tuttavia , se dovessi indicare dove la punta accuminata di questo libro scava più in fondo , additerei piuttosto la seconda direzione , della pedagogia velleitaria e parolaia , fondata su nozioni di così povero contenuto intellettuale e di tanta impotenza operativa . A essa hanno attinto a piene mani i molti che andavano alla ricerca di alibi ai propri cedimenti . Specialmente il culto dello « spontaneismo pedagogico » , correlato al disinvolto abbandono della tradizione culturale - che poi vuol dire l ' intero nostro patrimonio intellettuale , umanistico e scientifico - come strumento educativo , ha spesso fornito una mano volenterosa ai banditori della crociata contro l ' « integrazione nella società borghese » . Milioni di giovani hanno già fatto le spese di siffatti esperimenti politico - culturali , sul terreno intellettuale e su quello morale . Resta solo da sperare che libri come questo contribuiscano a indurre le forze politiche democratiche a impegnarsi sempre più direttamente in una scuola che appare sempre meno in grado di riscattarsi con forze proprie . E alla speranza vogliamo anche aggiungere l ' augurio che i recenti decreti delegati , miranti a coinvolgere più direttamente la società nella vita della scuola , siano anche il segno che la classe politica ha preso finalmente coscienza della sua responsabilità di assicurare ai nostri figli un ' educazione adeguata ai cittadini di un paese libero e civile .
Le mani sull'università ( Romeo Rosario , 1975 )
StampaQuotidiana ,
Alla fine dello scorso aprile si tenne , a Firenze , un ' assemblea nazionale degli studenti comunisti . Nel corso del dibattito furono pronunciate dure condanne del presalario generalizzato , del «30 garantito » , dell ' « uguaglianza stracciona » sulla base della mezza ignoranza , auspicata e promossa , negli ultimi anni , dai gruppi estremisti , « figli degeneri del sessantotto » . Vennero in primo piano i temi della serietà e del rigore , la lotta contro la dequalificazione dell ' università , il necessario rilancio della ricerca , i valori della competenza e dell ' impegno collettivo e individuale . Si mise in rilievo l ' obiettivo di garantire il diritto allo studio ai meno abbienti , attraverso misure organizzative dirette a sostituire lo scandalo e il parassitismo delle largizioni di presalario . Al sovraffollamento di taluni corsi si propose di rimediare con la programmazione dei vari settori di studio , in vista delle prospettive di occupazione del lavoro intellettuale previste nel quadro della programmazione nazionale . Come non ricordare questi saggi propositi fra i tanti documenti del nuovo volto del comunismo italiano , partito d ' ordine , serio e riformatore ? Dopo il 15 giugno è venuto di rincalzo l ' on. Amendola . A scuola , ha dichiarato , bisogna che « si impari » , e non ci si limiti a distribuire « diplomi facili » ; lo studio è « sforzo e selezione » . Difficile trovare parole più adatte a calmare il trauma provocato anche in certi settori del mondo universitario dai risultati elettorali . Negli stessi giorni , però , in cui apparivano le dichiarazioni dell ' on. Amendola , la federazione sindacale guidata dalla Cgil , insieme con il comitato nazionale universitario e con l ' organizzazione del personale non docente , presentava al governo una piattaforma per la vertenza sull ' università nella quale , fra una serie di altre proposte , sono incluse le richieste seguenti : a ) istituzione del dipartimento , da affidare al governo di organismi misti di docenti , non docenti e studenti ; b ) abolizione della cattedra « come sede di una rigida titolarità disciplinare » ; c ) istituzione del docente unico . Si tratta di un determinato attacco alle elementari garanzie di libertà dell ' insegnamento e della ricerca , sancite nel nostro paese dalla Costituzione , e patrimonio di ogni società libera . Soppressa infatti la « titolarità dell ' insegnamento » , ciascun professore potrà essere costretto a colpi di assemblea ( e l ' esperienza , soprattutto universitaria , insegna che questa espressione può spesso equivalere a colpi non di maggioranza ma di minoranza , quando si tratti di minoranze « attive » ) , a far tacere il proprio insegnamento , e destinato ad altra disciplina , e magari a compiti diversi , di carattere ausiliario o subalterno . Il docente perderà il diritto alla propria funzione , e sarà esposto a tutti i tiranneggiamenti e a tutte le imposizioni di parte senza quelle difese istituzionali che furono gloria dell ' università liberale : sino alla conclusione facilmente prevedibile della resa o dell ' allontanamento . In tal modo la « democratizzazione » diventa un pretesto per l ' imposizione del totalitarismo ideologico nell ' università . Si dirà che la proposta tende solo a eliminare le superstiti baronie dei titolari di cattedra . Ma a parte che di siffatte baronie ben poco rimane dopo i raddoppiamenti , le triplicazioni e magari le decuplicazioni di cattedre degli ultimi anni , a raggiungere questa finalità sarebbe bastata la contemporanea istituzione del docente unico , che sopprime ogni rapporto di subordinazione tra i docenti della stessa disciplina . Ciò non significa , del resto , che questa del docente unico sia una richiesta decentemente sostenibile : quale uguaglianza , infatti , più « stracciona » di quella che si vorrebbe consacrare in tale figura , che non esiste in nessuna università del mondo , e che tende a pareggiare giovani con qualche anno di laurea a maestri riconosciuti del sapere ? E anche possibile che a premere in questa direzione , più ancora della Cgil , sia il Cnu , in cui si raccoglie tanta parte del sottobosco universitario italiano , popolato di personaggi decisi a far carriera con tutti i mezzi , a eccezione del serio controllo delle attitudini e delle competenze . Finora i comunisti han dato prova di grande abilità nel mettere queste pretese del peggiore corporativismo al servizio dei propri fini di potere . Ma occorre che essi mostrino invece di sapere resistere a spinte di questo genere prima che la loro nuova immagine possa essere in qualche modo accettata . Se alle tante parole che abbiamo ascoltate in queste settimane essi faranno seguire fatti concreti , saremo lieti di vederli all ' opera . Le occasioni non mancheranno .
La minaccia alle libertà ( Romeo Rosario , 1975 )
StampaQuotidiana ,
Fin da quando Stalin , nel 1936 , lanciò la politica dei fronti popolari , i comunisti hanno mostrato un ' assoluta spregiudicatezza nella ricerca di nuove alleanze . Al suo ritorno in Italia Togliatti ne diede una prima prova con la sua offerta di collaborazione con la monarchia nel governo del Sud . Manifesti con l ' invito a votare i comunisti per la difesa dell ' iniziativa privata comparvero per la prima volta non già nell ' ultima campagna elettorale ma in quella del 1948 . Più tardi il ventaglio delle offerte si allargò sino a toccare , con l ' esperimento Milazzo in Sicilia , gli stessi missini ; e anche verso le motivazioni dei giovani neofascisti Togliatti mostrò , a un certo momento , la più larga comprensione . C ' è tuttavia una radicale differenza tra la politica delle alleanze praticata dal Pci nel primo dopoguerra e quella degli ultimi anni . Allora , essa si imperniava sull ' alleanza leninista e gramsciana degli operai e dei contadini , nella quale ai contadini del Sud era riservato il compito di rovesciare , con il proprio intervento , l ' incerto equilibrio tra le due componenti , borghese e operaia , dell ' Italia industriale . Adesso , ridotta largamente dallo sviluppo economico la componente contadina della società italiana , la proposta di alleanza si rivolge soprattutto ai ceti medi , cresciuti di numero e d ' importanza negli ultimi decenni . Anche qui Gramsci agisce da supporto ideologico e da garante dell ' alleanza con le sue riflessioni sugli intellettuali e stilla egemonia , come già nella fase precedente si erano invocate le sue tesi sulla questione meridionale e sulla rivoluzione agraria mancata del Risorgimento . Ma all ' alleanza con i ceti medi manca il cemento di quella reale comunanza di obiettivi che , fino a un certo punto almeno , sosteneva il progetto di alleanza rivoluzionaria tra operai e contadini . La conquista della terra era in effetti un obiettivo reale e largamente sentito dalle masse contadine , e poteva occupare un posto di primo piano in un disegno di strategia rivoluzionaria : quanto meno per la prima fase , ché in seguito l ' esperienza mostra quale durissimo prezzo abbiano dovuto pagare i contadini in tutti i regimi che si ispirano al modello sovietico . Invece , tra le richieste di ogni sorta che i comunisti negli ultimi anni hanno dichiarato di far proprie non esiste nessuna reale omogeneità . Non è possibile , infatti , assicurare contemporaneamente salari ( e quindi consumi individuali ) più elevati , e investimenti sociali accresciuti ; maggiori retribuzioni agli occupati e incremento dell ' occupazione ; soddisfazione delle istanze corporative e settoriali e tutela dei ceti produttori ; socialismo e interessi non solo della piccola ma anche della media e persino della grande impresa privata . Questo coacervo di obiettivi , utilissimo a un partito di opposizione per raccogliere voti e consensi , reggerebbe assai poco alla prova quando dovesse misurarsi con la realtà nella concreta azione di governo . E dunque di vitale importanza , per il Pci , che questo confronto non avvenga prima che esso abbia conquistato il controllo di quegli strumenti di potere che gli consentirebbero di fronteggiare senza danni l ' ondata di delusione e le resistenze che inevitabilmente seguirebbero le sue prime prove di governo . Da ciò l ' estrema cautela della sua marcia verso il potere e lo scarso desiderio che i dirigenti comunisti mostrano di trarre vantaggio dalle molte occasioni di accelerarla che a essi si offrono fin da ora . E da ciò anche il dramma di ogni tentativo di conquista democratica del potere da parte del comunismo , condannato , prima o poi , a scontrarsi con le resistenze della maggioranza dell ' elettorato , e ad affrontare perciò la scelta tra potere e democrazia . Ma se questo è l ' interesse del Pci , è evidente l ' opposto interesse che i partiti , la stampa , la cultura democratica hanno di sollecitare questo confronto fra i programmi e le promesse del Pci e la realtà della sua azione sociale e politica . In troppi casi i comunisti si sono potuti atteggiare a restauratori di un ordine e di una buona amministrazione che essi stessi avevano in larga parte contribuito a distruggere , appoggiando le più arrischiate richieste sindacali , le iniziative dei gruppuscoli , le campagne di terrorismo ideologico volto a disorientare e paralizzare governo e opinione pubblica . Occorre che le forze democratiche sviluppino una assidua vigilanza in questa direzione , e impediscano che intimidazioni e sopraffazioni come quelle , per esempio , che hanno portato a limitare così gravemente la libertà di molti dei maggiori organi di stampa italiani possano svilupparsi per anni indisturbate , e sotto lo schermo , per di più , di battaglie per la « libertà » e l ' « obiettività » dell ' informazione . Occorre che la situazione esistente nelle scuole , nell ' università , in larghi settori del mondo del lavoro , venga proposta all ' opinione pubblica e ai cittadini nei suoi termini reali di gravissima minaccia alla vita e alla libertà di tutto il paese . Dire questo non significa invocare lo « scontro frontale » e la « spaccatura verticale » del paese . Significa però invitare il Pci a misurarsi in modo corretto sui problemi essenziali di libertà che tuttora dividono le forze democratiche dal comunismo , in maniera che il confronto suggerito da tante parti non si risolva in una prova di comodo , sui terreni e nei momenti prescelti dal Pci . Significa anche sollecitare in modo concreto lo sviluppo reale e non meramente propagandistico dei fermenti liberali di cui fa mostra il comunismo italiano , e sui quali si è tanto insistito nella grande « operazione sorriso » lanciata dal Pci nelle ultime settimane . Occorre , insomma , che la rinuncia allo « scontro frontale » si accompagni a una ripresa di iniziativa e di combattività delle forze democratiche , se non si vuole che essa si risolva , come ha ammonito anche un uomo di sinistra quale l ' on. La Malfa , nella « resa incondizionata » .
Mezzogiorno chiama Europa ( Romeo Rosario , 1975 )
StampaQuotidiana ,
Quando , nel dicembre 1954 , apparve a Napoli il primo numero di « Nord e Sud » , le posizioni del liberalismo meridionale erano in gran parte crollate , si profilavano grossi successi elettorali delle destre , ed era in pieno svolgimento la grande offensiva gramsciana della cultura comunista , sostenuta dall ' organizzazione di massa del movimento di « Rinascita » . Davanti all ' imponenza di questo schieramento poteva sembrare che la nuova rivista , col suo appello alla tradizione del meridionalismo riformatore contro il meridionalismo rivoluzionario , fosse destinata a esaurirsi in una prova ulteriore di velleitarismo intellettuale . Pure , di lì a qualche anno fu chiaro che quel granello di sabbia aveva contribuito non poco a inceppare il potente meccanismo avversario , a fargli perdere colpi , a spingerlo fuori strada : aprendo così un periodo di egemonia del meridionalismo riformatore che si sarebbe esteso per tutto il successivo quindicennio . A rievocare questa fase della più recente vicenda meridionalistica , a ripensarne i problemi teorici e le giustificazioni ideali , sono dedicate le pagine raccolte nel suo Meridionalismo liberale ( Ricciardi , Milano - Napoli , 1975 , pp. 237 ) da Francesco Compagna , fondatore e direttore di « Nord e Sud » , e promotore di gran parte delle attività politiche e di studio sviluppatesi intorno a essa . Questo meridionalismo liberale rivendica orgogliosamente il suo punto di riferimento fondamentale nel pensiero di Benedetto Croce . Che può apparire un riferimento sorprendente , se si pensa alle molte accuse rivolte al filosofo di non aver sentito e addirittura negato l ' esistenza stessa della « questione meridionale » : ma di cui Compagna mostra la piena legittimità , addittando , nella visione crociana della storia del Regno di Napoli , la matrice ideale alla quale , meglio di ogni altra , possono riallaciarsi coloro che nel Mezzogiorno intendono battersi per una società aperta ai valori di libertà e di modernità dell ' Europa civile . All ' insufficienza e agli abusi della vecchia classe dirigente meridionale , legata alla terra e alle forme più arcaiche di sfruttamento della terra , Croce aveva infatti contrapposto l ' eredità degli « uomini di dottrina e di pensiero » dell ' illuminismo e del liberalismo napoletano , sola tradizione di cui l ' Italia meridionale « possa trarre intero vanto » e a costoro i meridionalisti democratici vollero consapevolmente richiamarsi . Da ciò le polemiche durissime contro gli strascichi del meridionalismo « querulo e querimonioso » alla Scarfoglio , che negli anni cinquanta riaffioravano accanto all ' ondata di risentimenti di tipo borbonico espressi dai successi elettorali del laurismo ; e da ciò anche l ' impegno diretto nella battaglia per l ' Europa , altro polo irrinunciabile se si voleva che davvero la cultura meridionalista facesse da tramite tra la moderna coscienza civile dell ' Europa e l ' arretratezza meridionale . Ma l ' originalità dell ' operazione culturale rievocata da Compagna acquista il suo pieno significato solo se al nome e all ' insegnamento di Croce si accosta l ' altro , così diverso e pur essenziale , di Gaetano Salvemini . Nella fusione di una linea di pensiero De Sanctis - Croce con quella che da Cattaneo conduce a Salvemini , il meridionalismo democratico ha infatti trovato lo strumento che ha consentito di associare alla battaglia per i valori politici e morali della civiltà liberale un puntuale ed esteso impegno di ricerca sul terreno dei problemi concreti , delle indagini sull ' emigrazione e sui nuovi insediamenti industriali , sulle politiche di sviluppo e sui temi della urbanizzazione e della sistemazione del territorio . Lo storicismo idealistico , con la sua tradizione di concretezza e il suo amore per i problemi particolari , ha così potuto fare da supporto a indagini nelle quali le tecniche economiche e sociologiche sono state largamente messe a profitto , senza perciò dar luogo , come è invece accaduto in tanta parte della cultura italiana degli anni sessanta , ad alcun cedimento di sapore scientifico e neopositivistico . Su questa via il meridionalismo democratico ha contribuito con indubbia efficacia a orientare la politica meridionalistica dello Stato repubblicano , incontrandosi con altre esperienze di diversa origine , come quella della Svimez e di Pasquale Saraceno . Al meridionalismo classico dei liberali della prima generazione , i Villari e i Sonnino , i Franchetti e i Fortunato , questo nuovo meridionalismo si riallaccia infatti per l ' impegno riformatore , per la persuasione della fecondità di un ' azione che si avvalga dello Stato moderno realizzato in Italia dal Risorgimento come primo ed essenziale strumento di innovazione nelle regioni meridionali . Nella crisi e nei cedimenti manifestatisi durante gli ultimi anni nella compagine di questo Stato sono anche state coinvolte molte delle prospettive meridionalistiche che a esso erano legate : e non sono rari , oggi , i bilanci totalmente negativi dei risultati dell ' impegno meridionalistico che ebbe inizio nel 1950 . Il meridionalismo democratico può a buon diritto rifiutare una larga parte di queste responsabilità , additando la sua lunga e tenace battaglia contro le deformazioni clientelari del potere nel Mezzogiorno ; e può dire comunque di avere contribuito grandemente a creare un Mezzogiorno che , nonostante tutto , è e rimane « diverso » . E tuttavia , nelle pagine più recenti di questo libro , e specialmente in quelle scritte dopo il 1970 , non è difficile cogliere i segni e l ' ammissione di una crisi . Che non è tanto determinata dallo scontro col meridionalismo frontista e comunista , oggi in ripresa e col quale Compagna , rievocando vent ' anni di civili contrasti con esso , può ancora riconoscere certe matrici e ascendenze comuni ; quanto dalla « rottura della continuità culturale dell ' Italia moderna » che si riscontra nel meridionalismo recentissimo dei contestatori , tutto Vietnam e America Latina , e ignorantissimo al tempo stesso di De Sanctis e di Fortunato . E quella medesima rottura che a Mario Pannunzio suggerì nel 1966 la chiusura del « Mondo » , nella previsione , qui testimoniata , di un nuovo avvento di irrazionalismo , portatore di un ' atmosfera radicalmente antitetica al liberalismo di ragione che era proprio del grande settimanale , così strettamente legato anche alla vicenda del meridionalismo democratico . Sono state vicende intellettuali come queste , insieme con le ultime rischiose esperienze politiche , a ingenerare in molti la sensazione di un crescente isolamento , e ad alimentare le ondate di pessimismo che si avvertono con tanta frequenza . Chi a tutto ciò sente di dover resistere troverà in queste pagine il sostegno di una ricca strumentazione culturale e politica ; e insieme , la rievocazione di quell ' intransigenza liberale che a Pannunzio consentì di lasciare una traccia così profonda nella vita intellettuale di un ' Italia che per molti segni sembrava andasse verso sponde opposte , e che anche alla « purezza e durezza » del suo liberalismo deve di non esserci andata .
La Dc all'opposizione ( Romeo Rosario , 1975 )
StampaQuotidiana ,
Se la logica e la politica andassero sempre d ' accordo , dopo la « svolta » socialista alla Dc non resterebbe , dov ' è rimasta in minoranza , che la scelta fra l ' adesione alle « larghe maggioranze popolari » egemonizzate dai comunisti e il passaggio all ' opposizione . La prima alternativa appare , a prima vista , di gran lunga la più agevole e vantaggiosa . La Dc , da trent ' anni assuefatta al potere , continuerebbe a parteciparvi in misura rilevante ; potrebbe rivendicare qualche titolo di merito come protagonista anch ' essa del « nuovo modo di governare » ; avrebbe l ' occasione di ribadire la sua vocazione di partito « popolare ed interclassista » . Tutto ciò , beninteso , sulla carta . Di fatto , una Dc associata a combinazioni di potere dominate dalle sinistre verrebbe continuamente fatta responsabile dei limiti dell ' azione riformatrice , aggredita da una costante offensiva a « doppio binario » ( nella quale i comunisti saprebbero oscurare persino i vistosi precedenti socialisti ) , coinvolta in una serie di iniziative dirette a colpire soprattutto i ceti sociali che forniscono i maggiori contingenti al suo elettorato . E facile prevedere , in queste condizioni , se non una spaccatura ( non impossibile ) del partito , quanto meno una disgregazione di quell ' elettorato , che in larga misura verrebbe respinto a destra , con ulteriori gravi pericoli per le istituzioni democratiche e un maggiore indebolimento della linea anticomunista , che è davvero efficace solo sul terreno della democrazia . Verrebbe prima o poi , e assai prima che poi , il momento in cui la Dc sarebbe costretta a imboccare la via dell ' opposizione : ma la imboccherebbe in una situazione gravemente deteriorata , dopo la perdita di molte posizioni e di molti consensi , e nel quadro di un rapporto di forze peggiorato fino a diventare insostenibile . Apparentemente più rischiosa , ma di fatto più produttiva , la scelta dell ' opposizione . Non solo essa sarebbe il modo più vero di attuare la « rigenerazione » e « rifondazione » del partito , che è impossibile prendere sul serio finché la si attende da nuove incarnazioni dei Gava e dei Piccoli , dei Rumor e degli Andreotti ; ma consentirebbe alla Dc ( e agli altri partiti democratici ) di mettere effettivamente alla prova le amministrazioni social - comuniste , di proporre alternative ragionevoli alle genericità demagogiche in cui si è paludata finora la sinistra marxista , di riguadagnare , soprattutto , la propria autonomia politica , liberandosi dalle deformazioni che per anni le sono state imposte dall ' alleanza con i socialisti . L ' evidenza di tutto ciò sembra essersi imposta , almeno a livello nazionale , anche ad alcuni esponenti delle sinistre democristiane . Certo , il controllo di altri enti locali verrà utilizzato dai comunisti per la raccolta di nuovi voti e di nuovi consensi . Ma ciò accadrebbe anche se la Dc consentisse a entrare nelle giunte ; mentre non vanno trascurate la fragilità degli schieramenti elettorali messi assieme dal Pci e le difficoltà ch ' esso incontrerà nel tentativo di soddisfare i molteplici e contrastanti interessi che vi sono rappresentati . Su questi dati una opposizione autorevole e ben condotta potrebbe operare con efficacia . Che poi in sede di governo locale la Dc debba non solo contrapporre ma anche confrontare , come adesso si dice , i propri programmi con quelli delle maggioranze di sinistra , è cosa ovvia nella pratica di ogni convivenza democratica : a meno che con il termine confronto non si voglia invece contrabbandare qualcos ' altro , che meglio si designerebbe come accordo e collaborazione . Che è , come si è visto , cosa politicamente non solo diversa ma opposta , nella sua portata e nelle sue conseguenze . Vi è , naturalmente , il rischio che rapporti del genere si trasferiscano dal livello locale a quello nazionale . Checché se ne dica , non è affatto certo che una crisi di governo nella quale la Dc assumesse posizioni analoghe a quelle che ha deciso di tenere nella questione delle giunte debba sboccare nelle elezioni anticipate . Ma anche in questo caso la sola piattaforma elettorale possibile per la Dc sarebbe una netta contrapposizione al comunismo . E se poi l ' alleanza di sinistra dovesse conseguire un nuovo successo , e raccogliere consensi sufficienti a formare un governo senza la Dc , una politica d ' opposizione sarebbe la sola praticabile dal partito cattolico , se non vuole abdicare a se stesso e alla causa della democrazia . Anche in simili , gravissime circostanze , la trasformazione dell ' Italia in un paese socialista resterebbe un ' impresa non facile : e difficilissima da realizzare , come più volte hanno riconosciuto gli stessi dirigenti comunisti , con una maggioranza risicata del 51 o del 55 per cento . Misure come quelle che il Pci dovrebbe promuovere per dare anche solo un principio di soddisfazione alle attese degli strati più decisi ( e tuttora largamente stalinisti ) del movimento operaio basterebbero a provocare una crisi economica di vaste proporzioni , con l ' inevitabile strascico di delusioni e di malcontento . Per fronteggiare difficoltà di questo genere i comunisti dispongono di metodi sperimentati , atti a garantire , la conservazione del potere anche quando il consenso si restringa a frazioni minuscole dell ' elettorato . Ma l ' applicazione di questi metodi sarebbe assai difficile di fronte a un ' opposizione forte di quasi la metà della rappresentanza parlamentare , circondata di una sicura reputazione di attaccamento alla democrazia , e oggetto di larghe simpatie e solidarietà internazionali . In queste condizioni , e sotto lo sguardo di un ' Europa e di un ' America già allarmate dalla formazione di un governo paracomunista a Roma , i metodi polizieschi e i crimini giudiziari che hanno sempre accompagnato la nascita delle dittature comuniste comporterebbero rischi che la stessa Unione Sovietica avrebbe interesse a evitare . Allora un ' opposizione energica potrebbe anche costringere il partito comunista , e sarebbe la prima volta , a lasciare il potere per via democratica . Tutto ciò è ben chiaro ai dirigenti del Pci , ed è la ragione di fondo della loro insistenza sul compromesso storico o comunque su un sistema di alleanze preventive che disarmi l ' opposizione prima ancora che abbia avuto modo di esercitarsi , che è precisamente ciò che le forze democratiche e la Dc in primo luogo , hanno interesse a evitare . Una Dc all ' opposizione potrebbe dunque mirare , per questa via , anche a un consistente recupero elettorale . Che se poi essa riuscisse a conservare il potere a livello nazionale , varrà sempre la massima , sperimentata anche in altri paesi , che un partito di governo può tutelare le proprie fortune elettorali solo governando bene , con autorità e con successo : e ciò è solo possibile quando la sua politica non è sottoposta a ipoteche paralizzanti da parte dell ' opposizione . Rincorrere l ' avversario sul suo terreno serve soltanto ad accreditarsene la propaganda e ad accrescerne il prestigio : con le prevedibili ripercussioni sul piano elettorale . Non vanno neppure trascurate le tensioni alle quali il passaggio della Dc all ' opposizione , anche limitatamente al livello locale , esporrà il Psi . De Martino ha potuto lanciare la sua spregiudicata manovra contro la Dc nella persuasione che questa alla fine si rassegnerà a cedere , e accetterà di costituire , rispetto ai comunisti , l ' altro polo dello schieramento di cui i socialisti si illudono di formare l ' ago della bilancia . Si illudono perché neppure essi sono in grado di fronteggiare adeguatamente i comunisti , pronti a ricattarli a tutti i livelli e con tutti i mezzi , dalle pressioni sindacali alle agitazioni di piazza . Situazioni del genere potrebbero sollecitare radicali ripensamenti da parte di molti socialisti . Ma anche qui , è da augurarsi che essi non giungano troppo tardi : e una politica che metta il Psi davanti all ' amara realtà di una collaborazione sempre più subordinata con un Pci dotato di una schiacciante egemonia sarebbe la più adatta ad affrettarli . Ma la politica , dicevamo , non vive solo di schemi e di argomentazioni logiche . Nella varietà delle situazioni locali , dei rapporti personali , dei condizionamenti di ogni genere , sono possibili deviazioni anche rilevanti dalla linea politica fissata sul piano generale : e la Dc ( ma non solo la Dc ) ne ha già fornito esempi vistosi . E ' anche troppo facile condannare senz ' altro le situazioni di questo genere : anche se non si può escludere che in qualche caso nascano dalla sincera persuasione che la collaborazione e persino la partecipazione a comuni responsabilità col Pci possa essere la soluzione più adatta per bloccare i comunisti sulla via dell ' assoluto controllo del potere . Ma almeno due avvertenze vanno rivolte a chi si accinge a battere questa strada . Distinzioni sottili e accordi sottobanco con i comunisti sono stati praticati per anni dalla Dc : con i risultati che ora si vedono . Oltre tutto , è assai difficile spiegare ai non addetti ai lavori ( ai quali , in definitiva , spetta l ' ultima parola in democrazia ) come la stessa linea politica possa essere attuata sostenendo , per esempio , in sede comunale , proposte e programmi che vengono invece denunciati come rovinosi in sede provinciale e regionale . E poi , una politica di questo tipo , fondata su un rapporto di concordia discorde con gli avversari , da sostenere per anni a distanza ravvicinata , può essere condotta con successo solo da una forza politica compatta ed efficiente , sicura della saldezza e della combattività di tutte le sue componenti . Si dirà che questa altro non è che la linea di « scontro frontale » di fanfaniana memoria . Ma Fanfani muoveva dall ' ipotesi che la Dc dovesse restare partito di governo , e a questo fine aveva sempre guardato al recupero di un piano accettabile di collaborazione con i socialisti . Solo a questa condizione ha potuto contare sino all ' ultimo sulla solidarietà non casuale di Aldo Moro ; e in relazione a essa ha imposto alla sua polemica antisocialista limitazioni che alla Dc sono costate pesantemente sul piano elettorale . Ma , respinta la Dc all ' opposizione , sarebbe assurdo che essa cercasse di recuperare voti imbavagliando se stessa , e condannandosi fin da ora a continuare , nella nuova situazione , sulla sciagurata via del compromesso che ha caratterizzato la sua politica negli ultimi anni . Se non ha saputo far bene il mestiere di partito di governo , cerchi , quanto meno , di esercitare decentemente quello di partito d ' opposizione . Una volta tanto , la fedeltà ai princìpi e l ' interesse di partito coincidono .
Ritorno a scuola ( Romeo Rosario , 1975 )
StampaQuotidiana ,
Da anni ormai si torna a scuola in un clima di tensione che è uno dei segni più amari di questo nostro tempo . Forse , solo a livello delle elementari sopravvive quell ' atmosfera gioiosa che ricordiamo dai nostri anni infantili e che neppure l ' ostentata spregiudicatezza dei soliti antideamicisiani è riuscita a privare della sua carica di speranza e di avvenire . A questo livello , anzi , l ' « ottimismo pedagogico » è riuscito a realizzare effettivi progressi , sostituendo ai metodi inefficienti e tormentosi di un tempo un atteggiamento più positivo e creativo verso la scuola e verso le cose . Ma il quadro cambia di molto se appena si passa alle medie e , soprattutto , alle scuole superiori e all ' università . C ' è , anzitutto , la politica . Entrata nella scuola con la pretesa di introdurre elementi più vasti di democrazia in una struttura rimasta in parte autoritaria , essa è presto degenerata in esercizio puro e semplice di sopraffazione e di violenza ; e la riprova se ne è avuta in episodi efferati , ancora vivi nella memoria di tutti . La scuola è stata anzi il terreno in cui per la prima volta sono state sperimentate quelle tecniche dirette a capovolgere i processi e le formule della democrazia nel loro contrario che dovevano essere poi applicate con tanto successo nelle sfere più diverse della nostra società . Non solo maggioranze inerti e qualunquiste ma anche gruppi attivi , politicamente e intellettualmente consapevoli , sono stati in tal modo emarginati dalla vita della scuola , ridotta a terreno riservato alle propagande più rozze e aggressive . Per amore di quieto vivere e permissivismo suicida autorità politiche e società civile hanno lasciato che tutto ciò accadesse , si sviluppasse , assumesse le dimensioni e le forme ripugnanti degli ultimi anni . I risultati si sono visti , anche sul piano elettorale , con lo sbandamento di una gioventù abbandonata alla prepotenza intellettuale e psicologica di chi si fa forte non certo di cultura e di argomenti ma di ricatti e intimidazioni . E tuttavia sopraffazione e violenza da sole non sarebbero bastate , se non avessero trovato il sostegno di una cultura psico - pedagogica insensata , priva di ogni plausibile fondamento scientifico , e proprio per questo tanto più pretenziosa e irresponsabile . Sulla base di un avallo così precario si è lasciato che nella scuola trionfassero quasi senza contrasto formule sciocche come quella del rifiuto della cultura « borghese » , identificata tutt ' insieme con Aristotele e con i trovatori , con Galilei e con Kant ; e si è lasciato che si scatenasse una campagna indecorosa contro i valori dell ' intelligenza e della cultura nel nome di un egalitarismo offensivo di ogni principio e di ogni seria socialità . Dove ciò che conta non sono certo gli argomenti che si avanzano a sostegno di queste fanciullaggini , di per sé immeritevoli di considerazione , ma l ' effetto politico che ne deriva : perché una società incapace di difendere e trasmettere i valori che stanno alla sua base è una società incapace e anzi indegna di sopravvivere . La formazione dei giovani migliori , più capaci di dedizione a idealità superiori e meglio in grado di far propri i valori su cui si regge la nostra civiltà , viene così soffocata sul nascere , in modo che a essi resti aperta solo la via della resa , e del passaggio all ' avversario . Ogni misura e criterio si è smarrito nella pratica , impunemente affermatasi in molti istituti , della approvazione universale di tutti gli allievi , senza alcun riferimento , anche fuori della scuola dell ' obbligo , al lavoro compiuto e ai risultati ottenuti : che è una maniera abbastanza ovvia di distruggere dalle fondamenta una scuola di cui sarebbe difficile dire , in queste condizioni , quali siano le giustificazioni e gli obiettivi , una volta che essa non riesce più a distinguere fra il possesso e il rifiuto dei propri contenuti culturali . Non è un caso , del resto , che dopo avere protestato per anni contro il basso livello di istruzione della nostra società , adesso che bene o male si è riusciti a mandare a scuola milioni di bambini che prima ne restavano esclusi , si comincia invece a invocare la « descolarizzazione » . Tagliati fuori da ogni canale di normale inserimento nella società e da ogni legame con la cultura , quei giovani sarebbero preda ancora più facile delle organizzazioni politiche di massa , già oggi in agguato per reclutare nuovi aderenti , e per metterli , senza la protezione di alcuna formazione critica , al servizio dei propri obiettivi . Non diverso il significato della insistenza sui contenuti tecnici e pratici dell ' insegnamento , contro i valori teorici ed estetici . Ridotti a strumenti tecnici , gli uomini saranno tanto più facili da asservire al dominio di chi ha già pronti da tempo ( e mummificati ) i valori teorici ed estetici da sostituire agli antichi . Adesso che davanti ai problemi della scuola è fallita ogni autorità politica e intellettuale , e che i ceti dirigenti di ogni sorta hanno dichiarato bancarotta su questo terreno , spetta , come sempre , agli uomini di scuola assumersi il carico maggiore . Essi non hanno pretese né mezzi rivoluzionari , anche se la loro cultura è spesso tanto più seria e aggiornata di quella dei « rinnovatori » . L ' arma più efficace nelle loro mani è appunto questa cultura : da essa sono germinati gli strumenti critici fuori dei quali non c ' è verità ma solo propaganda e aggressione intellettuale ; e da essa soltanto possono trarre alimento le speranze degli esclusi e dei deboli . Certo , gli insegnanti seri si scontreranno spesso con i saccenti pronti a sottolineare che chi viene da una famiglia nella quale si ascolta Mozart parte avvantaggiato , in fatto di educazione musicale , nei confronti di chi si è invece formato in un mondo di povertà e di scarsa cultura : ma la risposta non sta certo nella negazione di Mozart , sta nello sforzo di far sì che la sua opera diventi patrimonio comune . E ci sono poi le nuove responsabilità a cui la società e le forze politiche sono chiamate attraverso le nuove strutture dei decreti delegati . Nelle loro pieghe si insinueranno , e se ne vedono già i segni , i fautori della sopraffazione , della intimidazione ideologica , dell ' unitarismo imposto e di marca chiaramente totalitaria . Ma proprio per questo , e per la gravità generale della situazione del paese , non si può tollerare che essi agiscano ancora incontrastati . Ciò non toglie , naturalmente , che un problema vi sia nei rapporti tra potere e cultura o , come meglio va detto , tra forze politiche e cultura . Non si tratta tanto di esorcizzare la visione servile della cultura come celebrazione del potere , remunerata con feluche accademiche e sinecure : insidia , questa , evidente e facilmente definibile agli occhi di tutti . Il rischio più sottile è invece quello delle nobili giustificazioni spesso invocate a copertura della strumentalizzazione della cultura , in termini di « impegno » , rapporto « organico » , funzione sociale del sapere : che son tutti modi attraverso i quali la cultura rinuncia a discutere le finalità e i compiti ultimi , e delega le funzioni di guida a forze estranee alla vita e ai problemi del mondo intellettuale . E un pericolo , questo , sempre presente , e la storia dei rapporti del Pci con gli intellettuali , che pur vengono spesso , e con tanta leggerezza , citati a modello , ne offre una pesante documentazione . Forze politiche democratiche di tipo moderno non possono imitare le tattiche dei partiti marxisti senza perciò rinnegare la loro ascendenza liberale : ma hanno invece il diritto di chiedere che la cultura partecipi con le sue capacità critiche e i suoi strumenti di conoscenza alla soluzione dei problemi della società in cui vive . Il potere e la responsabilità ultima delle decisioni operative spetta pur sempre alle forze politiche : ma esse deriveranno una più autentica legittimità democratica e una più incisiva efficacia dalla loro capacità di far proprie le esigenze reali della società , quali vengono espresse e criticamente chiarite dall ' opera della cultura . Per parte sua , da un giusto rapporto con la politica la cultura potrà derivare un arricchimento importante dei suoi contenuti specifici , e uno stimolo a guardarsi dalla irresponsabile leggerezza che caratterizza tanta parte degli interventi intellettuali nelle questioni politiche , come testimoniano in maniera clamorosa certe cronache recenti del nostro paese . Tra la contestazione permanente auspicata da certo radicalismo e i vecchi miti dell ' impegno si colloca lo spazio autentico della cultura democratica : caratterizzata nei confronti della politica da una netta distinzione di ruoli , ma tuttavia disponibile per il dialogo con quei settori della classe politica che al rapporto con gli intellettuali mostrano di avere un interesse autentico e non meramente strumentale .
Il giorno della civetta ( Romeo Rosario , 1976 )
StampaQuotidiana ,
E ' certo troppo presto per una valutazione di ciò che la crisi aperta dall ' iniziativa socialista di fine d ' anno potrà significare nella tormentata storia della nostra democrazia . Anche se il mondo politico italiano sembra avere ormai esaurito gran parte delle sue risorse come classe di governo , resta però intatta , la sua capacità di produrre soluzioni a sorpresa , atte a sconvolgere ogni previsione . Forse anche questo contribuisce a spiegare il curioso atteggiamento dell ' opinione democratica , italiana e straniera , davanti alla crisi : diviso com ' è tra la fatalistica attesa del « compromesso storico » e delle sue inevitabili risultanti totalitarie , e una sorta di spensierata fiducia che ancora una volta si sia fatto molto rumore per nulla , e che tutto debba continuare più o meno come prima , grazie a un ' altra di quelle « combinazioni » di cui è sempre stata feconda la mente italiana . Ciò che invece sembra indubitabile è la riprova del livello gravissimo di degradazione del nostro sistema democratico che viene offerta da una crisi come questa , con le responsabilità che stanno alle sue origini e le alternative che ne derivano . L ' iniziativa socialista si colloca infatti sulla linea del processo avviato con l ' uscita del Psi dal governo dopo le elezioni del maggio 1968 , e sboccato l ' anno successivo nella seconda scissione socialista . Dopo di allora i socialisti hanno rifiutato sempre più nettamente il ruolo di garanti dell ' area democratica sulla sinistra , che avevano svolto nei governi precedenti ; e hanno invece cercato di presentarsi come mediatori autorizzati dell ' ingresso del Pci nell ' area del potere . Sulla sincerità di questa vocazione sono lecite le più ampie riserve : ma il nuovo indirizzo della politica del Psi mostra l ' entità dei rischi politici che i partiti democratici si erano assunti nel tentativo di allargare a sinistra lo spazio democratico . Non sarebbe giusto sottovalutare le particolari difficoltà che al Psi derivano dall ' esistenza in Italia di un così vasto schieramento comunista , senza confronti nel mondo occidentale ; intorno al quale si aggregano larghissimi consensi delle classi operaie e dei lavoratori in genere . La soluzione offerta ai socialisti dal primo centro sinistra era stata quella di una politica di moderno riformismo , atto a consolidare ed estendere i suoi consensi fra le masse attraverso un ' incisiva azione di rottura in grado di affrontare i molti problemi insoluti , rimasti sulla scia del tumultuoso sviluppo del paese : ma anch ' essa si risolse in un fallimento , certo per le inadempienze della Dc , ma anche per lo scarso mordente e la mancanza di aggressività dell ' azione socialista negli anni facili dei primi governi presieduti dall ' on. Moro . Nella fase successiva il Psi non ha certo rinunciato a mettersi in concorrenza col Pci : ma per esercitarla ha scelto un terreno che ha finito più volte per metterlo in opposizione con gli interessi generali del paese . Siamo tutti d ' accordo sul fatto che la democrazia italiana farebbe addirittura un « salto di qualità » se alla testa dell ' opposizione di sinistra vi fosse un forte partito socialista invece che un Pci le cui professioni di democrazia sono ancora soggette a tante riserve . Ma in vista di questo obiettivo , il Psi ha sostituito alla politica delle riforme moderne e democratiche , che è propria dei grandi partiti socialisti occidentali , una ricerca spesso irresponsabile di consensi , tanto più accentuata quanto più il Pci tendeva invece ad esibire la sua nuova fisionomia di partito serio ed efficientista . Sul terreno sindacale e su quello dell ' ordine pubblico , sul piano della politica economica e su quello della finanza e dei diritti civili , per non parlare delle prese di posizione dottrinali e di principio , il Psi ha così svolto un ruolo che ha finito per associare il suo nome a molti dei più gravi processi degenerativi che si siano lamentati negli ultimi anni : non escluse le forme più screditate di clientelismo e di lottizzazione partitica . La constatazione che è tanto difficile governare l ' Italia senza i socialisti quanto lo è governarla con loro , non ci lascia margine che a speranze più o meno platoniche . All ' interno del Psi dovrebbe aver luogo un rinnovamento profondo perché si possa contare che esso sostituisca una politica di grandi riforme , compatibili con il sistema produttivo , alla facile concorrenza con i comunisti sul terreno della demagogia . Ma l ' esperienza del passato , con la pratica inveterata della doppia assunzione di ruoli , di governo e di opposizione , di cui i socialisti hanno dato tante prove , non ci permette di farci molto assegnamento . Da parte sua l ' alternativa comunista , in termini di compromesso storico o di più ampie formazioni di governo , non è , nelle condizioni attuali , carica di incognite , ma solo di catastrofiche certezze . E quindi non si vede proprio a quale gancio certi italiani appendano il loro ostinato ottimismo . La verità è che il tempo delle « combinazioni » e dei papocchi è finito per sempre . Siamo oramai al « giorno della civetta » . Per affrontare le eventualità che l ' avvenire riserva al paese , una condizione sembra in ogni caso prioritaria : che le forze democratiche , pur nella ricerca di tutte le possibili e inevitabili collaborazioni , conservino intera la propria autonomia e la propria saldezza ideale e politica . Solo a questo patto il rapporto coi comunisti non si tramuterà automaticamente in sudditanza e asservimento .
Rivoluzione in soffitta ( Romeo Rosario , 1976 )
StampaQuotidiana ,
Com ' è giusto , la nostra stampa ha dedicato molta attenzione al discorso tenuto da Berlinguer al congresso del Pcus a Mosca . Qualcuno ci ha visto una coraggiosa presa di posizione per una « via italiana al socialismo » ; qualche altro un ben concertato « giuoco delle parti » fra i nostri dirigenti e quelli moscoviti per facilitare la conquista del potere in Italia . Noi non abbiamo elementi per pronunciarci . Ci contentiamo di una notazione che va alquanto al di là delle circostanze , ma che ci sembra condizionarle . Nel dibattito sempre più largo e , purtroppo , sempre più attuale sulla « questione comunista » è finora mancata , mi pare , la dimensione storica . Si è molto discusso della nuova politica delle alleanze del Pci e , sul piano ideologico , si è cercato di precisare in che senso si possa parlare in termini nuovi ( rispetto alla tradizione leninista ) dei rapporti tra i concetti di socialismo e di democrazia . Ma , sebbene l ' auspicato compromesso sia detto « storico » non si è cercato di vedere seriamente in che misura la nuova impostazione berlingueriana sia coerente con la visione della storia del nostro paese sulla quale il Pci ha cercato di fondare la sua strategia e di giustificare la sua funzione nel paese . La prospettiva di Gramsci era la rivoluzione degli operai e di contadini come sbocco ultimo e risolutivo delle secolari contraddizioni della storia italiana . Nella spaccatura fra città e campagna , Gramsci aveva visto il limite più grave della rivoluzione comunale ; ed essa a suo giudizio era stata alla radice della ritardata formazione dello Stato nazionale in Italia , del carattere cosmopolitico e non nazionale della cultura italiana , della mancata rivoluzione agraria , che aveva privato il Risorgimento del significato radicale e « giacobino » che era stato proprio della Rivoluzione francese . Lo stesso antagonismo tra Nord e Sud , in questo quadro , si configurava in termini di contrapposizione tra città e campagna . Responsabili di tutto questo erano le tare storiche della borghesia e in genere della classe dirigente italiana antesignane della rivoluzione antifeudale e tuttavia incapaci di portarla sino in fondo . Il revisionismo gramsciano degli anni sessanta ha contestato duramente l ' ispirazione « meridionalista » e « contadina » di queste tesi : ma si è trattato in genere di una revisione da sinistra , volta a recuperare , al di là della politica gramsciana della alleanze , le condizioni di una rivoluzione proletaria e classista . Che è il contrario dell ' impostazione berlingueriana , protesa alla ricerca di nuove alleanze , non più con i contadini spazzati via dal miracolo economico , ma con i ceti medi gli intellettuali e una parte della borghesia imprenditoriale . Che cosa rimane in questa impostazione , dell ' originario rapporto con la visione dell ' irreparabile arretratezza della società italiana , superabile solo attraverso una rottura rivoluzionaria ? Si dirà che il Pci guarda a un rivolgimento democratico nei metodi ma rivoluzionario negli obiettivi : ma l ' ammissione che i grandi problemi della società italiana siano risolubili per via democratica è già una negazione della premessa gramsciana . L ' obiettivo di controllare democraticamente i problemi derivanti dallo sviluppo industriale , di superare il permanente ritardo delle campagne , di assicurare alla classe lavoratrice un peso accresciuto nella direzione dello Stato e della società , è un obiettivo comune a tutti i partiti socialisti dei paesi avanzati : e soltanto nei paesi avanzati il processo democratico ha raggiunto l ' ampiezza necessaria ad assicurare la realizzazione di una politica di grandi trasformazioni senza traumi e senza crisi di regime . Chi ricorda l ' insistenza di Togliatti sull ' inevitabilità della reazione fascista come ultimo atto della risposta borghese all ' avanzata proletaria può misurare quale distanza corra fra quelle posizioni e la prospettiva democratico - pluralista di stampo berlingueriano . Ammettere che questo sia possibile in Italia significa riconoscere che la società italiana ha raggiunto le dimensioni di una grande società moderna , atta a risolvere nel quadro democratico i suoi problemi : e dunque relegare in soffitta la rottura rivoluzionaria che Gramsci teorizzava come inevitabile . Ma con essa occorrerà abbandonare anche la visione gramsciana della storia d ' Italia , sostenuta e sviluppata in un trentennio di studi dalla cultura di sinistra , la cui logica interna appare irrimediabilmente compromessa quando essa viene amputata delle sue conclusioni storico - politiche . Senza questa revisione ampia e certo dolorosa , il compromesso storico , la politica delle alleanze , la rinuncia alla dittatura del proletariato conservano , malgrado le indubbie qualità oratorie di Berlinguer , un carattere di precarietà che le abbassa al livello di espedienti propagandistici a breve termine sempre rinnegabili quando abbiano esaurito la loro utilità . Un ' operazione alle cui spalle resta una visione della storia del paese in pieno contrasto con gli obiettivi che la politica dichiara di perseguire è poco credibile . E non sembra che di questa contraddizione la cultura di sinistra abbia finora preso seria coscienza .
I comunisti e l'Università ( Romeo Rosario , 1976 )
StampaQuotidiana ,
Questo giornale ha già preso posizione , nel suo « Osservatorio scolastico » , sulle recenti proposte del Pci per l ' università , con analisi precise che ne hanno messo in luce gli aspetti principali . La serietà degli studi e della scuola , la fine dello chienlit ( come diceva De Gaulle ) , la lotta contro la « dequalificazione » dell ' università e della ricerca scientifica , hanno costituito il tema di ripetuti interventi dei massimi dirigenti comunisti : e hanno contribuito non poco ad accreditare , in vasti strati della società italiana , l ' immagine nuova del Pci , partito d ' ordine e moderato . La bozza di proposta comunista of tre l ' occasione di saggiare che cosa valgono dichiarazioni e atteggiamenti di questo tipo . Secondo il progetto comunista l ' università verrebbe divisa in dipartimenti , ciascuno dei quali destinato ad abbracciare un vasto settore del sapere ( fisica , storia ecc . ) . Sarebbe invece soppressa la denominazione disciplinare delle cattedre , così che ciascun docente non verrebbe più chiamato a insegnare la materia della quale è specialista ( per esempio storia medioevale , fisica sperimentale ) , ma quella cui gli organi di governo del dipartimento lo destinerebbero di volta in volta . Tutti i docenti , dai più anziani titolari di cattedra agli assistenti , sarebbero inquadrati in un ' unica funzione , con una distinzione in due livelli che ha però rilievo solo ai fini della retribuzione . Di fatto viene dunque introdotta la figura del famigerato « docente unico » : e di conseguenza ai medesimi organi di governo spetterà di decidere , di anno in anno , quale debba essere il compito , di professore , assistente o « esercitatore » , assolto da ciascun docente all ' interno dell ' unica funzione . Tra gli organi di governo un posto centrale verrà occupato dal Consiglio di dipartimento , dai quale emaneranno tutti gli altri , e che sarà formato tutt ' insieme da docenti , collaboratori tecnici , personale amministrativo e subalterno , e da studenti nella misura di un quinto del totale . A un organo così composto si attribuisce il coordinamento dell ' attività didattica e scientifica , e dunque l ' approvazione dei corsi da svolgere , dei docenti che li svolgeranno e con quale funzione , e la determinazione dei programmi di ricerca . Solo per la chiamata di nuovi docenti un emendamento dell ' ultima ora riserva il voto deliberativo ai docenti di ruolo : ma la relativa discussione sarà comunque effettuata in assemblee comuni a tutto il personale , e l ' indipendenza dei votanti risulterà già per questo gravemente menomata . Nel progetto abbondano le dichiarazioni a favore della libertà d ' insegnamento : ma son solo parole , prive di ogni vero presidio giuridico , se se ne toglie , per il dissenziente , la facoltà di tenere corsi liberi o di ardersene , se trova qualcuno disposto a chiamarlo altrove . Ma non sarà facile che lo trovi , perché il meccanismo predisposto dal progetto comunista è volto precisamente ad assicurare che le medesime condizioni di monopolio totalitario del potere si realizzino dovunque e in ogni settore . Con rappresentanze studentesche in gran parte dominate da comunisti ed extraparlamentari , e con la presenza massiccia nei Consigli di dipartimento del personale non docente , inquadrato e controllato dalle organizzazioni sindacali , il Pci mira ad assicurarsi il controllo su tutte le strutture di ricerca e anzi su tutti gli insegnamenti , uno per uno , impartiti nelle università . Questa minaccia è anche più immediata nei dipartimenti di scienze sperimentali , dove il gran numero di collaboratori tecnici di vario livello , infermieri ecc . , assicura ai gruppi di potere sindacale una maggioranza automatica nei rispettivi Consigli di dipartimento : e se si considera che in questi settori la ricerca scientifica nella grandissima parte non è attuabile se non nei laboratori universitari , è facile intendere che per questa via ogni ricercatore scientifico sarà costretto a subire la legge di queste maggioranze o a rinunciare all ' attività di ricerca . In tal modo l ' intero settore della ricerca scientifica , con tutto ciò che essa significa nel mondo moderno , cadrà sotto il controllo del Pci . Ma non c ' è da illudersi che possa andare diversamente nei dipartimenti umanistici , di tanto maggiore rilievo ai tini del dominio ideologico e politico del paese . Le rappresentanze degli attivisti comunisti mascherati da studenti basteranno a determinare la maggioranza nei Consiglio di dipartimento unendosi ai docenti di sinistra , che sono appunto i teorici e i leader del totalitarismo intellettuale . E , una volta soppressa , come il progetto prevede , ogni garanzia individuale per il singolo docente ( per il quale non si ha neppure il rispetto della « qualifica » professionale , rivendicata invece per il personale subalterno ) , queste maggioranze saranno in grado di determinare anno per anno che cosa il docente insegnerà e a che cosa dedicherà le sue ricerche , e se svolgerà tali attività in qualità di professore , di assistente o altro . Per questa via saranno date possibilità infinite di rendere inconciliabile , per i dissenzienti , la propria presenza nell ' università con il rispetto di se stessi . Certo , la differenza dei livelli retributivi garantisce ai professori che restano in servizio , il mantenimento dello stipendio . Ma chi ha detto che si tratti solo o principalmente di stipendio ? Si tratta , in realtà , della libertà della scuola , del pensiero e della ricerca , che non interessano solo sparute minoranze di studiosi ma investono la formazione delle nuove generazioni nell ' insegnamento medio , l ' applicazione della legge , i riflessi della ricerca scientifica e tecnologica sulla vita produttiva del paese . Con questo progetto il Pci fa proprie , dopo tanta ostentata differenziazione , le posizioni più estreme dell ' agitazione extraparlamentare nelle università , mirando ad assicurarsi , attraverso di esse , il controllo della mente e dell ' anima del paese , nella certezza che il resto verrà di conseguenza . Il tutto , magari , nel quadro di rinnovate professioni di un pluralismo che , quando sarà stato soppresso nella società italiana , potrà ben restare sulla facciata dei discorsi e delle proclamazioni di principio . Dopo tutto , chi ha dimenticato che anche Stalin aveva raccolto la bandiera delle libertà borghesi ?