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> anno_i:[1970 TO 2000}
Due comunisti ( Ginzburg Natalia , 1970 )
StampaQuotidiana ,
Nei giorni intorno allo scorso Natale mi telefonò una persona . Mi disse che aveva da propormi un lavoro . Venne . Era uno che non avevo mai visto prima ; lo trovai molto simpatico . Parlammo a lungo e di varie cose . Di lui non so e non potrei dire nulla , se non che è molto simpatico e che lavora alla televisione . Mi chiese se volevo fare , per la televisione , un ' inchiesta sulla donna in Italia . Risposi che non sapevo fare le inchieste e che non mi piaceva per niente pensare « alla donna » , cioè pensare ai problemi delle donne isolati da quelli degli uomini . Gli dissi inoltre che non mi piaceva viaggiare . Non avrei avuto nessuna voglia di viaggiare per l ' Italia con dei fotografi . Gli dissi che l ' unica cosa che amavo al mondo era scrivere , sul divano di casa mia , tutto quello che mi passava per la testa . Mi disse che non avrei dovuto viaggiare perché altri avrebbero viaggiato per me . Io potevo restare a casa mia . Mi disse che in questo lavoro non sarei stata sola , perché un sociologo avrebbe lavorato con me . L ' idea di lavorare con un sociologo mi spaventò moltissimo e rifiutai . Non saprei parlare con un sociologo ; la sociologia è troppo lontana da me . Mi disse allora il nome del sociologo a cui avevano pensato e a cui si proponevano di scrivere per sapere se acconsentiva . Era Ardigò . Ardigò io lo conosco poco ; lo conosco però da molti anni . Ne ho stima . Mi ispira simpatia . Ho in comune con lui la memoria d ' un amico . Questo amico è Felice Balbo , morto nel '64 . Mi venne a un tratto il desiderio di vedere Ardigò che non vedo mai . Felice Balbo aveva molti amici , persone diverse fra loro e che non avevano fra loro niente in comune , se non l ' abitudine di discutere con lui fino a tarda notte . Si discuteva con lui di solito in piedi , perché lui usava stare in piedi , e la discussione diventava particolarmente appassionata sul pianerottolo al momento di salutarsi . Pensai che Balbo sarebbe forse stato contento se io e Ardigò , due suoi amici , avessimo lavorato insieme a un ' inchiesta sulla donna in Italia . Quella persona simpatica , nell ' andarsene , mi disse che m ' avrebbe fatto sapere se Ardigò accettava . Quando se ne fu andato mi accorsi che non avevo mai saputo , fino a quel momento , che Ardigò era un sociologo . In verità non mi ero mai chiesta cosa fosse Ardigò . Per me era un amico di Balbo e basta . Non tutti i suoi amici mi piacevano . Ardigò mi piaceva . La mia simpatia per lui si basava su impressioni fuggevoli , ma precise . Enumerai le cose che sapevo su Ardigò . Era simpatico . Viveva a Bologna . Aveva una sorella bionda che avevo conosciuto in montagna . Pensai che le mie nozioni sulle persone erano spesso assai rozze , limitate e confuse . E pensai che da questa mia limitazione , da questa mia miseria di nozioni , mi veniva un senso di malinconia , di miseria e di confusione . Mi veniva come una sensazione di muovermi nel vuoto . Pensai che ero l ' ultima persona al mondo che poteva fare un ' inchiesta in compagnia d ' un sociologo . Muovendomi io così spesso nel vuoto e nella nebbia , non potevo scambiar parola né con dei politici né con dei sociologi , persone che certo avevano sulla realtà uno sguardo sempre lucido , esatto , completo e puntuale . Pensai che Ardigò mi avrebbe subito disprezzato . Oppure poteva succedere anche di peggio , che cioè lui cadesse in un equivoco e mi supponesse dotata di qualità di cultura e di penetrazione sociale che io in verità non possiedo affatto . Pensai che è molto difficile essere capiti . Essere capiti vuol dire essere presi e accettati per quello che siamo . Il pericolo più triste che noi corriamo con le persone , non è tanto che non vedano o non amino le nostre qualità , ma che invece suppongano che le nostre qualità reali abbiano proliferato in noi numerose altre qualità che sono in noi assolutamente inesistenti . E pensai che la cosa più bella che aveva Felice Balbo , nel suo stare con le persone , era non travisarle mai e non guarnirle di doni che esse non possedevano , ma cercare invece nel prossimo che aveva davanti a sé il suo nucleo più vitale e profondo , scegliere e liberare il meglio che l ' altro aveva dentro di sé e quello solo , senza mai un ' ombra di sorpresa , di disprezzo o di scherno , dinanzi alle limitazioni e alle povertà dell ' altro . Egli infatti viveva con il suo prossimo nell ' unico luogo dove l ' intelligenza del suo prossimo poteva seguirlo senza limitazioni . Non usava mai cercare nel prossimo la propria immagine , essendo , quando stava con gli altri , totalmente immemore di sé . Era la persona meno narcisista che ho mai conosciuto . Indifferente a se stesso , non si sceglieva mai degli amici perché gli rassomigliavano , o perché erano il suo contrario , o perché potevano arricchirlo di nozioni o penetrazioni che lui non aveva . Semplicemente stava con persone con cui gli era possibile una qualche sorta di colloquio . Quando stava con una persona , non era mai in posizione di superiorità , né in posizione di inferiorità , era con l ' altro sempre un eguale . Conservai davanti a me nel futuro , d ' altronde assai vaga , la prospettiva di quell ' inchiesta , prospettiva in cui mi rallegrava , e insieme mi preoccupava , il nome di Ardigò , e in cui mi rallegrava il ricordo della persona molto simpatica che era venuta a casa mia quel giorno . Passò del tempo e non seppi più nulla di quel lavoro . Pensai che era sfumato come sfumano tante proposte . Però l ' altro giorno è uscita sull ' « Unità » una fotocopia d ' un foglio dattiloscritto della televisione , con una serie di proposte fra cui quella dell ' inchiesta sulla donna . C ' era il mio nome e il nome di Ardigò . Accanto , era scritta a penna un ' osservazione che esprimeva perplessità . Era scritto a penna : « Due comunisti » . La cosa mi precipitò in uno stupore profondo . Ero anche molto contenta . Perché fossi così contenta , non lo so . Dal commento dell ' « Unità » appresi che Ardigò è consigliere nazionale della Dc . A dire il vero non sapevo di lui neanche questo . Mi sono chiesta allora cosa sapevo con precisione su di me . Per quanto riguarda la politica , devo dire che non so su di me niente di preciso . L ' unica cosa che so con assoluta certezza , è che di politica io non ne capisco niente . Nella mia vita , sono stata iscritta a partiti per due volte . Una volta era il partito d ' azione . Un ' altra volta era il partito comunista . L ' una e l ' altra volta , era un errore . Siccome non capisco niente di politica , era stupido che fingessi di capirne qualcosa , che andassi alle riunioni , che avessi in mano la tessera d ' un partito . E ' bene che , finché vivo , io non appartenga mai a nessun partito . Se mi chiedessero come vorrei che fosse governato un paese , in coscienza non saprei rispondere . I miei pensieri politici sono quanto mai rozzi , imbrogliati , elementari , confusi . Per questo fatto , mi sento spesso disprezzata da persone che amo . Esse pensano che la mia povertà di pensiero , nei confronti della politica , è frivolezza , mancanza di serietà , assenteismo colpevole . Lo pensano in silenzio . Ma il peso del loro disprezzo è per me oppressivo . Se cercassi di giustificarmi in presenza di quel severo silenzio , non troverei che parole di una grottesca goffaggine e futilità . Eppure son sicura che ci deve essere un posto al mondo anche per quelli che , come me , non capiscono la politica , che se parlassero di politica direbbero solo banalità e imbecillità , perciò la cosa migliore che possono fare è non esprimere quasi mai nessuna opinione . Quasi mai . A volte , dire di sì o di no è indispensabile . Vorrei però limitarmi a dire o di sì o di no , E poiché ho parlato di Felice Balbo , dirò che gli sono grata per non avermi mai disprezzato , per non essersi mai stupito né sdegnato della mia ignoranza politica , gli sono immensamente grata per avermi sempre accettato per quello che ero e capito . Lo seguii prima nel partito comunista , poi fuori , feci tutto quello che lui faceva pensando che lui capiva la politica e io no . Pure non ebbi mai , con lui , la sensazione di sottostare a una sua superiorità , di subire una personalità più forte . Fra noi era inteso che lui capiva e sapeva un gran numero di cose , io no . Ma non aveva importanza , eravamo eguali . Nei ricordi degli anni che ho passato nel partito comunista , nei ricordi di riunioni e comizi , la sua figura è sempre presente . Forse per questo , se mi dicono comunista , sono contenta . Perché mi ricordo degli anni che io e Balbo eravamo là . Per quanto riguarda i due partiti a cui ho appartenuto , uno dei quali da tempo ha cessato di esistere , mi sembra di avere conservato con essi dei legami viscerali , oscuri e sotterranei , che non saprei chiarire con parole , che non trovano alcun fondamento nella ragione , che non hanno nessun rapporto con le scelte della ragione ma sgorgano dal profondo come gli affetti . Vorrei ancora dire che se un giorno ci fosse una rivoluzione e io dovessi fare una scelta politica , preferirei molto essere ammazzata piuttosto che ammazzare qualcuno . E questo è uno dei pochissimi pensieri politici che la mia mente possa mai formulare .
Villaggi ( Ginzburg Natalia , 1970 )
StampaQuotidiana ,
Sono andata a vedere , a Palazzo Braschi , la mostra dei grandi naifs jugoslavi . I naifs jugoslavi sono pittori contadini . Dipingono su vetro . Fanno parte d ' una scuola che si chiama « Zemlja » , cioè terra . Il caposcuola , che si chiama Generalovic , non ha mandato i suoi quadri alla mostra perché uno dei pittori invitati , cioè Lackovic , non gli andava . Così dicevano nelle sale della galleria e non so se sia vero o se sia una chiacchiera . Non ho mai visto i quadri di Generalovic . Fino a poco prima di visitare la mostra , non sapevo nulla né della scuola « Zemlja » , né di Lackovic , né di Generalovic . Questo per mia ignoranza , perché a quanto ho saputo i naifs jugoslavi sono famosissimi . Se ho voluto visitare questa mostra non è stato per amore della pittura , ma perché avendo io saputo che erano pittori - contadini , pensavo che avrei visto dei villaggi . Tutta la vita ho sempre sentito grande curiosità di vedere villaggi , ovunque , nella realtà e nei quadri . Quando sono in treno , guardo e scelgo nella campagna villaggi dove forse vorrei vivere . Nello stesso tempo , mentre penso la mia vita perduta in mezzo a prati o rocce o abbarbicata sull ' alto d ' una collina , mi prende una sensazione pungente di vertigine e malinconia . Perché unito al desiderio di abitare in campagna , vive in me non meno forte e profondo il sospetto che vivendo in campagna mi struggerei di noia e solitudine . Ma nelle pieghe di quella noia si nasconde per me un incanto segreto . Questi sono i miei pensieri abituali mentre vado in treno , pensieri totalmente oziosi perché non mi propongo e forse nemmeno desidero veramente di lasciare la città in cui vivo da molti anni . In un ' epoca ormai lontana della mia vita , abitai in campagna per alcuni anni . Quel villaggio io non l ' avevo scelto ma altri l ' avevano scelto per me . Difatti era un confino di polizia . Pure avendo preso a poco a poco ad amarlo , non dimenticai mai , nel tempo che dovetti soggiornarvi , che non l ' avevo scelto e non smisi mai di sognare altri e più remoti villaggi . Quel villaggio non era per nulla sperduto nella campagna ma invece stava schierato su una strada larga , polverosa e piena di biciclette e carretti . La casa dove abitavo era sopra la farmacia . Avendo io allora bambini piccoli trovavo la presenza di quella farmacia assai comoda e rassicurante . Tuttavia essa distruggeva in me ogni sensazione di stare in campagna . Le nostre finestre non guardavano sulla campagna ma su tetti e vicoli . Sulla porta della farmacia sedeva la farmacista . Di lei dicevano che « parlava col diavolo » . Perché e quando mai parlasse col diavolo quella grassa e gentile farmacista in vestaglia e ciabatte , non lo so . Ma l ' idea che le aleggiasse intorno questo sospetto mi rallegrava facendomi sembrare il paese strano e primitivo . Perché in verità quel paese era assai poco strano e in fondo anche assai poco primitivo benché sporco e povero . Alzando gli occhi vedevo le colline . Sulle colline erano villaggi e casali dove avrei amato vivere . Ma soprattutto c ' era , non molto lontana dal paese , una frazione chiamata Cavallari , cinque o sei case sparse in mezzo a un acquitrino , e io usavo figurarmi la mia vita là . Certo era un gioco ozioso della mia frivola immaginazione . Camminando nei prati per arrivare a Cavallari si affondava nel fango fino al ginocchio e nei vicoli fra quelle case nere e diroccate si affondava nel letame . Cavallari , dagli abitanti del paese dove io stavo , era chiamato « Piccolo Parigi » per dileggio . Credo che se mi fosse accaduto di vivere per più di un giorno nel Piccolo Parigi sarei impazzita . Vi andavo a volte per qualche ora e conobbi là alcuni contadini . Essi erano tutt ' altro che lieti di vivere in quel fango e li soccorreva soltanto una secolare abitudine . Non avevano né acqua né luce e per comprare una candela o una cartina d ' aghi dovevano fare chilometri . Avendo io le idee quanto mai confuse progettavo di battermi nei miei anni futuri per strappare quei contadini a quel miserevole luogo ma nello stesso tempo accarezzavo il sogno di passare la mia vita futura in una di quelle nere cucine soffocate nel fumo e nel letame e affacciarmi la sera a guardare il tramonto su quel desolato acquitrino . Se avevo all ' origine un ' immagine di villaggi idilliaca e pastorale , con ruscelli bisbiglianti e tenera erba , essa certo andò distrutta per sempre nel fango del Piccolo Parigi e nei vicoli del paese in cui vissi . Non che non vi fossero là tenera erba e pecore , ma il fango , il fumo e la noia regnavano incontrastati in quei luoghi e ne formavano la realtà essenziale . Conobbi varie frazioni e sobborghi in quella vallata e cercai di pensarvi la mia vita con acuta curiosità , con desolazione e desiderio . Del paese in cui stavo conoscevo ormai le minime pieghe , i minimi buchi e i vicoli , e la mia noia d ' averlo davanti agli occhi era sterminata . Andavo a vedere altre frazioni e sobborghi come uno si gira e si rigira in un letto per cercare punti più freschi . Mi avrei dato non so cosa per aprire gli occhi un mattino sui balconi di una città . Eppure vissi felice in quei luoghi . Perché non è vero che la noia escluda la felicità . Esse possono sussistere insieme e unirsi in un viluppo inestricabile . Ricordando la noia di quegli anni conservo in me la persuasione assoluta che la vita in un paese in campagna sarebbe quella che io sceglierei se l ' uomo potesse scegliere il suo destino . Per tornare alla mostra di Palazzo Braschi , ci sono andata dunque per vedere dei villaggi . Ne sono uscita con una nostalgia di villaggi profonda e pungente . Desideravo essere una persona precisa , e cioè desideravo essere il pittore contadino Ivan Vecenaj . I grandi naifs jugoslavi che hanno esposto quadri in questa mostra sono essenzialmente quattro : Vecenaj , Rabuzin , Lackovic e Kovacic . Dirò subito che non mi piace Rabuzin . Dal catalogo ho saputo che non è un contadino ma un imbianchino . Questo spiega di lui molte cose . Evidentemente imbiancando muri avrà addensato dentro di sé molto bianco . Nei suoi quadri c ' è una costante luce bianca . Per i cieli rosa e celeste viaggiano nuvole che sembrano palle di neve , al suolo giacciono immensi palloni verdi come immensi meloni o limoni e sono foglie . Cerchi lontani di piccole case non testimoniano vita umana essendo i suoi villaggi , orti e campi sigillati in una geometria immota . I paesaggi di Rabuzin sembrano paradisi luminosi e gelidi , non destinati agli uomini ma alle nuvole , ai meloni e ai limoni , e chiusi per sempre in una vitrea e nivea primavera . Essi mi hanno affascinato ma li ho trovati agghiaccianti . Lackovic mi ispira maggiore simpatia . Lackovic fa degli uomini piccolissimi seguiti da cani piccolissimi che sembrano volpi . Fa delle pianure invernali e delle lune rosse e rotonde , dei villaggi armoniosamente composti in un delicato intrico di arbusti . Dipinge come un bambino vivace , spiritoso e ciarliero . Tuttavia i suoi orizzonti non sono infiniti , né sono mai sterminate le sue distese di campi . Ogni suo paesaggio è raccolto nella vivacità e nella grazia . In questa mostra i due pittori che amo sono Kovacic e Vecenaj . Kovacic ha paludi d ' un verde grigiastro , autunni fiammeggianti e villaggi invernali dipinti con attenzione intensa e intensa tristezza . Perché l ' orizzonte nei quadri di Lackovic non sia infinito , e sia invece infinito nei paesaggi di Kovacic e di Vecenaj , non lo so , ma penso che tutto il segreto della pittura stia in questo punto . I quadri di Ivan Vecenaj sono nella prima stanza . Dopo aver visto gli altri sono ritornata da lui e penso che lo preferisco a tutti . I suoi paesaggi sono dipinti con estrema minuzia nei minimi e più lontani particolari e l ' orizzonte sopra di essi è fosco e solenne . Nel mezzo del paesaggio campeggia a volte un evento drammatico : brucia una casa ; san Giovanni è seduto con la sua aquila ; un vaso di fiori azzurri è stato posato su una distesa di neve ; una donna insegue le sue oche ; hanno crocifisso Gesù . I colori di Vecenaj sono crudeli e violenti . Le sue figure umane sono tozze e stupefatte . Hanno larghi volti legnosi , larghe mani ossute e nodose , stanchissime e forti . I suoi animali sono irsuti e aspri , pieni di penne e di peli . Ogni quadro dice l ' aspra fatica del vivere e la desolata solitudine dell ' uomo nella campagna . Ogni quadro dice come sia sterminata e senza risposta la natura intorno alle opere degli uomini , intorno ai villaggi . Dal catalogo ho appreso che Vecenaj vive sempre nel suo villaggio e fa il contadino . Questo mi ha dato gran gioia , perché avrei trovato tristissimo doverlo pensare in un anonimo appartamento d ' una qualche città , col telefono e l ' ascensore . Quando sono uscita dalla mostra era il crepuscolo . C ' era folla , traffico e rumore . Gli occhi non riuscivano a fermarsi su niente , non c ' era che disordine , le strade non erano più strade ma solo gente e automobili , i suoni laceravano le orecchie . Mi consolava il pensiero che tutto questo fosse risparmiato a Vecenaj . Era , in quel grigio crepuscolo , l ' unico pensiero che mi consolava . Per me stessa , desideravo due cose , ed erano tutt ' e due impossibili : desideravo essere Vecenaj , e desideravo di stare per sempre in uno dei villaggi che lui ha dipinto . Stare là come la guardiana di oche , o come l ' aquila , o san Giovanni , o Gesù . Avere ai miei piedi quella campagna . Avere sulla mia testa quel cielo .
Il bambino che ha visto gli orsi ( Ginzburg Natalia , 1970 )
StampaQuotidiana ,
Tre anni fa sono andata in America per la prima volta nella mia vita . Un mio figlio vi soggiornava da un anno ed era nato là un mio nipote . Mio figlio , sua moglie e il bambino dovevano rimanere là un anno ancora . Quel bambino aveva ormai qualche mese e io non l ' avevo visto che in fotografia . Così conobbi insieme l ' America e mio nipote Simone . Non posso dire d ' aver capito e visto molto dell ' America essendo io tarda nei riflessi e poco dotata per capire velocemente luoghi ignoti . Del viaggio ho questo ricordo : per moltissime ore era pomeriggio , l ' aereo ronzava in apparenza immobile in un cielo d ' un azzurro intenso e su candide groppe di nuvole dove il sole non si sognava di tramontare ; poi di colpo fu pioggia e notte . L ' istante in cui quel pomeriggio immobile e glorioso si trasformò in una bufera notturna , dovette essere rapidissimo perché non ne ho memoria . Quando scendemmo infuriava il vento e nel campo dell ' aeroporto erano state installate passerelle con tettoie di zinco su cui la pioggia scrosciava . Le mie prime immagini furono vie battute dal temporale e lunghi sottopassaggi illuminati a giorno e rombanti . La città era Boston . Avevo letto nella mia vita moltissimi libri che parlavano di Boston ma non so perché il solo che mi venne in mente allora fu un romanzo chiamato Il lampionaio che avevo letto e amato all ' età di nove anni . Si svolgeva a Boston e c ' era una bambina di nome Gertrude , assai povera , maltrattata e selvaggia , che veniva raccolta e adottata da un buonissimo vecchio , lampionaio di professione . Mi rallegrai a un tratto con me stessa di trovarmi nella città di Gertrude . Non c ' era però intorno a me traccia di lampioni e mi era difficile riconoscere in quei rombanti sottopassaggi le calme e vuote immagini che avevo costruito intorno al nome di Boston nella mia remota infanzia . Tuttavia la memoria del Lampionaio rimase in me per tutto il tempo che fui a Boston e in fondo dopo un attento esame scopersi che quella città non era molto dissimile da quella che era sorta dissepolta fra le ceneri della mia immaginazione infantile . Di Gertrude , ricordavo che quando era così povera usava nutrirsi di spazzatura . Così osservavo con attenzione per le strade di Boston i grandi bidoni di spazzatura che si trovavano davanti alle case . Per la spazzatura mio figlio mi spiegò al mattino che c ' erano due bidoni , uno destinato all ' organico e l ' altro all ' inorganico . Perciò ogni volta che dovevo buttar via qualcosa mi fermavo a pensare se andava nel bidone dell ' organico o nel bidone dell ' inorganico . Più tardi tornata in Italia riflettevo ancora sull ' organico e sull ' inorganico pur gettando poi tutto in un unico secchio come usiamo fare qui . Tornando alla sera del mio arrivo , mio figlio e sua moglie parlarono subito del lungo viaggio che si preparavano a fare in automobile , col bambino , nelle « Rocky Mountains » . Sapevo di questo loro progetto da tempo ma in quella bufera di vento e pioggia l ' idea mi parve insensata e dissi che il bambino avrebbe patito il freddo . Mi fecero osservare che eravamo nel mese di maggio , il viaggio sarebbe avvenuto d ' estate e quindi se mai il rischio era la calura estiva . Dissero che però erano andati dal pediatra con la carta geografica , gli avevano mostrato l ' itinerario del loro viaggio e il pediatra aveva approvato . Questo pediatra usava farsi chiamare « Jerry » dai suoi clienti . Quando accordava una visita , lasciava nella cassetta della posta un cartoncino con scritto : « Jerry sarà felice di incontrarsi con Simone martedì alle tre » . Tuttavia se Simone avesse avuto la febbre a quaranta , Jerry non si sarebbe spostato di un millimetro perché non faceva visite a casa . Era questa la regola e non vi contravveniva in America nessun pediatra . Sul conto di Jerry appresi ancora che trovava Simone in buona salute , ma un po ' troppo grasso . Jerry voleva che i bambini fossero magri . Trovai che infatti l ' America era un paese di bambini magri . I bambini inoltre mi sembravano poco vestiti e con mani paonazze dal freddo perché non portavano guanti . Quando lo vidi per la prima volta , la sera del mio arrivo , Simone era nel suo letto , sveglio , vestito d ' una tuta bianca di cotone , e giocava con un gatto piatto di tela cerata rossa . Aveva una testa completamente nuda di capelli e occhi neri ironici , acutissimi e penetranti . Guardando con molta attenzione , si poteva scorgere su quella sua testa nuda una finissima peluria bionda . Gli occhi erano stretti e allungati verso le tempie . Trovai che assomigliava a Gengis - Kan . Dopo alcuni giorni di bufera , esplose a un tratto un ' estate torrida . Dissi allora che un viaggio con quel caldo era pericoloso . Avrei dato non so cosa per portare il bambino con Te in Italia , in campagna , all ' ombra di frondosi alberi . Ma i suoi genitori erano irremovibili . Pensavano che nelle « Rocky Mountains » si sarebbe divertito di più . Io replicavo che un bambino di pochi mesi non avrebbe visto differenze fra le « Rocky Mountains » e una conigliera . Prediche , querimonie e contumelie furono nel mio soggiorno in America le mie manifestazioni essenziali . Soprattutto non mi davo pace che per tre mesi quel tenero e ignaro bambino non avrebbe avuto una casa . Infatti mio figlio e sua moglie avevano subaffittato la loro casa fino al mese di ottobre . Simone avrebbe dormito in automobile , o nei motel , o sotto la tenda , tenda che era già stata comperata e che mio figlio montava per esercizio nel prato d ' un amico . Fino ai primi di ottobre , Simone non avrebbe avuto sulla sua testa il soffitto di casa sua . Avrebbe però avuto sempre mi dissero il suo letto . Quel letto era infatti smontabile e poteva essere rimpicciolito e sistemato dentro l ' automobile . Anche di questo furono fatte molteplici prove . Non so se fosse imperizia di mio figlio ma l ' operazione della sistemazione del letto nell ' automobile era lentissima e laboriosa non meno dell ' installazione della tenda sul prato . Assistetti a quei preparativi di viaggio con crescente paura . Mio figlio e sua moglie tornavano ogni giorno a casa con oggetti destinati al viaggio , bottiglioni di plastica per l ' acqua e polveri contro i morsi degli scorpioni . Comprarono anche una enorme sacca di plastica e vi cacciarono dentro tutti i giocattoli del bambino . Osservai che era un ingombro inutile , ma loro avevano letto nel libro del dottor Spock che un bambino deve viaggiare in compagnia di tutti i suoi giocattoli . Infatti non potendo sempre interrogare Jerry , essi spesso cercavano risposte e conforto nel libro del dottor Spock . Ignaro di essere minacciato dalle « Rocky Mountains » il bambino viveva nella casa come se fosse stata sua fino alla fine dei secoli . Stava in carrozzina nella loggia di legno davanti a casa , agitava il suo gatto rosso e squadrava il mondo con i suoi occhi da Gengis - Kan . Era un bel bambino grasso e forte , troppo grasso anzi per i gusti di Jerry , e mandava giù con gioia bottiglie di latte ma si batteva ferocemente contro ogni altra specie di cibo . Avanzai la proposta di fargli il famoso brodo vegetale , In Italia si svezzano i bambini con il brodo vegetale . Ma mio figlio e sua moglie ebbero contro il brodo vegetale espressioni di forte disprezzo . D ' altronde capivo anch ' io che era inutile abituare il bambino al brodo vegetale , che doveva bollire ore e non era possibile preparare nel corso d ' un viaggio in automobile . Tornata in Italia fui per tutta l ' estate inquieta nonostante arrivassero cartoline dalle « Rocky Mountains » e rassicuranti fotografie del bambino nudo e abbronzato sulle spalle dei genitori . Alla fine dell ' estate e quando loro erano ormai tornati a casa ricevetti una lettera di mio figlio dove mi raccontava del viaggio e diceva fra l ' altro che una notte si erano trovati in un campeggio dove erano arrivati degli orsi probabilmente attratti dall ' odore di una bottiglia di sciroppo che si era rotta sul tetto della loro automobile . Acquattati nella tenda col bambino in collo avevano spiato gli orsi che armeggiavano intorno all ' automobile e infuriavano contro una ghiacciaia . Non si trattava affatto di graziosi orsacchiotti , ma di brutti animali alti e grossi , e per scacciarli avevano dovuto sbattere dei coperchi di pentole . All ' alba erano andati all ' azienda - turismo e avevano chiesto che gli venisse indicato un campeggio dove gli orsi non mettessero mai piede . Quelle notizie paurose benché superate da tempo mi sconvolsero e scrissi lettere di prediche e contumelie . Tornarono in Italia dopo un altro inverno e un ' altra estate nella quale fecero ancora un viaggio , questa volta nel « deeper South » , luogo che sapevo caldo e pericoloso . Accolsi il bambino con la sensazione che fosse scampato da viaggi pericolosi . Il bambino ora camminava e parlava . Sulla sua testa lunga e delicata erano cresciuti fini e tenerissimi capelli biondi . Aveva alcune manie . Non voleva saperne di frutta fresca ed esigeva sughi di pera in bottiglia . Non voleva saperne di golf di lana perché « avevano il pelo » . L ' unico indumento che accettava di indossare col freddo , era una sua vecchia giacca a vento scolorita . Pensai che nella sua ripugnanza « per il pelo » c ' era magari una ripugnanza o paura per quegli orsi che aveva visto . Ma forse è una mia deduzione insensata , essendo e l allora troppo piccolo per spaventarsi . A poco a poco , lo persuademmo che « il pelo » dai golf poteva sparire strofinandone con forza una manica . Tuttavia la giacca a vento è rimasta il suo indumento preferito . Un pomeriggio , doveva venire a casa mia . Lo aspettavo alla finestra . Lo vidi attraversare la strada con suo padre . Camminava serio , per mano a suo padre e tuttavia assorto in se stesso e come in solitudine , portando una borsa di nylon in cui aveva cacciato la sua giacca a vento . In quei giorni gli era nata una sorella , cosa che forse lo rendeva serio . Il suo passo , la sua lunga testa fiera e delicata , il suo sguardo buio e profondo , mi fecero a un tratto scorgere in lui qualcosa di ebraico che non avevo mai visto . Mi parve anche un piccolo emigrante . Quando sedeva sulla loggia a Boston , sembrava regnare da sovrano nel mondo che aveva intorno . Sembrava Gengis - Kan . Ora non era più Gengis - Kan , il mondo gli si era rivelato mutevole e instabile , nella sua persona era sorta forse una precoce consapevolezza che le cose erano minacciose e sfuggenti e che un essere umano deve bastare a se stesso . Pareva sapere che nulla gli apparteneva , salvo quella scolorita borsa di nylon contenente quattro figurine , due matite mangiate e una scolorita giacca a vento . Piccolo ebreo senza terra , con la sua borsa attraversava la strada .
Film ( Ginzburg Natalia , 1970 )
StampaQuotidiana ,
Ho visto , in un cineclub , un film scritto da Beckett , recitato da Buster Keaton , e chiamato Film . Dura forse meno di mezz ' ora ed è privo di parole . Un uomo , in una stanza , mette fine alla sua vita . Non lo vediamo né morire , né uccidersi ; ma è chiaro che di là da quei momenti , non vi sarà mai più nulla per lui . Nella stanza c ' è un letto , una coperta , uno specchio , un seggiolone a dondolo , un gatto e un cane in un cestello , un pesce in una vasca , un pappagallo in gabbia . Nonostante questi mobili e questi animali , la stanza appare nuda e vuota . L ' istante in cui quell ' uomo ha portato là quel letto e quello specchio , quel cestino , quella vasca e quella gabbia , appare lontanissimo e perduto in un tempo senza memoria . Con gesti ansiosi e pieni di terrore , come inseguito da persecutori invisibili , l ' uomo copre con un panno lo specchio , fa uscire il cane e il gatto , richiude la porta , copre la vasca e la gabbia . Poi si siede sul seggiolone e si dondola , in mezzo alla stanza . A tratti si tasta il polso , con quell ' ansia per le proprie pulsazioni , quella sollecitudine per se stesso che sente chi non ha nessuno sulla terra salvo se stesso , con quella paura della morte che sente chi non vuole più nulla fuor che la morte . Da una cartella di cuoio , egli trae e osserva alcune fotografie . Sono antiche immagini di un essere che è stato lui stesso . L ' infanzia , il volto materno , le feste scolastiche , le gare sportive , il matrimonio , una donna , un bambino . Sono le immagini di una vita respirabile , tiepida , abitata da affetti . Una vita ormai remota da quella stanza , da quelle suppellettili desolate . Egli accarezza un attimo , con il pollice , la fotografia del bambino . Strappa una per una , a metà , tutte le fotografie . Le strappa a metà una per una , senza esitazione e questa volta senza ansia , attentamente , scrupolosamente . Le lascia cadere a terra . Finora non abbiamo visto il suo viso , ma sempre solo le sue mani , le sue spalle , la sua sciarpa , le crepe nel muro , le pieghe della coperta . Infine vediamo il suo viso : un viso devastato , scavato , un occhio coperto da una benda nera . Per un attimo : perché egli subito chiude quel viso tra le mani devastate . Unico e ultimo gesto di pietà per se stesso ; unico e ultimo tentativo di nascondere a se stesso la sua stessa immagine , di smarrirsi al di là della ragione e delle memorie ; unico e ultimo implorare il buio , il nulla e la morte . Questo racconto rapido e muto , lo poteva recitare solo l ' attore Buster Keaton . Impossibile pensare un essere diverso , là in quella stanza . Egli non recita : egli è quell ' uomo . Della vita di Buster Keaton io non so molto , salvo quello che sanno forse tutti . E morto solo e povero , alcuni anni fa . Probabilmente i suoi ultimi giorni furono assai simili alle ore di quell ' uomo in quella stanza . Ebbe un destino crudele . Fu un attore comico famosissimo ai tempi del muto ; con l ' avvento del sonoro , non lo cercarono più e fu presto dimenticato . Era del resto impensabile che dalla sua bocca uscissero mai parole . Il suo viso magro e arido , le sue labbra sigillate e negate al sorriso , le mascelle irrigidite e contratte , erano la maschera stessa del silenzio . Era stato un grande attore , un grande attore comico . La comicità nasceva dalle sue mosse rapide , dal suo silenzio , dalla sua fissità . Apparvero sui giornali , a volte , sue fotografie . Un viso su cui gli anni e l ' ombra avevano scavato ombre e solchi . Un viso coperto di una rete di rughe fittissime , come una carta geografica . Le labbra sempre strette e sigillate . Dovette chiudersi nel suo silenzio , da vivo , come in un sepolcro . Ebbe solo qualche piccola parte , breve e secondaria . Fu il pianista in Luci della ribalta . Film dovette essere uno dei suoi ultimi film se non l ' ultimo ; e non ebbe , credo , alcuna diffusione . A Chaplin toccò una sorte diversa . Erano stati , credo , compagni di giovinezza . Chaplin ebbe a profusione tutto quello che lui , dopo una certa epoca , non ebbe più . Chaplin , dopo gli anni amari d ' una infanzia orfana e povera , ebbe gloria , denaro e onori e li avrà per tutta la durata della sua vita . La sua gloria è , da tempo , indistruttibile . Era , senza dubbio , un più grande attore . I ricordi della sua infanzia , i tristi vicoli popolati di poveri , divennero presto per lui un mondo remoto . Per moltissimi anni , trasse la sua ispirazione da quelle buie memorie . Inventò la figura immortale che ben conosciamo . La figura zoppicante e rapida , con i riccioli neri intorno al volto pallido , con il sorriso luminoso e mite . Era anch ' essa priva di parola . Conosceva bene anch ' essa l ' inadeguatezza e la miseria della parola umana . In vecchiaia , Chaplin si trasformò in una persona che è in qualche modo il contrario di quella figura randagia , zoppicante e fuggevole . Divenne un vecchio canuto e florido , ottimista e miliardario . Vive in una villa in Svizzera , con uno sciame di figli . Se per caso si incontrassero , l ' antica figura zoppicante e randagia e questo furbo e florido vecchio signore , non avrebbero niente da dirsi . In vecchiaia , Chaplin scrisse e parlò . Scrisse perfino un libro di memorie . Quando ci accade di vedere sullo schermo l ' antica figura che amiamo , dobbiamo isolarla dal ricordo della persona che l ' ha creata e che ne è diventata così diversa . Dobbiamo scacciare il ricordo dei pensieri che ha espresso nel suo libro , delle sue affermazioni ottimistiche , della sua vanità per nulla ingenua , della sua solida e robusta persona da cui è totalmente scomparso ogni istinto di fuga . Da cui è scomparso anche ogni istinto di libertà . Chaplin ha fatto , in vecchiaia alcuni brutti film . Essi hanno avuto successo . Certo l ' idea d ' aver fatto dei brutti film non l ' ha nemmeno sfiorato , essendo egli ormai troppo compiaciuto di sé per dire a se stesso parole vere . D ' altronde la cosa in sé non avrebbe importanza e i suoi brutti film non scalfiscono il suo genio . Quando vediamo sullo schermo la figura immortale da lui un tempo creata , non pensiamo ai suoi ultimi brutti film . Pensiamo invece alla sua persona attuale che si trova , rispetto alla sua persona antica , sull ' altra sponda . Non possiamo fargli rimprovero di essere diventato , in vecchiaia , ricco e furbo . Penso che uno possa essere ricchissimo e furbissimo , restando in qualche modo libero e randagio . Penso che sia difficile , ma possibile . Quello che rattrista in lui oggi è forse proprio l ' ottimismo . Le parole che ha scritto e pensato . Il suo miserevole e squallido ottimismo di ottuagenario a cui tutto è andato così bene . Buster Keaton non ha lasciato , che io sappia , libri di memorie . Il silenzio in lui , e il silenzio che lo circondava , dev ' essere stato immenso . La vecchiaia è infuriata su di lui devastando il suo corpo , il suo viso arido , nudo e indifeso . Egli però rimasto se stesso , sigillato nel suo silenzio , fedele alla sua sconfinata disperazione che non poteva avere parole essendo la parola umana così inadeguata e miserevole , fedele per sempre alla sua sconfinata libertà di non sillabare mai una sola parola .
LA PROVA. ECONOMIA E RIFORME ( Spadolini Giovanni , 1971 )
StampaQuotidiana ,
In questa ultima convulsa fase della campagna elettorale del 13 giugno - un quinto del corpo elettorale ma la macchina dei partiti impegnata con tutta la pesantezza degli slogans e tutta la aggressività degli apparati - è tornata in primo piano la polemica sul « dopo » , è riaffiorata l ' ombra della verifica all ' indomani del turno amministrativo di domenica prossima . Verifica della volontà dei quattro partiti di restare insieme : ha chiesto , non certo a torto , l ' onorevole Ferri , leader di un partito che segue con crescente malessere lo sviluppo dei sintomi di scollamento e di disintegrazione all ' interno del centro - sinistra . Necessità di mantenere il quadro istituzionale del quadripartito , senza scosse e senza prove pericolose , almeno fino alla difficile scadenza dell ' elezione presidenziale : ha risposto , con motivi almeno altrettanto fondati , l ' onorevole La Malfa , capo di un altro partito che si è ispirato ad una costante regola di coerenza e di serietà e che non manca di condividere le preoccupazioni del Psdi , ma teme ancora più la lacerazione della superstite solidarietà democratica nei mesi bloccati e paralizzati del « semestre bianco » . Nessuna verifica : ha aggiunto , da parte sua , il vice - presidente De Martino , insistendo sulla tesi socialista degli « equilibri più avanzati » , che degrada il centro - sinistra ad una formula interlocutoria e di transizione , e tornando sullo spartiacque delle riforme come solo criterio di divisione fra le forze politiche , indipendentemente , si potrebbe dire , dalla loro collocazione nella maggioranza o nell ' opposizione . Riforme e centro - sinistra : ecco il tema che in ogni caso , verifiche o meno , dominerà le settimane successive al 13 giugno . Ma quali riforme ? E con quali mezzi ? Una volta di più l ' astrattismo socialista rischia di prevalere sui dati obiettivi della realtà , condizionata da una recessione economica minacciante tutti gli approdi e i traguardi della stessa classe lavoratrice . La recente relazione del governatore della Banca d ' Italia - relazione che gli stessi comunisti hanno accolto con qualche maggiore apertura del passato - indica i confini insuperabili di una politica economica che , pur salvaguardando l ' impegno delle riforme indispensabili alla promozione della società civile , non può non preoccuparsi di evitare i danni congiunti della spirale inflazionista e della contrazione produttiva : danni capaci da soli di travolgere ogni riforma . Sì : perché l ' Italia attraversa una fase - caso unico nel mondo occidentale - di tensione inflazionista congiunta ad un ristagno produttivo . Carli è stato esplicito . L ' eccezionale aumento dei costi di lavoro non è stato compensato , come pur avevano teorizzato i vari Donat Cattin nei mesi dell ' autunno caldo , da un aumento di produttività . Anzi : la produzione industriale è diminuita del 2,6 per cento nei primi quattro mesi dell ' anno rispetto al periodo corrispondente del 1970 : e con un ' incidenza di maggiori costi di lavoro che ha toccato la media del 23 per cento , con punte del 27 nelle industrie metalmeccaniche e del 33 nelle chimiche . Il nostro sistema economico non ha potuto reagire agli aggravi salariali con rapidi processi di razionalizzazione : la capacità di utilizzare meglio gli impianti è stata gravemente compromessa dalla « conflittualità permanente » ( quello che succede alla Fiat è sufficientemente indicativo ) e dalle forme di anarchia sindacale , che sembrano trascendere le stesse direttive delle tre confederazioni . L ' aumento dei prezzi tende a superare l ' aumento dei redditi di lavoro . Si sviluppano , con ritmo paurosamente crescente , le ore concesse dalla Cassa integrazione guadagni . Le piccole e medie industrie , che chiedono protezione allo Stato , che sognano di essere « irizzate » o « statizzate » , si moltiplicano a vista d ' occhio . Il risparmio ha paura : si concentra nelle banche , anche a basso tasso d ' interesse , e rifugge dagli investimenti . La crisi della Borsa - l ' ha rilevato acutamente il professor Dell ' Amore nelle osservazioni successive alla relazione Carli - si identifica con una crisi dell ' intero sistema di alimentazione degli investimenti . La nostra competitività sui mercati internazionali declina ogni giorno . Gli scambi con l ' estero di beni e servizi , migliorati nell ' ultimo scorcio del 1970 , hanno presentato nuovamente un saldo negativo nel primo trimestre del '71 . L ' edilizia , molla essenziale dell ' economia nazionale , non tira : il Governatore ha rivelato che molte gare di appalti pubblici sono andate deserte , trovandosi i costruttori nell ' impossibilità di prevedere la misura delle maggiorazioni di costo durante il periodo di esecuzione dei lavori . Le prospettive dell ' occupazione sono tutt ' altro che rosee : gli iscritti alle liste di collocamento si sono accresciuti di un quinto in un anno e si aggrava l ' inquietante fenomeno della « sottoccupazione » , dalle mille e insondabili facce , con gravi riflessi sul volume dei consumi , già contratto dalla quotidiana taglia inflazionista . Incremento del reddito ? In queste condizioni tutte le previsioni del '71 rischiano di essere vanificate . Non dimentichiamoci che l ' aumento del reddito nazionale è stato del 5,9 per cento nel 1969 ed è già sceso al 5,1 nel '70 . Le previsioni del piano per il '71 parlavano di un incremento minimo del 4 per cento . Ma come raggiungerlo ? Senza un limite alla spesa pubblica improduttiva - quello che La Malfa ha chiesto nuovamente a Genova - , senza un rilancio degli investimenti nel settore privato , inseparabili da un clima di fiducia , tutte le anticipazioni dei programmatori sarebbero destinate alla più crudele e beffarda smentita . Altro che equilibri più avanzati ! Per salvare le riforme , per attuare la nuova disciplina della casa , della sanità , della scuola , irrinunciabile per le forze democratiche , occorre fissare un preciso ordine di priorità , rinunciare ad ogni facile fuga nella demagogia . Le maggioranze aperte , di cui favoleggiano i socialisti , non potrebbero mai sostenere gli sforzi e i sacrifici necessari per un ' attuazione realistica e graduale dei piani riformatori . Piuttosto che studiare le convergenze assembleari o milazziane di domani , sempre e tutte condizionate dal miraggio del Quirinale , i partiti del centro - sinistra , che sono « condannati » a marciare insieme almeno per tutto il corso di questa legislatura , dovrebbero prendere solenne impegno di non promuovere in nessuna sede spese pubbliche che non siano dirette ad aumentare gli investimenti , cioè a facilitare la ripresa economica base delle riforme . È l ' esortazione dei repubblicani : ma chi la raccoglierà ? Le pressioni corporative e settoriali si intrecciano e si agitano su un esecutivo che riflette tutta la debolezza del sistema e rispecchia il travaglio , paralizzante , dei partiti . Solo se il 13 giugno si manterrà l ' equilibrio complessivo delle forze democratiche , senza pericolosi spostamenti né a sinistra né a destra , la prova di saggezza delle urne potrà esercitare qualche effetto positivo su una classe politica ogni giorno più staccata dal paese e ricondurla a quello che Saragat ha chiamato « il massimo senso di responsabilità » . Un senso di responsabilità di cui ci sarà particolarmente bisogno nei prossimi sei mesi : forse i più difficili del dopoguerra .
L'attore ( Ginzburg Natalia , 1970 )
StampaQuotidiana ,
Conobbi Soldati un mucchio di anni fa . Allora era più vecchio di me . Oggi no , oggi siamo vecchi uguali . Era magro come un fiammifero , e sulla sua fronte fiammeggiava un ciuffetto nero . Lo conobbi in casa di mia sorella , a Torino . C ' erano varie persone che non ricordo , era un pranzo . Nel corso di quel pranzo , lui s ' arrabbiò con qualcuno e si mise a urlare . Disse allora una frase , che ricordai sempre . La frase era : « Gli amici non si scelgono » . Non avevo seguito il resto del discorso , ero stata fino a quel momento distratta . Al vederlo a un tratto così infuriato , restai stupita e forse mi spaventai . Urlava con voce roca , e il suo erre francese rotolava pieno di collera . Era scattato in piedi e il ciuffo nero sventolava in disordine sul suo pallore . Finito il pranzo , crollò a sedere e disse ancora una volta con voce roca e stanca , con un viso disfatto e desolato : « Non si scelgono . Gli amici non si scelgono » . Poi la sua collera di colpo svanì . Chiese a un certo punto chi ero . Lo stupì di sapere che ero la sorella della persona che l ' aveva invitato a pranzo . Disse che m ' aveva preso per una suivante . La parola suivante , che io non avevo mai sentito prima d ' allora , mi umiliò . Pensai che dovevo essere vestita male . Mi chiese cosa facevo . Gli dissi che facevo il liceo . Qualcuno disse che scrivevo racconti . Chiese di leggerli . Avevo con me quei racconti , in un quaderno , dentro la mia cartella nell ' ingresso . La cartella l ' avevo con me perché ero venuta là direttamente da scuola . Il quaderno l ' avevo sempre con me . Credo che me lo portavo sempre dietro nella speranza che qualcuno mi chiedesse di leggerlo . Lui partiva , e promise di leggere il mio quaderno in viaggio . Qualche giorno dopo , mi mandò un telegramma . I miei racconti gli sembravano belli . Ne fui felice . Ancora oggi gli sono grata per avermi mandato un telegramma . Quel telegramma per molto tempo lo conservai , sgualcito , in una scatola , fra altri oggetti che stimavo preziosi . Era il primo telegramma che avessi mai ricevuto ; e per molti anni ancora rimase l ' unico . La suivante , il telegramma , e la frase « gli amici non si scelgono » , sono tre cose per me inseparabili dall ' immagine di Soldati . La suivante e il telegramma non riguardano tanto Soldati , quanto me stessa e la mia vanità . La frase « gli amici non si scelgono » riguarda sia Soldati che la verità . Ricordo di aver pensato , quella sera , a tutti i miei amici , e di essermi chiesta se li avevo scelti o trovati per caso . Ancora oggi mi chiedo se gli amici si scelgono . Credo che , per quanto riguarda gli amici dell ' infanzia e della giovinezza , non si scelgono affatto ma ci vengono buttati ai piedi dalla nostra sorte . Gli amici dell ' età adulta , in qualche modo si scelgono . E ' vero però che nelle nostre scelte , giocano sempre tre elementi essenziali : in parte scegliamo noi stessi , in parte veniamo scelti , e in parte il caso sceglie per noi . D ' altronde l ' atto della nostra scelta non ha grande valore . Scegliendo i nostri amici , noi ubbidiamo a un criterio di valutazione assai rozzo , superficiale e confuso . Quello che conta non è l ' atto della nostra scelta , ma i vincoli che sorgono in noi dall ' affetto e che sono sempre ciechi , imperiosi e senza spiegazione . L ' affetto non sceglie nulla , o meglio la sua scelta è così rapida che siamo subito immemori di averla compiuta . Tornando a Soldati , nel ricordare più tardi le sue furie di quella sera compresi che egli non era per nulla infuriato . Recitava . Recitava la parte dell ' uomo in collera . Quello che io credevo il fuoco della collera , era in verità il fuoco della recitazione . Compresi più tardi che egli recita sovente , per divertire gli altri e se stesso . Mi colpì più tardi , leggendo i suoi romanzi , il fatto che nei suoi romanzi non c ' è mai traccia né di simulazione né di sovreccitazione . Scrive in una prosa pacata , chiara , austera e paziente . E una prosa invisibile come l ' acqua o il vetro . Penso che i suoi romanzi provengano dalla parte più calma e più seria della sua persona . Il gioco magico , nei suoi romanzi , è in genere quello di insinuare in una trasparenza di vetro o d ' acqua , entro una realtà abitabile , respirabile e chiara , un ' incrinatura obliqua , un lampo verde e sinistro , che sembra provenire da altri mondi e indicarne la realtà non respirabile , non abitabile , notturna e priva di stelle . I suoi romanzi sono , sempre o quasi sempre , storie d ' incontri col male . Nei suoi romanzi , sempre o quasi sempre , ci sono due personaggi essenziali . Un narratore , uno che dice « io » , persona da cui sembra scorrere la prosa stessa della narrazione , pacata , nitida , non mai rotta da singhiozzi , immune da incubi o nevrosi ; persona che non parla della sua vita o ne parla appena , come non meritasse di parlarne , trattandosi di una vita risolta e libera , una vita che scorre nella piena luce del giorno ; e a un tratto , su un angolo di strada , o davanti a un chiosco di giornali , o in una botteguccia polverosa , o nella hall d ' un albergo vecchiotto con paralumi e tappeti , si profila al suo sguardo un secondo essere , qualcuno a cui egli si accosta con sentimenti usuali e pacati , senza allarme , come ci si inoltra su quieti sentieri erbosi per una passeggiata tranquilla . Questo secondo essere , sia esso un amico della sua giovinezza , o una donna incontrata in passato , o semplicemente uno sconosciuto che desta la sua attenzione o pietà , lo conduce lentamente fuori dal suo chiarore giornaliero e verso una notte ignota , fredda e tortuosa come una plaga d ' inferno . Allora comprendiamo che il chiosco dei giornali , la hall immersa nella rosea penombra , la botteguccia dalle merci addormentate , erano le porte dell ' inferno . Ci accorgiamo che infatti su quei luoghi pesava una strana paura . La realtà ignota nella quale il narratore si inoltra , sui passi di quel secondo essere che gli ispira insieme pietà , repulsione e un ' acuta curiosità , è una realtà dove non ci sono esseri liberi , perché ciascuno è servo d ' una macchinazione tetra e ineluttabile ; una trama sottile e tortuosa di denaro e di ossessioni sessuali governa e opera in questo mondo notturno , muove gli umani e li avviluppa ai piedi d ' una potenza ambigua , fredda come la morte e indecifrabile . E in questo mondo notturno , pesa il sospetto che il male non si trovi situato là dove i fatti sembrano individuarlo e situarlo , nei volti beffardi e servili di coloro che in noi chiamiamo i malvagi ; ma ancora altrove , in uh punto molto più lontano , dove non ne avvertiamo che gli echi e i lampi ; o forse invece molto vicino : forse nelle pieghe segrete della nostra stessa anima . Il narratore si sente a un tratto coinvolto in una sorta di sinistra complicità . La presenza del male in un mondo così prossimo al nostro , ci rende spie e complici del male ; essendo noi amici e testimoni del male , forse siamo il male stesso . Quel volto insieme domestico e misterioso che si è avvicinato al nostro , quella mano che ci ha condotto sulla plaga infernale , sono forse la nostra stessa mano e il nostro stesso volto . Nell ' ultimo romanzo di Soldati , L ' attore , il narratore , avendo incontrato un amico di giovinezza e avendo saputo di sue difficoltà finanziarie causategli dalla moglie , che ha il vizio del gioco , va a trovare questa moglie nella sua villa di Bordighera . L ' aspetto abbandonato della villa , lo sfacelo e il silenzio in cui giace il luogo , acuiscono il senso di angoscia con cui siamo arrivati là . Nelle difficoltà finanziarie che l ' amico attore ha raccontato , abbiamo sospettato menzogne e macchinazioni . In questa coppia di coniugi , uno dei due è vittima dell ' altro , ma ignoriamo quale sia la vittima e quale il persecutore . Ma quando appare la moglie , col suo fresco dialetto triestino e la sua persona generosa , cordiale e ilare , l ' angoscia è dissipata . Ci sentiamo sollevati e rassicurati . In questa donna , il vizio del gioco appare una mania innocente , in qualche modo ilare e limpida , una cosa di cui si può chiacchierare a voce alta , nella piena luce del giorno , in dialetto triestino . Il suo affetto per il marito è pieno di pietà e ironia . Il marito , « pòvaro mona d ' un vecio » , usa innamorarsi delle serve . Tale debolezza è in sé anch ' essa innocente , forse solo un poco pericolosa . Tuttavia ogni vago senso d ' allarme svapora tra le risate cordiali della donna , argentine , generose di tenerezza . Il narratore sta per andarsene sollevato . In quel momento si sente la voce della serva . La serva si rivolge alla donna con accenti di prepotenza intima e brutale . Torna l ' angoscia , e il sospetto di qualche fosco potere . Spiando dalle finestre , il narratore vede la serva . I suoi tratti sono volgari e leggiadri , la persona è insieme banale e misteriosa , di una giovinezza caparbia e fragile , forse costretta senza voglia a una parte crudele . L ' angoscia sorge dal non sapere dove è il male , da quale punto provengano gli agguati e le macchinazioni del male . La ragazza sarà trovata morta , vittima predestinata e incauta d ' una macchinazione . Tra la donna , la ragazza e l ' uomo , vediamo lentamente che si è stesa una trama ingegnosa e industriosa , avviluppandoli e trascinandoli alla deriva . Essa è nata dalle profondità d ' un sentimento amoroso insieme tortuoso e semplice , che si alza sopra le congetture e le insidie con una sorta di fosca innocenza . Forse il male non è situato fra questi esseri , ma ancora altrove , nella figura dal volto « duro e frivolo » che appare e scompare alle loro spalle e che sembra vincere . Tuttavia il dubbio permane che anche il volto « duro e frivolo » non sia nulla , che non sia lui il vero artefice di agguati e disgrazie , che non sia una vipera ma un povero topo di siepe . Forse il suo trionfo è volgare e casuale , forse non è che il nuoto cieco e immemore d ' una grigia anguilla , il canto di una rana in una palude . Le trame del male sono profondamente immerse nella notte . La sola liberazione possibile è per gli esseri umani rincorrerne sulla terra le ombre sfuggenti , spiare e interrogare all ' infinito le orme del vero , portare alla luce del giorno i pochi indizi rubati nel cuore d ' una notte impenetrabile .
Ricordo di Carlo Levi ( Ginzburg Natalia , 1970 )
StampaQuotidiana ,
Non mi è facile scrivere di Carlo Levi , avendolo avuto caro come un fratello . La sua persona è per me strettamente legata a eventi , persone e anni della mia giovinezza . La sera che ho saputo che stava male , e moriva , ho radunato insieme , dentro di me , tanti ricordi sparsi . Non credo di riuscire a parlare distesamente di lui come pittore , né come scrittore , né come uomo politico . Posso unicamente allineare ricordi . Negli ultimi anni , lo vedevo di rado . Quando lo incontravo , mi sembrava di incontrare una folla di esseri amati e perduti . Questo , e la grande serenità che spirava dalla sua persona , mi facevano sentire , ogni volta che lo incontravo , commossa e felice . In verità non so perché non cercassi di vederlo di più . Noi abbiamo , con la nostra giovinezza e con le persone che la abitavano , rapporti complicati , tortuosi e pesanti . I nostri movimenti ne sono spesso impediti . Pure quando incontravo Carlo Levi , sentivo dissolversi ogni tortuosità e complicazione e il suo viso grande e roseo mi rallegrava . Negli era una persona con la quale i rapporti erano diretti e leggeri . I primi ricordi che ho di lui , risalgono al tempo della mia adolescenza , a Torino , sua e mia città . Nera più vecchio di me di quattordici anni . Quattordici anni mi sembravano allora moltissimi . Apparteneva al mondo degli adulti , mondo nel quale io anelavo di entrare con una ansia che aveva tutte le caratteristiche dello snobismo , come si anela di raggiungere una più alta e nobile sfera sociale . Nero però timida , e questa ansia restava nascosta . Egli mi intimidiva , così che in sua presenza trovano difficile sillabare parola . Non so come , gli era capitato fra le mani un mio quaderno di poesie , e ogni volta che mi vedeva citava un pezzetto di una mia poesia sul mattino , che io avevo scritto a dieci anni : « Ogni fronte si copre di sudore I ogni cuore si riempie d ' amore I lavoratori , il ciel vi benedica ! » Questi versi io li trovano orribili , e mi sembrava di averne scritti , in seguito , di migliori . Ma a lui il verso dei lavoratori dava grande allegria . Lo ripeteva guardandosi intorno con il suo solare sorriso . Non era molto alto ma era grande , riempiva lo spazio con la sua persona così che intorno a lui tutti sembravano striminziti . Sembrava colorato , e grigi gli altri . Aveva un viso grande , largo , roseo , circondato da una corona di riccioli . Aveva un cappotto chiaro , quasi bianco , largo e corto , sempre sbottonato e di una lana moscia e pelosa . Aveva giacche di velluto a coste che allora nessuno portava , bottoni dorati e istoriati , cravatte arabescate , mosce e con un largo nodo . Era amico dei miei fratelli . Aveva studiato medicina , e quando qualcuno era malato , dava consigli medici , che in casa mia dicevano molto acuti . Ma aveva lasciato la medicina . Era un pittore . Io pensavo « un grande pittore » , forse perché mi sembrava che in lui nulla potesse esservi di mediocre o piccolo , e non mi sono mai chiesta , in verità nemmeno in seguito , quale fosse la reale importanza della sua pittura . A me sembrava che nei quadri degli altri , a lui contemporanei , vi fosse squallore e grigio , e nei suoi quadri , un festoso tumulto di colore . I paesaggi , nei suoi quadri , mi sembravano bellissimi : perché frustati dal vento . Era un vento senza né polvere né bufera , un vento che spazzava e scompigliava la natura per accartocciarla e illimpidirla . Anche le figure umane erano frustate dal medesimo vento forte e tumultuoso , che soffiava nelle giacche e nelle cravatte e nei capelli e li tingeva di rosa , di viola e di verde , non per offenderli o mortificarli o renderli grotteschi ma per festeggiarne la prepotenza , la complessità e la gloria . Orecchie e riccioli , così accartocciati diventavano conchiglie . Il mondo , nei suoi quadri , mi sembrava spesso simile a una spiaggia immensa , dove regnava una luce bianca e dove tutto era nuvole , vento e conchiglie . Queste non sono altro che delle rozze impressioni infantili . Egli era l ' unico pittore che mi fosse mai accaduto di conoscere bene di persona e mi capitò anche di vederlo dipingere con il sigaro fra le labbra , gli occhi socchiusi , un piede sollevato sulla punta , i gesti lentissimi , pigri e leggeri . Il suo studio , in piazza Vittorio , all ' ultimo piano , con le finestre che guardavano sulla piazza , e la sua casa di via Bezzecca , con il giardino e alcune piante di nespolo , mi sembravano tra i luoghi più allegri che esistessero al mondo . Scopersi che si occupava di politica e che anzi era , fra le persone che io frequentavo quotidianamente , un ' autorità politica , un capo . Mi sembrò stupendo che egli fosse , insieme , un capo della politica clandestina e un grande pittore . Venne arrestato , in quegli anni , due volte , una volta nel '34 , una volta nel '35 . Quando fu arrestato , quei luoghi allegri e chiari che erano il suo studio e la sua casa mi sembrarono affondare nelle tenebre . Quando fu arrestato nel '35 , mandò dal carcere , a una amica , un foglietto con dei versi che egli aveva scritto in carcere , e che io ho sempre ricordato e che mi accade ancora oggi , ogni tanto , di canticchiare . L ' amica gli aveva spedito lettere con nome falsi , e poi , da Londra , una cartolina con una riproduzione di Monet , firmata con il vero nome . I versi dicevano : « Quant ' aria questi pioppi I mi portan snelli e grigi ! I non per i toni zoppi I del flebile Monet i ma perché i nomi doppi I lasciasti nel Tamigi I e son finiti i troppi I giorni senza di te » . A me questi versi sembravano molto belli , e mi sembrava inoltre molto bello che egli riuscisse a scrivere , in carcere , delle piccole strofe liete , mentre tutti noi , da fuori , vedevamo il carcere drammaticamente . Le parole « Quant ' aria questi pioppi » mi sembravano spinte da un impeto libero e lieto , e restarono nella mia memoria indissolubili dalla sua persona , così com ' erano indissolubili dalla sua persona la luce e il vento dei suoi quadri , e nel pensarlo mentre era in carcere mi sembrava che tutta la sua persona fosse spinta dal vento e dall ' aria e scompigliata come erano scompigliate nei suoi quadri le fluttuanti chiome degli alberi e le acque dei fiumi . Quando lo rividi dopo molti anni che non lo vedevo , a Firenze , dopo la liberazione , non sentivo più fra lui e me una grande distanza , sia perché ero cresciuta di anni sia perché , ero stata colpita da sventure . Inoltre lui stesso mi sembrava disceso da quelle altezze e profondità in cui l ' avevo sempre scorto . Mi accorsi allora , in quei giorni a Firenze , che egli in passato sembrava dimorare o su vette di montagne , o negli abissi marini . Era stato lontano e diverso dalla gente che camminava per strada . Adesso , sembrava mescolarsi alla gente . Al suo desiderio di stravaganza , era venuto ad accoppiarsi un desiderio di rassomigliare a tutti . / Non avrei dovuto stupirmene , dito che le sventure e la guerra avevano operato trasformazioni in ognuno . Non so se ne fui stupita ma lo notai . Aveva un cappotto color tabacco dal bavero liso e logoro , una cravatta logora e una magrezza nel viso e nel collo che mi faceva pensare a mio padre . Egli ora mi sembrava umile . In passato , c ' era l ' abitudine , fra gli amici , di ridere di lui e canzonarlo per la sua trionfante sicurezza di sé , per la sua vanità . Era , e rimase sempre , placidamente sicuro , placidamente fiero e con una alta e magnifica idea di se stesso . A Firenze , in quei giorni , scopersi che nella sua vanità poteva esistere anche l ' umiltà . Scopersi che egli era uno di quei rari esseri in cui la vanità non era un difetto ma una qualità . La vanità era , nella sua persona , un sentimento generoso e limpido , frutto di gentilezza , di bontà e di gioia . Come la luce del sole , la sua vanità risplendeva e prodigava a lui stesso e agli altri un ' eguale , calda e chiara luce . Nella vanità , è presente di solito il disprezzo per gli altri e l ' invidia . Ma in lui non c ' era una sola stilla d ' invidia , né una sola stilla di disprezzo per anima vivente . Nera , a Firenze , direttore della « Nazione » . Pubblicava , sulla « Nazione » , delle sue vignette accompagnate da rime . Una di queste vignette rappresentava i ponti distrutti , e sotto c ' era una strofetta che diceva : « Ministro Ivanoè I giudice Coppedè I ricostruiremo i ponti I col gusto dei geronti » . Nera stato al confino in Lucania , e aveva scritto , mi disse , un libro su quegli anni di confino , che pensava di pubblicare . Penso di essere stata fra le prime persone che hanno letto Cristo si è fermato a Eboli . Mi sembrò bellissimo . Anche lui lo trovava bellissimo . A Roma , qualche mese dopo , Einaudi mandò quel manoscritto in tipografia , e poiché ora io lavoravo in quella casa editrice , corressi le bozze . Le tipografie romane erano scadenti e quelle bozze erano , disse Carlo , « grigie e pelose » . Disse che quel suo libro avrebbe avuto una risonanza immensa , che ne sarebbero state vendute migliaia e migliaia di copie , e che sarebbe stato tradotto in tutti i paesi del mondo . Io non gli credetti . Invece tutto questo avvenne . Ho riletto , in tempi recenti , Cristo si è fermato a Eboli . E un grande libro . Avevo avuto la sensazione , leggendolo la prima volta , che lui scrivendo non raccontasse , ma invece dipingesse e cantasse . Questa sensazione era , io credo , giusta , ed è miracoloso come queste pagine tutte cantate e dipinte formino una realtà storica , umana e civile che nessuno aveva mai scoperto . Il prodigio di Cristo si è fermato a Eboli è di aver congiunto insieme l ' arte e l ' impegno civile , l ' ozio fantastico e lo studio della realtà , e l ' Italia del Nord e del Sud in una visione armoniosa , dove appare remota ogni ombra di superiorità o alterigia di cultura e dove hanno eguale spazio l ' immota contemplazione e l ' impeto rivoluzionario . Regna ovunque nel libro una luce bianca , e non sappiamo se questa bianca luce provenga dalle mura delle case divorate dal sole o se provenga dalla chiarezza dell ' intelligenza che le ha contemplate . La verità , umanità e grandezza di Cristo vanno oltre le sensazioni di meraviglia che suscitò quando fu stampato , meraviglia che nasceva dal fatto che nulla di simile era stato scritto mai . La sua verità e grandezza sono oggi intatte , anche se quella visione armoniosa è oggi lontana dal nostro mondo , affaticato e rotto da infinite delusioni e incapace di chiarezze . Carlo Levi fu , per sua natura , una persona in cui l ' armonia era indistruttibile e indispensabile , come è indistruttibile e indispensabile per il sole la propria stessa luce . Il mondo deve essergli apparso , negli ultimi anni , disarmonico e faticoso , ma egli lo amava ugualmente e certo lo perdonava , per sua generosità e bontà e umiltà , così come forse perdonava agli amici indifferenze e tradimenti , passando oltre non rapido ma lentissimo essendo egli incapace di atti ruvidi , rapidi e brutali . « Quant ' aria questi pioppi I mi portan snelli e grigi ! I non per i toni zoppi I del flebile Monet ... » Questi suoi versi antichi , quante volte li ho canticchiati dentro di me . Non gliel ' ho mai detto . Non gli ho mai detto che li conoscevo . Lui probabilmente non si ricordava di averli scritti , a Torino , in carcere , quarant ' anni fa . L ' estate scorsa mi telefonò e cenammo insieme in una trattoria del centro . Non lo vedevo da tempo . Non lo trovavo invecchiato , se non per i capelli ora tutti bianchi , leggeri come piume , e per una magrezza rosea nel viso e nel collo , che di nuovo mi ricordò mio padre . Avevo sempre pensato che c ' era in lui una vaga rassomiglianza con i miei , forse perché gli ebrei hanno spesso delle rassomiglianze , e sua madre aveva avuto i capelli rossi e c ' erano capelli rossi anche nella mia famiglia , e lentiggini , e questo mi sembrava stabilisse fra noi e lui una sorta di cuginanza . Non eravamo parenti , benché io abbia , di nascita , il suo stesso cognome . Fu quella l ' ultima volta che io lo vidi . Come sempre quando m ' incontrava , citò il mio verso « Lavoratori » , con un sorriso solare , e un largo gesto di benedizione . Lasciammo la trattoria , e lo vidi ancora una volta camminare nella notte romana , come tanti anni fa , al tempo di Cristo , con il suo passo ozioso , randagio e leggero . Credo che allora di nuovo , come nei giorni della liberazione a Firenze , pensai alla sua grande umiltà . Nel ricordarlo , è molto bello ricordare insieme la sua umiltà e la sua sicurezza trionfante . E bello ricordare insieme il suo immenso ozio e il suo impegno civile , la sua placida felicità e la sua solidarietà con ogni umana sventura , le contraddizioni che vivevano in armonia nel suo temperamento , il tempo sconfinato che avevano le sue giornate , il suo cappotto sempre sbottonato , il sigaro , il passo leggero .
Rispettare i morti ( Ginzburg Natalia , 1990 )
StampaQuotidiana ,
Non muovo alcun rimprovero a Lorenzo Mondo , per aver pubblicato quelle note di Pavese , qualche giorno fa . Ha aspettato quarant ' anni prima di pubblicarle ; infine ha pensato che si trattava d ' un documento e i documenti è giusto farli conoscere ; e difatti è giusto . Se fossi stata io a trovarle , non le avrei pubblicate ; ma il mio rapporto con Pavese era di stretta amicizia ; avrei troppo temuto le reazioni che potevano suscitare e forse le avrei distrutte ; non lo so . Comunque Lorenzo Mondo lo capisco e non posso dargli torto . Le ha accompagnate con un commento sommesso e discreto . Mi addolora però profondamente la gran polvere , il clamore che ne è seguito . Pavese , per quelle note , è stato chiamato fascista , filonazista . La sua figura pubblica è stata colpita a sassate da ogni parte . Qualcuno l ' ha difeso . Ma il clamore e la polvere hanno coperto ogni argomentazione pacata e sensata . I morti che ci sono cari , noi vorremmo che fossero rispettati . Rispettarli significa astenersi dal sottoporli a un processo inquisitorio . Risparmiare alla loro immagine le deduzioni malevole , giudizi affrettati e recisi , il chiasso futile e malevolo dei giornali . Ma esiste nel nostro tempo uno strano e insano piacere nell ' infierire contro la memoria dei morti . Nel fare strame della loro vita privata e pubblica , e della loro opera , quando un opera loro ci sia rimasta . Ne successo a Hemingway , a Montale , a Felice Balbo , a tanti altri in varia forma e varia misura . Succede oggi a Pavese . Prima viene fatta di loro una sorta di statua , mirabile e immobile , poi la statua viene presa a sassate . I morti , nel nostro tempo , bisogna che si aspettino o le genuflessioni che vengono tributate ai marmi sacri , o la dimenticanza , o le sassate . Non è il nostro un tempo dove i morti possano convivere felicemente coi vivi . Per quanto riguarda Montale , non c ' è dubbio che ha agito male quando ha firmato con il proprio nome le pagine scritte da un altro , ma è ben meschina , gretta e polverosa la furia che si è scatenata su questo episodio . Su Felice Balbo , anni fa , è stato costruito un castello di accuse oscure totalmente inventate , ordite chissà a quale scopo da qualche mente perversa . Era una fra le persone più limpide che ci siano mai state . Su Pavese , non è stato inventato nulla , quelle note esistono , scritte dalla sua mano . Ma la vita d ' un uomo è vasta , ed è fatta di istanti dei quali non sappiamo nulla , di atti nobili e meno nobili , di pensieri scritti in qualche lettera o in qualche quaderno , poi contraddetti da nuovi pensieri o dal comportamento nel corso degli anni . Ne fatta di colpe , di rimorsi , di sacrifici e azioni generose che a tutti resteranno per sempre ignoti . Che senso ha processare un essere umano che fino a ieri appariva senza colpa , da parte di chi non l ' ha mai conosciuto e l ' ha conosciuto poco e male , o di chi è nato molto dopo la sua morte ? E soprattutto perché tanto insano piacere nel fare strage della sua memoria , deturpare la sua immagine e renderla del tutto irriconoscibile a quanti l ' hanno amata ? Nessi ne conservano i veri connotati stampati negli occhi , e tuttavia si sentono persi , come se quei connotati non fossero mai stati veri . Pavese è morto quarant ' anni fa . Quelli che l ' hanno conosciuto nell ' intimo sono ormai pochi : una misera minoranza . Pochi ormai sono in grado di evocarne la fisionomia vera , i gesti , i passi , la voce . Una persona umana è fatta anche di questo : non soltanto delle pagine che ha scritto o delle idee che aveva . La cosa onesta che si deve fare nei riguardi d ' un morto , se era uno scrittore , è leggere le sue opere , scrutarne il significato e prediligerne le migliori ; quelle che ci sembrano le migliori . Di uno scrittore che è morto , è importante il meglio ; il peggio va accantonato in disparte . E tuttavia anche il peggio deve essere conosciuto , indagato e studiato : ma in disparte . Ne in qualche modo è lo stesso per ogni persona umana : non si capisce bene perché , ma dopo che è morta , il meglio che aveva lo vediamo salire in superficie , e il peggio calare nel buio : ed è il meglio che vogliamo ricordare di più . Quelle note di Pavese che sono state pubblicate ora mi hanno turbato , non voglio negarlo . So bene che pensava e scriveva a volte delle assurdità . La sua straordinaria intelligenza non glielo impediva . Di politica non capiva niente , e quelle note sono per la massima parte politiche . Non le ha stracciate : non stracciava mai niente . Mi ha ferito soprattutto , in quelle note , quanto lui scriveva sulla Germania di Hitler . Le atrocità dei tedeschi , dice , non sono diverse dalle atrocità compiute nella Rivoluzione francese . Scriveva così nel '42 , mentre gli ebrei morivano a milioni nei campi di sterminio , nel modo che sappiamo . Allora , sui campi di sterminio , non sapevamo tutta la verità , ma si sapeva pure che quanto stava succedendo agli ebrei in Germania era qualcosa di intollerabile per il nostro pensiero . Sul fascismo , su Mussolini , sulla guerra , dice delle frasi grottesche . Fanno un ' immensa rabbia , ma chi l ' ha conosciuto , Pavese , ricorda che era bastian contrario . L ' Italia stava perdendo la guerra , nel '42 , e lui parla di vittoria . Il fascismo , non c ' era ormai più nessuno in Italia che non ne auspicasse la fine , e lui si domanda se non era forse una cosa buona . Non le ha incluse nel suo diario , quelle note , ma non le ha stracciate . Avrà forse pensato che potevano essergli di qualche utilità per ricostruire se stesso , in un certo periodo , per osservare un giorno i percorsi capricciosi del proprio pensiero ? per conservare il peggio di se stesso ? Ma le frasi sulla Germania di Hitler , chi gli ha voluto bene le ripensa con vivo turbamento . Tuttavia chi gli ha voluto bene non gli toglie certo una sola stilla d ' affetto . Mi trovo d ' accordo con quanto ha detto di lui Luisa Sturani : era come un ragazzo : la sera s ' addormentava con un ' idea e la mattina dopo si svegliava con l ' idea opposta . Così succede ai ragazzi . Usava scrivere tutto quello che gli passava per la testa . Che sia stato fino all ' ultimo un adolescente , è sicuro . Ha portato avanti la propria esistenza in maniera assurda , con un carico di ossessioni e di fissazioni che non è mai riuscito a buttare via ; e , come fanno gli adolescenti , ubbidiva a discipline e privazioni insensate e severe , che si era imposto da sé . E riuscito a rifiutarsi ostinatamente tutto quello che desiderava , per una dolorosa difficoltà a vivere ma anche per qualche severa ingiunzione mentale : desiderava avere una moglie , una casa : e non le ebbe mai . Da giovane , diceva che si sarebbe scelto per moglie una ragazza opaca , insignificante , docile , che occupasse nella sua vita pochissimo spazio : « Una donna che , pregata , volesse dar mano alla casa » . Sono versi di Lavorare stanca . In seguito , questo sogno lo cancellò . Cadeva sempre con delle donne che lo rendevano infelice : donne forti , autoritarie , sfuggenti , nervose , radiose e tigresche : amando in verità il dolore e le bufere che scatenavano nella sua anima . E tuttavia l ' antica moglie opaca ogni tanto ricompariva nella sua immaginazione . Le donne erano al centro dei suoi pensieri : un mondo a cui non gli riusciva di accostarsi senza febbre , dolore e strazio . Chiamarlo fascista è una follia pura . Chi l ' ha conosciuto vivo , chi è in grado di evocarne la figura , i gesti , il comportamento , il senso stesso della sua esistenza , sa bene come egli fosse l ' esatto contrario di quello che il fascismo è stato . Tutto quanto formava lo spirito del fascismo era assente dalla sua persona . Lui era un uomo schivo , scontroso , amante del silenzio e dell ' ombra . Il fascismo era violento e declamatorio , vociante nelle piazze e nelle strade . Lui era solitario e taciturno ; e incapace di fare offesa alla piuma d ' un passero . Nel giudicarlo , chi legge quelle sue note e si sdegna per le storture del suo pensiero , o chi lo condanna per non essersi lui battuto durante la Resistenza e per essersi nascosto , non dovrebbe dimenticare che otto anni dopo , sette anni dopo si è ucciso : e un suicidio ha sempre infinite motivazioni , fra le quali è presente , sempre o quasi sempre , un senso di colpa , un carico insopportabile di rimorsi , giusti o ingiusti , ma sempre disperati . Perciò chi lo condanna , questo lo dovrebbe mettere in conto ; e certo ogni suicidio va contemplato a sé ; ma guardando al suicidio di Pavese mi sembra debba cadere ogni sdegno o collera , e debba essergli dato quel rispetto che è dovuto all ' estrema disperazione . Ai suoi amici , Pavese ha dato molto , e ha insegnato molto : ha insegnato o cercato d ' insegnare la serietà nel lavoro , il disinteresse , l ' indifferenza alla gloria . Ha insegnato la pietà . Chi era allora colpito da sventure , ne ricorda la dedizione , la generosità , la gentile e sconfinata pazienza . Ai suoi amici , ha anche insegnato la forza nel sopportare il dolore ; questa forza lui non l ' ha avuta , ma ne sapeva la necessità , ed essa era in qualche modo presente nelle pieghe della sua faccia , nei suoi modi , nel suo passo rapido e solitario . Tuttavia nessuno dei suoi amici l ' ha mai considerato un maestro di vita o un maestro di pensiero : troppe volte pensava delle assurdità ; e troppo lo vedevano condurre la sua propria vita in un modo ostinato , sofferente , tortuoso e maldestro : la sua grande intelligenza , matura , complicata , adulta , contrastava con l ' immaturità della sua indole , con la nativa semplicità del suo essere ; e non gli ha dato mai alcun soccorso nei rapporti col prossimo , nei sentieri dell ' esistenza : e anzi gli ha sbarrato la strada . Ne è stato un narratore e un poeta ; così è giusto e onesto che sia ricordato ; e anche è stato uno degli uomini più appassionati , più umili e meno cinici che siano mai passati su questa terra .
StampaQuotidiana ,
L ' interesse che aveva suscitato la discussione , su questo giornale , relativa ai problemi paranormali , dopo le trasmissioni televisive e il libro di Piero Angela , pare spegnersi , malgrado l ' intervento di illustri personalità come Jemolo , Granone , Barone e Vacca . Essa sta esaurendosi in seguito alla risposta negativo - evasiva di Rol ed alla rassegnata replica dello storico e giurista romano , e cioè di Temolo stesso . Credo che il lasciar morire la discussione costituisca un errore sociologico e psico - sociologico , tanto più che , nel libro Angela , si parla di un Comitato scientifico per l ' esame dei problemi paranormali . Sono dell ' opinione che la scienza ufficiale non debba rifiutare , sdegnosamente , di occuparsi dei fenomeni paranormali , lasciando , a chi ne afferma l ' esistenza , l ' onere della prova . In teoria ciò è più che giusto . In pratica , se i fenomeni esistessero , un « sensitivo » povero non avrebbe mai la possibilità di dimostrare le proprie qualità , perché non potrebbe istallare un laboratorio con complessi strumenti che le provino . La presenza di un prestigiatore , infatti , può avallare l ' inesistenza di trucchi , ma non può sancire la realtà , né determinare , se possibile , la causa di tali strani eventi . Se è perfettamente inutile occuparsi dei molti inventori che ogni anno scoprono il moto perpetuo , può costituire una perdita di tempo un po ' meno inutile il cercar di indagare su chi può aver eventualmente ritenuto , in quella filogenesi di cui è frutto , alcune qualità che esseri più in basso di noi nella scala zoologica indubbiamente possiedono e noi abbiamo presumibilmente perduto ( la percezione di ultrasuoni , quella del magnetismo terrestre , ecc . ) . La segnalazione dell ' importanza psico - sociologica e sociologica di problemi del genere , da un lato , e l ' esempio della necessità di far luce , anche a costo di distruggere illusioni , dall ' altro , ci vengono rispettivamente dall ' affluenza dei visitatori all ' ostensione della Sindone e dal Convegno che ne è seguito - con discussioni a livello nettamente scientifico , salvo un paio di interventi soltanto fideistici - e ancor più dalla coraggiosa appendice di una indagine da condursi con i più moderni metodi d ' ogni scienza per provare , con procedura non difficile , l ' antichità del « lenzuolo » e , qualora risulti possibile , la genesi delle macchie . I tre milioni di visitatori dimostrano quale sia l ' interesse per i fenomeni paranormali , che esiste nella massa dell ' opinione pubblica . La Sindone , infatti , costituisce un fenomeno paranormale anche per chi ne ammetta l ' origine divina , normale essendo tutto ciò che può essere spiegato con le conoscenze che , in un certo momento storico , la scienza possiede . Il normale è , quindi , un concetto relativo al tempo . Ad esempi , mezzo secolo fa , sarebbe stato paranormale il sentire e vedere a colori , in Europa , una persona che stessa parlando nel Sud - America . Non v ' è dubbio che molte tra le persone passate davanti alla Sindone o compivano un atto di venerazione fideistica , verso un oggetto in cui credevano , o si impegnavano nella lunga fatica , pensando di poter rinforzare una fede vacillante . Ma altri visitatori erano certamente e semplicemente mossi dalla curiosità di vedere qualcosa di paranormale , divino od umano che fosse , per quel residuo di educazione magica esistente in ciascuno di noi , che ci porta a rifugiarci in un mondo nel quale speriamo che forze ignote agiscano in modo più giusto , più umano , più onesto . Con l ' indagine scientifica sulla Sindone la Chiesa dimostra molto coraggio nel disilludere , eventualmente , la prima fascia di visitatori e nel togliere un supporto alla fede dei dubbiosi , se il risultato riuscirà negativo . Ma compie un ' opera sociologica altamente positiva ed educativa nell ' eliminare dalla religione tutto ciò che di apparentemente paranormale può esistere , ben distinguendo tra la fede vera e quanto ha , in sé , ancora di « magico » , nel senso prettamente scientifico di questa parola . Il libro di Piero Angela , in un campo che ha da fare con la religione più di quanto si creda ( la parapsicologia è , spesso , un sostituto della religione ) , ha grande importanza sociologica perché può essere determinante per la formazione culturale di masse di popolazione molto più vaste di quel che generalmente si pensa . A mio modesto giudizio , perciò , occorrerebbe che qualcuno si muovesse per invitare eventuali « sensitivi » in buona fede a mostrare , sotto controllo scientifico ( ivi compreso il prestigiatore ) quali siano o non siano i loro poteri paranormali . Se in un solo caso si provasse l ' esistenza di un sola forza che non rientrasse in quelle conosciute , tutto il problema del paranormale sarebbe risolto . E se , invece , non si riuscisse a dimostrarla mai , la fascia dei credenti sarebbe molto disillusa - pur continuando molti a coltivare la propria illusione - ; quella dei dubbiosi smetterebbe i tentativi di ricerca e la grande massa di persone che agisce senza riflettere , facendosi anche ingannare da eventuali imbroglioni , man mano imparerebbe a ragionare con la logica e non in base a soli desideri ed a vane speranze . Perciò occorre che qualcuno concretamente si muova per chiarire una situazione che ha tanta importanza psico - sociologica o che qualche « sensitivo » se crede , in buona fede , di possedere poteri paranormali , li renda noti , ammettendo qualsiasi tipo di controllo sui fenomeni che può produrre .
Diventiamo un paese di anziani ( De Castro Diego , 1981 )
StampaQuotidiana ,
Di tanto in tanto , appare la notizia che , in Italia , la popolazione è divenuta stazionaria e qualcuno se ne rallegra , perché non ha la più vaga idea di quante conseguenze negative porti per parecchi decenni successivi il raggiungimento di un equilibrio del genere . Non credo esistano demografi e statistici italiani che non auspichino una sia pur lieve eccedenza dei nati sui morti . Il saldo negativo tra le nascite e le morti era limitato nel 1972 a poche province del Nord e a due del Centro , mentre ora si sta allargando a macchia d ' olio . Le ultime cifre ufficiali - non ancora pubblicate in dettaglio , provvisorie , ma attendibili - per i mesi dal gennaio all ' ottobre 1980 , indicano che , ormai , nell ' Italia Settentrionale , l ' eccedenza dei morti sui nati è cronica e che per i primi dieci mesi dell ' anno è stata di 31.611 unità , contro le 13.634 dei corrispondenti mesi del 1979 . In Liguria , i morti sono il doppio dei nati ; in Piemonte , si riscontra un supero di 9927 morti sui nati che sono soltanto 33.101 . In Toscana ed in Umbria le nascite sono largamente inferiori alle morti , nelle Marche sono lievemente superiori , mentre , nel Lazio , si sente nettamente l ' influsso del Meridione , con una eccedenza di 12.584 unità a favore delle nascite . L ' Italia Meridionale e le Isole realizzano un saldo attivo di 118.041 nati e l ' Italia intera di 91.197 . Forse non è male ricordare che , nel 1972 , tale saldo , per l ' Italia , era di 375.283 unità . Poiché ci siamo trasformati da Paese di emigrazione in Paese di immigrazione ed abbiamo , ormai , un saldo largamente attivo di immigrati , la popolazione dell ' Italia non corre , per ora , un pericolo grave di diminuzione : i1 Nord non produce figli , ma accoglie gente che viene o torna dall ' estero ; il Sud , dal Lazio in giù , mette al mondo nuovi nati e , seppur ormai raramente ( nel febbraio , marzo , aprile e maggio 1980 ) ha visto gli emigrati per l ' estero superare gli immigrati . Le conseguenze sono piuttosto evidenti . I settentrionali , non prolificando , fanno il possibile a che l ' Italia si meridionalizzi , poi si lagnano che ciò avvenga . Forse nessuno ricor - da che , attorno al 1950 , Torino aveva già raggiunto il risultato di avere più morti che nati e , se non fossero immigrati veneti e meridionali , essa sarebbe oggi , la metà di quella che è . Stiamo già ospitando , in Italia , più di mezzo milione di stranieri provenienti dal Terzo Mondo o da Paesi più poveri di noi . É troppo noto che , tra pochi anni , il carico degli an - ziani , dei vecchi , dei decrepiti - i novantenni sono cresciuti di sedici volte dall ' inizio del secolo - sarà spaventoso per le forze effettivamente produttive : le nuove leve di lavoro , na - te in Italia , saranno sempre più esigue e la situazione peggiorerà di anno in anno . La Francia e la Germania stanno prendendo provvedimenti di politica demografica per ovviare ad una situazione che è già leggermente peggiore della nostra ; noi stiamo a guardare . Anzi c ' è chi si compiace per le culle vuote . I non demografi non sanno che la « popolazione stazionaria » può esistere soltanto per un periodo brevissimo , perché , quando ci si mette sulla sua strada i morti tendono sempre più a crescere ed i nati sempre più a calare . Ed allora non c ' è che l ' immigrazione . Ma non tutti gli Stati europei che l ' anno sperimentata ne sono rimasti molto soddisfatti .