StampaQuotidiana ,
Ci
sono
parole
che
il
linguaggio
comune
cede
al
linguaggio
dotto
,
e
viceversa
vi
sono
parole
che
il
linguaggio
dotto
cede
al
linguaggio
comune
.
Questo
secondo
tipo
di
prestito
sta
avvenendo
in
questi
giorni
per
la
parola
«
decisionismo
»
.
Ma
la
cessione
è
avvenuta
con
la
totale
perdita
del
significato
originario
.
Ho
l
'
impressione
che
coloro
che
parlano
di
decisionismo
a
proposito
della
decisione
del
governo
di
far
approvare
al
Parlamento
il
decreto
sulla
scala
mobile
non
se
ne
siano
accorti
,
e
quindi
stiano
dando
al
termine
un
significato
completamente
diverso
da
quello
in
uso
nel
linguaggio
dotto
.
Un
significato
che
non
può
non
ingenerare
confusione
e
intorbidare
le
acque
già
abbastanza
limacciose
del
dibattito
politico
.
Come
tutti
gli
«
ismi
»
,
«
decisionismo
»
designa
non
un
fatto
,
non
un
comportamento
,
né
una
serie
di
fatti
o
di
comportamenti
,
ma
una
teoria
.
Si
tratta
della
teoria
giuridica
dello
scrittore
di
destra
,
Cari
Schmitt
,
nota
da
tempo
agli
addetti
ai
lavori
,
riscoperta
in
questi
ultimi
anni
,
e
rimessa
in
circolazione
,
non
si
sa
bene
con
quale
intenzione
,
da
alcuni
giuristi
e
scrittori
politici
di
sinistra
,
sempre
in
polemica
con
la
teoria
meramente
formale
della
democrazia
(
l
'
unica
,
a
mio
parere
,
sensata
e
accettabile
)
,
anche
a
prezzo
di
andare
a
braccetto
con
la
vecchia
(
e
nuova
ma
non
rinnovata
)
destra
reazionaria
.
Secondo
Schmitt
,
le
norme
giuridiche
non
sono
,
come
hanno
sempre
sostenuto
i
fautori
dello
Stato
di
diritto
,
ovvero
dello
Stato
in
cui
il
potere
politico
è
sottoposto
al
diritto
,
il
prodotto
di
un
potere
autorizzato
a
creare
diritto
secondo
le
norme
di
una
costituzione
che
stabilisce
chi
ha
il
potere
di
emanare
norme
giuridiche
e
con
quali
procedure
,
ma
sono
(
o
dovrebbero
essere
)
il
prodotto
di
una
pura
decisione
del
potere
in
quanto
tale
.
Insomma
,
il
decisionismo
è
una
teoria
del
diritto
che
si
contrappone
a
un
'
altra
teoria
del
diritto
,
il
cosiddetto
normativismo
,
e
vi
si
contrappone
perché
sostiene
il
primato
della
politica
sul
diritto
,
mentre
i
fautori
dello
Stato
di
diritto
e
della
democrazia
come
insieme
di
regole
del
gioco
per
la
formazione
della
volontà
politica
,
sostengono
al
contrario
il
primato
del
diritto
sulla
politica
.
Ora
ciò
che
sta
avvenendo
in
Italia
non
ha
niente
a
che
vedere
con
la
disputa
dottrinale
degli
anni
della
repubblica
di
Weimar
tra
fautori
dello
Stato
democratico
e
fautori
dello
Stato
autocratico
.
Ciò
di
cui
si
sta
discutendo
oggi
in
Italia
è
se
una
certa
decisione
possa
o
debba
essere
presa
in
seguito
all
'
accordo
tra
le
parti
o
in
seguito
a
una
deliberazione
del
Parlamento
.
Il
decisionismo
come
teoria
secondo
la
quale
il
diritto
è
in
ultima
istanza
sempre
il
prodotto
di
un
potere
di
fatto
non
c
'
entra
nulla
.
Tanto
la
decisione
presa
in
seguito
a
un
accordo
tra
parti
autorizzate
dalla
Costituzione
a
decidere
quanto
la
decisione
presa
da
un
organo
collegiale
autorizzato
dalla
stessa
Costituzione
a
prendere
decisioni
vincolanti
per
tutta
la
collettività
,
com
'
è
il
Parlamento
,
sono
decisioni
regolate
dal
diritto
.
Naturalmente
si
può
discutere
quale
delle
due
procedure
,
quella
che
prevede
che
la
decisione
sia
presa
in
seguito
ad
accordo
tra
le
parti
interessate
oppure
quella
che
attribuisce
il
diritto
di
decidere
a
un
organo
che
può
prendere
la
decisione
in
base
alla
regola
della
maggioranza
,
sia
più
opportuna
o
addirittura
,
in
una
determinata
situazione
e
in
una
data
materia
,
più
legittima
o
più
conforme
alla
Costituzione
.
Ma
una
tale
discussione
non
riguarda
affatto
la
disputa
dottrinale
per
cui
è
nata
in
altri
tempi
la
teoria
del
decisionismo
.
Con
ciò
non
si
vuole
negare
che
ci
siano
differenze
tra
le
due
procedure
.
Ma
si
tratta
di
differenze
che
sono
totalmente
al
di
là
della
disputa
tra
normativisti
e
decisionisti
.
La
prima
differenza
è
molto
semplice
:
quando
una
decisione
viene
presa
in
seguito
a
un
accordo
tra
le
parti
,
è
ovvio
che
la
decisione
debba
essere
presa
all
'
unanimità
.
Se
una
delle
due
parti
non
accetta
l
'
accordo
,
la
decisione
è
impossibile
;
se
la
decisione
è
presa
,
è
segno
che
il
consenso
è
stato
dato
da
tutte
e
due
le
parti
,
ed
essendo
solo
due
i
soggetti
della
decisione
la
decisione
è
unanime
.
Quando
una
decisione
è
presa
invece
da
un
organo
collegiale
composto
da
una
pluralità
di
persone
,
basta
di
solito
,
affinché
una
decisione
venga
considerata
valida
,
la
maggioranza
.
La
regola
della
maggioranza
è
la
regola
democratica
per
eccellenza
non
già
perché
sia
antidemocratica
la
regola
dell
'
unanimità
,
ma
perché
la
regola
dell
'
unanimità
è
applicabile
soltanto
in
pochi
casi
,
tra
cui
quello
in
cui
i
soggetti
chiamati
a
prendere
una
decisione
siano
due
,
oppure
il
gruppo
formato
da
più
individui
sia
tanto
omogeneo
che
si
possa
prevedere
una
identità
di
interessi
o
di
opinioni
fra
i
suoi
membri
.
In
qualsiasi
altro
caso
la
regola
o
non
è
applicabile
perché
paralizza
la
possibilità
stessa
di
arrivare
a
una
decisione
,
oppure
è
ingiusta
perché
attribuisce
a
un
solo
membro
del
gruppo
il
diritto
di
veto
.
Una
seconda
differenza
è
meno
ovvia
e
per
questo
meriterebbe
ben
altra
riflessione
.
Il
regime
parlamentare
è
nato
con
la
netta
contrapposizione
tra
rappresentanza
politica
e
rappresentanza
degl
'
interessi
.
Per
rappresentanza
politica
distinta
dalla
rappresentanza
degl
'
interessi
si
è
sempre
intesa
la
rappresentanza
degl
'
interessi
generali
contrapposta
alla
rappresentanza
d
'
interessi
particolari
.
Proprio
per
distinguere
queste
due
forme
di
rappresentanza
e
per
affermare
la
supremazia
della
prima
sulla
seconda
è
stato
introdotto
in
tutte
le
costituzioni
democratiche
dalla
Costituzione
francese
del
1791
in
poi
il
divieto
di
mandato
imperativo
ovvero
l
'
obbligo
imposto
ai
rappresentanti
una
volta
eletti
di
difendere
interessi
non
corporativi
.
Che
questo
principio
oggi
.
sia
continuamente
violato
,
è
una
realtà
che
io
stesso
ho
già
rilevato
più
volte
.
Ma
resta
il
fatto
che
la
rappresentanza
parlamentare
è
pur
sempre
meno
particolaristica
,
nonostante
forti
tendenze
in
contrario
,
che
la
rappresentanza
di
grandi
gruppi
organizzati
come
le
associazioni
operaie
e
padronali
che
si
accordano
,
quando
riescono
ad
accordarsi
,
unicamente
allo
scopo
di
regolare
i
loro
reciproci
rapporti
.
Non
c
'
è
dubbio
che
una
decisione
presa
in
base
alla
procedura
dell
'
accordo
fra
le
parti
sia
una
rivincita
della
rappresentanza
degl
'
interessi
su
quella
politica
.
Se
diventasse
la
procedura
maestra
per
prendere
decisioni
collettive
,
sarebbe
,
anzi
,
la
fine
della
rappresentanza
politica
,
e
segnerebbe
la
sconfitta
di
una
delle
battaglie
secolari
di
ogni
governo
democratico
.
La
decisione
per
accordo
tra
grandi
organizzazioni
in
naturale
conflitto
tra
loro
,
la
cosiddetta
«
concertazione
»
,
è
un
aspetto
,
forse
l
'
aspetto
saliente
,
di
quella
nuova
forma
di
Stato
che
viene
chiamato
,
a
torto
o
a
ragione
,
Stato
neocorporativo
,
e
in
cui
alcuni
osservatori
sono
indotti
a
vedere
una
delle
ragioni
principali
di
quella
«
trasformazione
»
della
democrazia
cui
non
si
può
non
guardare
con
una
certa
preoccupazione
.
Se
per
decisionismo
s
'
intende
un
po
'
rozzamente
una
svolta
nello
sviluppo
della
democrazia
,
non
è
detto
che
questa
non
si
trovi
proprio
nella
prevalenza
della
rappresentanza
degl
'
interessi
sulla
rappresentanza
politica
,
prevalenza
di
cui
può
essere
considerata
una
manifestazione
la
tendenza
neocorporativa
assai
più
che
la
riconduzione
del
flusso
delle
decisioni
necessarie
a
governare
nell
'
alveo
dei
rapporti
tra
governo
e
Parlamento
.
StampaQuotidiana ,
Uno
dei
temi
maggiormente
discussi
in
questi
ultimi
anni
fra
studiosi
che
s
'
interrogano
sullo
stato
attuale
della
democrazia
,
è
il
neocorporativismo
.
Il
tema
è
stato
dibattuto
,
a
dire
il
vero
,
più
fuori
d
'
Italia
che
nel
nostro
paese
,
ma
da
due
o
tre
anni
anche
da
noi
il
dibattito
è
cominciato
e
procede
a
ritmo
sempre
più
accelerato
.
Dopo
la
raccolta
di
saggi
,
La
società
neocorporativa
,
a
cura
di
M
.
Maraffi
,
uscita
nel
1981
presso
Il
Mulino
di
Bologna
,
sono
apparse
a
brevissima
distanza
di
tempo
,
presso
lo
stesso
editore
,
altre
due
raccolte
di
articoli
(
in
gran
parte
stranieri
)
sull
'
argomento
,
L
'
organizzazione
degli
interessi
dell
'
Europa
occidentali
(
1983
)
e
La
politica
degli
interessi
nei
paesi
industrializzati
(
1984
)
nonché
il
libro
,
ben
documentato
e
ben
ragionato
,
di
L
.
Bordogna
e
G
.
Provasi
,
Politica
,
economia
i
rappresentanza
degli
interessi
,
che
reca
un
sottotitolo
già
di
per
se
stesso
significativo
:
Uno
studio
sulle
recenti
difficoltà
delle
democrazie
occidentali
.
Ai
lettori
che
non
sono
al
corrente
del
dibattito
fra
gli
addetti
ai
lavori
e
hanno
invece
reminiscenze
storiche
in
cui
il
termine
«
corporativismo
»
è
legato
alla
dottrina
fascista
oppure
hanno
nell
'
orecchio
il
gergo
giornalistico
e
corrente
in
cui
per
società
corporativa
s
'
intende
una
società
frammentata
in
tanti
piccoli
gruppi
che
tendono
a
far
prevalere
i
loro
interessi
particolaristici
sugli
interessi
generali
,
occorre
rivolgere
due
avvertimenti
:
a
)
quando
oggi
si
parla
di
neocorporativismo
,
ci
si
riferisce
a
un
assetto
che
si
è
venuto
formando
in
società
democratiche
,
anzi
in
alcune
delle
democrazie
europee
più
avanzate
,
come
la
Svezia
,
tanto
che
è
diventata
ormai
abituale
la
distinzione
fra
corporativismo
statale
o
fascista
e
corporativismo
sociale
o
democratico
;
b
)
il
neocorporativismo
non
ha
niente
a
che
vedere
con
il
fenomeno
spesso
lamentato
,
specie
in
Italia
,
della
disgregazione
del
tessuto
sociale
in
tanti
gruppi
e
gruppuscoli
rivali
,
le
cui
rivendicazioni
indisciplinate
e
quindi
imprevedibili
rendono
sempre
più
difficile
il
governo
della
società
globale
.
Anzi
,
in
un
certo
senso
,
è
proprio
l
'
opposto
:
si
chiama
oggi
assetto
neocorporativo
quello
in
cui
si
è
formata
la
massima
concentrazione
delle
organizzazioni
degli
interessi
(
volgarmente
i
sindacati
)
e
queste
organizzazioni
prendono
decisioni
collettive
di
grande
rilievo
per
tutta
la
società
attraverso
i
loro
rappresentanti
al
vertice
insieme
con
organi
del
governo
.
Per
capire
la
ragione
di
questa
terminologia
che
può
apparire
ad
alcuni
fuorviante
,
bisogna
rendersi
conto
che
per
«
corporativismo
»
in
generale
nel
linguaggio
tecnico
ormai
consolidato
s
'
intendono
principalmente
due
cose
:
a
)
una
dottrina
che
propugna
la
collaborazione
delle
due
grandi
classi
antagonistiche
dei
datori
di
lavoro
e
dei
lavoratori
,
anziché
il
conflitto
permanente
risolto
di
volta
in
volta
con
aggiustamenti
non
solo
dei
contenuti
ma
anche
delle
regole
di
gioco
,
oppure
la
sopraffazione
di
una
classe
sull
'
altra
;
b
)
uno
strumento
istituzionale
fondamentale
,
consistente
nella
sostituzione
della
rappresentanza
immediata
degli
interessi
particolari
in
contrasto
,
detta
anche
rappresentanza
corporativa
,
alla
rappresentanza
politica
,
propria
della
democrazia
rappresentativa
,
in
cui
l
'
eletto
,
non
vincolato
al
mandato
dei
suoi
elettori
,
deve
provvedere
esclusivamente
agli
interessi
generali
.
Varie
sono
le
ragioni
per
cui
in
Italia
il
dibattito
sul
neocorporativismo
ha
stentato
a
farsi
strada
.
Anzitutto
,
vi
è
una
questione
di
principio
:
la
dottrina
liberale
democratica
italiana
ha
costantemente
rifiutato
di
riconoscere
la
legittimità
di
una
rappresentanza
degli
interessi
accanto
a
quella
politica
,
e
ne
è
prova
la
nostra
Costituzione
che
l
'
ha
relegata
in
un
istituto
secondario
,
il
Consiglio
nazionale
dell
'
economia
e
del
lavoro
,
che
ha
potere
unicamente
consultivo
,
e
che
,
oltretutto
,
è
nato
morto
,
e
non
appena
risuscitato
,
è
subito
rimorto
.
In
secondo
luogo
sono
da
prendere
in
considerazione
le
condizioni
stesse
in
cui
si
è
svolto
in
questi
anni
in
Italia
il
conflitto
sociale
,
ben
di
verso
,
almeno
sino
ad
ora
,
da
quello
dei
paesi
in
cui
si
è
venuto
assestando
a
poco
a
poco
nel
dopoguerra
un
sistema
neocorporativo
.
Questo
esiste
soltanto
nei
paesi
in
cui
vi
è
stato
un
forte
partito
socialdemocratico
,
tanto
forte
da
essere
diventato
per
periodi
più
o
meno
lunghi
partito
di
governo
,
il
partito
che
è
stato
chiamato
del
«
compromesso
»
,
ovvero
dell
'
accettazione
temporanea
del
sistema
capitalistico
corretto
da
politiche
redistributive
.
In
Italia
il
più
forte
partito
della
classe
operaia
non
è
e
non
vuole
essere
un
partito
socialdemocratico
e
nulla
vi
è
di
più
estraneo
alla
sua
«
filosofia
»
e
a
quella
dei
maggiori
sindacati
,
anche
di
quelli
di
matrice
non
comunista
,
che
l
'
idea
del
compromesso
sociale
,
da
non
confondersi
con
il
compromesso
politico
,
che
invece
è
parte
integrante
della
strategia
del
partito
comunista
(
ma
la
differenza
fra
i
due
tipi
di
compromesso
richiederebbe
un
lungo
discorso
che
rimando
ad
altra
occasione
)
.
Dal
punto
di
vista
del
sistema
politico
nel
suo
complesso
,
l
'
assetto
neocorporativo
rappresenta
uno
spostamento
del
luogo
classico
delle
decisioni
collettive
,
che
in
un
sistema
parlamentare
risiede
nel
Parlamento
e
nel
governo
,
mentre
nell
'
assetto
neocorporativo
la
decisione
è
presa
al
di
fuori
del
parlamento
e
del
governo
,
che
rappresenta
,
nella
più
favorevole
delle
ipotesi
,
solo
una
delle
due
parti
in
conflitto
.
Di
questi
due
sistemi
decisionali
,
il
primo
è
completamente
istituzionalizzato
,
l
'
altro
è
un
sistema
ancora
debolmente
o
non
affatto
istituzionalizzato
che
,
emerso
a
poco
a
poco
dalla
società
civile
,
costituisce
uno
dei
fenomeni
più
appariscenti
della
«
trasformazione
»
della
democrazia
tuttora
in
corso
.
A
un
fenomeno
di
questo
genere
non
può
non
far
pensare
il
contrasto
che
si
è
avuto
qualche
mese
fa
in
Italia
fra
governo
e
opposizione
rispetto
al
modo
di
prendere
la
decisione
sul
costo
del
lavoro
.
Si
è
trattato
infatti
di
un
contrasto
fra
due
procedure
alternative
per
la
formazione
delle
decisioni
collettive
:
mediante
accordo
fra
le
parti
in
cui
lo
Stato
entra
soltanto
come
mediatore
,
oppure
attraverso
la
formazione
della
maggioranza
nella
sede
propria
della
rappresentanza
politica
.
Si
potrebbe
parlare
addirittura
di
una
vera
e
propria
forma
di
«
doppio
Stato
»
,
non
nel
senso
del
contrasto
fra
Stato
normativo
e
Stato
discrezionale
,
analizzato
a
suo
tempo
da
Ernst
Fraenkel
,
ma
nel
senso
del
contrasto
fra
due
procedure
di
decisione
,
che
si
escludono
a
vicenda
,
pur
essendo
entrambe
compatibili
,
sui
principi
fondamentali
della
democrazia
,
secondo
la
quale
una
decisione
collettiva
deve
essere
legittimata
in
ultima
istanza
dal
consenso
diretto
o
indiretto
degli
interessati
.
StampaQuotidiana ,
La
conclusione
dell
'
articolo
precedente
,
in
cui
parlo
di
un
«
doppio
Stato
»
a
proposito
dello
Stato
neocorporativo
,
è
manifestamente
forzata
.
Nella
realtà
,
e
senza
forzature
,
un
doppio
Stato
esiste
davvero
in
Italia
,
ma
non
è
quello
neocorporativo
:
è
lo
Stato
che
deriva
dalla
sopravvivenza
e
dalla
robusta
consistenza
di
un
potere
invisibile
accanto
a
quello
visibile
.
Alcuni
anni
or
sono
uno
studioso
americano
in
un
libro
tradotto
anche
in
italiano
,
I
confini
della
legittimazione
(
De
Donato
,
Roma
)
,
per
sottolineare
l
'
estensione
del
potere
occulto
negli
Stati
Uniti
negli
anni
di
Nixon
,
ha
usato
l
'
espressione
«
the
duali
State
»
che
corrisponde
esattamente
al
nostro
«
doppio
Stato
»
.
Dei
due
presunti
Stati
di
una
società
neocorporativa
dicevo
che
erano
entrambi
compatibili
coi
principi
fondamentali
della
democrazia
.
La
stessa
cosa
non
vale
quando
dei
due
Stati
l
'
uno
è
lo
Stato
visibile
,
l
'
altro
quello
invisibile
.
Lo
Stato
invisibile
è
l
'
antitesi
radicale
della
democrazia
.
Si
può
definire
la
democrazia
(
ed
è
stata
di
fatto
definita
)
nei
modi
più
diversi
.
Ma
non
vi
è
definizione
in
cui
possa
mancare
l
'
elemento
caratterizzante
della
visibilità
o
della
trasparenza
del
potere
.
Governo
democratico
è
quello
che
svolge
la
propria
attività
in
pubblico
,
sotto
gli
occhi
di
tutti
.
E
deve
svolgere
la
propria
attività
sotto
gli
occhi
di
tutti
perché
ogni
cittadino
ha
il
diritto
di
essere
posto
in
grado
di
formarsi
una
libera
opinione
sulle
decisioni
che
vengono
prese
in
suo
nome
.
Altrimenti
,
per
quale
ragione
dovrebbe
essere
chiamato
a
recarsi
periodicamente
alle
urne
,
e
su
quali
basi
potrebbe
esprimere
il
proprio
voto
di
approvazione
e
di
condanna
?
Che
il
potere
tenda
a
mettersi
la
maschera
per
non
farsi
riconoscere
e
per
poter
svolgere
la
propria
azione
lontano
da
sguardi
indiscreti
,
è
una
vecchia
storia
.
Questa
vecchia
storia
ha
anche
un
celebre
nome
che
al
solo
pronunciarlo
mette
i
brividi
nella
schiena
:
arcana
imperii
.
Nella
sua
analisi
magistrale
del
potere
Elias
Canetti
ha
scritto
:
«
Il
segreto
sta
nel
nucleo
più
interno
del
potere
»
(
Massa
e
potere
,
Adelphi
,
Milano
1981
)
.
I
padri
fondatori
della
democrazia
pretesero
di
dar
vita
a
una
forma
di
governo
che
non
avesse
più
maschera
,
in
cui
gli
arcani
del
dominio
fossero
definitivamente
aboliti
e
questo
«
nucleo
interno
»
distrutto
.
Molte
sono
le
promesse
non
mantenute
della
democrazia
reale
rispetto
alla
democrazia
ideale
.
E
la
graduale
sostituzione
della
rappresentanza
degl
'
interessi
alla
rappresentanza
politica
di
cui
mi
sono
occupato
nell
'
articolo
precedente
è
una
di
queste
.
Ma
rientra
,
insieme
con
altre
,
nel
capitolo
generale
delle
cosiddette
«
trasformazioni
»
della
democrazia
.
Il
potere
occulto
,
no
.
Non
trasforma
la
democrazia
,
la
perverte
.
Non
la
colpisce
più
o
meno
gravemente
in
uno
dei
suoi
organi
vitali
,
la
uccide
.
Di
tutte
le
promesse
non
mantenute
,
è
quella
che
maggiormente
ne
offende
lo
spirito
,
ne
devia
il
corso
naturale
,
ne
vanifica
lo
scopo
.
Grazie
ai
risultati
ormai
noti
della
Commissione
parlamentare
d
'
inchiesta
presieduta
dall
'
on.
Tina
Anselmi
,
ai
numerosi
documenti
resi
pubblici
,
alle
dichiarazioni
di
parlamentari
e
di
personaggi
variamente
autorevoli
,
alle
inchieste
giornalistiche
,
sappiamo
ormai
sulla
loggia
segreta
di
Licio
Gelli
molto
di
più
di
quello
che
si
venne
a
sapere
in
seguito
alle
perquisizioni
nella
villa
di
Arezzo
e
nell
'
ufficio
di
Castiglion
Fibocchi
del
marzo
1981
.
Ma
prima
di
allora
io
stesso
avevo
cominciato
a
parlare
,
se
pure
con
una
espressione
che
era
apparsa
eccessiva
,
di
«
criptogoverno
»
(
in
un
articolo
sulla
«
Stampa
»
del
23
novembre
1980
)
.
Ho
ora
sott
'
occhio
la
voluminosa
e
documentata
relazione
di
minoranza
dell
'
on.
Massimo
Teodori
,
del
partito
radicale
,
sulla
medesima
inchiesta
.
La
tesi
principale
ivi
sostenuta
,
secondo
cui
la
loggia
P2
sarebbe
stata
parte
integrante
del
sistema
dei
partiti
e
pertanto
debba
essere
considerata
come
un
effetto
diretto
della
degenerazione
partitocratica
della
democrazia
italiana
,
dalla
quale
sarebbe
derivata
una
vera
e
propria
dislocazione
del
potere
fuori
dalle
sedi
costituzionalmente
riconosciute
,
si
può
anche
discutere
e
non
accettare
integralmente
.
Ma
è
da
ritenere
fuori
discussione
che
la
loggia
P2
,
come
rileva
giustamente
Teodori
,
abbia
esercitato
in
alcuni
momenti
della
nostra
vita
nazionale
una
influenza
ben
più
ampia
,
profonda
,
determinante
,
che
una
semplice
lobby
e
abbia
costituito
,
per
l
'
appartenenza
degli
affiliati
alle
più
alte
gerarchie
dello
Stato
e
ai
più
elevati
strati
della
società
,
alti
funzionari
,
diplomatici
,
generali
,
giornalisti
,
e
quel
che
è
ancora
più
scandaloso
,
uomini
politici
di
quella
che
si
chiama
-
oh
,
ironia
dei
nomi
!
-
l
'
area
democratica
del
nostro
sistema
politico
,
una
compiuta
organizzazione
di
potere
occulto
presso
,
dietro
,
sotto
(
o
sopra
?
)
lo
Stato
.
Indipendentemente
dalle
conseguenze
direttamente
politiche
,
che
forse
non
sono
da
sopravvalutare
,
la
formazione
di
una
simile
rete
di
potere
sotterraneo
è
di
per
se
stessa
una
vergogna
nazionale
dalla
quale
dobbiamo
redimerci
per
poter
diventare
pienamente
credibili
come
soggetti
di
un
regime
democratico
nel
consesso
internazionale
.
Senza
pregiudizi
,
s
'
intende
,
verso
le
persone
,
giacché
non
tutte
sono
egualmente
responsabili
,
ma
anche
senza
indulgenze
.
Non
possiamo
però
fingere
di
non
accorgerci
che
sin
d
'
ora
ciò
che
è
emerso
dalla
documentazione
è
una
prova
avvilente
della
mediocrità
intellettuale
e
morale
di
una
parte
non
piccola
della
nostra
classe
dirigente
.
Le
rivelazioni
sulla
vita
di
Gelli
sono
tali
da
farci
restare
allibiti
(
e
inorriditi
)
alla
scoperta
che
la
maggior
parte
di
coloro
che
sono
entrati
volontariamente
nella
sua
cerchia
per
sottomettersi
alla
protezione
di
un
uomo
che
non
aveva
altro
scopo
che
quello
di
estendere
il
proprio
potere
con
qualsiasi
mezzo
,
rendendo
in
cambio
della
protezione
servigi
presuntivamente
illeciti
per
la
loro
stessa
segretezza
,
siano
personaggi
quasi
tutti
di
altissimo
rango
,
e
nessuno
di
essi
abbia
avuto
in
anni
di
commerci
sospetti
con
il
fondatore
della
loggia
un
moto
di
ribellione
,
e
abbia
compiuto
un
atto
di
resipiscenza
.
Sono
considerato
uno
che
vede
sempre
nero
,
un
pessimista
cronico
.
Eppure
confesso
che
non
avrei
mai
immaginato
che
la
vita
italiana
fosse
stata
inquinata
sino
a
questo
punto
,
sino
al
punto
in
cui
non
sai
se
più
indignarti
della
bassa
qualità
dell
'
intrigo
o
del
grande
numero
delle
persone
che
vi
hanno
preso
parte
,
per
la
spudoratezza
di
chi
ha
guidato
il
gioco
o
per
la
insensibilità
di
coloro
che
l
'
hanno
accettato
,
e
dei
quali
molti
vengono
chiamati
nella
retorica
di
rito
delle
cerimonie
ufficiali
«
servitori
dello
Stato
»
.
La
realtà
ha
superato
questa
volta
la
più
catastrofica
delle
immaginazioni
.
Lo
Stato
democratico
deve
essere
ripristinato
nella
sua
integrità
.
Il
potere
occulto
deve
essere
snidato
ovunque
si
annidi
,
inflessibilmente
.
Non
ci
possono
essere
due
Stati
.
Lo
Stato
italiano
è
uno
solo
,
quello
della
Costituzione
repubblicana
.
Al
di
fuori
non
c
'
è
che
l
'
antistato
che
deve
essere
abbattuto
cominciando
dal
tetto
ed
arrivando
,
se
mai
sarà
possibile
,
alle
fondamenta
.
StampaQuotidiana ,
Nessuno
si
stupisca
della
soddisfazione
comunista
per
il
voto
sul
Concordato
alla
Camera
.
Longo
,
che
pure
non
è
un
amante
delle
sfumature
,
ha
superato
Togliatti
nel
giuoco
delle
allusioni
e
degli
ammiccamenti
filocattolici
.
Nelle
file
comuniste
,
a
differenza
di
tutte
le
forze
di
sinistra
,
non
c
'
è
stata
una
voce
,
una
sola
voce
,
che
si
sia
schierata
per
l
'
abrogazione
del
Concordato
:
la
disciplina
di
partito
ha
funzionato
ferreamente
e
gli
eventuali
dubbi
o
casi
di
coscienza
hanno
ceduto
alla
«
ragion
di
Stato
»
del
Pci
,
e
oggi
come
ai
tempi
dell
'
articolo
7
,
come
ai
tempi
della
canonizzazione
costituzionale
dei
Patti
lateranensi
,
ventiquattro
anni
or
sono
,
in
sede
di
assemblea
costituente
.
E
si
spiega
.
I
comunisti
hanno
tutto
l
'
interesse
a
salvaguardare
il
«
modello
concordatario
»
per
l
'
Italia
.
Parliamo
del
modello
concordatario
:
non
di
tutte
le
disposizioni
del
Concordato
sottoscritto
da
Mussolini
con
Pio
XI
,
evidentemente
indifendibili
anche
per
i
seguaci
del
più
spregiudicato
tatticismo
o
mimetismo
rivoluzionario
.
Preservando
in
Italia
il
Concordato
,
cioè
un
certo
tipo
di
regime
speciale
e
preferenziale
fra
Chiesa
e
Stato
,
i
nostri
comunisti
-
che
vedono
lontano
molto
più
di
tanti
loro
avversari
-
ipotizzano
una
somiglianza
sempre
maggiore
del
nostro
paese
con
quegli
Stati
dell
'
Europa
orientale
,
in
primis
la
Polonia
,
che
elaborano
faticosamente
nuove
formule
concordatarie
per
superare
i
tanti
ostacoli
di
una
possibile
convivenza
,
diciamolo
pure
armistiziale
,
fra
Chiesa
e
comunismo
.
È
la
stessa
ragione
per
cui
la
diplomazia
vaticana
più
aperta
a
sinistra
sostiene
ad
oltranza
la
salvaguardia
del
Concordato
italiano
,
pur
dichiarandosi
,
ed
essendo
,
disponibile
alle
più
larghe
e
accomodanti
revisioni
sui
singoli
articoli
(
si
ricordino
le
dichiarazioni
,
smentite
solo
a
metà
,
di
monsignor
Casaroli
:
un
nome
che
da
solo
è
un
programma
)
.
Anche
larghi
gruppi
dirigenti
della
Chiesa
cattolica
considerano
la
difesa
degli
assetti
concordatari
italiani
essenziale
e
imprescindibile
al
fine
di
realizzare
,
a
Varsavia
oggi
e
domani
a
Praga
e
a
Budapest
(
l
'
operazione
con
Belgrado
è
già
in
atto
:
lo
abbiamo
visto
con
la
visita
di
Tito
al
Papa
)
,
determinate
forme
di
compromesso
o
di
accomodamento
concordatario
,
che
restaurino
le
condizioni
elementari
e
primordiali
di
quel
proselitismo
religioso
che
subì
tante
sanguinose
umiliazioni
e
tante
feroci
ingiurie
ai
tempi
di
Stalin
.
C
'
è
in
tutto
questo
una
logica
profonda
:
che
sfugge
solo
agli
spiriti
superficiali
.
I
Concordati
si
sono
sempre
imposti
alla
Chiesa
per
difendere
l
'
esercizio
del
ministero
pastorale
dalle
esorbitanze
o
dalle
prevaricazioni
del
potere
politico
:
così
fu
con
Napoleone
e
con
Hitler
,
con
risultati
,
in
entrambi
i
casi
,
assai
deludenti
.
Nei
paesi
dove
la
libertà
religiosa
è
un
dato
della
vita
di
ogni
giorno
,
una
conquista
acquisita
e
irretrattabile
,
non
si
impongono
,
e
neppure
si
consigliano
,
le
scorciatoie
concordatarie
.
Il
caso
italiano
è
reso
,
a
sua
volta
,
infinitamente
più
complesso
e
controverso
e
difficile
dalla
contemporaneità
della
soluzione
della
questione
romana
e
della
instaurazione
del
regime
concordatario
,
coi
patti
,
appunto
,
del
1929
nell
'
Italia
del
fascismo
e
di
Papa
Ratti
,
i
patti
che
crearono
,
in
un
nesso
difficile
a
rivedere
o
a
separare
,
lo
Stato
della
Città
del
Vaticano
,
al
posto
del
defunto
potere
temporale
,
e
il
nuovo
tipo
di
relazioni
fra
le
due
rive
del
Tevere
.
Relazioni
concordatarie
,
anziché
separatiste
,
come
nel
sessantennio
delle
Guarentigie
.
Il
complesso
dei
Patti
lateranensi
,
com
'
è
noto
,
fu
recepito
nella
Costituzione
repubblicana
e
ne
diventò
in
certo
modo
parte
integrante
:
contro
il
parere
di
Croce
e
di
Nenni
ma
con
l
'
appoggio
determinante
del
partito
di
Togliatti
,
un
partito
per
cui
«
Parigi
vale
sempre
una
messa
»
.
Nella
situazione
italiana
di
adesso
,
sarebbe
del
tutto
irrealistico
pensare
ad
una
abrogazione
del
Concordato
,
che
finirebbe
per
rimettere
in
discussione
lo
stesso
Trattato
(
ma
come
potrà
sopravvivere
,
anche
nella
sola
revisione
concordataria
,
l
'
articolo
primo
del
Trattato
,
quello
che
definisce
la
religione
cattolica
religione
dello
Stato
?
)
.
Il
voto
della
Camera
,
sulle
responsabili
ed
equilibrate
dichiarazioni
del
presidente
Colombo
,
ha
rispecchiato
in
questo
senso
una
situazione
obbligata
,
un
equilibrio
delle
forze
politiche
che
non
è
nell
'
interesse
di
nessuno
turbare
o
sconvolgere
.
Per
una
larga
revisione
delle
norme
concordatarie
,
per
un
loro
necessario
adeguamento
allo
spirito
e
alla
lettera
della
Costituzione
,
più
che
mai
indifferibile
dopo
le
recenti
sentenze
della
Corte
,
si
sono
schierate
,
quasi
senza
riserve
,
tutte
le
correnti
di
quella
grande
confederazione
di
forze
che
è
la
democrazia
cristiana
non
meno
dei
nuclei
più
rappresentativi
della
tradizione
laica
e
risorgimentale
,
senza
neppure
l
'
eccezione
dei
liberali
di
Malagodi
che
,
pur
astenendosi
sul
documento
governativo
,
hanno
riconosciuto
il
valore
del
principio
revisionistico
.
Ora
c
'
è
da
augurarsi
che
i
negoziati
bilaterali
fra
Italia
e
Santa
Sede
procedano
in
uno
spirito
di
larga
comprensione
,
senza
impennate
di
intransigenza
o
brividi
di
guerra
religiosa
:
nel
solco
delineato
,
con
eccellente
lavoro
di
scavo
,
dalla
commissione
Gonella
,
una
commissione
di
cui
faceva
parte
un
uomo
come
Jemolo
.
Oggi
più
ancora
che
ai
tempi
del
governo
Moro
del
'67
,
benemerito
artefice
del
primo
passo
revisionista
,
esiste
un
larghissimo
schieramento
parlamentare
in
favore
dell
'
ammodernamento
delle
norme
concordatarie
.
Sarebbe
grave
e
imperdonabile
che
tale
capitale
di
disponibilità
,
un
po
'
sincera
e
un
po
'
strumentale
,
del
mondo
laico
verso
la
Chiesa
e
verso
i
cattolici
fosse
messo
a
repentaglio
o
in
pericolo
da
un
ritorno
di
fiamma
dell
'
integralismo
confessionale
sui
due
punti
-
chiave
suscettibili
dei
confronti
più
delicati
,
la
revisione
dell
'
art.
34
in
tema
di
legislazione
matrimoniale
e
la
revisione
dell
'
art.
36
sull
'
insegnamento
religioso
nelle
scuole
.
Occorre
,
da
parte
di
entrambi
i
contraenti
,
un
grande
senso
di
responsabilità
e
di
equilibrio
.
Molto
più
dello
scudo
concordatario
,
sempre
labile
ed
effimero
e
precario
,
servirà
alla
Chiesa
cattolica
post
-
conciliare
il
soffio
della
libertà
religiosa
,
una
libertà
che
viene
sempre
offesa
o
diminuita
dal
laccio
di
un
privilegio
o
dal
dono
di
un
'
esenzione
.
Una
delegazione
della
Santa
Sede
,
che
interpretasse
veramente
lo
spirito
del
concilio
vaticano
secondo
,
dovrebbe
far
getto
di
talune
norme
concordatarie
con
maggior
fretta
,
e
diciamolo
pure
con
maggiore
facilità
,
degli
interlocutori
laici
.
La
pace
dei
cuori
vale
più
di
tutte
le
concessioni
o
garanzie
concordatarie
.
Un
'
eventuale
campagna
per
il
referendum
abrogativo
della
legge
sui
casi
di
divorzio
non
contribuirebbe
certo
né
alla
pace
dei
cuori
né
alla
revisione
del
Concordato
.
Rischierebbe
,
anzi
,
di
compromettere
la
prima
e
di
paralizzare
la
seconda
.
A
vantaggio
di
quelli
che
rimangono
,
oggi
come
ieri
,
i
comuni
avversari
dello
spirito
di
religione
e
dello
spirito
di
libertà
.
StampaQuotidiana ,
Da
qualche
tempo
si
parla
della
riforma
costituzionale
con
un
fervore
senza
precedenti
.
Sono
intervenute
nel
dibattito
,
forse
per
la
prima
volta
contemporaneamente
,
le
più
alte
autorità
dello
Stato
,
a
cominciare
dal
presidente
della
Repubblica
,
che
,
con
espressione
felice
,
ha
auspicato
al
paese
una
«
democrazia
più
matura
»
.
La
discussione
è
nata
circa
una
decina
d
'
anni
fa
,
ha
attraversato
due
legislature
,
l
'
ottava
e
la
nona
,
e
ora
si
riaffaccia
all
'
inizio
della
decima
.
Sono
stati
scritti
sull
'
argomento
migliaia
di
articoli
,
sono
state
date
migliaia
d
'
interviste
,
sono
stati
pubblicati
decine
di
libri
di
esperti
.
Sotto
la
direzione
di
Gianfranco
Miglio
si
era
costituito
alcuni
anni
fa
un
gruppo
di
studio
per
la
«
nuova
Costituzione
»
da
cui
sono
usciti
nel
1983
tre
o
quattro
volumi
molto
commentati
alla
loro
apparizione
.
Per
ben
due
volte
si
è
detto
:
questa
sarà
la
legislatura
della
grande
riforma
.
Ora
è
la
terza
.
Eppure
sinora
la
grande
riforma
non
ha
mosso
neppure
il
primo
passo
.
Né
la
grande
né
la
piccola
.
Neppure
la
piccolissima
,
quella
dei
regolamenti
parlamentari
.
Perché
?
La
spiegazione
più
semplice
di
cui
tutti
sono
consapevoli
ma
che
fingono
d
'
ignorare
,
è
la
seguente
.
L
'
esigenza
di
cambiare
la
Costituzione
nasce
dalla
constatazione
,
diventata
ormai
quasi
ossessiva
,
che
il
nostro
sistema
politico
è
inefficiente
.
Ma
è
proprio
l
'
inefficienza
del
sistema
che
sinora
ha
reso
difficile
,
se
non
impossibile
,
il
cambiamento
.
La
funzione
del
sistema
politico
è
quella
di
produrre
decisioni
ovvero
regole
imperative
per
risolvere
conflitti
d
'
interesse
fra
individui
e
fra
gruppi
al
fine
di
renderne
possibile
la
pacifica
convivenza
.
Si
dice
che
un
sistema
politico
funziona
bene
quando
riesce
a
prendere
decisioni
opportune
nel
più
breve
tempo
possibile
e
con
il
minor
dispendio
di
energie
da
parte
dei
decisori
.
Sotto
questo
aspetto
il
nostro
sistema
avrebbe
dimostrato
di
non
essere
un
buon
sistema
.
Di
qua
l
'
esigenza
di
riformarlo
sveltendone
le
procedure
.
La
maggior
parte
delle
proposte
sinora
fatte
convergono
verso
questo
scopo
,
dalla
modificazione
del
sistema
bicamerale
alla
riforma
dei
regolamenti
delle
Camere
,
dall
'
attribuzione
di
maggiore
autorità
al
presidente
del
Consiglio
al
cambiamento
della
legge
elettorale
per
diminuire
il
numero
dei
partiti
e
rendere
meno
affollate
le
coalizioni
di
governo
.
Queste
proposte
per
essere
attuate
debbono
trasformarsi
in
decisioni
.
Ma
chi
deve
prendere
queste
decisioni
?
Naturalmente
gli
stessi
organi
dello
Stato
di
cui
si
chiede
a
gran
voce
la
riforma
perché
decidono
male
.
Con
un
'
aggravante
in
più
:
che
le
decisioni
in
materia
costituzionale
sono
regolate
da
norme
che
le
rendono
più
difficili
.
Il
paradosso
della
riforma
costituzionale
,
il
paradosso
che
spiega
la
paralisi
,
è
tutto
qui
:
per
riformare
la
Costituzione
occorrono
condizioni
,
per
lo
più
aggravate
,
dalla
cui
mancanza
è
nata
l
'
esigenza
di
riformare
la
Costituzione
.
In
altre
parole
,
le
condizioni
che
rendono
necessaria
la
riforma
sono
quelle
stesse
che
sinora
l
'
hanno
resa
impossibile
.
Se
la
riforma
della
Costituzione
fosse
un
'
operazione
facile
,
vorrebbe
dire
che
il
nostro
sistema
funziona
bene
.
Ma
se
funzionasse
bene
,
che
bisogno
ci
sarebbe
della
riforma
?
Siamo
in
un
circolo
vizioso
,
da
cui
non
si
sa
bene
come
uscire
.
Ho
voluto
forzare
un
po
'
il
ragionamento
unicamente
per
mostrare
la
reale
difficoltà
dell
'
operazione
,
e
per
cercare
di
capire
perché
,
nonostante
la
montagna
di
parole
,
non
ne
sia
venuto
fuori
in
tanti
anni
neppure
il
topolino
di
un
fatto
concreto
.
La
discussione
è
ancora
ferma
ai
preliminari
:
è
meglio
cominciare
dalle
grandi
riforme
e
procedere
verso
le
piccole
o
partire
dalle
piccole
per
salire
a
poco
a
poco
alle
grandi
?
Conviene
dare
la
precedenza
alla
Costituzione
vera
e
propria
oppure
al
sistema
elettorale
?
La
prima
alternativa
sembra
ormai
risolta
:
si
poteva
cominciare
dalle
piccole
riforme
subito
,
ma
ora
,
dopo
tanti
rinvii
e
tante
aspettative
deluse
,
non
si
può
cominciare
se
non
da
qualche
azione
clamorosa
.
Dare
una
risposta
alla
seconda
alternativa
è
più
difficile
,
perché
,
se
ci
sono
convergenze
rispetto
alla
prima
,
rispetto
a
questa
ogni
partito
va
per
conto
suo
e
cerca
di
tirar
l
'
acqua
al
proprio
mulino
.
E
si
capisce
:
non
esiste
una
procedura
elettorale
da
cui
possano
trarre
vantaggio
tutti
i
partiti
.
C
'
è
una
sola
procedura
che
a
rigore
renda
a
ciascuno
il
suo
ed
è
la
proporzionale
pura
con
il
minimo
di
correttivi
.
Ma
,
guarda
caso
,
questa
è
proprio
una
delle
cause
del
difetto
del
sistema
per
quel
che
riguarda
la
sua
capacità
operativa
.
Di
qua
un
altro
paradosso
:
il
procedimento
più
equo
dal
punto
di
vista
del
modo
di
comporre
il
Parlamento
è
anche
quello
meno
conveniente
dal
punto
di
vista
del
suo
buon
funzionamento
.
Si
può
mettere
il
problema
anche
in
questo
modo
:
i
due
organi
più
importanti
per
la
formazione
delle
decisioni
sono
il
Parlamento
e
il
Governo
.
La
proporzionale
è
la
procedura
migliore
per
la
composizione
del
Parlamento
che
,
se
deve
essere
un
organo
rappresentativo
,
deve
rispecchiare
con
la
massima
precisione
gli
orientamenti
del
paese
.
Per
la
capacità
operativa
del
Governo
,
invece
,
occorre
la
drastica
riduzione
dei
gruppi
politici
,
che
si
può
ottenere
soltanto
abolendo
o
correggendo
la
proporzionale
.
Queste
difficoltà
sono
sotto
gli
occhi
di
tutti
.
Oggi
rese
se
mai
più
gravi
dal
fatto
che
il
naturale
inizio
di
un
serio
dibattito
avrebbe
potuto
essere
una
commissione
parlamentare
.
Ma
questo
espediente
è
stato
ormai
bruciato
durante
la
nona
legislatura
con
la
Commissione
presieduta
dall
'
on.
Bozzi
,
composta
da
alcuni
dei
più
bravi
giuristi
italiani
.
Il
risultato
del
lavoro
della
Commissione
è
stato
una
bella
relazione
,
diventata
rapidamente
un
documento
d
'
archivio
,
se
non
addirittura
carta
da
macero
.
Nessuno
oggi
pensa
di
proporre
la
ripetizione
della
prova
.
Si
parla
d
'
incontri
bilaterali
.
Ma
che
cosa
s
'
intende
?
Se
s
'
intende
l
'
incontro
di
un
partito
,
per
esempio
quello
di
maggioranza
relativa
,
con
i
principali
partiti
di
governo
e
di
opposizione
,
la
cosa
sarebbe
possibile
ma
non
sarebbe
giusta
.
Se
s
'
intende
l
'
incontro
di
ogni
partito
con
tutti
gli
altri
,
come
si
dovrebbe
intendere
alla
lettera
,
ne
verrebbe
fuori
una
bella
confusione
.
Dopo
quasi
dieci
anni
insomma
sembra
che
si
debba
cominciare
da
capo
.
Ma
ormai
non
si
può
più
tornare
indietro
.
La
grande
riforma
è
diventata
una
sfida
per
la
nostra
classe
politica
.
Una
sfida
che
essa
deve
vincere
se
non
vuol
perdere
un
'
altra
parte
della
sua
credibilità
.
A
furia
di
fare
della
Costituzione
il
capro
espiatorio
di
tutti
i
guai
della
repubblica
,
si
è
finito
per
screditarla
.
Non
si
può
più
tornare
indietro
ma
non
si
può
neppure
fallire
.
Il
fallimento
sarebbe
un
ulteriore
segno
della
crisi
irreversibile
del
sistema
democratico
,
che
solleva
più
problemi
di
quelli
che
sia
in
grado
di
risolvere
,
e
non
riuscendo
a
risolvere
i
piccoli
se
ne
pone
di
sempre
più
grandi
.
Come
il
giocatore
che
punta
somme
via
via
più
alte
per
rifarsi
delle
perdite
precedenti
e
alla
fine
perde
tutto
:
oltre
la
camicia
,
anche
l
'
onore
.
StampaQuotidiana ,
«
Perché
agli
uragani
vengono
dati
nomi
di
donne
?
Le
donne
non
sono
disastri
che
recano
morte
e
distruzione
.
»
Questa
protesta
presentata
da
un
gruppo
di
donne
a
un
ufficio
meteorologico
americano
è
l
'
episodio
faceto
di
un
movimento
protestatario
femminile
che
si
va
diffondendo
negli
Stati
Uniti
,
nella
Germania
occidentale
,
nell
'
Inghilterra
,
nel
Belgio
,
nell
'
Olanda
e
i
cui
primi
accenni
si
annunziano
anche
in
Italia
.
Questo
movimento
è
contro
il
sessismo
:
una
parola
coniata
per
analogia
con
razzismo
e
che
indica
la
credenza
e
la
pratica
della
dominazione
maschile
sulle
donne
.
Il
movimento
«
antisessista
»
è
soprattutto
diffuso
nei
paesi
in
cui
le
donne
hanno
conquistato
la
piena
parità
di
diritti
con
gli
uomini
e
,
in
linea
di
principio
,
sono
ammesse
a
tutte
le
professioni
e
le
cariche
.
Ma
,
in
realtà
,
in
questi
paesi
le
cose
non
vanno
secondo
il
principio
.
Gli
uomini
hanno
conservato
il
loro
predominio
in
tutti
i
posti
chiave
della
società
contemporanea
.
Eppure
,
come
molti
oggi
riconoscono
,
il
cervello
non
ha
sesso
.
Non
c
'
è
differenza
sostanziale
o
misurabile
tra
i
due
sessi
per
l
'
intelligenza
,
la
capacità
di
imparare
e
insegnare
,
l
'
equilibrio
della
personalità
,
il
controllo
di
se
stesso
e
degli
altri
.
Le
differenze
su
tutti
questi
punti
sono
individuali
,
non
sessuali
;
e
volerle
stabilire
sulla
base
del
numero
degli
individui
di
un
sesso
e
dell
'
altro
che
raggiungono
il
successo
,
significa
solo
elevare
a
principio
un
costume
tradizionale
.
Questo
costume
permane
,
come
i
fatti
dimostrano
;
e
contro
di
esso
appunto
si
schiera
il
nuovo
femminismo
.
Il
problema
verte
soprattutto
sui
compiti
che
devono
essere
riconosciuti
propri
della
donna
.
La
cura
del
marito
,
dei
figli
,
della
casa
sembra
il
compito
specifico
della
donna
;
e
di
fronte
a
questo
,
gli
altri
compiti
sembrano
accessori
e
subordinati
.
Alle
donne
che
dopo
essersi
dedicate
per
un
certo
numero
di
anni
a
questo
compito
,
si
sentono
frustrate
ed
inutili
-
specialmente
quando
i
figli
sono
cresciuti
e
vivono
per
loro
conto
-
gli
psicanalisti
(
dei
quali
esse
sono
i
migliori
clienti
)
consigliano
di
«
accettare
la
loro
funzione
»
.
Ma
la
biologia
,
che
viene
spesso
invocata
a
giustificare
questa
accettazione
,
non
può
dir
nulla
in
proposito
.
La
riproduzione
della
specie
non
è
una
funzione
esclusivamente
femminile
.
Sebbene
siano
le
donne
a
portare
in
grembo
i
figli
e
a
metterli
al
mondo
,
anche
gli
uomini
sono
responsabili
della
loro
nascita
e
delle
cure
ad
essi
dovute
.
Non
ha
torto
quindi
il
nuovo
femminismo
quando
rivendica
per
la
donna
la
stessa
libertà
di
scelta
,
di
sviluppo
spirituale
e
di
impegno
personale
che
gli
uomini
hanno
sempre
rivendicato
per
sé
e
che
nessuno
chiede
loro
di
sacrificare
alle
esigenze
della
famiglia
.
Se
è
spreco
o
disgrazia
che
un
uomo
di
talento
sia
costretto
a
un
lavoro
umile
e
privo
di
soddisfazioni
,
lo
stesso
vale
per
ogni
donna
che
per
la
sua
educazione
,
i
suoi
interessi
e
la
sua
personalità
potrebbe
svolgere
compiti
adeguati
e
che
è
invece
costretta
a
consumare
la
sua
vita
nell
'
angusta
cerchia
dell
'
ambiente
familiare
.
Nella
molteplicità
dei
compiti
e
delle
funzioni
che
la
società
moderna
esige
e
nella
loro
crescente
complessità
,
questo
spreco
può
,
a
lungo
andare
,
diminuire
l
'
efficienza
complessiva
del
genere
umano
e
ridurne
la
possibilità
di
sopravvivenza
.
Ma
nel
nuovo
femminismo
il
problema
dei
compiti
della
donna
diventa
soprattutto
un
problema
morale
.
Ciò
che
oggi
la
donna
rivendica
è
la
sua
dignità
,
il
diritto
di
realizzare
la
propria
personalità
in
un
'
attività
di
sua
scelta
,
cui
sia
portata
dalla
sua
preparazione
e
dai
suoi
interessi
,
e
di
non
valere
come
un
puro
strumento
del
piacere
maschile
o
della
continuazione
della
specie
.
Esse
lamentano
(
e
non
a
torto
)
che
la
cosiddetta
«
rivoluzione
sessuale
»
ha
aggravato
,
non
migliorato
,
la
loro
condizione
.
Lo
sfruttamento
strumentale
della
donna
come
oggetto
di
piacere
,
di
desiderio
o
di
decorazione
è
stato
favorito
dalla
rivoluzione
sessuale
che
ha
dato
libero
corso
alla
più
sfrenata
pornografia
.
Gli
stessi
movimenti
contestatari
,
pur
nelle
loro
velleità
rivoluzionarie
,
aggravano
lo
sfruttamento
o
l
'
asservimento
sessuale
delle
donne
.
Gli
psicanalisti
,
a
partire
da
Freud
,
insistono
sulla
malformazione
del
SuperEgo
nella
donna
;
e
il
SuperEgo
è
la
parte
critica
e
razionale
della
personalità
umana
.
Veri
e
propri
«
insulti
alle
donne
»
sono
considerati
le
immagini
e
gli
avvisi
pubblicitari
che
sfruttano
la
figura
femminile
o
si
rivolgono
alle
donne
come
a
semplici
animali
domestici
o
propongono
prodotti
d
'
igiene
intima
che
le
fanno
sentire
in
una
condizione
servile
.
Non
c
'
è
dubbio
che
il
modello
stereotipato
della
donna
come
un
essere
debole
e
bisognoso
di
protezione
,
di
scarso
cervello
e
di
molto
sentimento
,
che
ha
bisogno
di
vivere
la
sua
vita
attraverso
quella
del
marito
e
dei
figli
e
che
solo
attraverso
questa
mediazione
partecipa
alle
cose
del
mondo
,
è
duro
a
morire
e
ancora
domina
la
mentalità
dei
paesi
che
si
ritengono
più
evoluti
.
A
questo
modello
si
contrappone
l
'
altro
,
altrettanto
stereotipato
,
del
maschio
forte
e
sicuro
di
sé
,
privo
di
debolezze
sentimentali
,
volitivo
e
dominatore
.
Ma
proprio
dal
contrasto
di
questi
due
modelli
e
dal
tentativo
di
ognuno
dei
due
sessi
di
adeguarsi
al
proprio
nascono
le
maggiori
difficoltà
per
la
comprensione
reciproca
,
per
la
reciproca
soddisfazione
sessuale
e
per
la
vita
in
comune
.
Non
solo
gli
uomini
,
certo
,
sono
responsabili
della
sopravvivenza
anacronistica
di
questi
fittizi
stereotipi
:
perché
anche
la
grande
maggioranza
delle
donne
si
adegua
ad
essi
più
o
meno
inconsapevolmente
e
contribuisce
a
mantenerli
in
vita
,
dando
agli
uomini
la
possibilità
di
sfruttarle
per
il
proprio
vantaggio
o
il
proprio
piacere
.
Ma
il
nuovo
femminismo
ha
almeno
il
coraggio
di
denunciare
apertamente
questa
sommissione
.
Certo
il
nuovo
femminismo
corre
il
rischio
di
mascolinizzare
la
donna
e
di
femminilizzare
l
'
uomo
,
mantenendo
così
in
piedi
,
e
addizionando
,
gli
effetti
negativi
di
quei
modelli
stereotipi
che
si
vorrebbero
abolire
.
Immesse
bruscamente
in
un
mondo
duro
e
competitivo
in
cui
la
carriera
,
il
successo
,
il
denaro
e
il
godimento
immediato
sono
i
valori
fondamentali
,
la
donna
rischia
di
perdere
proprio
quei
valori
di
umanità
,
di
sensibilità
,
di
tenerezza
amichevole
in
nome
dei
quali
combatte
.
E
già
alcune
manifestazioni
del
movimento
femminista
,
che
è
finora
variopinto
e
diversamente
orientato
,
preannunciano
questo
pericolo
.
Ma
i
rischi
,
come
si
sa
,
insorgono
ovunque
ci
si
rivolga
.
E
non
si
può
,
in
nome
di
essi
,
ignorare
o
rifiutare
a
priori
l
'
esigenza
di
dignità
morale
che
è
alla
base
del
nuovo
femminismo
.
D
'
altronde
,
il
mondo
degli
uomini
non
ha
finora
dato
buona
prova
di
sé
.
Le
questioni
di
prestigio
e
di
orgoglio
,
i
ripicchi
crudeli
,
l
'
intolleranza
,
i
conflitti
,
i
fanatismi
di
ogni
specie
,
che
traggono
spesso
occasione
da
pretesti
puerili
,
si
aggravano
ogni
giorno
in
un
mondo
che
è
governato
praticamente
dal
«
sesso
forte
»
.
Se
la
partecipazione
crescente
delle
donne
a
un
mondo
siffatto
potrà
fermare
e
diminuire
l
'
espansione
di
queste
tendenze
negative
e
promuovere
la
considerazione
dei
problemi
concreti
(
ai
quali
la
donna
rimane
finora
più
attaccata
dell
'
uomo
)
,
la
diminuzione
dell
'
orgoglio
e
della
violenza
e
la
solidarietà
amichevole
fra
gli
esseri
umani
,
questa
partecipazione
sarà
salutata
con
gioia
da
tutti
gli
uomini
di
buona
volontà
.
Si
tratta
,
certo
,
solo
di
una
speranza
o
di
una
promessa
:
di
una
possibilità
che
può
anche
non
verificarsi
.
Ma
essa
non
può
essere
senz
'
altro
scartata
perché
il
genere
umano
,
di
fronte
ai
problemi
che
gli
si
prospettano
,
non
può
rinunciare
all
'
aiuto
effettivo
della
metà
degli
esseri
che
lo
costituiscono
.
StampaQuotidiana ,
La
monogamia
,
forse
la
più
antica
e
venerabile
istituzione
della
nostra
civiltà
occidentale
(
e
non
solo
di
questa
)
,
è
oggi
minacciata
da
molti
pericoli
e
il
suo
avvenire
appare
incerto
.
Il
numero
dei
divorzi
è
in
crescente
aumento
nei
Paesi
in
cui
il
divorzio
è
ammesso
;
dove
non
è
ammesso
,
è
in
aumento
il
numero
delle
separazioni
legali
o
di
fatto
tra
i
coniugi
.
È
in
crescente
aumento
il
numero
dei
matrimoni
sbagliati
,
che
continuano
per
forza
di
inerzia
e
si
riducono
a
una
forma
di
coabitazione
occasionale
o
forzata
,
in
cui
non
c
'
è
più
traccia
di
solidarietà
o
di
affetto
fra
i
coniugi
.
L
'
opera
dei
consulenti
matrimoniali
,
che
si
moltiplicano
in
tutti
i
Paesi
,
può
certo
contribuire
a
risolvere
problemi
che
insorgono
fra
i
coniugi
,
tanto
più
che
si
rivolgono
ad
essi
i
coniugi
che
ritengono
solubili
i
loro
problemi
;
ma
non
può
ricreare
dal
nulla
un
'
unione
che
più
non
esiste
.
È
infine
in
aumento
il
numero
delle
nascite
irregolari
,
cioè
dei
figli
nati
fuori
del
matrimonio
.
Questi
fenomeni
sono
assunti
solitamente
come
segni
di
crisi
dell
'
istituzione
monogamica
,
perché
tendono
a
diffondersi
con
la
massima
rapidità
in
tutti
i
Paesi
che
sono
usciti
dalla
fase
agricola
o
patriarcale
del
loro
sviluppo
.
Anche
le
nuove
dimensioni
di
libertà
raggiunte
dalle
donne
li
favoriscono
:
perché
,
cessando
il
loro
stato
di
dipendenza
economica
e
sociale
,
le
donne
sono
in
grado
di
assumersi
l
'
iniziativa
della
rottura
.
Ma
ci
sono
altri
sintomi
altrettanto
inquietanti
,
che
non
si
ricavano
dalle
statistiche
,
ma
da
certe
manifestazioni
del
costume
contemporaneo
.
Molti
coniugi
si
concedono
a
vicenda
una
«
vacanza
matrimoniale
»
nella
quale
sono
liberi
d
'
intrattenere
i
rapporti
che
vogliono
con
altre
persone
.
Nella
Svezia
ed
in
America
vanno
diffondendosi
«
matrimoni
di
gruppo
»
nei
quali
individui
e
coppie
vivono
assieme
,
unendo
le
loro
risorse
finanziarie
e
dividendosi
le
spese
,
i
lavori
domestici
e
le
cure
dell
'
allevamento
dei
figli
.
Qualche
volta
,
tutto
si
ferma
qui
;
altre
volte
,
si
ammette
fra
i
membri
della
comune
(
come
si
suole
chiamarla
)
la
più
ampia
libertà
sessuale
o
addirittura
si
sconsiglia
o
si
vieta
la
formazione
di
coppie
fisse
.
Nonostante
il
nome
,
i
membri
della
comune
non
cedono
al
gruppo
le
loro
proprietà
personali
.
Ma
spesso
si
considerano
come
un
'
avanguardia
rivoluzionaria
,
come
gli
antesignani
di
una
nuova
utopia
,
di
una
società
in
cui
non
ci
siano
più
aggressioni
e
guerre
,
poveri
e
ricchi
,
né
lavori
faticosi
o
degradanti
;
e
in
cui
sia
lasciata
ad
ogni
individuo
la
libertà
di
creare
la
propria
vita
e
di
raggiungere
la
felicità
che
desidera
.
Questa
ricerca
di
nuovi
modi
di
vita
e
di
nuove
istituzioni
è
una
caratteristica
del
nostro
tempo
,
che
non
intende
rinunciare
all
'
esperimento
,
all
'
avventura
e
al
rischio
.
Non
si
può
condannarla
in
anticipo
,
né
in
anticipo
garantirne
il
successo
e
fidare
su
di
essa
per
il
progresso
del
genere
umano
:
il
quale
,
d
'
altronde
,
non
può
rinunciare
a
sperimentare
nuove
vie
,
dato
che
vede
continuamente
diminuite
le
sue
prospettive
,
non
solo
di
progresso
,
ma
di
sopravvivenza
.
Tuttavia
,
per
ciò
che
riguarda
la
monogamia
,
non
tutti
i
sintomi
addotti
sembrano
minacciarla
.
Bisogna
,
in
primo
luogo
,
distinguere
fra
la
monogamia
come
istituzione
morale
o
semplicemente
umana
e
l
'
istituto
giuridico
.
L
'
istituzione
morale
è
la
scelta
duratura
,
perché
continuamente
rinnovata
,
di
vivere
insieme
secondo
un
progetto
concordato
e
correggibile
via
via
nei
suoi
dettagli
.
L
'
istituto
giuridico
del
matrimonio
è
un
contratto
che
impegna
i
coniugi
a
certi
obblighi
sanzionati
ed
ha
certi
effetti
legali
e
soprattutto
patrimoniali
.
Tale
contratto
implica
certo
,
fra
le
condizioni
della
sua
validità
,
la
libera
scelta
dei
contraenti
,
ma
limita
questa
scelta
all
'
atto
della
stipula
;
adegua
inoltre
gli
obblighi
e
i
diritti
legali
che
sancisce
a
un
modello
stabilito
dalla
tradizione
e
dal
costume
,
che
è
spesso
in
contrasto
con
le
esigenze
e
i
problemi
sempre
nuovi
della
vita
quotidiana
.
La
crisi
del
matrimonio
come
istituto
giuridico
non
è
perciò
,
necessariamente
,
la
crisi
della
monogamia
.
Un
matrimonio
legalmente
valido
e
che
i
coniugi
hanno
un
interesse
qualsiasi
a
mantenere
tale
,
può
non
avere
nessuno
dei
caratteri
autentici
della
monogamia
.
Questa
,
a
sua
volta
,
può
riscontrarsi
in
unioni
che
non
hanno
alcun
riconoscimento
giuridico
.
Il
ricorso
al
divorzio
,
dall
'
altro
lato
,
non
è
una
sfida
alla
monogamia
,
ma
il
riconoscimento
di
un
'
unione
sbagliata
o
impossibile
a
mantenersi
in
piedi
o
che
potrebbe
essere
resa
sopportabile
solo
da
qualche
forma
più
o
meno
occulta
di
poligamia
.
Chi
divorzia
intende
spesso
infatti
ricrearsi
una
famiglia
,
trovare
in
una
nuova
unione
l
'
affetto
e
la
solidarietà
che
gli
sono
mancati
nell
'
altra
.
Per
quanto
possa
apparire
paradossale
,
il
divorzio
è
più
spesso
un
omaggio
alla
monogamia
,
che
un
rifiuto
di
essa
:
costituisce
,
per
chi
vi
ricorre
,
la
possibilità
di
una
scelta
nuova
e
più
promettente
sotto
l
'
aspetto
della
comprensione
,
dell
'
assistenza
e
dell
'
amore
,
cioè
di
un
'
unione
effettivamente
monogamica
.
Quanto
ai
gruppi
e
alle
«
comuni
»
,
se
si
prescinde
dal
loro
carattere
politico
e
neoutopistico
,
del
quale
non
si
riesce
a
scorgere
il
fondamento
reale
,
essi
appaiono
piuttosto
come
forme
di
protesta
contro
i
modelli
morali
e
giuridici
tradizionali
o
tentativi
di
gruppi
o
persone
di
uscire
dalla
solitudine
e
di
ritrovarsi
in
un
ambiente
accogliente
e
solidale
.
Ma
le
forze
che
minano
tali
gruppi
sono
il
disaccordo
nella
divisione
dei
compiti
,
le
gelosie
,
l
'
indifferenza
reciproca
o
l
'
accordo
più
stretto
che
si
stabilisce
fra
coppie
dei
loro
membri
.
Il
gruppo
non
ha
molti
vantaggi
sul
matrimonio
:
ne
moltiplica
solo
le
difficoltà
in
proporzione
al
numero
dei
componenti
.
La
monogamia
è
l
'
aspirazione
nascosta
di
uomini
e
donne
,
ma
è
difficile
da
realizzarsi
.
La
scelta
continua
,
che
essa
implica
,
del
proprio
compagno
e
del
comune
progetto
di
vita
esige
che
si
punti
sull
'
essenziale
e
che
si
superino
con
intelligenza
e
comprensione
reciproca
i
problemi
,
le
difficoltà
e
i
conflitti
che
sono
inevitabili
nella
vita
quotidiana
.
Essa
può
essere
realizzata
da
persone
,
di
qualsiasi
età
,
che
abbiano
raggiunto
un
grado
di
maturità
sufficiente
,
cioè
una
personalità
stabile
o
equilibrata
che
non
sia
più
soggetta
a
oscillazioni
e
mutamenti
radicali
.
È
difficile
infatti
continuare
a
convivere
in
accordo
sostanziale
con
una
persona
che
si
ritrova
accanto
a
sé
mutata
nei
suoi
tratti
caratteristici
e
che
è
diventata
estranea
rispetto
a
quella
che
era
apparsa
al
primo
incontro
.
In
questo
caso
,
com
'
è
ovvio
,
la
scelta
non
è
ripetibile
.
La
durata
di
un
'
unione
monogamica
dipende
,
più
che
dalle
circostanze
esterne
,
che
inevitabilmente
mutano
con
l
'
età
e
con
le
circostanze
ambientali
,
dalla
volontà
costante
di
conservarsi
l
'
affetto
,
la
fiducia
e
la
solidarietà
del
proprio
compagno
,
dimostrandogli
affetto
,
fiducia
e
solidarietà
in
ogni
occasione
.
In
un
mondo
scisso
da
conflitti
di
ogni
genere
,
e
in
cui
le
stesse
aspirazioni
umanitarie
più
nobili
sono
spesso
fomiti
di
lotte
violente
,
l
'
amore
monogamico
è
(
con
l
'
amicizia
autentica
,
che
è
altrettanto
rara
)
la
sola
via
per
uscire
dall
'
indifferenza
e
dall
'
anonimato
della
massa
amorfa
e
raggiungere
la
serenità
e
la
gioia
di
vivere
.
Speriamo
che
gli
uomini
non
trascurino
questa
via
e
traggano
,
dai
loro
stessi
insuccessi
,
gl
'
insegnamenti
per
imboccarla
e
percorrerla
.
StampaPeriodica ,
Già
quando
cominciai
i
miei
studi
sulla
pittura
veneta
tra
Quattro
e
Cinquecento
,
che
vuol
dire
,
come
vedremo
,
tutto
,
cioè
l
'
essenza
della
pittura
,
già
allora
,
quasi
trent
'
anni
fa
,
una
mostra
come
quella
di
Palazzo
Grassi
,
Il
Rinascimento
a
Venezia
e
la
pittura
del
Nord
ai
tempi
di
Bellini
,
Dürer
e
Tiziano
,
sarebbe
sembrata
impossibile
,
e
persino
impensabile
.
Resta
,
è
vero
,
il
tabù
di
Giorgione
(
non
è
esposto
alcun
dipinto
,
ma
soltanto
un
disegno
del
grande
pittore
,
i
cui
capolavori
sono
pure
a
portata
di
mano
,
all
'
Accademia
di
Venezia
)
;
ma
per
il
resto
è
presente
tutto
,
il
'
tout
Venise
'
e
non
con
testimonianze
marginali
ma
con
i
capolavori
più
emozionanti
.
Qualunque
storico
dell
'
arte
avrebbe
voluto
mettere
insieme
tanti
capolavori
,
più
per
realizzare
un
sogno
che
per
dimostrare
una
tesi
,
ma
nessuno
avrebbe
potuto
immaginare
che
,
una
volta
messi
uno
vicino
all
'
altro
,
i
dipinti
avrebbero
raccontato
una
storia
così
sorprendente
.
Nessuna
storia
scritta
,
nessun
catalogo
possono
restituire
l
'
emozione
di
alcuni
accostamenti
,
di
alcune
sequenze
che
dimostrano
in
modo
inconfutabile
ciò
che
si
era
soltanto
intuito
o
immaginato
.
Un
tripudio
di
delicatissime
tavole
,
dopo
il
primo
assaggio
di
un
maestoso
trittico
di
Giovanni
di
Alemagna
e
Antonio
Vivarini
,
ci
accoglie
nella
seconda
(
in
reatà
prima
)
intensissima
sala
:
solo
ritratti
,
da
Petrus
Christus
,
a
Hans
Memling
,
a
Giovanni
Bellini
,
a
Lorenzo
Lotto
,
attraverso
Antonello
da
Messina
.
Sono
personaggi
,
uomini
veri
,
ricchi
mercanti
,
giovani
innamorati
,
fino
al
romantico
Vescovo
De
'
Rossi
del
Lotto
.
In
questa
stanza
si
comprende
,
come
mai
prima
,
il
tanto
conclamato
rapporto
tra
fiamminghi
e
veneziani
,
tra
Nord
Europa
e
Nord
Italia
.
Due
'
anime
belle
'
del
Nord
-
est
che
dialogano
e
s
'
intrecciano
attraverso
la
mediazione
di
un
meridionale
,
di
un
raffinatissimo
'
terrone
'
siciliano
:
Antonello
da
Messina
.
Come
in
una
dissolvenza
fotografica
,
i
tratti
del
giovane
uomo
di
Petrus
Christus
si
confondono
con
quelli
del
Bernardo
De
'
Rossi
di
Lorenzo
Lotto
:
carnagioni
levigate
,
umori
malinconici
,
ma
soprattutto
una
profonda
verità
,
prima
interiore
che
esteriore
.
Questi
ritratti
sembrano
definire
uno
spirito
europeo
,
una
nuova
dimensione
dell
'
uomo
,
che
domina
il
mondo
con
intelligenza
e
determinazione
.
Ecco
,
dunque
,
l
'
uomo
europeo
.
A
Venezia
identifichiamo
i
limiti
del
suo
orizzonte
,
tra
intelligenza
e
furbizia
:
quello
disegnato
nello
sguardo
obliquo
e
nelle
sopracciglia
volte
all
'
insù
dell
'
Uomo
di
Antonello
.
Superata
la
barriera
di
questi
sguardi
intrecciati
,
ritroviamo
un
altro
incastro
perfetto
(
fino
all
'
errore
di
attribuire
a
un
anonimo
padovano
il
dipinto
di
un
fiammingo
in
Italia
)
nella
serie
di
Crocefissioni
di
un
seguace
di
Van
Eyck
,
di
Bellini
e
di
Antonello
da
Messina
,
tutte
composte
secondo
un
medesimo
schema
e
le
medesime
proporzioni
.
I
rapporti
tra
le
figure
della
sacra
rappresentazione
e
il
paesaggio
sono
perfettamente
bilanciati
,
fino
alla
suprema
armonia
geometrica
,
una
'
armonia
mundi
'
,
del
capolavoro
di
Antonello
nel
museo
di
Anversa
dove
,
nonostante
l
'
imminenza
della
passione
,
la
natura
sembra
prevalere
sulla
storia
.
Proprio
come
ancora
oggi
si
avverte
scendendo
in
Sicilia
,
dove
l
'
energia
della
natura
prevale
sul
destino
degli
uomini
(
si
leggano
le
pagine
bellissime
del
Gattopardo
)
.
Ancora
diversa
è
la
scelta
di
Bellini
nella
Crocefissione
,
proveniente
da
Prato
,
dove
la
natura
e
il
paesaggio
,
pur
forti
e
rigogliosi
,
sono
segnati
da
una
traccia
profonda
del
passaggio
dell
'
uomo
:
lapidi
,
iscrizioni
,
architetture
documentano
una
storia
da
cui
dipende
la
Crocefissione
di
Cristo
,
ineluttabilmente
.
Abbiamo
così
indicato
alcune
varianti
psicologiche
di
uno
stesso
impianto
compositivo
.
Un
altro
aspetto
sorprendente
della
mostra
è
l
'
intuizione
delle
diverse
grandezze
di
Antonello
e
di
Bellini
.
I
capolavori
del
primo
sono
monadi
,
universi
compiuti
e
incomunicanti
fino
a
quel
teorema
,
sintesi
di
spazio
italiano
e
di
ambiente
fiammingo
,
che
è
il
San
Girolamo
nello
studio
proveniente
dalla
National
Gallery
di
Londra
(
dal
cui
prototipo
derivano
alcune
scene
d
'
interno
di
Carpaccio
,
come
nella
Nascita
della
Vergine
)
.
I
capolavori
di
Bellini
hanno
una
continuità
ideale
,
un
respiro
lungo
che
determinano
una
vertigine
,
uno
schiacciamento
del
tempo
.
È
emozionante
trovarsi
nello
spazio
delimitato
da
due
opere
di
Giovanni
Bellini
eseguite
a
cinquant
'
anni
di
distanza
:
la
giovanile
Trasfigurazione
del
Correr
,
in
una
natura
mantegnesca
,
prontamente
ammorbidita
,
e
la
Pietà
dell
'
Accademia
,
come
un
drammaticissimo
Vesperbild
in
un
coltivatissimo
giardino
chiuso
dalla
veduta
di
città
.
Due
artisti
,
due
stili
,
due
sentimenti
della
natura
in
un
solo
uomo
che
ha
raffinato
la
sua
visione
del
mondo
senza
limitarla
,
accogliendo
gli
stimoli
dei
nouveaux
philosophes
sulla
scena
veneziana
da
Giorgione
a
Dürer
,
a
Lotto
,
a
Tiziano
.
Naturale
che
in
questo
fertilissimo
clima
possano
muoversi
tra
leggenda
e
mistero
,
tra
storia
e
natura
,
le
Cortigiane
del
Carpaccio
nel
loro
ritrovato
ambiente
:
una
terrazza
in
laguna
sul
cui
sfondo
si
agitano
gli
attori
di
una
caccia
in
valle
.
Altro
miracolo
impensabile
negli
anni
Settanta
,
quando
il
dogma
dell
'
inamovibilità
delle
tavole
aveva
quasi
un
risvolto
ideologico
.
Adesso
da
Malibu
arriva
un
quadro
,
anche
illegalmente
esportato
.
E
come
non
ci
sono
dogane
,
controlli
e
rivendicazioni
,
tanto
meno
ci
sono
ragioni
tecniche
che
ostacolino
il
ricongiungimento
di
due
parti
(
e
anche
di
due
quarti
)
di
una
stessa
tavola
.
Insieme
con
il
fiore
che
li
riunisce
esse
appaiono
indiscutibilmente
nate
dalla
stessa
mente
e
dalla
stessa
idea
dello
spazio
,
che
fu
già
indicata
e
anticipata
con
diverso
spirito
dal
grande
Giovanni
Bellini
nella
Allegoria
degli
Uffizi
(
quella
che
io
considero
una
'
ricreazione
'
di
Santi
e
Madonne
dopo
la
posa
per
una
Sacra
Conversazione
)
.
Addirittura
,
visibili
anche
dietro
,
le
due
tavole
ricongiunte
sono
unite
pure
da
un
sottile
filo
concettuale
:
in
una
,
quella
di
Malibu
,
un
'
trompe
-
l
'
oeil
'
con
nastri
e
cerelacche
;
nell
'
altra
,
cerelacche
e
nastri
veri
applicati
nel
tempo
.
La
mostra
cresce
ancora
nell
'
offerta
di
emozioni
,
avviandoci
nella
zona
calda
,
dominata
da
una
sequenza
di
capolavori
(
Mantegna
,
Cima
da
Conegliano
,
ancora
Bellini
,
ancora
Lorenzo
Lotto
)
,
Albrecht
Dürer
presente
con
due
opere
capitali
,
rigorosamente
su
tavola
,
l
'
uno
del
primo
,
l
'
altro
del
secondo
viaggio
italiano
:
la
Madonna
con
il
Bambino
tornita
nelle
forme
come
una
scultura
,
in
particolare
nel
bambino
,
quasi
d
'
alabastro
,
smagliante
nei
colori
,
illuminata
nel
fondo
da
una
luce
già
elettrica
.
Il
dipinto
era
il
gioiello
più
prezioso
(
e
più
difeso
)
della
collezione
di
Luigi
Magnani
,
un
quadro
mitico
scoperto
in
un
convento
di
clausura
di
Bagnacavallo
.
Degno
di
Raffaello
e
di
originalissima
composizione
è
il
Cristo
fra
i
dottori
dello
stesso
Dürer
,
risolto
nell
'
idea
di
una
ruota
di
personaggi
caricaturali
e
deformi
intorno
a
un
nodo
di
mani
,
motivo
originalissimo
e
senza
precedenti
.
A
partire
da
questa
opera
,
molto
verrà
dal
più
eretico
dei
pittori
veneziani
:
Lorenzo
Lotto
,
di
cui
è
pur
presente
un
capolavoro
giovanile
nato
più
nello
spirito
di
Dürer
che
in
quello
di
Giorgione
e
Bellini
:
Allegoria
della
virtù
e
del
vizio
.
E
siamo
sempre
agli
inizi
del
Cinquecento
.
Altri
capolavori
si
affollano
nelle
sale
per
documentare
altri
cent
'
anni
di
pittura
tra
Venezia
e
il
Nord
Europa
:
Tiziano
,
Bassano
,
Veronese
,
Tintoretto
.
Ma
forse
il
più
commovente
,
sintesi
perfetta
di
cultura
veneziana
e
civiltà
olandese
,
è
la
Venere
tenera
e
infantile
di
Lambert
Sustris
,
che
non
teme
il
confronto
con
un
analogo
Tiziano
.
E
se
Sustris
può
apparire
più
desiderabile
di
Tiziano
,
possiamo
essere
certi
che
questa
mostra
è
perfettamente
riuscita
.
StampaQuotidiana ,
Un
ritorno
al
romanticismo
sembra
annunziato
da
alcuni
sintomi
che
emergono
fra
gli
umori
mutevoli
della
società
contemporanea
.
Tra
questi
sintomi
si
annovera
il
successo
enorme
,
e
imprevisto
,
che
sta
ottenendo
in
America
(
e
otterrà
probabilmente
negli
altri
Paesi
)
un
breve
romanzo
,
Love
Story
di
Erich
Segal
,
e
il
film
che
ne
è
stato
tratto
.
È
la
storia
dell
'
amore
coniugale
di
due
giovani
moralmente
sani
e
maturi
,
che
non
scindono
l
'
amore
dal
sesso
e
il
sesso
dall
'
amore
,
storia
che
termina
tragicamente
perché
la
giovane
moglie
muore
di
cancro
.
Nel
magma
caotico
di
erotismo
,
pornografia
,
violenza
contestataria
o
anticontestataria
e
delinquenza
,
che
costituisce
il
contenuto
prevalente
della
narrativa
e
del
cinema
e
sembra
il
pascolo
obbligato
di
ogni
persona
ben
pensante
,
il
successo
di
una
storia
come
questa
può
veramente
apparire
un
fenomeno
da
baraccone
.
Dunque
,
gli
uomini
non
si
sono
dimenticati
del
«
sentimento
»
?
Possono
ancora
commuoversi
e
versare
lacrime
per
la
storia
patetica
e
semplice
di
un
matrimonio
d
'
amore
riuscito
,
destinato
a
durare
,
e
interrotto
soltanto
da
una
cieca
fatalità
?
Il
romanticismo
non
è
finito
,
se
il
sentimentalismo
può
prendersi
ancora
tali
rivincite
.
E
se
non
è
finito
,
potrà
forse
porre
un
argine
alla
promiscuità
sessuale
,
alla
violenza
indiscriminata
,
alla
ricerca
stravagante
di
piaceri
proibiti
,
al
desiderio
dei
facili
guadagni
.
Potrà
dare
nuova
forza
a
valori
che
si
ritenevano
morti
o
moribondi
:
alla
moralità
della
vita
,
al
matrimonio
,
al
lavoro
,
al
rispetto
della
persona
umana
e
soprattutto
della
donna
.
Ben
venga
dunque
un
nuovo
romanticismo
,
se
metterà
un
po
'
d
'
ordine
ed
equilibrio
nel
caos
delle
tensioni
e
delle
inquietudini
della
vita
moderna
.
Prescindendo
dalla
sproporzione
che
c
'
è
tra
tali
speranze
e
il
fenomeno
che
le
fa
nascere
,
non
si
può
fare
a
meno
di
riconoscere
,
se
si
tengono
presenti
tensioni
e
inquietudini
,
che
nel
romanticismo
noi
siamo
,
almeno
per
ora
,
immersi
fino
al
collo
.
Giacché
il
romanticismo
non
è
solo
il
riconoscimento
del
valore
del
sentimento
:
è
la
fede
che
il
sentimento
è
tutto
e
la
ragione
è
nulla
;
o
,
viceversa
,
che
la
ragione
è
tutto
e
il
sentimento
nulla
.
Lo
spirito
romantico
è
caratterizzato
dalla
brama
e
dalla
smania
dell
'
Infinito
e
del
Tutto
e
dall
'
insofferenza
e
dal
disprezzo
per
quel
che
è
condizionato
,
finito
,
limitato
e
imperfetto
.
Lo
spirito
romantico
esige
che
l
'
uomo
raggiunga
l
'
onnipotenza
e
la
felicità
dell
'
Assoluto
,
che
si
identifichi
con
Dio
.
Dice
Hòlderlin
,
che
è
il
più
significativo
poeta
del
romanticismo
:
«
Essere
uno
col
tutto
,
questa
è
la
vita
degli
Dei
e
il
cielo
dell
'
uomo
!
Essere
uno
con
tutto
ciò
che
vive
,
tornare
,
in
un
beato
divino
oblio
di
sé
,
nel
tutto
della
natura
,
questo
è
il
vertice
dei
pensieri
e
delle
gioie
,
questa
è
la
sacra
vetta
del
Monte
,
la
sede
dell
'
eterna
quiete
»
.
Che
questa
sacra
vetta
si
raggiunga
mediante
il
sentimento
o
la
ragione
,
nel
sogno
o
nella
realtà
,
attraverso
la
fede
religiosa
o
l
'
uso
della
droga
,
sono
differenze
che
non
importano
molto
.
Importante
è
la
mèta
,
cioè
l
'
infinito
della
potenza
e
della
gioia
,
e
questa
mèta
,
secondo
i
romantici
,
è
accessibile
all
'
uomo
.
Un
altro
tipico
scrittore
romantico
,
Novalis
,
che
morì
tisico
a
ventinove
anni
,
scriveva
:
«
Agli
uomini
nessuna
cosa
è
impossibile
:
quello
che
io
voglio
,
lo
posso
»
.
Quest
'
eredità
romantica
si
può
vedere
in
azione
in
molti
fenomeni
macroscopici
del
nostro
tempo
.
La
tendenza
a
prescindere
dalle
strettoie
della
realtà
,
a
considerare
«
infinito
»
se
stesso
,
a
chiudersi
in
sé
e
a
dimenticare
gli
altri
,
è
una
tentazione
cui
pochi
si
sottraggono
.
Si
vuole
tutto
e
subito
,
senza
sapere
che
cosa
sia
questo
tutto
e
come
e
a
quale
costo
si
può
ottenere
.
Al
rispetto
dell
'
individualità
si
sostituisce
il
culto
dell
'
individuo
,
considerato
come
la
realtà
unica
e
,
come
diceva
Novalis
,
onnipotente
.
E
al
culto
dell
'
individuo
si
accompagna
spesso
,
come
avvenne
nel
romanticismo
ottocentesco
,
il
culto
orgiastico
degli
eroi
,
siano
essi
personalità
politiche
o
gli
idoli
sportivi
o
canori
del
momento
.
La
rivoluzione
,
che
promette
tutto
senza
specificare
nulla
,
sembra
preferibile
alle
riforme
che
fanno
i
conti
con
la
realtà
ed
esigono
lavoro
e
rinunce
per
la
loro
attuazione
.
L
'
utopia
amorfa
e
sognante
,
che
prospetta
la
felicità
a
breve
scadenza
,
ha
più
fascino
dell
'
azione
politica
accorta
e
lungimirante
che
si
fonda
su
precisi
progetti
.
Ogni
progetto
fondato
su
dati
attendibili
e
su
linee
di
tendenza
controllabili
suscita
diffidenze
e
opposizioni
,
mentre
ogni
vaga
aspirazione
a
uno
stato
futuro
di
perfezione
suscita
approvazione
ed
entusiasmo
.
Si
sferrano
calci
al
vicino
,
si
rimane
indifferenti
alla
sua
distruzione
,
ma
si
crede
nell
'
amore
universale
tra
gli
uomini
.
Si
infinitizza
la
scienza
,
considerandola
come
una
forza
onnipotente
capace
di
assicurare
da
sola
l
'
avvenire
e
la
felicità
del
genere
umano
.
Nel
campo
stesso
della
religione
,
si
tende
a
sostituire
all
'
infinità
trascendente
di
Dio
l
'
infinità
immanente
dell
'
uomo
.
E
nello
stordimento
orgiastico
,
che
si
cerca
con
tutti
i
mezzi
,
si
obbedisce
ancora
una
volta
al
detto
di
Hòlderlin
:
«
Un
dio
è
l
'
uomo
quando
sogna
,
un
mendicante
quando
pensa
»
.
C
'
è
la
scienza
,
certo
,
e
c
'
è
buona
parte
della
filosofia
contemporanea
che
hanno
vòlto
le
spalle
allo
spirito
romantico
o
sono
meno
soggette
alle
sue
tentazioni
.
La
scienza
autentica
,
almeno
,
cioè
quella
che
non
indulge
ai
sogni
avveniristici
dei
dilettanti
,
sa
che
da
ogni
problema
risolto
ne
nascono
altri
,
più
difficili
,
da
risolvere
ancora
;
che
il
controllo
che
l
'
uomo
esercita
o
potrà
esercitare
sulla
natura
non
sarà
mai
completo
e
totale
e
che
questo
controllo
stesso
rischia
d
'
impoverire
e
di
distruggere
le
risorse
che
la
natura
offre
all
'
uomo
.
La
biologia
mostra
sempre
meglio
la
subordinazione
della
vita
all
'
imprevedibilità
del
caso
,
l
'
economia
mostra
i
costi
di
denaro
,
di
lavoro
e
di
rinunce
che
ogni
progresso
o
trasformazione
sociale
comporta
.
La
filosofia
,
quando
non
diventa
profezia
o
evasione
,
mette
in
luce
la
limitazione
delle
scelte
che
si
offrono
all
'
uomo
in
ogni
condizione
in
cui
si
trovi
e
il
pericolo
che
una
scelta
sbagliata
gli
diminuisca
o
tolga
la
libertà
di
scelta
.
L
'
ottimismo
romantico
per
cui
l
'
uomo
,
almeno
potenzialmente
,
sa
già
tutto
,
può
tutto
e
ha
tutto
,
trova
dure
smentite
nel
sapere
positivo
di
cui
disponiamo
.
Ma
,
dall
'
altro
lato
,
un
pessimismo
consigliere
di
inerzia
o
di
attesa
passiva
sarebbe
altrettanto
romantico
.
Antiromantico
,
o
non
romantico
,
è
chi
non
ignora
i
limiti
umani
,
ma
non
perciò
si
sente
impotente
;
chi
conosce
le
difficoltà
e
studia
i
mezzi
migliori
per
affrontarle
;
chi
è
disposto
a
subire
la
sofferenza
e
la
lotta
,
senza
darsi
per
vinto
.
Per
lo
stato
d
'
incertezza
e
di
pericolo
in
cui
si
trova
oggi
il
genere
umano
,
i
romantici
sono
ancora
troppi
e
gli
antiromantici
troppo
pochi
.
Ma
se
un
insegnamento
si
può
trarre
dal
romanzo
di
Segal
,
esso
è
antiromantico
.
Un
amore
felice
,
sia
pure
espresso
nella
forma
della
retorica
scurrile
che
è
oggi
di
moda
,
distrutto
in
qualche
mese
da
un
male
ineluttabile
:
che
può
insegnare
questa
storia
?
Che
il
paradiso
è
lontano
.
StampaQuotidiana ,
Il
problema
dei
rapporti
fra
intellettuali
e
potere
è
un
tema
ricorrente
.
In
questi
giorni
si
è
svolto
un
convegno
su
questo
tema
,
in
occasione
della
pubblicazione
del
quarto
volume
degli
«
Annali
della
storia
d
'
Italia
»
einaudiana
,
intitolato
appunto
Intellettuali
e
potere
.
Nell
'
ultima
riunione
del
Comitato
centrale
Aldo
Tortorella
,
responsabile
dell
'
organizzazione
culturale
del
pci
,
ha
svolto
un
'
ampia
relazione
in
cui
ripropone
il
tema
del
«
ruolo
delle
istituzioni
culturali
per
il
rinnovamento
e
la
trasformazione
della
società
e
dello
Stato
»
.
Si
sta
svolgendo
a
Roma
un
convegno
promosso
da
intellettuali
del
psi
,
che
dovrebbe
concludersi
,
nientemeno
,
con
«
un
manifesto
per
la
cultura
italiana
»
.
Non
sono
passati
molti
giorni
dalla
conclusione
dell
'
Assemblea
nazionale
della
dc
,
provocata
o
ispirata
da
uomini
di
cultura
cattolici
preoccupati
del
venir
meno
della
tensione
ideale
nella
lotta
politica
in
Italia
,
il
cui
protagonista
è
da
più
di
trent
'
anni
un
partito
che
si
chiama
cristiano
.
Il
tema
è
ricorrente
,
perché
i
rapporti
fra
politica
e
cultura
sono
difficili
.
All
'
atteggiamento
di
diffidenza
del
politico
per
l
'
intellettuale
corrisponde
un
analogo
atteggiamento
di
diffidenza
dell
'
intellettuale
per
il
politico
.
Alcuni
anni
fa
è
stata
pubblicata
la
traduzione
italiana
del
libro
di
R
.
Hofstadter
,
Società
e
intellettuali
in
America
(
Einaudi
,
Torino
1968
)
,
che
,
pur
riferendosi
agli
Stati
Uniti
degli
anni
del
maccartismo
,
presenta
un
'
ampia
documentazione
storica
sul
tema
del
conflitto
permanente
fra
l
'
uomo
politico
che
ha
o
crede
di
avere
i
piedi
per
terra
e
l
'
idealista
nelle
nuvole
,
accusato
di
inventare
progetti
bellissimi
ma
irrealizzabili
.
Una
versione
recentissima
e
casalinga
di
questa
antica
avversione
ho
colto
in
un
'
intervista
pubblicata
una
settimana
fa
,
in
cui
il
ministro
Marcora
,
volendo
tirare
le
orecchie
agli
ottimisti
,
dice
a
un
certo
punto
:
«
Sono
un
uomo
pratico
,
io
.
Sono
un
vecchio
lombardo
,
sto
in
politica
da
trent
'
anni
,
non
sono
un
intellettuale
.
Guardo
al
sodo
»
.
Non
ci
vuole
molta
fantasia
a
immaginare
una
battuta
diametralmente
opposta
in
bocca
a
un
intellettuale
:
«
Sono
un
uomo
che
cerca
di
capire
come
vanno
le
cose
.
Non
improvviso
,
ci
penso
su
.
Non
sono
un
politico
.
Guardo
nel
fondo
»
.
Proprio
perché
questi
rapporti
sono
difficili
,
e
sono
difficili
perché
l
'
intellettuale
e
il
politico
hanno
vocazioni
,
ambizioni
,
progetti
di
vita
,
capacità
diverse
,
e
non
c
'
è
gioco
di
prestigio
dialettico
che
valga
a
mediare
o
a
superare
queste
differenze
,
il
problema
non
si
risolve
con
alternative
drastiche
come
questa
:
«
L
'
intellettuale
è
un
seminatore
di
dubbi
»
(
così
Rosellina
Balbi
sulla
«
Repubblica
»
)
.
«
No
,
è
un
raccoglitore
di
certezze
»
(
così
,
almeno
sembra
,
Sanguineti
sull
'
«
Unità
»
)
.
Per
quanto
il
problema
dei
rapporti
fra
intellettuali
e
potere
sia
un
tema
ricorrente
,
o
forse
proprio
per
questo
,
non
è
un
problema
cui
si
possa
dare
una
soluzione
netta
una
volta
per
sempre
.
E
non
si
può
almeno
per
due
ragioni
.
Prima
di
tutto
perché
questa
benedetta
categoria
degl
'
intellettuali
è
vasta
,
varia
,
divisa
,
e
ogni
volta
che
se
ne
parla
bisogna
intendersi
bene
di
che
cosa
si
vuol
parlare
.
In
secondo
luogo
,
perché
,
dato
per
ammesso
che
i
rapporti
tra
gli
intellettuali
(
ma
quali
intellettuali
?
)
e
il
potere
siano
difficili
,
non
è
affatto
detto
siano
sempre
della
stessa
natura
.
Alcuni
anni
fa
mi
è
accaduto
di
distinguere
gl
'
intellettuali
che
ho
chiamato
«
esperti
»
,
da
quelli
che
ho
chiamato
«
ideologi
»
.
Vedo
che
la
distinzione
è
stata
ripresa
da
Corrado
Vivanti
,
se
pure
con
qualche
riserva
,
nella
prefazione
al
volume
degli
annali
einaudiani
dianzi
citato
.
Mi
sono
accorto
dopo
che
nel
notissimo
rapporto
della
Commissione
trilaterale
sulla
crisi
della
democrazia
si
distinguono
gli
intellettuali
tecnocrati
da
quelli
«
orientati
verso
i
valori
»
(
«
value
-
oriented
»
)
:
distinzione
analoga
alla
mia
,
se
pure
caricata
di
un
giudizio
di
valore
,
positivo
per
i
primi
,
negativo
per
i
secondi
,
lontanissimo
dalle
mie
intenzioni
.
La
distinzione
è
rilevante
,
a
mio
parere
,
perché
il
rapporto
fra
intellettuali
e
potere
cambia
secondo
che
ci
si
riferisca
agli
esperti
o
agli
ideologi
.
I
primi
offrono
ai
politici
conoscenze
,
informazioni
,
dati
elaborati
;
i
secondi
principi
,
direttive
,
prospettive
di
azione
.
Nella
irrequietezza
degl
'
intellettuali
che
hanno
agitato
le
acque
stagnanti
della
democrazia
cristiana
vedo
lo
stato
d
'
animo
tipico
dell
'
intellettuale
che
fa
appello
ai
valori
,
chiede
il
ritorno
ai
principi
primi
,
e
inalbera
la
questione
morale
;
al
contrario
,
nel
rivolgersi
,
del
resto
non
per
la
prima
volta
,
del
partito
comunista
agli
uomini
di
cultura
,
vedo
soprattutto
l
'
interesse
che
ha
questo
partito
,
depositario
dei
principi
che
lo
hanno
fatto
nascere
e
ai
quali
non
può
abdicare
(
pur
potendoli
aggiornare
)
senza
venir
meno
alla
propria
funzione
di
partito
-
guida
,
nell
'
attrarre
a
sé
uomini
esperti
nei
diversi
campi
del
sapere
scientifico
.
In
questi
due
percorsi
contrari
dell
'
uomo
di
principi
verso
un
partito
prammatico
e
del
partito
di
principi
verso
gli
esperti
,
si
possono
cogliere
,
da
due
parti
diverse
,
anzi
opposte
,
i
due
vizi
principali
della
nostra
vita
politica
:
senza
alti
ideali
per
quel
che
riguarda
il
partito
maggiore
e
di
maggior
governo
;
senza
gli
strumenti
conoscitivi
necessari
per
la
trasformazione
di
uno
Stato
diventato
anacronistico
,
per
quel
che
riguarda
i
partiti
e
i
movimenti
della
sinistra
(
che
non
possono
pretendere
di
trasformare
il
mondo
,
secondo
il
vecchio
detto
di
Marx
,
se
non
dopo
averlo
compreso
)
.
L
'
altra
ragione
per
cui
il
rapporto
fra
intellettuali
e
potere
suscita
tante
discussioni
dipende
dal
fatto
che
non
si
tratta
di
un
rapporto
a
senso
unico
.
Molte
inutili
discussioni
nascono
dallo
scambiare
l
'
analisi
di
questo
rapporto
a
molte
direzioni
con
il
desiderio
che
il
rapporto
sia
quello
che
ciascuno
di
noi
ritiene
giusto
.
Questo
rapporto
cambia
secondo
l
'
idea
che
i
singoli
intellettuali
hanno
della
loro
funzione
nella
società
(
idea
dietro
la
quale
ci
può
essere
addirittura
una
visione
globale
del
mondo
)
,
e
secondo
le
circostanze
storiche
.
C
'
è
chi
esalta
la
vita
contemplativa
in
paragone
a
quella
attiva
e
dispregia
coloro
che
si
perdono
nelle
cure
del
mondo
.
C
'
è
per
contrasto
chi
ritiene
che
l
'
uomo
di
cultura
abbia
il
dovere
di
impegnarsi
nell
'
azione
politica
,
perché
al
di
fuori
della
comunità
ordinata
al
bene
comune
non
c
'
è
salvezza
.
Chi
ha
ragione
e
chi
ha
torto
?
Ci
sono
coloro
che
adoperano
le
armi
proprie
dell
'
intelligenza
(
le
idee
,
le
opinioni
,
le
credenze
,
le
dottrine
,
gl
'
ideali
)
per
combattere
il
potere
costituito
e
naturalmente
per
costituirne
un
altro
che
ritengono
migliore
.
E
ci
sono
per
contrasto
coloro
che
esercitano
la
loro
influenza
per
consolidare
il
governo
del
loro
paese
(
sono
i
cosiddetti
«
organizzatori
del
consenso
»
)
.
Ancora
una
volta
,
chi
ha
ragione
e
chi
ha
torto
?
Ma
si
può
mai
comparare
chi
promuove
il
consenso
per
salvare
uno
Stato
democratico
minacciato
dalla
violenza
eversiva
da
destra
e
da
sinistra
,
uno
Stato
che
ammette
il
dissenso
,
con
chi
si
piega
a
sollecitare
consensi
a
uno
Stato
totalitario
dove
i
dissenzienti
sono
puniti
o
soppressi
?
Sono
domande
retoriche
,
ma
valgono
a
far
capire
che
il
problema
del
rapporto
fra
intellettuali
e
potere
ha
molti
aspetti
e
non
può
avere
una
sola
risposta
,
e
di
conseguenza
la
domanda
così
frequentemente
e
fastidiosamente
ripetuta
quale
debba
essere
la
politica
degl
'
intellettuali
verso
i
partiti
o
dei
partiti
verso
gli
intellettuali
,
è
completamente
priva
di
senso
,
se
non
si
specifica
quali
intellettuali
,
in
quale
contesto
,
e
per
quali
obiettivi
.
Una
cosa
è
certa
(
anche
il
«
seminatore
di
dubbi
»
può
permettersi
talora
di
avere
qualche
certezza
)
:
alla
crisi
politica
generale
che
è
sotto
gli
occhi
di
tutti
-
basti
pensare
che
il
problema
dei
rapporti
Est
-
Ovest
è
ben
lontano
dall
'
essere
risolto
,
e
già
si
pone
con
forza
il
problema
dei
rapporti
Nord
-
Sud
,
la
cui
soluzione
dipende
dalla
soluzione
del
primo
-
,
corrisponde
una
crisi
delle
idee
,
anzi
,
com
'
è
stato
detto
più
volte
,
una
crisi
delle
idee
per
risolvere
la
crisi
.
Di
fronte
alla
quale
noi
ci
teniamo
le
nostre
piccole
e
domestiche
crisi
di
governo
che
,
paragonate
alla
tragicità
dei
conflitti
che
agitano
la
fine
di
questo
nostro
tragico
secolo
,
ci
appaiono
come
zuffe
di
polli
in
una
stia
.