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Non è decisionismo ( Bobbio Norberto , 1984 )
StampaQuotidiana ,
Ci sono parole che il linguaggio comune cede al linguaggio dotto , e viceversa vi sono parole che il linguaggio dotto cede al linguaggio comune . Questo secondo tipo di prestito sta avvenendo in questi giorni per la parola « decisionismo » . Ma la cessione è avvenuta con la totale perdita del significato originario . Ho l ' impressione che coloro che parlano di decisionismo a proposito della decisione del governo di far approvare al Parlamento il decreto sulla scala mobile non se ne siano accorti , e quindi stiano dando al termine un significato completamente diverso da quello in uso nel linguaggio dotto . Un significato che non può non ingenerare confusione e intorbidare le acque già abbastanza limacciose del dibattito politico . Come tutti gli « ismi » , « decisionismo » designa non un fatto , non un comportamento , né una serie di fatti o di comportamenti , ma una teoria . Si tratta della teoria giuridica dello scrittore di destra , Cari Schmitt , nota da tempo agli addetti ai lavori , riscoperta in questi ultimi anni , e rimessa in circolazione , non si sa bene con quale intenzione , da alcuni giuristi e scrittori politici di sinistra , sempre in polemica con la teoria meramente formale della democrazia ( l ' unica , a mio parere , sensata e accettabile ) , anche a prezzo di andare a braccetto con la vecchia ( e nuova ma non rinnovata ) destra reazionaria . Secondo Schmitt , le norme giuridiche non sono , come hanno sempre sostenuto i fautori dello Stato di diritto , ovvero dello Stato in cui il potere politico è sottoposto al diritto , il prodotto di un potere autorizzato a creare diritto secondo le norme di una costituzione che stabilisce chi ha il potere di emanare norme giuridiche e con quali procedure , ma sono ( o dovrebbero essere ) il prodotto di una pura decisione del potere in quanto tale . Insomma , il decisionismo è una teoria del diritto che si contrappone a un ' altra teoria del diritto , il cosiddetto normativismo , e vi si contrappone perché sostiene il primato della politica sul diritto , mentre i fautori dello Stato di diritto e della democrazia come insieme di regole del gioco per la formazione della volontà politica , sostengono al contrario il primato del diritto sulla politica . Ora ciò che sta avvenendo in Italia non ha niente a che vedere con la disputa dottrinale degli anni della repubblica di Weimar tra fautori dello Stato democratico e fautori dello Stato autocratico . Ciò di cui si sta discutendo oggi in Italia è se una certa decisione possa o debba essere presa in seguito all ' accordo tra le parti o in seguito a una deliberazione del Parlamento . Il decisionismo come teoria secondo la quale il diritto è in ultima istanza sempre il prodotto di un potere di fatto non c ' entra nulla . Tanto la decisione presa in seguito a un accordo tra parti autorizzate dalla Costituzione a decidere quanto la decisione presa da un organo collegiale autorizzato dalla stessa Costituzione a prendere decisioni vincolanti per tutta la collettività , com ' è il Parlamento , sono decisioni regolate dal diritto . Naturalmente si può discutere quale delle due procedure , quella che prevede che la decisione sia presa in seguito ad accordo tra le parti interessate oppure quella che attribuisce il diritto di decidere a un organo che può prendere la decisione in base alla regola della maggioranza , sia più opportuna o addirittura , in una determinata situazione e in una data materia , più legittima o più conforme alla Costituzione . Ma una tale discussione non riguarda affatto la disputa dottrinale per cui è nata in altri tempi la teoria del decisionismo . Con ciò non si vuole negare che ci siano differenze tra le due procedure . Ma si tratta di differenze che sono totalmente al di là della disputa tra normativisti e decisionisti . La prima differenza è molto semplice : quando una decisione viene presa in seguito a un accordo tra le parti , è ovvio che la decisione debba essere presa all ' unanimità . Se una delle due parti non accetta l ' accordo , la decisione è impossibile ; se la decisione è presa , è segno che il consenso è stato dato da tutte e due le parti , ed essendo solo due i soggetti della decisione la decisione è unanime . Quando una decisione è presa invece da un organo collegiale composto da una pluralità di persone , basta di solito , affinché una decisione venga considerata valida , la maggioranza . La regola della maggioranza è la regola democratica per eccellenza non già perché sia antidemocratica la regola dell ' unanimità , ma perché la regola dell ' unanimità è applicabile soltanto in pochi casi , tra cui quello in cui i soggetti chiamati a prendere una decisione siano due , oppure il gruppo formato da più individui sia tanto omogeneo che si possa prevedere una identità di interessi o di opinioni fra i suoi membri . In qualsiasi altro caso la regola o non è applicabile perché paralizza la possibilità stessa di arrivare a una decisione , oppure è ingiusta perché attribuisce a un solo membro del gruppo il diritto di veto . Una seconda differenza è meno ovvia e per questo meriterebbe ben altra riflessione . Il regime parlamentare è nato con la netta contrapposizione tra rappresentanza politica e rappresentanza degl ' interessi . Per rappresentanza politica distinta dalla rappresentanza degl ' interessi si è sempre intesa la rappresentanza degl ' interessi generali contrapposta alla rappresentanza d ' interessi particolari . Proprio per distinguere queste due forme di rappresentanza e per affermare la supremazia della prima sulla seconda è stato introdotto in tutte le costituzioni democratiche dalla Costituzione francese del 1791 in poi il divieto di mandato imperativo ovvero l ' obbligo imposto ai rappresentanti una volta eletti di difendere interessi non corporativi . Che questo principio oggi . sia continuamente violato , è una realtà che io stesso ho già rilevato più volte . Ma resta il fatto che la rappresentanza parlamentare è pur sempre meno particolaristica , nonostante forti tendenze in contrario , che la rappresentanza di grandi gruppi organizzati come le associazioni operaie e padronali che si accordano , quando riescono ad accordarsi , unicamente allo scopo di regolare i loro reciproci rapporti . Non c ' è dubbio che una decisione presa in base alla procedura dell ' accordo fra le parti sia una rivincita della rappresentanza degl ' interessi su quella politica . Se diventasse la procedura maestra per prendere decisioni collettive , sarebbe , anzi , la fine della rappresentanza politica , e segnerebbe la sconfitta di una delle battaglie secolari di ogni governo democratico . La decisione per accordo tra grandi organizzazioni in naturale conflitto tra loro , la cosiddetta « concertazione » , è un aspetto , forse l ' aspetto saliente , di quella nuova forma di Stato che viene chiamato , a torto o a ragione , Stato neocorporativo , e in cui alcuni osservatori sono indotti a vedere una delle ragioni principali di quella « trasformazione » della democrazia cui non si può non guardare con una certa preoccupazione . Se per decisionismo s ' intende un po ' rozzamente una svolta nello sviluppo della democrazia , non è detto che questa non si trovi proprio nella prevalenza della rappresentanza degl ' interessi sulla rappresentanza politica , prevalenza di cui può essere considerata una manifestazione la tendenza neocorporativa assai più che la riconduzione del flusso delle decisioni necessarie a governare nell ' alveo dei rapporti tra governo e Parlamento .
Il doppio Stato ( Bobbio Norberto , 1984 )
StampaQuotidiana ,
Uno dei temi maggiormente discussi in questi ultimi anni fra studiosi che s ' interrogano sullo stato attuale della democrazia , è il neocorporativismo . Il tema è stato dibattuto , a dire il vero , più fuori d ' Italia che nel nostro paese , ma da due o tre anni anche da noi il dibattito è cominciato e procede a ritmo sempre più accelerato . Dopo la raccolta di saggi , La società neocorporativa , a cura di M . Maraffi , uscita nel 1981 presso Il Mulino di Bologna , sono apparse a brevissima distanza di tempo , presso lo stesso editore , altre due raccolte di articoli ( in gran parte stranieri ) sull ' argomento , L ' organizzazione degli interessi dell ' Europa occidentali ( 1983 ) e La politica degli interessi nei paesi industrializzati ( 1984 ) nonché il libro , ben documentato e ben ragionato , di L . Bordogna e G . Provasi , Politica , economia i rappresentanza degli interessi , che reca un sottotitolo già di per se stesso significativo : Uno studio sulle recenti difficoltà delle democrazie occidentali . Ai lettori che non sono al corrente del dibattito fra gli addetti ai lavori e hanno invece reminiscenze storiche in cui il termine « corporativismo » è legato alla dottrina fascista oppure hanno nell ' orecchio il gergo giornalistico e corrente in cui per società corporativa s ' intende una società frammentata in tanti piccoli gruppi che tendono a far prevalere i loro interessi particolaristici sugli interessi generali , occorre rivolgere due avvertimenti : a ) quando oggi si parla di neocorporativismo , ci si riferisce a un assetto che si è venuto formando in società democratiche , anzi in alcune delle democrazie europee più avanzate , come la Svezia , tanto che è diventata ormai abituale la distinzione fra corporativismo statale o fascista e corporativismo sociale o democratico ; b ) il neocorporativismo non ha niente a che vedere con il fenomeno spesso lamentato , specie in Italia , della disgregazione del tessuto sociale in tanti gruppi e gruppuscoli rivali , le cui rivendicazioni indisciplinate e quindi imprevedibili rendono sempre più difficile il governo della società globale . Anzi , in un certo senso , è proprio l ' opposto : si chiama oggi assetto neocorporativo quello in cui si è formata la massima concentrazione delle organizzazioni degli interessi ( volgarmente i sindacati ) e queste organizzazioni prendono decisioni collettive di grande rilievo per tutta la società attraverso i loro rappresentanti al vertice insieme con organi del governo . Per capire la ragione di questa terminologia che può apparire ad alcuni fuorviante , bisogna rendersi conto che per « corporativismo » in generale nel linguaggio tecnico ormai consolidato s ' intendono principalmente due cose : a ) una dottrina che propugna la collaborazione delle due grandi classi antagonistiche dei datori di lavoro e dei lavoratori , anziché il conflitto permanente risolto di volta in volta con aggiustamenti non solo dei contenuti ma anche delle regole di gioco , oppure la sopraffazione di una classe sull ' altra ; b ) uno strumento istituzionale fondamentale , consistente nella sostituzione della rappresentanza immediata degli interessi particolari in contrasto , detta anche rappresentanza corporativa , alla rappresentanza politica , propria della democrazia rappresentativa , in cui l ' eletto , non vincolato al mandato dei suoi elettori , deve provvedere esclusivamente agli interessi generali . Varie sono le ragioni per cui in Italia il dibattito sul neocorporativismo ha stentato a farsi strada . Anzitutto , vi è una questione di principio : la dottrina liberale democratica italiana ha costantemente rifiutato di riconoscere la legittimità di una rappresentanza degli interessi accanto a quella politica , e ne è prova la nostra Costituzione che l ' ha relegata in un istituto secondario , il Consiglio nazionale dell ' economia e del lavoro , che ha potere unicamente consultivo , e che , oltretutto , è nato morto , e non appena risuscitato , è subito rimorto . In secondo luogo sono da prendere in considerazione le condizioni stesse in cui si è svolto in questi anni in Italia il conflitto sociale , ben di verso , almeno sino ad ora , da quello dei paesi in cui si è venuto assestando a poco a poco nel dopoguerra un sistema neocorporativo . Questo esiste soltanto nei paesi in cui vi è stato un forte partito socialdemocratico , tanto forte da essere diventato per periodi più o meno lunghi partito di governo , il partito che è stato chiamato del « compromesso » , ovvero dell ' accettazione temporanea del sistema capitalistico corretto da politiche redistributive . In Italia il più forte partito della classe operaia non è e non vuole essere un partito socialdemocratico e nulla vi è di più estraneo alla sua « filosofia » e a quella dei maggiori sindacati , anche di quelli di matrice non comunista , che l ' idea del compromesso sociale , da non confondersi con il compromesso politico , che invece è parte integrante della strategia del partito comunista ( ma la differenza fra i due tipi di compromesso richiederebbe un lungo discorso che rimando ad altra occasione ) . Dal punto di vista del sistema politico nel suo complesso , l ' assetto neocorporativo rappresenta uno spostamento del luogo classico delle decisioni collettive , che in un sistema parlamentare risiede nel Parlamento e nel governo , mentre nell ' assetto neocorporativo la decisione è presa al di fuori del parlamento e del governo , che rappresenta , nella più favorevole delle ipotesi , solo una delle due parti in conflitto . Di questi due sistemi decisionali , il primo è completamente istituzionalizzato , l ' altro è un sistema ancora debolmente o non affatto istituzionalizzato che , emerso a poco a poco dalla società civile , costituisce uno dei fenomeni più appariscenti della « trasformazione » della democrazia tuttora in corso . A un fenomeno di questo genere non può non far pensare il contrasto che si è avuto qualche mese fa in Italia fra governo e opposizione rispetto al modo di prendere la decisione sul costo del lavoro . Si è trattato infatti di un contrasto fra due procedure alternative per la formazione delle decisioni collettive : mediante accordo fra le parti in cui lo Stato entra soltanto come mediatore , oppure attraverso la formazione della maggioranza nella sede propria della rappresentanza politica . Si potrebbe parlare addirittura di una vera e propria forma di « doppio Stato » , non nel senso del contrasto fra Stato normativo e Stato discrezionale , analizzato a suo tempo da Ernst Fraenkel , ma nel senso del contrasto fra due procedure di decisione , che si escludono a vicenda , pur essendo entrambe compatibili , sui principi fondamentali della democrazia , secondo la quale una decisione collettiva deve essere legittimata in ultima istanza dal consenso diretto o indiretto degli interessati .
Il potere in maschera ( Bobbio Norberto , 1984 )
StampaQuotidiana ,
La conclusione dell ' articolo precedente , in cui parlo di un « doppio Stato » a proposito dello Stato neocorporativo , è manifestamente forzata . Nella realtà , e senza forzature , un doppio Stato esiste davvero in Italia , ma non è quello neocorporativo : è lo Stato che deriva dalla sopravvivenza e dalla robusta consistenza di un potere invisibile accanto a quello visibile . Alcuni anni or sono uno studioso americano in un libro tradotto anche in italiano , I confini della legittimazione ( De Donato , Roma ) , per sottolineare l ' estensione del potere occulto negli Stati Uniti negli anni di Nixon , ha usato l ' espressione « the duali State » che corrisponde esattamente al nostro « doppio Stato » . Dei due presunti Stati di una società neocorporativa dicevo che erano entrambi compatibili coi principi fondamentali della democrazia . La stessa cosa non vale quando dei due Stati l ' uno è lo Stato visibile , l ' altro quello invisibile . Lo Stato invisibile è l ' antitesi radicale della democrazia . Si può definire la democrazia ( ed è stata di fatto definita ) nei modi più diversi . Ma non vi è definizione in cui possa mancare l ' elemento caratterizzante della visibilità o della trasparenza del potere . Governo democratico è quello che svolge la propria attività in pubblico , sotto gli occhi di tutti . E deve svolgere la propria attività sotto gli occhi di tutti perché ogni cittadino ha il diritto di essere posto in grado di formarsi una libera opinione sulle decisioni che vengono prese in suo nome . Altrimenti , per quale ragione dovrebbe essere chiamato a recarsi periodicamente alle urne , e su quali basi potrebbe esprimere il proprio voto di approvazione e di condanna ? Che il potere tenda a mettersi la maschera per non farsi riconoscere e per poter svolgere la propria azione lontano da sguardi indiscreti , è una vecchia storia . Questa vecchia storia ha anche un celebre nome che al solo pronunciarlo mette i brividi nella schiena : arcana imperii . Nella sua analisi magistrale del potere Elias Canetti ha scritto : « Il segreto sta nel nucleo più interno del potere » ( Massa e potere , Adelphi , Milano 1981 ) . I padri fondatori della democrazia pretesero di dar vita a una forma di governo che non avesse più maschera , in cui gli arcani del dominio fossero definitivamente aboliti e questo « nucleo interno » distrutto . Molte sono le promesse non mantenute della democrazia reale rispetto alla democrazia ideale . E la graduale sostituzione della rappresentanza degl ' interessi alla rappresentanza politica di cui mi sono occupato nell ' articolo precedente è una di queste . Ma rientra , insieme con altre , nel capitolo generale delle cosiddette « trasformazioni » della democrazia . Il potere occulto , no . Non trasforma la democrazia , la perverte . Non la colpisce più o meno gravemente in uno dei suoi organi vitali , la uccide . Di tutte le promesse non mantenute , è quella che maggiormente ne offende lo spirito , ne devia il corso naturale , ne vanifica lo scopo . Grazie ai risultati ormai noti della Commissione parlamentare d ' inchiesta presieduta dall ' on. Tina Anselmi , ai numerosi documenti resi pubblici , alle dichiarazioni di parlamentari e di personaggi variamente autorevoli , alle inchieste giornalistiche , sappiamo ormai sulla loggia segreta di Licio Gelli molto di più di quello che si venne a sapere in seguito alle perquisizioni nella villa di Arezzo e nell ' ufficio di Castiglion Fibocchi del marzo 1981 . Ma prima di allora io stesso avevo cominciato a parlare , se pure con una espressione che era apparsa eccessiva , di « criptogoverno » ( in un articolo sulla « Stampa » del 23 novembre 1980 ) . Ho ora sott ' occhio la voluminosa e documentata relazione di minoranza dell ' on. Massimo Teodori , del partito radicale , sulla medesima inchiesta . La tesi principale ivi sostenuta , secondo cui la loggia P2 sarebbe stata parte integrante del sistema dei partiti e pertanto debba essere considerata come un effetto diretto della degenerazione partitocratica della democrazia italiana , dalla quale sarebbe derivata una vera e propria dislocazione del potere fuori dalle sedi costituzionalmente riconosciute , si può anche discutere e non accettare integralmente . Ma è da ritenere fuori discussione che la loggia P2 , come rileva giustamente Teodori , abbia esercitato in alcuni momenti della nostra vita nazionale una influenza ben più ampia , profonda , determinante , che una semplice lobby e abbia costituito , per l ' appartenenza degli affiliati alle più alte gerarchie dello Stato e ai più elevati strati della società , alti funzionari , diplomatici , generali , giornalisti , e quel che è ancora più scandaloso , uomini politici di quella che si chiama - oh , ironia dei nomi ! - l ' area democratica del nostro sistema politico , una compiuta organizzazione di potere occulto presso , dietro , sotto ( o sopra ? ) lo Stato . Indipendentemente dalle conseguenze direttamente politiche , che forse non sono da sopravvalutare , la formazione di una simile rete di potere sotterraneo è di per se stessa una vergogna nazionale dalla quale dobbiamo redimerci per poter diventare pienamente credibili come soggetti di un regime democratico nel consesso internazionale . Senza pregiudizi , s ' intende , verso le persone , giacché non tutte sono egualmente responsabili , ma anche senza indulgenze . Non possiamo però fingere di non accorgerci che sin d ' ora ciò che è emerso dalla documentazione è una prova avvilente della mediocrità intellettuale e morale di una parte non piccola della nostra classe dirigente . Le rivelazioni sulla vita di Gelli sono tali da farci restare allibiti ( e inorriditi ) alla scoperta che la maggior parte di coloro che sono entrati volontariamente nella sua cerchia per sottomettersi alla protezione di un uomo che non aveva altro scopo che quello di estendere il proprio potere con qualsiasi mezzo , rendendo in cambio della protezione servigi presuntivamente illeciti per la loro stessa segretezza , siano personaggi quasi tutti di altissimo rango , e nessuno di essi abbia avuto in anni di commerci sospetti con il fondatore della loggia un moto di ribellione , e abbia compiuto un atto di resipiscenza . Sono considerato uno che vede sempre nero , un pessimista cronico . Eppure confesso che non avrei mai immaginato che la vita italiana fosse stata inquinata sino a questo punto , sino al punto in cui non sai se più indignarti della bassa qualità dell ' intrigo o del grande numero delle persone che vi hanno preso parte , per la spudoratezza di chi ha guidato il gioco o per la insensibilità di coloro che l ' hanno accettato , e dei quali molti vengono chiamati nella retorica di rito delle cerimonie ufficiali « servitori dello Stato » . La realtà ha superato questa volta la più catastrofica delle immaginazioni . Lo Stato democratico deve essere ripristinato nella sua integrità . Il potere occulto deve essere snidato ovunque si annidi , inflessibilmente . Non ci possono essere due Stati . Lo Stato italiano è uno solo , quello della Costituzione repubblicana . Al di fuori non c ' è che l ' antistato che deve essere abbattuto cominciando dal tetto ed arrivando , se mai sarà possibile , alle fondamenta .
CONCORDATO E LIBERTÀ ( Spadolini Giovanni , 1971 )
StampaQuotidiana ,
Nessuno si stupisca della soddisfazione comunista per il voto sul Concordato alla Camera . Longo , che pure non è un amante delle sfumature , ha superato Togliatti nel giuoco delle allusioni e degli ammiccamenti filocattolici . Nelle file comuniste , a differenza di tutte le forze di sinistra , non c ' è stata una voce , una sola voce , che si sia schierata per l ' abrogazione del Concordato : la disciplina di partito ha funzionato ferreamente e gli eventuali dubbi o casi di coscienza hanno ceduto alla « ragion di Stato » del Pci , e oggi come ai tempi dell ' articolo 7 , come ai tempi della canonizzazione costituzionale dei Patti lateranensi , ventiquattro anni or sono , in sede di assemblea costituente . E si spiega . I comunisti hanno tutto l ' interesse a salvaguardare il « modello concordatario » per l ' Italia . Parliamo del modello concordatario : non di tutte le disposizioni del Concordato sottoscritto da Mussolini con Pio XI , evidentemente indifendibili anche per i seguaci del più spregiudicato tatticismo o mimetismo rivoluzionario . Preservando in Italia il Concordato , cioè un certo tipo di regime speciale e preferenziale fra Chiesa e Stato , i nostri comunisti - che vedono lontano molto più di tanti loro avversari - ipotizzano una somiglianza sempre maggiore del nostro paese con quegli Stati dell ' Europa orientale , in primis la Polonia , che elaborano faticosamente nuove formule concordatarie per superare i tanti ostacoli di una possibile convivenza , diciamolo pure armistiziale , fra Chiesa e comunismo . È la stessa ragione per cui la diplomazia vaticana più aperta a sinistra sostiene ad oltranza la salvaguardia del Concordato italiano , pur dichiarandosi , ed essendo , disponibile alle più larghe e accomodanti revisioni sui singoli articoli ( si ricordino le dichiarazioni , smentite solo a metà , di monsignor Casaroli : un nome che da solo è un programma ) . Anche larghi gruppi dirigenti della Chiesa cattolica considerano la difesa degli assetti concordatari italiani essenziale e imprescindibile al fine di realizzare , a Varsavia oggi e domani a Praga e a Budapest ( l ' operazione con Belgrado è già in atto : lo abbiamo visto con la visita di Tito al Papa ) , determinate forme di compromesso o di accomodamento concordatario , che restaurino le condizioni elementari e primordiali di quel proselitismo religioso che subì tante sanguinose umiliazioni e tante feroci ingiurie ai tempi di Stalin . C ' è in tutto questo una logica profonda : che sfugge solo agli spiriti superficiali . I Concordati si sono sempre imposti alla Chiesa per difendere l ' esercizio del ministero pastorale dalle esorbitanze o dalle prevaricazioni del potere politico : così fu con Napoleone e con Hitler , con risultati , in entrambi i casi , assai deludenti . Nei paesi dove la libertà religiosa è un dato della vita di ogni giorno , una conquista acquisita e irretrattabile , non si impongono , e neppure si consigliano , le scorciatoie concordatarie . Il caso italiano è reso , a sua volta , infinitamente più complesso e controverso e difficile dalla contemporaneità della soluzione della questione romana e della instaurazione del regime concordatario , coi patti , appunto , del 1929 nell ' Italia del fascismo e di Papa Ratti , i patti che crearono , in un nesso difficile a rivedere o a separare , lo Stato della Città del Vaticano , al posto del defunto potere temporale , e il nuovo tipo di relazioni fra le due rive del Tevere . Relazioni concordatarie , anziché separatiste , come nel sessantennio delle Guarentigie . Il complesso dei Patti lateranensi , com ' è noto , fu recepito nella Costituzione repubblicana e ne diventò in certo modo parte integrante : contro il parere di Croce e di Nenni ma con l ' appoggio determinante del partito di Togliatti , un partito per cui « Parigi vale sempre una messa » . Nella situazione italiana di adesso , sarebbe del tutto irrealistico pensare ad una abrogazione del Concordato , che finirebbe per rimettere in discussione lo stesso Trattato ( ma come potrà sopravvivere , anche nella sola revisione concordataria , l ' articolo primo del Trattato , quello che definisce la religione cattolica religione dello Stato ? ) . Il voto della Camera , sulle responsabili ed equilibrate dichiarazioni del presidente Colombo , ha rispecchiato in questo senso una situazione obbligata , un equilibrio delle forze politiche che non è nell ' interesse di nessuno turbare o sconvolgere . Per una larga revisione delle norme concordatarie , per un loro necessario adeguamento allo spirito e alla lettera della Costituzione , più che mai indifferibile dopo le recenti sentenze della Corte , si sono schierate , quasi senza riserve , tutte le correnti di quella grande confederazione di forze che è la democrazia cristiana non meno dei nuclei più rappresentativi della tradizione laica e risorgimentale , senza neppure l ' eccezione dei liberali di Malagodi che , pur astenendosi sul documento governativo , hanno riconosciuto il valore del principio revisionistico . Ora c ' è da augurarsi che i negoziati bilaterali fra Italia e Santa Sede procedano in uno spirito di larga comprensione , senza impennate di intransigenza o brividi di guerra religiosa : nel solco delineato , con eccellente lavoro di scavo , dalla commissione Gonella , una commissione di cui faceva parte un uomo come Jemolo . Oggi più ancora che ai tempi del governo Moro del '67 , benemerito artefice del primo passo revisionista , esiste un larghissimo schieramento parlamentare in favore dell ' ammodernamento delle norme concordatarie . Sarebbe grave e imperdonabile che tale capitale di disponibilità , un po ' sincera e un po ' strumentale , del mondo laico verso la Chiesa e verso i cattolici fosse messo a repentaglio o in pericolo da un ritorno di fiamma dell ' integralismo confessionale sui due punti - chiave suscettibili dei confronti più delicati , la revisione dell ' art. 34 in tema di legislazione matrimoniale e la revisione dell ' art. 36 sull ' insegnamento religioso nelle scuole . Occorre , da parte di entrambi i contraenti , un grande senso di responsabilità e di equilibrio . Molto più dello scudo concordatario , sempre labile ed effimero e precario , servirà alla Chiesa cattolica post - conciliare il soffio della libertà religiosa , una libertà che viene sempre offesa o diminuita dal laccio di un privilegio o dal dono di un ' esenzione . Una delegazione della Santa Sede , che interpretasse veramente lo spirito del concilio vaticano secondo , dovrebbe far getto di talune norme concordatarie con maggior fretta , e diciamolo pure con maggiore facilità , degli interlocutori laici . La pace dei cuori vale più di tutte le concessioni o garanzie concordatarie . Un ' eventuale campagna per il referendum abrogativo della legge sui casi di divorzio non contribuirebbe certo né alla pace dei cuori né alla revisione del Concordato . Rischierebbe , anzi , di compromettere la prima e di paralizzare la seconda . A vantaggio di quelli che rimangono , oggi come ieri , i comuni avversari dello spirito di religione e dello spirito di libertà .
Il paradosso della riforma ( Bobbio Norberto , 1987 )
StampaQuotidiana ,
Da qualche tempo si parla della riforma costituzionale con un fervore senza precedenti . Sono intervenute nel dibattito , forse per la prima volta contemporaneamente , le più alte autorità dello Stato , a cominciare dal presidente della Repubblica , che , con espressione felice , ha auspicato al paese una « democrazia più matura » . La discussione è nata circa una decina d ' anni fa , ha attraversato due legislature , l ' ottava e la nona , e ora si riaffaccia all ' inizio della decima . Sono stati scritti sull ' argomento migliaia di articoli , sono state date migliaia d ' interviste , sono stati pubblicati decine di libri di esperti . Sotto la direzione di Gianfranco Miglio si era costituito alcuni anni fa un gruppo di studio per la « nuova Costituzione » da cui sono usciti nel 1983 tre o quattro volumi molto commentati alla loro apparizione . Per ben due volte si è detto : questa sarà la legislatura della grande riforma . Ora è la terza . Eppure sinora la grande riforma non ha mosso neppure il primo passo . Né la grande né la piccola . Neppure la piccolissima , quella dei regolamenti parlamentari . Perché ? La spiegazione più semplice di cui tutti sono consapevoli ma che fingono d ' ignorare , è la seguente . L ' esigenza di cambiare la Costituzione nasce dalla constatazione , diventata ormai quasi ossessiva , che il nostro sistema politico è inefficiente . Ma è proprio l ' inefficienza del sistema che sinora ha reso difficile , se non impossibile , il cambiamento . La funzione del sistema politico è quella di produrre decisioni ovvero regole imperative per risolvere conflitti d ' interesse fra individui e fra gruppi al fine di renderne possibile la pacifica convivenza . Si dice che un sistema politico funziona bene quando riesce a prendere decisioni opportune nel più breve tempo possibile e con il minor dispendio di energie da parte dei decisori . Sotto questo aspetto il nostro sistema avrebbe dimostrato di non essere un buon sistema . Di qua l ' esigenza di riformarlo sveltendone le procedure . La maggior parte delle proposte sinora fatte convergono verso questo scopo , dalla modificazione del sistema bicamerale alla riforma dei regolamenti delle Camere , dall ' attribuzione di maggiore autorità al presidente del Consiglio al cambiamento della legge elettorale per diminuire il numero dei partiti e rendere meno affollate le coalizioni di governo . Queste proposte per essere attuate debbono trasformarsi in decisioni . Ma chi deve prendere queste decisioni ? Naturalmente gli stessi organi dello Stato di cui si chiede a gran voce la riforma perché decidono male . Con un ' aggravante in più : che le decisioni in materia costituzionale sono regolate da norme che le rendono più difficili . Il paradosso della riforma costituzionale , il paradosso che spiega la paralisi , è tutto qui : per riformare la Costituzione occorrono condizioni , per lo più aggravate , dalla cui mancanza è nata l ' esigenza di riformare la Costituzione . In altre parole , le condizioni che rendono necessaria la riforma sono quelle stesse che sinora l ' hanno resa impossibile . Se la riforma della Costituzione fosse un ' operazione facile , vorrebbe dire che il nostro sistema funziona bene . Ma se funzionasse bene , che bisogno ci sarebbe della riforma ? Siamo in un circolo vizioso , da cui non si sa bene come uscire . Ho voluto forzare un po ' il ragionamento unicamente per mostrare la reale difficoltà dell ' operazione , e per cercare di capire perché , nonostante la montagna di parole , non ne sia venuto fuori in tanti anni neppure il topolino di un fatto concreto . La discussione è ancora ferma ai preliminari : è meglio cominciare dalle grandi riforme e procedere verso le piccole o partire dalle piccole per salire a poco a poco alle grandi ? Conviene dare la precedenza alla Costituzione vera e propria oppure al sistema elettorale ? La prima alternativa sembra ormai risolta : si poteva cominciare dalle piccole riforme subito , ma ora , dopo tanti rinvii e tante aspettative deluse , non si può cominciare se non da qualche azione clamorosa . Dare una risposta alla seconda alternativa è più difficile , perché , se ci sono convergenze rispetto alla prima , rispetto a questa ogni partito va per conto suo e cerca di tirar l ' acqua al proprio mulino . E si capisce : non esiste una procedura elettorale da cui possano trarre vantaggio tutti i partiti . C ' è una sola procedura che a rigore renda a ciascuno il suo ed è la proporzionale pura con il minimo di correttivi . Ma , guarda caso , questa è proprio una delle cause del difetto del sistema per quel che riguarda la sua capacità operativa . Di qua un altro paradosso : il procedimento più equo dal punto di vista del modo di comporre il Parlamento è anche quello meno conveniente dal punto di vista del suo buon funzionamento . Si può mettere il problema anche in questo modo : i due organi più importanti per la formazione delle decisioni sono il Parlamento e il Governo . La proporzionale è la procedura migliore per la composizione del Parlamento che , se deve essere un organo rappresentativo , deve rispecchiare con la massima precisione gli orientamenti del paese . Per la capacità operativa del Governo , invece , occorre la drastica riduzione dei gruppi politici , che si può ottenere soltanto abolendo o correggendo la proporzionale . Queste difficoltà sono sotto gli occhi di tutti . Oggi rese se mai più gravi dal fatto che il naturale inizio di un serio dibattito avrebbe potuto essere una commissione parlamentare . Ma questo espediente è stato ormai bruciato durante la nona legislatura con la Commissione presieduta dall ' on. Bozzi , composta da alcuni dei più bravi giuristi italiani . Il risultato del lavoro della Commissione è stato una bella relazione , diventata rapidamente un documento d ' archivio , se non addirittura carta da macero . Nessuno oggi pensa di proporre la ripetizione della prova . Si parla d ' incontri bilaterali . Ma che cosa s ' intende ? Se s ' intende l ' incontro di un partito , per esempio quello di maggioranza relativa , con i principali partiti di governo e di opposizione , la cosa sarebbe possibile ma non sarebbe giusta . Se s ' intende l ' incontro di ogni partito con tutti gli altri , come si dovrebbe intendere alla lettera , ne verrebbe fuori una bella confusione . Dopo quasi dieci anni insomma sembra che si debba cominciare da capo . Ma ormai non si può più tornare indietro . La grande riforma è diventata una sfida per la nostra classe politica . Una sfida che essa deve vincere se non vuol perdere un ' altra parte della sua credibilità . A furia di fare della Costituzione il capro espiatorio di tutti i guai della repubblica , si è finito per screditarla . Non si può più tornare indietro ma non si può neppure fallire . Il fallimento sarebbe un ulteriore segno della crisi irreversibile del sistema democratico , che solleva più problemi di quelli che sia in grado di risolvere , e non riuscendo a risolvere i piccoli se ne pone di sempre più grandi . Come il giocatore che punta somme via via più alte per rifarsi delle perdite precedenti e alla fine perde tutto : oltre la camicia , anche l ' onore .
Un nuovo femminismo ( Abbagnano Nicola , 1970 )
StampaQuotidiana ,
« Perché agli uragani vengono dati nomi di donne ? Le donne non sono disastri che recano morte e distruzione . » Questa protesta presentata da un gruppo di donne a un ufficio meteorologico americano è l ' episodio faceto di un movimento protestatario femminile che si va diffondendo negli Stati Uniti , nella Germania occidentale , nell ' Inghilterra , nel Belgio , nell ' Olanda e i cui primi accenni si annunziano anche in Italia . Questo movimento è contro il sessismo : una parola coniata per analogia con razzismo e che indica la credenza e la pratica della dominazione maschile sulle donne . Il movimento « antisessista » è soprattutto diffuso nei paesi in cui le donne hanno conquistato la piena parità di diritti con gli uomini e , in linea di principio , sono ammesse a tutte le professioni e le cariche . Ma , in realtà , in questi paesi le cose non vanno secondo il principio . Gli uomini hanno conservato il loro predominio in tutti i posti chiave della società contemporanea . Eppure , come molti oggi riconoscono , il cervello non ha sesso . Non c ' è differenza sostanziale o misurabile tra i due sessi per l ' intelligenza , la capacità di imparare e insegnare , l ' equilibrio della personalità , il controllo di se stesso e degli altri . Le differenze su tutti questi punti sono individuali , non sessuali ; e volerle stabilire sulla base del numero degli individui di un sesso e dell ' altro che raggiungono il successo , significa solo elevare a principio un costume tradizionale . Questo costume permane , come i fatti dimostrano ; e contro di esso appunto si schiera il nuovo femminismo . Il problema verte soprattutto sui compiti che devono essere riconosciuti propri della donna . La cura del marito , dei figli , della casa sembra il compito specifico della donna ; e di fronte a questo , gli altri compiti sembrano accessori e subordinati . Alle donne che dopo essersi dedicate per un certo numero di anni a questo compito , si sentono frustrate ed inutili - specialmente quando i figli sono cresciuti e vivono per loro conto - gli psicanalisti ( dei quali esse sono i migliori clienti ) consigliano di « accettare la loro funzione » . Ma la biologia , che viene spesso invocata a giustificare questa accettazione , non può dir nulla in proposito . La riproduzione della specie non è una funzione esclusivamente femminile . Sebbene siano le donne a portare in grembo i figli e a metterli al mondo , anche gli uomini sono responsabili della loro nascita e delle cure ad essi dovute . Non ha torto quindi il nuovo femminismo quando rivendica per la donna la stessa libertà di scelta , di sviluppo spirituale e di impegno personale che gli uomini hanno sempre rivendicato per sé e che nessuno chiede loro di sacrificare alle esigenze della famiglia . Se è spreco o disgrazia che un uomo di talento sia costretto a un lavoro umile e privo di soddisfazioni , lo stesso vale per ogni donna che per la sua educazione , i suoi interessi e la sua personalità potrebbe svolgere compiti adeguati e che è invece costretta a consumare la sua vita nell ' angusta cerchia dell ' ambiente familiare . Nella molteplicità dei compiti e delle funzioni che la società moderna esige e nella loro crescente complessità , questo spreco può , a lungo andare , diminuire l ' efficienza complessiva del genere umano e ridurne la possibilità di sopravvivenza . Ma nel nuovo femminismo il problema dei compiti della donna diventa soprattutto un problema morale . Ciò che oggi la donna rivendica è la sua dignità , il diritto di realizzare la propria personalità in un ' attività di sua scelta , cui sia portata dalla sua preparazione e dai suoi interessi , e di non valere come un puro strumento del piacere maschile o della continuazione della specie . Esse lamentano ( e non a torto ) che la cosiddetta « rivoluzione sessuale » ha aggravato , non migliorato , la loro condizione . Lo sfruttamento strumentale della donna come oggetto di piacere , di desiderio o di decorazione è stato favorito dalla rivoluzione sessuale che ha dato libero corso alla più sfrenata pornografia . Gli stessi movimenti contestatari , pur nelle loro velleità rivoluzionarie , aggravano lo sfruttamento o l ' asservimento sessuale delle donne . Gli psicanalisti , a partire da Freud , insistono sulla malformazione del SuperEgo nella donna ; e il SuperEgo è la parte critica e razionale della personalità umana . Veri e propri « insulti alle donne » sono considerati le immagini e gli avvisi pubblicitari che sfruttano la figura femminile o si rivolgono alle donne come a semplici animali domestici o propongono prodotti d ' igiene intima che le fanno sentire in una condizione servile . Non c ' è dubbio che il modello stereotipato della donna come un essere debole e bisognoso di protezione , di scarso cervello e di molto sentimento , che ha bisogno di vivere la sua vita attraverso quella del marito e dei figli e che solo attraverso questa mediazione partecipa alle cose del mondo , è duro a morire e ancora domina la mentalità dei paesi che si ritengono più evoluti . A questo modello si contrappone l ' altro , altrettanto stereotipato , del maschio forte e sicuro di sé , privo di debolezze sentimentali , volitivo e dominatore . Ma proprio dal contrasto di questi due modelli e dal tentativo di ognuno dei due sessi di adeguarsi al proprio nascono le maggiori difficoltà per la comprensione reciproca , per la reciproca soddisfazione sessuale e per la vita in comune . Non solo gli uomini , certo , sono responsabili della sopravvivenza anacronistica di questi fittizi stereotipi : perché anche la grande maggioranza delle donne si adegua ad essi più o meno inconsapevolmente e contribuisce a mantenerli in vita , dando agli uomini la possibilità di sfruttarle per il proprio vantaggio o il proprio piacere . Ma il nuovo femminismo ha almeno il coraggio di denunciare apertamente questa sommissione . Certo il nuovo femminismo corre il rischio di mascolinizzare la donna e di femminilizzare l ' uomo , mantenendo così in piedi , e addizionando , gli effetti negativi di quei modelli stereotipi che si vorrebbero abolire . Immesse bruscamente in un mondo duro e competitivo in cui la carriera , il successo , il denaro e il godimento immediato sono i valori fondamentali , la donna rischia di perdere proprio quei valori di umanità , di sensibilità , di tenerezza amichevole in nome dei quali combatte . E già alcune manifestazioni del movimento femminista , che è finora variopinto e diversamente orientato , preannunciano questo pericolo . Ma i rischi , come si sa , insorgono ovunque ci si rivolga . E non si può , in nome di essi , ignorare o rifiutare a priori l ' esigenza di dignità morale che è alla base del nuovo femminismo . D ' altronde , il mondo degli uomini non ha finora dato buona prova di sé . Le questioni di prestigio e di orgoglio , i ripicchi crudeli , l ' intolleranza , i conflitti , i fanatismi di ogni specie , che traggono spesso occasione da pretesti puerili , si aggravano ogni giorno in un mondo che è governato praticamente dal « sesso forte » . Se la partecipazione crescente delle donne a un mondo siffatto potrà fermare e diminuire l ' espansione di queste tendenze negative e promuovere la considerazione dei problemi concreti ( ai quali la donna rimane finora più attaccata dell ' uomo ) , la diminuzione dell ' orgoglio e della violenza e la solidarietà amichevole fra gli esseri umani , questa partecipazione sarà salutata con gioia da tutti gli uomini di buona volontà . Si tratta , certo , solo di una speranza o di una promessa : di una possibilità che può anche non verificarsi . Ma essa non può essere senz ' altro scartata perché il genere umano , di fronte ai problemi che gli si prospettano , non può rinunciare all ' aiuto effettivo della metà degli esseri che lo costituiscono .
Monogamia in crisi? ( Abbagnano Nicola , 1970 )
StampaQuotidiana ,
La monogamia , forse la più antica e venerabile istituzione della nostra civiltà occidentale ( e non solo di questa ) , è oggi minacciata da molti pericoli e il suo avvenire appare incerto . Il numero dei divorzi è in crescente aumento nei Paesi in cui il divorzio è ammesso ; dove non è ammesso , è in aumento il numero delle separazioni legali o di fatto tra i coniugi . È in crescente aumento il numero dei matrimoni sbagliati , che continuano per forza di inerzia e si riducono a una forma di coabitazione occasionale o forzata , in cui non c ' è più traccia di solidarietà o di affetto fra i coniugi . L ' opera dei consulenti matrimoniali , che si moltiplicano in tutti i Paesi , può certo contribuire a risolvere problemi che insorgono fra i coniugi , tanto più che si rivolgono ad essi i coniugi che ritengono solubili i loro problemi ; ma non può ricreare dal nulla un ' unione che più non esiste . È infine in aumento il numero delle nascite irregolari , cioè dei figli nati fuori del matrimonio . Questi fenomeni sono assunti solitamente come segni di crisi dell ' istituzione monogamica , perché tendono a diffondersi con la massima rapidità in tutti i Paesi che sono usciti dalla fase agricola o patriarcale del loro sviluppo . Anche le nuove dimensioni di libertà raggiunte dalle donne li favoriscono : perché , cessando il loro stato di dipendenza economica e sociale , le donne sono in grado di assumersi l ' iniziativa della rottura . Ma ci sono altri sintomi altrettanto inquietanti , che non si ricavano dalle statistiche , ma da certe manifestazioni del costume contemporaneo . Molti coniugi si concedono a vicenda una « vacanza matrimoniale » nella quale sono liberi d ' intrattenere i rapporti che vogliono con altre persone . Nella Svezia ed in America vanno diffondendosi « matrimoni di gruppo » nei quali individui e coppie vivono assieme , unendo le loro risorse finanziarie e dividendosi le spese , i lavori domestici e le cure dell ' allevamento dei figli . Qualche volta , tutto si ferma qui ; altre volte , si ammette fra i membri della comune ( come si suole chiamarla ) la più ampia libertà sessuale o addirittura si sconsiglia o si vieta la formazione di coppie fisse . Nonostante il nome , i membri della comune non cedono al gruppo le loro proprietà personali . Ma spesso si considerano come un ' avanguardia rivoluzionaria , come gli antesignani di una nuova utopia , di una società in cui non ci siano più aggressioni e guerre , poveri e ricchi , né lavori faticosi o degradanti ; e in cui sia lasciata ad ogni individuo la libertà di creare la propria vita e di raggiungere la felicità che desidera . Questa ricerca di nuovi modi di vita e di nuove istituzioni è una caratteristica del nostro tempo , che non intende rinunciare all ' esperimento , all ' avventura e al rischio . Non si può condannarla in anticipo , né in anticipo garantirne il successo e fidare su di essa per il progresso del genere umano : il quale , d ' altronde , non può rinunciare a sperimentare nuove vie , dato che vede continuamente diminuite le sue prospettive , non solo di progresso , ma di sopravvivenza . Tuttavia , per ciò che riguarda la monogamia , non tutti i sintomi addotti sembrano minacciarla . Bisogna , in primo luogo , distinguere fra la monogamia come istituzione morale o semplicemente umana e l ' istituto giuridico . L ' istituzione morale è la scelta duratura , perché continuamente rinnovata , di vivere insieme secondo un progetto concordato e correggibile via via nei suoi dettagli . L ' istituto giuridico del matrimonio è un contratto che impegna i coniugi a certi obblighi sanzionati ed ha certi effetti legali e soprattutto patrimoniali . Tale contratto implica certo , fra le condizioni della sua validità , la libera scelta dei contraenti , ma limita questa scelta all ' atto della stipula ; adegua inoltre gli obblighi e i diritti legali che sancisce a un modello stabilito dalla tradizione e dal costume , che è spesso in contrasto con le esigenze e i problemi sempre nuovi della vita quotidiana . La crisi del matrimonio come istituto giuridico non è perciò , necessariamente , la crisi della monogamia . Un matrimonio legalmente valido e che i coniugi hanno un interesse qualsiasi a mantenere tale , può non avere nessuno dei caratteri autentici della monogamia . Questa , a sua volta , può riscontrarsi in unioni che non hanno alcun riconoscimento giuridico . Il ricorso al divorzio , dall ' altro lato , non è una sfida alla monogamia , ma il riconoscimento di un ' unione sbagliata o impossibile a mantenersi in piedi o che potrebbe essere resa sopportabile solo da qualche forma più o meno occulta di poligamia . Chi divorzia intende spesso infatti ricrearsi una famiglia , trovare in una nuova unione l ' affetto e la solidarietà che gli sono mancati nell ' altra . Per quanto possa apparire paradossale , il divorzio è più spesso un omaggio alla monogamia , che un rifiuto di essa : costituisce , per chi vi ricorre , la possibilità di una scelta nuova e più promettente sotto l ' aspetto della comprensione , dell ' assistenza e dell ' amore , cioè di un ' unione effettivamente monogamica . Quanto ai gruppi e alle « comuni » , se si prescinde dal loro carattere politico e neoutopistico , del quale non si riesce a scorgere il fondamento reale , essi appaiono piuttosto come forme di protesta contro i modelli morali e giuridici tradizionali o tentativi di gruppi o persone di uscire dalla solitudine e di ritrovarsi in un ambiente accogliente e solidale . Ma le forze che minano tali gruppi sono il disaccordo nella divisione dei compiti , le gelosie , l ' indifferenza reciproca o l ' accordo più stretto che si stabilisce fra coppie dei loro membri . Il gruppo non ha molti vantaggi sul matrimonio : ne moltiplica solo le difficoltà in proporzione al numero dei componenti . La monogamia è l ' aspirazione nascosta di uomini e donne , ma è difficile da realizzarsi . La scelta continua , che essa implica , del proprio compagno e del comune progetto di vita esige che si punti sull ' essenziale e che si superino con intelligenza e comprensione reciproca i problemi , le difficoltà e i conflitti che sono inevitabili nella vita quotidiana . Essa può essere realizzata da persone , di qualsiasi età , che abbiano raggiunto un grado di maturità sufficiente , cioè una personalità stabile o equilibrata che non sia più soggetta a oscillazioni e mutamenti radicali . È difficile infatti continuare a convivere in accordo sostanziale con una persona che si ritrova accanto a sé mutata nei suoi tratti caratteristici e che è diventata estranea rispetto a quella che era apparsa al primo incontro . In questo caso , com ' è ovvio , la scelta non è ripetibile . La durata di un ' unione monogamica dipende , più che dalle circostanze esterne , che inevitabilmente mutano con l ' età e con le circostanze ambientali , dalla volontà costante di conservarsi l ' affetto , la fiducia e la solidarietà del proprio compagno , dimostrandogli affetto , fiducia e solidarietà in ogni occasione . In un mondo scisso da conflitti di ogni genere , e in cui le stesse aspirazioni umanitarie più nobili sono spesso fomiti di lotte violente , l ' amore monogamico è ( con l ' amicizia autentica , che è altrettanto rara ) la sola via per uscire dall ' indifferenza e dall ' anonimato della massa amorfa e raggiungere la serenità e la gioia di vivere . Speriamo che gli uomini non trascurino questa via e traggano , dai loro stessi insuccessi , gl ' insegnamenti per imboccarla e percorrerla .
Lezione di pittura a Venezia ( Sgarbi Vittorio , 1999 )
StampaPeriodica ,
Già quando cominciai i miei studi sulla pittura veneta tra Quattro e Cinquecento , che vuol dire , come vedremo , tutto , cioè l ' essenza della pittura , già allora , quasi trent ' anni fa , una mostra come quella di Palazzo Grassi , Il Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi di Bellini , Dürer e Tiziano , sarebbe sembrata impossibile , e persino impensabile . Resta , è vero , il tabù di Giorgione ( non è esposto alcun dipinto , ma soltanto un disegno del grande pittore , i cui capolavori sono pure a portata di mano , all ' Accademia di Venezia ) ; ma per il resto è presente tutto , il ' tout Venise ' e non con testimonianze marginali ma con i capolavori più emozionanti . Qualunque storico dell ' arte avrebbe voluto mettere insieme tanti capolavori , più per realizzare un sogno che per dimostrare una tesi , ma nessuno avrebbe potuto immaginare che , una volta messi uno vicino all ' altro , i dipinti avrebbero raccontato una storia così sorprendente . Nessuna storia scritta , nessun catalogo possono restituire l ' emozione di alcuni accostamenti , di alcune sequenze che dimostrano in modo inconfutabile ciò che si era soltanto intuito o immaginato . Un tripudio di delicatissime tavole , dopo il primo assaggio di un maestoso trittico di Giovanni di Alemagna e Antonio Vivarini , ci accoglie nella seconda ( in reatà prima ) intensissima sala : solo ritratti , da Petrus Christus , a Hans Memling , a Giovanni Bellini , a Lorenzo Lotto , attraverso Antonello da Messina . Sono personaggi , uomini veri , ricchi mercanti , giovani innamorati , fino al romantico Vescovo De ' Rossi del Lotto . In questa stanza si comprende , come mai prima , il tanto conclamato rapporto tra fiamminghi e veneziani , tra Nord Europa e Nord Italia . Due ' anime belle ' del Nord - est che dialogano e s ' intrecciano attraverso la mediazione di un meridionale , di un raffinatissimo ' terrone ' siciliano : Antonello da Messina . Come in una dissolvenza fotografica , i tratti del giovane uomo di Petrus Christus si confondono con quelli del Bernardo De ' Rossi di Lorenzo Lotto : carnagioni levigate , umori malinconici , ma soprattutto una profonda verità , prima interiore che esteriore . Questi ritratti sembrano definire uno spirito europeo , una nuova dimensione dell ' uomo , che domina il mondo con intelligenza e determinazione . Ecco , dunque , l ' uomo europeo . A Venezia identifichiamo i limiti del suo orizzonte , tra intelligenza e furbizia : quello disegnato nello sguardo obliquo e nelle sopracciglia volte all ' insù dell ' Uomo di Antonello . Superata la barriera di questi sguardi intrecciati , ritroviamo un altro incastro perfetto ( fino all ' errore di attribuire a un anonimo padovano il dipinto di un fiammingo in Italia ) nella serie di Crocefissioni di un seguace di Van Eyck , di Bellini e di Antonello da Messina , tutte composte secondo un medesimo schema e le medesime proporzioni . I rapporti tra le figure della sacra rappresentazione e il paesaggio sono perfettamente bilanciati , fino alla suprema armonia geometrica , una ' armonia mundi ' , del capolavoro di Antonello nel museo di Anversa dove , nonostante l ' imminenza della passione , la natura sembra prevalere sulla storia . Proprio come ancora oggi si avverte scendendo in Sicilia , dove l ' energia della natura prevale sul destino degli uomini ( si leggano le pagine bellissime del Gattopardo ) . Ancora diversa è la scelta di Bellini nella Crocefissione , proveniente da Prato , dove la natura e il paesaggio , pur forti e rigogliosi , sono segnati da una traccia profonda del passaggio dell ' uomo : lapidi , iscrizioni , architetture documentano una storia da cui dipende la Crocefissione di Cristo , ineluttabilmente . Abbiamo così indicato alcune varianti psicologiche di uno stesso impianto compositivo . Un altro aspetto sorprendente della mostra è l ' intuizione delle diverse grandezze di Antonello e di Bellini . I capolavori del primo sono monadi , universi compiuti e incomunicanti fino a quel teorema , sintesi di spazio italiano e di ambiente fiammingo , che è il San Girolamo nello studio proveniente dalla National Gallery di Londra ( dal cui prototipo derivano alcune scene d ' interno di Carpaccio , come nella Nascita della Vergine ) . I capolavori di Bellini hanno una continuità ideale , un respiro lungo che determinano una vertigine , uno schiacciamento del tempo . È emozionante trovarsi nello spazio delimitato da due opere di Giovanni Bellini eseguite a cinquant ' anni di distanza : la giovanile Trasfigurazione del Correr , in una natura mantegnesca , prontamente ammorbidita , e la Pietà dell ' Accademia , come un drammaticissimo Vesperbild in un coltivatissimo giardino chiuso dalla veduta di città . Due artisti , due stili , due sentimenti della natura in un solo uomo che ha raffinato la sua visione del mondo senza limitarla , accogliendo gli stimoli dei nouveaux philosophes sulla scena veneziana da Giorgione a Dürer , a Lotto , a Tiziano . Naturale che in questo fertilissimo clima possano muoversi tra leggenda e mistero , tra storia e natura , le Cortigiane del Carpaccio nel loro ritrovato ambiente : una terrazza in laguna sul cui sfondo si agitano gli attori di una caccia in valle . Altro miracolo impensabile negli anni Settanta , quando il dogma dell ' inamovibilità delle tavole aveva quasi un risvolto ideologico . Adesso da Malibu arriva un quadro , anche illegalmente esportato . E come non ci sono dogane , controlli e rivendicazioni , tanto meno ci sono ragioni tecniche che ostacolino il ricongiungimento di due parti ( e anche di due quarti ) di una stessa tavola . Insieme con il fiore che li riunisce esse appaiono indiscutibilmente nate dalla stessa mente e dalla stessa idea dello spazio , che fu già indicata e anticipata con diverso spirito dal grande Giovanni Bellini nella Allegoria degli Uffizi ( quella che io considero una ' ricreazione ' di Santi e Madonne dopo la posa per una Sacra Conversazione ) . Addirittura , visibili anche dietro , le due tavole ricongiunte sono unite pure da un sottile filo concettuale : in una , quella di Malibu , un ' trompe - l ' oeil ' con nastri e cerelacche ; nell ' altra , cerelacche e nastri veri applicati nel tempo . La mostra cresce ancora nell ' offerta di emozioni , avviandoci nella zona calda , dominata da una sequenza di capolavori ( Mantegna , Cima da Conegliano , ancora Bellini , ancora Lorenzo Lotto ) , Albrecht Dürer presente con due opere capitali , rigorosamente su tavola , l ' uno del primo , l ' altro del secondo viaggio italiano : la Madonna con il Bambino tornita nelle forme come una scultura , in particolare nel bambino , quasi d ' alabastro , smagliante nei colori , illuminata nel fondo da una luce già elettrica . Il dipinto era il gioiello più prezioso ( e più difeso ) della collezione di Luigi Magnani , un quadro mitico scoperto in un convento di clausura di Bagnacavallo . Degno di Raffaello e di originalissima composizione è il Cristo fra i dottori dello stesso Dürer , risolto nell ' idea di una ruota di personaggi caricaturali e deformi intorno a un nodo di mani , motivo originalissimo e senza precedenti . A partire da questa opera , molto verrà dal più eretico dei pittori veneziani : Lorenzo Lotto , di cui è pur presente un capolavoro giovanile nato più nello spirito di Dürer che in quello di Giorgione e Bellini : Allegoria della virtù e del vizio . E siamo sempre agli inizi del Cinquecento . Altri capolavori si affollano nelle sale per documentare altri cent ' anni di pittura tra Venezia e il Nord Europa : Tiziano , Bassano , Veronese , Tintoretto . Ma forse il più commovente , sintesi perfetta di cultura veneziana e civiltà olandese , è la Venere tenera e infantile di Lambert Sustris , che non teme il confronto con un analogo Tiziano . E se Sustris può apparire più desiderabile di Tiziano , possiamo essere certi che questa mostra è perfettamente riuscita .
In pieno romanticismo ( Abbagnano Nicola , 1970 )
StampaQuotidiana ,
Un ritorno al romanticismo sembra annunziato da alcuni sintomi che emergono fra gli umori mutevoli della società contemporanea . Tra questi sintomi si annovera il successo enorme , e imprevisto , che sta ottenendo in America ( e otterrà probabilmente negli altri Paesi ) un breve romanzo , Love Story di Erich Segal , e il film che ne è stato tratto . È la storia dell ' amore coniugale di due giovani moralmente sani e maturi , che non scindono l ' amore dal sesso e il sesso dall ' amore , storia che termina tragicamente perché la giovane moglie muore di cancro . Nel magma caotico di erotismo , pornografia , violenza contestataria o anticontestataria e delinquenza , che costituisce il contenuto prevalente della narrativa e del cinema e sembra il pascolo obbligato di ogni persona ben pensante , il successo di una storia come questa può veramente apparire un fenomeno da baraccone . Dunque , gli uomini non si sono dimenticati del « sentimento » ? Possono ancora commuoversi e versare lacrime per la storia patetica e semplice di un matrimonio d ' amore riuscito , destinato a durare , e interrotto soltanto da una cieca fatalità ? Il romanticismo non è finito , se il sentimentalismo può prendersi ancora tali rivincite . E se non è finito , potrà forse porre un argine alla promiscuità sessuale , alla violenza indiscriminata , alla ricerca stravagante di piaceri proibiti , al desiderio dei facili guadagni . Potrà dare nuova forza a valori che si ritenevano morti o moribondi : alla moralità della vita , al matrimonio , al lavoro , al rispetto della persona umana e soprattutto della donna . Ben venga dunque un nuovo romanticismo , se metterà un po ' d ' ordine ed equilibrio nel caos delle tensioni e delle inquietudini della vita moderna . Prescindendo dalla sproporzione che c ' è tra tali speranze e il fenomeno che le fa nascere , non si può fare a meno di riconoscere , se si tengono presenti tensioni e inquietudini , che nel romanticismo noi siamo , almeno per ora , immersi fino al collo . Giacché il romanticismo non è solo il riconoscimento del valore del sentimento : è la fede che il sentimento è tutto e la ragione è nulla ; o , viceversa , che la ragione è tutto e il sentimento nulla . Lo spirito romantico è caratterizzato dalla brama e dalla smania dell ' Infinito e del Tutto e dall ' insofferenza e dal disprezzo per quel che è condizionato , finito , limitato e imperfetto . Lo spirito romantico esige che l ' uomo raggiunga l ' onnipotenza e la felicità dell ' Assoluto , che si identifichi con Dio . Dice Hòlderlin , che è il più significativo poeta del romanticismo : « Essere uno col tutto , questa è la vita degli Dei e il cielo dell ' uomo ! Essere uno con tutto ciò che vive , tornare , in un beato divino oblio di sé , nel tutto della natura , questo è il vertice dei pensieri e delle gioie , questa è la sacra vetta del Monte , la sede dell ' eterna quiete » . Che questa sacra vetta si raggiunga mediante il sentimento o la ragione , nel sogno o nella realtà , attraverso la fede religiosa o l ' uso della droga , sono differenze che non importano molto . Importante è la mèta , cioè l ' infinito della potenza e della gioia , e questa mèta , secondo i romantici , è accessibile all ' uomo . Un altro tipico scrittore romantico , Novalis , che morì tisico a ventinove anni , scriveva : « Agli uomini nessuna cosa è impossibile : quello che io voglio , lo posso » . Quest ' eredità romantica si può vedere in azione in molti fenomeni macroscopici del nostro tempo . La tendenza a prescindere dalle strettoie della realtà , a considerare « infinito » se stesso , a chiudersi in sé e a dimenticare gli altri , è una tentazione cui pochi si sottraggono . Si vuole tutto e subito , senza sapere che cosa sia questo tutto e come e a quale costo si può ottenere . Al rispetto dell ' individualità si sostituisce il culto dell ' individuo , considerato come la realtà unica e , come diceva Novalis , onnipotente . E al culto dell ' individuo si accompagna spesso , come avvenne nel romanticismo ottocentesco , il culto orgiastico degli eroi , siano essi personalità politiche o gli idoli sportivi o canori del momento . La rivoluzione , che promette tutto senza specificare nulla , sembra preferibile alle riforme che fanno i conti con la realtà ed esigono lavoro e rinunce per la loro attuazione . L ' utopia amorfa e sognante , che prospetta la felicità a breve scadenza , ha più fascino dell ' azione politica accorta e lungimirante che si fonda su precisi progetti . Ogni progetto fondato su dati attendibili e su linee di tendenza controllabili suscita diffidenze e opposizioni , mentre ogni vaga aspirazione a uno stato futuro di perfezione suscita approvazione ed entusiasmo . Si sferrano calci al vicino , si rimane indifferenti alla sua distruzione , ma si crede nell ' amore universale tra gli uomini . Si infinitizza la scienza , considerandola come una forza onnipotente capace di assicurare da sola l ' avvenire e la felicità del genere umano . Nel campo stesso della religione , si tende a sostituire all ' infinità trascendente di Dio l ' infinità immanente dell ' uomo . E nello stordimento orgiastico , che si cerca con tutti i mezzi , si obbedisce ancora una volta al detto di Hòlderlin : « Un dio è l ' uomo quando sogna , un mendicante quando pensa » . C ' è la scienza , certo , e c ' è buona parte della filosofia contemporanea che hanno vòlto le spalle allo spirito romantico o sono meno soggette alle sue tentazioni . La scienza autentica , almeno , cioè quella che non indulge ai sogni avveniristici dei dilettanti , sa che da ogni problema risolto ne nascono altri , più difficili , da risolvere ancora ; che il controllo che l ' uomo esercita o potrà esercitare sulla natura non sarà mai completo e totale e che questo controllo stesso rischia d ' impoverire e di distruggere le risorse che la natura offre all ' uomo . La biologia mostra sempre meglio la subordinazione della vita all ' imprevedibilità del caso , l ' economia mostra i costi di denaro , di lavoro e di rinunce che ogni progresso o trasformazione sociale comporta . La filosofia , quando non diventa profezia o evasione , mette in luce la limitazione delle scelte che si offrono all ' uomo in ogni condizione in cui si trovi e il pericolo che una scelta sbagliata gli diminuisca o tolga la libertà di scelta . L ' ottimismo romantico per cui l ' uomo , almeno potenzialmente , sa già tutto , può tutto e ha tutto , trova dure smentite nel sapere positivo di cui disponiamo . Ma , dall ' altro lato , un pessimismo consigliere di inerzia o di attesa passiva sarebbe altrettanto romantico . Antiromantico , o non romantico , è chi non ignora i limiti umani , ma non perciò si sente impotente ; chi conosce le difficoltà e studia i mezzi migliori per affrontarle ; chi è disposto a subire la sofferenza e la lotta , senza darsi per vinto . Per lo stato d ' incertezza e di pericolo in cui si trova oggi il genere umano , i romantici sono ancora troppi e gli antiromantici troppo pochi . Ma se un insegnamento si può trarre dal romanzo di Segal , esso è antiromantico . Un amore felice , sia pure espresso nella forma della retorica scurrile che è oggi di moda , distrutto in qualche mese da un male ineluttabile : che può insegnare questa storia ? Che il paradiso è lontano .
Come i polli nella stia ( Bobbio Norberto , 1981 )
StampaQuotidiana ,
Il problema dei rapporti fra intellettuali e potere è un tema ricorrente . In questi giorni si è svolto un convegno su questo tema , in occasione della pubblicazione del quarto volume degli « Annali della storia d ' Italia » einaudiana , intitolato appunto Intellettuali e potere . Nell ' ultima riunione del Comitato centrale Aldo Tortorella , responsabile dell ' organizzazione culturale del pci , ha svolto un ' ampia relazione in cui ripropone il tema del « ruolo delle istituzioni culturali per il rinnovamento e la trasformazione della società e dello Stato » . Si sta svolgendo a Roma un convegno promosso da intellettuali del psi , che dovrebbe concludersi , nientemeno , con « un manifesto per la cultura italiana » . Non sono passati molti giorni dalla conclusione dell ' Assemblea nazionale della dc , provocata o ispirata da uomini di cultura cattolici preoccupati del venir meno della tensione ideale nella lotta politica in Italia , il cui protagonista è da più di trent ' anni un partito che si chiama cristiano . Il tema è ricorrente , perché i rapporti fra politica e cultura sono difficili . All ' atteggiamento di diffidenza del politico per l ' intellettuale corrisponde un analogo atteggiamento di diffidenza dell ' intellettuale per il politico . Alcuni anni fa è stata pubblicata la traduzione italiana del libro di R . Hofstadter , Società e intellettuali in America ( Einaudi , Torino 1968 ) , che , pur riferendosi agli Stati Uniti degli anni del maccartismo , presenta un ' ampia documentazione storica sul tema del conflitto permanente fra l ' uomo politico che ha o crede di avere i piedi per terra e l ' idealista nelle nuvole , accusato di inventare progetti bellissimi ma irrealizzabili . Una versione recentissima e casalinga di questa antica avversione ho colto in un ' intervista pubblicata una settimana fa , in cui il ministro Marcora , volendo tirare le orecchie agli ottimisti , dice a un certo punto : « Sono un uomo pratico , io . Sono un vecchio lombardo , sto in politica da trent ' anni , non sono un intellettuale . Guardo al sodo » . Non ci vuole molta fantasia a immaginare una battuta diametralmente opposta in bocca a un intellettuale : « Sono un uomo che cerca di capire come vanno le cose . Non improvviso , ci penso su . Non sono un politico . Guardo nel fondo » . Proprio perché questi rapporti sono difficili , e sono difficili perché l ' intellettuale e il politico hanno vocazioni , ambizioni , progetti di vita , capacità diverse , e non c ' è gioco di prestigio dialettico che valga a mediare o a superare queste differenze , il problema non si risolve con alternative drastiche come questa : « L ' intellettuale è un seminatore di dubbi » ( così Rosellina Balbi sulla « Repubblica » ) . « No , è un raccoglitore di certezze » ( così , almeno sembra , Sanguineti sull ' « Unità » ) . Per quanto il problema dei rapporti fra intellettuali e potere sia un tema ricorrente , o forse proprio per questo , non è un problema cui si possa dare una soluzione netta una volta per sempre . E non si può almeno per due ragioni . Prima di tutto perché questa benedetta categoria degl ' intellettuali è vasta , varia , divisa , e ogni volta che se ne parla bisogna intendersi bene di che cosa si vuol parlare . In secondo luogo , perché , dato per ammesso che i rapporti tra gli intellettuali ( ma quali intellettuali ? ) e il potere siano difficili , non è affatto detto siano sempre della stessa natura . Alcuni anni fa mi è accaduto di distinguere gl ' intellettuali che ho chiamato « esperti » , da quelli che ho chiamato « ideologi » . Vedo che la distinzione è stata ripresa da Corrado Vivanti , se pure con qualche riserva , nella prefazione al volume degli annali einaudiani dianzi citato . Mi sono accorto dopo che nel notissimo rapporto della Commissione trilaterale sulla crisi della democrazia si distinguono gli intellettuali tecnocrati da quelli « orientati verso i valori » ( « value - oriented » ) : distinzione analoga alla mia , se pure caricata di un giudizio di valore , positivo per i primi , negativo per i secondi , lontanissimo dalle mie intenzioni . La distinzione è rilevante , a mio parere , perché il rapporto fra intellettuali e potere cambia secondo che ci si riferisca agli esperti o agli ideologi . I primi offrono ai politici conoscenze , informazioni , dati elaborati ; i secondi principi , direttive , prospettive di azione . Nella irrequietezza degl ' intellettuali che hanno agitato le acque stagnanti della democrazia cristiana vedo lo stato d ' animo tipico dell ' intellettuale che fa appello ai valori , chiede il ritorno ai principi primi , e inalbera la questione morale ; al contrario , nel rivolgersi , del resto non per la prima volta , del partito comunista agli uomini di cultura , vedo soprattutto l ' interesse che ha questo partito , depositario dei principi che lo hanno fatto nascere e ai quali non può abdicare ( pur potendoli aggiornare ) senza venir meno alla propria funzione di partito - guida , nell ' attrarre a sé uomini esperti nei diversi campi del sapere scientifico . In questi due percorsi contrari dell ' uomo di principi verso un partito prammatico e del partito di principi verso gli esperti , si possono cogliere , da due parti diverse , anzi opposte , i due vizi principali della nostra vita politica : senza alti ideali per quel che riguarda il partito maggiore e di maggior governo ; senza gli strumenti conoscitivi necessari per la trasformazione di uno Stato diventato anacronistico , per quel che riguarda i partiti e i movimenti della sinistra ( che non possono pretendere di trasformare il mondo , secondo il vecchio detto di Marx , se non dopo averlo compreso ) . L ' altra ragione per cui il rapporto fra intellettuali e potere suscita tante discussioni dipende dal fatto che non si tratta di un rapporto a senso unico . Molte inutili discussioni nascono dallo scambiare l ' analisi di questo rapporto a molte direzioni con il desiderio che il rapporto sia quello che ciascuno di noi ritiene giusto . Questo rapporto cambia secondo l ' idea che i singoli intellettuali hanno della loro funzione nella società ( idea dietro la quale ci può essere addirittura una visione globale del mondo ) , e secondo le circostanze storiche . C ' è chi esalta la vita contemplativa in paragone a quella attiva e dispregia coloro che si perdono nelle cure del mondo . C ' è per contrasto chi ritiene che l ' uomo di cultura abbia il dovere di impegnarsi nell ' azione politica , perché al di fuori della comunità ordinata al bene comune non c ' è salvezza . Chi ha ragione e chi ha torto ? Ci sono coloro che adoperano le armi proprie dell ' intelligenza ( le idee , le opinioni , le credenze , le dottrine , gl ' ideali ) per combattere il potere costituito e naturalmente per costituirne un altro che ritengono migliore . E ci sono per contrasto coloro che esercitano la loro influenza per consolidare il governo del loro paese ( sono i cosiddetti « organizzatori del consenso » ) . Ancora una volta , chi ha ragione e chi ha torto ? Ma si può mai comparare chi promuove il consenso per salvare uno Stato democratico minacciato dalla violenza eversiva da destra e da sinistra , uno Stato che ammette il dissenso , con chi si piega a sollecitare consensi a uno Stato totalitario dove i dissenzienti sono puniti o soppressi ? Sono domande retoriche , ma valgono a far capire che il problema del rapporto fra intellettuali e potere ha molti aspetti e non può avere una sola risposta , e di conseguenza la domanda così frequentemente e fastidiosamente ripetuta quale debba essere la politica degl ' intellettuali verso i partiti o dei partiti verso gli intellettuali , è completamente priva di senso , se non si specifica quali intellettuali , in quale contesto , e per quali obiettivi . Una cosa è certa ( anche il « seminatore di dubbi » può permettersi talora di avere qualche certezza ) : alla crisi politica generale che è sotto gli occhi di tutti - basti pensare che il problema dei rapporti Est - Ovest è ben lontano dall ' essere risolto , e già si pone con forza il problema dei rapporti Nord - Sud , la cui soluzione dipende dalla soluzione del primo - , corrisponde una crisi delle idee , anzi , com ' è stato detto più volte , una crisi delle idee per risolvere la crisi . Di fronte alla quale noi ci teniamo le nostre piccole e domestiche crisi di governo che , paragonate alla tragicità dei conflitti che agitano la fine di questo nostro tragico secolo , ci appaiono come zuffe di polli in una stia .