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> anno_i:[1970 TO 2000}
StampaQuotidiana ,
Milano , dicembre . Qui Milano network , la « televisiun » , privata e pubblica , reti uno , quattro , cinque , Euro TV , Rete A e consideriamo pure a parte Antenna 3 , il cui patron , Renzo Villa , è anche il conduttore dello show festivo , tanto per capire l ' ambiente , un po ' saloon . Fin che la dura , la più ricca , lussuosa , dissipatrice televisione del creato , capace da sola di ingoiare i due quinti della produzione americana e di consumare in un giorno tanti film , telefilm e serial quanto gli USA o la Germania in una settimana . Per via , si sa , della sfida infernale delle private fra di loro e con la RAI che essendo femmina virtuosa si è trovata con la gonna alzata dalla concorrenza a mostrar natiche un po ' rugose e biancheria rattoppata . Reti di un solo proprietario contro reti di affiliati , come i contadini contro i mandriani del West , per disputarsi l ' immensa prateria televisiva , le grasse mandrie pubblicitarie da condurre al santo macello , con lotta all ' ultimo sangue , ossessiva , grottesca per la audience , l ' ascolto pagato con cifre enormi , non sai mai se autentiche o gonfiate : programmi per 500 miliardi e 2000 titoli nei magazzini di Canale 5 e di Rete 4 , Dallas contro Dynasty , quanto a dire serial da un miliardo a puntata , per la produzione , comperati prima a 24.000 dollari a puntata e poi , a forza di rilanci , a 100.000 . E dietro a valanga Flamingo road , Falcon crest , Magnum sino alle vette di Uccelli di rovo e di Venti di guerra in quella euforia , un po ' irresponsabile , che vi prende nei casinò o nel salone delle grida alla Borsa , dicono due miliardi a testa per film come l ' Ufficiale e gentiluomo e Rambo e sicuramente mezzo miliardo per qualsiasi filmetto pornodialettal - comico . Ma chi si ferma davanti all ' ascesa continua della pubblicità ? Le sole private sono passate dai 60 miliardi del '79 , ai 144 dell'80 , ai 255 dell'81 , ai 467 dell'82 , ai 720 dell'83 ai previsti 1400 dell'84 , con crescita a raddoppio . Sì , non sarà tutto oro quello che luce , le cifre sono al lordo , spesso pagate con « cambio merci » cucine , piastrelle , liquori che poi bisogna rivendere e magari quasi al limite del codice , con ristorni , in nero , ai titolari di azienda , se la vedano poi loro con i soci , le banche , gli azionisti , e cospicui gratuiti : se mi paghi cento spot nelle ore di punta , te ne regalo cento nelle altre ore . Non sarà tutto oro , ma tanto oro quanto basta per celebrare , fra addetti , le gesta dei pistoleros tivù : « Giuseppe Lamastra , direttore acquisti di Rete 4 , ha soffiato a Berlusconi tutto lo stock della Publikompass » . Due giorni dopo Silvio Berlusconi risponde « bloccando l ' intero pacchetto della Cineriz , ha scelto fra 250 film il meglio , pagandoli ognuno 36 milioni ( cifre del '79 ) contro i 35 del concorrente » . Allora Formenton , boss di Rete 4 , si fionda in Brasile a mietere telenovelas . Moltiplicando per cento , per mille è un po ' come il boom dei rotocalchi nell ' immediato dopoguerra , con i tipici sviluppi all ' italiana , la rana che si gonfia a rischio di scoppiare . Nessuno ha tempo per studiare , per inventare si fa più presto a comperare il meglio che c ' è , íl direttore che ha avuto successo , la testata fortunata , il genere che va . Il bollettino di guerra risuona per corridoi e uffici . Udite ! Udite ! Lillo Tombolini è passato da Rete uno a Rete 4 con Enzo Papelli in fuga dalla RAI e allora Canale 5 ha sparato a zero sulla Sipra , concessionaria RAI , le ha rubato Longhi , direttore vendite ! Ma di queste lotte stellari fra gli staff televisivi il pubblico sa poco e nulla e poi non se ne cura attonito come è di fronte ai trasferimenti di Mike ( Bongiorno ) di Pippo ( Baudo ) e di Corrado . Come ai tempi eroici dei rotocalchi si torna all ' editore leggendario , al padre padrone come furono l ' Angelo Rízzoli e l ' Arnoldo Mondadori , al boss duro - fraterno , capitalista ma amico del fattorino , tecnico , contabile , grafico , inventore , esperto in tette da copertina , simpatico anche nelle sue « ire funeste » , il factotum che attraversa le aziende in ogni direzione per provvedere a tutto , per tenere assieme questo mondo nuovo che sembra sempre sul punto di sfasciarsi , di dissolversi . Silvio Berlusconi è il padre padrone più noto , conosciuto anche come « mister five » o « il ragazzo della via Gluck » o per antonomasia « quello che trova sempre i soldi , chi sa dove » fulmineo e onnipresente e vorace come un Howard Hughes , speriamo per lui e per noi un po ' meno « cabiria » ; o il Mario Formenton , esitante fra l ' aplomb del grande editore e la grinta del vecchio rugbista , o il re del latte Calisto Tanzi , forse il più temerario dato il finanziamento del « Globo » e l ' Alberto Peruzzo , per antonomasia « ma da dove è spuntato ? » . E al loro seguito i comprimari e le macchinette , i self made man e i portaborracce , i forzuti e le bionde eroine . Ecco Annamaria Frizzi , veneta , moglie di industriale e industriale essa stessa che pianta marito e azienda per mettersi nella pubblicità con Berlusconi e tirar su in un anno , da sola , 15 miliardi . Non male al 15 per cento di interessenza . E papà Balini ? Per anni lo hanno visto fare anticamera nei corridoi della RAI con la sua valigia piena di pizze cinematografiche italo - americane che i signori di via Mazzini non degnavano di uno sguardo . Adesso è miliardario , si è stabilito a Hollywood e siccome la cucina locale non gli va sta aprendo dei ristoranti italiani , mentre procura serial a Berlusconi che lo paga con la metà degli inserti pubblicitari inseriti , come usa dire alla brianzola « dentro la pucetta » dentro lo zabaione del successo . Uno che ricorda un po ' Lombardi , « l ' amico degli animali » della prima televisione , è il Rino Tommasi consulente sportivo e americanista , 1800 libri sullo sport yankee , intervista di un ' ora a Kissinger sul soccer e l ' olimpiade , un tipico « superstat » macchina statistica . A parte mettiamo Carlo Freccero trentasette anni , re dei programmi che hanno fatto la fortuna di Canale 5 e 1 , o meglio dire del palinsesto , che se lo cerchi sullo Zingarellí trovi « pergamena più volte grattata e riscritta » che non è poi molto distante dal significato televisivo . Ci incontriamo alla cafeteria di Milano 2 , che sembra di essere a Santa Monica California , luci tenui , olive e Martini , stangone biondo platino in attesa della prova di balletto , registi che fanno il baciamano . E c ' è anche lui , Carlo Freccero intellettuale sessantottino , raffinato , fra la nostalgia e l ' incubo della stagione utopica . « Lei Freccero come ha sfondato ? » « Mi sono sforzato di capire tre o quattro cose , già molte , no ? La prima è che sul prodotto non puoi bluffare , devi avere il meglio , dunque muoverti sul mercato americano . La seconda l ' avevo scoperta in una mia archeologia delle TV private degli inizi : quella loro rivelazione del prato basso italiano , ignoto ma ricco e vitale , il prato di Portobello , degli spettacoli a premi , partecipati , della gente che parte in pullman dalla provincia per i suoi pellegrinaggi laici , non più ai santuari per chieder la grazia alla Madonna , ma ai teatri televisivi dove si celebra il dio denaro . Poi la RAI , come punto di riferimento obbligatorio , perché la RAI vuol dire venti anni di abitudine , di appuntamenti fissi , magari anche di noie famigliari , ma comunque la televisione . Quando io sono arrivato nella professione , le private avevano già occupato le ore vuote o silenziose o noiose della RAI nel pomeriggio e nella tarda sera . Restava da conquistare il peak point , come lo chiamano , il massimo ascolto delle 8 e 30 di sera . Ce l ' abbiamo fatta con dei programmi omogenei , sempre riferiti all ' immagine dell ' emittente , famigliar - americana di Canale 5 , italiano popolare di Rete uno , e sottraendo alla RAI i Mike e i Corrado , i portavoce o maieutici del " prato basso ".» Ora andiamo al ristorante dove si attende il boss dei boss , Silvio Berlusconi , che ha appena finito di festeggiare non so quale tribù televisiva di venditori o di aficionados . « È vero » gli chiedo « che mandriani e contadini del nostro West televisivo stanno per fare la pace ? Che andate a un ' unica concessionaria di pubblicità già chiamata Sipra 2 , per dire nuovo monopolio in vista ? » « Lei crede che il primo Agnelli o il primo Pirelli potessero davvero autodimensionare le loro aziende ? No e neppure noi delle TV private , anche noi dobbiamo misurarci con il mercato , con le risorse , i quali dicono che solo gli oligopoli possono sopravvivere . » « Allora continuerete a gettare miliardi nella fornace ? » « Spero di no , spero in un gentleman agreement , in una regola di comportamento . Ma non dimenticate i nostri meriti : abbiamo creato una ricchezza pubblicitaria in crescita anche negli anni di crisi » . Il boss di Rete 4 e della Mondadori , Mario Formenton , sta invece meditabondo ai suoi laghi Masuri , pardon , ai laghetti ghiacciati di Segrate ( chi sa le tinche giganti come se la passano sotto il pack ) . « Ho qui una buona notizia » dice , « l ' Associazione degli utenti pubblicitari si è decisa a creare un istituto statistico credibile . Dobbiamo finirla con questi rilevamenti di parte che a sommarli fanno più della popolazione italiana » . « Ma a Canale 5 dicono che il vero parametro è quello delle vendite dei prodotti pubblicizzati » . « Già , come non sapessimo che una campagna pubblicitaria punta su una ventina di media e che è impossibile dire chi ha reso di più per le vendite » . « È il meter , dottor Formenton , l ' aggeggio elettronico che misura l ' ascolto di un apparecchio minuto per minuto ? » . « Sì , il meter , ma lo gestisce la RAI che si riserva il segreto delle postazioni e di certi rilevamenti politici . Se lo immagina lei cosa capiterebbe se facesse sapere che appena è apparso il grande leader la gente è scappata ? » . L ' alluvione televisiva è come quelle del Nilo o del Mississippi : qui distrugge villaggi , là posa limo fecondo . Una rivoluzione benefica l ' ha compiuta abbattendo lo steccato della TV pubblica , storico come quello vaticano . Mettendo fine a una lunga stagione di sonni , di alterigie , di supponenza , vedi la Sipra che metteva i clienti in coda , zitti e buoni . Così , il giorno in cui un suo funzionario di nome Trainetti ha dovuto salire le scale di una agenzia pubblicitaria , lo guardavano increduli come la vergine di Fatima , apparizione divina , ma anche un po ' da prendere per i fondelli : « Come andiamo Trainetti , è vero che non riuscite a raggiungere il tetto pubblicitario ? » . Si è dovuta dare una regolata anche la Sacis , che per anni ha svolto l ' unico ridicolo compito della censura e proibiva negli annunci parole come estro , perché pare che così si dica dei cavalli in calore , oltre i tradizionali membro , sega e , va sans dire , « seghetto alternativo » . Adesso in difesa della RAI e della Sipra italiane si levano i « vespri » patriottici di Flaminio Piccoli e di Gianni Pasquarelli che se la prendono con la colonizzazione dell ' Italia , con l ' americanismo trionfante che mortifica « ogni sforzo onesto di produzione plurima » . Suvvia , lasciamo perdere , diciamo piuttosto , con l ' ingegner Mattucci direttore RAI in Milano , che le private sono passate « dalla cattiva produzione al buon acquisto » ma solo all ' acquisto , incapaci per ora di creare una industria televisiva in crescita armonica , produttiva . L ' antiamericanismo alla Jack Lang , ministro mitterrandiano , del tipo vive la France abbasso les amerlos , gli imitatori dell ' America , ha un senso se lo traduci in capacità produttive , in somma di risorse . Ma siccome le cifre sono quelle che sono e gli investimenti televisivi italiani sono di 3000 miliardi contro i 30.000 delle televisioni americane , siccome a Broadway e a Hollywood ci sono migliaia di registi , scenografi , attori , operatori che da noi non ci sono , comperare bisogna . Certo , come macchina socialculturale , la televisione commerciale può spaventare , ha ragione l ' ingegner Mattucci a dire che essa « può far morire e rinascere il cinema , dominare le comunicazioni di massa , creare nuove professioni , rovesciare i rapporti culturali » . Il boom delle private ha avuto , per dire , effetti massicci nella stampa di intrattenimento sollevando a un milione e seicentomila copie , massima tiratura italiana ( il 25 per cento dei giornali venduti nei centri con meno di cinquemila abitanti ) , « Sorrisi e Canzoni » che segue le trasmissioni , se non di tutte le quattrocento antenne italiane di gran parte , prima redazione computerizzata per tener memoria e ordine nel mare di notizie televisive , mentre crollava a 200.000 copie il « Radiocorriere Tv » che ha pagato la sua fedeltà alla televisione pubblica . La « televisiun » ha anche tolto la puzza sotto il naso degli editori racé . Se uno pensa cosa era lo snobismo della Einaudi al tempo delle vacanze con Vittorini a Bocca di Magra quando unici interlocutori accettabili sembravano il poeta Sereni e i letterati toscani dell ' altra sponda , i Tobino , i Benedetti , i Cancogni ; o ai ricevimenti cattedratici in casa Laterza con i professori e signore in nero e oggi vede Pippo Baudo al centro del premio Strega , adulato , corteggiato assieme al suo dirimpettaio televisivo della domenica , Minà , per il potere televisivo che hanno di farti vendere come niente diecimila copie in più , capisce che se ne è fatta di strada dalle élites alle masse . Carlo Freccero che ha l ' occhio del mestiere mi faceva osservare : « Ha notato che Baudo , adesso , delega a Grillo ed altri attori le parti grottesche satiriche ? Adesso si riserva quelle del talk show autorevole , dell ' amabile cerimoniere ormai entrato nell ' establishment culturale » . La televisione è un ' alluvione di cui pochi conoscono davvero i possibili sbocchi . Per ora , i suoi capitani coraggiosi come Berlusconi e Formenton navigano un po ' a vista , intuiscono le connessioni con i teatri , i giornali , l ' editoria specializzata , la produzione filmistica in proprio , l ' azionariato popolare , l ' informazione , ma senza sapere esattamente cosa c ' è dietro quelle porte aperte o socchiuse . Oggi le prospettive della televisione italiana privata e pubblica oscillano fra previsioni trionfali e rischi sempre più grandi . Si scommette su una crescita senza fine della pubblicità , si preferisce non pensare a cosa accadrebbe se dovesse fermarsi . È in piena angoscia da futuro incerto la televisione pubblica . C ' è una commissione parlamentare che dovrebbe varare la famosa legge per la televisione che va interrogando un po ' tutti , in cerca della pietra filosofale nel Mugnone , capace di cambiar i sassi in oro . Mi confida il dottor Berretta del sindacato pubblicitari : « Hanno convocato anche noi , ma che gli diciamo ? Che quattordicimila dipendenti e quattromila consulenti sono una follia ? Che bisogna tagliarne almeno i due terzi ? Ma se continuano ad assumere giornalisti democristiani , comunisti , socialisti raccomandati dai partiti . Gli proponi un canale sovvenzionato dagli abbonamenti e pulito di pubblicità ? Proprio noi ? Ma le pare ? Eppure sono nei guai , riescono a coprire gli spazi pubblicitari vicini al telegiornale della sera , ma nelle altre ore hanno il fiato lungo » . Per l ' ingegner Luigi Mattucci , direttore della RA1 a Milano , l ' unica soluzione praticabile è quella di una televisione pubblica assistita , ma concorrenziale : « Se molliamo la concorrenza pubblicitaria e dell ' audience siamo morti . Non vedo come riusciremo a sfoltire il personale . Abbiamo bisogno di quattro o cinque anni di assistenza , il tempo necessario per riciclare competenze e funzioni , diventare una azienda che dà servizi e fa ricerca come la SIP , come l ' ENEL » . Allora , altri cinque anni di compromessi ? Di informazione televisiva mutilata , congelata ? Dice Freccero : « C ' è una sola via per vincere tutte le censure e ottenere tutte le interconnessioni . Fare un ' informazione che abbia una grande audience . Allora nessuno si preoccuperà che sia di sinistra o di destra , tutti staranno attenti agli indici di gradimento e ai miliardi di pubblicità » .
Così lo ha salutato la sua Italia ( Guzzanti Paolo , 1984 )
StampaQuotidiana ,
Roma . Quanti ? Ce lo domanderemo per un pezzo . Più che per i funerali di Togliatti , questo è certo . Più che per chiunque nell ' età repubblicana è probabile . Chi ha visto le immagini in televisione si sarà fatta un ' idea : Roma si è dilatata fra le sue mura e i suoi Fori per accogliere questo popolo comunista che sembrava una nazione e che sotto un sole tardivo ma implacabile è andata a dire addio a Berlinguer . Ce lo diranno meglio ancora le immagini che su dal cielo andavano filmando Ettore Scola e Francesco Maselli , dall ' elicottero che ronzava e sibilava , planava e si arrestava come una creatura degli stagni . Forse erano un milione e mezzo . Un milione è certamente un numero per difetto , considerato che soltanto fra le Botteghe Oscure e San Giovanni , prima dei cortei periferici e senza calcolare la piazza già gremita , erano almeno ottocentomila . Davanti al rosso palazzo di Botteghe Oscure , chiusa la camera ardente , la folla era stipata fino al collasso , fitta nelle zone d ' ombra fino a sembrare un muro respirante e stravolto nell ' attesa . Alle 14.45 è uscita la bara chiara con il corpo di Berlinguer . Fino ad un attimo prima era silenzio . Volti molto affaticati . Occhi di pianto . Poi l ' applauso come un uragano . I bambini in braccio , sulle spalle . Urlano « Enrico » . Lo ritmano . Lo ripetono a triplette - « Enrico - Enrico - Enrico » - sempre più veloci . Si levano i pugni . Partono sei o sette tentativi di intonare Bandiera rossa che si sommergono l ' un l ' altro su diverse tonalità . Perentoria si impone la marcia funebre di Chopin numero uno , diretta dallo stesso maestro Franco Castellani che la suonò vent ' anni fa per i funerali di Togliatti . Chissà se si farà un altro quadro gigantesco per questi funerali . Proviamo a immaginarlo , dipinto così come lo abbiamo visto oggi vivo : in prima fila , dietro il disadorno furgone nero , i familiari di Enrico Berlinguer , di cui non si cesserà di lodare la compostezza e quella impensabile misura di partecipazione e separazione dal lutto pubblico , di partito , politico , corale . Non sarà facile dipingerli senza forzarne i tratti . E poi , a qualche metro , Nilde Jotti con un foulard celeste per ripararsi dal sole che arde i capelli di tutti , Giancarlo Pajetta e Napolitano col berretto in testa , Pietro Ingrao , Reichlin , Occhetto che in questi giorni ha retto il peso organizzativo del presidio di Botteghe Oscure , Tortorella , Pecchioli sempre più diafano ed eretto nel suo dolore personale , il sindaco di Roma Vetere , Novelli . Poi c ' era un cordone d ' ordine terribile , che sgomitava e chiudeva senza pietà . Un servizio di contenimento della folla efficiente , duro , concitato , sicuramente necessario , ma che faceva singolare contrasto con la mestizia , la folla che si trascinava su un asfalto pastoso , appiccicoso nel quale non soltanto le suole delle scarpe lasciavano l ' impronta , ma in cui garofani , gladioli e rose si incorporavano come fossili istantanei . Il corteo funebre si muove lentamente . Pochi metri e si ferma . Davanti si incolonnano centinaia di corone : sono i fiori delle sezioni , delle federazioni , e più avanti quelle dei consigli di fabbrica , della FGCI e quelle tricolori del presidente della Repubblica , della Camera dei deputati , del Senato e dei presidenti del Parlamento . Elenchiamo intanto le poche cifre note . I pullman che sono arrivati a Roma sono stati più di cinquemila . I treni speciali venticinque . Le persone arrivate a piazza San Giovanni per conto loro , senza far parte di nessuno dei tre cortei collaterali o di quello centrale , erano più di trentamila . Alle 10.30 il centro storico era chiuso e bloccato . A quell ' ora , soltanto fra via del Teatro di Marcello e piazza Venezia , per un chilometro e mezzo di strada , erano già stipate trentamila persone . Il Comune di Roma ha impiegato per il governo del traffico mille e duecento vigili urbani . Davanti a Botteghe Oscure , nei giardini adiacenti a piazza Venezia , sui prati e sui marciapiedi hanno dormito migliaia di comunisti arrivati durante la notte . Alle 4 del mattino si è dovuta riaprire la camera ardente perché la folla premeva . Fino alle 14 , quando è stata chiusa , i visitatori che sono riusciti a passare davanti a quella bara sono stati almeno centoventicinquemila . Gli ultimi a fare il picchetto d ' onore sono stati gli attori , i registi , la gente di spettacolo . C ' erano Monica Vitti , Giovanna Ralli , Ettore Scola , Carla Gravina , Carla Tatò , Giuliano Montaldo , Mariangela Melato , Felice Laudadio . È stato visto Alberto Sordi , che comunista non è , passare e fermarsi un istante , commosso . Fra gli ultimi politici sono passati il democristiano Mario Segni e Aldo Aniasi , socialista . E poi i rappresentanti della comunità israelitica che sono stati ricevuti da Pietro Ingrao , con cui si sono fermati a parlare della « straordinaria umanità » del segretario del PCI scomparso . Così , quando la città - Roma si è svegliata , già era in piedi e quasi stremata un ' altra città che l ' aveva invasa sovrapponendosi : almeno mezzo milione di persone erano a mezzogiorno su via delle Botteghe Oscure e qualcuno già sveniva . Abbiamo visto diverse persone accasciarsi per il caldo e sono state soccorse con molto affetto . Una è morta per malore . Le ambulanze sono state chiamate in qualche caso . I siciliani che sono arrivati stremati dopo venti ore di treno hanno trovato latte e yogurt offerto gratis dai dipendenti della Centrale del Latte che si sono autotassati . Il Comune di Roma ha predisposto numerose autobotti che hanno fornito acqua fresca alle migliaia di assetati . A piazza San Giovanni già alle 13 era impossibile entrare . E per tutto il tempo dei comizi , dei discorsi ufficiali , folla e folla ha seguitato a premere sulla piazza , a riempire tutte le vie adiacenti , come un liquido palpitante e colorato , sul quale spiccavano le bandiere rosse . E anche piazza San Giovanni non ricordiamo di averla mai vista arredata con un palco di quelle dimensioni e di quella funzionale architettura . Rivedremo quel palco di 320 metri quadrati nei filmati e nelle foto , costruito in gran fretta da sessanta carpentieri di attrezzature metalliche e falegnami e sormontato da quella grande foto di Berlinguer mite e duro , forse timido ma anche ironico , alta quattro metri e mezzo e larga tre . Una coreografia , paradossalmente trattandosi di un funerale , assai viva : ideata per contenere cinquecento invitati fra europei , asiatici , africani ed americani . Anche in questo senso ci sembra di poter dire che non si era mai vista una cosa del genere . La gente . Giovani tantissimi , con i loro jeans ( e due copie dell ' « Unità » ficcate una per tasca ) , e le loro magliette , il loro modo di parlare che trascende ormai i dialetti in un esperanto adolescente e militante . Ma tanti , tantissimi i vecchi , la gente d ' età , i capelli bianchi . Le barbe e le pinguedini dei quarantenni . E i romani , in maggioranza subito seguiti dai milanesi , che quando sono comunisti si ritrovano anche in un loro linguaggio , popolare ma affettuosamente brusco . Così quando la folla trascina e si cade travolti , i mariti proteggono le mogli : « Bianca ! Acchiappate ar braccio mio » . E i fotografi impostano i loro servizi : « Avvisa tutti : tirate fuori 1' " Unità " e fateci un cappelluccio . Ma che si veda la parola " addio " davanti . Poi mettetevi lì che faccio il gruppo » . I giovani toccano , ti toccano , palpano , è una folla carezzevole e confidenziale . E quando l ' emozione passa in un grido , in uno slogan , l ' alito contamina tutti : « Non ti dimenticheremo » , « Enrico » , « Vivrai per sempre » . Togliatti morì in agosto . Berlinguer di giugno . E soltanto oggi si può dire che è estate : « Fa lo stesso caldo di quando morì Palmiro » dice un vecchio operaio . Il furgone avanza e il vento generosamente ingrossa le bandiere che si dispiegano con maestà : quella grande del Comitato centrale , frangiata e abbrunata , e il tricolore della Repubblica . E poi quella strana bandiera ibrida : verde e bianca in parti uguali e poi la sezione rossa di dimensioni triple . Il furgone va avanti e l ' asfalto fonde . Cantano Bandiera rossa e la banda procede a passi lillipuziani , con imprevisti schianti dei piatti . Ai lati del corteo le transenne . Oltre , c ' è altro popolo che si stringe e soffoca e piange . Si direbbe che un sottile velo di lacrime renda tremula questa immagine . O forse il miraggio dell ' alito rovente dall ' asfalto . Un urlo verso i Fori imperiali : « Viva il grande Partito comunista di Gramsci , Togliatti e Berlinguer » . Folla bianca e rossa sui giardini . Arriva la limousine nera del presidente della Repubblica : riceverà un applauso grande come un boato allo stadio , a piazza San Giovanni . Qui lo vedono in pochi e lo chiamano . I capi del servizio d ' ordine sono implacabili . E bravi . « Forza , forza co ' sto cordone , su , su , sbrigarsi » . Quando passa Berlinguer tutti levano in alto il giornale del partito nell ' edizione straordinaria che dice grande « Addio » in rosso . Inatteso un grande cartello declama : « Genitori , non crescete i vostri figli come schiavi , i figli non si picchiano » . Una vecchia signora genovese filosovietica si è messa ai lati del corteo con un cartello : « Oggi non c ' è scelta , o amici dell ' URSS , o servi di Reagan » . Distribuisce a pacchi la rivista « Realtà sovietica » . Grida : « Siete dei criminali , venduti all ' America » . Qualcuno , con rapida intolleranza , le fa a pezzi il cartello . Resta lì , patetica e testarda . Avanzano i gonfaloni delle città . Sono centinaia , forse migliaia , con i nomi dei paesi dell ' Umbria , delle Marche , del Lazio , della Calabria , della Toscana . E ne arrivano sempre più , sempre più , con i loro vigili urbani nelle uniformi fantasiose e diverse , tutte sull ' azzurrino . E arriva , preceduto dal rullo dei tamburi , il corteo torinese dai grandi cartelli e gli striscioni rossi . E i sardi del Sulcis che hanno montato la guardia al feretro col casco dei minatori e la lampada accesa , avanzando lentamente dietro il loro striscione . Sulla colonna Traiana , imbragata nell ' impalcatura del restauro , un lungo cartello verticale : « Vivrai sempre » . Le bandiere rosse sono vecchie e nuove . Le nuove sembrano di plastica , di questo nailon luccicante che si arroventa e non stinge . Quelle vecchie sono gloriose e slavate , falci e martelli ricamati a mano , all ' ingiù , come si usava all ' inizio del secolo . Tre i cortei che sono confluiti man mano su quello principale , fino alla piazza . Uno è partito dalla stazione Tiburtina , uno dall ' Ostiense e l ' ultimo da Cinecittà . Del primo facevano parte i comunisti padovani , trattati con riguardo perché la loro città è stata affettuosa e vicina al dramma di Berlinguer . Si radunavano lì i comunisti di Mantova , di Varese , di Bologna , del Friuli , di Verona . E poi i petrolchimici di Marghera , di Milano . Fischiano Bella ciao nel caldo . Lacrime e sudore . Si muovono al canto di Bandiera rossa . Pugni chiusi . Pugni chiusi , ma molti di quelli che riusciranno ad arrivare fino alla camera ardente renderanno omaggio a Berlinguer prima con íl segno di croce e poi col pugno : pietas cattolica e militanza . Se c ' era chi gridava : « Enrico , vivi in tutti noi » , non è mancato chi amaramente inalberava un cartello che dichiarava « Enrico , sei morto insieme a noi » , riecheggiando la battuta addolorata di Benigni che ha scritto più o meno : adesso andremo tutti indietro . I comunisti piemontesi sono arrivati all ' Ostiense . E anche quelli liguri , i toscani e gli umbri , con le loro bande musicali e i gonfaloni . A mezzogiorno intorno alla Piramide erano più di sessantamila , con i ragazzi della FGCI in prima linea , seguiti dagli operai della FIAT Lingotto , di Rivalta , Mirafiori , tutti con i cappelli di carta , con i berretti di tela , i golf della notte annodati alla vita , í fazzoletti sui capelli . Cartelli grandi e affettuosi : « Enrico , sei stato grande » , « Enrico , ti prometto un mondo più bello , ti voglio bene , Dalia » . Bisogna dire che l ' eco del titolo del film di Benigni ha fatto scuola : « Ti voglio bene » era dovunque . E deve avere influenzato anche quel confidenziale , personale « ciao Enrico » dell ' « Unità » , così nuovo in un giornale che fu paludato fino alla tristezza . Molti cartelli del tenore « Grazie Enrico per quello che ci hai insegnato » e drammatico quello che promette : « Senza di te , senza perderti » . I cortei si sono mossi ininterrottamente , come fluidi continui . Al Circo Massimo í primi malori . I « compagni medici » intervengono spesso . Ed ecco í portuali di Genova , di Riva Trigoso , gli stessi che udirono il comizio del giorno prima di Padova . A Cinecittà si raduna il popolo del Sud . Centinaia di pullman che vengono da Bari , Brindisi , Matera , Napoli , Potenza . Una folla eterogenea che ha usato pullman di gran turismo con TV e toilette , oppure vecchie corriere degli anni Cinquanta . C ' è stato chi si è preoccupato di raccogliere le cartacce e molte donne hanno aperto fagotti di viveri . Anche da Cinecittà sono partiti a migliaia diretti verso piazza San Giovanni , attraverso una città trasfigurata .
Esplode la gioia di Teheran ( Valli Bernardo , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Teheran , 16 . Reza Pahlevi se n ' è andato . Alle 13.08 l ' aereo imperiale si è involato , puntando sull ' Egitto . Alle 16 non c ' erano più statue dello Scià sui piedistalli , nella capitale in festa . La folla abbatte i monumenti della dinastia Pahlevi , come se la monarchia fosse finita . Quando la radio ha dato la notizia della partenza , trenta minuti dopo il decollo , gli automobilisti hanno acceso i fari e hanno cominciato a suonare i clacson . In tutti i quartieri si sono formati cortei . « Il nemico del popolo è fuggito » , « Lo Scià ha raggiunto lo sposo infedele Jimmy Carter » , « Dopo la fuga dello scià quella degli americani » : questi sono gli slogan ancora scanditi per le strade , a tarda sera , mentre si avvicina l ' ora del coprifuoco , che oggi rischia di non essere rispettato . Nella capitale centinaia di migliaia di persone si salutano con l ' indice e il medio tesi , in segno di vittoria , si abbracciano , invocano il ritorno di Khomeini , il capo religioso disarmato , che in un anno , lanciando proclami dall ' esilio , ha costretto Reza Pahlevi ad abbandonare il trono . L ' esercito si è ritirato nelle caserme , lasciando qualche unità davanti all ' ambasciata americana ( la sola ad essere protetta ) , ai ministeri e al Parlamento . La folla pensa che il sovrano non ritornerà mai più . Lo Scià ha cercato di imporre alla sua partenza ritmi non troppo affrettati . Il protocollo è stato rispettato . Venticinque anni fa , incalzato da Mossadeq , il primo ministro che gli imponeva il rispetto della Costituzione , Reza Pahlevi fuggì con la moglie d ' allora , Soraya , a bordo di un piccolo aereo , prima a Baghdad e poi a Roma . Questa volta , prima di lasciare in elicottero la residenza di Niavaran , il suo « palazzo d ' inverno » , ha salutato i nove membri del Consiglio di reggenza , i cortigiani e persino i cuochi . Più tardi , ai piedi della scaletta del Boeing 727 , c ' erano il primo ministro Sciapur Bakhtian , il ministro di corte Ardalan , il presidente della Camera Djavad Said . I pochi giornalisti iraniani ammessi nel recinto dell ' aeroporto hanno descritto Reza Pahlevi e Farah Diba pallidi , tesi , vestiti con abiti sobri . Rispettando la tradizione , lo Scià e la moglie sono passati sotto il Corano , tenuto da un cortigiano per augurare buon viaggio . Prima di entrare nell ' aereo , il sovrano avrebbe afferrato il libro sacro dell ' Islam e l ' avrebbe baciato , trattenendo a stento le lacrime . Ad eccezione dei pochi fedeli che hanno assistito alla partenza , nessuno ha visto lo scià « andarsene in vacanza » . La televisione non ha diffuso le immagini del sovrano che lascia l ' Iran . Sugli schermi appaiono stasera soltanto alberi coperti di neve o film di repertorio . Soltanto la radio ha trasmesso le ultime parole pronunciate da Reza Pahlevi , prima del decollo : « Come avevo annunciato dieci giorni or sono , sono stanco e parto per riposarmi , dopo che il governo ha ricevuto il voto di fiducia del Parlamento . Spero che il nuovo governo riesca a riparare le ferite del passato e preparare il futuro . Dobbiamo essere uniti al fine di preparare un avvenire migliore . Il paese deve salvarsi grazie al patriottismo del popolo » . « Quanto tempo resterà all ' estero ? » gli ha chiesto il radiocronista . « Sono molto stanco . Fino a quando non mi sarò rimesso , resterò all ' estero . La prima tappa sarà Assuan » . La Sciabanu Farah Diba è stata ancora più laconica : « Credo nella saggezza e nella forza del popolo » . A questo punto , mentre i motori del Boeing erano già accesi , il cronista è scoppiato in singhiozzi e ha detto : « Speriamo che lei ritorni presto » . Sono le sole parole di augurio al sovrano che ho udito oggi a Teheran . Ecco alcune immagini che ho raccolto in questa giornata , non ancora conclusa , nella capitale invasa da una folla sempre più densa . Sulla piazza Pahlevi , mentre la radio trasmette ancora la voce spezzata dello Scià , un centinaio di giovani divelgono la sua statua . Si forma un corteo . Il monumento viene trascinato con un cavo di ferro per le strade del quartiere settentrionale della città . La folla si infittisce e grida : « Impicchiamo lo scià » . Mezz ' ora dopo la statua penzola da un cavalcavia . Sulla via Hafez una pattuglia militare si allontana di gran fretta , appena spunta un piccolo corteo con una bandiera rossa in testa . La sola che ho visto , per alcuni istanti , prima che sparisse per iniziativa di non so chi . I soldati hanno ricevuto l ' ordine di rientrare nelle caserme al più presto , per evitare scontri con i manifestanti . Un militare non riesce ad avviare il motore e abbandona il camion in mezzo alla strada . Un ' altra unità lascia su un viale un piccolo rimorchio , per non perdere tempo ad agganciarlo ad una jeep . È come se temesse di essere travolto dall ' acqua di una diga infranta . Ma molti soldati , durante la precipitosa ritirata , vengono sommersi dalla folla che li abbraccia , li riempie di fiori e caramelle , li obbliga ad accettare i ritratti di Khomeini . Sulla via Reza scià , una delle vie principali di Teheran , gruppi di ragazzi mi mostrano banconote da venti rials ( duecento lire ) dalle quali hanno ritagliato l ' immagine dello scià . Reza Pahlevi è partito da poco più di un ' ora e le edizioni straordinarie dei giornali sono già in vendita , con titoli neri , corvini , enormi sulle prime pagine . Il re se n ' è andato . Accanto alla notizia della partenza imperiale ci sono gli ordini che Khomeini avrebbe impartito dall ' esilio parigino . Un amico iraniano li traduce : 1 ) i deputati al Parlamento e i membri del Consiglio di reggenza devono dimettersi ; 2 ) i contadini non devono vendere il grano agli stranieri che vogliono affamare il paese ; 3 ) i soldati devono impedire che gli americani portino via le armi sofisticate , al fine di indebolire l ' esercito ; 4 ) venerdì dovrà essere organizzata la più grande manifestazione della storia dell ' Iran . I quotidiani , sotto un titolo vistoso , parlano della morte di un colonnello americano , Arthur Haynhot , indicato come il capo dei consiglieri militari . L ' ufficiale sarebbe stato trovato appeso ad una corda nel suo appartamento . La polizia pensa sia stato impiccato . Stamane i giornali parlavano di un altro cittadino USA assassinato a Kerman : era il responsabile della Parsons - Jordan Company e « un veterano della guerra del Vietnam » . Il cronista non è in grado di controllare le notizie . I ministeri , gli uffici pubblici sono chiusi e i telefoni suonano invano . Sulla piazza Ferdosi , la statua del poeta iraniano è coperta di ritratti di Khomeini . A cavalcioni del monumento , un giovane cerca di dirigere il traffico con un altoparlante . Ma nessuno lo ascolta . La gente balla di gioia tra le automobili , alle quali sono avvinghiati grappoli umani . Non si vede un poliziotto . Teheran sembra abbandonata a se stessa . Il ronzio degli elicotteri ricorda tuttavia chel ' esercito è intatto e che i generali dello scià non perdono d ' occhio i cortei , per ora non violenti . Milioni di iraniani festeggiano « la fine » di 37 anni di regno di Reza Pahlevi , meglio i 53 anni della dinastia , poiché anche i ritratti e le statue di Reza Khan , padre del sovrano in vacanza , vengono strappati e abbattuti . Teheran stasera assomiglia a Lisbona , dopo mezzo secolo di salazarismo . Quel che resta del regime è adesso formalmente affidato al Consiglio di reggenza , presieduto da un astronomo ottantenne , Jallal Teharani , che non dispone ancora di un ufficio . L ' opposizione lo ha già definito « un gruppo di cortigiani e di vegliardi » . Gli uomini forti del Consiglio sono il generale Gharabaghy , capo di Stato Maggiore delle Forze armate , e il primo ministro Bakhtiar , che stamane , poco prima della partenza dello scià , ha ricevuto il voto di fiducia della Camera , dopo aver ottenuto ieri quello del Senato . Da stasera il sessantaduenne Bakhtiar è in sostanza solo , schiacciato tra la folla ubbidiente agli ordini di Khomeini e l ' esercito ubbidiente ai generali . L ' ala moderata dell ' opposizione ha già rivolto un appello alla calma ( « non affrettiamo i tempi » ) , al fine di evitare le reazioni dei militari e di frenare i gruppi rivoluzionari . Ma questo non significa che i partigiani di una svolta indolore siano pronti a trattare con Bakhtiar . Tutti temono la scomunica di Khomeini , che dovrebbe annunciare la composizione del suo governo provvisorio e del suo Consiglio rivoluzionario . E che , forse , sta studiando il rientro in patria , dopo quindici anni di esilio , ora che il suo rivale è partito .
A Genova contro le BR ( Mafai Miriam , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Genova , 27 . « Guido Rossa è stato ucciso perché non si è piegato , perché non ha avuto paura e ha voluto vivere in fondo , con coerenza la sua scelta politica . Coloro che speravano con questo assassinio di chiuderci sgomenti nelle nostre fabbriche si sono sbagliati . Non sanno di quale ostinata rabbia e determinazione noi siamo capaci » : così Paolo Perugino , dell ' esecutivo del Consiglio di fabbrica dell ' Italsider , ha salutato il compagno di lavoro ammazzato dalle BR mercoledì mattina all ' alba . Parlava dall ' alto del palco , gridando dentro il microfono la sua rabbia , con una voce che conosceva tutte le incrinature della commozione . Dietro di lui , Luciano Lama sembrava più pallido del solito ; al suo fianco Berlinguer appariva stravolto . Il presidente Pertini , bianco come la sciarpa che aveva al collo , e tuttavia rigido e dritto sotto il peso di una storia d ' Italia che domanda ancora tanti sacrifici . Vicino a lui , a capo scoperto sotto la pioggia , la moglie dell ' operaio Guido Rossa , la bella faccia chiusa e disperata di una che sa che bisogna continuare a vivere ( ma come ? ) anche domani e dopo . Erano operai . Duecento , forse duecentocinquantamila sotto la pioggia battente in piazza De Ferrari . Ma erano nere di folla anche via Dante e via XX Settembre , le due arterie che collegano il cuore della città con piazza della Vittoria . Erano operai di Genova , di Torino , di Milano , di Brescia , ma venuti anche da più lontano , da Roma , da Napoli , da Reggio Calabria , da Palermo , i berretti di lana , i cappucci , gli elmetti gialli calati sugli occhi stanchi e le facce tese . Un funerale e una manifestazione immensi , ma con qualcosa di cupo che non era dato solo da quel furgone mortuario in sosta sotto il palco degli oratori , dalle centinaia di corone posate contro il muro diroccato del teatro Carlo Felice , ma anche dalla sensazione angosciosa di trovarsi in trincea , contro un nemico di cui non conosci l ' identità e il volto . La Genova commerciante , terziaria , borghese non era venuta in piazza . Ha espresso la sua solidarietà abbassando le serrande dei negozi e chiudendosi in casa . Le strade attorno alla zona della manifestazione erano deserte e silenziose . Ma la Genova - bene non aveva nemmeno partecipato ai comizi e ai cortei convocati dopo l ' eccidio di via Fani e l ' assassinio di Moro . Qui , ma non solo qui , del resto , c ' è chi , pur condannando il terrorismo , si tira indietro spaventato o scoraggiato , quasi l ' assenza potesse aprire una qualche individuale via di salvezza . « Non dire : non ci riguarda . Siamo giunti a questo punto proprio perché troppi hanno detto : non ci riguarda » : così un manifesto dell ' Anpi riproducente la frase di un giovane cattolico fucilato dai nazisti invita a prendere coscienza del pericolo rappresentato dalla passività e dalla rassegnazione . Questo pericolo esiste , i terroristi lo sanno . È una carta che giocano coscientemente . L ' assassinio di Rossa può alimentare un aggravato clima di paura , un ripiegamento sul proprio particolare , una fuga dalle responsabilità ; ma può anche sollecitare una reazione di tipo opposto e , con la definitiva condanna del terrorismo , una più generale determinazione nella difesa della democrazia . Stamattina a piazza De Ferrari c ' era , per dirla con Lama , « il movimento dei lavoratori , il nocciolo più duro della resistenza democratica , l ' ostacolo più saldo contro la reazione e la violenza armata » . C ' è , nella storia del movimento operaio genovese , una continuità che collega la manifestazione di oggi alla Resistenza contro i fascisti e i tedeschi : i padri degli operai che erano oggi in piazza hanno salvato nel 1945 le fabbriche della città dalla cieca rabbia nazista . E sono questi stessi operai , metalmeccanici e portuali , che nel luglio del 1960 , occupando piazza De Ferrari e via XX Settembre , impedirono lo svolgimento del congresso missino e contribuirono a rovesciare il governo Tambroni . « Si parla troppo di delirio e di follia quando ci si riferisce all ' eversione » ha detto Luciano Lama . « A me pare che all ' azione delle BR presieda un freddo se pur disumano disegno politico , un disegno che si contrappone frontalmente ai nostri obiettivi di progresso , alla nostra stessa concezione della vita . E non a caso questi tentativi di eversione intervengono ferocemente , specie quando la situazione politica si fa più tesa , per impedire che la spinta al cambiamento diventi efficace , capace di dare vita ad un processo di rinnovamento e di autentica trasformazione della società » . II richiamo alla crisi politica in atto non è una forzatura . I duecentocinquantamila che sono in piazza sanno di essere qui anche per questo , per dare una spinta a questo lento processo politico che lascia ancora il movimento operaio ed i suoi rappresentanti fuori della porta o a metà del guado . La manifestazione non è soltanto un funerale o un momento di aspro cordoglio . È anche parte di una battaglia politica . E lo esprimono gridando , tra le altre parole d ' ordine : « È ora , è ora , è ora di cambiare - il Partito comunista deve governare » . Lama interpreta puntualmente gli umori della folla quando parla dei problemi dell ' ordine pubblico in termini di stretta attualità : « La nostra critica e la nostra protesta va contro le inadempienze , le inefficienze , le coperture e le omertà che ogni giorno si manifestano nell ' azione contro il terrorismo . Le fughe di criminali fascisti e l ' impunità dei terroristi di ogni colore non sarebbero possibili se connivenze tenaci non esistessero tra le forze eversive ed i nemici della Repubblica , annidati con alte responsabilità negli organi dello Stato preposti all ' amministrazione della giustizia , della sicurezza e alla difesa dell ' ordine democratico » . L ' accusa è precisa e pesante . Non più però di quella espressa sabato scorso da Pertini a Savona , quando individuava la matrice di tutti i fatti eversivi di questi anni nelle oscurità che ancora avvolgono la strage di piazza Fontana . La scelta democratica del movimento dei lavoratori , oramai definitiva ed irreversibile , non può non accompagnarsi all ' impegno di fare luce su tutti gli oscuri episodi eversivi che hanno accompagnato la vita politica di questi anni . « La classe operaia non è un mansueto agnello sacrificale : in democrazia essa non si fa giustizia da sé , ma reclama giustizia e fa il suo dovere perché giustizia si faccia , collabora alla difesa delle istituzioni , stimola la partecipazione dei cittadini alla lotta contro il terrorismo » . Su questo fronte è caduto Guido Rossa . Il presidente della Repubblica , in un rapido incontro che ha avuto con i giornalisti subito dopo la manifestazione , ha voluto illustrare ancora i motivi che lo hanno spinto ad assegnargli la medaglia d ' oro al valor civile alla memoria : « Perché è stato un cittadino che ha dimostrato di avere coraggio . È un incitamento per tutti i cittadini , perché si coalizzino e si uniscano contro le Brigate Rosse » . La paura , il coraggio . Il coraggio di difendere una democrazia ancora tanto insufficiente ed imperfetta . « Ma questa Repubblica » conclude Pertini « ci è costata vent ' anni di lotte , di sacrifici e di morti . Bisogna saperla difendere , costi quel che costi , contro tutti coloro che intendono destabilizzarla e disgregarla . Mi conforta il fatto che la classe lavoratrice questo lo ha capito fino in fondo . La manifestazione di oggi ne è una dimostrazione » .
Padova, la rabbia e la spranga ( Bocca Giorgio , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Padova , 22 . « Roberto libero » scritto in azzurro dagli autonomi e sotto , « Merda » scritto in nero , dai fascisti . Finisce così , Hegel non deve essere passato per Padova , la dialettica , almeno , è sconosciuta a questi muri . « Bruciamo la città » , in vernice rossa , attraversa una facciata , ma ad ogni buon conto il cartolaio d ' angolo appende il suo cartellino scritto a penna : « Chiuso il sabato » . Gli opposti , a Padova , qualche volta si scontrano , più spesso si ignorano . « Mitra è bello » dichiarano gli autonomi di Psicologia , ma il Circolo di cultura cattolico finge che Padova sia ancora quella dell ' Antonianum , della grande stagione gesuitica fra le due guerre , invita ad ascoltare Giovanni Testori « che leggerà il suo ultimo dramma di meditazione sulla morte » , profumo di ceri e di gigli sfatti . Chi entra da Ponte Corvo vede , a sinistra , una città esotica , in stupenda decomposizione , un ponticello fragile su un rivo sepolto da una vegetazione metà veneta e metà subtropicale ; da cui si alzano nel cielo le cupole e i minareti - campanile del santo , e mura annerite dall ' umidità , quei marroni tenui delle case . Ma a destra condomini altissimi , disegnati da Buzzati , laidi e tragici , nel cielo tempestoso . « Morte alla borghesia » deve essere autonomo , a vernice , ma c ' era , lì accanto , una bacheca vuota e qualcuno con mano notarile , in bella calligrafia ha scritto « Prego , non sporchiamo la città » . Gli amici di Padova - squallidi riformisti , s ' intende - si lamentano dei luoghi comuni giornalistici , dicono che c ' è anche l ' altra Padova . Sarà , ma la Padova dei giovani , dell ' Università è questa : un dodici per cento che vota , in maggioranza democristiano , in maggioranza di reddito medio alto ; poi quelli che non si vedono mai , che capitano solo agli esami , forse settanta su cento e poi gli incazzati , i poveri , quelli che si sentono stranieri a questa scuola . Anche perché non capiscono perché ci sia , a cosa serva : gli autonomi . Perché violenti ? Musatti ci ha detto che è un meccanismo di compensazione , l ' altra faccia del desiderio di onnipotenza che è di ogni uomo . Violenza contro emarginazione . Uno storico come il professor Prandstaller può vederci una storia cattolica , dall ' integralismo dell ' Antonianum al radicalismo giacobino . E il portavoce degli autonomi Emilio Vesce vi dirà , senz ' altro , che tutto dipende « dalla assoluta mancanza di credibilità delle istituzioni , qui sono nate le trame nere , era nera la magistratura , salvo Tamburino , neri i poliziotti » . La storia non è semplice , i rami per cui muove la provincia cattolica sono sempre contorti , sottili , la spaccatura fra le due Padove , la loro incomunicabilità può sembrare arcana , al professor Sabino Acquaviva , quasi una maledizione celeste . Ma oggi la diversità , l ' estraneità hanno la chiarezza di una stratificazione geologica , argilla o granito , senza alcuna possibilità di dubbio ; l ' Italia dei partiti , dei sindacati , degli organizzati , dei raziocinanti , del buon senso , delle compatibilità e l ' Italia insicura e perciò violenta , appena uscita dalla foresta nera e perciò pronta a tutto per non ritornarvi , che nell ' università di massa vive assieme ai ricchi , ne mutua i desideri e i bisogni senza poi avere i mezzi per soddisfarli : ancora un esercito di « spostati » come dicono i sociologi , ancora il vecchio gioco delle élites colte che cercano di cavalcare il fatto sociale per farne uno strumento di potere , nel '21 per fare il fascismo , adesso chi sa . Dove il privato coincide con il politico , dove i bisogni esistenziali si verniciano di ideologie arcaiche o fumose , dove gli uni discutono e spesso cianciano a vuoto di riforme e di razionalità , e gli altri chiedono , subito , posti , ragioni di esistere , di partecipare , che altro può esserci se non la incomunicabilità e l ' ambiguità ? Agli occhi dell ' Italia organizzata , assicurata , la violenza degli altri appare incomprensibile . Se a Venezia mettono una bomba al « Gazzettino » , giornale cattolico , di destra , si pensa , secondo la comune ragione : sarà un attentato di sinistra . Invece sono quelli di Ordine Nuovo . Se a Padova viene sprangato un professore « democratico » , ex partigiano , comunista come Petter o come Longo si dice : « Sarà una provocazione fascista » . Invece gli autonomi rivendicano l ' attentato . Nei quartieri popolari di Padova la violenza scoppia per i più futili pretesti e nelle più imprevedibili direzioni , perché è un bisogno , uno sfogo , qualcosa che sta nella pancia di quelle gioventù e deve uscirne , e noi che nella pancia quella rabbia non ce l ' abbiamo , cerchiamo , smarriti , il perché e il per come politico . La rapina alle casse delle mense universitarie non è razionale , ma la risposta razionale data da certe facoltà - se rapinano le casse , noi le facciamo blindate - appare come una provocazione , come una violenza . Non c ' è comunicabilità perché non c ' è quasi niente da dire . La cultura cattolica e laica , che ha voluto l ' università di massa per sistemarvi in funzioni docenti i suoi figli e nipoti , ha poco o niente da offrire a questi che fanno i neoleninisti o gli helleriani tanto per fare qualcosa , ma vogliono posti , vogliono soldi , vogliono ciò che gli altri non possono dare o non sono capaci di dare . Così la violenza serpeggia imprevedibile , ambigua , indefinibile . In vicolo Ognissanti viene bruciata una sede di Lotta continua e , poco più in là , una agenzia immobiliare . Perché Lotta continua inclina al riformismo ? Perché l ' agenzia immobiliare è uno strumento della speculazione ? Sì , ma come pretesto , come scusa per sentirsi presenti , potenti , minacciosi , vivi . Un giorno irrompono nel negozietto di un verduraio : qualche cesto di frutta , un po ' di insalata , due contadini inurbati , povera gente ; bastonati a sangue , il negozio incendiato « perché era aperto durante una delle festività infrasettimanali rubate al popolo » . Ma non sono popolo due contadini inurbati , due poveri cristi ? Sì , ma i casi personali non contano , conta l ' esempio , l ' azione , la presenza , l ' attivismo . Era così anche il fascismo nascente , ma non cadiamo nella falsa consolazione dei paragoni troppo facili : l ' esercito degli « spostati » è di nuovo in marcia , non si sa dove andrà a parare ; e imprecare , maledire in nome della santa democrazia serve a poco ; anche accorgersi adesso , marzo del 1979 , che alla facoltà di Psicologia di Padova è stato ripetuto lo stesso errore di Trento e di Milano , da cui , si poteva almeno ricordarlo , sono nati Potere Operaio e le Brigate Rosse . La facoltà di Psicologia di Padova viene immaginata , come quella di Trento , come una università di élite : per i nuovi tecnocrati , al servizio del sistema . E di nuovo l ' esercito degli spostati , che attende in ogni provincia italiana , lancia il suo ballali e parte alla conquista del vuoto ; una facoltà che doveva avere mille studenti se ne trova , in breve , novemila . Gli autonomi non sono di aspetto gradevole , come di solito non lo sono í poveri ; i loro metodi sono violenti , spesso il privato si traduce in ferocia stupida , in cinismo da quattro soldi ; il gioco del potere che si fa sulla loro pelle può anche assomigliare a una triste parodia del leninismo . Ma anche vedere la palazzina dove ha sede la facoltà di Psicologia non è un bel vedere , anche vedere degli uffici , dei locali , delle attrezzature che andrebbero in frantumi se gli studenti compissero il loro dovere di venirci a studiare non è un bel vedere . Sono accorsi a migliaia a Psicologia per le stesse ragioni per cui erano andati a Trento : l ' illusione di impadronirsi in qualche modo della chiave per capire gli altri e per comandarli ; ancora il desiderio di onnipotenza pessimamente collocato in una macchina della frustrazione e della impotenza . Che altro era nella vecchia Italia la corsa generale a Giurisprudenza ? La speranza di entrare a far parte di quelli che conoscono le machiavelliche procedure dei dottori . Qui a Psicologia anche la voglia della scorciatoia , di lauree facili con bibliografia ridotta ; e poi di posti di prestigio , in una categoria di moda : gli psicologi , dopo i sociologi , gli urbanisti , gli architetti e le altre onde delle ricorrenti mode sociali . Dicono bene i francesi : un raz de marée , una marea che sale , d ' improvviso ; in una di quelle professioni che fanno saltare i nervi , le professioni - dice Pizzorno - che mettono di fronte i mille che avranno un buon posto e un alto stipendio , agli ottomila che non avranno niente e lo prevedono , lo sanno e si incazzano in anticipo . Certo , le aggressioni a Petter e a Longo sono state ignobili , cretine , al punto che fra gli stessi autonomi ci sarebbero critiche , dissensi aperti se non intervenisse la disciplina neoleninista - carbonara - mafiosa che li tiene assieme . Ma è anche stato mediocre , prima , lasciar gonfiare la facoltà per piazzarci figli e nipoti di professori . Adesso il rettorato cerca una soluzione pratica : arrivare in qualche modo al numero chiuso senza proclamarlo formalmente . Per potere , si può , all ' italiana . Si chiudono gli uffici per le iscrizioni , si mettono a tacere per il primo anno i corsi più importanti , si inizia il decentramento : in Francia è riuscito , in America funziona . Ma sì , a parole si può fare tutto , dire tutto ; ma solo con le parole non si cambia niente e qui , da dieci anni a questa parte , pochissimo è cambiato , salvo il numero degli incazzati e degli emarginati che è in continuo aumento , salvo il numero delle pistole e delle molotov che è in continua moltiplicazione , salvo la prospettiva di una guerriglia diffusa , già in atto e magari capace di allargarsi a guerra civile con conseguenti repressioni di tipo argentino . Perché questa è la contrapposizione tragica : un potere immobile , incapace di uscire dai suoi vizi , e una opposizione che si affida solo alla rabbia , troppo poco per essere l ' alternativa in un paese industriale avanzato .
StampaQuotidiana ,
Milano . Questa storia di miliardi e di sangue matura nella Milano degli ultimi anni Sessanta . In quella Milano che vede i metalmeccanici in tuta blu scendere in piazza per migliori salari e i titoli metalmeccanici salire in Borsa sotto la spinta della speculazione . In quella Milano che vede í primi cortei dei ragazzi di Mario Capanna sfilare al grido di « Fascisti , borghesi , ancora pochi mesi » , ma che assiste anche alle prime gesta dei futuri assaltatori della Borsa , ai primi vorticosi scambi di pacchetti azionari , alle prime colossali e inspiegabili fortune finanziarie . I protagonisti della storia sono tre : Michele Sindona , Carlo Bordoni , Giorgio Ambrosoli . Sono passati appena dieci anni e quest ' ultimo già è morto ammazzato l ' altra sera a Milano sotto casa sua . Bordoni si sta lentamente spegnendo nel Correctional Center di Manhattan , il più grande carcere di New York , colpito da una grave malattia . Michele Sindona , invece , vive tranquillo e apparentemente spensierato in una comodissima suite dell ' Hotel Pierre , forse il più bell ' albergo di tutta New York . Prima di cadere sotto i colpi di una P38 , Ambrosoli aveva fatto in tempo a sporgere denuncia contro ignoti perché sapeva che stavano cercando di farlo fuori . Bordoni , benché rinchiuso in carcere e sorvegliato quasi a vista , riesce a far filtrare continuamente messaggi nei quali accusa Sindona di voler attentare alla sua vita . Ma nel 1968 questi tre uomini quasi ancora non si conoscevano . Michele Sindona era allora poco più di un grande esperto in questioni finanziarie e immobiliari . In città non lo frequentava nessuno , se si escludono alcuni ristretti circoli finanziari e alcuni personaggi importanti del mondo dell ' industria e delle banche . Quando un giornalista dell ' « Espresso » gli chiese il permesso per farlo fotografare , rispose secco : « Se vedo arrivare un fotografo , gli faccio sparare dall ' autista » . Il primo ad accorgersi delle grandi qualità di questo ambizioso avvocato siciliano era stato il Marinotti della Snia Viscosa , che si era rivolto a lui per certe storie relative ai danni di guerra e che ne aveva tratto un giovamento preziosissimo . Ma la vera pista di lancio di Sindona è stato l ' avvocato Carnelutti : insieme hanno fatto i primi affari , insieme hanno messo piede nella prima banca , la Moizzi , destinata a diventare poi la Privata Finanziaria e la fonte di tutte le disgrazie future , compresa la morte di Ambrosoli e il terrore di Carlo Bordoni . Nel 1968 Michele Sindona , che è già il padrone assoluto della Banca Privata Finanziaria , sta per mettere le mani sulla Banca Unione e sta per lanciarsi nel mondo della Borsa e della speculazione sui cambi in grande stile . Carlo Bordoni , che proprio in quegli anni inizia la sua collaborazione con l ' avvocato siciliano , ha una storia diversa , tutta segnata dalla carriera in banca . La sua professione , il suo vero destino , è quello del cambista : ogni giorno Bordoni arriva in ufficio alle sei della mattina , tiene fra le labbra un grosso sigaro cubano , si mette personalmente al telex e comincia a imbastire le sue speculazioni . Marchi contro yen , dollari contro franchi svizzeri , sterline contro fiorini . E , quando proprio c ' è troppa calma sui mercati valutari , anche platino contro oro , oppure , nei momenti di magra assoluta , patate contro cipolle . Per Bordoni tutto va bene . Purché si tratti di comprare e vendere sulla carta , Bordoni non ha magazzini , non ha camions , non ha niente ; gli bastano un telex e qualche telefono con le linee dirette per tutto il mondo . Nel giro dei cambisti ha una fama enorme : si dice che sia il più bravo in Europa e , forse , addirittura nel mondo . Ma sul suo conto circolano storie inquietanti . Si racconta di guadagni favolosi , ma anche di perdite tremende . Si ricorda , ad esempio , come il consiglio di amministrazione di una delle più importanti banche italiane lo abbia licenziato sui due piedi perché colto dal terrore davanti all ' enormità delle sue operazioni in cambi , tali da mettere in pericolo la stessa solidità dell ' azienda . E si racconta ancora , ma forse è leggenda , di una sua colossale speculazione al ribasso contro il fiorino che provocò addirittura l ' intervento della diplomazia olandese . Giorgio Ambrosoli , invece , entra in questa storia solo più tardi , nell ' autunno del 1974 , e nel ruolo del riparatore di torti . Nel 1968 è ancora chino sui libri contabili della Sfi , un imbroglio finanziario che all ' inizio degli anni Sessanta aveva fatto tremare mezza pianura padana , una ventina di industriali di primo piano e grossi esponenti della DC lombarda . Quei libri gli erano stati affidati nel 1964 e la sua opera di liquidatore della Sfi avrà termine solo nel 1972 : giusto il tempo per prendere fiato un paio d ' anni , prima di ripiegare la testa su un nuovo scandalo , ben più grosso e inquietante , quello di Michele Sindona , di Carlo Bordoni e di tanti altri i cui nomi forse non conosceremo mai . Ambrosoli , cioè , è l ' esatto contrario dei due personaggi con i quali la sua vita si incrocerà e si perderà . È un avvocato , come Sindona , ma non ama le avventure , è prudente , è di ghiaccio , è implacabile . Quasi sempre chiuso dentro un blazer blu e anonimi pantaloni grigio scuro , instancabile fumatore di sigarette , pignolo al punto da controllare anche le bollette della luce di Michele Sindona , dopo il 1974 si rivelerà come il più tenace avversario che l ' avvocato siciliano abbia incontrato . Alla fine , pur non avendolo mai visto in faccia saprà tutto di lui , più di ogni altro al mondo . Ma nel 1968 , si diceva , Ambrosoli lavora a riparare antiche ingiustizie . Sindona e Bordoni , invece , stanno preparando la loro scalata nella finanza internazionale . Lo schema concettuale da cui partono è talmente semplice da lasciare sbalorditi . Attraverso le loro banche e le loro moltissime società rastrellano denaro in Italia e nel mondo offrendo qualche punto percentuale in più sugli interessi . Questi soldi , poi , vengono utilizzati per le più straordinarie speculazioni rialziste che si siano mai viste in piazza degli Affari e per le più temerarie speculazioni in cambi che siano mai state condotte sui mercati internazionali . Montagne di dollari attraversano l ' Oceano manovrate dai cavi telex e telefonici di Bordoni , magari più volte nello stesso giorno e nei due sensi . Il denaro sembra moltiplicarsi solo nell ' andare avanti e indietro . In realtà sta fermo : a muoversi è solo Bordoni con i suoi messaggi in codice e le sue brucianti telefonate sulle principali piazze finanziarie del mondo . La Borsa di Milano è invece il regno di Sindona . I titoli della sua scuderia sembrano conoscere solo il movimento verso l ' alto . La voce si sparge e questo siciliano che nessuno conosce ancora diventa una specie di lotteria nella quale tutti sanno di poter vincere sempre . I guadagni vengono investiti in nuove imprese , sempre più grandi . Ma la passione di Sindona rimangono le banche . Dopo la Privata Finanziaria e la Unione , vengono la Amincor e la Fina in Svizzera , la Wolff in Germania e , ecco la scalata al cielo , la Franklin di New York , uno dei più grandi istituti di credito degli Stati Uniti . Il sogno di una vita sbagliata è realizzato : Sindona è un finanziere con interessi sulle due sponde dell ' Atlantico . Comincia a frequentare non solo gli uomini che contano a Milano , ma anche quelli che contano a Roma , soprattutto democristiani . Conosciutissima è la sua amicizia con Andreotti . Ma è anche la fine . All ' inizio del 1974 Bordoni e Sindona si accorgono che i conti non tornano , mancano 100 miliardi , forse 200 , forse 1000 . Ormai nessuno di loro due può dirlo . Sono persi dentro le loro stesse trame finanziarie . Bordoni è il primo a scappare , si rifugia a Caracas , dove verrà ripescato dalla polizia americana per certe illegalità commesse alla Franklin . Sindona lancia con la Finambro un ' operazione destinata a procurargli almeno 150 miliardi di lire fresche e pulite , ma viene giustamente bloccato dall ' allora ministro del Tesoro Ugo La Malfa . Alla fine , in giugno , troverà i 100 miliardi presso il Banco di Roma cedendo la proprietà del suo impero . Ma è troppo tardi . Tanto in Italia quanto in America ci sono ispettori in tutte le sue banche . Saltano fuori speculazioni sui cambi per 3 o 4 miliardi di dollari , truffe e pasticci di ogni sorta . Anche Sindona abbandona il campo e fugge a New York appena in tempo per evitare il mandato di cattura . E tutta la storia passa nelle mani di Giorgio Ambrosoli , nominato liquidatore della Banca Privata Italiana . In mano a un altro quell ' enorme mucchio di carte false , di contratti mai onorati e di miliardi a volte mai esistiti che fu l ' impero Sindona sarebbe ancora avvolto nel mistero e quindi innocuo . Ma Ambrosoli , come una brava talpa lombarda , scava fino nei più segreti angolini e consegna , proprio pochi giorni fa , una monumentale relazione alla magistratura : la verità , dopo cinque anni di indagini . Una verità , evidentemente , scomoda . Tanto scomoda da essere ripagata a colpi di pistola .
La lezione dei profughi ( Rossella Carlo , 1999 )
StampaPeriodica ,
Quando Lata Krishnan incontrò Ajav Shah , a Londra nel 1986 , si accorse di avere con lui qualcosa in comune . Le loro famiglie avevano lasciato l ' Africa orientale fra la fine degli anni Sessanta e la metà degli anni Settanta , quando si scatenò un ' ondata di razzismo contro gli immigrati di origine indiana . Il dittatore ugandese Idi Amin Dada , infatti , aveva cacciato dal suo paese chiunque avesse nelle vene anche una sola goccia di sangue asiatico . Krishnan e Shah si sposarono e decisero subito di andarsene dall ' Inghilterra e raggiungere la California . Approdarono a Fremont , nella Silicon valley . Col loro amico Mukesh Patel , anche lui profugo dell ' Uganda , fondarono la Smart Modular , un ' azienda che produce moduli per la memoria dei computer . La ' new economy ' ha portato fortuna ai tre . Nel 1998 la Smart Modular Technologies ha guadagnato 51,48 milioni di dollari . Oltre al quartier generale di Fremont , la compagnia ha costruito un centro di design a Bangalore in India , e altri laboratori a Portorico , in Scozia e in Malesia . Quando Tau Dang scappò dal Vietnam nella seconda metà degli anni Ottanta pensava di fare fortuna in America . Approdò con la famiglia nella zona est di San José in California . Fece tanti lavori . Alla fine si dedicò all ' assemblaggio , a domicilio , di componenti per i computer . Oggi la sua abitazione è un piccolo laboratorio . I figli , la moglie , la nuora e i nipoti lavorano almeno 12 ore al giorno . Con notevoli sacrifici non hanno raggiunto la grande ricchezza , ma si sono garantiti il benessere e la sicurezza . Un figlio di Tau Dang frequenta l ' università a Palo Alto e fra poco , se avrà fortuna , potrà diventare uno dei nuovi miliardari dei computer . Lata Krishnan , Ajav Shah , Mukesh Patel , Tau Dang sono alcuni di quei profughi che anni fa vedemmo in tv fuggire , coi loro fagotti e le facce impaurite , dalle guerre e dalle persecuzioni . Accade anche oggi , è appena successo in Kosovo , di guardare le scene dell ' esodo e di immaginare soltanto sventure e destini crudeli per quelli che sono costretti a lasciare la loro casa e il loro paese . Centinaia di migliaia di uomini , donne e bambini ogni anno , al mondo , diventano profughi . Piangono , soffrono , a volte muoiono di stenti o di malattie . Ma dentro chi sopravvive al disastro si sviluppa la forza della speranza , la voglia di farcela , di resistere , di trovare a tutti i costi una nuova vita . E ' sempre stato così . Per questa ragione i profughi vanno accolti con generosità , aiutati a migliorare , inseriti nella comunità . L ' America è un paese forte perché costruito da immigrati , da disperati , da gente fuggita da tutti i razzismi e da tutte le persecuzioni di questo e dell ' altro secolo . L ' era della globalizzazione è fatta di aperture e non di chiusure . La società multietnica e multirazziale è più produttiva e creativa dei mondi chiusi e provinciali . Pensare di non poter convivere con gli ' altri ' , che hanno diverse abitudini , religioni e culture , è assurdo , ingiusto e antieconomico . Gli asiatici , scappati dall ' Uganda e sparsi fra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti , hanno fatto in gran parte fortuna , si sono arricchiti e hanno arricchito i paesi che li hanno ospitati . All ' inizio sono finiti nelle terribili periferie urbane della Londra anni Settanta . Ma poi , piano piano , hanno risalito la china . Grazie alla loro forza e a quella del libero mercato .
Nella gabbia di Mirafiori ( Pansa Giampaolo , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Torino , 10 . Torino , la violenza , il terrorismo . Sulla pelle di questa città ci siamo esercitati tutti per anni . Adesso proviamo ad ascoltare qualche voce di chi sta dentro Torino e dentro le sue paure . Oggi parla un caposquadra della FIAT Mirafiori . « Dei sessantuno operai licenziati non voglio dir niente . Dopo , lei capirà la mia ragione . Su tutto il resto , invece , sono disposto a parlare perché penso sia utile conoscere come vanno le faccende in FIAT . In cambio le chiedo una cosa sola : non dia i miei dati personali e non mi descriva . Dica soltanto che ho una quarantina di anni e che sono uno dei duemila capisquadra di Mirafiori . Lei conosce la fabbrica ? No ? Allora le spiego la piramide gerarchica . C ' è l ' operaio , poi l ' intermediario , il caposquadra , il caporeparto , il capofficina , su su sino al direttore . Come vede , io sto al primo gradino dei capi , guadagno sulle seicentomila lire al mese e ho vent ' anni di FIAT sulle spalle . In FIAT ho imparato tutto e la FIAT è stata la mia prima famiglia . Oggi per me non è più niente . Oggi io sto in fabbrica dalle nove alle undici ore al giorno . E ogni giorno mi domando : a fare che cosa ? Lei avrà sentito parlare di programmi produttivi , di qualità della produzione . Bene , nell ' ambito della mia squadra dovrei occuparmi di questo . Arrivo all ' inizio del mio turno , conto gli operai che lavorano con me , so che per fare un certo prodotto occorrono tot operai , so che , per essere venduto , il prodotto dev ' essere affidabile , ossia avere una certa qualità . Insomma , faccio l ' interesse dell ' azienda che mi paga . Non è una mia pretesa : è una necessità . In un ' altra epoca avrei detto : è il mio dovere . Le aziende stanno in piedi solo se il lavoro è fatto bene , e tutta la baracca , sì , il paese , si regge se le aziende funzionano . Questo ho imparato in venti anni di lavoro . E questo ho fatto per molto tempo . Adesso non lo faccio più . Lei mi chiede : è colpa degli operai ? Io le rispondo così . Prendiamo cento operai di Mirafiori . Trenta non vogliono saperne né di sindacato né di niente : la fabbrica è un posto dove purtroppo bisogna faticare e basta . Altri trenta vogliono una politica sindacale democratica e giusta . Venti - venticinque sono in balia della prima aria che tira e non sanno da che parte stare . E su questi premono gli ultimi quindici che sono estremisti e cercano ogni occasione per rompere i coglioni , per non lavorare e per non far lavorare . Quindici sono pochi , ma bastano per far casino se gli altri non reagiscono . È una minoranza che però fa quello che vuole . Il loro nemico è il primo capo che hanno sottomano , il caposquadra . È lui il centro del bersaglio , quasi fosse la controfigura dell ' Agnelli . Tu insisti per fare andare avanti il lavoro , per ottenere la quantità e la qualità necessarie . E loro , soprattutto quelli giovani , gli ultimi assunti , goccia dopo goccia , riempiono il tuo vaso . Capo , non rompere , o ti facciamo sciopero . Capo , vaffanculo . Capo , sei un bastardo , guarda che ti conosco , so dove stai e ti prendo fuori di qui . Capo sei un fascista , ti faremo camminare in carrozzella . Capo , non fare rapporto in direzione , altrimenti ... Bisogna subire . C ' è chi subisce piegandosi a gesti meschini . Qualche volta è capitato anche a me . In certi momenti , poi , c ' è la caccia al capo . Le giunge nuovo ? Io me la sono sempre cavata , non mi hanno mai buttato fuori . E sa perché ? Quando arrivava il corteo interno , ho sempre tagliato la corda . Ma ho vissuto momenti neri , a vedere gli amici sballottati qua e là con la bandiera rossa in mano , e io dovevo rimanere nascosto e inerte per non essere costretto a fare come loro . Infine ci sono le gocce che cadono fuori dalla fabbrica , a casa . Le telefonate mafiose : cerca di contenerti , sta dalla parte degli operai ... oppure le minacce alla moglie : guardi che quel porco di suo marito prima o poi glielo facciamo fuori . A me è sempre andata bene , non mi hanno nemmeno bruciata la macchina , anche perché cambio sempre posteggio e strada . Però gomme tagliate e auto incendiate sono all ' ordine del giorno . Per non parlare del resto : i colleghi feriti , voi scrivete azzoppati come se si trattasse di vitelli e invece sono uomini condannati per tutta la loro restante vita . E poi i dirigenti ammazzati dalle bande , l ' ultimo Ghiglieno . Così , mese dopo mese , la mia vita è cambiata . Una volta tornavo a casa e mi riposavo o stavo coi figli o facevo dell ' altro lavoro . Adesso penso soltanto a ricaricarmi di energia per affrontare la battaglia del giorno dopo in FIAT . Anche di dentro sono cambiato . Si metta al mio posto , al posto di uno che sul lavoro se fa una cosa gli dicono : bastardo , sbagli ; e se ne fa un ' altra gli dicono sempre : bastardo , sbagli . Dai e dai , come fa a non sorgerti il dubbio che forse davvero c ' è qualcosa in te che non va , che non sei più la persona di prima ? E soprattutto in fabbrica che ti accorgi del tuo cambiamento . Lo abbiamo visto quando hanno assassinato Ghiglieno . Ci siamo trovati in un gruppo di capi e ci siamo chiesti : che facciamo ? fino a quando durerà ? dobbiamo adoperarci ancora per tenere in piedi quest ' azienda ? Abbiamo risposto di sì , ma era chiaro che in tutti c ' era la voglia contraria , la voglia di mollare . Anzi , per dire le cose come stanno , non si tratta più di voglia . Noi capi abbiamo mollato . Manca solo che ci mettiamo in mutua , ma è come se lo fossimo . Lo so che se poi il cliente ha il freno che non gli funziona o il pistone rigato , la colpa è anche nostra ma ormai è difficile comportarci secondo le regole . Non ci crede ? Venga in fabbrica . Se vedo un operaio che prende a calci un pezzo , sono in grado di fare una cosa sola : aspettare un po ' e poi raccoglierlo io . E se mi accorgo che uno il pezzo se lo ruba via ? Mi giro dall ' altra parte per non vedere . La denuncia ? Ma in che mondo vive lei ? Possiamo solo ingoiare . Questa sta diventando una fabbrica di merda . Le sembra un ' espressione troppo forte ? Guardi , se lei mi chiedesse di definire la FIAT oggi , non troverei un termine dispregiativo sufficiente . Lo scriva pure chiaro . Ma lo sa che nelle vetture e nei cassoni troviamo i preservativi usati ? Dire che è un casino è dire poco . E voi dei giornali non avete mai raccontato la verità . Come si può resistere ? Mi scusi se uso una parola difficile : a volte mi sento spersonalizzato , completamente . Anche fuori dalla FIAT mi sento così . Quando qualcuno mi domanda chi sono e che lavoro faccio , non so come rispondere . Sono un capo ? No , non lo sono più . Non sono più niente . Sono soltanto uno che fa male il proprio lavoro , anzi , uno che non sa più qual è il suo lavoro . Decisioni ne posso prendere quasi zero . Punire non posso , perché se punisco corro il rischio di farmi sparare . Premiare nemmeno . A volte un operaio mi dice : d ' accordo , non puoi prendere provvedimenti contro quel lavativo che non fa niente ; dà almeno un premio a me che lavoro . Ma nemmeno questo posso più farlo . In fabbrica ormai siamo tutti uguali , tutti appiattiti . Lama in televisione parla di premiare la professionalità . Io vorrei che Lama venisse qui in FIAT e stesse a Mirafiori una settimana per vedere qual è la realtà . Le colpe del sindacato sono grandi . Si è servito degli elementi più accesi per prendere un certo potere dieci anni fa . Mi va bene . Avrei fatto così anch ' io . Ma poi il sindacato avrebbe dovuto liberarci di questi elementi e non c ' è riuscito . Anzi , gli è corso dietro . No , non sono più iscritto al sindacato . E se in fabbrica non lo critico apertamente , è solo per paura . Ho degli estremisti in squadra e non voglio finire al traumatologico . Però non pensi che io sia di destra . Tutt ' altro . Sono ancora giovane . Ho un diploma . Cerco di ragionare e ogni giorno leggo due giornali , la « Stampa » e 1'«Unità» , per fare il confronto . Capisco che al pugno duro di una volta non si torna più , era ingiusto e comunque oggi sarebbe impossibile . E la parola « intimidire » mi fa paura . Per troppi anni , in FIAT , l ' operaio è stato intimidito . Ma adesso quelli che vogliono lavorare , e sono ancora tanti , non respirano più . A volte c ' è da esser disperati . E io mi domando : come mai nessuno interviene ? Poi , se guardo fuori dalla FIAT , mi do la risposta da solo : ma chi mai potrebbe avere l ' autorità per intervenire ? Mio nonno diceva : il pesce puzza sempre dalla testa . E la testa del paese è marcia . Il nostro sistema politico fa spavento . Per spiegarmi , le faccio un confronto con la fabbrica . Se devo rimproverare un operaio che arriva in ritardo , dopo le sei , bisogna che io stia in fabbrica prima delle sei . Ma se mi alzo alle sette , non ho più i titoli per richiamare uno al suo dovere . Così è per Roma . Se la testa del Paese non si mette a posto , non ridiventa pulita e non fa il suo dovere , che cosa si può pretendere dalla base ? A questo punto , devo chiudere lo sfogo parlando ancora di me . Per prima cosa , le dico che Torino ormai mi fa paura . Non voglio più abitare a Torino . Appena potrò , me ne andrò a stare via . La seconda cosa è che anche continuare nel lavoro di oggi mi fa paura . Ma perché lo chiamo ancora lavoro ? Ogni giorno , quando entro a Mirafiori , mi sembra di andare ad un posto di combattimento . Chiederò di essere trasferito in un ufficio . Lo hanno già fatto altri miei colleghi , lo farò anch ' io . Non voglio più avere responsabilità . Non voglio più fare il capo . Voglio solo ubbidire e basta . Così potrò vivere senza rischiare l ' attentato o l ' esaurimento nervoso . Scriva pure che ho rifiutato una promozione . E scriva che sono prontissimo a rinunciare ad una parte della paga per essere più sicuro in fabbrica e fuori . Subito . Da domani mattina . Mia moglie , anzi , mi spinge a lasciare la FIAT . Mi dice sempre : licenziati , io lavoro e un posto poi lo troverai . Sono quasi pronto a fare anche questo e non è detto che non lo faccia presto . Del resto , che gusto c ' è a rimanere ? La FIAT è un ammalato che può morire da un giorno all ' altro . E noi stiamo qui a guardarla , dirigenti e capi , tutti impotenti allo stesso modo . In FIAT non comanda più nessuno , mentre fuori le pistole sparano . Detto questo , è detto tutto . Mi costa confessarlo . Quando sono entrato in FIAT vent ' anni fa , immaginavo tutto diverso . Oggi credo di avere ancora molto equilibrio , ma mi sento un uomo colpito da un ' umiliazione continua . Sì , umiliato è la parola giusta . Umiliato e quasi prigioniero in una gabbia , la gabbia di Mirafiori . Lei penserà che sono un vigliacco . Ma l ' unico desiderio che in questo momento ho è quello di sottrarmi all ' umiliazione e di uscire dalla gabbia . Uscire e poter dire , finalmente : adesso respiro » .
Orrore dalla Cambogia ( Macciocchi Maria Antonietta , 1980 )
StampaQuotidiana ,
Dalla frontiera cambogiana , febbraio . Testimonio , dopo aver attraversato i campi dei rifugiati cambogiani , con i « medici senza frontiere » , nella « Marcia perché sopravviva la Cambogia » , del più grande orrore umano , dopo Treblinka e Auschwitz . Il genocidio del popolo khmero : da sette milioni , recensiti nel '71 , i khmeri superstiti sono tra i due e i tre milioni . L ' olocausto è avvenuto in tre ondate successive . Nella prima fase , durante la guerra che aveva opposto gli americani e i « lon nol » ai khmeri rossi , ne era stato massacrato un milione . Poi lo sterminio è avvenuto in altre due fasi successive . Sotto il regime di Pol Pot , tra il 1975 e il 1979 , allorché un terzo della popolazione è scomparso nelle esecuzioni sommarie , i lavori forzati , la carestia . E infine , la terza fase succeduta alla follia sanguinaria dei polpottiani : l ' esercito vietnamita , che entra a Pnom Penh , i17 gennaio '79 , dopo una guerra lampo , cominciata il 25 dicembre '78 , salutato in un primo momento come liberatore dal popolo martirizzato , diventa subito l ' occupante : preda , uccide , affama , requisisce . Il Vietnam vuole la terra cambogiana , una volta detta « la risaia dell ' Asia » , e non sa che farsene dei cambogiani da nutrire . Questa è anche una guerra alimentare . Comincia il grande esodo dei contadini , la marcia per sfuggire alla morte , attraverso le foreste , sotto gli spari dell ' artiglieria che l ' insegue . Adesso , al confine della Cambogia , in terra thailandese , si ammassano 500 mila khmeri . C ' è chi dice che siano 700 mila . Percorrono una sorta di Stato cuscinetto , fatto di membra umane , di avanzi del popolo khmero , su alcune decine di ettari di fango nauseabondo . Visito i campi di Sa - Kaeo ( trentamila khmeri rossi ) e di Khao I Dang ( centoventimila khmeri serei ) . Questi fuggiaschi non appartengono politicamente a nessuno . Non hanno lo statuto dei profughi , perché il governo thailandese non riconosce la Convenzione di Ginevra . Sono letame umano . Al di fuori dei campi ufficiali , è ancora peggio . Una folla di morti - vivi che fuggono , o sono evacuati dalle truppe vietnamite , quando il cibo manca . Allora , la folla delirante degli affamati è definita dai viet « anticomunista » , e cacciata . Gli « anticomunisti » mi raccontano che tutte le strade della Cambogia sono minate dall ' esercito , e che per loro « il sentiero più sicuro è quello dei cadaveri » . Non capisco . Mi spiegano allora che spesso marciano su chilometri di corpi in putrefazione uccisi durante l ' avanzata dei vietnamiti , per non saltare sulle mine . Si salvano corrompendo con pezzetti d ' oro gli sbarramenti dei viet e poi quelli dei thailandesi . Chi ha un po ' di oro , anche solo un dente da strapparsi , sopravvive . Sono venduti due volte , dai soldati del Vietnam e da quelli della Thailandia , alla frontiera . Adesso la più grande città cambogiana non è più Pnom Penh , ma Khao I Dang , il campo dove si ammassano 120 mila profughi . Mi apro la strada fra i detriti del popolo khmero . Questi sono tutti khmeri serei , ovvero cambogiani che non stanno né coi vietnamiti né con i khmeri rossi . Invece , a Sa - Kaeo ( che vuoi dire lago di vetro ) sono rinchiusi solo i khmeri rossi - 27 mila esattamente - dietro il filo spinato dei recinti . All ' ingresso , una scritta campeggia : « Ci scusiamo per il vostro disagio , ma l ' ordine e la disciplina sono segni di civiltà » . È un campo prigione . I profughi khmeri rossi stanno accosciati o ritti , come bestiame , con gli occhi vuoti ci osservano da dietro il recinto . Mi rifugio con Joan Baez , che fa parte della Marcia , dentro una capanna dell ' UNICEF , mentre crepitano le cineprese dei fotoreporters , delle TV dell ' Occidente . Filmano , fotografano il più grande spettacolo del mondo : la cantante Baez e l ' attrice Liv Ullman , idoli della società dello spettacolo , a fianco della puzzolente melma cambogiana . Sembra una consegna di Oscar . I fotoreporter chiedono alle dive di prendere in braccio i bambini profughi per il coltivatore dell ' Oklahoma o l ' intellettuale di Manhattan , sembra lo spettacolo con le girls di Apocalypse Now . Dico a Joan Baez : « Come sopportare questa contaminazione tra show e morte ? » . Lei risponde : « È necessario , perché il mondo sappia » . Forse , ha ragione lei . Ma poi ci separiamo . Fuggo via , lontano dall ' occhio implacabile delle televisioni e del mondo civilizzato . Trovo un interprete del campo , un thailandese , lo scongiuro di aiutarmi , e mi spingo ai bordi di Sa - Kaeo . Attraverso cunicoli infetti che sono strade , budelli neri su cui si affacciano bicocche costruite con i legni delle casse degli aiuti . Le mosche e le zanzare formano cortine brune . All ' ombra , stanno larve di donne , immote , incrostate di polvere , le sopravvissute alla lunga marcia . Non si occupano dei figli , come le madri normali . O forse non ne hanno più . Le famiglie sono state smembrate da Pol Pot prima , e poi durante la fuga . È un popolo che si cerca senza posa . Le madri cercano i figli , i figli le madri o i padri . In una baracca più ampia trovo una folla agitata , in coda , che reca piccole foto all ' ufficio « Ricerca » . Ve ne sono decine nei campi di questi uffici . Le foto vengono affisse al muro . Sono vecchie foto di gente sorridente , davanti a un tempio , una famiglia , due bambini , una donna fotografata in una strada di Pnom Penh . Con un megafono , gli organizzatori girano il campo : conoscete una famiglia con questo nome , riconoscete un bambino di otto anni capitato qui senza madre ? Sbuco , di colpo , davanti a una pagoda buddista , costruita dieci giorni orsono con tavolacci , in fondo al campo . I bonzi dalle teste rasate sono giunti dai dintorni , e pregano in silenzio , vestiti di giallo , sola macchia di colore nel grigio - nero implacabile . I khmeri rossi convertiti al buddismo indossano una maglia gialla . Un centinaio di fedeli gremisce il tempio . Molti giovani . Magari sono stati torturatori , assassini agli ordini di Pol Pot , artefici sanguinari delle fosse comuni . Ora subiscono una crisi mistica , mi dice un medico . Mi accettano fra loro . Il tempio diventa una platea che interrogo . Viene designato per rispondere , o trasmettere le risposte del pubblico , l ' uomo più rispettato , perché più vecchio , 51 anni . Si chiama Ne Tai , è un operaio di Takeo , che ha lasciato la Cambogia nel gennaio del '96 , dopo l ' invasione vietnamita . « Avete cambiato opinione su Pol Pot ? » . Rispondono : « Non siamo mai stati per Pol Pot » , e Ne Tai : « Pol Pot voleva farmi uccidere perché ero religioso » . « Allora , siete fuggiti dai khmeri rossi o dai vietnamiti ? » . « Gli uni e gli altri » . « Chi è più feroce ? » . « Lo sono allo stesso modo ambedue » . « Chi ha ucciso di più ? » . Uno dice : « I vietnamiti ammazzano più dei polpottiani » . Un altro : « No , sono tali e quali » . « In Europa , si dice che i vietnamiti vi hanno liberati » . « Noo ! Il Vietnam ha invaso la Cambogia , non abbiamo più terra » . « Come siete arrivati qui ? » . « Abbiamo traversato le montagne , le foreste , i fiumi . A piedi , cercando l ' acqua , incalzati dalle truppe . Eravamo a decine di migliaia sulle strade . Quando non morivamo per carestia , morivamo di malaria » . « Avevate armi ? » . « No , noi siamo il popolo . Da un lato c ' è il popolo , dall ' altro la forza » . « Siete comunisti ? » . « Nooo ! » . « Chi tra voi è del Partito comunista può alzare la mano ? » . Nessuno alza la mano . « Ma allora Pol Pot non è mai esistito ? » . « Sì , ma non sappiamo chi è comunista ancora e chi khmer rosso , anche se ce ne sono » . « Avete un messaggio da affidarmi per gli europei ? » . « Vogliamo che la Cambogia sia pacificata , vogliamo rientrare . I vietnamiti devono andarsene , sono l ' invasore » . « Fareste la guerra per avere la pace ? » . Quattro o cinque dicono : « Sì , vogliamo riprendere le armi » . Altri : « Siamo pronti ad andare , se ci aiutano però gli altri paesi » . « Ma i cinesi non sono vostri amici ? » . « Per il passato sì , ma ora non abbiamo visto i cinesi muoversi per cacciare i vietnamiti » . Ne Tai dice solennemente : « Il popolo cambogiano deve sopravvivere malgrado le sue sciagure » . Per la prima volta , applaudono tutti , adesso . Un frastuono che somiglia alla speranza . « Crediamo solo negli organismi internazionali , perché soltanto essi potranno regolare íl problema . La Cambogia è troppo piccola , è morente » . « A quale leader dareste la fiducia ? » . « Sihanouk » . « La pace verrà se ci sarà Sihanouk » . « Sihanouk , Sihanouk » ritmano l ' uno dopo l ' altro , con uniformità appassionata . Ne Tai mi segue , mentre mi allontano . Ora , scoppia a piangere . Ha perduto la sua dignità di capo . « Che Sihanouk torni al più presto » implora . « È un ' opinione personale ? » . « No , di tutti » . Qualche ora dopo , mi ritrovano . Si sono consultati : chiedono , con coraggio , una cassetta con un messaggio di Sihanouk al campo di Sa - Kaeo . E le lacrime del vecchio continuano a scorrere . Mi affidano altre lettere , da imbucare a Parigi . A quanto pare , si sono assunti gravi responsabilità politiche , parlandomi a questo modo . Melo spiega un ' infermiera francese , Manaiek Lanternier . A Sa - Kaeo , la disciplina interna è dura , l ' inquadramento politico dei khmeri rossi esiste , ma clandestino . Esso è guidato da Lim , uno dei cavalieri dell ' apocalisse polpottiana . Per un caso , sono la sola a scovare Lim . Egli risponde al nome di Ta ( zio ) Khiang On Thiang , è stato capo di distretto e capo di divisione sotto Pol Pot . Ha 32 anni , parla francese , ma a me dice di non conoscerlo . Parla come un dirigente politico , anche nel suo negare tutto . Non respinge la realtà dei massacri compiuti , ma ne offre la versione ufficiale : « Chi ha ucciso , sotto Pol Pot , l ' ha fatto per ordine dei vietnamiti , restati in Cambogia , fin dall ' epoca della sconfitta dei francesi , nel 1954 . Essi continuavano a lavorare per il Vietnam . I ragazzi di 15 anni ammazzavano , è vero , ma gli ordini venivano da queste spie infiltrate » . Chiedo quanti sono i khmeri rossi ancora in guerriglia . Alcuni affermano che essi stanno subendo una rotta definitiva , altri che ve ne sono ancora , 30 mila , armati dai cinesi . Alle 5.30 di colpo , sul campo il sole si spegne , come una candela su cui si soffi . Mi accorgo che tutto il personale , medici , infermieri , insegnanti , abbandonano questo girone infernale , per ragioni di sicurezza . A Sa - Kaeo , comincia un ' altra vita . Avvengono le riunioni notturne . I rifugiati litigano fra loro sulla distribuzione del cibo . Con me , nel tempio , hanno affermato : « Vi sono discriminazioni nelle razioni . A seconda di chi distribuisce , si ricevono razioni più abbondanti , per le amicizie politiche , per i favoritismi » . Un inglese , Bondy , che fa il medico , mi narra che nella notte donne e bambini vengono violentati in tutti i campi . Un ' infermiera francese mi ha fatto conoscere una piccola guerrigliera khmera rossa di 18 anni , a cui Lim ingiunge di riprendere le armi per rientrare in Cambogia e combattere i vietnamiti . Lei ha rifiutato , traumatizzata per il sangue versato . Piange , negli incubi notturni . Alcune partigiane khmere rosse raccontano di essere state violentate dai compagni d ' arme . Ora ci lasciamo alle spalle la notte di Sa - Kaeo , di Khao I Dang , e dei campi di Khao Larn , di Kamput . Rientriamo a Aranya Prateth , la città di frontiera , e ci buttiamo a dormire in un locale detto « il garage » , su un materasso per terra , sotto una zanzariera . Ad Aranya Prateth ci incontriamo con la febbre dell ' oro . Un esercito di contadini thailandesi , di cinesi , di cambogiani , si sono improvvisati commercianti , furiosamente avidi . Campano sui profughi , vendono gli aiuti occidentali , e le frutta , gli abiti , l ' acqua , il ghiaccio , biciclette . È il più immenso mercato libero del mondo , la corte dei miracoli , che spunta dovunque , magari su una risaia disseccata . Le pattuglie thailandesi confiscano tutto , oppure vogliono mille bath ( un bath corrisponde a 50 lire ) . L ' indomani nel campo di Khao I Dang , arrivando a quel che si chiama con pompa l ' orfanotrofio , capisco che vuol dire un viaggio in fondo all ' inferno . Vi sono 2300 orfanelli , nel campo . A Sa - Kaeo , se ne contano 500 . In tutto , si parla di 11 mila orfani , che vanno da pochi mesi a 12 anni , disseminati lungo la frontiera . Dal mondo esterno arrivano le richieste di adozione , ma l ' Alto commissariato per i rifugiati presso l ' ONU dice che spetta a questa infanzia di ripopolare il paese , essa non va sradicata . Mi sembra del tutto assurdo perché sono questi bambini i più traumatizzati , mortalmente malati . Non piangono e non ridono , per mesi . Mi mostrano Lo , il ragazzo dodicenne che ha portato sulle spalle il padre moribondo , fino al campo , per seppellirlo . Ma i ragazzi qui sono stati anche i tremendi protagonisti del male . Quest ' apocalisse , per la prima volta nella storia ha avuto come attori i ragazzi , forse i fratelli di questi orfani . Pol Pot aveva issato i bambini al vertice della gerarchia , perché rappresentavano una « pagina bianca » nella storia . Voleva capi senza passato , quindi fanciulli , che dirigessero con potere assoluto le Comuni , in cui egli aveva spartito il paese , cancellando villaggi e città . Anche Pnom Penh era stata svuotata , come simbolo di corruzione le Comuni andavano da 400 a 4 mila persone . A Qhao I Dang , tra i khmeri serei , uno studente mi racconta che il kanak della sua Comune , ovvero il capo , il duce , aveva solo 12 anni . Cominciò ad ammazzare allorché gli regalarono un orologio e gli dissero : uccidine tre , di nemici , prova . E lui colpì , preciso , alla nuca . Gli diedero tutti i poteri . Infatti il kanak non aveva al di sopra di sé nessuno : i suoi rapporti erano solo con Pol Pot , al quale egli poteva anche telefonare . Gli adulti , i vecchi , gli intellettuali tremavano davanti ai bambini . Un ' inversione paradossale delle generazioni . Agli intellettuali , i ragazzi cucivano le dita col filo : se lo spezzavano , erano condannati a morte . Con un colpo di vanga sul cervelletto , per non sprecare munizioni . Khin Shkun , ex studente di medicina di Kampong Preach , è il superstite di undici persone , una famiglia di commercianti . Mi racconta che non tutti i kanak erano cattivi , e che vi erano anche giovani capi buoni , che non uccidevano . Il suo kanak aveva 14 anni . Egli ha scavato per suo ordine le fosse per i condannati , due metri di larghezza e sessanta di lunghezza . Colpivano con una mazza di bambù alla nuca il condannato , poi gli squarciavano il petto col coltello , e gli estraevano la bile per curare la febbre gialla , ne asportavano il fegato per mangiarlo . « Dicono che ora Pol Pot è diventato gentile , che non uccide più » commenta . « Ma forse è là , dietro le montagne di Phnom Chkat » e fa segno col dito all ' orizzonte . « Ora è solo capo dell ' esercito , e non più del partito . » Prum Saklon , che era maestra , afferma che Pol Pot odiava le intellettuali , e le aveva eliminate da ogni ufficio , gettandole nei campi , dove lavoravano nelle risaie17 ore al giorno . Dopo il parto avevano una settimana di riposo e poi di nuovo al lavoro nelle dighe e nei campi . Nessuna doveva dire di saper leggere e scrivere . Pol Pot prediligeva solo le guerrigliere . I kanak avevano in odio in primo luogo i maestri di scuola . « Ma allora , le truppe vietnamite » chiedo « vi hanno liberato ? » . « Lo credevamo anche noi , quando sono arrivati . Poi ci siamo accorti che loro uccidono meno con le armi ma uccidono ancora di più con la fame . Fanno una scatola di riso per 20-30 persone . Oppure mettono un bacile di riso in mezzo a una folla , e ci massacriamo tra noi per strapparne un boccone . Vogliono distruggere l ' esistenza stessa del popolo khmero . E popolare la Cambogia di vietnamiti » . Che avverrà di quel che sopravvive del popolo khmero ? Tra due mesi , quando sarà finito il magro raccolto di gennaio , quel che resta di uomini nella Cambogia è destinato a morire di fame . Qui son tutti d ' accordo . L ' artiglieria vietnamita avanza , bombardando le ultime postazioni dei khmeri rossi . E sembra pronta a prendere in una tenaglia i campi dei profughi , con le sue nove divisioni , accampate a tre chilometri dalla frontiera . Le superpotenze - USA , URSS , Cina - non alzeranno un dito per salvare i 500 mila relitti , alloggiati in questi campi , tutto sommato , bocche in meno da sfamare . Al mattino del 6 febbraio , la nostra pacifica « marcia perché la Cambogia sopravviva » prende la strada del ponte Aranya Prateth , che segna la frontiera con la Cambogia , seguita da camion con 200 tonnellate di riso , e carichi di medicinali . Siamo 150 persone , in fila indiana , scrittori , parlamentari , sindaci , intellettuali , attori , venuti dall ' America e dall ' Europa . Bernard - Henry Lévy inalbera su una lunga asta una bandiera bianca che vuole essere più un segno di pace che di resa . In testa al corteo avanzano i generosi « medici senza frontiere » , gli organizzatori della marcia , che chiedono di entrare per soccorrere gli ammalati , i morenti in Cambogia . ( Nella Cambogia occupata si dice che restino solo 40 medici ) . « Iniziativa funesta , incitamento alla rivolta » ha detto la radio di Hanoi per stigmatizzare la marcia . « Provocatori , operazione ignobile » ha scritto « l ' Humanité » . Oltre il ponte , una decina di piccoli soldati vietnamiti in uniforme verde ci scrutano con i cannocchiali , da dietro la trincea . Tre delegati della marcia avanzano fino a metà del ponte : un medico francese , il presidente americano del « Comitato internazionale per i rifugiati » , una donna cambogiana che ha perduto i figli e il marito . Il messaggio è gridato , oltre la frontiera , con un megafono , e pronunciato in tre lingue , francese , inglese e cambogiano : « Soldati viet che state dall ' altra parte , davanti al lamento degli agonizzanti , al cinismo dei potenti , siamo venuti a portarvi solidarietà e aiuti » . Dall ' altra parte , risponde un silenzio massiccio , assoluto . Consegniamo , allibiti e impotenti , i camion con gli aiuti alla Croce Rossa internazionale . Anche se la marcia non salverà certo i khmeri dalla morte , anche se noi sembriamo degli ingenui umanitari , tuttavia , almeno , attraverso questa testimonianza nessuno potrà dire , come avvenne ai tempi del nazismo : « Noi non ne sapevamo nulla » .
Questo è il Salvador ( Chierici Maurizio , 1982 )
StampaQuotidiana ,
San Salvador . Com ' è diversa la città che oggi attraverso , dai racconti arrivati nelle nostre case . I morti , la paura ... Invece questa capitale di fiori e di baracche continua a mostrare la solita pelle tropicale , che il carnevale ricopre di altri colori . Stasera , la strada che porta al mare è una fila di macchine che si sfiorano con la pazienza di ogni week end . Le scuole riaprono dopo le vacanze d ' inverno e grandi manifesti fanno sapere ai genitori quali professori certi ginnasi ( naturalmente privati ) sono riusciti ad ingaggiare . « Fidatevi di noi ! » Fidarsi nella scelta dell ' insegnante di latino ha l ' aria di essere l ' unico problema del Paese . Nel mio albergo i leones ( sono i lions ) fanno festa : regalano qualcosa ad un ospedale . Sfogliando i giornali , sembra che tutte le ragazze della città si siano messe d ' accordo per compiere 16 anni durante questo fine settimana . Nei giardini delle belle case , sotto il vulcano , si ballerà , aspettando il mattino . La gente riempie ogni negozio ; nei ristoranti non c ' è posto fino a notte . Si discute della partita che il Salvador ( finalista ai Mondiali ) gioca contro la squadra venuta dal Guatemala . Davvero mi trovo nella capitale del massacro ? La notizia in prima pagina è scelta con gusto diverso dalle nostre di questi giorni . Racconta di un contrabbandiere fermato alla frontiera , con una merce proibita . Nelle sue casse c ' erano 800 serpenti . Fuori dall ' aeroporto gli operai stanno montando un cartello infinito e verde : « Vieni a visitare le cascate del bosco » . Per muoversi senza problemi ho bisogno di una lettera che spieghi quale curiosità mi spinge a cercare la gente . Deve firmare questo permesso il colonnello Gonzales , direttore del « Comitato de Prensa de la Fuerza Militar » . Così entro nella cittadella dello stato maggiore . Torrette , mitraglie . Il pomeriggio si consuma , ma Gonzales non arriva . Dal meticcio che fa la guardia voglio sapere : come mai non arriva ? « Forse non riesce a svegliarsi ... » Lo dice in uno sbadiglio di pace . Spunta una macchina piena di musica . La guida una bella signora dalle trecce raccolte . Ride con qualcuno in divisa . Fa il pieno dalla pompa dell ' esercito e subito corre felice oltre la sbarra delle sentinelle , verso il traffico che non dà respiro . C ' è sempre la musica nella sua macchina . Devo dire la verità : non mi sembra di essere chiuso dentro l ' inferno di Fort Apache . Ma è proprio questa la città dei morti ? Wallace Nuting , generale a tre stellette , che da Panama comanda le forze americane dell ' America Latina , ieri è partito da qui , ripetendo : « Non ho elementi sicuri , ma mi pare che il governo riuscirà a piegare la guerriglia . La situazione , per ora , sembra salda nelle sue mani . Basta vedere come si vive in città ... » . Sembrano le parole giuste per la serenità che questa realtà vuoi far trasparire , ma è un gioco di specchi , di piccoli specchi , perché le realtà sono due , e molti segni fanno capire come siano inquietanti le cose , nascoste dietro i gesti della normalità . Già all ' aeroporto i poliziotti sfilano il giubbone militare ad un fotografo . « Perché ? » si arrabbia , « è la moda ... » Gli rispondono : « Fa confusione ! » . È un tipo di confusione che le cronache raccontano : al chilometro 33 della Panamericana , guerriglieri con casacca verde oliva hanno bloccato il traffico . Giù la gente dalle corriere , che la dinamite brucia in un minuto . Danno economico . Disagio al potere . « Giubbotti verde oliva , come questo ... » Il poliziotto non vuole essere preso per matto . I giornali insegnano in poche righe come si vive dietro il carnevale della capitale , da vendere a chi passa . Una fila di fotografie ripropone vecchi dolori . « Chi ha visto questo ragazzo di 18 anni , catechista dei padri Saveriani , scomparso venti giorni fa , mentre tornava a casa ?...» « Chi ha sentito parlare del professor Alvaro Dubon ?...» « Manca di casa il signor Ramon García ... » Nelle invocazioni si coglie il pudore di una rassegnazione strana . Gli scomparsi non tornano mai ... Fra un giorno , fra un mese , in un cimitero clandestino , un corpo stremato dalla tortura potrà forse ricordare il ragazzo che la madre sta cercando . Ed è questa doppia immagine di vita e di paura a rendere schizofrenica , ancora prima che tremenda , la dimensione del Salvador . L ' albergo dove sono arrivato , per esempio , ricorda tutti gli alberghi di una realtà violenta : Beirut , Amman , Saigon . Gli ospiti sono soltanto giornalisti . Un commerciante dall ' ironia esagerata ha venduto magliette traversate da una scritta : « Non sparate , sono giornalista ! » . Nell ' abitudine , il dramma degli altri diventa un gioco per chi ne è testimone . Tutti le indossano , le comprano : da portare a casa . Per non sparire , si ricoprono le automobili di scritte che avvertono chi è nascosto fra le piante : « Aiutateci nel nostro lavoro ... » . Tutti aiutano . Quando si prende la strada della guerriglia , i posti di blocco dell ' esercito si aprono con la lettera del colonnello Gonzales , ma anche le ombre che più avanti saltano fuori dietro un ponte non piantano grane . Le fotografie , le interviste . Di qua e di là ripetono : « Vinceremo » . La guerriglia sta vincendo la battaglia dei nervi . Vuol dimostrare che si muove come vuole . Occupa un villaggio . Si appropria delle carte ufficiali , anche economiche . Processa i funzionari corrotti . Fucila í crudeli . Poi , se ne va . Quando torna l ' esercito , la liturgia si rovescia . Tocca a chi è stato conciliante con i ribelli . Ecco i massacri . Si ammucchiano i figli piccoli ai padri . Una domanda non trova risposta : perché questo andare e venire , se tutti sanno che chi paga con la vita è sempre la stessa gente ? Forse l ' orrore della crudeltà del nemico viene considerato arma vincente . C ' è chi sicuramente perde . Sempre gli stessi . Se questa è la guerra - spettacolo che si racconta nel brontolio di un ' indifferenza internazionale finalmente finita , i massacri , dunque , continuano . Muoiono contadini che hanno vissuto nella miseria di 650 dollari all ' anno , loro e i loro figli . E qui i figli sono tanti . Crescono come bestie , e come bestie vengono spulciati . Stasera , il ministro della Sanità è apparso in TV : inaugura l ' operazione disinfezione dei tugurios , che sono baracche mescolate all ' immondizia . Mezza città . Un ' operazione sfarzosa , ripresa dalla TV . Gli elicotteri bombardano le lamiere dei derelitti con una pioggia di DDT , come d ' estate , quando si uccidono le zanzare . È questo il Paese che si sforza di vivere , continuando a morire ? Per i russi ? Per gli americani ? I campesinos ridono amaro . Non sanno nemmeno perché vengono uccisi : nell ' antica storia della ferocia politica , 30 mila morti in due anni hanno spento ogni orrore del passato . La voce di Duarte , presidente civile della giunta militare , torna ogni ora alla radio . « Non possiamo negoziare il potere con nessun terrorista , perché il potere è del popolo , e il popolo non vuole cederlo a gente di cui non si fida ... » La polemica brucia le prossime elezioni , annunciate in un clima da repubblica di Salò . Per le elezioni si spara . Per le elezioni crescono i massacri . Farle o non farle ? La giunta non ha dubbi : si voterà . È la condizione che Reagan pretende rispettata , per far piovere aiuti . Nei caroselli TV lo si fa capire . « Vota e tutto andrà bene » dice una voce . L ' immagine mostra pacchi di dollari , che mani affettuose contano , per la gioia di chi guarda . Ecco la legge elettorale , che per la prima volta impegna l ' ipotetica democrazia del Paese . Regolamenti strani per le abitudini del nostro mondo . Nessun registro con i nomi di chi va a votare . Ognuno deve presentarsi con la carta d ' identità , lascia l ' impronta dell ' indice su un foglio , ed entra in cabina . Tutto qui . Non è nemmeno obbligatorio votare nella città dove si risiede . Basta il posto più comodo ; quel certo giorno ... « Così c ' è chi vota non so quante volte ! Facile cambiare seggio ... » protestano gli oppositori , che invitano alla diserzione . « L ' inchiostro è indelebile . Impossibile fare trucchi . » Lo slogan « il dito non si smacchia » è la sola garanzia concessa da questa macchina elettorale . Una parte degli oppositori ( clandestini e armati ) avrebbe voluto entrare nella battaglia delle preferenze . Kean Bleakeley , consigliere americano , li aveva invitati ad inventare qualcosa . « Usate gli audiovisivi . Registrate e mandateli per posta . » Invece hanno deciso di astenersi . La regola è boicottare , eppure , non è sempre andata così . Una voce qui racconta la storia di una mediazione italiana . La voce è bene informata . Ecco come sarebbero andate le cose . Lo scorso autunno , mediatori italiani , vicini alla DC , sarebbero arrivati in Salvador con una proposta che sembrava l ' uovo di Colombo . Per accordi tra Paesi industrializzati , l ' Italia dovrebbe dedicare una quota del prodotto nazionale lordo al Terzo Mondo . Il Salvador lo è : per disperazione e per fame . Washington fa oggi sospirare un appannaggio di 50 milioni di dollari , gli italiani pare ne abbiano offerti addirittura 500 . Cinquecento milioni di dollari disponibili nel momento in cui la giunta e la guerriglia si accordino per elezioni oneste , con tutti , contro tutti , ma solo a parole . Anche i socialisti di casa nostra sembravano contenti . A questo punto il ministro degli Esteri Chavez Mina vola in Messico per discutere con gli strateghi della guerriglia , stabilendo un contatto che í militari intransigenti ritengono ancora sacrilego . I massacri finiscono con i soldi italiani ? Avrebbero dovuto finire con elezioni sensate , ma íl Fronte di Liberazione pone una condizione per la futura società : la rifondazione dell ' esercito . Rifondare significa cambiare colonnelli spietati ed intransigenti , i duri e i faccendieri ; e i colonnelli , fiutando il pericolo , bruciano l ' ipotesi . Si aggrappano al dogma : « Con la guerriglia non si tratta » . Così , non succede niente . Il Salvador continua a battere cassa per le armi , mentre il contributo italiano resta dov ' era : poteva servire , in una dimensione straordinaria , a rimettere in moto il lavoro e le attenzioni sociali , non a far crescere il massacro . Sono due anni che il massacro è cominciato . Nel '79 , per protestare contro l ' arresto dei dirigenti del Blocco Popolare , cattolici e marxisti ( assieme ) occupano la cattedrale . Polizia e guardia nazionale , sotto í riflettori TV , fanno massacro . Sparano a zero sulla grande folla . Una follia voluta dal colonnello Romero , superstite dell ' amministrazione Nixon . Una follia che scatena altre follie : rapimenti , vendette . C ' è un Romero diverso , in Salvador : ormai tutti lo sanno . Un vescovo eletto primate , perché topo indifferente di biblioteca . Ma un giorno , ad Aguilares , che è una delle capitali della fame , un gesuita , compagno di scuola delvescovo , viene ucciso perché ha difeso i tagliatori di canna dall ' ingiustizia del latifondo . Romero vuole capire : esce dai libri e si mette a leggere la realtà . Difende i deboli , denuncia i delitti . « Non sono un rivoluzionario , sono un conservatore » mi disse molti mesi prima di morire : « Sto adoperando l ' intelligenza per salvare il mondo che amo contro la follia . » L ' hanno ucciso in chiesa : in questi giorni il delitto è stato archiviato . « Casi non risolti . » Mi fa impressione vedere nel mondo dei poveri la sua immagine confusa con quella dei Guevara . Carter è stato , qui , un buon presidente . Ha imposto la riforma agraria ( massimo di proprietà 500 ettari ; finiti gli imperi sopra i 100 mila ) , ma i latifondisti emarginati sono scappati a Miami , per sostenere la campagna elettorale di Reagan . Da lì hanno ordinato ai militari , ancora oggi nella giunta , di annullare la riforma . La riforma prometteva la terra ai contadini , e uno stipendio dignitoso ai braccianti . Ma i militari che di giorno giuravano queste cose , la notte sgozzavano i contadini colpevoli di lavorare per guadagnare finalmente qualcosa , quindi non far saltare la riforma . Ho visto attorno a Chalatenango famiglie dormire la notte nei campi . A casa non volevano tornare . Avevano disobbedito . Avevano accettato di lavorare . Sapevano che durante la notte , con scarpe militari , scendendo da camion dell ' esercito , ufficiali e soldati dell ' esercito andavano a punirli . Al confine con l ' Honduras ho raccolto la testimonianza su persone fatte fuori nella gola di un fiume . Chi le inseguiva era guidato da elicotteri . Nella periferia delle città , all ' alba passano i camion degli spazzini , ma non sono spazzini coloro che ordinano ai curiosi di chiudere le finestre . Sui camion si ammucchiano i corpi dei morti di notte . Noi , di fuori , possiamo immaginare tante teorie : massacro rosso , massacro bianco . Ma questo è un Paese piccolo e la gente si conosce . I nomi degli assassini fanno trasparire quello dei mandanti ; ecco perché Romero è stato ucciso ; ecco perché la maggior parte dei deputati democristiani che difendevano i diritti dell ' uomo hanno voltato le spalle alla giunta e vivono profughi in Messico . Il simbolo di questo orrore , un po ' ingiustamente , è diventato Duarte . Un ingegnere che i suoi attuali amici hanno reso profugo per anni . Hanno truccato le elezioni del '72 per impedirgli di raggiungere il potere . Il potere è legittimo . Due anni fa si è illuso di poter dominare i militari . Oggi ha l ' aria di un piccolo Pétain che sperava di salvare la grandeur della Francia , accettando dai tedeschi le terme di Vichy . Duarte spera ancora , prigioniero di un sogno , di dominare un mondo di soldati che uccidono e sparano nel suo nome . Per chi torna in Salvador tante volte resta la malinconia degli amici spariti e mai tornati , degli amici perseguitati , degli amici che hanno paura a farsi vedere assieme a un giornalista . « Tu parti , noi restiamo : abbi pazienza ... » E nella tristezza profonda di questa umanità umiliata , vien da ridere ripassando le nostre teorie . Le armi da Cuba , le armi dall ' America . La Polonia che bilancia il Salvador ... Ma a questa gente non pensa nessuno ?