StampaQuotidiana ,
Milano
,
dicembre
.
Qui
Milano
network
,
la
«
televisiun
»
,
privata
e
pubblica
,
reti
uno
,
quattro
,
cinque
,
Euro
TV
,
Rete
A
e
consideriamo
pure
a
parte
Antenna
3
,
il
cui
patron
,
Renzo
Villa
,
è
anche
il
conduttore
dello
show
festivo
,
tanto
per
capire
l
'
ambiente
,
un
po
'
saloon
.
Fin
che
la
dura
,
la
più
ricca
,
lussuosa
,
dissipatrice
televisione
del
creato
,
capace
da
sola
di
ingoiare
i
due
quinti
della
produzione
americana
e
di
consumare
in
un
giorno
tanti
film
,
telefilm
e
serial
quanto
gli
USA
o
la
Germania
in
una
settimana
.
Per
via
,
si
sa
,
della
sfida
infernale
delle
private
fra
di
loro
e
con
la
RAI
che
essendo
femmina
virtuosa
si
è
trovata
con
la
gonna
alzata
dalla
concorrenza
a
mostrar
natiche
un
po
'
rugose
e
biancheria
rattoppata
.
Reti
di
un
solo
proprietario
contro
reti
di
affiliati
,
come
i
contadini
contro
i
mandriani
del
West
,
per
disputarsi
l
'
immensa
prateria
televisiva
,
le
grasse
mandrie
pubblicitarie
da
condurre
al
santo
macello
,
con
lotta
all
'
ultimo
sangue
,
ossessiva
,
grottesca
per
la
audience
,
l
'
ascolto
pagato
con
cifre
enormi
,
non
sai
mai
se
autentiche
o
gonfiate
:
programmi
per
500
miliardi
e
2000
titoli
nei
magazzini
di
Canale
5
e
di
Rete
4
,
Dallas
contro
Dynasty
,
quanto
a
dire
serial
da
un
miliardo
a
puntata
,
per
la
produzione
,
comperati
prima
a
24.000
dollari
a
puntata
e
poi
,
a
forza
di
rilanci
,
a
100.000
.
E
dietro
a
valanga
Flamingo
road
,
Falcon
crest
,
Magnum
sino
alle
vette
di
Uccelli
di
rovo
e
di
Venti
di
guerra
in
quella
euforia
,
un
po
'
irresponsabile
,
che
vi
prende
nei
casinò
o
nel
salone
delle
grida
alla
Borsa
,
dicono
due
miliardi
a
testa
per
film
come
l
'
Ufficiale
e
gentiluomo
e
Rambo
e
sicuramente
mezzo
miliardo
per
qualsiasi
filmetto
pornodialettal
-
comico
.
Ma
chi
si
ferma
davanti
all
'
ascesa
continua
della
pubblicità
?
Le
sole
private
sono
passate
dai
60
miliardi
del
'79
,
ai
144
dell'80
,
ai
255
dell'81
,
ai
467
dell'82
,
ai
720
dell'83
ai
previsti
1400
dell'84
,
con
crescita
a
raddoppio
.
Sì
,
non
sarà
tutto
oro
quello
che
luce
,
le
cifre
sono
al
lordo
,
spesso
pagate
con
«
cambio
merci
»
cucine
,
piastrelle
,
liquori
che
poi
bisogna
rivendere
e
magari
quasi
al
limite
del
codice
,
con
ristorni
,
in
nero
,
ai
titolari
di
azienda
,
se
la
vedano
poi
loro
con
i
soci
,
le
banche
,
gli
azionisti
,
e
cospicui
gratuiti
:
se
mi
paghi
cento
spot
nelle
ore
di
punta
,
te
ne
regalo
cento
nelle
altre
ore
.
Non
sarà
tutto
oro
,
ma
tanto
oro
quanto
basta
per
celebrare
,
fra
addetti
,
le
gesta
dei
pistoleros
tivù
:
«
Giuseppe
Lamastra
,
direttore
acquisti
di
Rete
4
,
ha
soffiato
a
Berlusconi
tutto
lo
stock
della
Publikompass
»
.
Due
giorni
dopo
Silvio
Berlusconi
risponde
«
bloccando
l
'
intero
pacchetto
della
Cineriz
,
ha
scelto
fra
250
film
il
meglio
,
pagandoli
ognuno
36
milioni
(
cifre
del
'79
)
contro
i
35
del
concorrente
»
.
Allora
Formenton
,
boss
di
Rete
4
,
si
fionda
in
Brasile
a
mietere
telenovelas
.
Moltiplicando
per
cento
,
per
mille
è
un
po
'
come
il
boom
dei
rotocalchi
nell
'
immediato
dopoguerra
,
con
i
tipici
sviluppi
all
'
italiana
,
la
rana
che
si
gonfia
a
rischio
di
scoppiare
.
Nessuno
ha
tempo
per
studiare
,
per
inventare
si
fa
più
presto
a
comperare
il
meglio
che
c
'
è
,
íl
direttore
che
ha
avuto
successo
,
la
testata
fortunata
,
il
genere
che
va
.
Il
bollettino
di
guerra
risuona
per
corridoi
e
uffici
.
Udite
!
Udite
!
Lillo
Tombolini
è
passato
da
Rete
uno
a
Rete
4
con
Enzo
Papelli
in
fuga
dalla
RAI
e
allora
Canale
5
ha
sparato
a
zero
sulla
Sipra
,
concessionaria
RAI
,
le
ha
rubato
Longhi
,
direttore
vendite
!
Ma
di
queste
lotte
stellari
fra
gli
staff
televisivi
il
pubblico
sa
poco
e
nulla
e
poi
non
se
ne
cura
attonito
come
è
di
fronte
ai
trasferimenti
di
Mike
(
Bongiorno
)
di
Pippo
(
Baudo
)
e
di
Corrado
.
Come
ai
tempi
eroici
dei
rotocalchi
si
torna
all
'
editore
leggendario
,
al
padre
padrone
come
furono
l
'
Angelo
Rízzoli
e
l
'
Arnoldo
Mondadori
,
al
boss
duro
-
fraterno
,
capitalista
ma
amico
del
fattorino
,
tecnico
,
contabile
,
grafico
,
inventore
,
esperto
in
tette
da
copertina
,
simpatico
anche
nelle
sue
«
ire
funeste
»
,
il
factotum
che
attraversa
le
aziende
in
ogni
direzione
per
provvedere
a
tutto
,
per
tenere
assieme
questo
mondo
nuovo
che
sembra
sempre
sul
punto
di
sfasciarsi
,
di
dissolversi
.
Silvio
Berlusconi
è
il
padre
padrone
più
noto
,
conosciuto
anche
come
«
mister
five
»
o
«
il
ragazzo
della
via
Gluck
»
o
per
antonomasia
«
quello
che
trova
sempre
i
soldi
,
chi
sa
dove
»
fulmineo
e
onnipresente
e
vorace
come
un
Howard
Hughes
,
speriamo
per
lui
e
per
noi
un
po
'
meno
«
cabiria
»
;
o
il
Mario
Formenton
,
esitante
fra
l
'
aplomb
del
grande
editore
e
la
grinta
del
vecchio
rugbista
,
o
il
re
del
latte
Calisto
Tanzi
,
forse
il
più
temerario
dato
il
finanziamento
del
«
Globo
»
e
l
'
Alberto
Peruzzo
,
per
antonomasia
«
ma
da
dove
è
spuntato
?
»
.
E
al
loro
seguito
i
comprimari
e
le
macchinette
,
i
self
made
man
e
i
portaborracce
,
i
forzuti
e
le
bionde
eroine
.
Ecco
Annamaria
Frizzi
,
veneta
,
moglie
di
industriale
e
industriale
essa
stessa
che
pianta
marito
e
azienda
per
mettersi
nella
pubblicità
con
Berlusconi
e
tirar
su
in
un
anno
,
da
sola
,
15
miliardi
.
Non
male
al
15
per
cento
di
interessenza
.
E
papà
Balini
?
Per
anni
lo
hanno
visto
fare
anticamera
nei
corridoi
della
RAI
con
la
sua
valigia
piena
di
pizze
cinematografiche
italo
-
americane
che
i
signori
di
via
Mazzini
non
degnavano
di
uno
sguardo
.
Adesso
è
miliardario
,
si
è
stabilito
a
Hollywood
e
siccome
la
cucina
locale
non
gli
va
sta
aprendo
dei
ristoranti
italiani
,
mentre
procura
serial
a
Berlusconi
che
lo
paga
con
la
metà
degli
inserti
pubblicitari
inseriti
,
come
usa
dire
alla
brianzola
«
dentro
la
pucetta
»
dentro
lo
zabaione
del
successo
.
Uno
che
ricorda
un
po
'
Lombardi
,
«
l
'
amico
degli
animali
»
della
prima
televisione
,
è
il
Rino
Tommasi
consulente
sportivo
e
americanista
,
1800
libri
sullo
sport
yankee
,
intervista
di
un
'
ora
a
Kissinger
sul
soccer
e
l
'
olimpiade
,
un
tipico
«
superstat
»
macchina
statistica
.
A
parte
mettiamo
Carlo
Freccero
trentasette
anni
,
re
dei
programmi
che
hanno
fatto
la
fortuna
di
Canale
5
e
1
,
o
meglio
dire
del
palinsesto
,
che
se
lo
cerchi
sullo
Zingarellí
trovi
«
pergamena
più
volte
grattata
e
riscritta
»
che
non
è
poi
molto
distante
dal
significato
televisivo
.
Ci
incontriamo
alla
cafeteria
di
Milano
2
,
che
sembra
di
essere
a
Santa
Monica
California
,
luci
tenui
,
olive
e
Martini
,
stangone
biondo
platino
in
attesa
della
prova
di
balletto
,
registi
che
fanno
il
baciamano
.
E
c
'
è
anche
lui
,
Carlo
Freccero
intellettuale
sessantottino
,
raffinato
,
fra
la
nostalgia
e
l
'
incubo
della
stagione
utopica
.
«
Lei
Freccero
come
ha
sfondato
?
»
«
Mi
sono
sforzato
di
capire
tre
o
quattro
cose
,
già
molte
,
no
?
La
prima
è
che
sul
prodotto
non
puoi
bluffare
,
devi
avere
il
meglio
,
dunque
muoverti
sul
mercato
americano
.
La
seconda
l
'
avevo
scoperta
in
una
mia
archeologia
delle
TV
private
degli
inizi
:
quella
loro
rivelazione
del
prato
basso
italiano
,
ignoto
ma
ricco
e
vitale
,
il
prato
di
Portobello
,
degli
spettacoli
a
premi
,
partecipati
,
della
gente
che
parte
in
pullman
dalla
provincia
per
i
suoi
pellegrinaggi
laici
,
non
più
ai
santuari
per
chieder
la
grazia
alla
Madonna
,
ma
ai
teatri
televisivi
dove
si
celebra
il
dio
denaro
.
Poi
la
RAI
,
come
punto
di
riferimento
obbligatorio
,
perché
la
RAI
vuol
dire
venti
anni
di
abitudine
,
di
appuntamenti
fissi
,
magari
anche
di
noie
famigliari
,
ma
comunque
la
televisione
.
Quando
io
sono
arrivato
nella
professione
,
le
private
avevano
già
occupato
le
ore
vuote
o
silenziose
o
noiose
della
RAI
nel
pomeriggio
e
nella
tarda
sera
.
Restava
da
conquistare
il
peak
point
,
come
lo
chiamano
,
il
massimo
ascolto
delle
8
e
30
di
sera
.
Ce
l
'
abbiamo
fatta
con
dei
programmi
omogenei
,
sempre
riferiti
all
'
immagine
dell
'
emittente
,
famigliar
-
americana
di
Canale
5
,
italiano
popolare
di
Rete
uno
,
e
sottraendo
alla
RAI
i
Mike
e
i
Corrado
,
i
portavoce
o
maieutici
del
"
prato
basso
".»
Ora
andiamo
al
ristorante
dove
si
attende
il
boss
dei
boss
,
Silvio
Berlusconi
,
che
ha
appena
finito
di
festeggiare
non
so
quale
tribù
televisiva
di
venditori
o
di
aficionados
.
«
È
vero
»
gli
chiedo
«
che
mandriani
e
contadini
del
nostro
West
televisivo
stanno
per
fare
la
pace
?
Che
andate
a
un
'
unica
concessionaria
di
pubblicità
già
chiamata
Sipra
2
,
per
dire
nuovo
monopolio
in
vista
?
»
«
Lei
crede
che
il
primo
Agnelli
o
il
primo
Pirelli
potessero
davvero
autodimensionare
le
loro
aziende
?
No
e
neppure
noi
delle
TV
private
,
anche
noi
dobbiamo
misurarci
con
il
mercato
,
con
le
risorse
,
i
quali
dicono
che
solo
gli
oligopoli
possono
sopravvivere
.
»
«
Allora
continuerete
a
gettare
miliardi
nella
fornace
?
»
«
Spero
di
no
,
spero
in
un
gentleman
agreement
,
in
una
regola
di
comportamento
.
Ma
non
dimenticate
i
nostri
meriti
:
abbiamo
creato
una
ricchezza
pubblicitaria
in
crescita
anche
negli
anni
di
crisi
»
.
Il
boss
di
Rete
4
e
della
Mondadori
,
Mario
Formenton
,
sta
invece
meditabondo
ai
suoi
laghi
Masuri
,
pardon
,
ai
laghetti
ghiacciati
di
Segrate
(
chi
sa
le
tinche
giganti
come
se
la
passano
sotto
il
pack
)
.
«
Ho
qui
una
buona
notizia
»
dice
,
«
l
'
Associazione
degli
utenti
pubblicitari
si
è
decisa
a
creare
un
istituto
statistico
credibile
.
Dobbiamo
finirla
con
questi
rilevamenti
di
parte
che
a
sommarli
fanno
più
della
popolazione
italiana
»
.
«
Ma
a
Canale
5
dicono
che
il
vero
parametro
è
quello
delle
vendite
dei
prodotti
pubblicizzati
»
.
«
Già
,
come
non
sapessimo
che
una
campagna
pubblicitaria
punta
su
una
ventina
di
media
e
che
è
impossibile
dire
chi
ha
reso
di
più
per
le
vendite
»
.
«
È
il
meter
,
dottor
Formenton
,
l
'
aggeggio
elettronico
che
misura
l
'
ascolto
di
un
apparecchio
minuto
per
minuto
?
»
.
«
Sì
,
il
meter
,
ma
lo
gestisce
la
RAI
che
si
riserva
il
segreto
delle
postazioni
e
di
certi
rilevamenti
politici
.
Se
lo
immagina
lei
cosa
capiterebbe
se
facesse
sapere
che
appena
è
apparso
il
grande
leader
la
gente
è
scappata
?
»
.
L
'
alluvione
televisiva
è
come
quelle
del
Nilo
o
del
Mississippi
:
qui
distrugge
villaggi
,
là
posa
limo
fecondo
.
Una
rivoluzione
benefica
l
'
ha
compiuta
abbattendo
lo
steccato
della
TV
pubblica
,
storico
come
quello
vaticano
.
Mettendo
fine
a
una
lunga
stagione
di
sonni
,
di
alterigie
,
di
supponenza
,
vedi
la
Sipra
che
metteva
i
clienti
in
coda
,
zitti
e
buoni
.
Così
,
il
giorno
in
cui
un
suo
funzionario
di
nome
Trainetti
ha
dovuto
salire
le
scale
di
una
agenzia
pubblicitaria
,
lo
guardavano
increduli
come
la
vergine
di
Fatima
,
apparizione
divina
,
ma
anche
un
po
'
da
prendere
per
i
fondelli
:
«
Come
andiamo
Trainetti
,
è
vero
che
non
riuscite
a
raggiungere
il
tetto
pubblicitario
?
»
.
Si
è
dovuta
dare
una
regolata
anche
la
Sacis
,
che
per
anni
ha
svolto
l
'
unico
ridicolo
compito
della
censura
e
proibiva
negli
annunci
parole
come
estro
,
perché
pare
che
così
si
dica
dei
cavalli
in
calore
,
oltre
i
tradizionali
membro
,
sega
e
,
va
sans
dire
,
«
seghetto
alternativo
»
.
Adesso
in
difesa
della
RAI
e
della
Sipra
italiane
si
levano
i
«
vespri
»
patriottici
di
Flaminio
Piccoli
e
di
Gianni
Pasquarelli
che
se
la
prendono
con
la
colonizzazione
dell
'
Italia
,
con
l
'
americanismo
trionfante
che
mortifica
«
ogni
sforzo
onesto
di
produzione
plurima
»
.
Suvvia
,
lasciamo
perdere
,
diciamo
piuttosto
,
con
l
'
ingegner
Mattucci
direttore
RAI
in
Milano
,
che
le
private
sono
passate
«
dalla
cattiva
produzione
al
buon
acquisto
»
ma
solo
all
'
acquisto
,
incapaci
per
ora
di
creare
una
industria
televisiva
in
crescita
armonica
,
produttiva
.
L
'
antiamericanismo
alla
Jack
Lang
,
ministro
mitterrandiano
,
del
tipo
vive
la
France
abbasso
les
amerlos
,
gli
imitatori
dell
'
America
,
ha
un
senso
se
lo
traduci
in
capacità
produttive
,
in
somma
di
risorse
.
Ma
siccome
le
cifre
sono
quelle
che
sono
e
gli
investimenti
televisivi
italiani
sono
di
3000
miliardi
contro
i
30.000
delle
televisioni
americane
,
siccome
a
Broadway
e
a
Hollywood
ci
sono
migliaia
di
registi
,
scenografi
,
attori
,
operatori
che
da
noi
non
ci
sono
,
comperare
bisogna
.
Certo
,
come
macchina
socialculturale
,
la
televisione
commerciale
può
spaventare
,
ha
ragione
l
'
ingegner
Mattucci
a
dire
che
essa
«
può
far
morire
e
rinascere
il
cinema
,
dominare
le
comunicazioni
di
massa
,
creare
nuove
professioni
,
rovesciare
i
rapporti
culturali
»
.
Il
boom
delle
private
ha
avuto
,
per
dire
,
effetti
massicci
nella
stampa
di
intrattenimento
sollevando
a
un
milione
e
seicentomila
copie
,
massima
tiratura
italiana
(
il
25
per
cento
dei
giornali
venduti
nei
centri
con
meno
di
cinquemila
abitanti
)
,
«
Sorrisi
e
Canzoni
»
che
segue
le
trasmissioni
,
se
non
di
tutte
le
quattrocento
antenne
italiane
di
gran
parte
,
prima
redazione
computerizzata
per
tener
memoria
e
ordine
nel
mare
di
notizie
televisive
,
mentre
crollava
a
200.000
copie
il
«
Radiocorriere
Tv
»
che
ha
pagato
la
sua
fedeltà
alla
televisione
pubblica
.
La
«
televisiun
»
ha
anche
tolto
la
puzza
sotto
il
naso
degli
editori
racé
.
Se
uno
pensa
cosa
era
lo
snobismo
della
Einaudi
al
tempo
delle
vacanze
con
Vittorini
a
Bocca
di
Magra
quando
unici
interlocutori
accettabili
sembravano
il
poeta
Sereni
e
i
letterati
toscani
dell
'
altra
sponda
,
i
Tobino
,
i
Benedetti
,
i
Cancogni
;
o
ai
ricevimenti
cattedratici
in
casa
Laterza
con
i
professori
e
signore
in
nero
e
oggi
vede
Pippo
Baudo
al
centro
del
premio
Strega
,
adulato
,
corteggiato
assieme
al
suo
dirimpettaio
televisivo
della
domenica
,
Minà
,
per
il
potere
televisivo
che
hanno
di
farti
vendere
come
niente
diecimila
copie
in
più
,
capisce
che
se
ne
è
fatta
di
strada
dalle
élites
alle
masse
.
Carlo
Freccero
che
ha
l
'
occhio
del
mestiere
mi
faceva
osservare
:
«
Ha
notato
che
Baudo
,
adesso
,
delega
a
Grillo
ed
altri
attori
le
parti
grottesche
satiriche
?
Adesso
si
riserva
quelle
del
talk
show
autorevole
,
dell
'
amabile
cerimoniere
ormai
entrato
nell
'
establishment
culturale
»
.
La
televisione
è
un
'
alluvione
di
cui
pochi
conoscono
davvero
i
possibili
sbocchi
.
Per
ora
,
i
suoi
capitani
coraggiosi
come
Berlusconi
e
Formenton
navigano
un
po
'
a
vista
,
intuiscono
le
connessioni
con
i
teatri
,
i
giornali
,
l
'
editoria
specializzata
,
la
produzione
filmistica
in
proprio
,
l
'
azionariato
popolare
,
l
'
informazione
,
ma
senza
sapere
esattamente
cosa
c
'
è
dietro
quelle
porte
aperte
o
socchiuse
.
Oggi
le
prospettive
della
televisione
italiana
privata
e
pubblica
oscillano
fra
previsioni
trionfali
e
rischi
sempre
più
grandi
.
Si
scommette
su
una
crescita
senza
fine
della
pubblicità
,
si
preferisce
non
pensare
a
cosa
accadrebbe
se
dovesse
fermarsi
.
È
in
piena
angoscia
da
futuro
incerto
la
televisione
pubblica
.
C
'
è
una
commissione
parlamentare
che
dovrebbe
varare
la
famosa
legge
per
la
televisione
che
va
interrogando
un
po
'
tutti
,
in
cerca
della
pietra
filosofale
nel
Mugnone
,
capace
di
cambiar
i
sassi
in
oro
.
Mi
confida
il
dottor
Berretta
del
sindacato
pubblicitari
:
«
Hanno
convocato
anche
noi
,
ma
che
gli
diciamo
?
Che
quattordicimila
dipendenti
e
quattromila
consulenti
sono
una
follia
?
Che
bisogna
tagliarne
almeno
i
due
terzi
?
Ma
se
continuano
ad
assumere
giornalisti
democristiani
,
comunisti
,
socialisti
raccomandati
dai
partiti
.
Gli
proponi
un
canale
sovvenzionato
dagli
abbonamenti
e
pulito
di
pubblicità
?
Proprio
noi
?
Ma
le
pare
?
Eppure
sono
nei
guai
,
riescono
a
coprire
gli
spazi
pubblicitari
vicini
al
telegiornale
della
sera
,
ma
nelle
altre
ore
hanno
il
fiato
lungo
»
.
Per
l
'
ingegner
Luigi
Mattucci
,
direttore
della
RA1
a
Milano
,
l
'
unica
soluzione
praticabile
è
quella
di
una
televisione
pubblica
assistita
,
ma
concorrenziale
:
«
Se
molliamo
la
concorrenza
pubblicitaria
e
dell
'
audience
siamo
morti
.
Non
vedo
come
riusciremo
a
sfoltire
il
personale
.
Abbiamo
bisogno
di
quattro
o
cinque
anni
di
assistenza
,
il
tempo
necessario
per
riciclare
competenze
e
funzioni
,
diventare
una
azienda
che
dà
servizi
e
fa
ricerca
come
la
SIP
,
come
l
'
ENEL
»
.
Allora
,
altri
cinque
anni
di
compromessi
?
Di
informazione
televisiva
mutilata
,
congelata
?
Dice
Freccero
:
«
C
'
è
una
sola
via
per
vincere
tutte
le
censure
e
ottenere
tutte
le
interconnessioni
.
Fare
un
'
informazione
che
abbia
una
grande
audience
.
Allora
nessuno
si
preoccuperà
che
sia
di
sinistra
o
di
destra
,
tutti
staranno
attenti
agli
indici
di
gradimento
e
ai
miliardi
di
pubblicità
»
.
StampaQuotidiana ,
Roma
.
Quanti
?
Ce
lo
domanderemo
per
un
pezzo
.
Più
che
per
i
funerali
di
Togliatti
,
questo
è
certo
.
Più
che
per
chiunque
nell
'
età
repubblicana
è
probabile
.
Chi
ha
visto
le
immagini
in
televisione
si
sarà
fatta
un
'
idea
:
Roma
si
è
dilatata
fra
le
sue
mura
e
i
suoi
Fori
per
accogliere
questo
popolo
comunista
che
sembrava
una
nazione
e
che
sotto
un
sole
tardivo
ma
implacabile
è
andata
a
dire
addio
a
Berlinguer
.
Ce
lo
diranno
meglio
ancora
le
immagini
che
su
dal
cielo
andavano
filmando
Ettore
Scola
e
Francesco
Maselli
,
dall
'
elicottero
che
ronzava
e
sibilava
,
planava
e
si
arrestava
come
una
creatura
degli
stagni
.
Forse
erano
un
milione
e
mezzo
.
Un
milione
è
certamente
un
numero
per
difetto
,
considerato
che
soltanto
fra
le
Botteghe
Oscure
e
San
Giovanni
,
prima
dei
cortei
periferici
e
senza
calcolare
la
piazza
già
gremita
,
erano
almeno
ottocentomila
.
Davanti
al
rosso
palazzo
di
Botteghe
Oscure
,
chiusa
la
camera
ardente
,
la
folla
era
stipata
fino
al
collasso
,
fitta
nelle
zone
d
'
ombra
fino
a
sembrare
un
muro
respirante
e
stravolto
nell
'
attesa
.
Alle
14.45
è
uscita
la
bara
chiara
con
il
corpo
di
Berlinguer
.
Fino
ad
un
attimo
prima
era
silenzio
.
Volti
molto
affaticati
.
Occhi
di
pianto
.
Poi
l
'
applauso
come
un
uragano
.
I
bambini
in
braccio
,
sulle
spalle
.
Urlano
«
Enrico
»
.
Lo
ritmano
.
Lo
ripetono
a
triplette
-
«
Enrico
-
Enrico
-
Enrico
»
-
sempre
più
veloci
.
Si
levano
i
pugni
.
Partono
sei
o
sette
tentativi
di
intonare
Bandiera
rossa
che
si
sommergono
l
'
un
l
'
altro
su
diverse
tonalità
.
Perentoria
si
impone
la
marcia
funebre
di
Chopin
numero
uno
,
diretta
dallo
stesso
maestro
Franco
Castellani
che
la
suonò
vent
'
anni
fa
per
i
funerali
di
Togliatti
.
Chissà
se
si
farà
un
altro
quadro
gigantesco
per
questi
funerali
.
Proviamo
a
immaginarlo
,
dipinto
così
come
lo
abbiamo
visto
oggi
vivo
:
in
prima
fila
,
dietro
il
disadorno
furgone
nero
,
i
familiari
di
Enrico
Berlinguer
,
di
cui
non
si
cesserà
di
lodare
la
compostezza
e
quella
impensabile
misura
di
partecipazione
e
separazione
dal
lutto
pubblico
,
di
partito
,
politico
,
corale
.
Non
sarà
facile
dipingerli
senza
forzarne
i
tratti
.
E
poi
,
a
qualche
metro
,
Nilde
Jotti
con
un
foulard
celeste
per
ripararsi
dal
sole
che
arde
i
capelli
di
tutti
,
Giancarlo
Pajetta
e
Napolitano
col
berretto
in
testa
,
Pietro
Ingrao
,
Reichlin
,
Occhetto
che
in
questi
giorni
ha
retto
il
peso
organizzativo
del
presidio
di
Botteghe
Oscure
,
Tortorella
,
Pecchioli
sempre
più
diafano
ed
eretto
nel
suo
dolore
personale
,
il
sindaco
di
Roma
Vetere
,
Novelli
.
Poi
c
'
era
un
cordone
d
'
ordine
terribile
,
che
sgomitava
e
chiudeva
senza
pietà
.
Un
servizio
di
contenimento
della
folla
efficiente
,
duro
,
concitato
,
sicuramente
necessario
,
ma
che
faceva
singolare
contrasto
con
la
mestizia
,
la
folla
che
si
trascinava
su
un
asfalto
pastoso
,
appiccicoso
nel
quale
non
soltanto
le
suole
delle
scarpe
lasciavano
l
'
impronta
,
ma
in
cui
garofani
,
gladioli
e
rose
si
incorporavano
come
fossili
istantanei
.
Il
corteo
funebre
si
muove
lentamente
.
Pochi
metri
e
si
ferma
.
Davanti
si
incolonnano
centinaia
di
corone
:
sono
i
fiori
delle
sezioni
,
delle
federazioni
,
e
più
avanti
quelle
dei
consigli
di
fabbrica
,
della
FGCI
e
quelle
tricolori
del
presidente
della
Repubblica
,
della
Camera
dei
deputati
,
del
Senato
e
dei
presidenti
del
Parlamento
.
Elenchiamo
intanto
le
poche
cifre
note
.
I
pullman
che
sono
arrivati
a
Roma
sono
stati
più
di
cinquemila
.
I
treni
speciali
venticinque
.
Le
persone
arrivate
a
piazza
San
Giovanni
per
conto
loro
,
senza
far
parte
di
nessuno
dei
tre
cortei
collaterali
o
di
quello
centrale
,
erano
più
di
trentamila
.
Alle
10.30
il
centro
storico
era
chiuso
e
bloccato
.
A
quell
'
ora
,
soltanto
fra
via
del
Teatro
di
Marcello
e
piazza
Venezia
,
per
un
chilometro
e
mezzo
di
strada
,
erano
già
stipate
trentamila
persone
.
Il
Comune
di
Roma
ha
impiegato
per
il
governo
del
traffico
mille
e
duecento
vigili
urbani
.
Davanti
a
Botteghe
Oscure
,
nei
giardini
adiacenti
a
piazza
Venezia
,
sui
prati
e
sui
marciapiedi
hanno
dormito
migliaia
di
comunisti
arrivati
durante
la
notte
.
Alle
4
del
mattino
si
è
dovuta
riaprire
la
camera
ardente
perché
la
folla
premeva
.
Fino
alle
14
,
quando
è
stata
chiusa
,
i
visitatori
che
sono
riusciti
a
passare
davanti
a
quella
bara
sono
stati
almeno
centoventicinquemila
.
Gli
ultimi
a
fare
il
picchetto
d
'
onore
sono
stati
gli
attori
,
i
registi
,
la
gente
di
spettacolo
.
C
'
erano
Monica
Vitti
,
Giovanna
Ralli
,
Ettore
Scola
,
Carla
Gravina
,
Carla
Tatò
,
Giuliano
Montaldo
,
Mariangela
Melato
,
Felice
Laudadio
.
È
stato
visto
Alberto
Sordi
,
che
comunista
non
è
,
passare
e
fermarsi
un
istante
,
commosso
.
Fra
gli
ultimi
politici
sono
passati
il
democristiano
Mario
Segni
e
Aldo
Aniasi
,
socialista
.
E
poi
i
rappresentanti
della
comunità
israelitica
che
sono
stati
ricevuti
da
Pietro
Ingrao
,
con
cui
si
sono
fermati
a
parlare
della
«
straordinaria
umanità
»
del
segretario
del
PCI
scomparso
.
Così
,
quando
la
città
-
Roma
si
è
svegliata
,
già
era
in
piedi
e
quasi
stremata
un
'
altra
città
che
l
'
aveva
invasa
sovrapponendosi
:
almeno
mezzo
milione
di
persone
erano
a
mezzogiorno
su
via
delle
Botteghe
Oscure
e
qualcuno
già
sveniva
.
Abbiamo
visto
diverse
persone
accasciarsi
per
il
caldo
e
sono
state
soccorse
con
molto
affetto
.
Una
è
morta
per
malore
.
Le
ambulanze
sono
state
chiamate
in
qualche
caso
.
I
siciliani
che
sono
arrivati
stremati
dopo
venti
ore
di
treno
hanno
trovato
latte
e
yogurt
offerto
gratis
dai
dipendenti
della
Centrale
del
Latte
che
si
sono
autotassati
.
Il
Comune
di
Roma
ha
predisposto
numerose
autobotti
che
hanno
fornito
acqua
fresca
alle
migliaia
di
assetati
.
A
piazza
San
Giovanni
già
alle
13
era
impossibile
entrare
.
E
per
tutto
il
tempo
dei
comizi
,
dei
discorsi
ufficiali
,
folla
e
folla
ha
seguitato
a
premere
sulla
piazza
,
a
riempire
tutte
le
vie
adiacenti
,
come
un
liquido
palpitante
e
colorato
,
sul
quale
spiccavano
le
bandiere
rosse
.
E
anche
piazza
San
Giovanni
non
ricordiamo
di
averla
mai
vista
arredata
con
un
palco
di
quelle
dimensioni
e
di
quella
funzionale
architettura
.
Rivedremo
quel
palco
di
320
metri
quadrati
nei
filmati
e
nelle
foto
,
costruito
in
gran
fretta
da
sessanta
carpentieri
di
attrezzature
metalliche
e
falegnami
e
sormontato
da
quella
grande
foto
di
Berlinguer
mite
e
duro
,
forse
timido
ma
anche
ironico
,
alta
quattro
metri
e
mezzo
e
larga
tre
.
Una
coreografia
,
paradossalmente
trattandosi
di
un
funerale
,
assai
viva
:
ideata
per
contenere
cinquecento
invitati
fra
europei
,
asiatici
,
africani
ed
americani
.
Anche
in
questo
senso
ci
sembra
di
poter
dire
che
non
si
era
mai
vista
una
cosa
del
genere
.
La
gente
.
Giovani
tantissimi
,
con
i
loro
jeans
(
e
due
copie
dell
'
«
Unità
»
ficcate
una
per
tasca
)
,
e
le
loro
magliette
,
il
loro
modo
di
parlare
che
trascende
ormai
i
dialetti
in
un
esperanto
adolescente
e
militante
.
Ma
tanti
,
tantissimi
i
vecchi
,
la
gente
d
'
età
,
i
capelli
bianchi
.
Le
barbe
e
le
pinguedini
dei
quarantenni
.
E
i
romani
,
in
maggioranza
subito
seguiti
dai
milanesi
,
che
quando
sono
comunisti
si
ritrovano
anche
in
un
loro
linguaggio
,
popolare
ma
affettuosamente
brusco
.
Così
quando
la
folla
trascina
e
si
cade
travolti
,
i
mariti
proteggono
le
mogli
:
«
Bianca
!
Acchiappate
ar
braccio
mio
»
.
E
i
fotografi
impostano
i
loro
servizi
:
«
Avvisa
tutti
:
tirate
fuori
1'
"
Unità
"
e
fateci
un
cappelluccio
.
Ma
che
si
veda
la
parola
"
addio
"
davanti
.
Poi
mettetevi
lì
che
faccio
il
gruppo
»
.
I
giovani
toccano
,
ti
toccano
,
palpano
,
è
una
folla
carezzevole
e
confidenziale
.
E
quando
l
'
emozione
passa
in
un
grido
,
in
uno
slogan
,
l
'
alito
contamina
tutti
:
«
Non
ti
dimenticheremo
»
,
«
Enrico
»
,
«
Vivrai
per
sempre
»
.
Togliatti
morì
in
agosto
.
Berlinguer
di
giugno
.
E
soltanto
oggi
si
può
dire
che
è
estate
:
«
Fa
lo
stesso
caldo
di
quando
morì
Palmiro
»
dice
un
vecchio
operaio
.
Il
furgone
avanza
e
il
vento
generosamente
ingrossa
le
bandiere
che
si
dispiegano
con
maestà
:
quella
grande
del
Comitato
centrale
,
frangiata
e
abbrunata
,
e
il
tricolore
della
Repubblica
.
E
poi
quella
strana
bandiera
ibrida
:
verde
e
bianca
in
parti
uguali
e
poi
la
sezione
rossa
di
dimensioni
triple
.
Il
furgone
va
avanti
e
l
'
asfalto
fonde
.
Cantano
Bandiera
rossa
e
la
banda
procede
a
passi
lillipuziani
,
con
imprevisti
schianti
dei
piatti
.
Ai
lati
del
corteo
le
transenne
.
Oltre
,
c
'
è
altro
popolo
che
si
stringe
e
soffoca
e
piange
.
Si
direbbe
che
un
sottile
velo
di
lacrime
renda
tremula
questa
immagine
.
O
forse
il
miraggio
dell
'
alito
rovente
dall
'
asfalto
.
Un
urlo
verso
i
Fori
imperiali
:
«
Viva
il
grande
Partito
comunista
di
Gramsci
,
Togliatti
e
Berlinguer
»
.
Folla
bianca
e
rossa
sui
giardini
.
Arriva
la
limousine
nera
del
presidente
della
Repubblica
:
riceverà
un
applauso
grande
come
un
boato
allo
stadio
,
a
piazza
San
Giovanni
.
Qui
lo
vedono
in
pochi
e
lo
chiamano
.
I
capi
del
servizio
d
'
ordine
sono
implacabili
.
E
bravi
.
«
Forza
,
forza
co
'
sto
cordone
,
su
,
su
,
sbrigarsi
»
.
Quando
passa
Berlinguer
tutti
levano
in
alto
il
giornale
del
partito
nell
'
edizione
straordinaria
che
dice
grande
«
Addio
»
in
rosso
.
Inatteso
un
grande
cartello
declama
:
«
Genitori
,
non
crescete
i
vostri
figli
come
schiavi
,
i
figli
non
si
picchiano
»
.
Una
vecchia
signora
genovese
filosovietica
si
è
messa
ai
lati
del
corteo
con
un
cartello
:
«
Oggi
non
c
'
è
scelta
,
o
amici
dell
'
URSS
,
o
servi
di
Reagan
»
.
Distribuisce
a
pacchi
la
rivista
«
Realtà
sovietica
»
.
Grida
:
«
Siete
dei
criminali
,
venduti
all
'
America
»
.
Qualcuno
,
con
rapida
intolleranza
,
le
fa
a
pezzi
il
cartello
.
Resta
lì
,
patetica
e
testarda
.
Avanzano
i
gonfaloni
delle
città
.
Sono
centinaia
,
forse
migliaia
,
con
i
nomi
dei
paesi
dell
'
Umbria
,
delle
Marche
,
del
Lazio
,
della
Calabria
,
della
Toscana
.
E
ne
arrivano
sempre
più
,
sempre
più
,
con
i
loro
vigili
urbani
nelle
uniformi
fantasiose
e
diverse
,
tutte
sull
'
azzurrino
.
E
arriva
,
preceduto
dal
rullo
dei
tamburi
,
il
corteo
torinese
dai
grandi
cartelli
e
gli
striscioni
rossi
.
E
i
sardi
del
Sulcis
che
hanno
montato
la
guardia
al
feretro
col
casco
dei
minatori
e
la
lampada
accesa
,
avanzando
lentamente
dietro
il
loro
striscione
.
Sulla
colonna
Traiana
,
imbragata
nell
'
impalcatura
del
restauro
,
un
lungo
cartello
verticale
:
«
Vivrai
sempre
»
.
Le
bandiere
rosse
sono
vecchie
e
nuove
.
Le
nuove
sembrano
di
plastica
,
di
questo
nailon
luccicante
che
si
arroventa
e
non
stinge
.
Quelle
vecchie
sono
gloriose
e
slavate
,
falci
e
martelli
ricamati
a
mano
,
all
'
ingiù
,
come
si
usava
all
'
inizio
del
secolo
.
Tre
i
cortei
che
sono
confluiti
man
mano
su
quello
principale
,
fino
alla
piazza
.
Uno
è
partito
dalla
stazione
Tiburtina
,
uno
dall
'
Ostiense
e
l
'
ultimo
da
Cinecittà
.
Del
primo
facevano
parte
i
comunisti
padovani
,
trattati
con
riguardo
perché
la
loro
città
è
stata
affettuosa
e
vicina
al
dramma
di
Berlinguer
.
Si
radunavano
lì
i
comunisti
di
Mantova
,
di
Varese
,
di
Bologna
,
del
Friuli
,
di
Verona
.
E
poi
i
petrolchimici
di
Marghera
,
di
Milano
.
Fischiano
Bella
ciao
nel
caldo
.
Lacrime
e
sudore
.
Si
muovono
al
canto
di
Bandiera
rossa
.
Pugni
chiusi
.
Pugni
chiusi
,
ma
molti
di
quelli
che
riusciranno
ad
arrivare
fino
alla
camera
ardente
renderanno
omaggio
a
Berlinguer
prima
con
íl
segno
di
croce
e
poi
col
pugno
:
pietas
cattolica
e
militanza
.
Se
c
'
era
chi
gridava
:
«
Enrico
,
vivi
in
tutti
noi
»
,
non
è
mancato
chi
amaramente
inalberava
un
cartello
che
dichiarava
«
Enrico
,
sei
morto
insieme
a
noi
»
,
riecheggiando
la
battuta
addolorata
di
Benigni
che
ha
scritto
più
o
meno
:
adesso
andremo
tutti
indietro
.
I
comunisti
piemontesi
sono
arrivati
all
'
Ostiense
.
E
anche
quelli
liguri
,
i
toscani
e
gli
umbri
,
con
le
loro
bande
musicali
e
i
gonfaloni
.
A
mezzogiorno
intorno
alla
Piramide
erano
più
di
sessantamila
,
con
i
ragazzi
della
FGCI
in
prima
linea
,
seguiti
dagli
operai
della
FIAT
Lingotto
,
di
Rivalta
,
Mirafiori
,
tutti
con
i
cappelli
di
carta
,
con
i
berretti
di
tela
,
i
golf
della
notte
annodati
alla
vita
,
í
fazzoletti
sui
capelli
.
Cartelli
grandi
e
affettuosi
:
«
Enrico
,
sei
stato
grande
»
,
«
Enrico
,
ti
prometto
un
mondo
più
bello
,
ti
voglio
bene
,
Dalia
»
.
Bisogna
dire
che
l
'
eco
del
titolo
del
film
di
Benigni
ha
fatto
scuola
:
«
Ti
voglio
bene
»
era
dovunque
.
E
deve
avere
influenzato
anche
quel
confidenziale
,
personale
«
ciao
Enrico
»
dell
'
«
Unità
»
,
così
nuovo
in
un
giornale
che
fu
paludato
fino
alla
tristezza
.
Molti
cartelli
del
tenore
«
Grazie
Enrico
per
quello
che
ci
hai
insegnato
»
e
drammatico
quello
che
promette
:
«
Senza
di
te
,
senza
perderti
»
.
I
cortei
si
sono
mossi
ininterrottamente
,
come
fluidi
continui
.
Al
Circo
Massimo
í
primi
malori
.
I
«
compagni
medici
»
intervengono
spesso
.
Ed
ecco
í
portuali
di
Genova
,
di
Riva
Trigoso
,
gli
stessi
che
udirono
il
comizio
del
giorno
prima
di
Padova
.
A
Cinecittà
si
raduna
il
popolo
del
Sud
.
Centinaia
di
pullman
che
vengono
da
Bari
,
Brindisi
,
Matera
,
Napoli
,
Potenza
.
Una
folla
eterogenea
che
ha
usato
pullman
di
gran
turismo
con
TV
e
toilette
,
oppure
vecchie
corriere
degli
anni
Cinquanta
.
C
'
è
stato
chi
si
è
preoccupato
di
raccogliere
le
cartacce
e
molte
donne
hanno
aperto
fagotti
di
viveri
.
Anche
da
Cinecittà
sono
partiti
a
migliaia
diretti
verso
piazza
San
Giovanni
,
attraverso
una
città
trasfigurata
.
StampaQuotidiana ,
Teheran
,
16
.
Reza
Pahlevi
se
n
'
è
andato
.
Alle
13.08
l
'
aereo
imperiale
si
è
involato
,
puntando
sull
'
Egitto
.
Alle
16
non
c
'
erano
più
statue
dello
Scià
sui
piedistalli
,
nella
capitale
in
festa
.
La
folla
abbatte
i
monumenti
della
dinastia
Pahlevi
,
come
se
la
monarchia
fosse
finita
.
Quando
la
radio
ha
dato
la
notizia
della
partenza
,
trenta
minuti
dopo
il
decollo
,
gli
automobilisti
hanno
acceso
i
fari
e
hanno
cominciato
a
suonare
i
clacson
.
In
tutti
i
quartieri
si
sono
formati
cortei
.
«
Il
nemico
del
popolo
è
fuggito
»
,
«
Lo
Scià
ha
raggiunto
lo
sposo
infedele
Jimmy
Carter
»
,
«
Dopo
la
fuga
dello
scià
quella
degli
americani
»
:
questi
sono
gli
slogan
ancora
scanditi
per
le
strade
,
a
tarda
sera
,
mentre
si
avvicina
l
'
ora
del
coprifuoco
,
che
oggi
rischia
di
non
essere
rispettato
.
Nella
capitale
centinaia
di
migliaia
di
persone
si
salutano
con
l
'
indice
e
il
medio
tesi
,
in
segno
di
vittoria
,
si
abbracciano
,
invocano
il
ritorno
di
Khomeini
,
il
capo
religioso
disarmato
,
che
in
un
anno
,
lanciando
proclami
dall
'
esilio
,
ha
costretto
Reza
Pahlevi
ad
abbandonare
il
trono
.
L
'
esercito
si
è
ritirato
nelle
caserme
,
lasciando
qualche
unità
davanti
all
'
ambasciata
americana
(
la
sola
ad
essere
protetta
)
,
ai
ministeri
e
al
Parlamento
.
La
folla
pensa
che
il
sovrano
non
ritornerà
mai
più
.
Lo
Scià
ha
cercato
di
imporre
alla
sua
partenza
ritmi
non
troppo
affrettati
.
Il
protocollo
è
stato
rispettato
.
Venticinque
anni
fa
,
incalzato
da
Mossadeq
,
il
primo
ministro
che
gli
imponeva
il
rispetto
della
Costituzione
,
Reza
Pahlevi
fuggì
con
la
moglie
d
'
allora
,
Soraya
,
a
bordo
di
un
piccolo
aereo
,
prima
a
Baghdad
e
poi
a
Roma
.
Questa
volta
,
prima
di
lasciare
in
elicottero
la
residenza
di
Niavaran
,
il
suo
«
palazzo
d
'
inverno
»
,
ha
salutato
i
nove
membri
del
Consiglio
di
reggenza
,
i
cortigiani
e
persino
i
cuochi
.
Più
tardi
,
ai
piedi
della
scaletta
del
Boeing
727
,
c
'
erano
il
primo
ministro
Sciapur
Bakhtian
,
il
ministro
di
corte
Ardalan
,
il
presidente
della
Camera
Djavad
Said
.
I
pochi
giornalisti
iraniani
ammessi
nel
recinto
dell
'
aeroporto
hanno
descritto
Reza
Pahlevi
e
Farah
Diba
pallidi
,
tesi
,
vestiti
con
abiti
sobri
.
Rispettando
la
tradizione
,
lo
Scià
e
la
moglie
sono
passati
sotto
il
Corano
,
tenuto
da
un
cortigiano
per
augurare
buon
viaggio
.
Prima
di
entrare
nell
'
aereo
,
il
sovrano
avrebbe
afferrato
il
libro
sacro
dell
'
Islam
e
l
'
avrebbe
baciato
,
trattenendo
a
stento
le
lacrime
.
Ad
eccezione
dei
pochi
fedeli
che
hanno
assistito
alla
partenza
,
nessuno
ha
visto
lo
scià
«
andarsene
in
vacanza
»
.
La
televisione
non
ha
diffuso
le
immagini
del
sovrano
che
lascia
l
'
Iran
.
Sugli
schermi
appaiono
stasera
soltanto
alberi
coperti
di
neve
o
film
di
repertorio
.
Soltanto
la
radio
ha
trasmesso
le
ultime
parole
pronunciate
da
Reza
Pahlevi
,
prima
del
decollo
:
«
Come
avevo
annunciato
dieci
giorni
or
sono
,
sono
stanco
e
parto
per
riposarmi
,
dopo
che
il
governo
ha
ricevuto
il
voto
di
fiducia
del
Parlamento
.
Spero
che
il
nuovo
governo
riesca
a
riparare
le
ferite
del
passato
e
preparare
il
futuro
.
Dobbiamo
essere
uniti
al
fine
di
preparare
un
avvenire
migliore
.
Il
paese
deve
salvarsi
grazie
al
patriottismo
del
popolo
»
.
«
Quanto
tempo
resterà
all
'
estero
?
»
gli
ha
chiesto
il
radiocronista
.
«
Sono
molto
stanco
.
Fino
a
quando
non
mi
sarò
rimesso
,
resterò
all
'
estero
.
La
prima
tappa
sarà
Assuan
»
.
La
Sciabanu
Farah
Diba
è
stata
ancora
più
laconica
:
«
Credo
nella
saggezza
e
nella
forza
del
popolo
»
.
A
questo
punto
,
mentre
i
motori
del
Boeing
erano
già
accesi
,
il
cronista
è
scoppiato
in
singhiozzi
e
ha
detto
:
«
Speriamo
che
lei
ritorni
presto
»
.
Sono
le
sole
parole
di
augurio
al
sovrano
che
ho
udito
oggi
a
Teheran
.
Ecco
alcune
immagini
che
ho
raccolto
in
questa
giornata
,
non
ancora
conclusa
,
nella
capitale
invasa
da
una
folla
sempre
più
densa
.
Sulla
piazza
Pahlevi
,
mentre
la
radio
trasmette
ancora
la
voce
spezzata
dello
Scià
,
un
centinaio
di
giovani
divelgono
la
sua
statua
.
Si
forma
un
corteo
.
Il
monumento
viene
trascinato
con
un
cavo
di
ferro
per
le
strade
del
quartiere
settentrionale
della
città
.
La
folla
si
infittisce
e
grida
:
«
Impicchiamo
lo
scià
»
.
Mezz
'
ora
dopo
la
statua
penzola
da
un
cavalcavia
.
Sulla
via
Hafez
una
pattuglia
militare
si
allontana
di
gran
fretta
,
appena
spunta
un
piccolo
corteo
con
una
bandiera
rossa
in
testa
.
La
sola
che
ho
visto
,
per
alcuni
istanti
,
prima
che
sparisse
per
iniziativa
di
non
so
chi
.
I
soldati
hanno
ricevuto
l
'
ordine
di
rientrare
nelle
caserme
al
più
presto
,
per
evitare
scontri
con
i
manifestanti
.
Un
militare
non
riesce
ad
avviare
il
motore
e
abbandona
il
camion
in
mezzo
alla
strada
.
Un
'
altra
unità
lascia
su
un
viale
un
piccolo
rimorchio
,
per
non
perdere
tempo
ad
agganciarlo
ad
una
jeep
.
È
come
se
temesse
di
essere
travolto
dall
'
acqua
di
una
diga
infranta
.
Ma
molti
soldati
,
durante
la
precipitosa
ritirata
,
vengono
sommersi
dalla
folla
che
li
abbraccia
,
li
riempie
di
fiori
e
caramelle
,
li
obbliga
ad
accettare
i
ritratti
di
Khomeini
.
Sulla
via
Reza
scià
,
una
delle
vie
principali
di
Teheran
,
gruppi
di
ragazzi
mi
mostrano
banconote
da
venti
rials
(
duecento
lire
)
dalle
quali
hanno
ritagliato
l
'
immagine
dello
scià
.
Reza
Pahlevi
è
partito
da
poco
più
di
un
'
ora
e
le
edizioni
straordinarie
dei
giornali
sono
già
in
vendita
,
con
titoli
neri
,
corvini
,
enormi
sulle
prime
pagine
.
Il
re
se
n
'
è
andato
.
Accanto
alla
notizia
della
partenza
imperiale
ci
sono
gli
ordini
che
Khomeini
avrebbe
impartito
dall
'
esilio
parigino
.
Un
amico
iraniano
li
traduce
:
1
)
i
deputati
al
Parlamento
e
i
membri
del
Consiglio
di
reggenza
devono
dimettersi
;
2
)
i
contadini
non
devono
vendere
il
grano
agli
stranieri
che
vogliono
affamare
il
paese
;
3
)
i
soldati
devono
impedire
che
gli
americani
portino
via
le
armi
sofisticate
,
al
fine
di
indebolire
l
'
esercito
;
4
)
venerdì
dovrà
essere
organizzata
la
più
grande
manifestazione
della
storia
dell
'
Iran
.
I
quotidiani
,
sotto
un
titolo
vistoso
,
parlano
della
morte
di
un
colonnello
americano
,
Arthur
Haynhot
,
indicato
come
il
capo
dei
consiglieri
militari
.
L
'
ufficiale
sarebbe
stato
trovato
appeso
ad
una
corda
nel
suo
appartamento
.
La
polizia
pensa
sia
stato
impiccato
.
Stamane
i
giornali
parlavano
di
un
altro
cittadino
USA
assassinato
a
Kerman
:
era
il
responsabile
della
Parsons
-
Jordan
Company
e
«
un
veterano
della
guerra
del
Vietnam
»
.
Il
cronista
non
è
in
grado
di
controllare
le
notizie
.
I
ministeri
,
gli
uffici
pubblici
sono
chiusi
e
i
telefoni
suonano
invano
.
Sulla
piazza
Ferdosi
,
la
statua
del
poeta
iraniano
è
coperta
di
ritratti
di
Khomeini
.
A
cavalcioni
del
monumento
,
un
giovane
cerca
di
dirigere
il
traffico
con
un
altoparlante
.
Ma
nessuno
lo
ascolta
.
La
gente
balla
di
gioia
tra
le
automobili
,
alle
quali
sono
avvinghiati
grappoli
umani
.
Non
si
vede
un
poliziotto
.
Teheran
sembra
abbandonata
a
se
stessa
.
Il
ronzio
degli
elicotteri
ricorda
tuttavia
chel
'
esercito
è
intatto
e
che
i
generali
dello
scià
non
perdono
d
'
occhio
i
cortei
,
per
ora
non
violenti
.
Milioni
di
iraniani
festeggiano
«
la
fine
»
di
37
anni
di
regno
di
Reza
Pahlevi
,
meglio
i
53
anni
della
dinastia
,
poiché
anche
i
ritratti
e
le
statue
di
Reza
Khan
,
padre
del
sovrano
in
vacanza
,
vengono
strappati
e
abbattuti
.
Teheran
stasera
assomiglia
a
Lisbona
,
dopo
mezzo
secolo
di
salazarismo
.
Quel
che
resta
del
regime
è
adesso
formalmente
affidato
al
Consiglio
di
reggenza
,
presieduto
da
un
astronomo
ottantenne
,
Jallal
Teharani
,
che
non
dispone
ancora
di
un
ufficio
.
L
'
opposizione
lo
ha
già
definito
«
un
gruppo
di
cortigiani
e
di
vegliardi
»
.
Gli
uomini
forti
del
Consiglio
sono
il
generale
Gharabaghy
,
capo
di
Stato
Maggiore
delle
Forze
armate
,
e
il
primo
ministro
Bakhtiar
,
che
stamane
,
poco
prima
della
partenza
dello
scià
,
ha
ricevuto
il
voto
di
fiducia
della
Camera
,
dopo
aver
ottenuto
ieri
quello
del
Senato
.
Da
stasera
il
sessantaduenne
Bakhtiar
è
in
sostanza
solo
,
schiacciato
tra
la
folla
ubbidiente
agli
ordini
di
Khomeini
e
l
'
esercito
ubbidiente
ai
generali
.
L
'
ala
moderata
dell
'
opposizione
ha
già
rivolto
un
appello
alla
calma
(
«
non
affrettiamo
i
tempi
»
)
,
al
fine
di
evitare
le
reazioni
dei
militari
e
di
frenare
i
gruppi
rivoluzionari
.
Ma
questo
non
significa
che
i
partigiani
di
una
svolta
indolore
siano
pronti
a
trattare
con
Bakhtiar
.
Tutti
temono
la
scomunica
di
Khomeini
,
che
dovrebbe
annunciare
la
composizione
del
suo
governo
provvisorio
e
del
suo
Consiglio
rivoluzionario
.
E
che
,
forse
,
sta
studiando
il
rientro
in
patria
,
dopo
quindici
anni
di
esilio
,
ora
che
il
suo
rivale
è
partito
.
StampaQuotidiana ,
Genova
,
27
.
«
Guido
Rossa
è
stato
ucciso
perché
non
si
è
piegato
,
perché
non
ha
avuto
paura
e
ha
voluto
vivere
in
fondo
,
con
coerenza
la
sua
scelta
politica
.
Coloro
che
speravano
con
questo
assassinio
di
chiuderci
sgomenti
nelle
nostre
fabbriche
si
sono
sbagliati
.
Non
sanno
di
quale
ostinata
rabbia
e
determinazione
noi
siamo
capaci
»
:
così
Paolo
Perugino
,
dell
'
esecutivo
del
Consiglio
di
fabbrica
dell
'
Italsider
,
ha
salutato
il
compagno
di
lavoro
ammazzato
dalle
BR
mercoledì
mattina
all
'
alba
.
Parlava
dall
'
alto
del
palco
,
gridando
dentro
il
microfono
la
sua
rabbia
,
con
una
voce
che
conosceva
tutte
le
incrinature
della
commozione
.
Dietro
di
lui
,
Luciano
Lama
sembrava
più
pallido
del
solito
;
al
suo
fianco
Berlinguer
appariva
stravolto
.
Il
presidente
Pertini
,
bianco
come
la
sciarpa
che
aveva
al
collo
,
e
tuttavia
rigido
e
dritto
sotto
il
peso
di
una
storia
d
'
Italia
che
domanda
ancora
tanti
sacrifici
.
Vicino
a
lui
,
a
capo
scoperto
sotto
la
pioggia
,
la
moglie
dell
'
operaio
Guido
Rossa
,
la
bella
faccia
chiusa
e
disperata
di
una
che
sa
che
bisogna
continuare
a
vivere
(
ma
come
?
)
anche
domani
e
dopo
.
Erano
operai
.
Duecento
,
forse
duecentocinquantamila
sotto
la
pioggia
battente
in
piazza
De
Ferrari
.
Ma
erano
nere
di
folla
anche
via
Dante
e
via
XX
Settembre
,
le
due
arterie
che
collegano
il
cuore
della
città
con
piazza
della
Vittoria
.
Erano
operai
di
Genova
,
di
Torino
,
di
Milano
,
di
Brescia
,
ma
venuti
anche
da
più
lontano
,
da
Roma
,
da
Napoli
,
da
Reggio
Calabria
,
da
Palermo
,
i
berretti
di
lana
,
i
cappucci
,
gli
elmetti
gialli
calati
sugli
occhi
stanchi
e
le
facce
tese
.
Un
funerale
e
una
manifestazione
immensi
,
ma
con
qualcosa
di
cupo
che
non
era
dato
solo
da
quel
furgone
mortuario
in
sosta
sotto
il
palco
degli
oratori
,
dalle
centinaia
di
corone
posate
contro
il
muro
diroccato
del
teatro
Carlo
Felice
,
ma
anche
dalla
sensazione
angosciosa
di
trovarsi
in
trincea
,
contro
un
nemico
di
cui
non
conosci
l
'
identità
e
il
volto
.
La
Genova
commerciante
,
terziaria
,
borghese
non
era
venuta
in
piazza
.
Ha
espresso
la
sua
solidarietà
abbassando
le
serrande
dei
negozi
e
chiudendosi
in
casa
.
Le
strade
attorno
alla
zona
della
manifestazione
erano
deserte
e
silenziose
.
Ma
la
Genova
-
bene
non
aveva
nemmeno
partecipato
ai
comizi
e
ai
cortei
convocati
dopo
l
'
eccidio
di
via
Fani
e
l
'
assassinio
di
Moro
.
Qui
,
ma
non
solo
qui
,
del
resto
,
c
'
è
chi
,
pur
condannando
il
terrorismo
,
si
tira
indietro
spaventato
o
scoraggiato
,
quasi
l
'
assenza
potesse
aprire
una
qualche
individuale
via
di
salvezza
.
«
Non
dire
:
non
ci
riguarda
.
Siamo
giunti
a
questo
punto
proprio
perché
troppi
hanno
detto
:
non
ci
riguarda
»
:
così
un
manifesto
dell
'
Anpi
riproducente
la
frase
di
un
giovane
cattolico
fucilato
dai
nazisti
invita
a
prendere
coscienza
del
pericolo
rappresentato
dalla
passività
e
dalla
rassegnazione
.
Questo
pericolo
esiste
,
i
terroristi
lo
sanno
.
È
una
carta
che
giocano
coscientemente
.
L
'
assassinio
di
Rossa
può
alimentare
un
aggravato
clima
di
paura
,
un
ripiegamento
sul
proprio
particolare
,
una
fuga
dalle
responsabilità
;
ma
può
anche
sollecitare
una
reazione
di
tipo
opposto
e
,
con
la
definitiva
condanna
del
terrorismo
,
una
più
generale
determinazione
nella
difesa
della
democrazia
.
Stamattina
a
piazza
De
Ferrari
c
'
era
,
per
dirla
con
Lama
,
«
il
movimento
dei
lavoratori
,
il
nocciolo
più
duro
della
resistenza
democratica
,
l
'
ostacolo
più
saldo
contro
la
reazione
e
la
violenza
armata
»
.
C
'
è
,
nella
storia
del
movimento
operaio
genovese
,
una
continuità
che
collega
la
manifestazione
di
oggi
alla
Resistenza
contro
i
fascisti
e
i
tedeschi
:
i
padri
degli
operai
che
erano
oggi
in
piazza
hanno
salvato
nel
1945
le
fabbriche
della
città
dalla
cieca
rabbia
nazista
.
E
sono
questi
stessi
operai
,
metalmeccanici
e
portuali
,
che
nel
luglio
del
1960
,
occupando
piazza
De
Ferrari
e
via
XX
Settembre
,
impedirono
lo
svolgimento
del
congresso
missino
e
contribuirono
a
rovesciare
il
governo
Tambroni
.
«
Si
parla
troppo
di
delirio
e
di
follia
quando
ci
si
riferisce
all
'
eversione
»
ha
detto
Luciano
Lama
.
«
A
me
pare
che
all
'
azione
delle
BR
presieda
un
freddo
se
pur
disumano
disegno
politico
,
un
disegno
che
si
contrappone
frontalmente
ai
nostri
obiettivi
di
progresso
,
alla
nostra
stessa
concezione
della
vita
.
E
non
a
caso
questi
tentativi
di
eversione
intervengono
ferocemente
,
specie
quando
la
situazione
politica
si
fa
più
tesa
,
per
impedire
che
la
spinta
al
cambiamento
diventi
efficace
,
capace
di
dare
vita
ad
un
processo
di
rinnovamento
e
di
autentica
trasformazione
della
società
»
.
II
richiamo
alla
crisi
politica
in
atto
non
è
una
forzatura
.
I
duecentocinquantamila
che
sono
in
piazza
sanno
di
essere
qui
anche
per
questo
,
per
dare
una
spinta
a
questo
lento
processo
politico
che
lascia
ancora
il
movimento
operaio
ed
i
suoi
rappresentanti
fuori
della
porta
o
a
metà
del
guado
.
La
manifestazione
non
è
soltanto
un
funerale
o
un
momento
di
aspro
cordoglio
.
È
anche
parte
di
una
battaglia
politica
.
E
lo
esprimono
gridando
,
tra
le
altre
parole
d
'
ordine
:
«
È
ora
,
è
ora
,
è
ora
di
cambiare
-
il
Partito
comunista
deve
governare
»
.
Lama
interpreta
puntualmente
gli
umori
della
folla
quando
parla
dei
problemi
dell
'
ordine
pubblico
in
termini
di
stretta
attualità
:
«
La
nostra
critica
e
la
nostra
protesta
va
contro
le
inadempienze
,
le
inefficienze
,
le
coperture
e
le
omertà
che
ogni
giorno
si
manifestano
nell
'
azione
contro
il
terrorismo
.
Le
fughe
di
criminali
fascisti
e
l
'
impunità
dei
terroristi
di
ogni
colore
non
sarebbero
possibili
se
connivenze
tenaci
non
esistessero
tra
le
forze
eversive
ed
i
nemici
della
Repubblica
,
annidati
con
alte
responsabilità
negli
organi
dello
Stato
preposti
all
'
amministrazione
della
giustizia
,
della
sicurezza
e
alla
difesa
dell
'
ordine
democratico
»
.
L
'
accusa
è
precisa
e
pesante
.
Non
più
però
di
quella
espressa
sabato
scorso
da
Pertini
a
Savona
,
quando
individuava
la
matrice
di
tutti
i
fatti
eversivi
di
questi
anni
nelle
oscurità
che
ancora
avvolgono
la
strage
di
piazza
Fontana
.
La
scelta
democratica
del
movimento
dei
lavoratori
,
oramai
definitiva
ed
irreversibile
,
non
può
non
accompagnarsi
all
'
impegno
di
fare
luce
su
tutti
gli
oscuri
episodi
eversivi
che
hanno
accompagnato
la
vita
politica
di
questi
anni
.
«
La
classe
operaia
non
è
un
mansueto
agnello
sacrificale
:
in
democrazia
essa
non
si
fa
giustizia
da
sé
,
ma
reclama
giustizia
e
fa
il
suo
dovere
perché
giustizia
si
faccia
,
collabora
alla
difesa
delle
istituzioni
,
stimola
la
partecipazione
dei
cittadini
alla
lotta
contro
il
terrorismo
»
.
Su
questo
fronte
è
caduto
Guido
Rossa
.
Il
presidente
della
Repubblica
,
in
un
rapido
incontro
che
ha
avuto
con
i
giornalisti
subito
dopo
la
manifestazione
,
ha
voluto
illustrare
ancora
i
motivi
che
lo
hanno
spinto
ad
assegnargli
la
medaglia
d
'
oro
al
valor
civile
alla
memoria
:
«
Perché
è
stato
un
cittadino
che
ha
dimostrato
di
avere
coraggio
.
È
un
incitamento
per
tutti
i
cittadini
,
perché
si
coalizzino
e
si
uniscano
contro
le
Brigate
Rosse
»
.
La
paura
,
il
coraggio
.
Il
coraggio
di
difendere
una
democrazia
ancora
tanto
insufficiente
ed
imperfetta
.
«
Ma
questa
Repubblica
»
conclude
Pertini
«
ci
è
costata
vent
'
anni
di
lotte
,
di
sacrifici
e
di
morti
.
Bisogna
saperla
difendere
,
costi
quel
che
costi
,
contro
tutti
coloro
che
intendono
destabilizzarla
e
disgregarla
.
Mi
conforta
il
fatto
che
la
classe
lavoratrice
questo
lo
ha
capito
fino
in
fondo
.
La
manifestazione
di
oggi
ne
è
una
dimostrazione
»
.
StampaQuotidiana ,
Padova
,
22
.
«
Roberto
libero
»
scritto
in
azzurro
dagli
autonomi
e
sotto
,
«
Merda
»
scritto
in
nero
,
dai
fascisti
.
Finisce
così
,
Hegel
non
deve
essere
passato
per
Padova
,
la
dialettica
,
almeno
,
è
sconosciuta
a
questi
muri
.
«
Bruciamo
la
città
»
,
in
vernice
rossa
,
attraversa
una
facciata
,
ma
ad
ogni
buon
conto
il
cartolaio
d
'
angolo
appende
il
suo
cartellino
scritto
a
penna
:
«
Chiuso
il
sabato
»
.
Gli
opposti
,
a
Padova
,
qualche
volta
si
scontrano
,
più
spesso
si
ignorano
.
«
Mitra
è
bello
»
dichiarano
gli
autonomi
di
Psicologia
,
ma
il
Circolo
di
cultura
cattolico
finge
che
Padova
sia
ancora
quella
dell
'
Antonianum
,
della
grande
stagione
gesuitica
fra
le
due
guerre
,
invita
ad
ascoltare
Giovanni
Testori
«
che
leggerà
il
suo
ultimo
dramma
di
meditazione
sulla
morte
»
,
profumo
di
ceri
e
di
gigli
sfatti
.
Chi
entra
da
Ponte
Corvo
vede
,
a
sinistra
,
una
città
esotica
,
in
stupenda
decomposizione
,
un
ponticello
fragile
su
un
rivo
sepolto
da
una
vegetazione
metà
veneta
e
metà
subtropicale
;
da
cui
si
alzano
nel
cielo
le
cupole
e
i
minareti
-
campanile
del
santo
,
e
mura
annerite
dall
'
umidità
,
quei
marroni
tenui
delle
case
.
Ma
a
destra
condomini
altissimi
,
disegnati
da
Buzzati
,
laidi
e
tragici
,
nel
cielo
tempestoso
.
«
Morte
alla
borghesia
»
deve
essere
autonomo
,
a
vernice
,
ma
c
'
era
,
lì
accanto
,
una
bacheca
vuota
e
qualcuno
con
mano
notarile
,
in
bella
calligrafia
ha
scritto
«
Prego
,
non
sporchiamo
la
città
»
.
Gli
amici
di
Padova
-
squallidi
riformisti
,
s
'
intende
-
si
lamentano
dei
luoghi
comuni
giornalistici
,
dicono
che
c
'
è
anche
l
'
altra
Padova
.
Sarà
,
ma
la
Padova
dei
giovani
,
dell
'
Università
è
questa
:
un
dodici
per
cento
che
vota
,
in
maggioranza
democristiano
,
in
maggioranza
di
reddito
medio
alto
;
poi
quelli
che
non
si
vedono
mai
,
che
capitano
solo
agli
esami
,
forse
settanta
su
cento
e
poi
gli
incazzati
,
i
poveri
,
quelli
che
si
sentono
stranieri
a
questa
scuola
.
Anche
perché
non
capiscono
perché
ci
sia
,
a
cosa
serva
:
gli
autonomi
.
Perché
violenti
?
Musatti
ci
ha
detto
che
è
un
meccanismo
di
compensazione
,
l
'
altra
faccia
del
desiderio
di
onnipotenza
che
è
di
ogni
uomo
.
Violenza
contro
emarginazione
.
Uno
storico
come
il
professor
Prandstaller
può
vederci
una
storia
cattolica
,
dall
'
integralismo
dell
'
Antonianum
al
radicalismo
giacobino
.
E
il
portavoce
degli
autonomi
Emilio
Vesce
vi
dirà
,
senz
'
altro
,
che
tutto
dipende
«
dalla
assoluta
mancanza
di
credibilità
delle
istituzioni
,
qui
sono
nate
le
trame
nere
,
era
nera
la
magistratura
,
salvo
Tamburino
,
neri
i
poliziotti
»
.
La
storia
non
è
semplice
,
i
rami
per
cui
muove
la
provincia
cattolica
sono
sempre
contorti
,
sottili
,
la
spaccatura
fra
le
due
Padove
,
la
loro
incomunicabilità
può
sembrare
arcana
,
al
professor
Sabino
Acquaviva
,
quasi
una
maledizione
celeste
.
Ma
oggi
la
diversità
,
l
'
estraneità
hanno
la
chiarezza
di
una
stratificazione
geologica
,
argilla
o
granito
,
senza
alcuna
possibilità
di
dubbio
;
l
'
Italia
dei
partiti
,
dei
sindacati
,
degli
organizzati
,
dei
raziocinanti
,
del
buon
senso
,
delle
compatibilità
e
l
'
Italia
insicura
e
perciò
violenta
,
appena
uscita
dalla
foresta
nera
e
perciò
pronta
a
tutto
per
non
ritornarvi
,
che
nell
'
università
di
massa
vive
assieme
ai
ricchi
,
ne
mutua
i
desideri
e
i
bisogni
senza
poi
avere
i
mezzi
per
soddisfarli
:
ancora
un
esercito
di
«
spostati
»
come
dicono
i
sociologi
,
ancora
il
vecchio
gioco
delle
élites
colte
che
cercano
di
cavalcare
il
fatto
sociale
per
farne
uno
strumento
di
potere
,
nel
'21
per
fare
il
fascismo
,
adesso
chi
sa
.
Dove
il
privato
coincide
con
il
politico
,
dove
i
bisogni
esistenziali
si
verniciano
di
ideologie
arcaiche
o
fumose
,
dove
gli
uni
discutono
e
spesso
cianciano
a
vuoto
di
riforme
e
di
razionalità
,
e
gli
altri
chiedono
,
subito
,
posti
,
ragioni
di
esistere
,
di
partecipare
,
che
altro
può
esserci
se
non
la
incomunicabilità
e
l
'
ambiguità
?
Agli
occhi
dell
'
Italia
organizzata
,
assicurata
,
la
violenza
degli
altri
appare
incomprensibile
.
Se
a
Venezia
mettono
una
bomba
al
«
Gazzettino
»
,
giornale
cattolico
,
di
destra
,
si
pensa
,
secondo
la
comune
ragione
:
sarà
un
attentato
di
sinistra
.
Invece
sono
quelli
di
Ordine
Nuovo
.
Se
a
Padova
viene
sprangato
un
professore
«
democratico
»
,
ex
partigiano
,
comunista
come
Petter
o
come
Longo
si
dice
:
«
Sarà
una
provocazione
fascista
»
.
Invece
gli
autonomi
rivendicano
l
'
attentato
.
Nei
quartieri
popolari
di
Padova
la
violenza
scoppia
per
i
più
futili
pretesti
e
nelle
più
imprevedibili
direzioni
,
perché
è
un
bisogno
,
uno
sfogo
,
qualcosa
che
sta
nella
pancia
di
quelle
gioventù
e
deve
uscirne
,
e
noi
che
nella
pancia
quella
rabbia
non
ce
l
'
abbiamo
,
cerchiamo
,
smarriti
,
il
perché
e
il
per
come
politico
.
La
rapina
alle
casse
delle
mense
universitarie
non
è
razionale
,
ma
la
risposta
razionale
data
da
certe
facoltà
-
se
rapinano
le
casse
,
noi
le
facciamo
blindate
-
appare
come
una
provocazione
,
come
una
violenza
.
Non
c
'
è
comunicabilità
perché
non
c
'
è
quasi
niente
da
dire
.
La
cultura
cattolica
e
laica
,
che
ha
voluto
l
'
università
di
massa
per
sistemarvi
in
funzioni
docenti
i
suoi
figli
e
nipoti
,
ha
poco
o
niente
da
offrire
a
questi
che
fanno
i
neoleninisti
o
gli
helleriani
tanto
per
fare
qualcosa
,
ma
vogliono
posti
,
vogliono
soldi
,
vogliono
ciò
che
gli
altri
non
possono
dare
o
non
sono
capaci
di
dare
.
Così
la
violenza
serpeggia
imprevedibile
,
ambigua
,
indefinibile
.
In
vicolo
Ognissanti
viene
bruciata
una
sede
di
Lotta
continua
e
,
poco
più
in
là
,
una
agenzia
immobiliare
.
Perché
Lotta
continua
inclina
al
riformismo
?
Perché
l
'
agenzia
immobiliare
è
uno
strumento
della
speculazione
?
Sì
,
ma
come
pretesto
,
come
scusa
per
sentirsi
presenti
,
potenti
,
minacciosi
,
vivi
.
Un
giorno
irrompono
nel
negozietto
di
un
verduraio
:
qualche
cesto
di
frutta
,
un
po
'
di
insalata
,
due
contadini
inurbati
,
povera
gente
;
bastonati
a
sangue
,
il
negozio
incendiato
«
perché
era
aperto
durante
una
delle
festività
infrasettimanali
rubate
al
popolo
»
.
Ma
non
sono
popolo
due
contadini
inurbati
,
due
poveri
cristi
?
Sì
,
ma
i
casi
personali
non
contano
,
conta
l
'
esempio
,
l
'
azione
,
la
presenza
,
l
'
attivismo
.
Era
così
anche
il
fascismo
nascente
,
ma
non
cadiamo
nella
falsa
consolazione
dei
paragoni
troppo
facili
:
l
'
esercito
degli
«
spostati
»
è
di
nuovo
in
marcia
,
non
si
sa
dove
andrà
a
parare
;
e
imprecare
,
maledire
in
nome
della
santa
democrazia
serve
a
poco
;
anche
accorgersi
adesso
,
marzo
del
1979
,
che
alla
facoltà
di
Psicologia
di
Padova
è
stato
ripetuto
lo
stesso
errore
di
Trento
e
di
Milano
,
da
cui
,
si
poteva
almeno
ricordarlo
,
sono
nati
Potere
Operaio
e
le
Brigate
Rosse
.
La
facoltà
di
Psicologia
di
Padova
viene
immaginata
,
come
quella
di
Trento
,
come
una
università
di
élite
:
per
i
nuovi
tecnocrati
,
al
servizio
del
sistema
.
E
di
nuovo
l
'
esercito
degli
spostati
,
che
attende
in
ogni
provincia
italiana
,
lancia
il
suo
ballali
e
parte
alla
conquista
del
vuoto
;
una
facoltà
che
doveva
avere
mille
studenti
se
ne
trova
,
in
breve
,
novemila
.
Gli
autonomi
non
sono
di
aspetto
gradevole
,
come
di
solito
non
lo
sono
í
poveri
;
i
loro
metodi
sono
violenti
,
spesso
il
privato
si
traduce
in
ferocia
stupida
,
in
cinismo
da
quattro
soldi
;
il
gioco
del
potere
che
si
fa
sulla
loro
pelle
può
anche
assomigliare
a
una
triste
parodia
del
leninismo
.
Ma
anche
vedere
la
palazzina
dove
ha
sede
la
facoltà
di
Psicologia
non
è
un
bel
vedere
,
anche
vedere
degli
uffici
,
dei
locali
,
delle
attrezzature
che
andrebbero
in
frantumi
se
gli
studenti
compissero
il
loro
dovere
di
venirci
a
studiare
non
è
un
bel
vedere
.
Sono
accorsi
a
migliaia
a
Psicologia
per
le
stesse
ragioni
per
cui
erano
andati
a
Trento
:
l
'
illusione
di
impadronirsi
in
qualche
modo
della
chiave
per
capire
gli
altri
e
per
comandarli
;
ancora
il
desiderio
di
onnipotenza
pessimamente
collocato
in
una
macchina
della
frustrazione
e
della
impotenza
.
Che
altro
era
nella
vecchia
Italia
la
corsa
generale
a
Giurisprudenza
?
La
speranza
di
entrare
a
far
parte
di
quelli
che
conoscono
le
machiavelliche
procedure
dei
dottori
.
Qui
a
Psicologia
anche
la
voglia
della
scorciatoia
,
di
lauree
facili
con
bibliografia
ridotta
;
e
poi
di
posti
di
prestigio
,
in
una
categoria
di
moda
:
gli
psicologi
,
dopo
i
sociologi
,
gli
urbanisti
,
gli
architetti
e
le
altre
onde
delle
ricorrenti
mode
sociali
.
Dicono
bene
i
francesi
:
un
raz
de
marée
,
una
marea
che
sale
,
d
'
improvviso
;
in
una
di
quelle
professioni
che
fanno
saltare
i
nervi
,
le
professioni
-
dice
Pizzorno
-
che
mettono
di
fronte
i
mille
che
avranno
un
buon
posto
e
un
alto
stipendio
,
agli
ottomila
che
non
avranno
niente
e
lo
prevedono
,
lo
sanno
e
si
incazzano
in
anticipo
.
Certo
,
le
aggressioni
a
Petter
e
a
Longo
sono
state
ignobili
,
cretine
,
al
punto
che
fra
gli
stessi
autonomi
ci
sarebbero
critiche
,
dissensi
aperti
se
non
intervenisse
la
disciplina
neoleninista
-
carbonara
-
mafiosa
che
li
tiene
assieme
.
Ma
è
anche
stato
mediocre
,
prima
,
lasciar
gonfiare
la
facoltà
per
piazzarci
figli
e
nipoti
di
professori
.
Adesso
il
rettorato
cerca
una
soluzione
pratica
:
arrivare
in
qualche
modo
al
numero
chiuso
senza
proclamarlo
formalmente
.
Per
potere
,
si
può
,
all
'
italiana
.
Si
chiudono
gli
uffici
per
le
iscrizioni
,
si
mettono
a
tacere
per
il
primo
anno
i
corsi
più
importanti
,
si
inizia
il
decentramento
:
in
Francia
è
riuscito
,
in
America
funziona
.
Ma
sì
,
a
parole
si
può
fare
tutto
,
dire
tutto
;
ma
solo
con
le
parole
non
si
cambia
niente
e
qui
,
da
dieci
anni
a
questa
parte
,
pochissimo
è
cambiato
,
salvo
il
numero
degli
incazzati
e
degli
emarginati
che
è
in
continuo
aumento
,
salvo
il
numero
delle
pistole
e
delle
molotov
che
è
in
continua
moltiplicazione
,
salvo
la
prospettiva
di
una
guerriglia
diffusa
,
già
in
atto
e
magari
capace
di
allargarsi
a
guerra
civile
con
conseguenti
repressioni
di
tipo
argentino
.
Perché
questa
è
la
contrapposizione
tragica
:
un
potere
immobile
,
incapace
di
uscire
dai
suoi
vizi
,
e
una
opposizione
che
si
affida
solo
alla
rabbia
,
troppo
poco
per
essere
l
'
alternativa
in
un
paese
industriale
avanzato
.
StampaQuotidiana ,
Milano
.
Questa
storia
di
miliardi
e
di
sangue
matura
nella
Milano
degli
ultimi
anni
Sessanta
.
In
quella
Milano
che
vede
i
metalmeccanici
in
tuta
blu
scendere
in
piazza
per
migliori
salari
e
i
titoli
metalmeccanici
salire
in
Borsa
sotto
la
spinta
della
speculazione
.
In
quella
Milano
che
vede
í
primi
cortei
dei
ragazzi
di
Mario
Capanna
sfilare
al
grido
di
«
Fascisti
,
borghesi
,
ancora
pochi
mesi
»
,
ma
che
assiste
anche
alle
prime
gesta
dei
futuri
assaltatori
della
Borsa
,
ai
primi
vorticosi
scambi
di
pacchetti
azionari
,
alle
prime
colossali
e
inspiegabili
fortune
finanziarie
.
I
protagonisti
della
storia
sono
tre
:
Michele
Sindona
,
Carlo
Bordoni
,
Giorgio
Ambrosoli
.
Sono
passati
appena
dieci
anni
e
quest
'
ultimo
già
è
morto
ammazzato
l
'
altra
sera
a
Milano
sotto
casa
sua
.
Bordoni
si
sta
lentamente
spegnendo
nel
Correctional
Center
di
Manhattan
,
il
più
grande
carcere
di
New
York
,
colpito
da
una
grave
malattia
.
Michele
Sindona
,
invece
,
vive
tranquillo
e
apparentemente
spensierato
in
una
comodissima
suite
dell
'
Hotel
Pierre
,
forse
il
più
bell
'
albergo
di
tutta
New
York
.
Prima
di
cadere
sotto
i
colpi
di
una
P38
,
Ambrosoli
aveva
fatto
in
tempo
a
sporgere
denuncia
contro
ignoti
perché
sapeva
che
stavano
cercando
di
farlo
fuori
.
Bordoni
,
benché
rinchiuso
in
carcere
e
sorvegliato
quasi
a
vista
,
riesce
a
far
filtrare
continuamente
messaggi
nei
quali
accusa
Sindona
di
voler
attentare
alla
sua
vita
.
Ma
nel
1968
questi
tre
uomini
quasi
ancora
non
si
conoscevano
.
Michele
Sindona
era
allora
poco
più
di
un
grande
esperto
in
questioni
finanziarie
e
immobiliari
.
In
città
non
lo
frequentava
nessuno
,
se
si
escludono
alcuni
ristretti
circoli
finanziari
e
alcuni
personaggi
importanti
del
mondo
dell
'
industria
e
delle
banche
.
Quando
un
giornalista
dell
'
«
Espresso
»
gli
chiese
il
permesso
per
farlo
fotografare
,
rispose
secco
:
«
Se
vedo
arrivare
un
fotografo
,
gli
faccio
sparare
dall
'
autista
»
.
Il
primo
ad
accorgersi
delle
grandi
qualità
di
questo
ambizioso
avvocato
siciliano
era
stato
il
Marinotti
della
Snia
Viscosa
,
che
si
era
rivolto
a
lui
per
certe
storie
relative
ai
danni
di
guerra
e
che
ne
aveva
tratto
un
giovamento
preziosissimo
.
Ma
la
vera
pista
di
lancio
di
Sindona
è
stato
l
'
avvocato
Carnelutti
:
insieme
hanno
fatto
i
primi
affari
,
insieme
hanno
messo
piede
nella
prima
banca
,
la
Moizzi
,
destinata
a
diventare
poi
la
Privata
Finanziaria
e
la
fonte
di
tutte
le
disgrazie
future
,
compresa
la
morte
di
Ambrosoli
e
il
terrore
di
Carlo
Bordoni
.
Nel
1968
Michele
Sindona
,
che
è
già
il
padrone
assoluto
della
Banca
Privata
Finanziaria
,
sta
per
mettere
le
mani
sulla
Banca
Unione
e
sta
per
lanciarsi
nel
mondo
della
Borsa
e
della
speculazione
sui
cambi
in
grande
stile
.
Carlo
Bordoni
,
che
proprio
in
quegli
anni
inizia
la
sua
collaborazione
con
l
'
avvocato
siciliano
,
ha
una
storia
diversa
,
tutta
segnata
dalla
carriera
in
banca
.
La
sua
professione
,
il
suo
vero
destino
,
è
quello
del
cambista
:
ogni
giorno
Bordoni
arriva
in
ufficio
alle
sei
della
mattina
,
tiene
fra
le
labbra
un
grosso
sigaro
cubano
,
si
mette
personalmente
al
telex
e
comincia
a
imbastire
le
sue
speculazioni
.
Marchi
contro
yen
,
dollari
contro
franchi
svizzeri
,
sterline
contro
fiorini
.
E
,
quando
proprio
c
'
è
troppa
calma
sui
mercati
valutari
,
anche
platino
contro
oro
,
oppure
,
nei
momenti
di
magra
assoluta
,
patate
contro
cipolle
.
Per
Bordoni
tutto
va
bene
.
Purché
si
tratti
di
comprare
e
vendere
sulla
carta
,
Bordoni
non
ha
magazzini
,
non
ha
camions
,
non
ha
niente
;
gli
bastano
un
telex
e
qualche
telefono
con
le
linee
dirette
per
tutto
il
mondo
.
Nel
giro
dei
cambisti
ha
una
fama
enorme
:
si
dice
che
sia
il
più
bravo
in
Europa
e
,
forse
,
addirittura
nel
mondo
.
Ma
sul
suo
conto
circolano
storie
inquietanti
.
Si
racconta
di
guadagni
favolosi
,
ma
anche
di
perdite
tremende
.
Si
ricorda
,
ad
esempio
,
come
il
consiglio
di
amministrazione
di
una
delle
più
importanti
banche
italiane
lo
abbia
licenziato
sui
due
piedi
perché
colto
dal
terrore
davanti
all
'
enormità
delle
sue
operazioni
in
cambi
,
tali
da
mettere
in
pericolo
la
stessa
solidità
dell
'
azienda
.
E
si
racconta
ancora
,
ma
forse
è
leggenda
,
di
una
sua
colossale
speculazione
al
ribasso
contro
il
fiorino
che
provocò
addirittura
l
'
intervento
della
diplomazia
olandese
.
Giorgio
Ambrosoli
,
invece
,
entra
in
questa
storia
solo
più
tardi
,
nell
'
autunno
del
1974
,
e
nel
ruolo
del
riparatore
di
torti
.
Nel
1968
è
ancora
chino
sui
libri
contabili
della
Sfi
,
un
imbroglio
finanziario
che
all
'
inizio
degli
anni
Sessanta
aveva
fatto
tremare
mezza
pianura
padana
,
una
ventina
di
industriali
di
primo
piano
e
grossi
esponenti
della
DC
lombarda
.
Quei
libri
gli
erano
stati
affidati
nel
1964
e
la
sua
opera
di
liquidatore
della
Sfi
avrà
termine
solo
nel
1972
:
giusto
il
tempo
per
prendere
fiato
un
paio
d
'
anni
,
prima
di
ripiegare
la
testa
su
un
nuovo
scandalo
,
ben
più
grosso
e
inquietante
,
quello
di
Michele
Sindona
,
di
Carlo
Bordoni
e
di
tanti
altri
i
cui
nomi
forse
non
conosceremo
mai
.
Ambrosoli
,
cioè
,
è
l
'
esatto
contrario
dei
due
personaggi
con
i
quali
la
sua
vita
si
incrocerà
e
si
perderà
.
È
un
avvocato
,
come
Sindona
,
ma
non
ama
le
avventure
,
è
prudente
,
è
di
ghiaccio
,
è
implacabile
.
Quasi
sempre
chiuso
dentro
un
blazer
blu
e
anonimi
pantaloni
grigio
scuro
,
instancabile
fumatore
di
sigarette
,
pignolo
al
punto
da
controllare
anche
le
bollette
della
luce
di
Michele
Sindona
,
dopo
il
1974
si
rivelerà
come
il
più
tenace
avversario
che
l
'
avvocato
siciliano
abbia
incontrato
.
Alla
fine
,
pur
non
avendolo
mai
visto
in
faccia
saprà
tutto
di
lui
,
più
di
ogni
altro
al
mondo
.
Ma
nel
1968
,
si
diceva
,
Ambrosoli
lavora
a
riparare
antiche
ingiustizie
.
Sindona
e
Bordoni
,
invece
,
stanno
preparando
la
loro
scalata
nella
finanza
internazionale
.
Lo
schema
concettuale
da
cui
partono
è
talmente
semplice
da
lasciare
sbalorditi
.
Attraverso
le
loro
banche
e
le
loro
moltissime
società
rastrellano
denaro
in
Italia
e
nel
mondo
offrendo
qualche
punto
percentuale
in
più
sugli
interessi
.
Questi
soldi
,
poi
,
vengono
utilizzati
per
le
più
straordinarie
speculazioni
rialziste
che
si
siano
mai
viste
in
piazza
degli
Affari
e
per
le
più
temerarie
speculazioni
in
cambi
che
siano
mai
state
condotte
sui
mercati
internazionali
.
Montagne
di
dollari
attraversano
l
'
Oceano
manovrate
dai
cavi
telex
e
telefonici
di
Bordoni
,
magari
più
volte
nello
stesso
giorno
e
nei
due
sensi
.
Il
denaro
sembra
moltiplicarsi
solo
nell
'
andare
avanti
e
indietro
.
In
realtà
sta
fermo
:
a
muoversi
è
solo
Bordoni
con
i
suoi
messaggi
in
codice
e
le
sue
brucianti
telefonate
sulle
principali
piazze
finanziarie
del
mondo
.
La
Borsa
di
Milano
è
invece
il
regno
di
Sindona
.
I
titoli
della
sua
scuderia
sembrano
conoscere
solo
il
movimento
verso
l
'
alto
.
La
voce
si
sparge
e
questo
siciliano
che
nessuno
conosce
ancora
diventa
una
specie
di
lotteria
nella
quale
tutti
sanno
di
poter
vincere
sempre
.
I
guadagni
vengono
investiti
in
nuove
imprese
,
sempre
più
grandi
.
Ma
la
passione
di
Sindona
rimangono
le
banche
.
Dopo
la
Privata
Finanziaria
e
la
Unione
,
vengono
la
Amincor
e
la
Fina
in
Svizzera
,
la
Wolff
in
Germania
e
,
ecco
la
scalata
al
cielo
,
la
Franklin
di
New
York
,
uno
dei
più
grandi
istituti
di
credito
degli
Stati
Uniti
.
Il
sogno
di
una
vita
sbagliata
è
realizzato
:
Sindona
è
un
finanziere
con
interessi
sulle
due
sponde
dell
'
Atlantico
.
Comincia
a
frequentare
non
solo
gli
uomini
che
contano
a
Milano
,
ma
anche
quelli
che
contano
a
Roma
,
soprattutto
democristiani
.
Conosciutissima
è
la
sua
amicizia
con
Andreotti
.
Ma
è
anche
la
fine
.
All
'
inizio
del
1974
Bordoni
e
Sindona
si
accorgono
che
i
conti
non
tornano
,
mancano
100
miliardi
,
forse
200
,
forse
1000
.
Ormai
nessuno
di
loro
due
può
dirlo
.
Sono
persi
dentro
le
loro
stesse
trame
finanziarie
.
Bordoni
è
il
primo
a
scappare
,
si
rifugia
a
Caracas
,
dove
verrà
ripescato
dalla
polizia
americana
per
certe
illegalità
commesse
alla
Franklin
.
Sindona
lancia
con
la
Finambro
un
'
operazione
destinata
a
procurargli
almeno
150
miliardi
di
lire
fresche
e
pulite
,
ma
viene
giustamente
bloccato
dall
'
allora
ministro
del
Tesoro
Ugo
La
Malfa
.
Alla
fine
,
in
giugno
,
troverà
i
100
miliardi
presso
il
Banco
di
Roma
cedendo
la
proprietà
del
suo
impero
.
Ma
è
troppo
tardi
.
Tanto
in
Italia
quanto
in
America
ci
sono
ispettori
in
tutte
le
sue
banche
.
Saltano
fuori
speculazioni
sui
cambi
per
3
o
4
miliardi
di
dollari
,
truffe
e
pasticci
di
ogni
sorta
.
Anche
Sindona
abbandona
il
campo
e
fugge
a
New
York
appena
in
tempo
per
evitare
il
mandato
di
cattura
.
E
tutta
la
storia
passa
nelle
mani
di
Giorgio
Ambrosoli
,
nominato
liquidatore
della
Banca
Privata
Italiana
.
In
mano
a
un
altro
quell
'
enorme
mucchio
di
carte
false
,
di
contratti
mai
onorati
e
di
miliardi
a
volte
mai
esistiti
che
fu
l
'
impero
Sindona
sarebbe
ancora
avvolto
nel
mistero
e
quindi
innocuo
.
Ma
Ambrosoli
,
come
una
brava
talpa
lombarda
,
scava
fino
nei
più
segreti
angolini
e
consegna
,
proprio
pochi
giorni
fa
,
una
monumentale
relazione
alla
magistratura
:
la
verità
,
dopo
cinque
anni
di
indagini
.
Una
verità
,
evidentemente
,
scomoda
.
Tanto
scomoda
da
essere
ripagata
a
colpi
di
pistola
.
StampaPeriodica ,
Quando
Lata
Krishnan
incontrò
Ajav
Shah
,
a
Londra
nel
1986
,
si
accorse
di
avere
con
lui
qualcosa
in
comune
.
Le
loro
famiglie
avevano
lasciato
l
'
Africa
orientale
fra
la
fine
degli
anni
Sessanta
e
la
metà
degli
anni
Settanta
,
quando
si
scatenò
un
'
ondata
di
razzismo
contro
gli
immigrati
di
origine
indiana
.
Il
dittatore
ugandese
Idi
Amin
Dada
,
infatti
,
aveva
cacciato
dal
suo
paese
chiunque
avesse
nelle
vene
anche
una
sola
goccia
di
sangue
asiatico
.
Krishnan
e
Shah
si
sposarono
e
decisero
subito
di
andarsene
dall
'
Inghilterra
e
raggiungere
la
California
.
Approdarono
a
Fremont
,
nella
Silicon
valley
.
Col
loro
amico
Mukesh
Patel
,
anche
lui
profugo
dell
'
Uganda
,
fondarono
la
Smart
Modular
,
un
'
azienda
che
produce
moduli
per
la
memoria
dei
computer
.
La
'
new
economy
'
ha
portato
fortuna
ai
tre
.
Nel
1998
la
Smart
Modular
Technologies
ha
guadagnato
51,48
milioni
di
dollari
.
Oltre
al
quartier
generale
di
Fremont
,
la
compagnia
ha
costruito
un
centro
di
design
a
Bangalore
in
India
,
e
altri
laboratori
a
Portorico
,
in
Scozia
e
in
Malesia
.
Quando
Tau
Dang
scappò
dal
Vietnam
nella
seconda
metà
degli
anni
Ottanta
pensava
di
fare
fortuna
in
America
.
Approdò
con
la
famiglia
nella
zona
est
di
San
José
in
California
.
Fece
tanti
lavori
.
Alla
fine
si
dedicò
all
'
assemblaggio
,
a
domicilio
,
di
componenti
per
i
computer
.
Oggi
la
sua
abitazione
è
un
piccolo
laboratorio
.
I
figli
,
la
moglie
,
la
nuora
e
i
nipoti
lavorano
almeno
12
ore
al
giorno
.
Con
notevoli
sacrifici
non
hanno
raggiunto
la
grande
ricchezza
,
ma
si
sono
garantiti
il
benessere
e
la
sicurezza
.
Un
figlio
di
Tau
Dang
frequenta
l
'
università
a
Palo
Alto
e
fra
poco
,
se
avrà
fortuna
,
potrà
diventare
uno
dei
nuovi
miliardari
dei
computer
.
Lata
Krishnan
,
Ajav
Shah
,
Mukesh
Patel
,
Tau
Dang
sono
alcuni
di
quei
profughi
che
anni
fa
vedemmo
in
tv
fuggire
,
coi
loro
fagotti
e
le
facce
impaurite
,
dalle
guerre
e
dalle
persecuzioni
.
Accade
anche
oggi
,
è
appena
successo
in
Kosovo
,
di
guardare
le
scene
dell
'
esodo
e
di
immaginare
soltanto
sventure
e
destini
crudeli
per
quelli
che
sono
costretti
a
lasciare
la
loro
casa
e
il
loro
paese
.
Centinaia
di
migliaia
di
uomini
,
donne
e
bambini
ogni
anno
,
al
mondo
,
diventano
profughi
.
Piangono
,
soffrono
,
a
volte
muoiono
di
stenti
o
di
malattie
.
Ma
dentro
chi
sopravvive
al
disastro
si
sviluppa
la
forza
della
speranza
,
la
voglia
di
farcela
,
di
resistere
,
di
trovare
a
tutti
i
costi
una
nuova
vita
.
E
'
sempre
stato
così
.
Per
questa
ragione
i
profughi
vanno
accolti
con
generosità
,
aiutati
a
migliorare
,
inseriti
nella
comunità
.
L
'
America
è
un
paese
forte
perché
costruito
da
immigrati
,
da
disperati
,
da
gente
fuggita
da
tutti
i
razzismi
e
da
tutte
le
persecuzioni
di
questo
e
dell
'
altro
secolo
.
L
'
era
della
globalizzazione
è
fatta
di
aperture
e
non
di
chiusure
.
La
società
multietnica
e
multirazziale
è
più
produttiva
e
creativa
dei
mondi
chiusi
e
provinciali
.
Pensare
di
non
poter
convivere
con
gli
'
altri
'
,
che
hanno
diverse
abitudini
,
religioni
e
culture
,
è
assurdo
,
ingiusto
e
antieconomico
.
Gli
asiatici
,
scappati
dall
'
Uganda
e
sparsi
fra
la
Gran
Bretagna
e
gli
Stati
Uniti
,
hanno
fatto
in
gran
parte
fortuna
,
si
sono
arricchiti
e
hanno
arricchito
i
paesi
che
li
hanno
ospitati
.
All
'
inizio
sono
finiti
nelle
terribili
periferie
urbane
della
Londra
anni
Settanta
.
Ma
poi
,
piano
piano
,
hanno
risalito
la
china
.
Grazie
alla
loro
forza
e
a
quella
del
libero
mercato
.
StampaQuotidiana ,
Torino
,
10
.
Torino
,
la
violenza
,
il
terrorismo
.
Sulla
pelle
di
questa
città
ci
siamo
esercitati
tutti
per
anni
.
Adesso
proviamo
ad
ascoltare
qualche
voce
di
chi
sta
dentro
Torino
e
dentro
le
sue
paure
.
Oggi
parla
un
caposquadra
della
FIAT
Mirafiori
.
«
Dei
sessantuno
operai
licenziati
non
voglio
dir
niente
.
Dopo
,
lei
capirà
la
mia
ragione
.
Su
tutto
il
resto
,
invece
,
sono
disposto
a
parlare
perché
penso
sia
utile
conoscere
come
vanno
le
faccende
in
FIAT
.
In
cambio
le
chiedo
una
cosa
sola
:
non
dia
i
miei
dati
personali
e
non
mi
descriva
.
Dica
soltanto
che
ho
una
quarantina
di
anni
e
che
sono
uno
dei
duemila
capisquadra
di
Mirafiori
.
Lei
conosce
la
fabbrica
?
No
?
Allora
le
spiego
la
piramide
gerarchica
.
C
'
è
l
'
operaio
,
poi
l
'
intermediario
,
il
caposquadra
,
il
caporeparto
,
il
capofficina
,
su
su
sino
al
direttore
.
Come
vede
,
io
sto
al
primo
gradino
dei
capi
,
guadagno
sulle
seicentomila
lire
al
mese
e
ho
vent
'
anni
di
FIAT
sulle
spalle
.
In
FIAT
ho
imparato
tutto
e
la
FIAT
è
stata
la
mia
prima
famiglia
.
Oggi
per
me
non
è
più
niente
.
Oggi
io
sto
in
fabbrica
dalle
nove
alle
undici
ore
al
giorno
.
E
ogni
giorno
mi
domando
:
a
fare
che
cosa
?
Lei
avrà
sentito
parlare
di
programmi
produttivi
,
di
qualità
della
produzione
.
Bene
,
nell
'
ambito
della
mia
squadra
dovrei
occuparmi
di
questo
.
Arrivo
all
'
inizio
del
mio
turno
,
conto
gli
operai
che
lavorano
con
me
,
so
che
per
fare
un
certo
prodotto
occorrono
tot
operai
,
so
che
,
per
essere
venduto
,
il
prodotto
dev
'
essere
affidabile
,
ossia
avere
una
certa
qualità
.
Insomma
,
faccio
l
'
interesse
dell
'
azienda
che
mi
paga
.
Non
è
una
mia
pretesa
:
è
una
necessità
.
In
un
'
altra
epoca
avrei
detto
:
è
il
mio
dovere
.
Le
aziende
stanno
in
piedi
solo
se
il
lavoro
è
fatto
bene
,
e
tutta
la
baracca
,
sì
,
il
paese
,
si
regge
se
le
aziende
funzionano
.
Questo
ho
imparato
in
venti
anni
di
lavoro
.
E
questo
ho
fatto
per
molto
tempo
.
Adesso
non
lo
faccio
più
.
Lei
mi
chiede
:
è
colpa
degli
operai
?
Io
le
rispondo
così
.
Prendiamo
cento
operai
di
Mirafiori
.
Trenta
non
vogliono
saperne
né
di
sindacato
né
di
niente
:
la
fabbrica
è
un
posto
dove
purtroppo
bisogna
faticare
e
basta
.
Altri
trenta
vogliono
una
politica
sindacale
democratica
e
giusta
.
Venti
-
venticinque
sono
in
balia
della
prima
aria
che
tira
e
non
sanno
da
che
parte
stare
.
E
su
questi
premono
gli
ultimi
quindici
che
sono
estremisti
e
cercano
ogni
occasione
per
rompere
i
coglioni
,
per
non
lavorare
e
per
non
far
lavorare
.
Quindici
sono
pochi
,
ma
bastano
per
far
casino
se
gli
altri
non
reagiscono
.
È
una
minoranza
che
però
fa
quello
che
vuole
.
Il
loro
nemico
è
il
primo
capo
che
hanno
sottomano
,
il
caposquadra
.
È
lui
il
centro
del
bersaglio
,
quasi
fosse
la
controfigura
dell
'
Agnelli
.
Tu
insisti
per
fare
andare
avanti
il
lavoro
,
per
ottenere
la
quantità
e
la
qualità
necessarie
.
E
loro
,
soprattutto
quelli
giovani
,
gli
ultimi
assunti
,
goccia
dopo
goccia
,
riempiono
il
tuo
vaso
.
Capo
,
non
rompere
,
o
ti
facciamo
sciopero
.
Capo
,
vaffanculo
.
Capo
,
sei
un
bastardo
,
guarda
che
ti
conosco
,
so
dove
stai
e
ti
prendo
fuori
di
qui
.
Capo
sei
un
fascista
,
ti
faremo
camminare
in
carrozzella
.
Capo
,
non
fare
rapporto
in
direzione
,
altrimenti
...
Bisogna
subire
.
C
'
è
chi
subisce
piegandosi
a
gesti
meschini
.
Qualche
volta
è
capitato
anche
a
me
.
In
certi
momenti
,
poi
,
c
'
è
la
caccia
al
capo
.
Le
giunge
nuovo
?
Io
me
la
sono
sempre
cavata
,
non
mi
hanno
mai
buttato
fuori
.
E
sa
perché
?
Quando
arrivava
il
corteo
interno
,
ho
sempre
tagliato
la
corda
.
Ma
ho
vissuto
momenti
neri
,
a
vedere
gli
amici
sballottati
qua
e
là
con
la
bandiera
rossa
in
mano
,
e
io
dovevo
rimanere
nascosto
e
inerte
per
non
essere
costretto
a
fare
come
loro
.
Infine
ci
sono
le
gocce
che
cadono
fuori
dalla
fabbrica
,
a
casa
.
Le
telefonate
mafiose
:
cerca
di
contenerti
,
sta
dalla
parte
degli
operai
...
oppure
le
minacce
alla
moglie
:
guardi
che
quel
porco
di
suo
marito
prima
o
poi
glielo
facciamo
fuori
.
A
me
è
sempre
andata
bene
,
non
mi
hanno
nemmeno
bruciata
la
macchina
,
anche
perché
cambio
sempre
posteggio
e
strada
.
Però
gomme
tagliate
e
auto
incendiate
sono
all
'
ordine
del
giorno
.
Per
non
parlare
del
resto
:
i
colleghi
feriti
,
voi
scrivete
azzoppati
come
se
si
trattasse
di
vitelli
e
invece
sono
uomini
condannati
per
tutta
la
loro
restante
vita
.
E
poi
i
dirigenti
ammazzati
dalle
bande
,
l
'
ultimo
Ghiglieno
.
Così
,
mese
dopo
mese
,
la
mia
vita
è
cambiata
.
Una
volta
tornavo
a
casa
e
mi
riposavo
o
stavo
coi
figli
o
facevo
dell
'
altro
lavoro
.
Adesso
penso
soltanto
a
ricaricarmi
di
energia
per
affrontare
la
battaglia
del
giorno
dopo
in
FIAT
.
Anche
di
dentro
sono
cambiato
.
Si
metta
al
mio
posto
,
al
posto
di
uno
che
sul
lavoro
se
fa
una
cosa
gli
dicono
:
bastardo
,
sbagli
;
e
se
ne
fa
un
'
altra
gli
dicono
sempre
:
bastardo
,
sbagli
.
Dai
e
dai
,
come
fa
a
non
sorgerti
il
dubbio
che
forse
davvero
c
'
è
qualcosa
in
te
che
non
va
,
che
non
sei
più
la
persona
di
prima
?
E
soprattutto
in
fabbrica
che
ti
accorgi
del
tuo
cambiamento
.
Lo
abbiamo
visto
quando
hanno
assassinato
Ghiglieno
.
Ci
siamo
trovati
in
un
gruppo
di
capi
e
ci
siamo
chiesti
:
che
facciamo
?
fino
a
quando
durerà
?
dobbiamo
adoperarci
ancora
per
tenere
in
piedi
quest
'
azienda
?
Abbiamo
risposto
di
sì
,
ma
era
chiaro
che
in
tutti
c
'
era
la
voglia
contraria
,
la
voglia
di
mollare
.
Anzi
,
per
dire
le
cose
come
stanno
,
non
si
tratta
più
di
voglia
.
Noi
capi
abbiamo
mollato
.
Manca
solo
che
ci
mettiamo
in
mutua
,
ma
è
come
se
lo
fossimo
.
Lo
so
che
se
poi
il
cliente
ha
il
freno
che
non
gli
funziona
o
il
pistone
rigato
,
la
colpa
è
anche
nostra
ma
ormai
è
difficile
comportarci
secondo
le
regole
.
Non
ci
crede
?
Venga
in
fabbrica
.
Se
vedo
un
operaio
che
prende
a
calci
un
pezzo
,
sono
in
grado
di
fare
una
cosa
sola
:
aspettare
un
po
'
e
poi
raccoglierlo
io
.
E
se
mi
accorgo
che
uno
il
pezzo
se
lo
ruba
via
?
Mi
giro
dall
'
altra
parte
per
non
vedere
.
La
denuncia
?
Ma
in
che
mondo
vive
lei
?
Possiamo
solo
ingoiare
.
Questa
sta
diventando
una
fabbrica
di
merda
.
Le
sembra
un
'
espressione
troppo
forte
?
Guardi
,
se
lei
mi
chiedesse
di
definire
la
FIAT
oggi
,
non
troverei
un
termine
dispregiativo
sufficiente
.
Lo
scriva
pure
chiaro
.
Ma
lo
sa
che
nelle
vetture
e
nei
cassoni
troviamo
i
preservativi
usati
?
Dire
che
è
un
casino
è
dire
poco
.
E
voi
dei
giornali
non
avete
mai
raccontato
la
verità
.
Come
si
può
resistere
?
Mi
scusi
se
uso
una
parola
difficile
:
a
volte
mi
sento
spersonalizzato
,
completamente
.
Anche
fuori
dalla
FIAT
mi
sento
così
.
Quando
qualcuno
mi
domanda
chi
sono
e
che
lavoro
faccio
,
non
so
come
rispondere
.
Sono
un
capo
?
No
,
non
lo
sono
più
.
Non
sono
più
niente
.
Sono
soltanto
uno
che
fa
male
il
proprio
lavoro
,
anzi
,
uno
che
non
sa
più
qual
è
il
suo
lavoro
.
Decisioni
ne
posso
prendere
quasi
zero
.
Punire
non
posso
,
perché
se
punisco
corro
il
rischio
di
farmi
sparare
.
Premiare
nemmeno
.
A
volte
un
operaio
mi
dice
:
d
'
accordo
,
non
puoi
prendere
provvedimenti
contro
quel
lavativo
che
non
fa
niente
;
dà
almeno
un
premio
a
me
che
lavoro
.
Ma
nemmeno
questo
posso
più
farlo
.
In
fabbrica
ormai
siamo
tutti
uguali
,
tutti
appiattiti
.
Lama
in
televisione
parla
di
premiare
la
professionalità
.
Io
vorrei
che
Lama
venisse
qui
in
FIAT
e
stesse
a
Mirafiori
una
settimana
per
vedere
qual
è
la
realtà
.
Le
colpe
del
sindacato
sono
grandi
.
Si
è
servito
degli
elementi
più
accesi
per
prendere
un
certo
potere
dieci
anni
fa
.
Mi
va
bene
.
Avrei
fatto
così
anch
'
io
.
Ma
poi
il
sindacato
avrebbe
dovuto
liberarci
di
questi
elementi
e
non
c
'
è
riuscito
.
Anzi
,
gli
è
corso
dietro
.
No
,
non
sono
più
iscritto
al
sindacato
.
E
se
in
fabbrica
non
lo
critico
apertamente
,
è
solo
per
paura
.
Ho
degli
estremisti
in
squadra
e
non
voglio
finire
al
traumatologico
.
Però
non
pensi
che
io
sia
di
destra
.
Tutt
'
altro
.
Sono
ancora
giovane
.
Ho
un
diploma
.
Cerco
di
ragionare
e
ogni
giorno
leggo
due
giornali
,
la
«
Stampa
»
e
1'«Unità»
,
per
fare
il
confronto
.
Capisco
che
al
pugno
duro
di
una
volta
non
si
torna
più
,
era
ingiusto
e
comunque
oggi
sarebbe
impossibile
.
E
la
parola
«
intimidire
»
mi
fa
paura
.
Per
troppi
anni
,
in
FIAT
,
l
'
operaio
è
stato
intimidito
.
Ma
adesso
quelli
che
vogliono
lavorare
,
e
sono
ancora
tanti
,
non
respirano
più
.
A
volte
c
'
è
da
esser
disperati
.
E
io
mi
domando
:
come
mai
nessuno
interviene
?
Poi
,
se
guardo
fuori
dalla
FIAT
,
mi
do
la
risposta
da
solo
:
ma
chi
mai
potrebbe
avere
l
'
autorità
per
intervenire
?
Mio
nonno
diceva
:
il
pesce
puzza
sempre
dalla
testa
.
E
la
testa
del
paese
è
marcia
.
Il
nostro
sistema
politico
fa
spavento
.
Per
spiegarmi
,
le
faccio
un
confronto
con
la
fabbrica
.
Se
devo
rimproverare
un
operaio
che
arriva
in
ritardo
,
dopo
le
sei
,
bisogna
che
io
stia
in
fabbrica
prima
delle
sei
.
Ma
se
mi
alzo
alle
sette
,
non
ho
più
i
titoli
per
richiamare
uno
al
suo
dovere
.
Così
è
per
Roma
.
Se
la
testa
del
Paese
non
si
mette
a
posto
,
non
ridiventa
pulita
e
non
fa
il
suo
dovere
,
che
cosa
si
può
pretendere
dalla
base
?
A
questo
punto
,
devo
chiudere
lo
sfogo
parlando
ancora
di
me
.
Per
prima
cosa
,
le
dico
che
Torino
ormai
mi
fa
paura
.
Non
voglio
più
abitare
a
Torino
.
Appena
potrò
,
me
ne
andrò
a
stare
via
.
La
seconda
cosa
è
che
anche
continuare
nel
lavoro
di
oggi
mi
fa
paura
.
Ma
perché
lo
chiamo
ancora
lavoro
?
Ogni
giorno
,
quando
entro
a
Mirafiori
,
mi
sembra
di
andare
ad
un
posto
di
combattimento
.
Chiederò
di
essere
trasferito
in
un
ufficio
.
Lo
hanno
già
fatto
altri
miei
colleghi
,
lo
farò
anch
'
io
.
Non
voglio
più
avere
responsabilità
.
Non
voglio
più
fare
il
capo
.
Voglio
solo
ubbidire
e
basta
.
Così
potrò
vivere
senza
rischiare
l
'
attentato
o
l
'
esaurimento
nervoso
.
Scriva
pure
che
ho
rifiutato
una
promozione
.
E
scriva
che
sono
prontissimo
a
rinunciare
ad
una
parte
della
paga
per
essere
più
sicuro
in
fabbrica
e
fuori
.
Subito
.
Da
domani
mattina
.
Mia
moglie
,
anzi
,
mi
spinge
a
lasciare
la
FIAT
.
Mi
dice
sempre
:
licenziati
,
io
lavoro
e
un
posto
poi
lo
troverai
.
Sono
quasi
pronto
a
fare
anche
questo
e
non
è
detto
che
non
lo
faccia
presto
.
Del
resto
,
che
gusto
c
'
è
a
rimanere
?
La
FIAT
è
un
ammalato
che
può
morire
da
un
giorno
all
'
altro
.
E
noi
stiamo
qui
a
guardarla
,
dirigenti
e
capi
,
tutti
impotenti
allo
stesso
modo
.
In
FIAT
non
comanda
più
nessuno
,
mentre
fuori
le
pistole
sparano
.
Detto
questo
,
è
detto
tutto
.
Mi
costa
confessarlo
.
Quando
sono
entrato
in
FIAT
vent
'
anni
fa
,
immaginavo
tutto
diverso
.
Oggi
credo
di
avere
ancora
molto
equilibrio
,
ma
mi
sento
un
uomo
colpito
da
un
'
umiliazione
continua
.
Sì
,
umiliato
è
la
parola
giusta
.
Umiliato
e
quasi
prigioniero
in
una
gabbia
,
la
gabbia
di
Mirafiori
.
Lei
penserà
che
sono
un
vigliacco
.
Ma
l
'
unico
desiderio
che
in
questo
momento
ho
è
quello
di
sottrarmi
all
'
umiliazione
e
di
uscire
dalla
gabbia
.
Uscire
e
poter
dire
,
finalmente
:
adesso
respiro
»
.
StampaQuotidiana ,
Dalla
frontiera
cambogiana
,
febbraio
.
Testimonio
,
dopo
aver
attraversato
i
campi
dei
rifugiati
cambogiani
,
con
i
«
medici
senza
frontiere
»
,
nella
«
Marcia
perché
sopravviva
la
Cambogia
»
,
del
più
grande
orrore
umano
,
dopo
Treblinka
e
Auschwitz
.
Il
genocidio
del
popolo
khmero
:
da
sette
milioni
,
recensiti
nel
'71
,
i
khmeri
superstiti
sono
tra
i
due
e
i
tre
milioni
.
L
'
olocausto
è
avvenuto
in
tre
ondate
successive
.
Nella
prima
fase
,
durante
la
guerra
che
aveva
opposto
gli
americani
e
i
«
lon
nol
»
ai
khmeri
rossi
,
ne
era
stato
massacrato
un
milione
.
Poi
lo
sterminio
è
avvenuto
in
altre
due
fasi
successive
.
Sotto
il
regime
di
Pol
Pot
,
tra
il
1975
e
il
1979
,
allorché
un
terzo
della
popolazione
è
scomparso
nelle
esecuzioni
sommarie
,
i
lavori
forzati
,
la
carestia
.
E
infine
,
la
terza
fase
succeduta
alla
follia
sanguinaria
dei
polpottiani
:
l
'
esercito
vietnamita
,
che
entra
a
Pnom
Penh
,
i17
gennaio
'79
,
dopo
una
guerra
lampo
,
cominciata
il
25
dicembre
'78
,
salutato
in
un
primo
momento
come
liberatore
dal
popolo
martirizzato
,
diventa
subito
l
'
occupante
:
preda
,
uccide
,
affama
,
requisisce
.
Il
Vietnam
vuole
la
terra
cambogiana
,
una
volta
detta
«
la
risaia
dell
'
Asia
»
,
e
non
sa
che
farsene
dei
cambogiani
da
nutrire
.
Questa
è
anche
una
guerra
alimentare
.
Comincia
il
grande
esodo
dei
contadini
,
la
marcia
per
sfuggire
alla
morte
,
attraverso
le
foreste
,
sotto
gli
spari
dell
'
artiglieria
che
l
'
insegue
.
Adesso
,
al
confine
della
Cambogia
,
in
terra
thailandese
,
si
ammassano
500
mila
khmeri
.
C
'
è
chi
dice
che
siano
700
mila
.
Percorrono
una
sorta
di
Stato
cuscinetto
,
fatto
di
membra
umane
,
di
avanzi
del
popolo
khmero
,
su
alcune
decine
di
ettari
di
fango
nauseabondo
.
Visito
i
campi
di
Sa
-
Kaeo
(
trentamila
khmeri
rossi
)
e
di
Khao
I
Dang
(
centoventimila
khmeri
serei
)
.
Questi
fuggiaschi
non
appartengono
politicamente
a
nessuno
.
Non
hanno
lo
statuto
dei
profughi
,
perché
il
governo
thailandese
non
riconosce
la
Convenzione
di
Ginevra
.
Sono
letame
umano
.
Al
di
fuori
dei
campi
ufficiali
,
è
ancora
peggio
.
Una
folla
di
morti
-
vivi
che
fuggono
,
o
sono
evacuati
dalle
truppe
vietnamite
,
quando
il
cibo
manca
.
Allora
,
la
folla
delirante
degli
affamati
è
definita
dai
viet
«
anticomunista
»
,
e
cacciata
.
Gli
«
anticomunisti
»
mi
raccontano
che
tutte
le
strade
della
Cambogia
sono
minate
dall
'
esercito
,
e
che
per
loro
«
il
sentiero
più
sicuro
è
quello
dei
cadaveri
»
.
Non
capisco
.
Mi
spiegano
allora
che
spesso
marciano
su
chilometri
di
corpi
in
putrefazione
uccisi
durante
l
'
avanzata
dei
vietnamiti
,
per
non
saltare
sulle
mine
.
Si
salvano
corrompendo
con
pezzetti
d
'
oro
gli
sbarramenti
dei
viet
e
poi
quelli
dei
thailandesi
.
Chi
ha
un
po
'
di
oro
,
anche
solo
un
dente
da
strapparsi
,
sopravvive
.
Sono
venduti
due
volte
,
dai
soldati
del
Vietnam
e
da
quelli
della
Thailandia
,
alla
frontiera
.
Adesso
la
più
grande
città
cambogiana
non
è
più
Pnom
Penh
,
ma
Khao
I
Dang
,
il
campo
dove
si
ammassano
120
mila
profughi
.
Mi
apro
la
strada
fra
i
detriti
del
popolo
khmero
.
Questi
sono
tutti
khmeri
serei
,
ovvero
cambogiani
che
non
stanno
né
coi
vietnamiti
né
con
i
khmeri
rossi
.
Invece
,
a
Sa
-
Kaeo
(
che
vuoi
dire
lago
di
vetro
)
sono
rinchiusi
solo
i
khmeri
rossi
-
27
mila
esattamente
-
dietro
il
filo
spinato
dei
recinti
.
All
'
ingresso
,
una
scritta
campeggia
:
«
Ci
scusiamo
per
il
vostro
disagio
,
ma
l
'
ordine
e
la
disciplina
sono
segni
di
civiltà
»
.
È
un
campo
prigione
.
I
profughi
khmeri
rossi
stanno
accosciati
o
ritti
,
come
bestiame
,
con
gli
occhi
vuoti
ci
osservano
da
dietro
il
recinto
.
Mi
rifugio
con
Joan
Baez
,
che
fa
parte
della
Marcia
,
dentro
una
capanna
dell
'
UNICEF
,
mentre
crepitano
le
cineprese
dei
fotoreporters
,
delle
TV
dell
'
Occidente
.
Filmano
,
fotografano
il
più
grande
spettacolo
del
mondo
:
la
cantante
Baez
e
l
'
attrice
Liv
Ullman
,
idoli
della
società
dello
spettacolo
,
a
fianco
della
puzzolente
melma
cambogiana
.
Sembra
una
consegna
di
Oscar
.
I
fotoreporter
chiedono
alle
dive
di
prendere
in
braccio
i
bambini
profughi
per
il
coltivatore
dell
'
Oklahoma
o
l
'
intellettuale
di
Manhattan
,
sembra
lo
spettacolo
con
le
girls
di
Apocalypse
Now
.
Dico
a
Joan
Baez
:
«
Come
sopportare
questa
contaminazione
tra
show
e
morte
?
»
.
Lei
risponde
:
«
È
necessario
,
perché
il
mondo
sappia
»
.
Forse
,
ha
ragione
lei
.
Ma
poi
ci
separiamo
.
Fuggo
via
,
lontano
dall
'
occhio
implacabile
delle
televisioni
e
del
mondo
civilizzato
.
Trovo
un
interprete
del
campo
,
un
thailandese
,
lo
scongiuro
di
aiutarmi
,
e
mi
spingo
ai
bordi
di
Sa
-
Kaeo
.
Attraverso
cunicoli
infetti
che
sono
strade
,
budelli
neri
su
cui
si
affacciano
bicocche
costruite
con
i
legni
delle
casse
degli
aiuti
.
Le
mosche
e
le
zanzare
formano
cortine
brune
.
All
'
ombra
,
stanno
larve
di
donne
,
immote
,
incrostate
di
polvere
,
le
sopravvissute
alla
lunga
marcia
.
Non
si
occupano
dei
figli
,
come
le
madri
normali
.
O
forse
non
ne
hanno
più
.
Le
famiglie
sono
state
smembrate
da
Pol
Pot
prima
,
e
poi
durante
la
fuga
.
È
un
popolo
che
si
cerca
senza
posa
.
Le
madri
cercano
i
figli
,
i
figli
le
madri
o
i
padri
.
In
una
baracca
più
ampia
trovo
una
folla
agitata
,
in
coda
,
che
reca
piccole
foto
all
'
ufficio
«
Ricerca
»
.
Ve
ne
sono
decine
nei
campi
di
questi
uffici
.
Le
foto
vengono
affisse
al
muro
.
Sono
vecchie
foto
di
gente
sorridente
,
davanti
a
un
tempio
,
una
famiglia
,
due
bambini
,
una
donna
fotografata
in
una
strada
di
Pnom
Penh
.
Con
un
megafono
,
gli
organizzatori
girano
il
campo
:
conoscete
una
famiglia
con
questo
nome
,
riconoscete
un
bambino
di
otto
anni
capitato
qui
senza
madre
?
Sbuco
,
di
colpo
,
davanti
a
una
pagoda
buddista
,
costruita
dieci
giorni
orsono
con
tavolacci
,
in
fondo
al
campo
.
I
bonzi
dalle
teste
rasate
sono
giunti
dai
dintorni
,
e
pregano
in
silenzio
,
vestiti
di
giallo
,
sola
macchia
di
colore
nel
grigio
-
nero
implacabile
.
I
khmeri
rossi
convertiti
al
buddismo
indossano
una
maglia
gialla
.
Un
centinaio
di
fedeli
gremisce
il
tempio
.
Molti
giovani
.
Magari
sono
stati
torturatori
,
assassini
agli
ordini
di
Pol
Pot
,
artefici
sanguinari
delle
fosse
comuni
.
Ora
subiscono
una
crisi
mistica
,
mi
dice
un
medico
.
Mi
accettano
fra
loro
.
Il
tempio
diventa
una
platea
che
interrogo
.
Viene
designato
per
rispondere
,
o
trasmettere
le
risposte
del
pubblico
,
l
'
uomo
più
rispettato
,
perché
più
vecchio
,
51
anni
.
Si
chiama
Ne
Tai
,
è
un
operaio
di
Takeo
,
che
ha
lasciato
la
Cambogia
nel
gennaio
del
'96
,
dopo
l
'
invasione
vietnamita
.
«
Avete
cambiato
opinione
su
Pol
Pot
?
»
.
Rispondono
:
«
Non
siamo
mai
stati
per
Pol
Pot
»
,
e
Ne
Tai
:
«
Pol
Pot
voleva
farmi
uccidere
perché
ero
religioso
»
.
«
Allora
,
siete
fuggiti
dai
khmeri
rossi
o
dai
vietnamiti
?
»
.
«
Gli
uni
e
gli
altri
»
.
«
Chi
è
più
feroce
?
»
.
«
Lo
sono
allo
stesso
modo
ambedue
»
.
«
Chi
ha
ucciso
di
più
?
»
.
Uno
dice
:
«
I
vietnamiti
ammazzano
più
dei
polpottiani
»
.
Un
altro
:
«
No
,
sono
tali
e
quali
»
.
«
In
Europa
,
si
dice
che
i
vietnamiti
vi
hanno
liberati
»
.
«
Noo
!
Il
Vietnam
ha
invaso
la
Cambogia
,
non
abbiamo
più
terra
»
.
«
Come
siete
arrivati
qui
?
»
.
«
Abbiamo
traversato
le
montagne
,
le
foreste
,
i
fiumi
.
A
piedi
,
cercando
l
'
acqua
,
incalzati
dalle
truppe
.
Eravamo
a
decine
di
migliaia
sulle
strade
.
Quando
non
morivamo
per
carestia
,
morivamo
di
malaria
»
.
«
Avevate
armi
?
»
.
«
No
,
noi
siamo
il
popolo
.
Da
un
lato
c
'
è
il
popolo
,
dall
'
altro
la
forza
»
.
«
Siete
comunisti
?
»
.
«
Nooo
!
»
.
«
Chi
tra
voi
è
del
Partito
comunista
può
alzare
la
mano
?
»
.
Nessuno
alza
la
mano
.
«
Ma
allora
Pol
Pot
non
è
mai
esistito
?
»
.
«
Sì
,
ma
non
sappiamo
chi
è
comunista
ancora
e
chi
khmer
rosso
,
anche
se
ce
ne
sono
»
.
«
Avete
un
messaggio
da
affidarmi
per
gli
europei
?
»
.
«
Vogliamo
che
la
Cambogia
sia
pacificata
,
vogliamo
rientrare
.
I
vietnamiti
devono
andarsene
,
sono
l
'
invasore
»
.
«
Fareste
la
guerra
per
avere
la
pace
?
»
.
Quattro
o
cinque
dicono
:
«
Sì
,
vogliamo
riprendere
le
armi
»
.
Altri
:
«
Siamo
pronti
ad
andare
,
se
ci
aiutano
però
gli
altri
paesi
»
.
«
Ma
i
cinesi
non
sono
vostri
amici
?
»
.
«
Per
il
passato
sì
,
ma
ora
non
abbiamo
visto
i
cinesi
muoversi
per
cacciare
i
vietnamiti
»
.
Ne
Tai
dice
solennemente
:
«
Il
popolo
cambogiano
deve
sopravvivere
malgrado
le
sue
sciagure
»
.
Per
la
prima
volta
,
applaudono
tutti
,
adesso
.
Un
frastuono
che
somiglia
alla
speranza
.
«
Crediamo
solo
negli
organismi
internazionali
,
perché
soltanto
essi
potranno
regolare
íl
problema
.
La
Cambogia
è
troppo
piccola
,
è
morente
»
.
«
A
quale
leader
dareste
la
fiducia
?
»
.
«
Sihanouk
»
.
«
La
pace
verrà
se
ci
sarà
Sihanouk
»
.
«
Sihanouk
,
Sihanouk
»
ritmano
l
'
uno
dopo
l
'
altro
,
con
uniformità
appassionata
.
Ne
Tai
mi
segue
,
mentre
mi
allontano
.
Ora
,
scoppia
a
piangere
.
Ha
perduto
la
sua
dignità
di
capo
.
«
Che
Sihanouk
torni
al
più
presto
»
implora
.
«
È
un
'
opinione
personale
?
»
.
«
No
,
di
tutti
»
.
Qualche
ora
dopo
,
mi
ritrovano
.
Si
sono
consultati
:
chiedono
,
con
coraggio
,
una
cassetta
con
un
messaggio
di
Sihanouk
al
campo
di
Sa
-
Kaeo
.
E
le
lacrime
del
vecchio
continuano
a
scorrere
.
Mi
affidano
altre
lettere
,
da
imbucare
a
Parigi
.
A
quanto
pare
,
si
sono
assunti
gravi
responsabilità
politiche
,
parlandomi
a
questo
modo
.
Melo
spiega
un
'
infermiera
francese
,
Manaiek
Lanternier
.
A
Sa
-
Kaeo
,
la
disciplina
interna
è
dura
,
l
'
inquadramento
politico
dei
khmeri
rossi
esiste
,
ma
clandestino
.
Esso
è
guidato
da
Lim
,
uno
dei
cavalieri
dell
'
apocalisse
polpottiana
.
Per
un
caso
,
sono
la
sola
a
scovare
Lim
.
Egli
risponde
al
nome
di
Ta
(
zio
)
Khiang
On
Thiang
,
è
stato
capo
di
distretto
e
capo
di
divisione
sotto
Pol
Pot
.
Ha
32
anni
,
parla
francese
,
ma
a
me
dice
di
non
conoscerlo
.
Parla
come
un
dirigente
politico
,
anche
nel
suo
negare
tutto
.
Non
respinge
la
realtà
dei
massacri
compiuti
,
ma
ne
offre
la
versione
ufficiale
:
«
Chi
ha
ucciso
,
sotto
Pol
Pot
,
l
'
ha
fatto
per
ordine
dei
vietnamiti
,
restati
in
Cambogia
,
fin
dall
'
epoca
della
sconfitta
dei
francesi
,
nel
1954
.
Essi
continuavano
a
lavorare
per
il
Vietnam
.
I
ragazzi
di
15
anni
ammazzavano
,
è
vero
,
ma
gli
ordini
venivano
da
queste
spie
infiltrate
»
.
Chiedo
quanti
sono
i
khmeri
rossi
ancora
in
guerriglia
.
Alcuni
affermano
che
essi
stanno
subendo
una
rotta
definitiva
,
altri
che
ve
ne
sono
ancora
,
30
mila
,
armati
dai
cinesi
.
Alle
5.30
di
colpo
,
sul
campo
il
sole
si
spegne
,
come
una
candela
su
cui
si
soffi
.
Mi
accorgo
che
tutto
il
personale
,
medici
,
infermieri
,
insegnanti
,
abbandonano
questo
girone
infernale
,
per
ragioni
di
sicurezza
.
A
Sa
-
Kaeo
,
comincia
un
'
altra
vita
.
Avvengono
le
riunioni
notturne
.
I
rifugiati
litigano
fra
loro
sulla
distribuzione
del
cibo
.
Con
me
,
nel
tempio
,
hanno
affermato
:
«
Vi
sono
discriminazioni
nelle
razioni
.
A
seconda
di
chi
distribuisce
,
si
ricevono
razioni
più
abbondanti
,
per
le
amicizie
politiche
,
per
i
favoritismi
»
.
Un
inglese
,
Bondy
,
che
fa
il
medico
,
mi
narra
che
nella
notte
donne
e
bambini
vengono
violentati
in
tutti
i
campi
.
Un
'
infermiera
francese
mi
ha
fatto
conoscere
una
piccola
guerrigliera
khmera
rossa
di
18
anni
,
a
cui
Lim
ingiunge
di
riprendere
le
armi
per
rientrare
in
Cambogia
e
combattere
i
vietnamiti
.
Lei
ha
rifiutato
,
traumatizzata
per
il
sangue
versato
.
Piange
,
negli
incubi
notturni
.
Alcune
partigiane
khmere
rosse
raccontano
di
essere
state
violentate
dai
compagni
d
'
arme
.
Ora
ci
lasciamo
alle
spalle
la
notte
di
Sa
-
Kaeo
,
di
Khao
I
Dang
,
e
dei
campi
di
Khao
Larn
,
di
Kamput
.
Rientriamo
a
Aranya
Prateth
,
la
città
di
frontiera
,
e
ci
buttiamo
a
dormire
in
un
locale
detto
«
il
garage
»
,
su
un
materasso
per
terra
,
sotto
una
zanzariera
.
Ad
Aranya
Prateth
ci
incontriamo
con
la
febbre
dell
'
oro
.
Un
esercito
di
contadini
thailandesi
,
di
cinesi
,
di
cambogiani
,
si
sono
improvvisati
commercianti
,
furiosamente
avidi
.
Campano
sui
profughi
,
vendono
gli
aiuti
occidentali
,
e
le
frutta
,
gli
abiti
,
l
'
acqua
,
il
ghiaccio
,
biciclette
.
È
il
più
immenso
mercato
libero
del
mondo
,
la
corte
dei
miracoli
,
che
spunta
dovunque
,
magari
su
una
risaia
disseccata
.
Le
pattuglie
thailandesi
confiscano
tutto
,
oppure
vogliono
mille
bath
(
un
bath
corrisponde
a
50
lire
)
.
L
'
indomani
nel
campo
di
Khao
I
Dang
,
arrivando
a
quel
che
si
chiama
con
pompa
l
'
orfanotrofio
,
capisco
che
vuol
dire
un
viaggio
in
fondo
all
'
inferno
.
Vi
sono
2300
orfanelli
,
nel
campo
.
A
Sa
-
Kaeo
,
se
ne
contano
500
.
In
tutto
,
si
parla
di
11
mila
orfani
,
che
vanno
da
pochi
mesi
a
12
anni
,
disseminati
lungo
la
frontiera
.
Dal
mondo
esterno
arrivano
le
richieste
di
adozione
,
ma
l
'
Alto
commissariato
per
i
rifugiati
presso
l
'
ONU
dice
che
spetta
a
questa
infanzia
di
ripopolare
il
paese
,
essa
non
va
sradicata
.
Mi
sembra
del
tutto
assurdo
perché
sono
questi
bambini
i
più
traumatizzati
,
mortalmente
malati
.
Non
piangono
e
non
ridono
,
per
mesi
.
Mi
mostrano
Lo
,
il
ragazzo
dodicenne
che
ha
portato
sulle
spalle
il
padre
moribondo
,
fino
al
campo
,
per
seppellirlo
.
Ma
i
ragazzi
qui
sono
stati
anche
i
tremendi
protagonisti
del
male
.
Quest
'
apocalisse
,
per
la
prima
volta
nella
storia
ha
avuto
come
attori
i
ragazzi
,
forse
i
fratelli
di
questi
orfani
.
Pol
Pot
aveva
issato
i
bambini
al
vertice
della
gerarchia
,
perché
rappresentavano
una
«
pagina
bianca
»
nella
storia
.
Voleva
capi
senza
passato
,
quindi
fanciulli
,
che
dirigessero
con
potere
assoluto
le
Comuni
,
in
cui
egli
aveva
spartito
il
paese
,
cancellando
villaggi
e
città
.
Anche
Pnom
Penh
era
stata
svuotata
,
come
simbolo
di
corruzione
le
Comuni
andavano
da
400
a
4
mila
persone
.
A
Qhao
I
Dang
,
tra
i
khmeri
serei
,
uno
studente
mi
racconta
che
il
kanak
della
sua
Comune
,
ovvero
il
capo
,
il
duce
,
aveva
solo
12
anni
.
Cominciò
ad
ammazzare
allorché
gli
regalarono
un
orologio
e
gli
dissero
:
uccidine
tre
,
di
nemici
,
prova
.
E
lui
colpì
,
preciso
,
alla
nuca
.
Gli
diedero
tutti
i
poteri
.
Infatti
il
kanak
non
aveva
al
di
sopra
di
sé
nessuno
:
i
suoi
rapporti
erano
solo
con
Pol
Pot
,
al
quale
egli
poteva
anche
telefonare
.
Gli
adulti
,
i
vecchi
,
gli
intellettuali
tremavano
davanti
ai
bambini
.
Un
'
inversione
paradossale
delle
generazioni
.
Agli
intellettuali
,
i
ragazzi
cucivano
le
dita
col
filo
:
se
lo
spezzavano
,
erano
condannati
a
morte
.
Con
un
colpo
di
vanga
sul
cervelletto
,
per
non
sprecare
munizioni
.
Khin
Shkun
,
ex
studente
di
medicina
di
Kampong
Preach
,
è
il
superstite
di
undici
persone
,
una
famiglia
di
commercianti
.
Mi
racconta
che
non
tutti
i
kanak
erano
cattivi
,
e
che
vi
erano
anche
giovani
capi
buoni
,
che
non
uccidevano
.
Il
suo
kanak
aveva
14
anni
.
Egli
ha
scavato
per
suo
ordine
le
fosse
per
i
condannati
,
due
metri
di
larghezza
e
sessanta
di
lunghezza
.
Colpivano
con
una
mazza
di
bambù
alla
nuca
il
condannato
,
poi
gli
squarciavano
il
petto
col
coltello
,
e
gli
estraevano
la
bile
per
curare
la
febbre
gialla
,
ne
asportavano
il
fegato
per
mangiarlo
.
«
Dicono
che
ora
Pol
Pot
è
diventato
gentile
,
che
non
uccide
più
»
commenta
.
«
Ma
forse
è
là
,
dietro
le
montagne
di
Phnom
Chkat
»
e
fa
segno
col
dito
all
'
orizzonte
.
«
Ora
è
solo
capo
dell
'
esercito
,
e
non
più
del
partito
.
»
Prum
Saklon
,
che
era
maestra
,
afferma
che
Pol
Pot
odiava
le
intellettuali
,
e
le
aveva
eliminate
da
ogni
ufficio
,
gettandole
nei
campi
,
dove
lavoravano
nelle
risaie17
ore
al
giorno
.
Dopo
il
parto
avevano
una
settimana
di
riposo
e
poi
di
nuovo
al
lavoro
nelle
dighe
e
nei
campi
.
Nessuna
doveva
dire
di
saper
leggere
e
scrivere
.
Pol
Pot
prediligeva
solo
le
guerrigliere
.
I
kanak
avevano
in
odio
in
primo
luogo
i
maestri
di
scuola
.
«
Ma
allora
,
le
truppe
vietnamite
»
chiedo
«
vi
hanno
liberato
?
»
.
«
Lo
credevamo
anche
noi
,
quando
sono
arrivati
.
Poi
ci
siamo
accorti
che
loro
uccidono
meno
con
le
armi
ma
uccidono
ancora
di
più
con
la
fame
.
Fanno
una
scatola
di
riso
per
20-30
persone
.
Oppure
mettono
un
bacile
di
riso
in
mezzo
a
una
folla
,
e
ci
massacriamo
tra
noi
per
strapparne
un
boccone
.
Vogliono
distruggere
l
'
esistenza
stessa
del
popolo
khmero
.
E
popolare
la
Cambogia
di
vietnamiti
»
.
Che
avverrà
di
quel
che
sopravvive
del
popolo
khmero
?
Tra
due
mesi
,
quando
sarà
finito
il
magro
raccolto
di
gennaio
,
quel
che
resta
di
uomini
nella
Cambogia
è
destinato
a
morire
di
fame
.
Qui
son
tutti
d
'
accordo
.
L
'
artiglieria
vietnamita
avanza
,
bombardando
le
ultime
postazioni
dei
khmeri
rossi
.
E
sembra
pronta
a
prendere
in
una
tenaglia
i
campi
dei
profughi
,
con
le
sue
nove
divisioni
,
accampate
a
tre
chilometri
dalla
frontiera
.
Le
superpotenze
-
USA
,
URSS
,
Cina
-
non
alzeranno
un
dito
per
salvare
i
500
mila
relitti
,
alloggiati
in
questi
campi
,
tutto
sommato
,
bocche
in
meno
da
sfamare
.
Al
mattino
del
6
febbraio
,
la
nostra
pacifica
«
marcia
perché
la
Cambogia
sopravviva
»
prende
la
strada
del
ponte
Aranya
Prateth
,
che
segna
la
frontiera
con
la
Cambogia
,
seguita
da
camion
con
200
tonnellate
di
riso
,
e
carichi
di
medicinali
.
Siamo
150
persone
,
in
fila
indiana
,
scrittori
,
parlamentari
,
sindaci
,
intellettuali
,
attori
,
venuti
dall
'
America
e
dall
'
Europa
.
Bernard
-
Henry
Lévy
inalbera
su
una
lunga
asta
una
bandiera
bianca
che
vuole
essere
più
un
segno
di
pace
che
di
resa
.
In
testa
al
corteo
avanzano
i
generosi
«
medici
senza
frontiere
»
,
gli
organizzatori
della
marcia
,
che
chiedono
di
entrare
per
soccorrere
gli
ammalati
,
i
morenti
in
Cambogia
.
(
Nella
Cambogia
occupata
si
dice
che
restino
solo
40
medici
)
.
«
Iniziativa
funesta
,
incitamento
alla
rivolta
»
ha
detto
la
radio
di
Hanoi
per
stigmatizzare
la
marcia
.
«
Provocatori
,
operazione
ignobile
»
ha
scritto
«
l
'
Humanité
»
.
Oltre
il
ponte
,
una
decina
di
piccoli
soldati
vietnamiti
in
uniforme
verde
ci
scrutano
con
i
cannocchiali
,
da
dietro
la
trincea
.
Tre
delegati
della
marcia
avanzano
fino
a
metà
del
ponte
:
un
medico
francese
,
il
presidente
americano
del
«
Comitato
internazionale
per
i
rifugiati
»
,
una
donna
cambogiana
che
ha
perduto
i
figli
e
il
marito
.
Il
messaggio
è
gridato
,
oltre
la
frontiera
,
con
un
megafono
,
e
pronunciato
in
tre
lingue
,
francese
,
inglese
e
cambogiano
:
«
Soldati
viet
che
state
dall
'
altra
parte
,
davanti
al
lamento
degli
agonizzanti
,
al
cinismo
dei
potenti
,
siamo
venuti
a
portarvi
solidarietà
e
aiuti
»
.
Dall
'
altra
parte
,
risponde
un
silenzio
massiccio
,
assoluto
.
Consegniamo
,
allibiti
e
impotenti
,
i
camion
con
gli
aiuti
alla
Croce
Rossa
internazionale
.
Anche
se
la
marcia
non
salverà
certo
i
khmeri
dalla
morte
,
anche
se
noi
sembriamo
degli
ingenui
umanitari
,
tuttavia
,
almeno
,
attraverso
questa
testimonianza
nessuno
potrà
dire
,
come
avvenne
ai
tempi
del
nazismo
:
«
Noi
non
ne
sapevamo
nulla
»
.
StampaQuotidiana ,
San
Salvador
.
Com
'
è
diversa
la
città
che
oggi
attraverso
,
dai
racconti
arrivati
nelle
nostre
case
.
I
morti
,
la
paura
...
Invece
questa
capitale
di
fiori
e
di
baracche
continua
a
mostrare
la
solita
pelle
tropicale
,
che
il
carnevale
ricopre
di
altri
colori
.
Stasera
,
la
strada
che
porta
al
mare
è
una
fila
di
macchine
che
si
sfiorano
con
la
pazienza
di
ogni
week
end
.
Le
scuole
riaprono
dopo
le
vacanze
d
'
inverno
e
grandi
manifesti
fanno
sapere
ai
genitori
quali
professori
certi
ginnasi
(
naturalmente
privati
)
sono
riusciti
ad
ingaggiare
.
«
Fidatevi
di
noi
!
»
Fidarsi
nella
scelta
dell
'
insegnante
di
latino
ha
l
'
aria
di
essere
l
'
unico
problema
del
Paese
.
Nel
mio
albergo
i
leones
(
sono
i
lions
)
fanno
festa
:
regalano
qualcosa
ad
un
ospedale
.
Sfogliando
i
giornali
,
sembra
che
tutte
le
ragazze
della
città
si
siano
messe
d
'
accordo
per
compiere
16
anni
durante
questo
fine
settimana
.
Nei
giardini
delle
belle
case
,
sotto
il
vulcano
,
si
ballerà
,
aspettando
il
mattino
.
La
gente
riempie
ogni
negozio
;
nei
ristoranti
non
c
'
è
posto
fino
a
notte
.
Si
discute
della
partita
che
il
Salvador
(
finalista
ai
Mondiali
)
gioca
contro
la
squadra
venuta
dal
Guatemala
.
Davvero
mi
trovo
nella
capitale
del
massacro
?
La
notizia
in
prima
pagina
è
scelta
con
gusto
diverso
dalle
nostre
di
questi
giorni
.
Racconta
di
un
contrabbandiere
fermato
alla
frontiera
,
con
una
merce
proibita
.
Nelle
sue
casse
c
'
erano
800
serpenti
.
Fuori
dall
'
aeroporto
gli
operai
stanno
montando
un
cartello
infinito
e
verde
:
«
Vieni
a
visitare
le
cascate
del
bosco
»
.
Per
muoversi
senza
problemi
ho
bisogno
di
una
lettera
che
spieghi
quale
curiosità
mi
spinge
a
cercare
la
gente
.
Deve
firmare
questo
permesso
il
colonnello
Gonzales
,
direttore
del
«
Comitato
de
Prensa
de
la
Fuerza
Militar
»
.
Così
entro
nella
cittadella
dello
stato
maggiore
.
Torrette
,
mitraglie
.
Il
pomeriggio
si
consuma
,
ma
Gonzales
non
arriva
.
Dal
meticcio
che
fa
la
guardia
voglio
sapere
:
come
mai
non
arriva
?
«
Forse
non
riesce
a
svegliarsi
...
»
Lo
dice
in
uno
sbadiglio
di
pace
.
Spunta
una
macchina
piena
di
musica
.
La
guida
una
bella
signora
dalle
trecce
raccolte
.
Ride
con
qualcuno
in
divisa
.
Fa
il
pieno
dalla
pompa
dell
'
esercito
e
subito
corre
felice
oltre
la
sbarra
delle
sentinelle
,
verso
il
traffico
che
non
dà
respiro
.
C
'
è
sempre
la
musica
nella
sua
macchina
.
Devo
dire
la
verità
:
non
mi
sembra
di
essere
chiuso
dentro
l
'
inferno
di
Fort
Apache
.
Ma
è
proprio
questa
la
città
dei
morti
?
Wallace
Nuting
,
generale
a
tre
stellette
,
che
da
Panama
comanda
le
forze
americane
dell
'
America
Latina
,
ieri
è
partito
da
qui
,
ripetendo
:
«
Non
ho
elementi
sicuri
,
ma
mi
pare
che
il
governo
riuscirà
a
piegare
la
guerriglia
.
La
situazione
,
per
ora
,
sembra
salda
nelle
sue
mani
.
Basta
vedere
come
si
vive
in
città
...
»
.
Sembrano
le
parole
giuste
per
la
serenità
che
questa
realtà
vuoi
far
trasparire
,
ma
è
un
gioco
di
specchi
,
di
piccoli
specchi
,
perché
le
realtà
sono
due
,
e
molti
segni
fanno
capire
come
siano
inquietanti
le
cose
,
nascoste
dietro
i
gesti
della
normalità
.
Già
all
'
aeroporto
i
poliziotti
sfilano
il
giubbone
militare
ad
un
fotografo
.
«
Perché
?
»
si
arrabbia
,
«
è
la
moda
...
»
Gli
rispondono
:
«
Fa
confusione
!
»
.
È
un
tipo
di
confusione
che
le
cronache
raccontano
:
al
chilometro
33
della
Panamericana
,
guerriglieri
con
casacca
verde
oliva
hanno
bloccato
il
traffico
.
Giù
la
gente
dalle
corriere
,
che
la
dinamite
brucia
in
un
minuto
.
Danno
economico
.
Disagio
al
potere
.
«
Giubbotti
verde
oliva
,
come
questo
...
»
Il
poliziotto
non
vuole
essere
preso
per
matto
.
I
giornali
insegnano
in
poche
righe
come
si
vive
dietro
il
carnevale
della
capitale
,
da
vendere
a
chi
passa
.
Una
fila
di
fotografie
ripropone
vecchi
dolori
.
«
Chi
ha
visto
questo
ragazzo
di
18
anni
,
catechista
dei
padri
Saveriani
,
scomparso
venti
giorni
fa
,
mentre
tornava
a
casa
?...»
«
Chi
ha
sentito
parlare
del
professor
Alvaro
Dubon
?...»
«
Manca
di
casa
il
signor
Ramon
García
...
»
Nelle
invocazioni
si
coglie
il
pudore
di
una
rassegnazione
strana
.
Gli
scomparsi
non
tornano
mai
...
Fra
un
giorno
,
fra
un
mese
,
in
un
cimitero
clandestino
,
un
corpo
stremato
dalla
tortura
potrà
forse
ricordare
il
ragazzo
che
la
madre
sta
cercando
.
Ed
è
questa
doppia
immagine
di
vita
e
di
paura
a
rendere
schizofrenica
,
ancora
prima
che
tremenda
,
la
dimensione
del
Salvador
.
L
'
albergo
dove
sono
arrivato
,
per
esempio
,
ricorda
tutti
gli
alberghi
di
una
realtà
violenta
:
Beirut
,
Amman
,
Saigon
.
Gli
ospiti
sono
soltanto
giornalisti
.
Un
commerciante
dall
'
ironia
esagerata
ha
venduto
magliette
traversate
da
una
scritta
:
«
Non
sparate
,
sono
giornalista
!
»
.
Nell
'
abitudine
,
il
dramma
degli
altri
diventa
un
gioco
per
chi
ne
è
testimone
.
Tutti
le
indossano
,
le
comprano
:
da
portare
a
casa
.
Per
non
sparire
,
si
ricoprono
le
automobili
di
scritte
che
avvertono
chi
è
nascosto
fra
le
piante
:
«
Aiutateci
nel
nostro
lavoro
...
»
.
Tutti
aiutano
.
Quando
si
prende
la
strada
della
guerriglia
,
i
posti
di
blocco
dell
'
esercito
si
aprono
con
la
lettera
del
colonnello
Gonzales
,
ma
anche
le
ombre
che
più
avanti
saltano
fuori
dietro
un
ponte
non
piantano
grane
.
Le
fotografie
,
le
interviste
.
Di
qua
e
di
là
ripetono
:
«
Vinceremo
»
.
La
guerriglia
sta
vincendo
la
battaglia
dei
nervi
.
Vuol
dimostrare
che
si
muove
come
vuole
.
Occupa
un
villaggio
.
Si
appropria
delle
carte
ufficiali
,
anche
economiche
.
Processa
i
funzionari
corrotti
.
Fucila
í
crudeli
.
Poi
,
se
ne
va
.
Quando
torna
l
'
esercito
,
la
liturgia
si
rovescia
.
Tocca
a
chi
è
stato
conciliante
con
i
ribelli
.
Ecco
i
massacri
.
Si
ammucchiano
i
figli
piccoli
ai
padri
.
Una
domanda
non
trova
risposta
:
perché
questo
andare
e
venire
,
se
tutti
sanno
che
chi
paga
con
la
vita
è
sempre
la
stessa
gente
?
Forse
l
'
orrore
della
crudeltà
del
nemico
viene
considerato
arma
vincente
.
C
'
è
chi
sicuramente
perde
.
Sempre
gli
stessi
.
Se
questa
è
la
guerra
-
spettacolo
che
si
racconta
nel
brontolio
di
un
'
indifferenza
internazionale
finalmente
finita
,
i
massacri
,
dunque
,
continuano
.
Muoiono
contadini
che
hanno
vissuto
nella
miseria
di
650
dollari
all
'
anno
,
loro
e
i
loro
figli
.
E
qui
i
figli
sono
tanti
.
Crescono
come
bestie
,
e
come
bestie
vengono
spulciati
.
Stasera
,
il
ministro
della
Sanità
è
apparso
in
TV
:
inaugura
l
'
operazione
disinfezione
dei
tugurios
,
che
sono
baracche
mescolate
all
'
immondizia
.
Mezza
città
.
Un
'
operazione
sfarzosa
,
ripresa
dalla
TV
.
Gli
elicotteri
bombardano
le
lamiere
dei
derelitti
con
una
pioggia
di
DDT
,
come
d
'
estate
,
quando
si
uccidono
le
zanzare
.
È
questo
il
Paese
che
si
sforza
di
vivere
,
continuando
a
morire
?
Per
i
russi
?
Per
gli
americani
?
I
campesinos
ridono
amaro
.
Non
sanno
nemmeno
perché
vengono
uccisi
:
nell
'
antica
storia
della
ferocia
politica
,
30
mila
morti
in
due
anni
hanno
spento
ogni
orrore
del
passato
.
La
voce
di
Duarte
,
presidente
civile
della
giunta
militare
,
torna
ogni
ora
alla
radio
.
«
Non
possiamo
negoziare
il
potere
con
nessun
terrorista
,
perché
il
potere
è
del
popolo
,
e
il
popolo
non
vuole
cederlo
a
gente
di
cui
non
si
fida
...
»
La
polemica
brucia
le
prossime
elezioni
,
annunciate
in
un
clima
da
repubblica
di
Salò
.
Per
le
elezioni
si
spara
.
Per
le
elezioni
crescono
i
massacri
.
Farle
o
non
farle
?
La
giunta
non
ha
dubbi
:
si
voterà
.
È
la
condizione
che
Reagan
pretende
rispettata
,
per
far
piovere
aiuti
.
Nei
caroselli
TV
lo
si
fa
capire
.
«
Vota
e
tutto
andrà
bene
»
dice
una
voce
.
L
'
immagine
mostra
pacchi
di
dollari
,
che
mani
affettuose
contano
,
per
la
gioia
di
chi
guarda
.
Ecco
la
legge
elettorale
,
che
per
la
prima
volta
impegna
l
'
ipotetica
democrazia
del
Paese
.
Regolamenti
strani
per
le
abitudini
del
nostro
mondo
.
Nessun
registro
con
i
nomi
di
chi
va
a
votare
.
Ognuno
deve
presentarsi
con
la
carta
d
'
identità
,
lascia
l
'
impronta
dell
'
indice
su
un
foglio
,
ed
entra
in
cabina
.
Tutto
qui
.
Non
è
nemmeno
obbligatorio
votare
nella
città
dove
si
risiede
.
Basta
il
posto
più
comodo
;
quel
certo
giorno
...
«
Così
c
'
è
chi
vota
non
so
quante
volte
!
Facile
cambiare
seggio
...
»
protestano
gli
oppositori
,
che
invitano
alla
diserzione
.
«
L
'
inchiostro
è
indelebile
.
Impossibile
fare
trucchi
.
»
Lo
slogan
«
il
dito
non
si
smacchia
»
è
la
sola
garanzia
concessa
da
questa
macchina
elettorale
.
Una
parte
degli
oppositori
(
clandestini
e
armati
)
avrebbe
voluto
entrare
nella
battaglia
delle
preferenze
.
Kean
Bleakeley
,
consigliere
americano
,
li
aveva
invitati
ad
inventare
qualcosa
.
«
Usate
gli
audiovisivi
.
Registrate
e
mandateli
per
posta
.
»
Invece
hanno
deciso
di
astenersi
.
La
regola
è
boicottare
,
eppure
,
non
è
sempre
andata
così
.
Una
voce
qui
racconta
la
storia
di
una
mediazione
italiana
.
La
voce
è
bene
informata
.
Ecco
come
sarebbero
andate
le
cose
.
Lo
scorso
autunno
,
mediatori
italiani
,
vicini
alla
DC
,
sarebbero
arrivati
in
Salvador
con
una
proposta
che
sembrava
l
'
uovo
di
Colombo
.
Per
accordi
tra
Paesi
industrializzati
,
l
'
Italia
dovrebbe
dedicare
una
quota
del
prodotto
nazionale
lordo
al
Terzo
Mondo
.
Il
Salvador
lo
è
:
per
disperazione
e
per
fame
.
Washington
fa
oggi
sospirare
un
appannaggio
di
50
milioni
di
dollari
,
gli
italiani
pare
ne
abbiano
offerti
addirittura
500
.
Cinquecento
milioni
di
dollari
disponibili
nel
momento
in
cui
la
giunta
e
la
guerriglia
si
accordino
per
elezioni
oneste
,
con
tutti
,
contro
tutti
,
ma
solo
a
parole
.
Anche
i
socialisti
di
casa
nostra
sembravano
contenti
.
A
questo
punto
il
ministro
degli
Esteri
Chavez
Mina
vola
in
Messico
per
discutere
con
gli
strateghi
della
guerriglia
,
stabilendo
un
contatto
che
í
militari
intransigenti
ritengono
ancora
sacrilego
.
I
massacri
finiscono
con
i
soldi
italiani
?
Avrebbero
dovuto
finire
con
elezioni
sensate
,
ma
íl
Fronte
di
Liberazione
pone
una
condizione
per
la
futura
società
:
la
rifondazione
dell
'
esercito
.
Rifondare
significa
cambiare
colonnelli
spietati
ed
intransigenti
,
i
duri
e
i
faccendieri
;
e
i
colonnelli
,
fiutando
il
pericolo
,
bruciano
l
'
ipotesi
.
Si
aggrappano
al
dogma
:
«
Con
la
guerriglia
non
si
tratta
»
.
Così
,
non
succede
niente
.
Il
Salvador
continua
a
battere
cassa
per
le
armi
,
mentre
il
contributo
italiano
resta
dov
'
era
:
poteva
servire
,
in
una
dimensione
straordinaria
,
a
rimettere
in
moto
il
lavoro
e
le
attenzioni
sociali
,
non
a
far
crescere
il
massacro
.
Sono
due
anni
che
il
massacro
è
cominciato
.
Nel
'79
,
per
protestare
contro
l
'
arresto
dei
dirigenti
del
Blocco
Popolare
,
cattolici
e
marxisti
(
assieme
)
occupano
la
cattedrale
.
Polizia
e
guardia
nazionale
,
sotto
í
riflettori
TV
,
fanno
massacro
.
Sparano
a
zero
sulla
grande
folla
.
Una
follia
voluta
dal
colonnello
Romero
,
superstite
dell
'
amministrazione
Nixon
.
Una
follia
che
scatena
altre
follie
:
rapimenti
,
vendette
.
C
'
è
un
Romero
diverso
,
in
Salvador
:
ormai
tutti
lo
sanno
.
Un
vescovo
eletto
primate
,
perché
topo
indifferente
di
biblioteca
.
Ma
un
giorno
,
ad
Aguilares
,
che
è
una
delle
capitali
della
fame
,
un
gesuita
,
compagno
di
scuola
delvescovo
,
viene
ucciso
perché
ha
difeso
i
tagliatori
di
canna
dall
'
ingiustizia
del
latifondo
.
Romero
vuole
capire
:
esce
dai
libri
e
si
mette
a
leggere
la
realtà
.
Difende
i
deboli
,
denuncia
i
delitti
.
«
Non
sono
un
rivoluzionario
,
sono
un
conservatore
»
mi
disse
molti
mesi
prima
di
morire
:
«
Sto
adoperando
l
'
intelligenza
per
salvare
il
mondo
che
amo
contro
la
follia
.
»
L
'
hanno
ucciso
in
chiesa
:
in
questi
giorni
il
delitto
è
stato
archiviato
.
«
Casi
non
risolti
.
»
Mi
fa
impressione
vedere
nel
mondo
dei
poveri
la
sua
immagine
confusa
con
quella
dei
Guevara
.
Carter
è
stato
,
qui
,
un
buon
presidente
.
Ha
imposto
la
riforma
agraria
(
massimo
di
proprietà
500
ettari
;
finiti
gli
imperi
sopra
i
100
mila
)
,
ma
i
latifondisti
emarginati
sono
scappati
a
Miami
,
per
sostenere
la
campagna
elettorale
di
Reagan
.
Da
lì
hanno
ordinato
ai
militari
,
ancora
oggi
nella
giunta
,
di
annullare
la
riforma
.
La
riforma
prometteva
la
terra
ai
contadini
,
e
uno
stipendio
dignitoso
ai
braccianti
.
Ma
i
militari
che
di
giorno
giuravano
queste
cose
,
la
notte
sgozzavano
i
contadini
colpevoli
di
lavorare
per
guadagnare
finalmente
qualcosa
,
quindi
non
far
saltare
la
riforma
.
Ho
visto
attorno
a
Chalatenango
famiglie
dormire
la
notte
nei
campi
.
A
casa
non
volevano
tornare
.
Avevano
disobbedito
.
Avevano
accettato
di
lavorare
.
Sapevano
che
durante
la
notte
,
con
scarpe
militari
,
scendendo
da
camion
dell
'
esercito
,
ufficiali
e
soldati
dell
'
esercito
andavano
a
punirli
.
Al
confine
con
l
'
Honduras
ho
raccolto
la
testimonianza
su
persone
fatte
fuori
nella
gola
di
un
fiume
.
Chi
le
inseguiva
era
guidato
da
elicotteri
.
Nella
periferia
delle
città
,
all
'
alba
passano
i
camion
degli
spazzini
,
ma
non
sono
spazzini
coloro
che
ordinano
ai
curiosi
di
chiudere
le
finestre
.
Sui
camion
si
ammucchiano
i
corpi
dei
morti
di
notte
.
Noi
,
di
fuori
,
possiamo
immaginare
tante
teorie
:
massacro
rosso
,
massacro
bianco
.
Ma
questo
è
un
Paese
piccolo
e
la
gente
si
conosce
.
I
nomi
degli
assassini
fanno
trasparire
quello
dei
mandanti
;
ecco
perché
Romero
è
stato
ucciso
;
ecco
perché
la
maggior
parte
dei
deputati
democristiani
che
difendevano
i
diritti
dell
'
uomo
hanno
voltato
le
spalle
alla
giunta
e
vivono
profughi
in
Messico
.
Il
simbolo
di
questo
orrore
,
un
po
'
ingiustamente
,
è
diventato
Duarte
.
Un
ingegnere
che
i
suoi
attuali
amici
hanno
reso
profugo
per
anni
.
Hanno
truccato
le
elezioni
del
'72
per
impedirgli
di
raggiungere
il
potere
.
Il
potere
è
legittimo
.
Due
anni
fa
si
è
illuso
di
poter
dominare
i
militari
.
Oggi
ha
l
'
aria
di
un
piccolo
Pétain
che
sperava
di
salvare
la
grandeur
della
Francia
,
accettando
dai
tedeschi
le
terme
di
Vichy
.
Duarte
spera
ancora
,
prigioniero
di
un
sogno
,
di
dominare
un
mondo
di
soldati
che
uccidono
e
sparano
nel
suo
nome
.
Per
chi
torna
in
Salvador
tante
volte
resta
la
malinconia
degli
amici
spariti
e
mai
tornati
,
degli
amici
perseguitati
,
degli
amici
che
hanno
paura
a
farsi
vedere
assieme
a
un
giornalista
.
«
Tu
parti
,
noi
restiamo
:
abbi
pazienza
...
»
E
nella
tristezza
profonda
di
questa
umanità
umiliata
,
vien
da
ridere
ripassando
le
nostre
teorie
.
Le
armi
da
Cuba
,
le
armi
dall
'
America
.
La
Polonia
che
bilancia
il
Salvador
...
Ma
a
questa
gente
non
pensa
nessuno
?