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> anno_i:[1970 TO 2000}
Coen Leonardo ( Le BR uccidono Walter Tobagi , 1980 )
StampaQuotidiana ,
Milano . Due colpi alla spalla sinistra . Uno alla gamba destra , un quarto che gli sfiora la spalla destra e si conficca sotto una finestra . Walter Tobagi , 33 anni , presidente dell ' Associazione lombarda dei giornalisti , inviato di punta del « Corriere della Sera » , si accascia sul marciapiede , l ' ombrello sbatte per terra al suo fianco , la Parker schizza fuori dal taschino , una macchia rossa si allarga sulla giacca nera . Forse è già incosciente mentre si piega , faccia in avanti , quando lo finiscono con un quinto colpo : sotto l ' orecchio sinistro , il colpo di grazia . Un ' esecuzione spietata , velocissima . Chi ha sparato con una calibro 9 corta è un giovane , 17-18 anni , secondo i testimoni , con un baschetto blu alla Nicholson calato fin sugli occhi . Sono le 11 e un quarto , minuto più minuto meno , in via Andrea Salaino , una piccola traversa della via Solari che porta alla via Valparaiso . Negozi , una fabbrica , un ristorante , una scuola , palazzi signorili e vecchie case popolari . All ' altezza della Trattoria dai gemelli , davanti al portone numero 12 , un commando della Brigata 28 marzo ha eliminato con quei cinque colpi secchi di pistola « il terrorista di Stato Walter Tobagi » . Questi i termini con i quali viene rivendicato l ' attentato mortale al centralino della nostra redazione milanese un ' ora e mezzo dopo , alle 12 e 54 : « Continua la campagna contro la stampa di regime . Seguirà al più presto un comunicato » . Quattro sono i componenti del commando assassino . Il giornalista sapeva da tempo di essere nel mirino dei terroristi : il suo nome era comparso in un elenco trovato dai carabinieri nella notte fra il 10 e 1'11 gennaio del '79 in una valigetta «24 ore » sotto una FIAT 500 parcheggiata all ' angolo fra piazza Durante e viale Lombardia . Nella valigetta c ' erano documenti dei « Reparti comunisti d ' attacco » e di « Prima linea » , fra cui quell ' elenco di 46 nomi di magistrati , di avvocati e di tre giornalisti . Uno era proprio lui , Walter Tobagi . Venne convocato dal procuratore capo Mauro Gresti , gli fu suggerito di cambiar città , abitudini , di farsi scortare . Tobagi prese atto , con rassegnazione , della sua situazione , ma rifiutò la scorta e continuò la sua attività di giornalista e di sindacalista . Certo , aveva coscienza del rischio e non lo nascondeva , anzi lo confidava agli amici , ma con pudore . Anche la DIGOS , tempo fa , gli aveva fatto capire che era il caso di « cambiar aria » , ma nemmeno quest ' ultimo avvertimento lo convinse a mutar parere . Un mese fa la SIP gli modificò il numero di telefono . In realtà l ' unico accorgimento che adottò fu quello di variare i propri orari , uscendo di casa alle ore più impensate . Ma non gli è servito a nulla . Ieri mattina la porta del suo appartamento al pianterreno di via Solari 2 , accanto quasi alla portineria , si è aperta alle 11 . Uno sguardo alla posta , un saluto al custode . La moglie Stella Olivieri e la piccola Benedetta di tre anni ( Luca , l ' altro figlio di 7 anni , è a scuola ) lo salutano , sono appena rientrate dalla spesa . Tobagi deve andare al giornale , nel pomeriggio ha in programma un viaggio a Venezia , c ' è un convegno sulla « qualità della vita » , lo ha seguito martedì e mercoledì . Ma la sera di mercoledì era ritornato a Milano per un dibattito al Circolo della Stampa sui segreti professionali e istruttorie , il caso Isman e i verbali di Peci . È lui che riassume , all ' una di notte , i vari interventi . Forse , uscendo di casa , Tobagi pensa al dibattito della sera prima . Fuori pioviggina come d ' autunno e siamo quasi a giugno , una primavera grigia e fredda . La sua Mini Morris è posteggiata oltre l ' isolato , dentro il garage « del Parco » di via Valparaiso 7/a . Duecento metri a piedi , una passeggiata che era rituale per lui , costretto dal lavoro a ore e ore di scrivania , lo diceva spesso agli amici , « col nostro lavoro non si fa mai moto » . Walter , un po ' corpulento lo era , un viso pacioso , l ' aria sempre seria anche quando scherzava , quel suo serrare le labbra e farle a fessura , uno che da giovane , fin dai tempi del liceo Parini sezione « A » , era ritenuto il più maturo e il più autorevole , nonostante in pieno Sessantotto la sua militanza cattolica . Tobagi arriva all ' incrocio fra la via Salaino e la via Solari , incerto se rimanere sul marciapiede dei numeri pari o dirigersi su quello opposto . Attraversa la strada , si avvia verso la via Valparaiso . È in questo momento che scatta il meccanismo mortale dell ' agguato . Probabilmente è dal portone di casa che il giornalista viene seguito da un giovane , pare . Ma a quell ' ora e in quella zona la gente per strada è tanta , e non si può essere sospettosi fino alla paranoia . Tobagi non si accorge d ' essere pedinato . E nemmeno si accorge di una Peugeot 204 grigiometallizzata con altre tre persone a bordo che lo supera a metà della via Salaino . O forse no , l ' auto la vede , osserva che rallenta fino a fermarsi poco più avanti , di fronte al numero 14 . Ma non realizza l ' idea del pericolo . L ' auto scarica due persone . Una si dirige verso il marciapiede dei numeri dispari , a sinistra , lo stesso del giornalista . L ' altra va sul marciapiede di destra . È un giovane , anzi un giovanissimo , quello che cammina dalla stessa parte di Tobagi , che si acquatta dietro una finta siepe , di quelle un poco squallide che delimitano l ' area « estiva » dei ristoranti . Tobagi cammina , l ' ombrello sulla sinistra usato come bastone da passeggio , sovrappensiero . Passa davanti alle prime « siepi » della Trattoria dai gemelli , con la coda dell ' occhio si accorge improvvisamente di un ' ombra . Non fa in tempo a fuggire , l ' ombra si materializza , un ragazzo con la pistola e un sacchetto di plastica , come nei film delle spie , il sacchetto di plastica per raccogliere i bossoli e rendere più difficili le ricerche balistiche . La pistola spara cinque volte , Tobagi muore . Una pozzanghera raccoglie il suo sangue . Dalle finestre si urla , il proprietario della trattoria corre fuori , in tempo per vedere Tobagi ancora sussultare . Il killer intanto è balzato sulla Peugeot , così come il compagno che sorvegliava il marciapiede di destra e il « pedinatore » . L ' auto fa stridere le gomme , la fuga dei terroristi sembra finire contro una 127 arancione : all ' angolo con la via Valparaiso , le due auto si urtano , il guidatore della 127 impreca , apre la porta , i quattro della Peugeot tirano diritti verso la piazza Bazzi , verso il Lorenteggio , verso chissà dove . L ' auto della fuga alle sei del pomeriggio non è ancora stata ritrovata , la polizia ha cinque numeri della targa , si sa che è rubata , ma niente più . Di corsa dalla via Solari arriva Stella Olivieri , che si trascina la piccola Benedetta : da casa ha sentito sparare , ha avuto come un presentimento , poi le sirene . Arriva urlando di dolore , Walter è a faccia in giù , sul marciapiede bagnato , immobile , una striscia di sangue che cola . Arriva dalla vicina parrocchia di Santa Maria del Rosario un sacerdote , conosce da anni i Tobagi , è lui che un mese fa ha dato la prima comunione a Luca . Arriva l ' anziano papà di Walter , si china sul cadavere , piccolo , l ' impermeabile grigio ancora più grigio , un ' occhiata perduta al corpo immobile : « Figlio , figlio mio , che ti hanno fatto , perché ? » urla . La moglie vuole anche lei vedere , ma glielo impediscono . Comincia il rituale pellegrinaggio di autorità : ecco il generale Ferrara dei carabinieri ; ecco il sindaco Tognoli , socialista come socialista era Tobagi ; ecco gli occhi rossi di pianto di Bruno Pellegrino , segretario del club Turati , amico di Walter ; ecco Ugo Finetti , segretario provinciale del PSI . Arriva il procuratore capo Gresti . « Allucinante , ieri sera ero anch ' io al dibattito sul segreto istruttorio » dice . A quel dibattito , c ' erano un centinaio di giornalisti milanesi , eccoli tutti qui davanti alla Trattoria dai gemelli , chi con la faccia stravolta , chi incapace di parlare , per molti più che un collega Tobagi era anche un amico . Arrivano il direttore del « Corriere » , Franco Di Bella e l ' editore Rizzoli : assieme agli amici più cari di Tobagi si recano a casa , dalla moglie . L ' auto nera dei becchini arriva alle 12 e 45 , Gaspare Barbiellini Amidei , il vicedirettore del « Corriere » , scoppia in un pianto dirotto , nel pomeriggio arriverà all ' obitorio anche il ministro Rognoni . La mobilitazione democratica della città comincia a funzionare , purtroppo , come tante altre volte , sette quest ' anno , per i morti e altrettante per i feriti . Più in là , nella casa di Walter , il mesto pellegrinaggio , il padre e la madre disperati , « mio figlio così buono che non faceva male a una mosca » , lo studio così vuoto eppure pieno di gente impietrita .
StampaQuotidiana ,
Napoli , 28 . La prima traccia , un pezzo di fusoliera che affiorava sul pelo dell ' acqua , è stata avvistata da un elicottero alle sette di mattina , circa 60 chilometri a nord dell ' isola di Ustica . « Posizione 39°49' latitudine nord , 12°55' longitudine est » , aveva segnalato il pilota . Da quel momento , dopo una notte di ricerche affannose e inutili , il mare ha cominciato a restituire i brandelli del DC9 IH 870 dell ' Itavia partito l ' altra sera alle ore 20 da Bologna con 81 persone a bordo e mai arrivato a Palermo : un breve troncone di coda , un altro pezzo di fusoliera , qualche solitario salvagente , i primi cadaveri sbattuti avanti e indietro dalle onde forza 4 . Le operazioni di ricerca sono andate avanti per tutta la giornata . Continueranno anche domenica . Ma le speranze di trovare qualcuno in vita sono praticamente nulle . Il compito delle unità navali ed aeree è realisticamente solo quello di recuperare il recuperabile , che è poca cosa . Tutto il resto giace su un fondale irraggiungibile , percorso da fortissime correnti , a una profondità che varia tra i 3000 e i 3600 metri . A sera le salme avvistate e issate a bordo delle motolance erano 35 . All ' appello manca più della metà dei passeggeri . Soprattutto manca la scatola nera , l ' unica che allo stato attuale potrebbe stabilire con la sua memoria elettronica le cause del disastro . Che cosa sia accaduto venerdì sera tra il cielo stellato illuminato dalla luna piena e il mare agitato del basso Tirreno , nessuno è ancora in grado di dirlo . Il DC 9 dell ' Itavia era partito da Bologna verso le 20 , con due ore di ritardo sull ' orario previsto . Settantasette i passeggeri , quattro gli uomini dell ' equipaggio . Ai comandi Domenico Gatti , 44 anni , 7255 ore di volo alle spalle . L ' ultimo contatto con la torre di controllo di Ciampino c ' è stato alle 20.55 . Il comandante , a causa dei venti contrari , aveva chiesto di poter scendere di quota , dagli undici mila metri di crociera ai settemila . Dalla torre di controllo era arrivato 1'OK e l ' aereo si era abbassato . Da quel momento , il silenzio assoluto . L ' IH 870 era poco più in là dell ' isola di Ponza . Nessuno aveva comunicato avarie o difficoltà tecniche . Nessuno aveva lanciato 1'SOS . A Palermo si è aspettato . Invano . Il DC 9 partito da Bologna non ha dato segni di vita . Quando è scattato l ' allarme , le speranze erano ormai ridotte all ' osso . E ogni minuto che passava portava la certezza della tragedia . L ' autonomia del velivolo , hanno fatto sapere i tecnici , arrivava fino alle 22.34 . A quell ' ora c ' è stata , anche nei meno pessimisti , la certezza della disgrazia . Ma si sperava ancora . Magari che il pilota fosse riuscito ad ammarare : le 81 persone che erano a bordo potevano essersi salvate con i salvagenti . Soltanto un sottile filo a cui appendersi , ma un filo che è durato fino all ' alba quando , dall ' alto , è arrivata la prima prova tangibile che la tragedia si era consumata fino in fondo . A Napoli l ' allarme alla Capitaneria di porto è arrivato poco dopo le dieci di sera . Nel tratto di mare compreso tra Ponza e Ustica , un ' area d ' acqua grande come una regione , erano arrivate le navi della Marina militare coordinate dall ' incrociatore Doria , quelle della Capitaneria di porto , i mercantili e i traghetti che a quell ' ora si trovavano in viaggio tra Palermo e Napoli . Dagli aeroporti della zona erano partiti gli elicotteri , gli Atlantic e i caccia attrezzati per compiti anti - sommergibili , capaci di individuare una massa metallica a grandi profondità . Ore e ore di ricerche . Ma il DC 9 non si trovava . Verso le cinque di mattina è arrivata la prima segnalazione . Dalla nave traghetto Carducci era stata avvistata una macchia di carburante . La chiazza , però , non proveniva dal velivolo . Alle sette , finalmente il primo segno . Da un elicottero è stato comunicato al Doria , e da questo alla Capitaneria di porto , l ' avvistamento di un pezzo di fusoliera . La speranza , a quel punto , era di aver delimitato , dopo ore di ricerca alla cieca , una zona su cui concentrare navi ed aerei . Ma è stata una nuova illusione . Un ' altra parte del velivolo è stata infatti identificata poco dopo da una motonave a venticinque miglia di distanza dalla prima . Un ' altra , ancora più distante , è stata incrociata dal Carducci che si stava allontanando in direzione della Sicilia . È la conferma indiretta che il DC 9 è esploso in volo , spandendo a raggiera dall ' alto , per miglia e miglia lamiere e cadaveri . Sabotaggio ? Incidente tecnico ? Errore umano ? Sono le domande a cui dovranno rispondere le due commissioni di inchiesta nominate rispettivamente dall ' Itavia e dai ministeri della Marina e dei Trasporti . Le uniche tracce sono , al momento , le parti del velivolo recuperate dai mezzi di soccorso e la registrazione dell ' ultimo rilevamento radar effettuato dall ' aeroporto di Capodichino , pochi minuti dopo il contatto radio tra il comandante Gatti e la torre di controllo di Ciampino . Le ricerche , come si è detto , continueranno anche nella giornata di domenica . Le salme recuperate , 42 , trasbordate sul Doria , sono già partite in elicottero per Palermo . Anche il centro di coordinamento delle operazioni , sinora guidate da Napoli , dovrebbe spostarsi nelle prossime ore nella città siciliana . La lotta per strappare al mare almeno i corpi da restituire ai parenti in attesa , è , ora , anche contro il tempo . In serata una motovedetta si è imbattuta in quello che molti temevano : un branco di squali .
StampaQuotidiana ,
Bologna , 2 . È la guerra . Un pezzo di guerra dentro una città ordinata , civile e tranquilla . Un pezzo di guerra che si è abbattuto su questa vecchia stazione attraverso la quale tutti siamo passati , decine di volte , nella nostra vita . E rivederla oggi così sconvolta , invasa dai vigili del fuoco , da infermieri , dai militari , tutti con le mascherine sulla bocca e gli occhi allucinati , faceva male al cuore . « È come in guerra » diceva un poliziotto giovane . E lui che la guerra finora l ' aveva vista solo al cinema , ne viveva imprevedibilmente un atto , e quale atto ! , in questo primo sabato d ' agosto riservato tutt ' al più a qualche incidente stradale dovuto al Grande Esodo . « Trent ' anni di stazione ho fatto » mi sussurra un ferroviere con gli occhiali , alto , anziano , offrendomi una sigaretta con la mano che trema « ma non ho mai visto una cosa simile . Nemmeno in guerra . » Torna sulla bocca di tutti la parola che evoca la strage inutile , incomprensibile . E come in guerra a chi tocca tocca . Tra le vittime ci sono sempre , come nei bollettini dei bombardamenti , tante donne e bambini , perché sono loro i più goffi , impacciati , lenti nel cercare e trovare una via di fuga . Ma poi che via di fuga potevano immaginar di cercare , questi viaggiatori , che nei sottopassaggi e sulla banchina aspettavano un treno che doveva condurli al sole , alle vacanze al mare ? Avevano zaini , pacchi , borse di plastica , valigie zeppe di sandali , costumi da bagno , magliette e jeans , riempite ieri sera in allegria . Ora queste loro povere cose colorate si ammucchiano contro le pareti nell ' atrio della stazione , e questi bagagli sventrati serviranno forse soltanto a facilitare un riconoscimento . E ne viene una pena , un ' amarezza , un dolore acuto , come se ognuno di quegli oggetti ci appartenesse , come se ognuna di quelle vittime sconosciute facesse un po ' parte anche della nostra famiglia . Tutti gli orologi della stazione sono fermi alle 10.25 . È fermo l ' orologio dell ' atrio sopra il tabellone degli arrivi e partenze , oggi inutile , sopra l ' edicola dei giornali chiusa . È fermo l ' orologio esterno sul frontone della stazione dove si fermavano i taxi per scaricare i viaggiatori in partenza . Il piazzale è tenuto sgombro dalla polizia e dall ' esercito . C ' è molta gente dietro le transenne . Ma non c ' è un grido : né un ' invettiva , né una protesta . E ciò che stupisce , e dà una sensazione di irrealtà , è proprio questo silenzio appena rotto dall ' ordine di un medico che chiama una barella per l ' ultimo cadavere estratto dalle macerie . E in silenzio le infermiere corrono chiuse nel loro camice bianco , la mascherina allacciata sul volto , le mani nei guanti gialli di gomma a raccogliere un altro corpo massacrato . Ci gettano sopra rapidamente un lenzuolo , con gesti accorti . Ed è tutto . Qualcuno segna un numero . L ' identificazione avverrà , se sarà possibile , più tardi . Tutt ' intorno , davanti alla stazione , ci sono le ambulanze , è la Croce Viola di Bologna , la Croce Rossa di Modena , ci sono i furgoni bianchi dell ' Associazione Maria Buturini di Barberino di Mugello , del Centro di rianimazione di Parma . Decine di mezzi di soccorso , da tutta la regione e dalle province vicine , si sono concentrati qui , in questo pezzo di guerra , in questo spezzone di trincea , a curare la ferita che si è aperta come una voragine a fianco del binario numero 1 , dove transitano i rapidi Roma - Milano e Milano - Roma . Un ' ala intera della stazione , quella che dall ' ingresso porta a sinistra ai binari 3 , 4 e 5 attraverso i relativi sottopassaggi , è crollata sotto la violenta , inspiegabile esplosione . I pompieri sui loro ponteggi verniciati di rosso si muovono rapidi , sgombrando travi e macerie . Di tanto in tanto , un nuovo crollo solleva polvere e calcinacci . Fa caldo , ormai c ' è un sole a picco . Appoggiate alle biciclette , ragazze in vestiti leggeri , giovani in canottiera , uomini anziani , osservano senza parlare il trasporto dei cadaveri sulle barelle . Di una donna si vedono solo i piedi nelle scarpe di gomma e le caviglie gonfie . « Doveva essere vecchia » mormora qualcuno al mio fianco . E lo dice con tenerezza . I cadaveri vengono caricati su un autobus che ha ancora la sua brava targa in vista . È il numero 37 . Ai finestrini sono stati stesi teli bianchi . Un domenicano sta fermo davanti al predellino e , mano a mano che arrivano , dà l ' assoluzione « sotto condizione » a quelle povere salme . Il tempo passa rapido ma interminabile . Sulla città è scesa un ' afa pesante . Però la gente non si allontana dal piazzale della stazione . Anzi , altra gente arriva e si ferma senza parlare . E , sotto i loro occhi , continua a svolgersi il rito delle barelle chiamate di corsa , caricate di un corpo avvolto in un lenzuolo , depositate nell ' autobus numero 37 . « Forse adesso arriva Pertini » dice qualcuno . Un altro commenta : « La guerra civile è la peggiore di tutte le guerre » . Il cielo è quasi grigio . La città è come ferma , attonita , silenziosa . Per arrivare alla stazione ho attraversato lunghe strade vuote . Dai muri , un manifesto annuncia per domani uno show di Renato Zero . Bar e negozi chiusi . Forse soltanto perché è sabato pomeriggio , ma forse anche perché la città è già naturalmente in lutto . Comunque , appare così a chi arriva . Mentre le ore passano , una disperata stanchezza sembra scendere sulle ragazze vestite di bianco , i pompieri , i poliziotti , i soldati , i ferrovieri che hanno occupato da stamattina la stazione . Il piccolo domenicano che assolve si asciuga il sudore della fronte e non vuol dire il suo nome . Ma c ' è su queste facce stanche anche una straordinaria compostezza , il rifiuto ad abbandonarsi a gesti di nervosismo e di isteria . La stessa compostezza si legge sui volti della gente che continua ad ammassarsi contro le transenne senza premere , senza protestare , senza gridare . Questa compostezza , quest ' ordine , questa severità , questa stanchezza controllata , sembrano il connotato essenziale della città . È come se tutti camminassero un po ' in punta di piedi , come se tutti parlassero a bassa voce . Non solo e non tanto perché ci sono questi morti da estrarre e seppellire , ma come per voler riflettere su se stessi , sulla propria storia , sul proprio particolare di essere . E questi morti forniscono all ' esame di coscienza un ulteriore elemento di riflessione . « Dio , quante cose son successe in questi anni » confessa , quasi a se stessa , una donna anziana . Nessuno crede all ' incidente . La tragedia viene vissuta fino in fondo come una tragedia politica , come un ulteriore prezzo che la città paga a un ' aggressione di cui non sono chiari né l ' origine e né il fine . E questa oscurità genera nuova sofferenza . « Una volta » dice uno « sapevamo chi era il nemico » . Una volta . Quando c ' era la guerra vera . Si combatteva e si moriva anche allora , ma era un ' altra cosa , faccia a faccia , ognuno lealmente sotto la sua bandiera . Ora la città ha l ' impressione di essere obiettivo di un nemico invisibile e imprendibile , come in un ' allucinazione . E per difendersi , la gente non sa che fare se non stringersi l ' uno con l ' altro , come dietro quelle transenne , aspettando che arrivi Pertini , in silenzio e in dignità . Così è Bologna in queste ore . Da un muro , un manifesto che ricorda la strage dell ' Italicus sembra l ' unico grido di protesta . E se anche la tragedia di oggi avesse quel segno ? Ma che segno aveva esattamente la tragedia dell ' Italicus ?
Polonia, hanno vinto gli operai ( Benetazzo Piero , 1980 )
StampaQuotidiana ,
Danzica , 30 . Quando Walesa e Jagielski firmano il protocollo dell ' accordo la forza della solennità assume inevitabilmente i tratti del freddo formalismo : i volti sono tesi e commossi , ma l ' applauso di tutti esprime grande emozione . Così - come si conviene ad un patto tra due potenze eguali e sovrane - è nato il primo sindacato libero di un paese socialista : e per la prima volta un partito comunista al potere ha dovuto rinegoziare il suo accordo con una classe operaia di cui l ' ortodossia ufficiale gli dava una delega assiomatica fino al dogma . Sono le 11 e 20 di una giornata calda e nuvolosa e ai cantieri Lenin tensione e nervosismo si esprimono in una insolita riservatezza e nel silenzioso affollamento di familiari , amici e simpatizzanti davanti all ' emblematico cancello numero 2 . Poche ore prima era giunta la notizia dell ' accordo siglato a Stettino : libere e segrete elezioni nei sindacati ufficiali il cui svolgimento sarà controllato dal Comitato unitario . La richiesta di un sindacato autonomo - su cui Danzica non mollava - era stata dunque aggirata , mentre in tutta la zona facevano la loro ostentata ricomparsa polizia ed esercito . Così quando Jagielski è comparso alle 11 pochi lo aspettavano nella grande sala per le conferenze dei cantieri Lenin . Aveva già mancato tre appuntamenti senza fornire giustificazioni . E intanto , da Varsavia giungevano insistenti voci di un improvviso e decisivo irrigidimento dell ' ufficio politico . Il violento fondo di « Trybuna Ludu » - rispolverava la vecchia formula delle forze antisocialiste - e l ' apparire di esercito e polizia indicavano la scelta di una prova di forza annunciata con discrezione e ufficialità a giornalisti e funzionari dei partiti « amici » ( fornendo persino la data di lunedì ) . Che cosa sia poi successo in queste riunioni convulse da ritmo continuo dell ' ufficio politico è presto per poterlo dire . Ma quando ieri sera alle 8 Stephan Olsowskj non è comparso alla televisione si cominciava a capire che l ' accordo poteva ancora essere saltato : una decisione così drammatica vuole infatti un rituale di formale unità a cui evidentemente Olsowskj - diventato il portabandiera di un rinnovamento profondo del partito - non ha voluto sottostare . Al suo posto è comparso Barcikoski - l ' uomo che ha trattato a Stettino - in un discorso in cui le minacce hanno prevalso sulle aperture : lo stato d ' emergenza era dunque già scattato quando Jagielski ha fatto il suo inaspettato ingresso nella sala a vetri della trattativa . Pallido e teso era seguito da una delegazione insolitamente folta - una decina di persone - a sottolineare l ' imminenza di una decisione solenne . Quando ha cominciato a parlare molti dei suoi interlocutori - e fra essi il presidente della commissione di esperti Mazowieczi - non hanno nemmeno pensato a sedersi . Ma la forte tensione accumulata nelle ultime ore si è sciolta alle prime parole : Jagielski rendeva omaggio al senso di responsabilità degli scioperanti , ringraziava gli esperti « per l ' enorme contributo » , parlava di « piattaforma valida » in un crescendo di concessioni e riconoscimenti che anticipavano lo sblocco della situazione : a nome del partito Jagielski dichiarava infine di accettare i primi due punti - sindacato indipendente e diritto di sciopero - della piattaforma del Baltico . Sono le richieste fondamentali e irrinunciabili uscite da questa lunga agitazione che ha costretto il partito a rassegnarsi ad un ridimensionamento dei suoi poteri . « Ora sono pronto a firmare » ha dichiarato sbrigativamente Jagielski « e a portare il documento al Plenum del Comitato Centrale che si riunisce alle 3 , poi sarò di nuovo qui da voi stasera per concludere il negoziato » . A questo punto nella grande sala dei delegati operai e nei cortili dei cantieri collegati con gli altoparlanti , è scoppiato l ' applauso : il segno del rompersi di una lunga incomunicabilità che ha portato la Polonia sull ' orlo del dramma . Poi è cominciato un dialogo secco e asciutto che - nella sua rapidità - ha riproposto le diffidenze dei due poteri così a lungo contrapposti ma ha anche consumato le ultime fiammate di ostilità . « Ma la sua decisione sarà condivisa dal Plenum ? » ha insistito Walesa . « Penso proprio di potervelo quasi garantire » . « Ma noi vogliamo piena garanzia non solo per quelli che hanno scioperato ma anche per quelli che li hanno aiutati » ( egualmente puniti dalla legge attuale ) . « Le avrete » ha risposto Jagielski « la nuova legge sancirà il diritto di sciopero » . « E i prigionieri politici ? » . « Non esistono in questo paese » . « Forse è vero » ha replicato Walesa « però c ' è troppa gente che va e viene dal carcere » . « Ci metteremo d ' accordo » ha tagliato corto Jagielski . « Allora lunedì tornerete al lavoro ? » ha insistito il vice primo ministro . « Sì , ma solo se tutto sarà messo sulla carta in modo molto chiaro e definitivo » . « Ma dobbiamo far presto , il tempo lo abbiamo : di qui a lunedì ci sono quasi due giorni . Poi » ha riso Jagielski « oggi è il giorno della Madonna e le cose non potevano che andar bene » . Il riferimento - sul cancello dei cantieri campeggia l ' immagine della Madonna Nera e di papa Wojtyla - ha il sapore di un ' importante concessione psicologica , ma esprime anche la promessa di una minore rigidità ideologica : è dunque l ' accenno più esplicito e sentito alla necessità di un recupero del consenso sociale . Nelle sale dei cantieri la tensione si rilassa definitivamente e scoppia una grande risata , la prima sentita e irrefrenabile in questi ventun giorni di occupazione che promettono di cambiare il volto della Polonia moderna . Quindi tutto si irrigidisce in un protocollo solenne e formale : Jagielski e Walesa firmano il documento ( e tutti gli esperti sono in piedi ) ; si approva una risoluzione comune - a saldare un rapporto ritrovato - in cui governo e Comitato unitario ufficializzano la commissione mista per proseguire i lavori ; quindi una veloce stretta di mano e Jagielski si infila rapido e impaziente nel solito tunnel operaio , a cui riesce persino a strappare qualche applauso . Walesa - circondato dagli operai - raggiunge invece tra le ovazioni il cancello numero 2 a calmare l ' impazienza dei familiari . È finalmente il momento delle emozioni : molti pregano , tutti gridano « Vittoria » , dalle finestre dell ' astanteria le infermiere gettano fiori . Sono da poco passate le 12 e la radio nazionale interrompe le trasmissioni per annunciare l ' accordo : in poco meno di un ' ora il panorama politico e sociale polacco sembra già profondamente cambiato . Nella sala delle trattative gli intellettuali scelti dagli operai per condurre una trattativa che sembrava impossibile sono i più eccitati e a tratti increduli . « Sono commosso » ripete con nervosa insistenza lo scrittore cattolico Mazowiecki « tanto commosso , e finalmente mi sento stanco . » Il sociologo Jan Stephanski mi mostra la « tessera da esperto » . « È la laurea più ambita e bella della mia vita » afferma « questa classe operaia è stata magnifica , si è mossa a nome di tutta la nazione . Lei si stupisce ? Ma io li ho trovati preparatissimi : hanno una storia sconosciuta , fatta di continue e profonde delusioni attraverso cui hanno raggiunto una notevole maturità . Per loro è diventato un punto d ' onore ridefinire il ruolo della classe operaia , nel cui nome ha parlato per tanti anni una burocrazia autocratica e spesso imbecille . Mi creda : non abbiamo mai avuto un grande successo coi nostri patetici appelli ad un superato realismo . Sono decisi a conquistare una dignità di interlocutori a qualunque costo . Se si governa in loro nome bisogna anche consultarli » . Ma forse si rischiava la catastrofe ? domandiamo . « Vivendo con loro ho capito che non c ' erano alternative : il distacco con il potere è troppo profondo . Se avessero ceduto ci sarebbe stata una prossima volta e senza quel minimo di possibilità di mediazione che oggi ancora sembra esistere . E la prossima volta sarebbe stata davvero una catastrofe » . Ma in molti l ' improvvisa vittoria suscita incredulità : « C ' è ancora molta gente in prigione » afferma Mazowiecki indicandomi la moglie di Kuron , il leader del Kor arrestato nei giorni scorsi . « Ma ci sono anche molte ambiguità di fondo che attendono un chiarimento » interviene un giurista « vedremo come si metterà la trattativa sulla stesura dell ' accordo » . Sono le perplessità inevitabili di una svolta che tratteggia un esperimento senza precedenti e i cui limiti interni ed esterni sono praticamente sconosciuti . La stessa repentina svolta delle ultime ore sta ad indicare le profonde resistenze verso una decisione che ridimensiona , come detto , il partito per inserire tratti di pluralismo sconosciuti in questi paesi . Si sa che la Chiesa - da sempre cerniera del consenso in Polonia - ha giocato un ruolo fondamentale nel fare da potente contrappeso alle tentazioni ortodosse : ha visto sacrificato il cardinale Wyszynski su quella che sembrava l ' ultima linea di difesa - l ' appello al realismo e alla patria di Gierek - e poi ha certamente fatto sentire il suo peso nell ' evitare quella soluzione di forza che si stava profilando . Ma quale ruolo ha giocato l ' Unione Sovietica ? Ha accettato una soluzione in una zona inquieta , dove i paesi sono da sempre legati come vasi comunicanti , che introduce certamente un elemento di notevole turbativa ? E quali limiti ha posto ? Nell ' eccitata Polonia di oggi si parla molto di Afghanistan - che legherebbe le mani a Mosca - di situazioni sociali ed economiche insostenibili e che possono essere rimosse senza compromettere una stabilità interna a cui anche Breznev dovrebbe avere interesse . Di alleanze su cui i problemi interni non possono incidere . « Il problema di fondo » afferma Stephanski « è che questa volta una intera classe operaia ha rifiutato la burocrazia di partito . Uno scontro avrebbe lasciato del tutto nuda l ' ortodossia ufficiale . Ma ora il problema è di sapere realizzare un esperimento che certamente metterà a dura prova la nostra capacità di gestire le necessità interne senza incidere nelle esigenze esterne » . Un equilibrio da cui dipende quello che potrebbe essere il primo serio tentativo sovietico di una « democratizzazione pilotata » nelle sue zone di influenza .
Fidia o non Fidia questo è il problema ( Bignardi Irene , 1981 )
StampaQuotidiana ,
Firenze . Sono bellissimi . Non ci vuole l ' occhio dell ' esperto per capirlo . Sono bellissimi , e nella sala angusta e male illuminata che li ospita al Museo Archeologico di Firenze , in mezzo al cicaleccio festoso delle scolaresche portate in visita e subito conquistate , in mezzo alle signore impressionate , alle comitive di giapponesi che commentano tiepidamente « They ' re nice » , belli , ma escono un po ' più silenziosi , in mezzo a chi li disegna ( fotografarli è proibito ) , in mezzo al discutere degli esperti e , sostiene qualcuno , in mezzo ai tedeschi e agli americani coi baffi finti e le microcamere nascoste intenti a valutarli , soppesarli , dargli un prezzo , sono anche più inquietanti : con la loro serenità antica , la loro straordinaria maestà , la loro perfetta armonia . Con buona pace di Rudolf Otto , l ' aggettivo , per loro , è « numinoso » : dall ' antichità , si sono portati dietro qualcosa di sacro . Siamo davanti ai due grandi bronzi rinvenuti casualmente a Riace , in Calabria , otto anni fa . Tutto comincia come in un film di Spielberg , un bel mattino d ' agosto . Due subacquei si stanno immergendo tranquilli al largo di Riace Marina , vicino a Reggio Calabria , a circa trecento metri dalla riva , in un punto dove la profondità del mare non supera gli otto metri . Quando uno dei due vede un braccio umano . Il primo pensiero è : un cadavere . E vengono subito chiamati i carabinieri . I « cadaveri » sono due e sono in realtà due grandi bronzi ( due metri uno , un metro e novantotto l ' altro ) complessivamente in buone condizioni , nonostante il soggiorno di venticinque secoli in quel fondale : con una gran chioma ricciuta e trattenuta da un nastro uno , l ' altro con una bizzarra testa tronca che sicuramente era coperta da un elmo , perduto , come le lance e gli scudi delle due statue . Dopo il recupero ordinato dal sovrintendente Giuseppe Foti e dopo le prime cure , i due guerrieri vengono portati per un restauro conservativo più completo a Firenze . E qui , per cinque anni , una équipe di esperti porta avanti il classico miracolo d ' ingegno all ' italiana , liberando le statue delle incrostazioni marine , proteggendo il bronzo dalle conseguenze dell ' azione corrosiva della salsedine e stabilizzandolo . Le fotografie che documentano la « cura » , esposte alla mostra , sono impressionanti : quasi che sul lettino operatorio dei tecnici se ne stessero sdraiati , con tutta la loro maestà , due dèi . Poi , a restauro ultimato , la mostra quasi clandestina ( senza pubblicità , senza battage di uffici stampa , con pochi o niente manifesti murali , in una sala del Museo Archeologico di Firenze , sotto il titolo pudico I grandi bronzi di Riace . Un restauro archeologico ) , che si è chiusa domenica scorsa . Clandestina forse nelle intenzioni . Perché mai , come in questa occasione , la gente ha parlato , la voce è corsa da amico ad amico ; finché , a furor di popolo , la chiusura della mostra è stata rinviata una prima volta . Poi è venuto il presidente Pertini , esprimendo l ' opinione che la mostra dovesse restare aperta . Poi si è diffusa la voce di una riapertura il 14 febbraio . Poi è arrivato il ministro dei Beni Culturali , e ha promesso un decreto che lascerebbe per qualche tempo ancora le due statue a Firenze ; dove il soprintendente si riprometterebbe , in tal caso , di trasformare l ' avvenimento in una grancassa per il successivo trasferimento a Reggio Calabria ... In realtà , da domenica la sala del Museo Archeologico si è chiusa , forse per sempre . E i due guerrieri di Riace si preparano ad essere imballati e trasportati a Reggio Calabria , alla cui giurisdizione appartengono per legge . E a Reggio Calabria non si sa quando saranno di nuovo visibili : perché bisogna aspettare che attorno a questi due bronzi ( tra i pochi superstiti dell ' antichità greca , insieme al Poseidon del Museo Archeologico di Atene e all ' Auriga di Delfi ) venga creata una struttura adeguata , uno spazio adatto , sistemi antifurto , le indispensabili basi antisismiche . E bisogna soprattutto dare inizio una buona volta agli indispensabili lavori di ricerca . Perché , come per tutte le grandi bellezze greche , anche per gli indubitabilmente greci bronzi di Riace corre il rischio di scoppiare una guerra . In questo caso , la guerra delle attribuzioni e delle identificazioni . Il primo a dire la sua , anche se di fronte al ristretto pubblico di un congresso archeologico a Delfi , è stato l ' illustre studioso tedesco Werner Fuchs . Per lui non ci sono dubbi : si tratta di due eroi del donario di Maratona a Delfi . E cioè del donario che gli Ateniesi offrirono al santuario di Delfi dopo la vittoria contro i Persiani del 490 a.C. E cioè , si tratterebbe di due opere di Fidia , lo scultore del Partenone , il massimo artista della Grecia classica . Della stessa idea è Antonio Giuliano , professore di archeologia e storia dell ' arte antica all ' Università di Roma . « Sono sicuramente originali greci . E per motivi iconografici , formali , stilistici , sono databili tra il 460 e il 450 avanti Cristo . Perché ? Ma per il trattamento dell ' anatomia , delle teste , per certe annotazioni singolari come i capezzoli di rame , i denti d ' argento , gli occhi d ' avorio , che li assimilano all ' Auriga di Delfi . E quanto all ' autore , non ci possono essere dubbi . O siamo davanti a due bronzi di Onatas , lo scultore di Egina , o siamo davanti a due bronzi di Fidia . Io penso a Fidia . Anzi l ' ho anche scritto , più di un anno fa » . Basta leggere Pausania , spiega . Dove ( X . 10.1 ) l ' autore parla del donario , fatto dagli Ateniesi a Delfi con la « decima » della vittoria di Maratona , e « formato da tredici figure , da un ' Atena , da un Apollo , da un Milziade e da dieci eroi attici » , probabilmente gli eroi eponimi delle tribù . « Statue di questa importanza non possono essere state ignorate dalle fonti . Non c ' è che da leggerle , e allora non è necessario essere Sherlock Holmes per scoprire da dove vengono . Si prendono le impronte dei piedi dei due bronzi , e si va in Grecia , dove si ritiene che le statue fossero collocate , e si accerta se aderiscono alle basi » . Elementare . Eppure , a otto anni di distanza dal ritrovamento , questo non è ancora stato fatto , se non altro per mettere un freno alle fantasie . Ma c ' è anche chi getta acqua sul fuoco . Per esempio Enrico Paribeni , professore di archeologia all ' Università di Firenze . Il quale pensa addirittura che i due bronzi non siano coevi ( quello ricciuto sarebbe effettivamente del quinto secolo a.C. , cioè dell ' età di Fidia , ma il secondo sarebbe più recente , e precisamente dell ' inizio del quarto secolo ) . Quanto a Fidia , a Paribeni l ' attribuzione proprio non piace . Perché ? « Per ragioni formali , stilistiche . Perché Fidia non lavorava spesso nel bronzo . Perché in definitiva le cose sono molto più complesse » . Molto pacati e prudenti sono anche a Reggio Calabria , che grazie ai due guerrieri , Fidia o non Fidia , grancassa di Firenze o meno , potrà - se lo saprà - diventare uno dei quattro o cinque centri archeologici più importanti della Magna Grecia , accanto a Paestum , Agrigento , Siracusa . « L ' attribuzione a un autore è molto difficile , ma non è questo il problema principale » minimizzano alla Soprintendenza . Ma intanto le due più straordinarie statue greche rinvenute in Italia fino ad oggi ( e rimasteci , per ora , anziché seguire la brillante carriera californiana del Lisippo acquistato dal Getty Museum di Malibu ) sono ancora oggi « sciaguratamente inedite » come dice Antonio Giuliano . Non sarebbe male se , in questo dramma delle gelosie tra soprintendenze e grandi esperti , il pubblico potesse intanto continuare ad ammirare i due capolavori .
Quella voce dall'America ( Rossella Carlo , 1999 )
StampaPeriodica ,
Prima che la Cnn americana diventasse la tv globale , vista simultaneamente in tutto il mondo , l ' unico strumento di comunicazione ' worldwide ' era la britannica Bbc . Ancora oggi , in ogni angolo della Terra , ci sono milioni di persone che ogni giorno ascoltano via radio il World service La Bbc , che ora dispone anche di un canale televisivo come quello della Cnn ( ma molto migliore ) , era la voce dell ' impero ma anche della democrazia . Gli appassionati della Bbc , che da anni la stanno a sentire , conoscono un personaggio molto popolare della radio britannica : Alistair Cooke . Da 53 anni , da più di mezzo secolo , Cooke , che oggi ha 91 anni e vive in 5th . avenue a New York , legge una volta alla settimana la sua Letter from America . Dal 1946 ne ha scritte 2.600 . Sono il migliore strumento per capire l ' evolversi della storia e della vita americana , dal dopoguerra alla globalizzazione , alla formazione della superpotenza solitaria . Tutte le missive di Cooke sono state pubblicate e si trovano nelle librerie inglesi . Per molti sudditi di Sua maestà i volumetti di Cooke sono gli unici libri mai letti sui ' cugini ' d ' oltreoceano . Cooke ha toccato ogni aspetto della vita americana , dai principali eventi politici alla cronaca di ogni giorno , dal movimento per i diritti civili alla guerra in Vietnam , dalle mode alle manie , dai gossip ai piccoli , insignificanti avvenimenti personali che però spiegano bene il mondo in cui si vive . Cooke ha parlato di tutti , da Douglas Fairbanks a Monica Lewinsky , dalla sconfitta elettorale del suo amico Adlai Stevenson alla caduta del pugile Sugar Ray Robinson al Madison Square Garden nel 1962 ( ' Una delle più straordinarie descrizioni di quell ' avvenimento ' hanno affermato i critici ) . L ' ultimo libro di Cooke , Memories of the great and good , una raccolta di 23 profili americani , è stato pubblicato in ottobre ed è in testa alle classifiche inglesi , proprio al di sopra delle memorie dell ' ex primo ministro John Major . Lo stile di Cooke è elegante , spiritoso , chiarissimo . I maestri del giornalista britannico sono , a suo dire , Mark Twain , H.L. Menken , E.B. Wite , e due suoi professori a Cambridge , negli anni Venti , D.W. Brogan e Artur Quiller - Couch . Liberale autentico , Cooke , nel periodo della ' caccia alle streghe ' , scrisse un saggio indimenticabile sul processo ad Alger Hiss , una presunta spia sovietica : Generation on trial : Usa vs . Alger Hiss ( Knopf , 1950 ) . L ' esperienza di Cooke dimostra che per raccontare i paesi , soprattutto nell ' epoca della globalizzazione , dove sembra di sapere tutto attraverso la tv , bisogna viverci a lungo , parlare bene la lingua , avere tanti amici , conoscerne la storia , la letteratura , il teatro , il cinema , la musica , gli ambienti accademici e scientifici , l ' economia e le piccolezze della vita . I corrispondenti dei giornali , delle radio , delle tv , ma ora anche delle catene di Internet , debbono vivere a lungo nei posti per poterne scrivere con semplicità e assoluta competenza . Il giornalismo della globalizzazione non può permettersi di essere frettoloso e superficiale . L ' Italia , per esempio , ha avuto dagli Stati Uniti due corrispondenti molto simili a Cooke : Ruggero Orlando e Ugo Stille , più newyorkesi dei newyorkesi . Oggi i pochi columnist fortunati e bravi che vivono da lungo tempo nei posti sui quali scrivono sono Vittorio Zucconi , Tiziano Terzani , Bernardo Valli , Barbara Spinelli . Per loro fortuna e per fortuna dei loro giornali e dei loro lettori conoscono le minime sfaccettature della società americana ( Zucconi ) , asiatica ( Terzani ) , francese ed europea ( Spinelli e Valli ) . L ' esempio mirabile di Alistair Cooke dovrebbe insegnare qualcosa agli editori italiani , sempre così restii a investire sull ' estero . La loro parsimonia colpisce nell ' era della globalizzazione , quando tutto il mondo va raccontato con competenza e con stile .
Un parlamento sospetto ( Rossella Carlo , 1999 )
StampaPeriodica ,
In un mondo globalizzato , anche nel crimine , dove le mafie costituiscono una reale minaccia , alcuni personaggi della delinquenza organizzata russa hanno trovato un sistema per sfuggire alla giustizia : farsi eleggere al parlamento . Secondo la costituzione , che da sei anni vige a Mosca , nessun membro del parlamento può essere arrestato , nonostante abbia commesso crimini che nulla hanno a che vedere con gli affari politici . Un deputato , in Russia , è una specie di dio intoccabile . Anche se ammazza la moglie non gli succede nulla . Nelle ultime elezioni per il rinnovo della Duma , 6 mila candidati hanno concorso per 450 seggi . Il 30 per cento secondo i calcoli di Alexander Gurov , un ex poliziotto d ' assalto , anche lui in lizza , ha precedenti penali o è noto per i suoi contatti col crimine organizzato . " Il mondo della criminalità ha lanciato un assalto alla Duma " spiega Gurov . Implicata nei grandi scandali internazionali ( dal Russiagate che ha visto coinvolta la famiglia di Boris Eltsin ai misteriosi delitti non ancora del tutto chiariti come quello del banchiere Edmond Safra ) , potente in paesi potenti ( negli Stati Uniti , i mafiosi russi hanno spodestato gli italiani ) , inserita in tutti i paradisi fiscali del mondo , la mafia russa è una piovra che ben si nasconde negli infiniti meandri della globalizzazione . E per espandersi ancora ha bisogno di controllare tutti gli apparati dello stato , compreso il parlamento . Pur se molti politici onesti della Russia desiderano veramente un sistema pulito , liberale e occidentale , la legge sull ' immunità costituisce una pesante barriera contro una società normale , regolata da leggi normali . Appare quindi incredibile ai russi perbene che 105 candidati alla Duma siano già stati condannati come criminali e che molti di loro siano addirittura ricercati dalla polizia . Solo pochissimi mafiosi di grande notorietà sono stati esclusi dalle liste . E ' il caso di Sergei Mikhailov , considerato il capo di una delle cosche più potenti e già arrestato per riciclaggio in Svizzera . Il motivo per escluderlo non è stata la fedina penale , ma il passaporto greco . E ' rimasto invece in lizza Yuri Shutov , un ' politico ' di San Pietroburgo che gareggia per la Duma dalla cella del carcere . Shutov è stato arrestato lo scorso febbraio perché implicato negli omicidi di due politici e di due uomini d ' affari , oltre che in una serie di reati minori . Ha presentato la sua candidatura anche il cantante Josif Kobzon , deputato uscente , detto ' il Frank Sinatra russo ' . Nel 1995 gli fu negato il visto d ' ingresso negli Stati Uniti perché l ' Fbi lo riteneva " legato " alla mafia russa . Le regole sull ' immunità non si applicano solo alla Duma , la camera bassa , ma anche al Consiglio della federazione ( 178 membri ) , la camera alta , cui appartengono il sindaco di Mosca e i governatori regionali . In queste settimane di campagna elettorale l ' immunità parlamentare è stata messa sotto accusa da pochi politici e da un solo intellettuale : Alexander Solgenitsin , dissidente ai tempi di Stalin e di Breznev . " La Duma non può diventare un rifugio per i ricercati " ha gridato il premio Nobel alla tv . Ma il suo appello è caduto nel vuoto . E soprattutto non è stato ascoltato al Cremlino . Anche uno dei più cari amici di famiglia di Eltsin , Boris Berezovsky , campione della globalizzazione alla russa , già accusato di riciclaggio , è candidato a questo allegro parlamento .
Come uno sposo alla festa nuziale ( Del Rio Domenico , 1999 )
StampaQuotidiana ,
Che la festa nuziale incominci ! Era il grido che risuonava nell ' anima la notte della vigilia di Natale , all ' apertura della Porta santa . « Festa nuziale » : così Papa Wojtyla aveva chiamato il grande Giubileo del Duemila nella Bolla Incarnationis mysterium . Quella notte , anche noi tutti , povere creature da nulla , siamo stati immessi dal gesto del Papa nel dolce evento dell ' intima amicizia e della immensa misericordia di Dio , come le sublimi anime contemplative , come Teresa d ' Avila , come Giovanni della Croce , come Angela da Foligno , che celebravano le « mistiche nozze » con il Signore . Inaspettata veste nuziale era l ' abito di Papa Wojtyla , il piviale sfavillante di riverberi di luce e di colori , rimembranza forse di policrome visioni orientali , africane , messicane ... i colori di ogni terra proiettati sulla veste nuziale del pontefice . Festa di suoni , di trombe , di canti , di luci , nella basilica , omaggio al Cristo glorificato : « Ieri , oggi , nei secoli » . Festa di tutti i continenti , approdati con gli uomini e le donne nei costumi tradizionali a decorare di fiori e di colori la Porta santa . Festa di tutta la storia cristiana di questo millennio che declina e che sfocia come un fiume nel Giubileo del Duemila : « Il grande fiume della Rivelazione , del cristianesimo e della Chiesa , che scorre attraverso la storia dell ' umanità a partire dall ' evento accaduto a Nazareth e poi a Betlemme duemila anni fa » , come Papa Wojtyla aveva scritto nella sua lettera apostolica Tertio Millennio adveniente . Così la grande festa nuziale è incominciata . Perché il perdono di Dio che scende sull ' uomo pentito non è qualcosa di tetro . Il Giubileo è letizia : è letizia del figliuol prodigo che ritrova l ' amicizia perduta del Signore . E letizia del Popolo di Dio , che acclama il Redentore venuto a dimorare tra gli uomini : il Signore , anch ' egli come pellegrino a camminare sulle nostre strade , a bussare alla nostra porta , la porta della nostra povera casa , prima ancora che noi peregrinassimo penitenti verso la sua Porta santa . Perché , in mezzo a quella festa della notte della vigilia di Natale , c ' era anche la nostra immagine di pellegrini . L ' immagine era lì nella figura di Papa Wojtyla che , pur nella sua sfavillante veste nuziale , si trascinava , curvo , dolente , pellegrino , nel faticoso cammino dalla Porta santa all ' altare , assorto nel richiamo del suo Signore . Sulle sue spalle non c ' era soltanto la meraviglia di un abito . C ' era anche il peso dei nostri peccati , dei nostri orrori , delle nostre ostinazioni : le pene e le miserie di tutta l ' umanità di oggi , ma anche le infedeltà e i rinnegamenti avvenuti nel lungo fiume della storia cristiana . Tutto egli trascinava verso il perdono e la misericordia di Dio . Con lui era il nostro camminare di pellegrini , presi da pentimento , ma anche dalla voglia intensa di poter celebrare anche noi la grande festa nuziale con Dio .
StampaQuotidiana ,
Oaxaca ( Messico ) - I poveri più poveri del Messico si sono dati appuntamento a Cuilapan , a quindici chilometri da Oaxaca , nella parte sud orientale del Paese , per vedere il Papa . Si prevede una folla spaventosa , chi dice trecentomila , chi pronostica , in base a chissà quali conteggi , mezzo milione . Saranno quasi tutti indigeni , dello Stato di Oaxaca e di altre regioni , mixtechi , zapotechi , nahuati e tante altre razze . Insieme parlano sessantacinque lingue : solo il 20 per cento conosce lo spagnolo . In comune hanno solo una cosa : la fame . L ' appuntamento col Papa è per domani , davanti all ' antico tempio di Cuilapan ; ma gli indios sono già in viaggio da giorni , vengono giù dalla Sierra con autobus scassati o su camion abitualmente adibiti al trasporto del bestiame o d ' ogni tipo di merce . Questa sera , lo spazio sabbioso davanti e al lato del tempio sarà tutto occupato . Trascorreranno la notte per terra , avvolti nei loro stracci tribali : ci sono abituati . E poi , da queste parti , in questo periodo dell ' anno , la notte è dolce , c ' è solo un po ' di fresco nelle prime ore del mattino . Nelle regioni di Oaxaca ci sono un milione e quattrocentomila indigeni , quasi tutti cattolici . Le chiese , in un territorio di novantamila chilometri quadrati , sono millequattrocentoventicinque : ne trovi almeno un paio anche nel pueblo più piccolo e miserabile dove non arriva né la luce né l ' acqua né qualcosa che assomigli ad una vera strada . " È gente molto religiosa " , dice l ' arcivescovo di Oaxaca , Bartolomè Carrasco Briseño , " molto umile , molto buona , molto attaccata alla Chiesa . Certo dobbiamo continuare nella nostra opera di evangelizzazione che è stata interrotta da varie ragioni storiche . Le difficoltà sono molte , c ' è l ' ostacolo della lingua , per cui i miei sacerdoti si vedono costretti a imparare questo o quell ' idioma " . Sfiducia e fatalismo Ma la difficoltà più grave non è questa . " Secondo me " , dice il prelato , " essa va individuata in quella specie di sfiducia , di fatalismo , di mancanza di speranza , che finisce per colpire ogni indio . Si rassegnano , si danno per vinti . Gli manca la volontà , non fanno nulla o quasi per uscire dallo stato di frustrazione e prostrazione in cui si trovano . Anche la Chiesa ha , in questo , la sua parte di responsabilità e di colpa , come ce l ' ha il governo . Non è stato fatto abbastanza per strappare queste tribù dall ' isolamento fisico e morale in cui si trovano , per sottrarle ad una emarginazione così totale e spietata " . Monsignor Carrasco Briseño è un uomo minuto , un po ' curvo , indossa una tonaca bianca , parla sottovoce , bisbiglia : " È gente " , dice , " molto legata alla propria identità etnica , molto fiera . Quindi occorre andar piano coi programmi educativi . L ' obiettivo non deve essere quello di un ' integrazione violenta e ad ogni costo delle culture indigene con la cultura nazionale . Così facendo si distruggono quei valori che danno un senso alla loro vita . Sul piano sociale , poi , la situazione è disperata . È gente che vive nella miseria più nera . Lo sanno i miei centosettanta sacerdoti che sgarrettano su per la montagna per portare un po ' di conforto a questa umanità emarginata da tutto e da tutti " . Per vederla un po ' da vicino , questa umanità , prendiamo un autobus sgangherato che da Oaxaca si inerpica su per la montagna , serpeggiando , per scendere poi sulla costa del Pacifico . È pieno di campesinos indigeni , neri e taciturni . Una donna , meno vecchia di quel che sembra , allatta un bambino . Senti l ' odore di stracci antichi , mai lavati , il profumo della miseria stratificata . È una bellissima sera , se allunghi la mano fuori dal finestrino afferri la coda dell ' Orsa , tanto il cielo è vicino . Ci fermiamo a Tlaxiaco , dopo quattro ore e mezzo di strada . Un grosso pueblo , nove - diecimila abitanti . Case basse , una volta bianche , i muri scrostati ; la strada principale sconessa , tutta buche , i cani che languono sul marciapiede . Gruppi di poveracci dormono sotto i portici , la testa sul giornale . Il mattino dopo , alle sette , comincia l ' attività al mercato coperto . Montagne di frutta sui tavolacci , c ' è sentore di minestra di fagioli con chili , qualcuno si scalda con una tazza di pulque , brandelli di carne pendono dagli uncini da chissà quanti giorni . La bistecca qui è un genere proibito . L ' appuntamento col parroco , padre Esteban Sanchez , è dopo la messa , nel convento domenicano adiacente alla chiesa . Novanta indios ( giovani e vecchi ) stanno facendo un ritiro spirituale da tre giorni . Girano in fila sotto il porticato cantando un inno in spagnolo con dubbia intonazione , poi , sempre salmodiando , infilano la porta del refettorio per la prima colazione . Viene il dubbio che il fine ultimo di tanta devozione sia proprio lì . Crocette sulla schedina " Oggi è l ' ultimo giorno " , dice padre Esteban , " domani torneranno alle loro case . In questi tre giorni hanno avuto dei pasti regolari , mattino , pomeriggio e sera . Hanno dormito in un letto . Quel che noi preti cerchiamo di fare è di svegliare la loro coscienza : vogliamo che si rendano conto della loro dignità di uomini e di cittadini . Vogliamo che capiscano che sono stati sempre sfruttati . Gli insegniamo che Cristo era oppresso come loro e che si oppose alla casta sacerdotale del tempo . Il governo non fa niente per loro . Il partito al governo , il PRI ( Partido Revolucionario Istitutional ) , non fa niente per loro , salvo caricarli sui camion e portarli a votare . E con le loro crocette sulla schedina , questi poveracci di cittadini messicani continuano ad eleggere delle persone che continueranno a non far niente per loro " . A Tlaxiaco c ' è una fabbrica di tubi di cemento e il salario medio di chi vi lavora si aggira sulle millecinquecento lire al giorno : che qui è discreto . Ma per chi lavora i campi l ' esistenza è grama : " E allora " , dice il parroco , " quando lo stomaco urla per la fame , questa povera gente , se ha un soldo , lo investe nella bottiglia . Si scolano l ' aguardiente che ti brucia la gola e il cervello e che è alla fine la loro droga : una droga a basso costo . Anche nelle feste religiose finiscono con l ' ubriacarsi e dopo la fugace euforia si trovano ancora più poveri , più tristi e più soli . I fabbricanti di acquavite si arricchiscono alle loro spalle , sulla loro miseria . Il governo fa qualche cosa , gli ha fatto qualche strada : ma a che serve ? Serve ai fabbricanti di aguardiente che hanno aumentato i loro profitti . Anche le somme che vengono talvolta stanziate a favore delle comunità indigene finiscono per arrestarsi nelle mani dei burocrati " . Se il Papa volesse vedere com ' è fatta la miseria degli indios dovrebbe prendere ad Oaxaca lo sgangherato autobus di " secunda clase " e spingersi oltre Tlaxiaco , nel villaggio di Cuquila , un gruppetto di case o capanne abitate da una comunità mixteca . È per lo più gente che non si è mai mossa da qui , contadini che campano su un fazzoletto di terra arida , con un po ' di mais , qualche pollo , qualche maiale , un ' oca , un tacchino . Entriamo nella casa di Dario Ortiz , 57 anni , sposato , tre figlie . Sua moglie sta facendo una tortilla di mais con un matterello di pietra : poi la mette in un cesto e la offre all ' ospite . " Qui si vive male " , dice il padrone di casa , " la terra non è buena , non produce niente . Se uno riesce a farsi dieci pesos al giorno è fortunato . No , io no , io non guadagno tanto . Dobbiamo accontentarci di tortilla e di questi fhjolitos , di questi fagiolini . La carne , qualche volta . Il latte , mai . Una volta avevo la luce , ma poi me l ' hanno tagliata perché non riuscivo a pagare il canone . Questo pueblo è molto triste perché il governo non ci dà nessun aiuto " . La figlia più giovane di Dario Ortiz ha 16 anni , si chiama Juanita , è graziosa , parla mixteco oltre che spagnolo , non è mai uscita da Cuquila : " Non mi annoio " , ci assicura , " sono nata qui , qui sono felice . La comida è scarsa ma va bene lo stesso . Un giorno mi sposerò con uno di qui . Non ho mai visto la televisione , è bella ? " . Enrique Cruz ha 80 anni , vive in una capanna di legno col figlio , la nuora e tre nipotini . " Il governo non fa niente per noi " , si lamenta , " e così ho passato una vita di stenti . Non c ' è luce , per l ' acqua andiamo al pozzo , ma è scarsa . Adesso sono vecchio e malato : ma qui se uno s ' ammala muore . Nessuno ha i soldi per le medicine o per l ' ospedale " . Dormono tutti per terra , su logore stuoie . Hanno un maiale , qualche pollo , ma non li mangiano , li portano al mercato . Enrique Cruz non si ricorda più che sapore abbia la carne : " Qualcuno " , dice , " quando ha qualche soldo , manda giù un po ' di alcool , io no , sono cristiano , sono rassegnato alla mia miseria e adesso aspetto soltanto l ' ora di morire " . Si toglie dalla testa un cascame di paglia che una volta era un sombrero e si guarda intorno con gli occhi piccoli e impiastricciati : dice che andrebbe volentieri a Oaxaca a vedere il Papa , ma non ha gli ottanta pesos ( 3400 lire circa ) per pagare il camion . Neanche Epiphanio Santiago , che fa orci e pentole di creta e argilla per venderle al mercato di Tlaxiaco , ha gli ottanta pesos per andare dal Papa . " Una somma simile non ce l ' ho " , ammette , " questo mestiere non mi basta per vivere . Ho quattro figli e non c ' è da mangiare . Non mangiamo mai carne , né uova , né latte . Si va avanti a tortilla e fagioli , e a frutta che anche questa terra così avara riesce a produrre . Una volta , quand ' ero più giovane , sono stato a Vera Cruz a tagliare la canna da zucchero . Dieci anni fa . Mi davano sette pesos per tonnellata " . Da Cuquila nessun indio mixteco scenderà al piano a vedere il Papa . I loro fratelli in sangue e in miseria , che , più fortunati , potranno raggiungere il tempio di Cuilapan , presenteranno a Giovanni Paolo II un ' " orazione " in cui vengono denunciati i mali della loro miserabile vita : il basso prezzo dei loro prodotti , l ' alcoolismo ( talvolta promosso dallo stesso governo ) , l ' oppressione politica , la prostituzione , la disoccupazione , l ' ingiustizia delle autorità che si vendono ai ricchi , i cacicchi che li sfruttano , la mancanza di scuole , strade , assistenza medica , le promesse non mantenute del governo . È la carta d ' identità degli indigeni di Oaxaca , dei morti di fame del Messico . A Cuquila Karol Wojtyla dovrebbe andare : a far visita al vecchio Enrique Cruz . Il quale , quando gli chiedi chi sia , cosa rappresenti per lui il Papa , ti risponde , candidamente : " Pues , es como Dios " , è come Dio .
StampaQuotidiana ,
Key West - Al bancone dello " Sloppy Joe ' s " bar , all ' angolo tra Duval Street e Green Street , incontro Reymond C . Vanyo , quarant ' anni , pescatore di aragoste e d ' altro , con due battelli in mare e un Cessna a quattro posti per sbrigare gli affari a Miami . Reymond è uno dei tanti che ha scaricato a Key West barcate di profughi cubani . Dice : " Non ci ho guadagnato nulla : quanto basta per le spese . In mare , con la pesca , guadagno dai settecento agli ottocento dollari al giorno . Sono andato a Mariel - Cuba - perché m ' interessava . M ' interessa ancora . Voglio solo vedere come finisce la cosa " . Poi , sul suo aeroplanino , mi porta in giro sulle Keys , più sotto vedo la stupenda lingua di terra che dalle coste della Florida arriva , sbisciolando come un ' anguilla , all ' isola di Key West : " Non è il posto più bello del mondo ? " , chiede . Quattro passi più in là , al " Captain Tony ' s saloon " , trovi un ' altra folla che ha fatto la traversata coi profughi . Capitani - o skippers - di breve o lungo corso . C ' è anche una donna , Vicki Impallomeni , sui trent ' anni , bruna e bella : " L ' ho fatto per i soldi " , dice , " ho guadagnato duemila dollari . Ma non è del tutto vero . Con la pesca , avrei preso altrettanto . L ' ho fatto per il mare , perché mi piace il mare " . Tony Terracino , quasi settant ' anni ( o più ? ) , ha una faccia antica di navigatore e capelli ricciuti quasi bianchi . Ti ricorda che nel '64 fece una spedizione a Cuba e che , su quell ' avventura e la sua picaresca vita , è stato fatto recentemente un film " Uccidi Castro " . Di giorno sta in mare , a pescare ; ma la sera è qui nel suo saloon . Beve champagne con una coppia di sposi novelli e balla a piedi scalzi con le molte ragazze sotto i venti che se lo avvinghiano dicendo Tony amore mio . Sono tante , con magliette estive e gambe da tremila e una notte . Il capitano è soave e discreto e se te ne presenta una dice subito : " La mia esposa " . Poi : " Vuoi andare all ' Avana da Fidel ? Ti porto io figliuolo , ti porto io " . È sincero , ma nella notte le spose hanno avuto il sopravvento . Sarà , come dicono , un fenomeno di suggestione letteraria , ma tra questi skippers che vanno e vengono da Cuba con addosso l ' odore di mare e di pesce e di Caraibi e bevono " scotch on the rocks " o Bacardi o rum giamaicano o solo birra spillata a novantacinque cents " la caña " ti sembra di vedere tanti Harry Morgan di Avere e non avere di Hemingway , che qui lo ha scritto a metà degli anni Trenta e qui è vissuto con la seconda moglie Pauline tra il '28 e il '40 , pescando bevendo e scrivendo . La sua casa è in Whitehead Street , al 907 . Da " Sloppy Joe ' s " ci arrivi in dieci minuti e paghi , per vederla , un dollaro e cinquanta . Parte della sua vita è rimasta inchiodata qui per l ' eternità : mobili , libri , quadri , animali e pesci imbalsamati , foto degli anni eroici in Africa con la preda stecchita e il fucile ancora fumante . Ma anche gli anni della giovinezza , l ' elmetto di quand ' era sul fronte italiano nel '17 a guidare l ' ambulanza e una foto minuscola , conficcata nell ' angolo di una più grande , con una ragazza bella bionda che sorride e si chiama Agnes : l ' infermiera dell ' ospedale di Milano di cui Ernest si innamora e lascia morire nel finale di Addio alle armi . " Che io sappia " , dice la guida , " è ancora viva , nell ' Arizona " . Un altro scrittore esule americano in Europa , Dos Passos , aveva consigliato Hemingway a prendersi una lunga vacanza a Key West per " asciugarsi le ossa " inzuppate dall ' acqua di sette autunni e inverni parigini . Se accetta il consiglio , è anche perché qui si può pescare al largo , nella corrente del Golfo , ed è un posto di case di legno e la sera , da " Sloppy Joe ' s " non si parla di Flaubert , Maupassant o Proust e l ' epica omerica è quella del pescatore che rientra col suo pesce d ' argento , arpionato e sconfitto , come Santiago de Il vecchio e il mare . I suoi amici , a Key West , sono Josie Russell - Sloppy Joe per gli amici - padrone di un peschereccio e del bar che ancora oggi porta il suo nome , morto nel '42; il proprietario di un negozio di ferramenta , Charles Thompson , scomparso l ' anno scorso , che lo seguì nei safari africani ; e il capitano Eddie " Bra " Baunders che lo portò a pescare nelle Marquesas , trenta miglia ad ovest di Key West . Qui ti raccontano che Charles Thompson era piuttosto imbarazzato quando , di ritorno dal Kenia e dal Tanganika , dovette riferire agli amici dello " Sloppy Joe ' s " , per scrupolo storico , che la bestia più grossa , un " bull kudu " ( un ' antilope gigante ) l ' aveva abbattuta lui . Vedo la stanza dove Hemingway ha lavorato del '28 al '40 : in fondo , accanto a una libreria a vetri , c ' è il tavolino rotondo su cui ha scritto , di ritorno dalla Spagna , Per chi suona la campana . Ma la guida mi distoglie frettolosamente dalla contemplazione di questa sublime fucina poetica per portarmi , giù sotto , ai bordi della piscina , forse la prima , dice , che mai sia stata costruita in Florida : " Dietro questa piscina " , spiega , " c ' è una storia curiosa . La fece costruire Pauline mentre Ernest era in Europa per seguire come corrispondente la guerra civile spagnola . Quando , al ritorno , lo scrittore seppe che la moglie aveva speso , per quel laghetto artificiale azzurro , ventimila dollari , andò su tutte le furie , tolse di tasca una moneta e la scagliò per terra urlando : ' Questo è l ' ultimo centesimo che mi resta ' . Pauline non si scompose . Col grande ' sense of humour ' di cui era capace , lasciò il centesimo dov ' era caduto , nel patio , e lì lo potete ancora vedere oggi , sotto quella lastra di plastica " . C ' è chi lamenta la sopravvivenza commerciale e il mito di Hemingway a Key West : le magliette con la faccia di " papà " e il famoso maglione girocollo , le foto delle sue imprese marinare sui muri al " Tony ' s saloon " o allo " Sloppy Joe ' s " , e tutto il resto . È giusto . Uno vorrebbe sapere veramente com ' era allora : se tutto marciava come dice la Storia . E scopri , girando tra le case di legno , che tutto era vero , che Harry Morgan non era esistito ma Ernest lo aveva trovato e visto e messo dentro le sue pagine tra un viaggio e l ' altro nel golfo della Florida . A Key West ho molto cercato Hemingway . La vedova di Thompson ( Lorine ) era fuori , altrove . Il reverendo Williams , amico dello scrittore , era in Georgia . Ma ho trovato Toby Bruce , 70 anni , che è stato il suo autista dal '28 , il suo carpentiere , il suo meccanico , il suo tutto . Toby sta in una casa che è un giardino e lì lo incontro . È minuto , gli occhiali , chiazze di pelle biancastra in faccia e sul collo , una voce flautata e antica . È stato con lui dal '28 alla fine . " L ' ho portato in giro per l ' America " , dice , " almeno otto volte . Ho messo a posto la sua casa , a Key West , che cadeva a pezzi . Mi sono occupato del suo battello , ' Pilar ' , come carpentiere e meccanico . Ho lavorato per lui e con lui per più di trent ' anni . Un grande uomo , un grande amico , mi chiamava Tobs " . Toby lo aveva visto per la prima volta in Arkansas ; e ancora adesso ricorda la sua grande abilità di cacciatore : " Potevano essere quaglie " , dice , " o fagiani o pernici ; aveva una mira infallibile : e pensare che soffriva a un occhio , rimasto ferito in un incidente di caccia " . Che uomo era ? " D ' un pezzo . Diceva la verità e voleva che gli altri facessero altrettanto . Se mentivi , era finita " . Come lavorava ? " Si alzava presto , con la prima luce . Si metteva subito a tavolino . La giornata buona era quando riusciva a scrivere settecento parole al giorno : quella cattiva quando ne faceva solo trecento . Se proprio non gli andava , andavamo a pescare , magari per due giorni " . Il pomeriggio , tardi , era quasi sempre fuori . Beveva con la cricca che è stata ormai battezzata la " Key West Mob " . Ma non era mai , a quanto si dice , un " rummy " : " aveva una grande capacità per l ' alcool " , dice Bruce : " nel pomeriggio beveva scotch , la sera , a cena , vino " . Bruce ha corretto le bozze di Per chi suona la campana ( " un gran bel romanzo , ma gli preferisco Addio alle armi " ) , ha conosciuto le donne di " papà " , è andato a pescare con lui nel golfo . Ora dice : " Forse non capii , allora , che era un genio ; ma se mi avesse chiesto di gettarmi in un burrone , lo avrei fatto " . E le donne ? " Non mi è mai piaciuta la terza moglie , Martha Gellorn . Era troppo ambiziosa . Ma neanche lui scherzava . Quando gli riferirono che Agnes , infermiera dell ' ospedale di Milano che lo aveva curato , stava per rientrare negli Stati Uniti , lui , Ernest , mi disse : ' Spero che si rompa una gamba sulla scaletta dell ' aereo ' . Non aveva mai digerito il fatto che Agnes , otto anni più anziana di lui , lo avesse respinto " . E i colleghi ? Gli scrittori ? " Non ne parlavamo molto " , dice Bruce , " ma mi ricordo un episodio . So che Hemingway ammirava molto Faulkner , ma aveva poco tempo per gli altri . Una volta all ' aeroporto , in partenza per Nuova York , ci incontrammo con Tennessee Williams . Ernest non ne volle sapere . Lo steward ci informò che Williams viaggiava in prima classe : bene , disse Hemingway , noi viaggeremo in seconda " . Key West non è cambiata dai tempi di Hemingway ( che se ne andò nel Quaranta a Cuba ) , il mare è tale e quale , con molti battelli all ' orizzonte , per via dei cubani . Toby Bruce è rimasto qui , la casa piacevolmente invasa da piante e fiori . Gli chiedo come , quando seppe della morte di Hemingway , che cosa provò allora . Resta un minuto senza rispondere . Poi : " Rimasi addolorato , molto addolorato . Quindi pensai : è bene che sia così . Negli ultimi tempi era molto turbato mentalmente . Mi aveva anche detto , più volte , che non gli sarebbe piaciuto diventare un vegetale . Agiva in maniera strana . Più di una volta non sapeva che tintura mettersi , se questa o quell ' altra ; e cambiava tre volte al giorno la camicia . Ha fatto bene , ha fatto bene . Lo dice uno che gli è stato amico " .