StampaQuotidiana ,
Milano
.
Due
colpi
alla
spalla
sinistra
.
Uno
alla
gamba
destra
,
un
quarto
che
gli
sfiora
la
spalla
destra
e
si
conficca
sotto
una
finestra
.
Walter
Tobagi
,
33
anni
,
presidente
dell
'
Associazione
lombarda
dei
giornalisti
,
inviato
di
punta
del
«
Corriere
della
Sera
»
,
si
accascia
sul
marciapiede
,
l
'
ombrello
sbatte
per
terra
al
suo
fianco
,
la
Parker
schizza
fuori
dal
taschino
,
una
macchia
rossa
si
allarga
sulla
giacca
nera
.
Forse
è
già
incosciente
mentre
si
piega
,
faccia
in
avanti
,
quando
lo
finiscono
con
un
quinto
colpo
:
sotto
l
'
orecchio
sinistro
,
il
colpo
di
grazia
.
Un
'
esecuzione
spietata
,
velocissima
.
Chi
ha
sparato
con
una
calibro
9
corta
è
un
giovane
,
17-18
anni
,
secondo
i
testimoni
,
con
un
baschetto
blu
alla
Nicholson
calato
fin
sugli
occhi
.
Sono
le
11
e
un
quarto
,
minuto
più
minuto
meno
,
in
via
Andrea
Salaino
,
una
piccola
traversa
della
via
Solari
che
porta
alla
via
Valparaiso
.
Negozi
,
una
fabbrica
,
un
ristorante
,
una
scuola
,
palazzi
signorili
e
vecchie
case
popolari
.
All
'
altezza
della
Trattoria
dai
gemelli
,
davanti
al
portone
numero
12
,
un
commando
della
Brigata
28
marzo
ha
eliminato
con
quei
cinque
colpi
secchi
di
pistola
«
il
terrorista
di
Stato
Walter
Tobagi
»
.
Questi
i
termini
con
i
quali
viene
rivendicato
l
'
attentato
mortale
al
centralino
della
nostra
redazione
milanese
un
'
ora
e
mezzo
dopo
,
alle
12
e
54
:
«
Continua
la
campagna
contro
la
stampa
di
regime
.
Seguirà
al
più
presto
un
comunicato
»
.
Quattro
sono
i
componenti
del
commando
assassino
.
Il
giornalista
sapeva
da
tempo
di
essere
nel
mirino
dei
terroristi
:
il
suo
nome
era
comparso
in
un
elenco
trovato
dai
carabinieri
nella
notte
fra
il
10
e
1'11
gennaio
del
'79
in
una
valigetta
«24
ore
»
sotto
una
FIAT
500
parcheggiata
all
'
angolo
fra
piazza
Durante
e
viale
Lombardia
.
Nella
valigetta
c
'
erano
documenti
dei
«
Reparti
comunisti
d
'
attacco
»
e
di
«
Prima
linea
»
,
fra
cui
quell
'
elenco
di
46
nomi
di
magistrati
,
di
avvocati
e
di
tre
giornalisti
.
Uno
era
proprio
lui
,
Walter
Tobagi
.
Venne
convocato
dal
procuratore
capo
Mauro
Gresti
,
gli
fu
suggerito
di
cambiar
città
,
abitudini
,
di
farsi
scortare
.
Tobagi
prese
atto
,
con
rassegnazione
,
della
sua
situazione
,
ma
rifiutò
la
scorta
e
continuò
la
sua
attività
di
giornalista
e
di
sindacalista
.
Certo
,
aveva
coscienza
del
rischio
e
non
lo
nascondeva
,
anzi
lo
confidava
agli
amici
,
ma
con
pudore
.
Anche
la
DIGOS
,
tempo
fa
,
gli
aveva
fatto
capire
che
era
il
caso
di
«
cambiar
aria
»
,
ma
nemmeno
quest
'
ultimo
avvertimento
lo
convinse
a
mutar
parere
.
Un
mese
fa
la
SIP
gli
modificò
il
numero
di
telefono
.
In
realtà
l
'
unico
accorgimento
che
adottò
fu
quello
di
variare
i
propri
orari
,
uscendo
di
casa
alle
ore
più
impensate
.
Ma
non
gli
è
servito
a
nulla
.
Ieri
mattina
la
porta
del
suo
appartamento
al
pianterreno
di
via
Solari
2
,
accanto
quasi
alla
portineria
,
si
è
aperta
alle
11
.
Uno
sguardo
alla
posta
,
un
saluto
al
custode
.
La
moglie
Stella
Olivieri
e
la
piccola
Benedetta
di
tre
anni
(
Luca
,
l
'
altro
figlio
di
7
anni
,
è
a
scuola
)
lo
salutano
,
sono
appena
rientrate
dalla
spesa
.
Tobagi
deve
andare
al
giornale
,
nel
pomeriggio
ha
in
programma
un
viaggio
a
Venezia
,
c
'
è
un
convegno
sulla
«
qualità
della
vita
»
,
lo
ha
seguito
martedì
e
mercoledì
.
Ma
la
sera
di
mercoledì
era
ritornato
a
Milano
per
un
dibattito
al
Circolo
della
Stampa
sui
segreti
professionali
e
istruttorie
,
il
caso
Isman
e
i
verbali
di
Peci
.
È
lui
che
riassume
,
all
'
una
di
notte
,
i
vari
interventi
.
Forse
,
uscendo
di
casa
,
Tobagi
pensa
al
dibattito
della
sera
prima
.
Fuori
pioviggina
come
d
'
autunno
e
siamo
quasi
a
giugno
,
una
primavera
grigia
e
fredda
.
La
sua
Mini
Morris
è
posteggiata
oltre
l
'
isolato
,
dentro
il
garage
«
del
Parco
»
di
via
Valparaiso
7/a
.
Duecento
metri
a
piedi
,
una
passeggiata
che
era
rituale
per
lui
,
costretto
dal
lavoro
a
ore
e
ore
di
scrivania
,
lo
diceva
spesso
agli
amici
,
«
col
nostro
lavoro
non
si
fa
mai
moto
»
.
Walter
,
un
po
'
corpulento
lo
era
,
un
viso
pacioso
,
l
'
aria
sempre
seria
anche
quando
scherzava
,
quel
suo
serrare
le
labbra
e
farle
a
fessura
,
uno
che
da
giovane
,
fin
dai
tempi
del
liceo
Parini
sezione
«
A
»
,
era
ritenuto
il
più
maturo
e
il
più
autorevole
,
nonostante
in
pieno
Sessantotto
la
sua
militanza
cattolica
.
Tobagi
arriva
all
'
incrocio
fra
la
via
Salaino
e
la
via
Solari
,
incerto
se
rimanere
sul
marciapiede
dei
numeri
pari
o
dirigersi
su
quello
opposto
.
Attraversa
la
strada
,
si
avvia
verso
la
via
Valparaiso
.
È
in
questo
momento
che
scatta
il
meccanismo
mortale
dell
'
agguato
.
Probabilmente
è
dal
portone
di
casa
che
il
giornalista
viene
seguito
da
un
giovane
,
pare
.
Ma
a
quell
'
ora
e
in
quella
zona
la
gente
per
strada
è
tanta
,
e
non
si
può
essere
sospettosi
fino
alla
paranoia
.
Tobagi
non
si
accorge
d
'
essere
pedinato
.
E
nemmeno
si
accorge
di
una
Peugeot
204
grigiometallizzata
con
altre
tre
persone
a
bordo
che
lo
supera
a
metà
della
via
Salaino
.
O
forse
no
,
l
'
auto
la
vede
,
osserva
che
rallenta
fino
a
fermarsi
poco
più
avanti
,
di
fronte
al
numero
14
.
Ma
non
realizza
l
'
idea
del
pericolo
.
L
'
auto
scarica
due
persone
.
Una
si
dirige
verso
il
marciapiede
dei
numeri
dispari
,
a
sinistra
,
lo
stesso
del
giornalista
.
L
'
altra
va
sul
marciapiede
di
destra
.
È
un
giovane
,
anzi
un
giovanissimo
,
quello
che
cammina
dalla
stessa
parte
di
Tobagi
,
che
si
acquatta
dietro
una
finta
siepe
,
di
quelle
un
poco
squallide
che
delimitano
l
'
area
«
estiva
»
dei
ristoranti
.
Tobagi
cammina
,
l
'
ombrello
sulla
sinistra
usato
come
bastone
da
passeggio
,
sovrappensiero
.
Passa
davanti
alle
prime
«
siepi
»
della
Trattoria
dai
gemelli
,
con
la
coda
dell
'
occhio
si
accorge
improvvisamente
di
un
'
ombra
.
Non
fa
in
tempo
a
fuggire
,
l
'
ombra
si
materializza
,
un
ragazzo
con
la
pistola
e
un
sacchetto
di
plastica
,
come
nei
film
delle
spie
,
il
sacchetto
di
plastica
per
raccogliere
i
bossoli
e
rendere
più
difficili
le
ricerche
balistiche
.
La
pistola
spara
cinque
volte
,
Tobagi
muore
.
Una
pozzanghera
raccoglie
il
suo
sangue
.
Dalle
finestre
si
urla
,
il
proprietario
della
trattoria
corre
fuori
,
in
tempo
per
vedere
Tobagi
ancora
sussultare
.
Il
killer
intanto
è
balzato
sulla
Peugeot
,
così
come
il
compagno
che
sorvegliava
il
marciapiede
di
destra
e
il
«
pedinatore
»
.
L
'
auto
fa
stridere
le
gomme
,
la
fuga
dei
terroristi
sembra
finire
contro
una
127
arancione
:
all
'
angolo
con
la
via
Valparaiso
,
le
due
auto
si
urtano
,
il
guidatore
della
127
impreca
,
apre
la
porta
,
i
quattro
della
Peugeot
tirano
diritti
verso
la
piazza
Bazzi
,
verso
il
Lorenteggio
,
verso
chissà
dove
.
L
'
auto
della
fuga
alle
sei
del
pomeriggio
non
è
ancora
stata
ritrovata
,
la
polizia
ha
cinque
numeri
della
targa
,
si
sa
che
è
rubata
,
ma
niente
più
.
Di
corsa
dalla
via
Solari
arriva
Stella
Olivieri
,
che
si
trascina
la
piccola
Benedetta
:
da
casa
ha
sentito
sparare
,
ha
avuto
come
un
presentimento
,
poi
le
sirene
.
Arriva
urlando
di
dolore
,
Walter
è
a
faccia
in
giù
,
sul
marciapiede
bagnato
,
immobile
,
una
striscia
di
sangue
che
cola
.
Arriva
dalla
vicina
parrocchia
di
Santa
Maria
del
Rosario
un
sacerdote
,
conosce
da
anni
i
Tobagi
,
è
lui
che
un
mese
fa
ha
dato
la
prima
comunione
a
Luca
.
Arriva
l
'
anziano
papà
di
Walter
,
si
china
sul
cadavere
,
piccolo
,
l
'
impermeabile
grigio
ancora
più
grigio
,
un
'
occhiata
perduta
al
corpo
immobile
:
«
Figlio
,
figlio
mio
,
che
ti
hanno
fatto
,
perché
?
»
urla
.
La
moglie
vuole
anche
lei
vedere
,
ma
glielo
impediscono
.
Comincia
il
rituale
pellegrinaggio
di
autorità
:
ecco
il
generale
Ferrara
dei
carabinieri
;
ecco
il
sindaco
Tognoli
,
socialista
come
socialista
era
Tobagi
;
ecco
gli
occhi
rossi
di
pianto
di
Bruno
Pellegrino
,
segretario
del
club
Turati
,
amico
di
Walter
;
ecco
Ugo
Finetti
,
segretario
provinciale
del
PSI
.
Arriva
il
procuratore
capo
Gresti
.
«
Allucinante
,
ieri
sera
ero
anch
'
io
al
dibattito
sul
segreto
istruttorio
»
dice
.
A
quel
dibattito
,
c
'
erano
un
centinaio
di
giornalisti
milanesi
,
eccoli
tutti
qui
davanti
alla
Trattoria
dai
gemelli
,
chi
con
la
faccia
stravolta
,
chi
incapace
di
parlare
,
per
molti
più
che
un
collega
Tobagi
era
anche
un
amico
.
Arrivano
il
direttore
del
«
Corriere
»
,
Franco
Di
Bella
e
l
'
editore
Rizzoli
:
assieme
agli
amici
più
cari
di
Tobagi
si
recano
a
casa
,
dalla
moglie
.
L
'
auto
nera
dei
becchini
arriva
alle
12
e
45
,
Gaspare
Barbiellini
Amidei
,
il
vicedirettore
del
«
Corriere
»
,
scoppia
in
un
pianto
dirotto
,
nel
pomeriggio
arriverà
all
'
obitorio
anche
il
ministro
Rognoni
.
La
mobilitazione
democratica
della
città
comincia
a
funzionare
,
purtroppo
,
come
tante
altre
volte
,
sette
quest
'
anno
,
per
i
morti
e
altrettante
per
i
feriti
.
Più
in
là
,
nella
casa
di
Walter
,
il
mesto
pellegrinaggio
,
il
padre
e
la
madre
disperati
,
«
mio
figlio
così
buono
che
non
faceva
male
a
una
mosca
»
,
lo
studio
così
vuoto
eppure
pieno
di
gente
impietrita
.
StampaQuotidiana ,
Napoli
,
28
.
La
prima
traccia
,
un
pezzo
di
fusoliera
che
affiorava
sul
pelo
dell
'
acqua
,
è
stata
avvistata
da
un
elicottero
alle
sette
di
mattina
,
circa
60
chilometri
a
nord
dell
'
isola
di
Ustica
.
«
Posizione
39°49'
latitudine
nord
,
12°55'
longitudine
est
»
,
aveva
segnalato
il
pilota
.
Da
quel
momento
,
dopo
una
notte
di
ricerche
affannose
e
inutili
,
il
mare
ha
cominciato
a
restituire
i
brandelli
del
DC9
IH
870
dell
'
Itavia
partito
l
'
altra
sera
alle
ore
20
da
Bologna
con
81
persone
a
bordo
e
mai
arrivato
a
Palermo
:
un
breve
troncone
di
coda
,
un
altro
pezzo
di
fusoliera
,
qualche
solitario
salvagente
,
i
primi
cadaveri
sbattuti
avanti
e
indietro
dalle
onde
forza
4
.
Le
operazioni
di
ricerca
sono
andate
avanti
per
tutta
la
giornata
.
Continueranno
anche
domenica
.
Ma
le
speranze
di
trovare
qualcuno
in
vita
sono
praticamente
nulle
.
Il
compito
delle
unità
navali
ed
aeree
è
realisticamente
solo
quello
di
recuperare
il
recuperabile
,
che
è
poca
cosa
.
Tutto
il
resto
giace
su
un
fondale
irraggiungibile
,
percorso
da
fortissime
correnti
,
a
una
profondità
che
varia
tra
i
3000
e
i
3600
metri
.
A
sera
le
salme
avvistate
e
issate
a
bordo
delle
motolance
erano
35
.
All
'
appello
manca
più
della
metà
dei
passeggeri
.
Soprattutto
manca
la
scatola
nera
,
l
'
unica
che
allo
stato
attuale
potrebbe
stabilire
con
la
sua
memoria
elettronica
le
cause
del
disastro
.
Che
cosa
sia
accaduto
venerdì
sera
tra
il
cielo
stellato
illuminato
dalla
luna
piena
e
il
mare
agitato
del
basso
Tirreno
,
nessuno
è
ancora
in
grado
di
dirlo
.
Il
DC
9
dell
'
Itavia
era
partito
da
Bologna
verso
le
20
,
con
due
ore
di
ritardo
sull
'
orario
previsto
.
Settantasette
i
passeggeri
,
quattro
gli
uomini
dell
'
equipaggio
.
Ai
comandi
Domenico
Gatti
,
44
anni
,
7255
ore
di
volo
alle
spalle
.
L
'
ultimo
contatto
con
la
torre
di
controllo
di
Ciampino
c
'
è
stato
alle
20.55
.
Il
comandante
,
a
causa
dei
venti
contrari
,
aveva
chiesto
di
poter
scendere
di
quota
,
dagli
undici
mila
metri
di
crociera
ai
settemila
.
Dalla
torre
di
controllo
era
arrivato
1'OK
e
l
'
aereo
si
era
abbassato
.
Da
quel
momento
,
il
silenzio
assoluto
.
L
'
IH
870
era
poco
più
in
là
dell
'
isola
di
Ponza
.
Nessuno
aveva
comunicato
avarie
o
difficoltà
tecniche
.
Nessuno
aveva
lanciato
1'SOS
.
A
Palermo
si
è
aspettato
.
Invano
.
Il
DC
9
partito
da
Bologna
non
ha
dato
segni
di
vita
.
Quando
è
scattato
l
'
allarme
,
le
speranze
erano
ormai
ridotte
all
'
osso
.
E
ogni
minuto
che
passava
portava
la
certezza
della
tragedia
.
L
'
autonomia
del
velivolo
,
hanno
fatto
sapere
i
tecnici
,
arrivava
fino
alle
22.34
.
A
quell
'
ora
c
'
è
stata
,
anche
nei
meno
pessimisti
,
la
certezza
della
disgrazia
.
Ma
si
sperava
ancora
.
Magari
che
il
pilota
fosse
riuscito
ad
ammarare
:
le
81
persone
che
erano
a
bordo
potevano
essersi
salvate
con
i
salvagenti
.
Soltanto
un
sottile
filo
a
cui
appendersi
,
ma
un
filo
che
è
durato
fino
all
'
alba
quando
,
dall
'
alto
,
è
arrivata
la
prima
prova
tangibile
che
la
tragedia
si
era
consumata
fino
in
fondo
.
A
Napoli
l
'
allarme
alla
Capitaneria
di
porto
è
arrivato
poco
dopo
le
dieci
di
sera
.
Nel
tratto
di
mare
compreso
tra
Ponza
e
Ustica
,
un
'
area
d
'
acqua
grande
come
una
regione
,
erano
arrivate
le
navi
della
Marina
militare
coordinate
dall
'
incrociatore
Doria
,
quelle
della
Capitaneria
di
porto
,
i
mercantili
e
i
traghetti
che
a
quell
'
ora
si
trovavano
in
viaggio
tra
Palermo
e
Napoli
.
Dagli
aeroporti
della
zona
erano
partiti
gli
elicotteri
,
gli
Atlantic
e
i
caccia
attrezzati
per
compiti
anti
-
sommergibili
,
capaci
di
individuare
una
massa
metallica
a
grandi
profondità
.
Ore
e
ore
di
ricerche
.
Ma
il
DC
9
non
si
trovava
.
Verso
le
cinque
di
mattina
è
arrivata
la
prima
segnalazione
.
Dalla
nave
traghetto
Carducci
era
stata
avvistata
una
macchia
di
carburante
.
La
chiazza
,
però
,
non
proveniva
dal
velivolo
.
Alle
sette
,
finalmente
il
primo
segno
.
Da
un
elicottero
è
stato
comunicato
al
Doria
,
e
da
questo
alla
Capitaneria
di
porto
,
l
'
avvistamento
di
un
pezzo
di
fusoliera
.
La
speranza
,
a
quel
punto
,
era
di
aver
delimitato
,
dopo
ore
di
ricerca
alla
cieca
,
una
zona
su
cui
concentrare
navi
ed
aerei
.
Ma
è
stata
una
nuova
illusione
.
Un
'
altra
parte
del
velivolo
è
stata
infatti
identificata
poco
dopo
da
una
motonave
a
venticinque
miglia
di
distanza
dalla
prima
.
Un
'
altra
,
ancora
più
distante
,
è
stata
incrociata
dal
Carducci
che
si
stava
allontanando
in
direzione
della
Sicilia
.
È
la
conferma
indiretta
che
il
DC
9
è
esploso
in
volo
,
spandendo
a
raggiera
dall
'
alto
,
per
miglia
e
miglia
lamiere
e
cadaveri
.
Sabotaggio
?
Incidente
tecnico
?
Errore
umano
?
Sono
le
domande
a
cui
dovranno
rispondere
le
due
commissioni
di
inchiesta
nominate
rispettivamente
dall
'
Itavia
e
dai
ministeri
della
Marina
e
dei
Trasporti
.
Le
uniche
tracce
sono
,
al
momento
,
le
parti
del
velivolo
recuperate
dai
mezzi
di
soccorso
e
la
registrazione
dell
'
ultimo
rilevamento
radar
effettuato
dall
'
aeroporto
di
Capodichino
,
pochi
minuti
dopo
il
contatto
radio
tra
il
comandante
Gatti
e
la
torre
di
controllo
di
Ciampino
.
Le
ricerche
,
come
si
è
detto
,
continueranno
anche
nella
giornata
di
domenica
.
Le
salme
recuperate
,
42
,
trasbordate
sul
Doria
,
sono
già
partite
in
elicottero
per
Palermo
.
Anche
il
centro
di
coordinamento
delle
operazioni
,
sinora
guidate
da
Napoli
,
dovrebbe
spostarsi
nelle
prossime
ore
nella
città
siciliana
.
La
lotta
per
strappare
al
mare
almeno
i
corpi
da
restituire
ai
parenti
in
attesa
,
è
,
ora
,
anche
contro
il
tempo
.
In
serata
una
motovedetta
si
è
imbattuta
in
quello
che
molti
temevano
:
un
branco
di
squali
.
StampaQuotidiana ,
Bologna
,
2
.
È
la
guerra
.
Un
pezzo
di
guerra
dentro
una
città
ordinata
,
civile
e
tranquilla
.
Un
pezzo
di
guerra
che
si
è
abbattuto
su
questa
vecchia
stazione
attraverso
la
quale
tutti
siamo
passati
,
decine
di
volte
,
nella
nostra
vita
.
E
rivederla
oggi
così
sconvolta
,
invasa
dai
vigili
del
fuoco
,
da
infermieri
,
dai
militari
,
tutti
con
le
mascherine
sulla
bocca
e
gli
occhi
allucinati
,
faceva
male
al
cuore
.
«
È
come
in
guerra
»
diceva
un
poliziotto
giovane
.
E
lui
che
la
guerra
finora
l
'
aveva
vista
solo
al
cinema
,
ne
viveva
imprevedibilmente
un
atto
,
e
quale
atto
!
,
in
questo
primo
sabato
d
'
agosto
riservato
tutt
'
al
più
a
qualche
incidente
stradale
dovuto
al
Grande
Esodo
.
«
Trent
'
anni
di
stazione
ho
fatto
»
mi
sussurra
un
ferroviere
con
gli
occhiali
,
alto
,
anziano
,
offrendomi
una
sigaretta
con
la
mano
che
trema
«
ma
non
ho
mai
visto
una
cosa
simile
.
Nemmeno
in
guerra
.
»
Torna
sulla
bocca
di
tutti
la
parola
che
evoca
la
strage
inutile
,
incomprensibile
.
E
come
in
guerra
a
chi
tocca
tocca
.
Tra
le
vittime
ci
sono
sempre
,
come
nei
bollettini
dei
bombardamenti
,
tante
donne
e
bambini
,
perché
sono
loro
i
più
goffi
,
impacciati
,
lenti
nel
cercare
e
trovare
una
via
di
fuga
.
Ma
poi
che
via
di
fuga
potevano
immaginar
di
cercare
,
questi
viaggiatori
,
che
nei
sottopassaggi
e
sulla
banchina
aspettavano
un
treno
che
doveva
condurli
al
sole
,
alle
vacanze
al
mare
?
Avevano
zaini
,
pacchi
,
borse
di
plastica
,
valigie
zeppe
di
sandali
,
costumi
da
bagno
,
magliette
e
jeans
,
riempite
ieri
sera
in
allegria
.
Ora
queste
loro
povere
cose
colorate
si
ammucchiano
contro
le
pareti
nell
'
atrio
della
stazione
,
e
questi
bagagli
sventrati
serviranno
forse
soltanto
a
facilitare
un
riconoscimento
.
E
ne
viene
una
pena
,
un
'
amarezza
,
un
dolore
acuto
,
come
se
ognuno
di
quegli
oggetti
ci
appartenesse
,
come
se
ognuna
di
quelle
vittime
sconosciute
facesse
un
po
'
parte
anche
della
nostra
famiglia
.
Tutti
gli
orologi
della
stazione
sono
fermi
alle
10.25
.
È
fermo
l
'
orologio
dell
'
atrio
sopra
il
tabellone
degli
arrivi
e
partenze
,
oggi
inutile
,
sopra
l
'
edicola
dei
giornali
chiusa
.
È
fermo
l
'
orologio
esterno
sul
frontone
della
stazione
dove
si
fermavano
i
taxi
per
scaricare
i
viaggiatori
in
partenza
.
Il
piazzale
è
tenuto
sgombro
dalla
polizia
e
dall
'
esercito
.
C
'
è
molta
gente
dietro
le
transenne
.
Ma
non
c
'
è
un
grido
:
né
un
'
invettiva
,
né
una
protesta
.
E
ciò
che
stupisce
,
e
dà
una
sensazione
di
irrealtà
,
è
proprio
questo
silenzio
appena
rotto
dall
'
ordine
di
un
medico
che
chiama
una
barella
per
l
'
ultimo
cadavere
estratto
dalle
macerie
.
E
in
silenzio
le
infermiere
corrono
chiuse
nel
loro
camice
bianco
,
la
mascherina
allacciata
sul
volto
,
le
mani
nei
guanti
gialli
di
gomma
a
raccogliere
un
altro
corpo
massacrato
.
Ci
gettano
sopra
rapidamente
un
lenzuolo
,
con
gesti
accorti
.
Ed
è
tutto
.
Qualcuno
segna
un
numero
.
L
'
identificazione
avverrà
,
se
sarà
possibile
,
più
tardi
.
Tutt
'
intorno
,
davanti
alla
stazione
,
ci
sono
le
ambulanze
,
è
la
Croce
Viola
di
Bologna
,
la
Croce
Rossa
di
Modena
,
ci
sono
i
furgoni
bianchi
dell
'
Associazione
Maria
Buturini
di
Barberino
di
Mugello
,
del
Centro
di
rianimazione
di
Parma
.
Decine
di
mezzi
di
soccorso
,
da
tutta
la
regione
e
dalle
province
vicine
,
si
sono
concentrati
qui
,
in
questo
pezzo
di
guerra
,
in
questo
spezzone
di
trincea
,
a
curare
la
ferita
che
si
è
aperta
come
una
voragine
a
fianco
del
binario
numero
1
,
dove
transitano
i
rapidi
Roma
-
Milano
e
Milano
-
Roma
.
Un
'
ala
intera
della
stazione
,
quella
che
dall
'
ingresso
porta
a
sinistra
ai
binari
3
,
4
e
5
attraverso
i
relativi
sottopassaggi
,
è
crollata
sotto
la
violenta
,
inspiegabile
esplosione
.
I
pompieri
sui
loro
ponteggi
verniciati
di
rosso
si
muovono
rapidi
,
sgombrando
travi
e
macerie
.
Di
tanto
in
tanto
,
un
nuovo
crollo
solleva
polvere
e
calcinacci
.
Fa
caldo
,
ormai
c
'
è
un
sole
a
picco
.
Appoggiate
alle
biciclette
,
ragazze
in
vestiti
leggeri
,
giovani
in
canottiera
,
uomini
anziani
,
osservano
senza
parlare
il
trasporto
dei
cadaveri
sulle
barelle
.
Di
una
donna
si
vedono
solo
i
piedi
nelle
scarpe
di
gomma
e
le
caviglie
gonfie
.
«
Doveva
essere
vecchia
»
mormora
qualcuno
al
mio
fianco
.
E
lo
dice
con
tenerezza
.
I
cadaveri
vengono
caricati
su
un
autobus
che
ha
ancora
la
sua
brava
targa
in
vista
.
È
il
numero
37
.
Ai
finestrini
sono
stati
stesi
teli
bianchi
.
Un
domenicano
sta
fermo
davanti
al
predellino
e
,
mano
a
mano
che
arrivano
,
dà
l
'
assoluzione
«
sotto
condizione
»
a
quelle
povere
salme
.
Il
tempo
passa
rapido
ma
interminabile
.
Sulla
città
è
scesa
un
'
afa
pesante
.
Però
la
gente
non
si
allontana
dal
piazzale
della
stazione
.
Anzi
,
altra
gente
arriva
e
si
ferma
senza
parlare
.
E
,
sotto
i
loro
occhi
,
continua
a
svolgersi
il
rito
delle
barelle
chiamate
di
corsa
,
caricate
di
un
corpo
avvolto
in
un
lenzuolo
,
depositate
nell
'
autobus
numero
37
.
«
Forse
adesso
arriva
Pertini
»
dice
qualcuno
.
Un
altro
commenta
:
«
La
guerra
civile
è
la
peggiore
di
tutte
le
guerre
»
.
Il
cielo
è
quasi
grigio
.
La
città
è
come
ferma
,
attonita
,
silenziosa
.
Per
arrivare
alla
stazione
ho
attraversato
lunghe
strade
vuote
.
Dai
muri
,
un
manifesto
annuncia
per
domani
uno
show
di
Renato
Zero
.
Bar
e
negozi
chiusi
.
Forse
soltanto
perché
è
sabato
pomeriggio
,
ma
forse
anche
perché
la
città
è
già
naturalmente
in
lutto
.
Comunque
,
appare
così
a
chi
arriva
.
Mentre
le
ore
passano
,
una
disperata
stanchezza
sembra
scendere
sulle
ragazze
vestite
di
bianco
,
i
pompieri
,
i
poliziotti
,
i
soldati
,
i
ferrovieri
che
hanno
occupato
da
stamattina
la
stazione
.
Il
piccolo
domenicano
che
assolve
si
asciuga
il
sudore
della
fronte
e
non
vuol
dire
il
suo
nome
.
Ma
c
'
è
su
queste
facce
stanche
anche
una
straordinaria
compostezza
,
il
rifiuto
ad
abbandonarsi
a
gesti
di
nervosismo
e
di
isteria
.
La
stessa
compostezza
si
legge
sui
volti
della
gente
che
continua
ad
ammassarsi
contro
le
transenne
senza
premere
,
senza
protestare
,
senza
gridare
.
Questa
compostezza
,
quest
'
ordine
,
questa
severità
,
questa
stanchezza
controllata
,
sembrano
il
connotato
essenziale
della
città
.
È
come
se
tutti
camminassero
un
po
'
in
punta
di
piedi
,
come
se
tutti
parlassero
a
bassa
voce
.
Non
solo
e
non
tanto
perché
ci
sono
questi
morti
da
estrarre
e
seppellire
,
ma
come
per
voler
riflettere
su
se
stessi
,
sulla
propria
storia
,
sul
proprio
particolare
di
essere
.
E
questi
morti
forniscono
all
'
esame
di
coscienza
un
ulteriore
elemento
di
riflessione
.
«
Dio
,
quante
cose
son
successe
in
questi
anni
»
confessa
,
quasi
a
se
stessa
,
una
donna
anziana
.
Nessuno
crede
all
'
incidente
.
La
tragedia
viene
vissuta
fino
in
fondo
come
una
tragedia
politica
,
come
un
ulteriore
prezzo
che
la
città
paga
a
un
'
aggressione
di
cui
non
sono
chiari
né
l
'
origine
e
né
il
fine
.
E
questa
oscurità
genera
nuova
sofferenza
.
«
Una
volta
»
dice
uno
«
sapevamo
chi
era
il
nemico
»
.
Una
volta
.
Quando
c
'
era
la
guerra
vera
.
Si
combatteva
e
si
moriva
anche
allora
,
ma
era
un
'
altra
cosa
,
faccia
a
faccia
,
ognuno
lealmente
sotto
la
sua
bandiera
.
Ora
la
città
ha
l
'
impressione
di
essere
obiettivo
di
un
nemico
invisibile
e
imprendibile
,
come
in
un
'
allucinazione
.
E
per
difendersi
,
la
gente
non
sa
che
fare
se
non
stringersi
l
'
uno
con
l
'
altro
,
come
dietro
quelle
transenne
,
aspettando
che
arrivi
Pertini
,
in
silenzio
e
in
dignità
.
Così
è
Bologna
in
queste
ore
.
Da
un
muro
,
un
manifesto
che
ricorda
la
strage
dell
'
Italicus
sembra
l
'
unico
grido
di
protesta
.
E
se
anche
la
tragedia
di
oggi
avesse
quel
segno
?
Ma
che
segno
aveva
esattamente
la
tragedia
dell
'
Italicus
?
StampaQuotidiana ,
Danzica
,
30
.
Quando
Walesa
e
Jagielski
firmano
il
protocollo
dell
'
accordo
la
forza
della
solennità
assume
inevitabilmente
i
tratti
del
freddo
formalismo
:
i
volti
sono
tesi
e
commossi
,
ma
l
'
applauso
di
tutti
esprime
grande
emozione
.
Così
-
come
si
conviene
ad
un
patto
tra
due
potenze
eguali
e
sovrane
-
è
nato
il
primo
sindacato
libero
di
un
paese
socialista
:
e
per
la
prima
volta
un
partito
comunista
al
potere
ha
dovuto
rinegoziare
il
suo
accordo
con
una
classe
operaia
di
cui
l
'
ortodossia
ufficiale
gli
dava
una
delega
assiomatica
fino
al
dogma
.
Sono
le
11
e
20
di
una
giornata
calda
e
nuvolosa
e
ai
cantieri
Lenin
tensione
e
nervosismo
si
esprimono
in
una
insolita
riservatezza
e
nel
silenzioso
affollamento
di
familiari
,
amici
e
simpatizzanti
davanti
all
'
emblematico
cancello
numero
2
.
Poche
ore
prima
era
giunta
la
notizia
dell
'
accordo
siglato
a
Stettino
:
libere
e
segrete
elezioni
nei
sindacati
ufficiali
il
cui
svolgimento
sarà
controllato
dal
Comitato
unitario
.
La
richiesta
di
un
sindacato
autonomo
-
su
cui
Danzica
non
mollava
-
era
stata
dunque
aggirata
,
mentre
in
tutta
la
zona
facevano
la
loro
ostentata
ricomparsa
polizia
ed
esercito
.
Così
quando
Jagielski
è
comparso
alle
11
pochi
lo
aspettavano
nella
grande
sala
per
le
conferenze
dei
cantieri
Lenin
.
Aveva
già
mancato
tre
appuntamenti
senza
fornire
giustificazioni
.
E
intanto
,
da
Varsavia
giungevano
insistenti
voci
di
un
improvviso
e
decisivo
irrigidimento
dell
'
ufficio
politico
.
Il
violento
fondo
di
«
Trybuna
Ludu
»
-
rispolverava
la
vecchia
formula
delle
forze
antisocialiste
-
e
l
'
apparire
di
esercito
e
polizia
indicavano
la
scelta
di
una
prova
di
forza
annunciata
con
discrezione
e
ufficialità
a
giornalisti
e
funzionari
dei
partiti
«
amici
»
(
fornendo
persino
la
data
di
lunedì
)
.
Che
cosa
sia
poi
successo
in
queste
riunioni
convulse
da
ritmo
continuo
dell
'
ufficio
politico
è
presto
per
poterlo
dire
.
Ma
quando
ieri
sera
alle
8
Stephan
Olsowskj
non
è
comparso
alla
televisione
si
cominciava
a
capire
che
l
'
accordo
poteva
ancora
essere
saltato
:
una
decisione
così
drammatica
vuole
infatti
un
rituale
di
formale
unità
a
cui
evidentemente
Olsowskj
-
diventato
il
portabandiera
di
un
rinnovamento
profondo
del
partito
-
non
ha
voluto
sottostare
.
Al
suo
posto
è
comparso
Barcikoski
-
l
'
uomo
che
ha
trattato
a
Stettino
-
in
un
discorso
in
cui
le
minacce
hanno
prevalso
sulle
aperture
:
lo
stato
d
'
emergenza
era
dunque
già
scattato
quando
Jagielski
ha
fatto
il
suo
inaspettato
ingresso
nella
sala
a
vetri
della
trattativa
.
Pallido
e
teso
era
seguito
da
una
delegazione
insolitamente
folta
-
una
decina
di
persone
-
a
sottolineare
l
'
imminenza
di
una
decisione
solenne
.
Quando
ha
cominciato
a
parlare
molti
dei
suoi
interlocutori
-
e
fra
essi
il
presidente
della
commissione
di
esperti
Mazowieczi
-
non
hanno
nemmeno
pensato
a
sedersi
.
Ma
la
forte
tensione
accumulata
nelle
ultime
ore
si
è
sciolta
alle
prime
parole
:
Jagielski
rendeva
omaggio
al
senso
di
responsabilità
degli
scioperanti
,
ringraziava
gli
esperti
«
per
l
'
enorme
contributo
»
,
parlava
di
«
piattaforma
valida
»
in
un
crescendo
di
concessioni
e
riconoscimenti
che
anticipavano
lo
sblocco
della
situazione
:
a
nome
del
partito
Jagielski
dichiarava
infine
di
accettare
i
primi
due
punti
-
sindacato
indipendente
e
diritto
di
sciopero
-
della
piattaforma
del
Baltico
.
Sono
le
richieste
fondamentali
e
irrinunciabili
uscite
da
questa
lunga
agitazione
che
ha
costretto
il
partito
a
rassegnarsi
ad
un
ridimensionamento
dei
suoi
poteri
.
«
Ora
sono
pronto
a
firmare
»
ha
dichiarato
sbrigativamente
Jagielski
«
e
a
portare
il
documento
al
Plenum
del
Comitato
Centrale
che
si
riunisce
alle
3
,
poi
sarò
di
nuovo
qui
da
voi
stasera
per
concludere
il
negoziato
»
.
A
questo
punto
nella
grande
sala
dei
delegati
operai
e
nei
cortili
dei
cantieri
collegati
con
gli
altoparlanti
,
è
scoppiato
l
'
applauso
:
il
segno
del
rompersi
di
una
lunga
incomunicabilità
che
ha
portato
la
Polonia
sull
'
orlo
del
dramma
.
Poi
è
cominciato
un
dialogo
secco
e
asciutto
che
-
nella
sua
rapidità
-
ha
riproposto
le
diffidenze
dei
due
poteri
così
a
lungo
contrapposti
ma
ha
anche
consumato
le
ultime
fiammate
di
ostilità
.
«
Ma
la
sua
decisione
sarà
condivisa
dal
Plenum
?
»
ha
insistito
Walesa
.
«
Penso
proprio
di
potervelo
quasi
garantire
»
.
«
Ma
noi
vogliamo
piena
garanzia
non
solo
per
quelli
che
hanno
scioperato
ma
anche
per
quelli
che
li
hanno
aiutati
»
(
egualmente
puniti
dalla
legge
attuale
)
.
«
Le
avrete
»
ha
risposto
Jagielski
«
la
nuova
legge
sancirà
il
diritto
di
sciopero
»
.
«
E
i
prigionieri
politici
?
»
.
«
Non
esistono
in
questo
paese
»
.
«
Forse
è
vero
»
ha
replicato
Walesa
«
però
c
'
è
troppa
gente
che
va
e
viene
dal
carcere
»
.
«
Ci
metteremo
d
'
accordo
»
ha
tagliato
corto
Jagielski
.
«
Allora
lunedì
tornerete
al
lavoro
?
»
ha
insistito
il
vice
primo
ministro
.
«
Sì
,
ma
solo
se
tutto
sarà
messo
sulla
carta
in
modo
molto
chiaro
e
definitivo
»
.
«
Ma
dobbiamo
far
presto
,
il
tempo
lo
abbiamo
:
di
qui
a
lunedì
ci
sono
quasi
due
giorni
.
Poi
»
ha
riso
Jagielski
«
oggi
è
il
giorno
della
Madonna
e
le
cose
non
potevano
che
andar
bene
»
.
Il
riferimento
-
sul
cancello
dei
cantieri
campeggia
l
'
immagine
della
Madonna
Nera
e
di
papa
Wojtyla
-
ha
il
sapore
di
un
'
importante
concessione
psicologica
,
ma
esprime
anche
la
promessa
di
una
minore
rigidità
ideologica
:
è
dunque
l
'
accenno
più
esplicito
e
sentito
alla
necessità
di
un
recupero
del
consenso
sociale
.
Nelle
sale
dei
cantieri
la
tensione
si
rilassa
definitivamente
e
scoppia
una
grande
risata
,
la
prima
sentita
e
irrefrenabile
in
questi
ventun
giorni
di
occupazione
che
promettono
di
cambiare
il
volto
della
Polonia
moderna
.
Quindi
tutto
si
irrigidisce
in
un
protocollo
solenne
e
formale
:
Jagielski
e
Walesa
firmano
il
documento
(
e
tutti
gli
esperti
sono
in
piedi
)
;
si
approva
una
risoluzione
comune
-
a
saldare
un
rapporto
ritrovato
-
in
cui
governo
e
Comitato
unitario
ufficializzano
la
commissione
mista
per
proseguire
i
lavori
;
quindi
una
veloce
stretta
di
mano
e
Jagielski
si
infila
rapido
e
impaziente
nel
solito
tunnel
operaio
,
a
cui
riesce
persino
a
strappare
qualche
applauso
.
Walesa
-
circondato
dagli
operai
-
raggiunge
invece
tra
le
ovazioni
il
cancello
numero
2
a
calmare
l
'
impazienza
dei
familiari
.
È
finalmente
il
momento
delle
emozioni
:
molti
pregano
,
tutti
gridano
«
Vittoria
»
,
dalle
finestre
dell
'
astanteria
le
infermiere
gettano
fiori
.
Sono
da
poco
passate
le
12
e
la
radio
nazionale
interrompe
le
trasmissioni
per
annunciare
l
'
accordo
:
in
poco
meno
di
un
'
ora
il
panorama
politico
e
sociale
polacco
sembra
già
profondamente
cambiato
.
Nella
sala
delle
trattative
gli
intellettuali
scelti
dagli
operai
per
condurre
una
trattativa
che
sembrava
impossibile
sono
i
più
eccitati
e
a
tratti
increduli
.
«
Sono
commosso
»
ripete
con
nervosa
insistenza
lo
scrittore
cattolico
Mazowiecki
«
tanto
commosso
,
e
finalmente
mi
sento
stanco
.
»
Il
sociologo
Jan
Stephanski
mi
mostra
la
«
tessera
da
esperto
»
.
«
È
la
laurea
più
ambita
e
bella
della
mia
vita
»
afferma
«
questa
classe
operaia
è
stata
magnifica
,
si
è
mossa
a
nome
di
tutta
la
nazione
.
Lei
si
stupisce
?
Ma
io
li
ho
trovati
preparatissimi
:
hanno
una
storia
sconosciuta
,
fatta
di
continue
e
profonde
delusioni
attraverso
cui
hanno
raggiunto
una
notevole
maturità
.
Per
loro
è
diventato
un
punto
d
'
onore
ridefinire
il
ruolo
della
classe
operaia
,
nel
cui
nome
ha
parlato
per
tanti
anni
una
burocrazia
autocratica
e
spesso
imbecille
.
Mi
creda
:
non
abbiamo
mai
avuto
un
grande
successo
coi
nostri
patetici
appelli
ad
un
superato
realismo
.
Sono
decisi
a
conquistare
una
dignità
di
interlocutori
a
qualunque
costo
.
Se
si
governa
in
loro
nome
bisogna
anche
consultarli
»
.
Ma
forse
si
rischiava
la
catastrofe
?
domandiamo
.
«
Vivendo
con
loro
ho
capito
che
non
c
'
erano
alternative
:
il
distacco
con
il
potere
è
troppo
profondo
.
Se
avessero
ceduto
ci
sarebbe
stata
una
prossima
volta
e
senza
quel
minimo
di
possibilità
di
mediazione
che
oggi
ancora
sembra
esistere
.
E
la
prossima
volta
sarebbe
stata
davvero
una
catastrofe
»
.
Ma
in
molti
l
'
improvvisa
vittoria
suscita
incredulità
:
«
C
'
è
ancora
molta
gente
in
prigione
»
afferma
Mazowiecki
indicandomi
la
moglie
di
Kuron
,
il
leader
del
Kor
arrestato
nei
giorni
scorsi
.
«
Ma
ci
sono
anche
molte
ambiguità
di
fondo
che
attendono
un
chiarimento
»
interviene
un
giurista
«
vedremo
come
si
metterà
la
trattativa
sulla
stesura
dell
'
accordo
»
.
Sono
le
perplessità
inevitabili
di
una
svolta
che
tratteggia
un
esperimento
senza
precedenti
e
i
cui
limiti
interni
ed
esterni
sono
praticamente
sconosciuti
.
La
stessa
repentina
svolta
delle
ultime
ore
sta
ad
indicare
le
profonde
resistenze
verso
una
decisione
che
ridimensiona
,
come
detto
,
il
partito
per
inserire
tratti
di
pluralismo
sconosciuti
in
questi
paesi
.
Si
sa
che
la
Chiesa
-
da
sempre
cerniera
del
consenso
in
Polonia
-
ha
giocato
un
ruolo
fondamentale
nel
fare
da
potente
contrappeso
alle
tentazioni
ortodosse
:
ha
visto
sacrificato
il
cardinale
Wyszynski
su
quella
che
sembrava
l
'
ultima
linea
di
difesa
-
l
'
appello
al
realismo
e
alla
patria
di
Gierek
-
e
poi
ha
certamente
fatto
sentire
il
suo
peso
nell
'
evitare
quella
soluzione
di
forza
che
si
stava
profilando
.
Ma
quale
ruolo
ha
giocato
l
'
Unione
Sovietica
?
Ha
accettato
una
soluzione
in
una
zona
inquieta
,
dove
i
paesi
sono
da
sempre
legati
come
vasi
comunicanti
,
che
introduce
certamente
un
elemento
di
notevole
turbativa
?
E
quali
limiti
ha
posto
?
Nell
'
eccitata
Polonia
di
oggi
si
parla
molto
di
Afghanistan
-
che
legherebbe
le
mani
a
Mosca
-
di
situazioni
sociali
ed
economiche
insostenibili
e
che
possono
essere
rimosse
senza
compromettere
una
stabilità
interna
a
cui
anche
Breznev
dovrebbe
avere
interesse
.
Di
alleanze
su
cui
i
problemi
interni
non
possono
incidere
.
«
Il
problema
di
fondo
»
afferma
Stephanski
«
è
che
questa
volta
una
intera
classe
operaia
ha
rifiutato
la
burocrazia
di
partito
.
Uno
scontro
avrebbe
lasciato
del
tutto
nuda
l
'
ortodossia
ufficiale
.
Ma
ora
il
problema
è
di
sapere
realizzare
un
esperimento
che
certamente
metterà
a
dura
prova
la
nostra
capacità
di
gestire
le
necessità
interne
senza
incidere
nelle
esigenze
esterne
»
.
Un
equilibrio
da
cui
dipende
quello
che
potrebbe
essere
il
primo
serio
tentativo
sovietico
di
una
«
democratizzazione
pilotata
»
nelle
sue
zone
di
influenza
.
StampaQuotidiana ,
Firenze
.
Sono
bellissimi
.
Non
ci
vuole
l
'
occhio
dell
'
esperto
per
capirlo
.
Sono
bellissimi
,
e
nella
sala
angusta
e
male
illuminata
che
li
ospita
al
Museo
Archeologico
di
Firenze
,
in
mezzo
al
cicaleccio
festoso
delle
scolaresche
portate
in
visita
e
subito
conquistate
,
in
mezzo
alle
signore
impressionate
,
alle
comitive
di
giapponesi
che
commentano
tiepidamente
«
They
'
re
nice
»
,
belli
,
ma
escono
un
po
'
più
silenziosi
,
in
mezzo
a
chi
li
disegna
(
fotografarli
è
proibito
)
,
in
mezzo
al
discutere
degli
esperti
e
,
sostiene
qualcuno
,
in
mezzo
ai
tedeschi
e
agli
americani
coi
baffi
finti
e
le
microcamere
nascoste
intenti
a
valutarli
,
soppesarli
,
dargli
un
prezzo
,
sono
anche
più
inquietanti
:
con
la
loro
serenità
antica
,
la
loro
straordinaria
maestà
,
la
loro
perfetta
armonia
.
Con
buona
pace
di
Rudolf
Otto
,
l
'
aggettivo
,
per
loro
,
è
«
numinoso
»
:
dall
'
antichità
,
si
sono
portati
dietro
qualcosa
di
sacro
.
Siamo
davanti
ai
due
grandi
bronzi
rinvenuti
casualmente
a
Riace
,
in
Calabria
,
otto
anni
fa
.
Tutto
comincia
come
in
un
film
di
Spielberg
,
un
bel
mattino
d
'
agosto
.
Due
subacquei
si
stanno
immergendo
tranquilli
al
largo
di
Riace
Marina
,
vicino
a
Reggio
Calabria
,
a
circa
trecento
metri
dalla
riva
,
in
un
punto
dove
la
profondità
del
mare
non
supera
gli
otto
metri
.
Quando
uno
dei
due
vede
un
braccio
umano
.
Il
primo
pensiero
è
:
un
cadavere
.
E
vengono
subito
chiamati
i
carabinieri
.
I
«
cadaveri
»
sono
due
e
sono
in
realtà
due
grandi
bronzi
(
due
metri
uno
,
un
metro
e
novantotto
l
'
altro
)
complessivamente
in
buone
condizioni
,
nonostante
il
soggiorno
di
venticinque
secoli
in
quel
fondale
:
con
una
gran
chioma
ricciuta
e
trattenuta
da
un
nastro
uno
,
l
'
altro
con
una
bizzarra
testa
tronca
che
sicuramente
era
coperta
da
un
elmo
,
perduto
,
come
le
lance
e
gli
scudi
delle
due
statue
.
Dopo
il
recupero
ordinato
dal
sovrintendente
Giuseppe
Foti
e
dopo
le
prime
cure
,
i
due
guerrieri
vengono
portati
per
un
restauro
conservativo
più
completo
a
Firenze
.
E
qui
,
per
cinque
anni
,
una
équipe
di
esperti
porta
avanti
il
classico
miracolo
d
'
ingegno
all
'
italiana
,
liberando
le
statue
delle
incrostazioni
marine
,
proteggendo
il
bronzo
dalle
conseguenze
dell
'
azione
corrosiva
della
salsedine
e
stabilizzandolo
.
Le
fotografie
che
documentano
la
«
cura
»
,
esposte
alla
mostra
,
sono
impressionanti
:
quasi
che
sul
lettino
operatorio
dei
tecnici
se
ne
stessero
sdraiati
,
con
tutta
la
loro
maestà
,
due
dèi
.
Poi
,
a
restauro
ultimato
,
la
mostra
quasi
clandestina
(
senza
pubblicità
,
senza
battage
di
uffici
stampa
,
con
pochi
o
niente
manifesti
murali
,
in
una
sala
del
Museo
Archeologico
di
Firenze
,
sotto
il
titolo
pudico
I
grandi
bronzi
di
Riace
.
Un
restauro
archeologico
)
,
che
si
è
chiusa
domenica
scorsa
.
Clandestina
forse
nelle
intenzioni
.
Perché
mai
,
come
in
questa
occasione
,
la
gente
ha
parlato
,
la
voce
è
corsa
da
amico
ad
amico
;
finché
,
a
furor
di
popolo
,
la
chiusura
della
mostra
è
stata
rinviata
una
prima
volta
.
Poi
è
venuto
il
presidente
Pertini
,
esprimendo
l
'
opinione
che
la
mostra
dovesse
restare
aperta
.
Poi
si
è
diffusa
la
voce
di
una
riapertura
il
14
febbraio
.
Poi
è
arrivato
il
ministro
dei
Beni
Culturali
,
e
ha
promesso
un
decreto
che
lascerebbe
per
qualche
tempo
ancora
le
due
statue
a
Firenze
;
dove
il
soprintendente
si
riprometterebbe
,
in
tal
caso
,
di
trasformare
l
'
avvenimento
in
una
grancassa
per
il
successivo
trasferimento
a
Reggio
Calabria
...
In
realtà
,
da
domenica
la
sala
del
Museo
Archeologico
si
è
chiusa
,
forse
per
sempre
.
E
i
due
guerrieri
di
Riace
si
preparano
ad
essere
imballati
e
trasportati
a
Reggio
Calabria
,
alla
cui
giurisdizione
appartengono
per
legge
.
E
a
Reggio
Calabria
non
si
sa
quando
saranno
di
nuovo
visibili
:
perché
bisogna
aspettare
che
attorno
a
questi
due
bronzi
(
tra
i
pochi
superstiti
dell
'
antichità
greca
,
insieme
al
Poseidon
del
Museo
Archeologico
di
Atene
e
all
'
Auriga
di
Delfi
)
venga
creata
una
struttura
adeguata
,
uno
spazio
adatto
,
sistemi
antifurto
,
le
indispensabili
basi
antisismiche
.
E
bisogna
soprattutto
dare
inizio
una
buona
volta
agli
indispensabili
lavori
di
ricerca
.
Perché
,
come
per
tutte
le
grandi
bellezze
greche
,
anche
per
gli
indubitabilmente
greci
bronzi
di
Riace
corre
il
rischio
di
scoppiare
una
guerra
.
In
questo
caso
,
la
guerra
delle
attribuzioni
e
delle
identificazioni
.
Il
primo
a
dire
la
sua
,
anche
se
di
fronte
al
ristretto
pubblico
di
un
congresso
archeologico
a
Delfi
,
è
stato
l
'
illustre
studioso
tedesco
Werner
Fuchs
.
Per
lui
non
ci
sono
dubbi
:
si
tratta
di
due
eroi
del
donario
di
Maratona
a
Delfi
.
E
cioè
del
donario
che
gli
Ateniesi
offrirono
al
santuario
di
Delfi
dopo
la
vittoria
contro
i
Persiani
del
490
a.C.
E
cioè
,
si
tratterebbe
di
due
opere
di
Fidia
,
lo
scultore
del
Partenone
,
il
massimo
artista
della
Grecia
classica
.
Della
stessa
idea
è
Antonio
Giuliano
,
professore
di
archeologia
e
storia
dell
'
arte
antica
all
'
Università
di
Roma
.
«
Sono
sicuramente
originali
greci
.
E
per
motivi
iconografici
,
formali
,
stilistici
,
sono
databili
tra
il
460
e
il
450
avanti
Cristo
.
Perché
?
Ma
per
il
trattamento
dell
'
anatomia
,
delle
teste
,
per
certe
annotazioni
singolari
come
i
capezzoli
di
rame
,
i
denti
d
'
argento
,
gli
occhi
d
'
avorio
,
che
li
assimilano
all
'
Auriga
di
Delfi
.
E
quanto
all
'
autore
,
non
ci
possono
essere
dubbi
.
O
siamo
davanti
a
due
bronzi
di
Onatas
,
lo
scultore
di
Egina
,
o
siamo
davanti
a
due
bronzi
di
Fidia
.
Io
penso
a
Fidia
.
Anzi
l
'
ho
anche
scritto
,
più
di
un
anno
fa
»
.
Basta
leggere
Pausania
,
spiega
.
Dove
(
X
.
10.1
)
l
'
autore
parla
del
donario
,
fatto
dagli
Ateniesi
a
Delfi
con
la
«
decima
»
della
vittoria
di
Maratona
,
e
«
formato
da
tredici
figure
,
da
un
'
Atena
,
da
un
Apollo
,
da
un
Milziade
e
da
dieci
eroi
attici
»
,
probabilmente
gli
eroi
eponimi
delle
tribù
.
«
Statue
di
questa
importanza
non
possono
essere
state
ignorate
dalle
fonti
.
Non
c
'
è
che
da
leggerle
,
e
allora
non
è
necessario
essere
Sherlock
Holmes
per
scoprire
da
dove
vengono
.
Si
prendono
le
impronte
dei
piedi
dei
due
bronzi
,
e
si
va
in
Grecia
,
dove
si
ritiene
che
le
statue
fossero
collocate
,
e
si
accerta
se
aderiscono
alle
basi
»
.
Elementare
.
Eppure
,
a
otto
anni
di
distanza
dal
ritrovamento
,
questo
non
è
ancora
stato
fatto
,
se
non
altro
per
mettere
un
freno
alle
fantasie
.
Ma
c
'
è
anche
chi
getta
acqua
sul
fuoco
.
Per
esempio
Enrico
Paribeni
,
professore
di
archeologia
all
'
Università
di
Firenze
.
Il
quale
pensa
addirittura
che
i
due
bronzi
non
siano
coevi
(
quello
ricciuto
sarebbe
effettivamente
del
quinto
secolo
a.C.
,
cioè
dell
'
età
di
Fidia
,
ma
il
secondo
sarebbe
più
recente
,
e
precisamente
dell
'
inizio
del
quarto
secolo
)
.
Quanto
a
Fidia
,
a
Paribeni
l
'
attribuzione
proprio
non
piace
.
Perché
?
«
Per
ragioni
formali
,
stilistiche
.
Perché
Fidia
non
lavorava
spesso
nel
bronzo
.
Perché
in
definitiva
le
cose
sono
molto
più
complesse
»
.
Molto
pacati
e
prudenti
sono
anche
a
Reggio
Calabria
,
che
grazie
ai
due
guerrieri
,
Fidia
o
non
Fidia
,
grancassa
di
Firenze
o
meno
,
potrà
-
se
lo
saprà
-
diventare
uno
dei
quattro
o
cinque
centri
archeologici
più
importanti
della
Magna
Grecia
,
accanto
a
Paestum
,
Agrigento
,
Siracusa
.
«
L
'
attribuzione
a
un
autore
è
molto
difficile
,
ma
non
è
questo
il
problema
principale
»
minimizzano
alla
Soprintendenza
.
Ma
intanto
le
due
più
straordinarie
statue
greche
rinvenute
in
Italia
fino
ad
oggi
(
e
rimasteci
,
per
ora
,
anziché
seguire
la
brillante
carriera
californiana
del
Lisippo
acquistato
dal
Getty
Museum
di
Malibu
)
sono
ancora
oggi
«
sciaguratamente
inedite
»
come
dice
Antonio
Giuliano
.
Non
sarebbe
male
se
,
in
questo
dramma
delle
gelosie
tra
soprintendenze
e
grandi
esperti
,
il
pubblico
potesse
intanto
continuare
ad
ammirare
i
due
capolavori
.
StampaPeriodica ,
Prima
che
la
Cnn
americana
diventasse
la
tv
globale
,
vista
simultaneamente
in
tutto
il
mondo
,
l
'
unico
strumento
di
comunicazione
'
worldwide
'
era
la
britannica
Bbc
.
Ancora
oggi
,
in
ogni
angolo
della
Terra
,
ci
sono
milioni
di
persone
che
ogni
giorno
ascoltano
via
radio
il
World
service
La
Bbc
,
che
ora
dispone
anche
di
un
canale
televisivo
come
quello
della
Cnn
(
ma
molto
migliore
)
,
era
la
voce
dell
'
impero
ma
anche
della
democrazia
.
Gli
appassionati
della
Bbc
,
che
da
anni
la
stanno
a
sentire
,
conoscono
un
personaggio
molto
popolare
della
radio
britannica
:
Alistair
Cooke
.
Da
53
anni
,
da
più
di
mezzo
secolo
,
Cooke
,
che
oggi
ha
91
anni
e
vive
in
5th
.
avenue
a
New
York
,
legge
una
volta
alla
settimana
la
sua
Letter
from
America
.
Dal
1946
ne
ha
scritte
2.600
.
Sono
il
migliore
strumento
per
capire
l
'
evolversi
della
storia
e
della
vita
americana
,
dal
dopoguerra
alla
globalizzazione
,
alla
formazione
della
superpotenza
solitaria
.
Tutte
le
missive
di
Cooke
sono
state
pubblicate
e
si
trovano
nelle
librerie
inglesi
.
Per
molti
sudditi
di
Sua
maestà
i
volumetti
di
Cooke
sono
gli
unici
libri
mai
letti
sui
'
cugini
'
d
'
oltreoceano
.
Cooke
ha
toccato
ogni
aspetto
della
vita
americana
,
dai
principali
eventi
politici
alla
cronaca
di
ogni
giorno
,
dal
movimento
per
i
diritti
civili
alla
guerra
in
Vietnam
,
dalle
mode
alle
manie
,
dai
gossip
ai
piccoli
,
insignificanti
avvenimenti
personali
che
però
spiegano
bene
il
mondo
in
cui
si
vive
.
Cooke
ha
parlato
di
tutti
,
da
Douglas
Fairbanks
a
Monica
Lewinsky
,
dalla
sconfitta
elettorale
del
suo
amico
Adlai
Stevenson
alla
caduta
del
pugile
Sugar
Ray
Robinson
al
Madison
Square
Garden
nel
1962
(
'
Una
delle
più
straordinarie
descrizioni
di
quell
'
avvenimento
'
hanno
affermato
i
critici
)
.
L
'
ultimo
libro
di
Cooke
,
Memories
of
the
great
and
good
,
una
raccolta
di
23
profili
americani
,
è
stato
pubblicato
in
ottobre
ed
è
in
testa
alle
classifiche
inglesi
,
proprio
al
di
sopra
delle
memorie
dell
'
ex
primo
ministro
John
Major
.
Lo
stile
di
Cooke
è
elegante
,
spiritoso
,
chiarissimo
.
I
maestri
del
giornalista
britannico
sono
,
a
suo
dire
,
Mark
Twain
,
H.L.
Menken
,
E.B.
Wite
,
e
due
suoi
professori
a
Cambridge
,
negli
anni
Venti
,
D.W.
Brogan
e
Artur
Quiller
-
Couch
.
Liberale
autentico
,
Cooke
,
nel
periodo
della
'
caccia
alle
streghe
'
,
scrisse
un
saggio
indimenticabile
sul
processo
ad
Alger
Hiss
,
una
presunta
spia
sovietica
:
Generation
on
trial
:
Usa
vs
.
Alger
Hiss
(
Knopf
,
1950
)
.
L
'
esperienza
di
Cooke
dimostra
che
per
raccontare
i
paesi
,
soprattutto
nell
'
epoca
della
globalizzazione
,
dove
sembra
di
sapere
tutto
attraverso
la
tv
,
bisogna
viverci
a
lungo
,
parlare
bene
la
lingua
,
avere
tanti
amici
,
conoscerne
la
storia
,
la
letteratura
,
il
teatro
,
il
cinema
,
la
musica
,
gli
ambienti
accademici
e
scientifici
,
l
'
economia
e
le
piccolezze
della
vita
.
I
corrispondenti
dei
giornali
,
delle
radio
,
delle
tv
,
ma
ora
anche
delle
catene
di
Internet
,
debbono
vivere
a
lungo
nei
posti
per
poterne
scrivere
con
semplicità
e
assoluta
competenza
.
Il
giornalismo
della
globalizzazione
non
può
permettersi
di
essere
frettoloso
e
superficiale
.
L
'
Italia
,
per
esempio
,
ha
avuto
dagli
Stati
Uniti
due
corrispondenti
molto
simili
a
Cooke
:
Ruggero
Orlando
e
Ugo
Stille
,
più
newyorkesi
dei
newyorkesi
.
Oggi
i
pochi
columnist
fortunati
e
bravi
che
vivono
da
lungo
tempo
nei
posti
sui
quali
scrivono
sono
Vittorio
Zucconi
,
Tiziano
Terzani
,
Bernardo
Valli
,
Barbara
Spinelli
.
Per
loro
fortuna
e
per
fortuna
dei
loro
giornali
e
dei
loro
lettori
conoscono
le
minime
sfaccettature
della
società
americana
(
Zucconi
)
,
asiatica
(
Terzani
)
,
francese
ed
europea
(
Spinelli
e
Valli
)
.
L
'
esempio
mirabile
di
Alistair
Cooke
dovrebbe
insegnare
qualcosa
agli
editori
italiani
,
sempre
così
restii
a
investire
sull
'
estero
.
La
loro
parsimonia
colpisce
nell
'
era
della
globalizzazione
,
quando
tutto
il
mondo
va
raccontato
con
competenza
e
con
stile
.
StampaPeriodica ,
In
un
mondo
globalizzato
,
anche
nel
crimine
,
dove
le
mafie
costituiscono
una
reale
minaccia
,
alcuni
personaggi
della
delinquenza
organizzata
russa
hanno
trovato
un
sistema
per
sfuggire
alla
giustizia
:
farsi
eleggere
al
parlamento
.
Secondo
la
costituzione
,
che
da
sei
anni
vige
a
Mosca
,
nessun
membro
del
parlamento
può
essere
arrestato
,
nonostante
abbia
commesso
crimini
che
nulla
hanno
a
che
vedere
con
gli
affari
politici
.
Un
deputato
,
in
Russia
,
è
una
specie
di
dio
intoccabile
.
Anche
se
ammazza
la
moglie
non
gli
succede
nulla
.
Nelle
ultime
elezioni
per
il
rinnovo
della
Duma
,
6
mila
candidati
hanno
concorso
per
450
seggi
.
Il
30
per
cento
secondo
i
calcoli
di
Alexander
Gurov
,
un
ex
poliziotto
d
'
assalto
,
anche
lui
in
lizza
,
ha
precedenti
penali
o
è
noto
per
i
suoi
contatti
col
crimine
organizzato
.
"
Il
mondo
della
criminalità
ha
lanciato
un
assalto
alla
Duma
"
spiega
Gurov
.
Implicata
nei
grandi
scandali
internazionali
(
dal
Russiagate
che
ha
visto
coinvolta
la
famiglia
di
Boris
Eltsin
ai
misteriosi
delitti
non
ancora
del
tutto
chiariti
come
quello
del
banchiere
Edmond
Safra
)
,
potente
in
paesi
potenti
(
negli
Stati
Uniti
,
i
mafiosi
russi
hanno
spodestato
gli
italiani
)
,
inserita
in
tutti
i
paradisi
fiscali
del
mondo
,
la
mafia
russa
è
una
piovra
che
ben
si
nasconde
negli
infiniti
meandri
della
globalizzazione
.
E
per
espandersi
ancora
ha
bisogno
di
controllare
tutti
gli
apparati
dello
stato
,
compreso
il
parlamento
.
Pur
se
molti
politici
onesti
della
Russia
desiderano
veramente
un
sistema
pulito
,
liberale
e
occidentale
,
la
legge
sull
'
immunità
costituisce
una
pesante
barriera
contro
una
società
normale
,
regolata
da
leggi
normali
.
Appare
quindi
incredibile
ai
russi
perbene
che
105
candidati
alla
Duma
siano
già
stati
condannati
come
criminali
e
che
molti
di
loro
siano
addirittura
ricercati
dalla
polizia
.
Solo
pochissimi
mafiosi
di
grande
notorietà
sono
stati
esclusi
dalle
liste
.
E
'
il
caso
di
Sergei
Mikhailov
,
considerato
il
capo
di
una
delle
cosche
più
potenti
e
già
arrestato
per
riciclaggio
in
Svizzera
.
Il
motivo
per
escluderlo
non
è
stata
la
fedina
penale
,
ma
il
passaporto
greco
.
E
'
rimasto
invece
in
lizza
Yuri
Shutov
,
un
'
politico
'
di
San
Pietroburgo
che
gareggia
per
la
Duma
dalla
cella
del
carcere
.
Shutov
è
stato
arrestato
lo
scorso
febbraio
perché
implicato
negli
omicidi
di
due
politici
e
di
due
uomini
d
'
affari
,
oltre
che
in
una
serie
di
reati
minori
.
Ha
presentato
la
sua
candidatura
anche
il
cantante
Josif
Kobzon
,
deputato
uscente
,
detto
'
il
Frank
Sinatra
russo
'
.
Nel
1995
gli
fu
negato
il
visto
d
'
ingresso
negli
Stati
Uniti
perché
l
'
Fbi
lo
riteneva
"
legato
"
alla
mafia
russa
.
Le
regole
sull
'
immunità
non
si
applicano
solo
alla
Duma
,
la
camera
bassa
,
ma
anche
al
Consiglio
della
federazione
(
178
membri
)
,
la
camera
alta
,
cui
appartengono
il
sindaco
di
Mosca
e
i
governatori
regionali
.
In
queste
settimane
di
campagna
elettorale
l
'
immunità
parlamentare
è
stata
messa
sotto
accusa
da
pochi
politici
e
da
un
solo
intellettuale
:
Alexander
Solgenitsin
,
dissidente
ai
tempi
di
Stalin
e
di
Breznev
.
"
La
Duma
non
può
diventare
un
rifugio
per
i
ricercati
"
ha
gridato
il
premio
Nobel
alla
tv
.
Ma
il
suo
appello
è
caduto
nel
vuoto
.
E
soprattutto
non
è
stato
ascoltato
al
Cremlino
.
Anche
uno
dei
più
cari
amici
di
famiglia
di
Eltsin
,
Boris
Berezovsky
,
campione
della
globalizzazione
alla
russa
,
già
accusato
di
riciclaggio
,
è
candidato
a
questo
allegro
parlamento
.
StampaQuotidiana ,
Che
la
festa
nuziale
incominci
!
Era
il
grido
che
risuonava
nell
'
anima
la
notte
della
vigilia
di
Natale
,
all
'
apertura
della
Porta
santa
.
«
Festa
nuziale
»
:
così
Papa
Wojtyla
aveva
chiamato
il
grande
Giubileo
del
Duemila
nella
Bolla
Incarnationis
mysterium
.
Quella
notte
,
anche
noi
tutti
,
povere
creature
da
nulla
,
siamo
stati
immessi
dal
gesto
del
Papa
nel
dolce
evento
dell
'
intima
amicizia
e
della
immensa
misericordia
di
Dio
,
come
le
sublimi
anime
contemplative
,
come
Teresa
d
'
Avila
,
come
Giovanni
della
Croce
,
come
Angela
da
Foligno
,
che
celebravano
le
«
mistiche
nozze
»
con
il
Signore
.
Inaspettata
veste
nuziale
era
l
'
abito
di
Papa
Wojtyla
,
il
piviale
sfavillante
di
riverberi
di
luce
e
di
colori
,
rimembranza
forse
di
policrome
visioni
orientali
,
africane
,
messicane
...
i
colori
di
ogni
terra
proiettati
sulla
veste
nuziale
del
pontefice
.
Festa
di
suoni
,
di
trombe
,
di
canti
,
di
luci
,
nella
basilica
,
omaggio
al
Cristo
glorificato
:
«
Ieri
,
oggi
,
nei
secoli
»
.
Festa
di
tutti
i
continenti
,
approdati
con
gli
uomini
e
le
donne
nei
costumi
tradizionali
a
decorare
di
fiori
e
di
colori
la
Porta
santa
.
Festa
di
tutta
la
storia
cristiana
di
questo
millennio
che
declina
e
che
sfocia
come
un
fiume
nel
Giubileo
del
Duemila
:
«
Il
grande
fiume
della
Rivelazione
,
del
cristianesimo
e
della
Chiesa
,
che
scorre
attraverso
la
storia
dell
'
umanità
a
partire
dall
'
evento
accaduto
a
Nazareth
e
poi
a
Betlemme
duemila
anni
fa
»
,
come
Papa
Wojtyla
aveva
scritto
nella
sua
lettera
apostolica
Tertio
Millennio
adveniente
.
Così
la
grande
festa
nuziale
è
incominciata
.
Perché
il
perdono
di
Dio
che
scende
sull
'
uomo
pentito
non
è
qualcosa
di
tetro
.
Il
Giubileo
è
letizia
:
è
letizia
del
figliuol
prodigo
che
ritrova
l
'
amicizia
perduta
del
Signore
.
E
letizia
del
Popolo
di
Dio
,
che
acclama
il
Redentore
venuto
a
dimorare
tra
gli
uomini
:
il
Signore
,
anch
'
egli
come
pellegrino
a
camminare
sulle
nostre
strade
,
a
bussare
alla
nostra
porta
,
la
porta
della
nostra
povera
casa
,
prima
ancora
che
noi
peregrinassimo
penitenti
verso
la
sua
Porta
santa
.
Perché
,
in
mezzo
a
quella
festa
della
notte
della
vigilia
di
Natale
,
c
'
era
anche
la
nostra
immagine
di
pellegrini
.
L
'
immagine
era
lì
nella
figura
di
Papa
Wojtyla
che
,
pur
nella
sua
sfavillante
veste
nuziale
,
si
trascinava
,
curvo
,
dolente
,
pellegrino
,
nel
faticoso
cammino
dalla
Porta
santa
all
'
altare
,
assorto
nel
richiamo
del
suo
Signore
.
Sulle
sue
spalle
non
c
'
era
soltanto
la
meraviglia
di
un
abito
.
C
'
era
anche
il
peso
dei
nostri
peccati
,
dei
nostri
orrori
,
delle
nostre
ostinazioni
:
le
pene
e
le
miserie
di
tutta
l
'
umanità
di
oggi
,
ma
anche
le
infedeltà
e
i
rinnegamenti
avvenuti
nel
lungo
fiume
della
storia
cristiana
.
Tutto
egli
trascinava
verso
il
perdono
e
la
misericordia
di
Dio
.
Con
lui
era
il
nostro
camminare
di
pellegrini
,
presi
da
pentimento
,
ma
anche
dalla
voglia
intensa
di
poter
celebrare
anche
noi
la
grande
festa
nuziale
con
Dio
.
StampaQuotidiana ,
Oaxaca
(
Messico
)
-
I
poveri
più
poveri
del
Messico
si
sono
dati
appuntamento
a
Cuilapan
,
a
quindici
chilometri
da
Oaxaca
,
nella
parte
sud
orientale
del
Paese
,
per
vedere
il
Papa
.
Si
prevede
una
folla
spaventosa
,
chi
dice
trecentomila
,
chi
pronostica
,
in
base
a
chissà
quali
conteggi
,
mezzo
milione
.
Saranno
quasi
tutti
indigeni
,
dello
Stato
di
Oaxaca
e
di
altre
regioni
,
mixtechi
,
zapotechi
,
nahuati
e
tante
altre
razze
.
Insieme
parlano
sessantacinque
lingue
:
solo
il
20
per
cento
conosce
lo
spagnolo
.
In
comune
hanno
solo
una
cosa
:
la
fame
.
L
'
appuntamento
col
Papa
è
per
domani
,
davanti
all
'
antico
tempio
di
Cuilapan
;
ma
gli
indios
sono
già
in
viaggio
da
giorni
,
vengono
giù
dalla
Sierra
con
autobus
scassati
o
su
camion
abitualmente
adibiti
al
trasporto
del
bestiame
o
d
'
ogni
tipo
di
merce
.
Questa
sera
,
lo
spazio
sabbioso
davanti
e
al
lato
del
tempio
sarà
tutto
occupato
.
Trascorreranno
la
notte
per
terra
,
avvolti
nei
loro
stracci
tribali
:
ci
sono
abituati
.
E
poi
,
da
queste
parti
,
in
questo
periodo
dell
'
anno
,
la
notte
è
dolce
,
c
'
è
solo
un
po
'
di
fresco
nelle
prime
ore
del
mattino
.
Nelle
regioni
di
Oaxaca
ci
sono
un
milione
e
quattrocentomila
indigeni
,
quasi
tutti
cattolici
.
Le
chiese
,
in
un
territorio
di
novantamila
chilometri
quadrati
,
sono
millequattrocentoventicinque
:
ne
trovi
almeno
un
paio
anche
nel
pueblo
più
piccolo
e
miserabile
dove
non
arriva
né
la
luce
né
l
'
acqua
né
qualcosa
che
assomigli
ad
una
vera
strada
.
"
È
gente
molto
religiosa
"
,
dice
l
'
arcivescovo
di
Oaxaca
,
Bartolomè
Carrasco
Briseño
,
"
molto
umile
,
molto
buona
,
molto
attaccata
alla
Chiesa
.
Certo
dobbiamo
continuare
nella
nostra
opera
di
evangelizzazione
che
è
stata
interrotta
da
varie
ragioni
storiche
.
Le
difficoltà
sono
molte
,
c
'
è
l
'
ostacolo
della
lingua
,
per
cui
i
miei
sacerdoti
si
vedono
costretti
a
imparare
questo
o
quell
'
idioma
"
.
Sfiducia
e
fatalismo
Ma
la
difficoltà
più
grave
non
è
questa
.
"
Secondo
me
"
,
dice
il
prelato
,
"
essa
va
individuata
in
quella
specie
di
sfiducia
,
di
fatalismo
,
di
mancanza
di
speranza
,
che
finisce
per
colpire
ogni
indio
.
Si
rassegnano
,
si
danno
per
vinti
.
Gli
manca
la
volontà
,
non
fanno
nulla
o
quasi
per
uscire
dallo
stato
di
frustrazione
e
prostrazione
in
cui
si
trovano
.
Anche
la
Chiesa
ha
,
in
questo
,
la
sua
parte
di
responsabilità
e
di
colpa
,
come
ce
l
'
ha
il
governo
.
Non
è
stato
fatto
abbastanza
per
strappare
queste
tribù
dall
'
isolamento
fisico
e
morale
in
cui
si
trovano
,
per
sottrarle
ad
una
emarginazione
così
totale
e
spietata
"
.
Monsignor
Carrasco
Briseño
è
un
uomo
minuto
,
un
po
'
curvo
,
indossa
una
tonaca
bianca
,
parla
sottovoce
,
bisbiglia
:
"
È
gente
"
,
dice
,
"
molto
legata
alla
propria
identità
etnica
,
molto
fiera
.
Quindi
occorre
andar
piano
coi
programmi
educativi
.
L
'
obiettivo
non
deve
essere
quello
di
un
'
integrazione
violenta
e
ad
ogni
costo
delle
culture
indigene
con
la
cultura
nazionale
.
Così
facendo
si
distruggono
quei
valori
che
danno
un
senso
alla
loro
vita
.
Sul
piano
sociale
,
poi
,
la
situazione
è
disperata
.
È
gente
che
vive
nella
miseria
più
nera
.
Lo
sanno
i
miei
centosettanta
sacerdoti
che
sgarrettano
su
per
la
montagna
per
portare
un
po
'
di
conforto
a
questa
umanità
emarginata
da
tutto
e
da
tutti
"
.
Per
vederla
un
po
'
da
vicino
,
questa
umanità
,
prendiamo
un
autobus
sgangherato
che
da
Oaxaca
si
inerpica
su
per
la
montagna
,
serpeggiando
,
per
scendere
poi
sulla
costa
del
Pacifico
.
È
pieno
di
campesinos
indigeni
,
neri
e
taciturni
.
Una
donna
,
meno
vecchia
di
quel
che
sembra
,
allatta
un
bambino
.
Senti
l
'
odore
di
stracci
antichi
,
mai
lavati
,
il
profumo
della
miseria
stratificata
.
È
una
bellissima
sera
,
se
allunghi
la
mano
fuori
dal
finestrino
afferri
la
coda
dell
'
Orsa
,
tanto
il
cielo
è
vicino
.
Ci
fermiamo
a
Tlaxiaco
,
dopo
quattro
ore
e
mezzo
di
strada
.
Un
grosso
pueblo
,
nove
-
diecimila
abitanti
.
Case
basse
,
una
volta
bianche
,
i
muri
scrostati
;
la
strada
principale
sconessa
,
tutta
buche
,
i
cani
che
languono
sul
marciapiede
.
Gruppi
di
poveracci
dormono
sotto
i
portici
,
la
testa
sul
giornale
.
Il
mattino
dopo
,
alle
sette
,
comincia
l
'
attività
al
mercato
coperto
.
Montagne
di
frutta
sui
tavolacci
,
c
'
è
sentore
di
minestra
di
fagioli
con
chili
,
qualcuno
si
scalda
con
una
tazza
di
pulque
,
brandelli
di
carne
pendono
dagli
uncini
da
chissà
quanti
giorni
.
La
bistecca
qui
è
un
genere
proibito
.
L
'
appuntamento
col
parroco
,
padre
Esteban
Sanchez
,
è
dopo
la
messa
,
nel
convento
domenicano
adiacente
alla
chiesa
.
Novanta
indios
(
giovani
e
vecchi
)
stanno
facendo
un
ritiro
spirituale
da
tre
giorni
.
Girano
in
fila
sotto
il
porticato
cantando
un
inno
in
spagnolo
con
dubbia
intonazione
,
poi
,
sempre
salmodiando
,
infilano
la
porta
del
refettorio
per
la
prima
colazione
.
Viene
il
dubbio
che
il
fine
ultimo
di
tanta
devozione
sia
proprio
lì
.
Crocette
sulla
schedina
"
Oggi
è
l
'
ultimo
giorno
"
,
dice
padre
Esteban
,
"
domani
torneranno
alle
loro
case
.
In
questi
tre
giorni
hanno
avuto
dei
pasti
regolari
,
mattino
,
pomeriggio
e
sera
.
Hanno
dormito
in
un
letto
.
Quel
che
noi
preti
cerchiamo
di
fare
è
di
svegliare
la
loro
coscienza
:
vogliamo
che
si
rendano
conto
della
loro
dignità
di
uomini
e
di
cittadini
.
Vogliamo
che
capiscano
che
sono
stati
sempre
sfruttati
.
Gli
insegniamo
che
Cristo
era
oppresso
come
loro
e
che
si
oppose
alla
casta
sacerdotale
del
tempo
.
Il
governo
non
fa
niente
per
loro
.
Il
partito
al
governo
,
il
PRI
(
Partido
Revolucionario
Istitutional
)
,
non
fa
niente
per
loro
,
salvo
caricarli
sui
camion
e
portarli
a
votare
.
E
con
le
loro
crocette
sulla
schedina
,
questi
poveracci
di
cittadini
messicani
continuano
ad
eleggere
delle
persone
che
continueranno
a
non
far
niente
per
loro
"
.
A
Tlaxiaco
c
'
è
una
fabbrica
di
tubi
di
cemento
e
il
salario
medio
di
chi
vi
lavora
si
aggira
sulle
millecinquecento
lire
al
giorno
:
che
qui
è
discreto
.
Ma
per
chi
lavora
i
campi
l
'
esistenza
è
grama
:
"
E
allora
"
,
dice
il
parroco
,
"
quando
lo
stomaco
urla
per
la
fame
,
questa
povera
gente
,
se
ha
un
soldo
,
lo
investe
nella
bottiglia
.
Si
scolano
l
'
aguardiente
che
ti
brucia
la
gola
e
il
cervello
e
che
è
alla
fine
la
loro
droga
:
una
droga
a
basso
costo
.
Anche
nelle
feste
religiose
finiscono
con
l
'
ubriacarsi
e
dopo
la
fugace
euforia
si
trovano
ancora
più
poveri
,
più
tristi
e
più
soli
.
I
fabbricanti
di
acquavite
si
arricchiscono
alle
loro
spalle
,
sulla
loro
miseria
.
Il
governo
fa
qualche
cosa
,
gli
ha
fatto
qualche
strada
:
ma
a
che
serve
?
Serve
ai
fabbricanti
di
aguardiente
che
hanno
aumentato
i
loro
profitti
.
Anche
le
somme
che
vengono
talvolta
stanziate
a
favore
delle
comunità
indigene
finiscono
per
arrestarsi
nelle
mani
dei
burocrati
"
.
Se
il
Papa
volesse
vedere
com
'
è
fatta
la
miseria
degli
indios
dovrebbe
prendere
ad
Oaxaca
lo
sgangherato
autobus
di
"
secunda
clase
"
e
spingersi
oltre
Tlaxiaco
,
nel
villaggio
di
Cuquila
,
un
gruppetto
di
case
o
capanne
abitate
da
una
comunità
mixteca
.
È
per
lo
più
gente
che
non
si
è
mai
mossa
da
qui
,
contadini
che
campano
su
un
fazzoletto
di
terra
arida
,
con
un
po
'
di
mais
,
qualche
pollo
,
qualche
maiale
,
un
'
oca
,
un
tacchino
.
Entriamo
nella
casa
di
Dario
Ortiz
,
57
anni
,
sposato
,
tre
figlie
.
Sua
moglie
sta
facendo
una
tortilla
di
mais
con
un
matterello
di
pietra
:
poi
la
mette
in
un
cesto
e
la
offre
all
'
ospite
.
"
Qui
si
vive
male
"
,
dice
il
padrone
di
casa
,
"
la
terra
non
è
buena
,
non
produce
niente
.
Se
uno
riesce
a
farsi
dieci
pesos
al
giorno
è
fortunato
.
No
,
io
no
,
io
non
guadagno
tanto
.
Dobbiamo
accontentarci
di
tortilla
e
di
questi
fhjolitos
,
di
questi
fagiolini
.
La
carne
,
qualche
volta
.
Il
latte
,
mai
.
Una
volta
avevo
la
luce
,
ma
poi
me
l
'
hanno
tagliata
perché
non
riuscivo
a
pagare
il
canone
.
Questo
pueblo
è
molto
triste
perché
il
governo
non
ci
dà
nessun
aiuto
"
.
La
figlia
più
giovane
di
Dario
Ortiz
ha
16
anni
,
si
chiama
Juanita
,
è
graziosa
,
parla
mixteco
oltre
che
spagnolo
,
non
è
mai
uscita
da
Cuquila
:
"
Non
mi
annoio
"
,
ci
assicura
,
"
sono
nata
qui
,
qui
sono
felice
.
La
comida
è
scarsa
ma
va
bene
lo
stesso
.
Un
giorno
mi
sposerò
con
uno
di
qui
.
Non
ho
mai
visto
la
televisione
,
è
bella
?
"
.
Enrique
Cruz
ha
80
anni
,
vive
in
una
capanna
di
legno
col
figlio
,
la
nuora
e
tre
nipotini
.
"
Il
governo
non
fa
niente
per
noi
"
,
si
lamenta
,
"
e
così
ho
passato
una
vita
di
stenti
.
Non
c
'
è
luce
,
per
l
'
acqua
andiamo
al
pozzo
,
ma
è
scarsa
.
Adesso
sono
vecchio
e
malato
:
ma
qui
se
uno
s
'
ammala
muore
.
Nessuno
ha
i
soldi
per
le
medicine
o
per
l
'
ospedale
"
.
Dormono
tutti
per
terra
,
su
logore
stuoie
.
Hanno
un
maiale
,
qualche
pollo
,
ma
non
li
mangiano
,
li
portano
al
mercato
.
Enrique
Cruz
non
si
ricorda
più
che
sapore
abbia
la
carne
:
"
Qualcuno
"
,
dice
,
"
quando
ha
qualche
soldo
,
manda
giù
un
po
'
di
alcool
,
io
no
,
sono
cristiano
,
sono
rassegnato
alla
mia
miseria
e
adesso
aspetto
soltanto
l
'
ora
di
morire
"
.
Si
toglie
dalla
testa
un
cascame
di
paglia
che
una
volta
era
un
sombrero
e
si
guarda
intorno
con
gli
occhi
piccoli
e
impiastricciati
:
dice
che
andrebbe
volentieri
a
Oaxaca
a
vedere
il
Papa
,
ma
non
ha
gli
ottanta
pesos
(
3400
lire
circa
)
per
pagare
il
camion
.
Neanche
Epiphanio
Santiago
,
che
fa
orci
e
pentole
di
creta
e
argilla
per
venderle
al
mercato
di
Tlaxiaco
,
ha
gli
ottanta
pesos
per
andare
dal
Papa
.
"
Una
somma
simile
non
ce
l
'
ho
"
,
ammette
,
"
questo
mestiere
non
mi
basta
per
vivere
.
Ho
quattro
figli
e
non
c
'
è
da
mangiare
.
Non
mangiamo
mai
carne
,
né
uova
,
né
latte
.
Si
va
avanti
a
tortilla
e
fagioli
,
e
a
frutta
che
anche
questa
terra
così
avara
riesce
a
produrre
.
Una
volta
,
quand
'
ero
più
giovane
,
sono
stato
a
Vera
Cruz
a
tagliare
la
canna
da
zucchero
.
Dieci
anni
fa
.
Mi
davano
sette
pesos
per
tonnellata
"
.
Da
Cuquila
nessun
indio
mixteco
scenderà
al
piano
a
vedere
il
Papa
.
I
loro
fratelli
in
sangue
e
in
miseria
,
che
,
più
fortunati
,
potranno
raggiungere
il
tempio
di
Cuilapan
,
presenteranno
a
Giovanni
Paolo
II
un
'
"
orazione
"
in
cui
vengono
denunciati
i
mali
della
loro
miserabile
vita
:
il
basso
prezzo
dei
loro
prodotti
,
l
'
alcoolismo
(
talvolta
promosso
dallo
stesso
governo
)
,
l
'
oppressione
politica
,
la
prostituzione
,
la
disoccupazione
,
l
'
ingiustizia
delle
autorità
che
si
vendono
ai
ricchi
,
i
cacicchi
che
li
sfruttano
,
la
mancanza
di
scuole
,
strade
,
assistenza
medica
,
le
promesse
non
mantenute
del
governo
.
È
la
carta
d
'
identità
degli
indigeni
di
Oaxaca
,
dei
morti
di
fame
del
Messico
.
A
Cuquila
Karol
Wojtyla
dovrebbe
andare
:
a
far
visita
al
vecchio
Enrique
Cruz
.
Il
quale
,
quando
gli
chiedi
chi
sia
,
cosa
rappresenti
per
lui
il
Papa
,
ti
risponde
,
candidamente
:
"
Pues
,
es
como
Dios
"
,
è
come
Dio
.
StampaQuotidiana ,
Key
West
-
Al
bancone
dello
"
Sloppy
Joe
'
s
"
bar
,
all
'
angolo
tra
Duval
Street
e
Green
Street
,
incontro
Reymond
C
.
Vanyo
,
quarant
'
anni
,
pescatore
di
aragoste
e
d
'
altro
,
con
due
battelli
in
mare
e
un
Cessna
a
quattro
posti
per
sbrigare
gli
affari
a
Miami
.
Reymond
è
uno
dei
tanti
che
ha
scaricato
a
Key
West
barcate
di
profughi
cubani
.
Dice
:
"
Non
ci
ho
guadagnato
nulla
:
quanto
basta
per
le
spese
.
In
mare
,
con
la
pesca
,
guadagno
dai
settecento
agli
ottocento
dollari
al
giorno
.
Sono
andato
a
Mariel
-
Cuba
-
perché
m
'
interessava
.
M
'
interessa
ancora
.
Voglio
solo
vedere
come
finisce
la
cosa
"
.
Poi
,
sul
suo
aeroplanino
,
mi
porta
in
giro
sulle
Keys
,
più
sotto
vedo
la
stupenda
lingua
di
terra
che
dalle
coste
della
Florida
arriva
,
sbisciolando
come
un
'
anguilla
,
all
'
isola
di
Key
West
:
"
Non
è
il
posto
più
bello
del
mondo
?
"
,
chiede
.
Quattro
passi
più
in
là
,
al
"
Captain
Tony
'
s
saloon
"
,
trovi
un
'
altra
folla
che
ha
fatto
la
traversata
coi
profughi
.
Capitani
-
o
skippers
-
di
breve
o
lungo
corso
.
C
'
è
anche
una
donna
,
Vicki
Impallomeni
,
sui
trent
'
anni
,
bruna
e
bella
:
"
L
'
ho
fatto
per
i
soldi
"
,
dice
,
"
ho
guadagnato
duemila
dollari
.
Ma
non
è
del
tutto
vero
.
Con
la
pesca
,
avrei
preso
altrettanto
.
L
'
ho
fatto
per
il
mare
,
perché
mi
piace
il
mare
"
.
Tony
Terracino
,
quasi
settant
'
anni
(
o
più
?
)
,
ha
una
faccia
antica
di
navigatore
e
capelli
ricciuti
quasi
bianchi
.
Ti
ricorda
che
nel
'64
fece
una
spedizione
a
Cuba
e
che
,
su
quell
'
avventura
e
la
sua
picaresca
vita
,
è
stato
fatto
recentemente
un
film
"
Uccidi
Castro
"
.
Di
giorno
sta
in
mare
,
a
pescare
;
ma
la
sera
è
qui
nel
suo
saloon
.
Beve
champagne
con
una
coppia
di
sposi
novelli
e
balla
a
piedi
scalzi
con
le
molte
ragazze
sotto
i
venti
che
se
lo
avvinghiano
dicendo
Tony
amore
mio
.
Sono
tante
,
con
magliette
estive
e
gambe
da
tremila
e
una
notte
.
Il
capitano
è
soave
e
discreto
e
se
te
ne
presenta
una
dice
subito
:
"
La
mia
esposa
"
.
Poi
:
"
Vuoi
andare
all
'
Avana
da
Fidel
?
Ti
porto
io
figliuolo
,
ti
porto
io
"
.
È
sincero
,
ma
nella
notte
le
spose
hanno
avuto
il
sopravvento
.
Sarà
,
come
dicono
,
un
fenomeno
di
suggestione
letteraria
,
ma
tra
questi
skippers
che
vanno
e
vengono
da
Cuba
con
addosso
l
'
odore
di
mare
e
di
pesce
e
di
Caraibi
e
bevono
"
scotch
on
the
rocks
"
o
Bacardi
o
rum
giamaicano
o
solo
birra
spillata
a
novantacinque
cents
"
la
caña
"
ti
sembra
di
vedere
tanti
Harry
Morgan
di
Avere
e
non
avere
di
Hemingway
,
che
qui
lo
ha
scritto
a
metà
degli
anni
Trenta
e
qui
è
vissuto
con
la
seconda
moglie
Pauline
tra
il
'28
e
il
'40
,
pescando
bevendo
e
scrivendo
.
La
sua
casa
è
in
Whitehead
Street
,
al
907
.
Da
"
Sloppy
Joe
'
s
"
ci
arrivi
in
dieci
minuti
e
paghi
,
per
vederla
,
un
dollaro
e
cinquanta
.
Parte
della
sua
vita
è
rimasta
inchiodata
qui
per
l
'
eternità
:
mobili
,
libri
,
quadri
,
animali
e
pesci
imbalsamati
,
foto
degli
anni
eroici
in
Africa
con
la
preda
stecchita
e
il
fucile
ancora
fumante
.
Ma
anche
gli
anni
della
giovinezza
,
l
'
elmetto
di
quand
'
era
sul
fronte
italiano
nel
'17
a
guidare
l
'
ambulanza
e
una
foto
minuscola
,
conficcata
nell
'
angolo
di
una
più
grande
,
con
una
ragazza
bella
bionda
che
sorride
e
si
chiama
Agnes
:
l
'
infermiera
dell
'
ospedale
di
Milano
di
cui
Ernest
si
innamora
e
lascia
morire
nel
finale
di
Addio
alle
armi
.
"
Che
io
sappia
"
,
dice
la
guida
,
"
è
ancora
viva
,
nell
'
Arizona
"
.
Un
altro
scrittore
esule
americano
in
Europa
,
Dos
Passos
,
aveva
consigliato
Hemingway
a
prendersi
una
lunga
vacanza
a
Key
West
per
"
asciugarsi
le
ossa
"
inzuppate
dall
'
acqua
di
sette
autunni
e
inverni
parigini
.
Se
accetta
il
consiglio
,
è
anche
perché
qui
si
può
pescare
al
largo
,
nella
corrente
del
Golfo
,
ed
è
un
posto
di
case
di
legno
e
la
sera
,
da
"
Sloppy
Joe
'
s
"
non
si
parla
di
Flaubert
,
Maupassant
o
Proust
e
l
'
epica
omerica
è
quella
del
pescatore
che
rientra
col
suo
pesce
d
'
argento
,
arpionato
e
sconfitto
,
come
Santiago
de
Il
vecchio
e
il
mare
.
I
suoi
amici
,
a
Key
West
,
sono
Josie
Russell
-
Sloppy
Joe
per
gli
amici
-
padrone
di
un
peschereccio
e
del
bar
che
ancora
oggi
porta
il
suo
nome
,
morto
nel
'42;
il
proprietario
di
un
negozio
di
ferramenta
,
Charles
Thompson
,
scomparso
l
'
anno
scorso
,
che
lo
seguì
nei
safari
africani
;
e
il
capitano
Eddie
"
Bra
"
Baunders
che
lo
portò
a
pescare
nelle
Marquesas
,
trenta
miglia
ad
ovest
di
Key
West
.
Qui
ti
raccontano
che
Charles
Thompson
era
piuttosto
imbarazzato
quando
,
di
ritorno
dal
Kenia
e
dal
Tanganika
,
dovette
riferire
agli
amici
dello
"
Sloppy
Joe
'
s
"
,
per
scrupolo
storico
,
che
la
bestia
più
grossa
,
un
"
bull
kudu
"
(
un
'
antilope
gigante
)
l
'
aveva
abbattuta
lui
.
Vedo
la
stanza
dove
Hemingway
ha
lavorato
del
'28
al
'40
:
in
fondo
,
accanto
a
una
libreria
a
vetri
,
c
'
è
il
tavolino
rotondo
su
cui
ha
scritto
,
di
ritorno
dalla
Spagna
,
Per
chi
suona
la
campana
.
Ma
la
guida
mi
distoglie
frettolosamente
dalla
contemplazione
di
questa
sublime
fucina
poetica
per
portarmi
,
giù
sotto
,
ai
bordi
della
piscina
,
forse
la
prima
,
dice
,
che
mai
sia
stata
costruita
in
Florida
:
"
Dietro
questa
piscina
"
,
spiega
,
"
c
'
è
una
storia
curiosa
.
La
fece
costruire
Pauline
mentre
Ernest
era
in
Europa
per
seguire
come
corrispondente
la
guerra
civile
spagnola
.
Quando
,
al
ritorno
,
lo
scrittore
seppe
che
la
moglie
aveva
speso
,
per
quel
laghetto
artificiale
azzurro
,
ventimila
dollari
,
andò
su
tutte
le
furie
,
tolse
di
tasca
una
moneta
e
la
scagliò
per
terra
urlando
:
'
Questo
è
l
'
ultimo
centesimo
che
mi
resta
'
.
Pauline
non
si
scompose
.
Col
grande
'
sense
of
humour
'
di
cui
era
capace
,
lasciò
il
centesimo
dov
'
era
caduto
,
nel
patio
,
e
lì
lo
potete
ancora
vedere
oggi
,
sotto
quella
lastra
di
plastica
"
.
C
'
è
chi
lamenta
la
sopravvivenza
commerciale
e
il
mito
di
Hemingway
a
Key
West
:
le
magliette
con
la
faccia
di
"
papà
"
e
il
famoso
maglione
girocollo
,
le
foto
delle
sue
imprese
marinare
sui
muri
al
"
Tony
'
s
saloon
"
o
allo
"
Sloppy
Joe
'
s
"
,
e
tutto
il
resto
.
È
giusto
.
Uno
vorrebbe
sapere
veramente
com
'
era
allora
:
se
tutto
marciava
come
dice
la
Storia
.
E
scopri
,
girando
tra
le
case
di
legno
,
che
tutto
era
vero
,
che
Harry
Morgan
non
era
esistito
ma
Ernest
lo
aveva
trovato
e
visto
e
messo
dentro
le
sue
pagine
tra
un
viaggio
e
l
'
altro
nel
golfo
della
Florida
.
A
Key
West
ho
molto
cercato
Hemingway
.
La
vedova
di
Thompson
(
Lorine
)
era
fuori
,
altrove
.
Il
reverendo
Williams
,
amico
dello
scrittore
,
era
in
Georgia
.
Ma
ho
trovato
Toby
Bruce
,
70
anni
,
che
è
stato
il
suo
autista
dal
'28
,
il
suo
carpentiere
,
il
suo
meccanico
,
il
suo
tutto
.
Toby
sta
in
una
casa
che
è
un
giardino
e
lì
lo
incontro
.
È
minuto
,
gli
occhiali
,
chiazze
di
pelle
biancastra
in
faccia
e
sul
collo
,
una
voce
flautata
e
antica
.
È
stato
con
lui
dal
'28
alla
fine
.
"
L
'
ho
portato
in
giro
per
l
'
America
"
,
dice
,
"
almeno
otto
volte
.
Ho
messo
a
posto
la
sua
casa
,
a
Key
West
,
che
cadeva
a
pezzi
.
Mi
sono
occupato
del
suo
battello
,
'
Pilar
'
,
come
carpentiere
e
meccanico
.
Ho
lavorato
per
lui
e
con
lui
per
più
di
trent
'
anni
.
Un
grande
uomo
,
un
grande
amico
,
mi
chiamava
Tobs
"
.
Toby
lo
aveva
visto
per
la
prima
volta
in
Arkansas
;
e
ancora
adesso
ricorda
la
sua
grande
abilità
di
cacciatore
:
"
Potevano
essere
quaglie
"
,
dice
,
"
o
fagiani
o
pernici
;
aveva
una
mira
infallibile
:
e
pensare
che
soffriva
a
un
occhio
,
rimasto
ferito
in
un
incidente
di
caccia
"
.
Che
uomo
era
?
"
D
'
un
pezzo
.
Diceva
la
verità
e
voleva
che
gli
altri
facessero
altrettanto
.
Se
mentivi
,
era
finita
"
.
Come
lavorava
?
"
Si
alzava
presto
,
con
la
prima
luce
.
Si
metteva
subito
a
tavolino
.
La
giornata
buona
era
quando
riusciva
a
scrivere
settecento
parole
al
giorno
:
quella
cattiva
quando
ne
faceva
solo
trecento
.
Se
proprio
non
gli
andava
,
andavamo
a
pescare
,
magari
per
due
giorni
"
.
Il
pomeriggio
,
tardi
,
era
quasi
sempre
fuori
.
Beveva
con
la
cricca
che
è
stata
ormai
battezzata
la
"
Key
West
Mob
"
.
Ma
non
era
mai
,
a
quanto
si
dice
,
un
"
rummy
"
:
"
aveva
una
grande
capacità
per
l
'
alcool
"
,
dice
Bruce
:
"
nel
pomeriggio
beveva
scotch
,
la
sera
,
a
cena
,
vino
"
.
Bruce
ha
corretto
le
bozze
di
Per
chi
suona
la
campana
(
"
un
gran
bel
romanzo
,
ma
gli
preferisco
Addio
alle
armi
"
)
,
ha
conosciuto
le
donne
di
"
papà
"
,
è
andato
a
pescare
con
lui
nel
golfo
.
Ora
dice
:
"
Forse
non
capii
,
allora
,
che
era
un
genio
;
ma
se
mi
avesse
chiesto
di
gettarmi
in
un
burrone
,
lo
avrei
fatto
"
.
E
le
donne
?
"
Non
mi
è
mai
piaciuta
la
terza
moglie
,
Martha
Gellorn
.
Era
troppo
ambiziosa
.
Ma
neanche
lui
scherzava
.
Quando
gli
riferirono
che
Agnes
,
infermiera
dell
'
ospedale
di
Milano
che
lo
aveva
curato
,
stava
per
rientrare
negli
Stati
Uniti
,
lui
,
Ernest
,
mi
disse
:
'
Spero
che
si
rompa
una
gamba
sulla
scaletta
dell
'
aereo
'
.
Non
aveva
mai
digerito
il
fatto
che
Agnes
,
otto
anni
più
anziana
di
lui
,
lo
avesse
respinto
"
.
E
i
colleghi
?
Gli
scrittori
?
"
Non
ne
parlavamo
molto
"
,
dice
Bruce
,
"
ma
mi
ricordo
un
episodio
.
So
che
Hemingway
ammirava
molto
Faulkner
,
ma
aveva
poco
tempo
per
gli
altri
.
Una
volta
all
'
aeroporto
,
in
partenza
per
Nuova
York
,
ci
incontrammo
con
Tennessee
Williams
.
Ernest
non
ne
volle
sapere
.
Lo
steward
ci
informò
che
Williams
viaggiava
in
prima
classe
:
bene
,
disse
Hemingway
,
noi
viaggeremo
in
seconda
"
.
Key
West
non
è
cambiata
dai
tempi
di
Hemingway
(
che
se
ne
andò
nel
Quaranta
a
Cuba
)
,
il
mare
è
tale
e
quale
,
con
molti
battelli
all
'
orizzonte
,
per
via
dei
cubani
.
Toby
Bruce
è
rimasto
qui
,
la
casa
piacevolmente
invasa
da
piante
e
fiori
.
Gli
chiedo
come
,
quando
seppe
della
morte
di
Hemingway
,
che
cosa
provò
allora
.
Resta
un
minuto
senza
rispondere
.
Poi
:
"
Rimasi
addolorato
,
molto
addolorato
.
Quindi
pensai
:
è
bene
che
sia
così
.
Negli
ultimi
tempi
era
molto
turbato
mentalmente
.
Mi
aveva
anche
detto
,
più
volte
,
che
non
gli
sarebbe
piaciuto
diventare
un
vegetale
.
Agiva
in
maniera
strana
.
Più
di
una
volta
non
sapeva
che
tintura
mettersi
,
se
questa
o
quell
'
altra
;
e
cambiava
tre
volte
al
giorno
la
camicia
.
Ha
fatto
bene
,
ha
fatto
bene
.
Lo
dice
uno
che
gli
è
stato
amico
"
.