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> anno_i:[1970 TO 2000}
L'addio a Mao ( Terzani Tiziano , 1976 )
StampaQuotidiana ,
Hong Kong , 18 . La Cina si è fermata . Per tre commoventi minuti , ottocento milioni di cinesi , un quarto dell ' umanità , sono rimasti immobili , sull ' attenti , la testa china , moltissimi in lacrime , a rendere l ' ultimo omaggio a Mao Tse tung . Il lavoro , il traffico e tutte le attività si sono bloccate in ogni città , in ogni villaggio del paese . L ' immenso silenzio caduto sulla Cina , unita nel ricordo del suo Presidente , è stato rotto dall ' unisono , funereo ululare delle sirene dei treni , delle fabbriche , delle navi . A Pechino un milione di persone , scelte dalle varie organizzazioni rivoluzionarie , hanno assistito sulla piazza della Pace celeste alla cerimonia che ha concluso i dieci giorni di lutto . Sulla spianata di cemento nel centro della capitale , coperta da uno sterminato tappeto di teste immobili , spalla a spalla , soldati dell ' esercito popolare nelle loro uniformi verdi , lavoratori nelle tute blu , operaie con le cuffie bianche , studenti coi fazzoletti rossi attorno al collo , hanno seguito le istruzioni di tacere ed inchinarsi date dal giovane vicepresidente del Partito comunista Wang Hung - wen che presiedeva il rito ed hanno ascoltato il discorso commemorativo pronunciato dal primo ministro e primo vicepresidente del PCC , Hua Kuo - feng . Al loro fianco , su un rostro costruito significativamente un piano più basso di quello dal quale era solito parlare Mao , stavano allineati gli altri capi del partito e dello Stato . In sesta posizione , uniforme e sciarpa in testa , stava la vedova Ciang Cing . Dal pennone sul quale Mao nell ' ottobre 1949 issò per la prima volta i colori della Repubblica popolare sventolava a mezz ' asta la bandiera rossa a cinque stelle , mentre gli altoparlanti spandevano sull ' intero paese le note della marcia funebre , dell ' inno nazionale ed infine quelle dell ' Internazionale . Nelle ore precedenti la cerimonia il partito , l ' esercito e la milizia popolare - incaricata del servizio d ' ordine - avevano messo in guardia contro eventuali provocazioni o incidenti . Non ce ne sono stati . Nella accoppiata Wang Hung - wen , il giovane « radicale » di Shangai , e Hua Kuofeng , primo ministro non identificato con nessuna delle due correnti in cui si dividerebbe il partito , la leadership del paese ha mostrato per il momento la sua unità . È stato questo un tema che Hua ha ripetuto nel suo discorso durato venti minuti . Citando una vecchia frase di Mao l ' attuale primo ministro e numero uno del paese ha detto : « Dobbiamo praticare il marxismo e non il revisionismo , dobbiamo unirci e non dividerci . Non dobbiamo perderci in complotti o congiure » . Hua Kuo - feng ha concluso il suo discorso con quello che pur in termini generali sembra essere il programma politico della Cina dopo Mao . Questi i punti principali : sul piano interno : - continuare la lotta di classe e la rivoluzione sotto la dittatura del proletariato ; - approfondire la critica di Teng Hsiao - ping , respingere i tentativi di deviazionismo di destra e combattere il revisionismo ; - lavorare per fare del paese un forte Stato socialista ; - liberare Taiwan . Sul piano esterno : - perseguire l ' internazionalismo proletario senza cercare l ' egemonia ; - rafforzare l ' unione coi popoli del Terzo mondo e le nazioni oppresse ; - formare il più vasto « fronte unito » possibile contro l ' imperialismo , in particolare contro l ' egemonia delle due superpotenze , Unione Sovietica e Stati Uniti . Hua Kuo - feng ha concluso dicendo « dobbiamo unirci con tutti i partiti genuinamente marxisti - leninisti ed altre organizzazioni nel mondo per condurre una lotta comune per l ' abolizione del sistema di sfruttamento dell ' uomo sull ' uomo , la realizzazione del comunismo nel mondo , e per la liberazione di tutta l ' umanità » . Pur in questa fraseologia standard di ogni leader cinese sembra emergere una nota di moderazione ed una indicazione di eventuali novità nei rapporti con l ' URSS ed i partiti « revisionisti » occidentali . Gli osservatori di cose cinesi fanno notare che Unione Sovietica e Stati Uniti vengono di nuovo citati come nemici dello stesso livello ( e non più l ' URSS « nemico numero uno » come avveniva in passato ) ; inoltre il riferimento ad altre « organizzazioni » potrebbe indicare l ' inizio di un ripensamento sul ruolo che possono svolgere nel mondo occidentale i partiti che non sono , almeno nella valutazione cinese , « genuinamente marxisti - leninisti » . Ed è presto per tirare delle conclusioni . Dal discorso di Hua - che certo è stato preventivamente approvato dall ' intero Politburo nelle sue componenti « radicale » e « moderata » - per il momento neppure il destino della salma di Mao è chiaro . Sembra che il Presidente avesse espresso il desiderio di essere cremato , come è stato fatto con tutti gli altri leaders storici del paese che lo hanno preceduto nella morte , compreso Ciu En - lai . L ' urna delle sue ceneri però non era oggi ( come avvenne nel caso degli altri ) sul rostro della piazza della Pace celeste , e ciò potrebbe indicare che ci sono stati ripensamenti sull ' esecuzione della volontà di Mao su questo punto . Con una decisione che potrebbe venir giustificata con « la volontà del popolo » , la sua salma potrebbe essere conservata così come l ' abbiamo vista nei giorni scorsi in una urna di vetro e potrebbe divenire la meta di future generazioni in un mausoleo eretto in suo nome , come è avvenuto per Lenin a Mosca e per Ho Ci - min ad Hanoi .
Sadat a Gerusalemme ( Valli Bernardo , 1977 )
StampaQuotidiana ,
Gerusalemme , 19 . L ' incontro impossibile è avvenuto . L ' egiziano Sadat ha lasciato per davvero le sponde del Nilo per stringere la mano all ' israeliano Begin . Il capo di una nazione araba ha messo piede per la prima volta sul territorio dello Stato ebraico . È accaduto alle 18.59 ( ora italiana ) di stasera all ' aeroporto di Tel Aviv presidiato dall ' esercito , illuminato dai riflettori , tra i suoni delle fanfare e le salve di cannone . Affiancati l ' uno all ' altro , quasi a sfiorarsi , il volto color cuoio del presidente egiziano , figlio di un arabo e d ' una nubiana , e quello asciutto , leggermente abbronzato , del primo ministro israeliano , nato in una famiglia askenazi di Brest - Litwosk , sono rimbalzati in milioni di case arabe e musulmane , sui teleschermi , accendendo speranze e timori . Perché da quest ' appuntamento precipitoso e al tempo stesso solenne può infatti nascere una pace inedita , o una nuova tragedia . Ai piedi della scaletta dell ' aereo presidenziale , Sadat è stato accolto dal capo dello Stato Ephraim Katzir e da Begin . I tre si sono stretti la mano , quindi - mentre la banda intonava gli inni dei due paesi - hanno passato in rassegna la guardia d ' onore . Sadat aveva il viso grave , ma subito dopo l ' atmosfera s ' è fatta più distesa . Il Rais ha chiesto di Ariel Sharon ( il generale che nel '73 circondò la Terza armata egiziana ) , e quando questi s ' è fatto avanti gli ha stretto la mano . Altre strette di mano con Dayan , con Golda Meir , con Eban , quindi Sadat e Begin hanno preso posto nell ' automobile che li ha condotti a Gerusalemme . Il dialogo era cominciato . Il cronista stenta a distinguere tra gli appunti , le dichiarazioni e le emozioni , le incertezze e i miraggi degli uni e degli altri . L ' impazienza è unanime , mentre viene annunciato il decollo dell ' aereo dal territorio egiziano . I minuti scanditi sulla pista d ' arrivo a Tel Aviv nell ' attesa che il jet di Sadat giunga a portata dei riflettori . I dubbi e i trionfalismi . I sorprendenti discorsi sulla « tradizionale fraternità giudeo - araba » . L ' amico egiziano euforico e poi smarrito che dice : « La pace è a portata di mano . Ma come raggiungerla ? » . L ' amico israeliano che sogna già « un ' alleanza Egitto - Israele , capace di colmare il vuoto lasciato dal crollo dell ' impero ottomano settant ' anni fa » . È la tristezza , le perplessità degli arabi dei territori occupati che denunciano il tradimento e al tempo stesso sognano , come gli altri , la pace . Infine lo sportello che si spalanca . La sfida di Sadat comincia . Prima di ritirarsi nell ' appartamento reale dell ' hotel King David , dove dormì Richard Nixon , il presidente egiziano ha già avuto un primo colloquio con Begin . Essi tentano con impazienza , senza aspettare , le prime analisi . Non vi è alcun dubbio che Sadat , domani , davanti al Parlamento d ' Israele , chiederà il ritiro totale degli israeliani dai territori occupati nel 1967 , durante la Guerra dei sei giorni . Cosa potrà promettere Begin in cambio per non ferire irrimediabilmente l ' insperato interlocutore arabo ? Lasciarlo partire a mani vuote sarebbe condannarlo politicamente a morte . Forse negoziati per il Sinai o per il Golan . Ma la Cisgiordania , necessaria per risolvere il dramma palestinese , sembra irrinunciabile per Gerusalemme . Carter ha telefonato più volte in questi giorni a Sadat e a Begin per raccomandare la prudenza . E non ha risparmiato i consigli : niente intese separate , non escludere del tutto i sovietici senza i quali nulla può essere risolto stabilmente , attenzione ai palestinesi che costituiscono una carica esplosiva impossibile da disinnescare . La natura dei due uomini , Sadat e Begin , e le trasformazioni che essi hanno attuato nei rispettivi paesi hanno contribuito a rendere possibile quest ' incontro . I loro predecessori rappresentavano quasi religiosamente storie inconciliabili . Erano appesantiti da carismi diversi per origine e specie . Gamal Nasser era prigioniero di un socialismo panarabo puritano , era ingabbiato in un dogmatismo al quale non sfuggivano neppure Golda Meir , sionista vincolata ai principi socialdemocratici mitteleuropei , e chi poi occupò la sua poltrona di primo ministro a Gerusalemme . Hanno molti più punti in comune i nazionalismi meno sofisticati e quindi più pragmatisti di Menahem Begin , ex terrorista dell ' Irgun e sostenitore del « grande Israele » , e di Anuar Sadat , ufficiale musulmano e repubblicano che quasi svenne per l ' emozione nel 1952 , accompagnando il destituito monarca Faruk sulla nave dell ' esilio . Anzitutto Sadat e Begin hanno demolito in gran fretta le istituzioni o i sogni socialisti che ancora sopravvivevano nelle loro capitali . Il nazionalismo grezzo che li anima rende possibile un dialogo su basi irrazionali , che i loro predecessori respingevano a priori . Nella storia contemporanea non era mai accaduto che il capo di una nazione , senza aver posto fine allo stato di guerra , visitasse ufficialmente il nemico tra suoni di fanfare e discorsi fraterni . E questo è già paradossale . È un gesto riassunto in un ' ingenua scritta araba ben visibile su un muro della vecchia Gerusalemme : « Evviva Sadat messaggero di pace e dio della guerra » . È un gesto al tempo stesso drammatico e disperato . Israele in queste ore esulta ma trattiene anche il respiro non riuscendo a capire quel che accadrà nell ' immediato futuro , una volta partito Sadat . Sente il brontolio del mondo arabo in preda a convulsioni , forse meno gravi del previsto ma suscettibili di deflagrazioni delle quali è difficile oggi immaginare le dimensioni . Questi sentimenti contraddittori sono palpabili nei territori occupati , nella Cisgiordania che il primo ministro Begin chiama Giudea e Samaria , considerandole biblicamente province dello Stato ebraico . Anche là , come a Tripoli e a Damasco , ma sottovoce , Sadat viene accusato di spezzare il fronte arabo e molti sindaci cristiani e musulmani si asterranno domani dal rendere omaggio al presidente egiziano , davanti alla moschea di Al Aqsa , dove si recherà per la preghiera di primo mattino . I sindaci musulmani o cristiano - progressisti festeggeranno la ricorrenza del « sacrificio » di Abramo nelle loro città con ufficiale mestizia . Ma l ' ordine di sciopero , lanciato dalle massime organizzazioni palestinesi è rimasto inascoltato , le botteghe si sono aperte stamane come al solito e non soltanto perché le autorità di Gerusalemme avevano minacciato le abituali sanzioni contro i commercianti insubordinati . Mi ha detto con severa tristezza un esponente palestinese : « Anche noi vogliamo la pace come Sadat , ma non al prezzo richiesto dai suoi amici israeliani » . E dalle sue parole trapelava un ' emozione in cui non c ' era soltanto lo sdegno dei manifesti clandestini . Affiorava anche una certa speranza . « Sadat osa molto . Chissà dove vuole arrivare » .
StampaQuotidiana ,
L ' attesa spasmodica di un nuovo comunicato delle BR e le concitate discussioni su come ci si sarebbe comportati in quel caso hanno portato la stampa a reagire in modo contraddittorio . C ' è stato chi non ha riportato il comunicato , ma non ha potuto evitare di pubblicizzarlo con titoli a piena pagina ; chi l ' ha riportato , ma in caratteri così piccoli da privilegiare solo i lettori con dieci decimi di vista ( discriminazione inaccettabile ) . Quanto al contenuto anche qui la reazione è stata imbarazzata , perché tutti si attendevano inconsciamente un testo disseminato di « ach so ! » o di parole con cinque consonanti di seguito , così da tradire subito la mano del terrorista tedesco o dell ' agente cecoslovacco , e invece ci si è trovati di fronte a una lunga argomentazione politica . Che di argomentazione si trattasse non è sfuggito a nessuno e ai più acuti è apparso anche che era una argomentazione diretta non al « nemico » , ma agli amici potenziali , per dimostrare che le BR non sono un manipolo di disperati che menano colpi a vuoto , ma vanno viste come l ' avanguardia di un movimento che si giustifica proprio sullo sfondo della situazione internazionale . Se così stanno le cose , non si reagisce affermando soltanto che il comunicato è farneticante , delirante , fumoso , folle . Esso va analizzato con calma e attenzione ; solo così si potrà chiarire dove il comunicato , che parte da premesse abbastanza lucide , manifesta la fatale debolezza teorica e pratica delle BR . Dobbiamo avere il coraggio di dire che questo « delirante » messaggio contiene una premessa molto accettabile e traduce , sia pure in modo un po ' abborracciato , una tesi che tutta la cultura europea e americana , dagli studenti del '68 ai teorici della « Monthly Review » , sino ai partiti di sinistra ripetono da tempo . E dunque se « paranoia » c ' è , non è nelle premesse ma , come vedremo , nelle conclusioni pratiche che se ne traggono . Non mi pare il caso di sorridere sul delirio del cosiddetto SIM ovvero Stato Imperialistico delle Multinazionali . Magari il modo in cui è rappresentato è un po ' folkloristico , ma nessuno si nasconde che la politica internazionale planetaria non è più determinata dai singoli governi ma appunto da una rete d ' interessi produttivi ( e chiamiamola pure la rete delle Multinazionali ) la quale decide delle politiche locali , delle guerre e delle paci e - essa - stabilisce í rapporti tra mondo capitalistico , Cina , Russia e Terzo Mondo . Caso mai è interessante che le BR abbiano abbandonato la loro mitologia alla Walt Disney , per cui da una parte c ' era un capitalista cattivo individuale chiamato Paperon de ' Paperoni e dall ' altra la Banda Bassotti , canagliesca e truffaldina è vero , ma con una sua carica estrosa di simpatia perché svaligiava a suono di espropri proletari il capitalista avaraccio ed egoista . Il gioco della Banda Bassotti l ' avevano giocato i tupamaros uruguayani , convinti che i Paperoni del Brasile e dell ' Argentina si sarebbero seccati e avrebbero trasformato l ' Uruguay in un secondo Viet Nam , mentre i cittadini , condotti a simpatizzare coi Bassotti , si sarebbero trasformati in tanti vietcong . Il gioco non è riuscito perché il Brasile non si è mosso e le Multinazionali , che avevano da produrre e da vendere nel Cono Sur , hanno lasciato tornare Perón in Argentina , hanno diviso le forze rivoluzionarie o guerrigliere , hanno permesso che Perón e i suoi discendenti sprofondassero nella merda fino al collo , e a quel punto i montoneros più svelti se ne sono fuggiti in Spagna e i più idealisti ci hanno rimesso la pelle . È proprio perché esiste il potere delle Multinazionali ( ci siamo dimenticati del Cile ? ) che l ' idea di rivoluzione alla Che Guevara è diventata impossibile . Si fa la rivoluzione in Russia mentre tutti gli Stati europei sono impegnati in una guerra mondiale ; si organizza la lunga marcia in Cina quando tutto il resto del mondo ha altro a cui pensare ... Ma quando si vive in un universo in cui un sistema d ' interessi produttivi si avvale dell ' equilibrio atomico per imporre una pace che fa comodo a tutti e manda per il cielo satelliti che si sorvegliano a vicenda , a questo punto la rivoluzione nazionale non la si fa più , perché tutto è deciso altrove . Il compromesso storico da una parte e il terrorismo dall ' altra rappresentano due risposte ( ovviamente antitetiche ) a questa situazione . L ' idea confusa che muove il terrorismo è un principio molto moderno e molto capitalistico ( rispetto a cui il marxismo classico si è trovato impreparato ) di Teoria dei Sistemi . I grandi sistemi non hanno testa , non hanno protagonisti e non vivono neppure sull ' egoismo individuale . Quindi non si colpiscono uccidendone il Re , ma rendendoli instabili attraverso gesti di disturbo che si avvalgono proprio della loro logica : se esiste una fabbrica interamente automatizzata , essa non sarà disturbata dalla morte del padrone ma solo da una serie d ' informazioni aberranti inserite qua e là , che rendano difficile il lavoro dei computers che la reggono . Il terrorismo moderno finge ( o crede ) di avere meditato Marx , ma in effetti , anche per vie indirette , ha meditato Norbert Wiener da un lato e la letteratura di fantascienza dall ' altro . Il problema è che non l ' ha meditata abbastanza - né ha studiato a sufficienza cibernetica . Prova ne sia che in tutta la loro propaganda precedente le BR parlavano ancora di « colpire il cuore dello Stato » , coltivando da un lato la nozione ancora ottocentesca di Stato e dall ' altro l ' idea che l ' avversario avesse un cuore o una testa , così come nelle battaglie di un tempo , se si riusciva a colpire il Re , che cavalcava davanti alle truppe , l ' esercito nemico era demoralizzato e distrutto . Nell ' ultimo volantino le BR abbandonano l ' idea di cuore , di Stato , di capitalista cattivo , di ministro « boia » . Adesso l ' avversario è il sistema delle Multinazionali , di cui Moro è un commesso , al massimo un depositario di informazioni . Qual è allora l ' errore di ragionamento ( teorico e pratico ) che a questo punto commettono le BR , specie quando si appellano , contro la multinazionale del capitale , alla multinazionale del terrorismo ? Prima ingenuità . Una volta colta l ' idea dei grandi sistemi , li si mitologizza di nuovo ritenendo che essi abbiano « piani segreti » di cui Moro sarebbe uno dei depositari . In realtà i grandi sistemi non hanno nulla di segreto e si sa benissimo come funzionano . Se l ' equilibrio multinazionale sconsiglia la formazione di un governo di sinistra in Italia , è puerile pensare che si invii a Moro una velina in cui gli si insegna come sconfiggere la classe operaia . Basta ( si fa per dire ) provocare qualcosa in Sudafrica , sconvolgere il mercato dei diamanti a Amsterdam , influenzare il corso del dollaro , ed ecco che la lira entra in crisi . Seconda ingenuità . Il terrorismo non è il nemico dei grandi sistemi , ne è al contrario la contropartita naturale , accettata , prevista . Il sistema delle Multinazionali non può vivere in una economia di guerra mondiale ( e atomica per giunta ) , ma sa che non può nemmeno ridurre le spinte naturali dell ' aggressività biologica o l ' insofferenza di popoli o di gruppi . Per questo accetta piccole guerre locali , che verranno di volta in volta disciplinate e ridotte da oculati interventi internazionali , e dall ' altro lato accetta appunto il terrorismo . Una fabbrica qua , una fabbrica là , sconvolte da qualche sabotaggio , ma il sistema può andare avanti . Un aereo dirottato ogni tanto , ci perdono per una settimana le compagnie aeree , ma in compenso ci guadagnano le catene giornalistiche e televisive . Inoltre il terrorismo serve a dare una ragion d ' essere alle polizie e agli eserciti , che a lasciarli inoperosi chiedono poi di realizzarsi in qualche conflitto più allargato . Infine il terrorismo serve a favorire interventi disciplinanti là dove un eccesso di democrazia rende la situazione poco governabile . Il capitalista « nazionale » alla Paperon de ' Paperoni teme la rivolta , il furto e la rivoluzione che gli sottraggono i mezzi di produzione . Il capitalismo moderno , che investe in paesi diversi , ha sempre uno spazio di manovra abbastanza ampio per poter sopportare l ' attacco terroristico in un punto , due punti , tre punti isolati . Poiché è senza testa e senza cuore , il sistema manifesta un ' incredibile capacità di rimarginazione e di riequilibrio . Dovunque venga colpito , sarà sempre alla sua periferia . Se poi il presidente degli industriali tedeschi ci rimette la pelle , sono incidenti statisticamente accettabili , come la mortalità sulle autostrade . Per il resto ( e lo si era descritto da tempo ) si procede a una medievalizzazione del territorio , con castelli fortificati e grandi apparati residenziali con guardie private e cellule fotoelettriche . L ' unico incidente serio sarebbe un ' insorgenza terroristica diffusa su tutto il territorio mondiale , un terrorismo di massa ( come le BR paiono invocare ) : ma il sistema delle multinazionali « sa » ( per quanto un sistema possa « sapere » ) che questa ipotesi è da escludersi . Il sistema delle multinazionali non manda i bambini in miniera : il terrorista è colui che non ha più nulla da perdere se non le proprie catene , ma il sistema gestisce le cose in modo che , salvo gli emarginati inevitabili , tutti gli altri abbiano qualcosa da perdere in una situazione di terrorismo generalizzato . Sa che quando il terrorismo , al di là di qualche azione pittoresca , comincerà a rendere troppo inquieta la giornata quotidiana delle masse , le masse faranno barriera contro il terrorismo . Che cos ' è che il sistema delle multinazionali vede invece di malocchio , come si è dimostrato negli ultimi tempi ? Che di colpo , ad esempio , in Spagna , in Italia e in Francia , vadano al potere partiti che hanno dietro di sé le organizzazioni operaie . Per « corrompibili » che siano questi partiti , il giorno che le organizzazioni di massa metteranno il naso nella gestione internazionale del capitale , potrebbero sorgerne dei disturbi . Non è che le multinazionali morirebbero se Marchais andasse al posto di Giscard , ma tutto diventerebbe più difficile . È pretestuosa la preoccupazione per cui i comunisti al potere conoscerebbero i segreti della NATO ( segreti di Pulcinella ) : la vera preoccupazione del sistema delle Multinazionali ( e lo dico con molta freddezza , non simpatizzando col compromesso storico così come ci viene oggi proposto ) è che il controllo dei partiti popolari disturbi una gestione del potere che non può permettersi i tempi morti delle verifiche alla base . Il terrorismo invece preoccupa molto meno , perché delle multinazionali è conseguenza biologica , così come un giorno di febbre è il prezzo ragionevole per un vaccino efficiente . Se le BR hanno ragione nella loro analisi di un governo mondiale delle multinazionali , allora devono riconoscere che esse , le BR , ne sono la controparte naturale e prevista . Esse devono riconoscere che stanno recitando un copione già scritto dai loro presunti nemici . Invece , dopo di aver scoperto , sia pure rozzamente , un importante principio di logica dei sistemi , le BR rispondono con un romanzo d ' appendice ottocentesco fatto di vendicatori e giustizieri bravi e efficienti come il conte di Montecristo . Ci sarebbe da ridere , se questo romanzo non fosse scritto col sangue . La lotta è tra grandi forze , non tra demoni ed eroi . Sfortunato allora quel popolo che si trova tra i piedi gli « eroi » , specie se costoro pensano ancora in termini religiosi e coinvolgono il popolo nella loro sanguinosa scalata ad un paradiso disabitato .
Il titoismo senza Tito ( Ronchey Alberto , 1980 )
StampaQuotidiana ,
Fra i capi storici del comunismo , il presidente a vita o « re proletario » della Jugoslavia è stato il più longevo e resistente al potere . È sopravvissuto a Stalin , Mao Tse - tung , Ho Chi Minh . Ha tutelato con la sua patriarcale autorità la coesione del federalismo jugoslavo , quel mosaico etnico - economico che unisce regioni già governate dall ' impero austro - ungarico e regioni già tributarie dell ' impero ottomano . Ha garantito la resistenza dell ' eresia jugosocialista , che aprì la serie delle insubordinazioni alla legge del blocco sovietico . Lo scisma titoista , nel 1948 , coincise con la prima guerra fredda . Ora Josip Broz Tito , che osò ribellarsi a Stalin e al Cominform , abbandona la scena mentre comincia forse la seconda guerra fredda . Potrà reggersi il titoismo senza Tito ? La successione sarà collegiale . Tito ha predisposto una specie di « legge salica » dello jugosocialismo , per cui la presidenza del Presidium eletto dall ' assemblea federale dovrebbe ruotare ogni anno tra i suoi nove membri , un rappresentante per ogni repubblica ( Bosnia - Erzegovina , Croazia , Macedonia , Montenegro , Slovenia , Serbia ) o provincia autonoma ( Kosovo , Vojvodina ) e il presidente della Lega dei comunisti jugoslavi . Ma rimane affidata al corso degli eventi la distribuzione del potere reale tra personaggi d ' influenza variabile come Bakaric , Dolanc , Stambolic , Minic , Grlichov , Zarkovic , Ljubicic , Vrhonic , Kolisevski . E se il Presidium fosse discorde , fra contrasti d ' interessi e spinte centrifughe , non si sa con quali mezzi potrebbe presiederlo per esempio il rappresentante di Kosovo , « un albanese » . Il parziale benessere della Jugoslavia , almeno al confronto con le nazioni del Comecon o SEV , è oggi minacciato dall ' iperinflazione cronica . Negli ultimi decenni un rapido sviluppo industriale ha scavato « un tunnel nel Medioevo balcanico » , ma l ' assetto dell ' economia è ancora fragile . Tra pianificazione e meccanismi di mercato , miti e delusioni dell ' autogestione socialista , deficit della bilancia valutaria e arretratezze tecnologiche , migrazioni di massa e disoccupazione , il divario tra il Nord « austro - ungarico » e il Sud « ottomano » aumenta anziché ridursi . Rimane l ' egemonia industriale sloveno - croata sulle regioni che hanno appena sostituito il cavallo - elettricità al cavallo - cavallo , anche se per esempio i croati lamentano che il 6 per cento del loro reddito di trent ' anni è stato requisito a vantaggio del Sud . Qui può innescarsi la reviviscenza dei nazionalismi come forze centrifughe . Sulle frontiere orientali , la sola nazione amica è la Romania , oltre le Porte di Ferro . Se le antiche ostilità tra le etnie oggi federate dovessero un giorno riemergere , con l ' additivo delle nuove contraddizioni economiche , aprirebbero un varco sicuro alle pressioni del blocco sovietico . Già l ' URSS , attraverso gli scambi economici , tenta di guadagnare influenza nelle Repubbliche del Sud . Già la Bulgaria ritorna a periodi alterni sulla questione macedone , mentre il quindicesimo volume dell ' enciclopedia sovietica non menziona in alcun modo l ' esistenza della Repubblica jugoslava di Macedonia . Già nel '74 fu inquietante l ' episodio di quei gruppi filosovietici , che nel Sud serbo - montenegrino avevano costituito un partito clandestino con diramazioni nell ' URSS e materiali stampati in Ungheria . Come appare da un documento essenziale qual è il diario di Veljko Miciunovich , per lungo tempo ambasciatore a Mosca , lo scisma del '48 non è stato mai assolto veramente dai sovietici . Allo stesso modo , nei tempi delle guerre di religione in Europa , nessun compromesso poteva far dimenticare i dissidi originari che avevano suscitato decenni di conflitti e stragi . Tuttora non si sa quanti furono , da Sofia a Praga e da Budapest a Varsavia , i sospetti di titoismo fucilati negli ultimi anni di Stalin , o i seguaci del Cominform fucilati in Jugoslavia . I sovietici non hanno mai rinunciato a immaginare che senza lo scisma e l ' asilo eretico della Jugoslavia non avrebbero dovuto fronteggiare i moti polacchi , la rivolta ungherese , il revisionismo cecoslovacco , il separatismo romeno . E così oggi , mentre comincia la seconda guerra fredda , non rinunciano a pensare che la condanna dell ' intervento in Afghanistan non sarebbe stata votata da 104 nazioni dell ' ONU senza il pronunciamento della Jugoslavia e la sua influenza nel Terzo Mondo . Prima o poi , nessuno a Belgrado ne dubita , l ' URSS tenterà il recupero della Jugoslavia , focolaio d ' ogni dissidenza per il mondo sovietico e base di transito d ' un possibile sbocco nel Mediterraneo . La riconquista non avverrà necessariamente secondo lo scenario della Cecoslovacchia , poiché un ' invasione potrebbe rinsaldare la coesione anziché far leva sulle discordie . Questo teatro naturale di guerriglia fra le montagne di Serbia e Croazia non è la Cecoslovacchia , né lo sperduto Afghanistan . « I nostri otto milioni di guerriglieri territoriali » ricordava il generale Stev Ilic , dirigente della scuola di guerra « possono equivalere a una bomba atomica . » L ' intervento potrebbe passare « sotto » le frontiere più facilmente che « sopra » , utilizzando le contraddizioni fra le sei repubbliche e le due province autonome della Serbia . Come programma minimo , la destabilizzazione del federalismo jugoslavo sarebbe rivolta a instaurare due sfere d ' interessi , il Sud fino al Basso Adriatico quale zona d ' influenza sovietica e il Nord quale zona d ' influenza occidentale , il resto dello scenario sarebbe affidato alle svalutazioni del dinaro , alle manovre del KGB di Jurij Andropov , alla « crisi epocale » dell ' Occidente . Insomma sono passati gli Zar , Lenin , Stalin , Kruscev , Breznev , e ancora una volta i « grandi russi » premono sulla Serbia . Continuità o stabilità ? Finora il confine tra l ' Ovest e l ' Est non è a Muggia , ma sul Danubio . Mentre in massima parte le importazioni jugoslave di macchinari industriali provengono dalla CEE e un milione sui ventidue milioni di jugoslavi sono emigrati nella CEE , la Repubblica federativa gravita verso l ' Europa occidentale . I successori di Tito affermano che niente potrà cambiare . Ma da vent ' anni a Belgrado ricorre anche il detto : « Solo un ingenuo può fare domande sul " dopo Tito " , e solo un pazzo potrebbe rispondere » . Quanto maggiori sono le pubbliche rassicurazioni , tanto più numerose le incognite . È certo solo che se l ' ipotesi della destabilizzazione dovesse prevalere , in Italia avremmo ciò che si chiama « una poltrona di prima fila per il prossimo dramma della storia » .
Tragico 18 aprile a piazza del Gesù ( Pansa Giampaolo , 1978 )
StampaQuotidiana ,
Roma . Doveva arrivare , questo 18 aprile a piazza del Gesù , ma nessuno lo immaginava così carico d ' angoscia , così straziato fra notizie vere e notizie incerte , così crudele nell ' alternarsi dei messaggi di morte e dei lampi di speranza . La prima telefonata , alle 10.30 , è di Lettieri , sottosegretario all ' Interno : c ' è l ' ultimo comunicato delle Brigate Rosse , Moro è stato assassinato . Zaccagnini ascolta , con lui c ' è soltanto Pisanu , il capo della sua segreteria politica . E noi , adesso , siamo tutti qui col taccuino in mano , a torchiare Pisanu , per sapere le solite cose inutili e un po ' feroci . Com ' era Zac ? Che cosa ha fatto Zac ? Che cosa ha mormorato Zac ? Pisanu ci fissa senza vederci , poi replica : « Zaccagnini non ha detto niente » . Subito dopo , il segretario della DC chiama gli amici che in quel momento stanno a piazza del Gesù : Bodrato , Galloni , Belci , Cavina . Ed è su di loro che cade la prima mezza conferma del Viminale : gli esperti dicono che quel foglio ricevuto dal « Messaggero » può essere autentico . È la notizia che apprendono anche Salvi e il ministro della Sanità , Tina Anselmi , accorsi dopo le prime voci . Si mette in moto un frenetico meccanismo di accertamento , e intanto l ' Anselmi corre dalla famiglia Moro . La vediamo uscire stravolta , non vuoi dir nulla , sale in silenzio su di un tassì che parte per via di Forte Trionfale . Alle 12.30 anche Zaccagnini lascia piazza del Gesù per la casa dell ' amico . E terreo , entra nell ' Alfetta e si abbandona sullo schienale , ad occhi chiusi . Con lui ci sono Salvi e il medico personale di Moro , il professor Mario Giacovazzo . Qualcuno di noi dice : « Forse il corpo è stato trovato , oppure il Viminale ha una prova che l ' assassinio è avvenuto » . In realtà , non esistono né prove né conferme . I capi democristiani che in questo tragico 18 aprile accorrono alla sede del partito , ne sanno quanto noi . Arriva Emilio Colombo e allarga le braccia in un gesto disperato : « Ho saputo soltanto che esiste un volantino » . Forlani : « Non so niente » . Rumor : « Ho ascoltato la radio e mi sono precipitato qui » . Dall ' ufficio del segretario scende Mario Segni , deputato sardo : « Non ci sono prove , ma la tendenza è di credere a quel messaggio » . Poco dopo l ' una , esce anche Evangelisti , cupo come mai l ' avevamo visto : « Abbiamo questa drammatica certezza nel cuore . Ma fino a quando i sommozzatori non saranno scesi sul fondo di quel lago , la certezza matematica non ci sarà » . Passano Andreatta e Grassini , e non domandano nulla . Trascorre un ' ora vuota . Poi Pisanu dice : « Vi ripeto che quel volantino sembra autentico . Aspettiamo un riscontro certo di questa sciagurata notizia e viviamo tutti nell ' angoscia » . Il centralino è sovraccarico di telefonate , la periferia del partito ha saputo e da tutta Italia chiamano Roma . Ma Roma non è in grado di dire nulla . E nulla dice Zaccagnini al suo ritorno da casa Moro : una visita brevissima , non più di dieci minuti . Lo vediamo uscire dall ' auto un po ' barcollante e vien freddo a pensare che cosa íl segretario deve aver visto e sentito in quella casa . Come in un brutto giallo , il bianco e il nero s ' intrecciano , si sovrappongono , si annullano . Evangelisti , di ritorno da Palazzo Chigi , dice : « Il luogo indicato dal messaggio è impervio . Ci vorranno ore per raggiungerlo » . Bartolomei , il presidente dei senatori , s ' aggrappa ad una speranza : « Alla procura della Repubblica hanno dei dubbi . E se fosse soltanto una beffa crudele ? » . Evangelisti : « Dubbi ? Magari , magari » . Piccoli : « Il volantino sembra autentico . Gli elicotteri sono sul posto , ma c ' è molta neve e non possono atterrare accanto al lago » . La stessa notizia ci dà alle 14.30 , Andreotti : « Sarà un lavoro di ricerca piuttosto lungo » . Si rifiuta di rispondere ad altre domande e sale nell ' ufficio di Zac . Due minuti dopo , entrano a piazza del Gesù Berlinguer e Chiaromonte . Al secondo piano , c ' è un incontro fra gli esponenti comunisti e Andreotti , Galloni e il segretario democristiano . Il colloquio dura una ventina di minuti , poi il segretario del PCI ridiscende . Dice : « Siamo venuti qui a portare la nostra solidarietà a Zaccagnini e alla DC » . Poi , con Chiaromonte , si fa largo tra la gente e s ' incammina per via d ' Aracoeli , diretto alle vicinissime Botteghe Oscure . Cinque uomini del servizio d ' ordine comunista lo circondano e lo accompagnano , passo dopo passo . Inutile fare altre domande . Il viso di Berlinguer è una maschera tesa , silenziosa . Il pomeriggio si consuma senza novità . Il lago della Duchessa sembra un posto lontanissimo e irraggiungibile . Vito Napoli deputato della Calabria , mormora : « Non facciamoci illusioni . Moro è lassù ed è morto . Qui non c ' è aria di scoramento , ma dolore e rabbia , questo sì » . Evangelisti : « Mago è gelato e le ricerche sono difficili » . Da casa Moro rientra l ' Anselmi e passa tra la gente piangendo . Poco prima delle 17 , un portavoce della segreteria dice : « Sin a questo momento , piazza del Gesù non ha la certezza che Moro sia morto » . Non è possibile che il volantino sia un diversivo delle Brigate Rosse per potere « operare » con calma in un ' altra zona ? « È un ' ipotesi . Ma che cosa possiamo saperne ? » Pisanu riferisce di una telefonata del vicesegretario Gaspari , da due ore sul luogo indicato nel messaggio : « La lastra di ghiaccio che copre il lago sembra intatta , e non presenta gibbosità . Sembra da escludere che un corpo di un certo peso possa esservi stato gettato fra ieri e oggi » . Le stesse cose Zaccagnini dice a La Malfa e al segretario repubblicano Biasini che in quel momento arrivano alla sede DC . E poco dopo , questo 18 aprile ci offre una delle immagini più laceranti : il vecchio La Malfa , vestito di nero , magrissimo , sparuto , gli occhi dilatati , che piange . « Nessun commento » mormora . « Soltanto angoscia e attesa . » Poi , duro : « È un momento di estrema gravità . E a mio giudizio questa situazione , sin dal primo istante , è stata presa troppo alla leggera » . A spallate , due agenti di polizia in tuta gli fanno strada tra la folla che ormai occupa piazza del Gesù . Il traffico sembra impazzito . Paurosi ingorghi stradali bloccano il centro . Roma si avvia ad una sera fra le più tragiche . Una donna grida a Forlani : « Fate una legge forte , che noi vi appoggiamo ! » . Sul fianco del palazzo , sfilano pullman di turisti stranieri che guardano senza capire . Tutt ' intorno , nel triangolo fra piazza Venezia , il Senato e Montecitorio sono comparse pattuglie di agenti e carabinieri anche in luoghi prima d ' ora mai presidiati . Verso le 19 , entrano a palazzo del Gesù Craxi e Signorile . E mentre i due esponenti socialisti vanno a colloquio con Zaccagnini , Pisanu annuncia che tutti i comitati provinciali e le sezioni della DC sono convocati nelle loro sedi per le 21.30 . Un comunicato dice : « Nell ' assoluta incertezza sulla sorte di Moro , non verrà promossa alcuna manifestazione pubblica . La direzione della DC ritiene non del tutto esaurito il tenue filo di speranza per la vita del suo presidente » .
Aspesi Natalia ( San Patrignano alla sbarra , 1984 )
StampaQuotidiana ,
Rimini . Nel novembre del 1980 i carabinieri irruppero nella disordinata e fangosa comunità di San Patrignano e vi trovarono , come li aveva informati una ragazza appena fuggita , cinque o sei ragazzi legati e chiusi a chiave : il fondatore della prima comunità laica per tossicodipendenti , il massiccio e rumoroso Vincenzo Muccioli , fu arrestato e sui giornali , tranne « Repubblica » , fiorì la solita fremente indignazione stracolma di lager e di Pagliuca . I ragazzi , subito liberati , tornarono alle loro piazze e ai loro sballi , uno , la sera stessa , finì sotto un treno . Quattro anni dopo , da domani 12 novembre , inizia il processo contro Muccioli che allora era stato in carcere 35 giorni , e 13 suoi collaboratori , accusati , tra l ' altro , di sequestro di persona , maltrattamenti , lesioni , abuso della professione medica , truffa aggravata , abuso della credulità popolare . Il processo , presidente della corte Gino Righi , pubblico ministero Roberto Sapio , durerà almeno due mesi e chiamerà a testimoniare centinaia di persone : tossicodipendenti e loro genitori , ex drogati , magistrati , medici , psichiatri , politici ; perché in realtà il processo contro Muccioli si trasformerà nel più grande dibattito attorno all ' amaro , angoscioso , irrisolto e irrisolvibile problema della droga , dentro al profondo labirinto sotterraneo in cui vagano e si dibattono un numero sempre più irragionevole di giovani e adolescenti , i loro stremati genitori , gli incerti legislatori , i politici chiacchieroni , gli esperti generosi o esibizionisti , gli esasperati operatori sociali , la folla ancora troppo esigua di quei volontari , cattolici o laici , che , in assenza dell ' intervento pubblico , affrontano il vuoto , la disperazione , la solitudine e l ' abbandono di troppi giovani , dentro le comunità terapeutiche private . Quindi il collegio di difesa che comprende gli avvocati Accreman , Giovanetti , Cocchianella , Sorrentino di Rimini , Virga di Roma , Pisapia e Dall ' Ora di Milano , oltre al costituzionalista Barile , non si limiterà a sostenere le ragioni di Muccioli , ma affronterà la violenta assenza dello Stato davanti a un contagio che uccide più di un ragazzo al giorno , che ne dilania e annulla a centinaia di migliaia , che nella sola Italia regala 3650 miliardi alla criminalità organizzata dei trafficanti di droga . Dice l ' avvocato Alberto Dall ' Ora : « Sono entusiasta di affrontare questo processo , per puro senso morale . Ho conosciuto la comunità di San Patrignano quest ' estate , in occasione della visita del mio amico Pannella , sostenitore della droga libera , sconfitto dalla determinazione e dalla saggezza , sperimentata sulla loro pelle da quei 500 ragazzi . Le loro ragioni mi hanno conquistato . In realtà , questa sarà l ' occasione , forse ormai superata , per un processo alla comunità terapeutica accusata tra l ' altro di sostituire la dipendenza alla droga con la dipendenza alla sua organizzazione e per lo scontro di due modi di concepire la terapia di recupero : se è giusto cioè far uso anche della coercizione e della privazione della libertà , per impedire la ricaduta nella tossicodipendenza o se invece questa scelta , oltre che illegale , sia anche scientificamente inutile » . In questi quattro anni , l ' eroina ha continuato a diffondersi , come dice Piera Piatti , segretaria della Lenad , la Lega nazionale antidroga , « per un meccanismo di imitazione , consumismo , proselitismo , facilità a trovare la merce , fragilità personale . È impressionante come i nuovi dipendenti della cultura dello sballo , che hanno dai 13 ai 17 anni , siano simili a bambocci di gomma , ragazzi quasi privi di parola e di desideri , il cui mondo è composto dai biliardini , dalla televisione , dal giubbotto . Parlare con loro è una fatica improba , quasi impossibile » . È aumentato il numero dei morti e si è diffuso una specie di silenzio , di paralisi , di rimozione , di rigetto , da parte dell ' opinione pubblica . Però contemporaneamente sono nate agguerrite associazioni di genitori , come appunto la Lenad , che ha anche messo a punto una rivoluzionaria e severa proposta di legge , tutti i partiti hanno a loro volta steso una serie di emendamenti alla legge attuale , o come nel caso del PCI , redatto una nuova proposta che tra l ' altro chiede che al tossicodipendente arrestato per fatti connessi con la droga sia consentito in alternativa al carcere , il ricovero in una comunità terapeutica . Sono diminuiti i fautori del metadone , si è proposta la liberalizzazione dell ' eroina , tutti hanno concordato sul fatto che il mezzo di recupero finora più positivo è la comunità terapeutica . Il governo si è molto riunito , ha molto discusso e ha molto ipotizzato , promettendo vuoi aiuti e riconoscimenti alle comunità private , vuoi stanziamenti di miliardi , vuoi la costruzione di carceri « recuperatine » , per i 17 mila detenuti , un terzo della popolazione carceraria , in galera per reati connessi all ' uso di droga . Il presidente del Consiglio Craxi , ma anche il Papa , sono intervenuti al congresso mondiale delle comunità terapeutiche , la presidenza del Consiglio ha promosso il convegno veneziano « Comunità e droga » . Tanto rumorosa buona volontà , per ora non si è concretizzata in nulla . Per i tossicodipendenti italiani o meglio per una piccola parte di loro , la più fortunata , la meno abbandonata , la meno degradata , ci sono le comunità terapeutiche religiose e gratuite , qualche costosa comunità all ' estero , qualche dubbiosa iniziativa , a pagamento , di privati . C ' è soprattutto quel San Patrignano che da domani va alla sbarra , l ' unica comunità , assieme a quella di Mondox , che accolga ragazzi non disintossicati , anche i più disgregati . In quattro anni , anche questa comunità è cambiata : è diventata una piccola , ricca città , dove vivono 540 giovani , 50 coppie sposate , 40 bambini , 128 studenti di scuola superiore o universitari ; vi si insegnano , e si praticano , 36 mestieri , si allevano 135 cavalli da corsa , 150 mucche da latte , gatti e cani di razza , maiali per il prossimo salumificio ; si coltivano un milione e ottocentomila metri quadrati a frutteto e vigneto , si produce vino , si confezionano pellicce di lusso , carte da parati di pregio , c ' è un laboratorio di maglieria , uno di infissi , uno di fotolito . Muccioli è appena tornato dall ' America dove ha piazzato tutta la produzione di vino di quest ' anno e ha tenuto conferenze sulla comunità . Nell ' Italia dei paradossi e delle incongruenze , la vicenda di San Patrignano è tra 1c più sorprendenti . C ' è il giudice istruttore di Rimini , Vincenzo Antonucci che , in buona fede e applicando la legge , dopo un ' inchiesta durata tre anni , emette nel gennaio '83 un ' ordinanza per vietare l ' ingresso ad altri tossicodipendenti : quelli che ci sono pazienza , anche se il guru Muccioli deve essere tra l ' altro processato per maltrattamenti e sequestro di persona , non si saprebbe dove mandarli . Da quel giorno , magistrati da tutta Italia emettono contrordinanze e inviano , scortati dagli stessi carabinieri che avevano consegnato il fonogramma di divieto alla comunità , quasi un centinaio di nuovi ospiti . Questi magistrati che contraddicono il collega di Rimini avranno torto o ragione ?
Undici colpi al cuore ( Mafai Miriam , 1978 )
StampaQuotidiana ,
Questo fagotto gettato dietro il sedile posteriore della Renault color amaranto parcheggiata in via Caetani è il corpo di Aldo Moro . È un fagotto informe , avvolto in una coperta di lana color cammello , con un bordo di raso , una coperta come ce ne sono in tutte le nostre case . Il sedile è leggermente inclinato verso l ' avanti . La macchina ha gli sportelli aperti . A pochi metri ci sono il ministro Cossiga , i sottosegretari Darida e Lettieri , il procuratore capo Giovanni Di Matteo , il capo della polizia , Parlato , il generale Comini comandante dei carabinieri . Sono le 14.15 . Giancarlo Pajetta passa attraverso il cordone di carabinieri , rivolge uno sguardo interrogativo a Cossiga : « Sì , è Moro » risponde il ministro dell ' Interno a voce bassissima . La Renault è parcheggiata , contromano il muso rivolto verso via dei Funari , sotto una impalcatura metallica che protegge i lavori di restauro della chiesa di S . Caterina . È una vecchia macchina , impolverata , maltenuta , la vernice della carrozzeria in qualche punto è scrostata . Contro le transenne controllate dalla polizia , che isolano via Caetani dalla parte di via dei Funari e dalla parte delle Botteghe Oscure preme , silenziosa e cupa , la folla di abitanti del quartiere , giovani soprattutto . Alcune donne si allontanano , correndo . Una , prendendo in collo un bambino , grida : « C ' è una bomba , c ' è una bomba ! » . Non è vero . Ma attorno alla macchina abbandonata c ' è il vuoto . « È meglio non avvicinarsi » avverte Cossiga , « aspettiamo gli artificieri . Ci sono molti bossoli . » C ' è qualche istante d ' irreale silenzio attorno a quella bara di metallo dentro la quale è rinchiuso Moro . Poi qualcuno si avvicina alla porta posteriore della macchina . Oltre a Cossiga , ci sono Bonifacio , Pecchioli . Un ufficiale di polizia alza un lembo della coperta di lana giallino : s ' intravvede la faccia di Moro , gli occhi semichiusi , la barba lunga , bianchissimo il collo della camicia . Da via delle Botteghe Oscure , chiusa al traffico , giunge un rumore di grida e imprecazioni . C ' è gente arrampicata sulle macchine in sosta , abbarbicata alle inferriate dell ' Istituto Pontificio di S . Lucia . C ' è gente che arriva correndo , chiedendo notizie , premendo contro i cordoni dei reparti della guardia di finanza , della polizia e dei carabinieri . Arriva Gonnella , e sembra piccolissimo , con le labbra tremanti . Arriva un vecchio sacerdote , la stola violetta gettata di traverso su una tonaca consunta , l ' ampolla dell ' olio santo tra le mani . Si chiama padre Damiani , è stato avvertito da due agenti di polizia , pochi minuti fa arrivati a prelevarlo nella sua chiesa di piazza del Gesù . Sono le 14.45 . Padre Damiani traccia un segno di croce sulla fronte ghiaccia di Moro e gli impartisce l ' assoluzione . Alle 15 , a sirene spiegate arriva un ' ambulanza dei vigili del fuoco mentre la folla ondeggia , preme pericolosamente e scoppia qualche piccolo incidente . Bastano pochi minuti , poi l ' ambulanza scortata dai mezzi della polizia parte in direzione dell ' Istituto di medicina legale dove avrà luogo l ' autopsia . La folla adesso rompe i cordoni : sotto la palizzata dove era parcheggiata la Renault color amaranto , trasportata in questura , viene posata una bandiera bianca della DC , tre rose , e alcuni cartelli scritti a mano : « Moro siamo tutti con te » . Una telefonata anonima pervenuta al centralino della questura poco dopo le 13.30 aveva segnalato la presenza di una bomba in via Caetani , una traversa di via delle Botteghe Oscure , a poche centinaia di metri dalla direzione del PCI e della Democrazia cristiana . Era la prima , inesatta notizia , che gettava l ' allarme nella zona , immediatamente isolata da cordoni di polizia . Questa è una versione . Ma ce n ' è anche un ' altra , secondo la quale alle 13 sarebbe arrivata una telefonata , sempre anonima , alla segreteria di Moro con l ' annuncio : « In via Caetani c ' è un ' auto rossa con il corpo » . La telefonata sarebbe stata intercettata dalla questura e immediatamente sarebbe scattato l ' allarme nella zona . Il ritrovamento del cadavere è avvenuto poco dopo . Qualche minuto prima delle due i segretari di tutti i partiti politici sapevano che il cadavere gettato nel portabagagli della Renault targata Roma N 57686 era quello di Aldo Moro . Via Michelangelo Caetani costeggia il palazzo Mattei e il palazzo Caetani dove ha sede la Biblioteca di Storia Moderna , la Discoteca di Stato e un Istituto di Studi americani . È una strada molto frequentata , dove è difficile trovare posto per parcheggiare . È possibile quindi che la macchina con gli assassini di Moro sia giunta sul posto nella primissima mattinata : il portiere del Palazzo Mattei afferma di non aver notato la macchina quando alle 7.40 ha aperto il portone . La segretaria della discoteca l ' avrebbe invece notata quando , poco dopo le otto , si è recata al vicino bar dei Funari . Le prime testimonianze sono contraddittorie , la polizia non esclude nemmeno che la macchina possa essere stata portata in via Caetani nella tarda mattinata . In un angolo del bagagliaio , dalla parte dov ' è sistemata la ruota di scorta sulla quale poggiava la testa di Moro , c ' erano anche le catene da neve , e qualche ciuffo di capelli grigi . Questo particolare può far pensare che la macchina con il cadavere abbia percorso un tragitto accidentato , durante il quale il corpo avrebbe subito dei sobbalzi . Ai piedi del cadavere c ' era una busta di plastica contenente un bracciale e l ' orologio . Il corpo di Moro , quando è stato estratto dagli artificieri , era ripiegato e irrigidito . Indossava lo stesso abito scuro che aveva il giorno del rapimento , un abito blu , con la camicia bianca a righine , e la cravatta ben annodata . L ' abito era macchiato di sangue ; sul petto di Moro erano stati premuti alcuni fazzoletti per impedire che il sangue sgorgasse dalle ferite . Nei risvolti dei pantaloni è stata trovata una notevole quantità di sabbia o terriccio . La morte risaliva certamente a molte ore prima , forse all ' alba di ieri martedì , forse addirittura al pomeriggio del giorno precedente . Sotto il corpo e sul tappetino della Renault c ' erano alcuni bossoli di proiettile 7,65 o 9 corto . La presenza dei bossoli faceva pensare , in un primo momento che l ' esecuzione fosse avvenuta all ' interno stesso della macchina , ma i primi rilievi effettuati in serata all ' Istituto di medicina legale sembrano suggerire una sequenza se possibile ancora più spietata e agghiacciante . Moro sarebbe stato ucciso con una raffica di pistola mitragliatrice , calibro 7,65 o 9 corto . Almeno undici sono i fori che hanno squarciato il petto del prigioniero inerme . Visto che l ' abito appariva intatto , la camicia stirata , è inevitabile immaginare la macabra rivestizione del cadavere , e poi il suo trasporto dal luogo della prigionia e dell ' esecuzione fino al centro di Roma , fino al quartiere non scelto a caso , al confine con la sede della direzione comunista e di quella democristiana , quasi un macabro avvertimento e insieme un ' ultima sfida alle forze di polizia . La Renault pare avesse la targa che corrisponde a una delle FIAT 128 usate dai terroristi in via Fani e ritrovata poi abbandonata in via Licinio Calvo . Si tratterebbe cioè di un ' auto rubata che i terroristi hanno usato dopo averle sostituito la targa . La Renault risulta in regola col pagamento della tassa di circolazione e con il contrassegno dell ' assicurazione , che sono scritti con una macchina che ha gli stessi caratteri della Ibm a testina rotante usata per i comunicati delle BR .
Dilaniato da una bomba sui binari ( Stabile Alberto , 1978 )
StampaQuotidiana ,
Palermo , 9 . Ai compagni aveva detto di aspettarlo : giusto il tempo di fare un salto a casa , prendere un boccone e tornare in sede per continuare la riunione . Non si è più visto . Lo hanno trovato all ' alba di ieri , orrendamente dilaniato da un ' esplosione , sulla linea ferroviaria Palermo - Trapani , all ' altezza del chilometro 38 . Giuseppe Impastato , Peppino per i compagni , trent ' anni , militante della nuova sinistra e candidato nelle liste di Democrazia proletaria alle prossime elezioni amministrative che si terranno anche nel comune di Cinisi ( quindici chilometri da Palermo ) secondo gli investigatori ha voluto dunque uccidersi « in modo eclatante » . Ovvero , è la tesi subordinata , è rimasto vittima di un « incidente » durante un attentato . A sostegno della prima ipotesi c ' è una lettera , trovata in casa della zia , dove il giovane si recava a dormire : un estemporaneo , fallimentare bilancio della sua vita con la preghiera agli amici che il suo corpo venga cremato . La seconda ipotesi si regge invece sul semplice dato di fatto : un cadavere a pezzi , lungo la ferrovia . Tutto il resto , la cosiddetta « dinamica » , i movimenti della vittima nella serata precedente all ' esplosione , le testimonianze dei compagni sulla sua vita e sulla sua attività politica , non solo non coincide con il quadro di ipotetiche soluzioni tracciato dagli investigatori , ma semmai legittima una terza ben più sconcertante , ma non meno plausibile , verità : quella del delitto di mafia . Peppino Impastato ed il suo gruppo , negli ultimi anni non avevano dato tregua alla mafia della zona , denunciando , attraverso i microfoni di una radio e i volantini , lo strapotere di personaggi come Tanino Badalamenti - boss indiscusso della Sicilia occidentale , compare di Luciano Liggio - e del suo clan . Peppino Impastato andava denunciando da tempo , con tanto di nomi e cognomi , le speculazioni e i ricatti della mafia locale . Domenica scorsa aveva tenuto un comizio a cui avevano assistito quattrocento persone , rimaste lì ad ascoltarlo , dicono i compagni , nonostante la pioggia insistente . Che la sua azione avesse finito col disturbare l ' establishment politico mafioso locale , lo stanno a dimostrare i numerosi avvertimenti e le minacce telefoniche che periodicamente riceveva a Radio - out . Peppino Impastato , per di più , non aveva mai manifestato propositi suicidi . Anzi , proprio in ragione del piccolo successo che ogni giorno di più e particolarmente in questa fase di campagna elettorale , riscuoteva la sua azione , cominciava - dicono i compagni - a sentirsi « realizzato » . E contro la tesi del suicidio , seguita dagli investigatori assieme a quella di un fallito attentato , depongono i movimenti del giovane la sera precedente l ' esplosione . Per tutto il pomeriggio fino alle 20.15 è in radio . Poi , come ogni sera , esce per andare a cenare e dà un appuntamento a tutti per le 21 . Non si farà mai più vedere . I compagni lo aspettano fino ad una certa ora , poi lo vanno a cercare . Fanno il giro del paese , dei parenti , cercano almeno di rintracciare la macchina . Tra mezzanotte e mezza e l ' una scoppia la bomba che lo uccide . Che senso ha tutto questo ? Ammesso che Impastato avesse in effetti intenzione di collocare l ' ordigno , perché dare un appuntamento ai compagni , farsi aspettare , farsi cercare ? La tecnica dell ' attentato , infine , giustifica solo in parte l ' ipotesi della disgrazia imprevista . Accanto alla ferrovia , su una trazzera distante venti metri , è stata infatti trovata l ' auto - una 850 - con cui Peppino ha raggiunto il luogo dell ' esplosione . Si suppone che l ' ordigno fosse ad innesco elettronico e che dovesse essere collegato , attraverso una deviazione , alla batteria dell ' automobile . Ma allora , la posizione della vittima dovrebbe essere accanto alla macchina , da dove avrebbe potuto azionare il congegno , e non nei pressi della bomba .
In diciotto pagine le accuse a Craxi ( Brambilla Michele , 1992 )
StampaQuotidiana ,
L ' una di notte : si sblocca il timer di Tangentopoli . I telegiornali stanno snocciolando da qualche ora i risultati elettorali che disegnano il tracollo del Psi , quando un ufficiale dei carabinieri parte dalla caserma di via Moscova . E diretto a Roma . Ha in tasca una busta ingombrante . E nella busta ha una bomba , l ' ultimo colpo dei giudici milanesi , l ' ultimo calice , il piu ' amaro , per Bettino Craxi : un avviso di garanzia . In 18 pagine Antonio Di Pietro e i suoi colleghi contestano al segretario del Psi 41 episodi di malaffare , calcolano 36 miliardi di bustarelle , lo accusano di concorso in corruzione , ricettazione e violazione delle norme sul finanziamento pubblico ai partiti . Tutto questo si porta nella giacca il capitano Paolo La Forgia quando arriva a Roma . Tutto questo , quando , stanco e forse emozionato , entra qualche ora piu ' tardi all ' hotel Raphael , nel quartier generale di Craxi . Alle undici e mezzo , il leader socialista ha in mano le diciotto paginette : " Procedimento numero 8655.92...Craxi Benedetto ... " . Legge con attenzione i passaggi dove i giudici dell ' inchiesta " Mani Pulite " spiegano in sostanza come , in quel sistema feudale popolato di boiardi della mazzetta che e ' stata Milano fino a oggi , sia lui lo zar . Proprio lui . Ma non batte ciglio . Resta freddissimo anche quando capisce che su di lui sembrano essere addossate quasi tutte le colpe dei socialisti finiti finora sotto indagine : la metropolitana , le tangenti pagate da imprenditori come Paolo Pizzarotti , Vincenzo Romagnoli e Mario Lodigiani , i flussi di quattrini in nero che per anni sono serviti ad alimentare la macchina del suo partito . Vincenzo Balzamo , il segretario amministrativo , il fidatissimo tesoriere nazionale che il 2 novembre e ' stato stroncato da un infarto , e ' indicato come il " percettore materiale " dei finanziamenti illegali . Lui , Craxi , come il capo dei capi , l ' uomo che ha gestito e disegnato le grandi strategie . La notizia circola gia ' da qualche ora al Palazzo di giustizia di Milano . In breve , una dopo l ' altra , le conferme piovono come napalm . Giustizia a orologeria ? " Fosse davvero cosi ' , vorrebbe dire che l ' orologio era in ritardo " , si lascia scappare un magistrato in corridoio . La Procura , infatti , prima di sparare l ' ultimo colpo , ha atteso che le urne fossero chiuse . Come aveva fatto ad aprile , aspettando il dopo.elezioni per sferrare la prima offensiva giudiziaria . La decisione e ' maturata in un vertice del pool al completo . L ' altro ieri , per tutta la giornata , sono rimasti nell ' ufficio del procuratore Saverio Borrelli i pm Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo e il procuratore aggiunto Gerardo D ' Ambrosio . Antonio Di Pietro ha partecipato solo per pochi minuti all ' incontro , poi e ' volato a Roma per raccogliere l ' ultimo tassello , le dichiarazioni di Nevol Querci , ex deputato socialista , che avrebbe descritto ancora una volta la gestione verticistica di certe decisioni nel partito . Ma Querci e ' davvero solo una piccola tessera . Il mosaico composto attorno a Craxi e ' enorme ed e ' fatto di molte voci . La piu ' pesante e ' quella di un vecchio nemico , l ' ex segretario socialista Giacomo Mancini , che il 18 novembre conferma in pieno ai magistrati un ' intervista concessa al Corriere dieci giorni prima : " Balzamo era il segretario amministrativo , ma la parte delle entrate che conosceva era quella che riguardava i grandi progetti dell ' edilizia , i lavori pubblici . Degli altri quattrini non sapeva proprio nulla . Craxi ha preferito dire " muoia Sansone con tutti i filistei , siamo tutti complici e nessuno puo ' parlare " . Nessuno puo ' forse fare il Pm nei confronti degli altri , ma la vastita ' del fenomeno , i flussi di finanzamento che hanno avuto come destinatario il Psi non sono certamente passati da Balzamo , non sono stati registrati . Li conosceva solo Craxi " . " A Balzamo . avrebbe spiegato Mancini ai giudici . sfuggiva tutta la parte che non trattava direttamente , quella relativa ai rapporti tra partito e banche , partito e Iri , partito e grandi imprese , partito e finanza . Una parte che faceva capo direttamente alla segreteria del partito " . Poi , via via , ecco gli altri ragazzi del coro . L ' imprenditore Mario Lodigiani , il 5 ottobre , racconta dei suoi contributi alla Dc e al Psi , spara su Balzamo e sul cassiere nazionale scudocrociato Severino Citaristi , che in questi giorni ha avuto un nuovo avviso di garanzia che sara ' seguito entro la settimana dalla richiesta d ' autorizzazione a procedere . Per Citaristi , il pool antimazzette chiede anche l ' arresto . Su lui e su Balzamo , sul sistema messo in piedi dai due partiti , Lodigiani e ' prodigo di particolari : " Abbiamo versato circa un miliardo all ' anno a ciascuno dei due partiti senza isciverli nei relativi bilanci ... Questi versamenti sono avvenuti in contanti , direttamente nelle mani di Citaristi e Balzamo " . Suo fratello Vincenzo e ' altrettanto specifico : " Nel febbraio ' 92 ho consegnato a Balzamo l ' ultima somma , 400 milioni in contanti che mi ha espressamente richiesto di versargli in nero perche ' aveva urgenti scadenze elettorali e aveva bisogno di liquidi " . Sullo stesso tono le dichiarazioni di altri manager , come Vincenzo Romagnoli , Paolo Pizzarotti , Angelo Simontacchi : i miliardi , dalla meta ' degli anni Ottanta in poi , scorrevano senza sosta nelle casse segrete della Dc e del Psi . E ora i giudici sembrano da un lato far coincidere le responsabilita ' di Balzamo con quelle di Craxi e , dall ' altro , paiono attribuirne di ulteriori al leader del Psi . Le deposizioni si susseguono come un rosario nell ' atto d ' accusa . Ecco Bruno Binasco , manager del gruppo Gavio . Ecco Luciano Betti , amministratore delegato della Premafin di Salvatore Ligresti , e Nerio Nesi , ex presidente della Banca Nazionale del Lavoro . Ed ecco lo stesso Ligresti , che parla di elargizioni al Psi . Luigi Carnevale , ex vicepresidente della Metropolitana milanese , tira in ballo Silvano Larini , architetto socialista , amico di Craxi da trent ' anni e tuttora latitante . Carnevale racconta che l ' architetto portava le mazzette della metropolitana direttamente al segretario . E anche l ' ex deputato psi Gianstefano Milani fa il nome di Larini . Interrogato la scorsa settimana , Milani , da sempre anticraxiano , spiega e commenta con i giudici una sua frase intercettata dai carabinieri : " Stanno cercando Larini perche ' pigliava i soldi per Craxi " . E l ' ultima bordata . Per il leader dai troppi nemici comincia il conto alla rovescia .
L'assedio cominciò da Chiesa ( Buccini Goffredo , 1992 )
StampaQuotidiana ,
Tutto cominciò con un mariuolo . " Questo Chiesa , sbottò Craxi con i compagni , rischia di rovinarci le elezioni " . In effetti , nell ' armadio del Psi milanese quel presidente di vecchi e orfani beccato con le mani nel sacco . e con dieci miliardi in banca . era davvero uno scheletro imbarazzante . Il 5 aprile era alle porte , e l ' arresto di Mario Chiesa ( 17 febbraio ) pesava come un macigno sulla campagna elettorale : anche perche ' veniva a dar corpo a sussurri che , sul Garofano di Milano , circolavano da tempo . Ma temendo un semplice calo di voti , Bettino Craxi peccava di ottimismo . Si preparava ben altro . Si preparava un assedio che la magistratura stava studiando con cura , con la strategia d ' un von Clausewitz e con l ' accanimento d ' un Robespierre . Prima i boiardi e poi lo zar , per usare le parole del giudice Ghitti . L ' obiettivo era scardinare il sistema della corruzione . E , come tutti i buoni strateghi , i magistrati hanno cominciato attaccando i soldati semplici , per poi arrivare agli ufficiali e quindi a quello che secondo loro è il capo supremo . Sarà forse un caso , ma da mesi la Procura milanese faceva terra bruciata intorno a Bettino Craxi , faceva cadere a uno a uno tutti i suoi fedelissimi . Il primo , appunto , è stato Chiesa . Un pesce che sembra piccolo , ma che tanto piccolo non era . Come lui stesso ha fatto mettere a verbale , aveva diritto d ' accesso alla real casa e nei suoi sogni ( neanche tanto proibiti , allora ) c ' era la poltrona di sindaco . Proprio lui si era esposto per sostenere la candidatura di Bobo Craxi alle ultime amministrative . Il 2 maggio , il secondo passo di avvicinamento . Arrivano informazioni di garanzia agli ultimi due sindaci socialisti di Milano , Carlo Tognoli e Paolo Pillitteri . Il primo non è proprio un uomo di Craxi ; ma il secondo del segretario socialista è addirittura il cognato . E toccare Pillitteri vuol dire , perlomeno , sfiorare Craxi . Mai la Procura aveva osato tanto . Ma non basta . Il 6 maggio finisce in galera Sergio Radaelli , consigliere della Cariplo . Al grosso pubblico il suo nome non dice niente : ma alla federazione socialista di corso Magenta , quando arriva la notizia delle manette a Radaelli , sono in molti a tremare . Radaelli è uno dei cassieri del partito , molte mazzette passano dalle sue mani . Ha l ' ufficio insieme con Pillitteri in piazza Duomo 19 : al piano di sopra c ' è lo studio di Craxi . Si rivela una mina vagante : parla subito , svela un conto plurimiliardario in Svizzera , accusa Tognoli e Pillitteri . Ormai è una valanga , che il 9 giugno porta in carcere un altro uomo di Craxi : Claudio Dini , per cinque anni presidente della Metropolitana Milanese . Dini nega tutto e , dopo due mesi a San Vittore , torna in libertà . Almeno lui non ha disseminato verbali che scottano . Questa volta ai giudici non è andata bene . Ma la manovra di accerchiamento continua : c ' è un ordine di cattura anche contro l ' architetto Silvano Larini , amico di Bettino Craxi da un trentennio . Gli si contestano le stesse mazzette che avrebbe preso Dini . Ma anche Larini non dà soddisfazione a Di Pietro e ai suoi soci : è all ' estero , e si guarda bene dal tornare . Non è l ' unico ad avere scelto la strada della fuga : suo compagno d ' avventura è Giovanni Manzi , presidente della società che gestisce gli aeroporti milanesi . Anche lui , uomo vicinissimo a Craxi . E il 26 giugno quando crollano i vertici regionali del Psi . In carcere finiscono Andrea Parini , segretario politico , e Oreste Lodigiani , segretario amministrativo . Lo stesso giorno viene firmato un avviso di garanzia per il deputato Sergio Moroni , predecessore di Parini , che poi si suiciderà . Il 30 luglio a San Vittore finisce Loris Zaffra , capogruppo a palazzo Marino , ex segretario regionale del partito , anche lui craxiano di ferro . Ma al momento dell ' arresto di Zaffra , il " botto " c ' era già stato . E del 16 luglio , infatti , la cattura dell ' ingegner Salvatore Ligresti , big della finanza italiana , padrone di imprese edili , società di assicurazioni , cliniche , alberghi , autostrade . Sono in molti a pensare che Ligresti debba la sua fortuna a Craxi e che Craxi debba almeno una parte della sua a Ligresti . " Bettino mi telefonò chiedendomi di dare un finanziamento di 300 miliardi a Ligresti " , ha detto ai giudici l ' ex presidente della Banca Nazionale del Lavoro Nerio Nesi . E solo una testimonianza dei rapporti fra l ' ingegnere e il segretario . E forse è proprio il 16 luglio che Craxi ha cominciato a sentirsi terribilmente solo .