StampaQuotidiana ,
Hong
Kong
,
18
.
La
Cina
si
è
fermata
.
Per
tre
commoventi
minuti
,
ottocento
milioni
di
cinesi
,
un
quarto
dell
'
umanità
,
sono
rimasti
immobili
,
sull
'
attenti
,
la
testa
china
,
moltissimi
in
lacrime
,
a
rendere
l
'
ultimo
omaggio
a
Mao
Tse
tung
.
Il
lavoro
,
il
traffico
e
tutte
le
attività
si
sono
bloccate
in
ogni
città
,
in
ogni
villaggio
del
paese
.
L
'
immenso
silenzio
caduto
sulla
Cina
,
unita
nel
ricordo
del
suo
Presidente
,
è
stato
rotto
dall
'
unisono
,
funereo
ululare
delle
sirene
dei
treni
,
delle
fabbriche
,
delle
navi
.
A
Pechino
un
milione
di
persone
,
scelte
dalle
varie
organizzazioni
rivoluzionarie
,
hanno
assistito
sulla
piazza
della
Pace
celeste
alla
cerimonia
che
ha
concluso
i
dieci
giorni
di
lutto
.
Sulla
spianata
di
cemento
nel
centro
della
capitale
,
coperta
da
uno
sterminato
tappeto
di
teste
immobili
,
spalla
a
spalla
,
soldati
dell
'
esercito
popolare
nelle
loro
uniformi
verdi
,
lavoratori
nelle
tute
blu
,
operaie
con
le
cuffie
bianche
,
studenti
coi
fazzoletti
rossi
attorno
al
collo
,
hanno
seguito
le
istruzioni
di
tacere
ed
inchinarsi
date
dal
giovane
vicepresidente
del
Partito
comunista
Wang
Hung
-
wen
che
presiedeva
il
rito
ed
hanno
ascoltato
il
discorso
commemorativo
pronunciato
dal
primo
ministro
e
primo
vicepresidente
del
PCC
,
Hua
Kuo
-
feng
.
Al
loro
fianco
,
su
un
rostro
costruito
significativamente
un
piano
più
basso
di
quello
dal
quale
era
solito
parlare
Mao
,
stavano
allineati
gli
altri
capi
del
partito
e
dello
Stato
.
In
sesta
posizione
,
uniforme
e
sciarpa
in
testa
,
stava
la
vedova
Ciang
Cing
.
Dal
pennone
sul
quale
Mao
nell
'
ottobre
1949
issò
per
la
prima
volta
i
colori
della
Repubblica
popolare
sventolava
a
mezz
'
asta
la
bandiera
rossa
a
cinque
stelle
,
mentre
gli
altoparlanti
spandevano
sull
'
intero
paese
le
note
della
marcia
funebre
,
dell
'
inno
nazionale
ed
infine
quelle
dell
'
Internazionale
.
Nelle
ore
precedenti
la
cerimonia
il
partito
,
l
'
esercito
e
la
milizia
popolare
-
incaricata
del
servizio
d
'
ordine
-
avevano
messo
in
guardia
contro
eventuali
provocazioni
o
incidenti
.
Non
ce
ne
sono
stati
.
Nella
accoppiata
Wang
Hung
-
wen
,
il
giovane
«
radicale
»
di
Shangai
,
e
Hua
Kuofeng
,
primo
ministro
non
identificato
con
nessuna
delle
due
correnti
in
cui
si
dividerebbe
il
partito
,
la
leadership
del
paese
ha
mostrato
per
il
momento
la
sua
unità
.
È
stato
questo
un
tema
che
Hua
ha
ripetuto
nel
suo
discorso
durato
venti
minuti
.
Citando
una
vecchia
frase
di
Mao
l
'
attuale
primo
ministro
e
numero
uno
del
paese
ha
detto
:
«
Dobbiamo
praticare
il
marxismo
e
non
il
revisionismo
,
dobbiamo
unirci
e
non
dividerci
.
Non
dobbiamo
perderci
in
complotti
o
congiure
»
.
Hua
Kuo
-
feng
ha
concluso
il
suo
discorso
con
quello
che
pur
in
termini
generali
sembra
essere
il
programma
politico
della
Cina
dopo
Mao
.
Questi
i
punti
principali
:
sul
piano
interno
:
-
continuare
la
lotta
di
classe
e
la
rivoluzione
sotto
la
dittatura
del
proletariato
;
-
approfondire
la
critica
di
Teng
Hsiao
-
ping
,
respingere
i
tentativi
di
deviazionismo
di
destra
e
combattere
il
revisionismo
;
-
lavorare
per
fare
del
paese
un
forte
Stato
socialista
;
-
liberare
Taiwan
.
Sul
piano
esterno
:
-
perseguire
l
'
internazionalismo
proletario
senza
cercare
l
'
egemonia
;
-
rafforzare
l
'
unione
coi
popoli
del
Terzo
mondo
e
le
nazioni
oppresse
;
-
formare
il
più
vasto
«
fronte
unito
»
possibile
contro
l
'
imperialismo
,
in
particolare
contro
l
'
egemonia
delle
due
superpotenze
,
Unione
Sovietica
e
Stati
Uniti
.
Hua
Kuo
-
feng
ha
concluso
dicendo
«
dobbiamo
unirci
con
tutti
i
partiti
genuinamente
marxisti
-
leninisti
ed
altre
organizzazioni
nel
mondo
per
condurre
una
lotta
comune
per
l
'
abolizione
del
sistema
di
sfruttamento
dell
'
uomo
sull
'
uomo
,
la
realizzazione
del
comunismo
nel
mondo
,
e
per
la
liberazione
di
tutta
l
'
umanità
»
.
Pur
in
questa
fraseologia
standard
di
ogni
leader
cinese
sembra
emergere
una
nota
di
moderazione
ed
una
indicazione
di
eventuali
novità
nei
rapporti
con
l
'
URSS
ed
i
partiti
«
revisionisti
»
occidentali
.
Gli
osservatori
di
cose
cinesi
fanno
notare
che
Unione
Sovietica
e
Stati
Uniti
vengono
di
nuovo
citati
come
nemici
dello
stesso
livello
(
e
non
più
l
'
URSS
«
nemico
numero
uno
»
come
avveniva
in
passato
)
;
inoltre
il
riferimento
ad
altre
«
organizzazioni
»
potrebbe
indicare
l
'
inizio
di
un
ripensamento
sul
ruolo
che
possono
svolgere
nel
mondo
occidentale
i
partiti
che
non
sono
,
almeno
nella
valutazione
cinese
,
«
genuinamente
marxisti
-
leninisti
»
.
Ed
è
presto
per
tirare
delle
conclusioni
.
Dal
discorso
di
Hua
-
che
certo
è
stato
preventivamente
approvato
dall
'
intero
Politburo
nelle
sue
componenti
«
radicale
»
e
«
moderata
»
-
per
il
momento
neppure
il
destino
della
salma
di
Mao
è
chiaro
.
Sembra
che
il
Presidente
avesse
espresso
il
desiderio
di
essere
cremato
,
come
è
stato
fatto
con
tutti
gli
altri
leaders
storici
del
paese
che
lo
hanno
preceduto
nella
morte
,
compreso
Ciu
En
-
lai
.
L
'
urna
delle
sue
ceneri
però
non
era
oggi
(
come
avvenne
nel
caso
degli
altri
)
sul
rostro
della
piazza
della
Pace
celeste
,
e
ciò
potrebbe
indicare
che
ci
sono
stati
ripensamenti
sull
'
esecuzione
della
volontà
di
Mao
su
questo
punto
.
Con
una
decisione
che
potrebbe
venir
giustificata
con
«
la
volontà
del
popolo
»
,
la
sua
salma
potrebbe
essere
conservata
così
come
l
'
abbiamo
vista
nei
giorni
scorsi
in
una
urna
di
vetro
e
potrebbe
divenire
la
meta
di
future
generazioni
in
un
mausoleo
eretto
in
suo
nome
,
come
è
avvenuto
per
Lenin
a
Mosca
e
per
Ho
Ci
-
min
ad
Hanoi
.
StampaQuotidiana ,
Gerusalemme
,
19
.
L
'
incontro
impossibile
è
avvenuto
.
L
'
egiziano
Sadat
ha
lasciato
per
davvero
le
sponde
del
Nilo
per
stringere
la
mano
all
'
israeliano
Begin
.
Il
capo
di
una
nazione
araba
ha
messo
piede
per
la
prima
volta
sul
territorio
dello
Stato
ebraico
.
È
accaduto
alle
18.59
(
ora
italiana
)
di
stasera
all
'
aeroporto
di
Tel
Aviv
presidiato
dall
'
esercito
,
illuminato
dai
riflettori
,
tra
i
suoni
delle
fanfare
e
le
salve
di
cannone
.
Affiancati
l
'
uno
all
'
altro
,
quasi
a
sfiorarsi
,
il
volto
color
cuoio
del
presidente
egiziano
,
figlio
di
un
arabo
e
d
'
una
nubiana
,
e
quello
asciutto
,
leggermente
abbronzato
,
del
primo
ministro
israeliano
,
nato
in
una
famiglia
askenazi
di
Brest
-
Litwosk
,
sono
rimbalzati
in
milioni
di
case
arabe
e
musulmane
,
sui
teleschermi
,
accendendo
speranze
e
timori
.
Perché
da
quest
'
appuntamento
precipitoso
e
al
tempo
stesso
solenne
può
infatti
nascere
una
pace
inedita
,
o
una
nuova
tragedia
.
Ai
piedi
della
scaletta
dell
'
aereo
presidenziale
,
Sadat
è
stato
accolto
dal
capo
dello
Stato
Ephraim
Katzir
e
da
Begin
.
I
tre
si
sono
stretti
la
mano
,
quindi
-
mentre
la
banda
intonava
gli
inni
dei
due
paesi
-
hanno
passato
in
rassegna
la
guardia
d
'
onore
.
Sadat
aveva
il
viso
grave
,
ma
subito
dopo
l
'
atmosfera
s
'
è
fatta
più
distesa
.
Il
Rais
ha
chiesto
di
Ariel
Sharon
(
il
generale
che
nel
'73
circondò
la
Terza
armata
egiziana
)
,
e
quando
questi
s
'
è
fatto
avanti
gli
ha
stretto
la
mano
.
Altre
strette
di
mano
con
Dayan
,
con
Golda
Meir
,
con
Eban
,
quindi
Sadat
e
Begin
hanno
preso
posto
nell
'
automobile
che
li
ha
condotti
a
Gerusalemme
.
Il
dialogo
era
cominciato
.
Il
cronista
stenta
a
distinguere
tra
gli
appunti
,
le
dichiarazioni
e
le
emozioni
,
le
incertezze
e
i
miraggi
degli
uni
e
degli
altri
.
L
'
impazienza
è
unanime
,
mentre
viene
annunciato
il
decollo
dell
'
aereo
dal
territorio
egiziano
.
I
minuti
scanditi
sulla
pista
d
'
arrivo
a
Tel
Aviv
nell
'
attesa
che
il
jet
di
Sadat
giunga
a
portata
dei
riflettori
.
I
dubbi
e
i
trionfalismi
.
I
sorprendenti
discorsi
sulla
«
tradizionale
fraternità
giudeo
-
araba
»
.
L
'
amico
egiziano
euforico
e
poi
smarrito
che
dice
:
«
La
pace
è
a
portata
di
mano
.
Ma
come
raggiungerla
?
»
.
L
'
amico
israeliano
che
sogna
già
«
un
'
alleanza
Egitto
-
Israele
,
capace
di
colmare
il
vuoto
lasciato
dal
crollo
dell
'
impero
ottomano
settant
'
anni
fa
»
.
È
la
tristezza
,
le
perplessità
degli
arabi
dei
territori
occupati
che
denunciano
il
tradimento
e
al
tempo
stesso
sognano
,
come
gli
altri
,
la
pace
.
Infine
lo
sportello
che
si
spalanca
.
La
sfida
di
Sadat
comincia
.
Prima
di
ritirarsi
nell
'
appartamento
reale
dell
'
hotel
King
David
,
dove
dormì
Richard
Nixon
,
il
presidente
egiziano
ha
già
avuto
un
primo
colloquio
con
Begin
.
Essi
tentano
con
impazienza
,
senza
aspettare
,
le
prime
analisi
.
Non
vi
è
alcun
dubbio
che
Sadat
,
domani
,
davanti
al
Parlamento
d
'
Israele
,
chiederà
il
ritiro
totale
degli
israeliani
dai
territori
occupati
nel
1967
,
durante
la
Guerra
dei
sei
giorni
.
Cosa
potrà
promettere
Begin
in
cambio
per
non
ferire
irrimediabilmente
l
'
insperato
interlocutore
arabo
?
Lasciarlo
partire
a
mani
vuote
sarebbe
condannarlo
politicamente
a
morte
.
Forse
negoziati
per
il
Sinai
o
per
il
Golan
.
Ma
la
Cisgiordania
,
necessaria
per
risolvere
il
dramma
palestinese
,
sembra
irrinunciabile
per
Gerusalemme
.
Carter
ha
telefonato
più
volte
in
questi
giorni
a
Sadat
e
a
Begin
per
raccomandare
la
prudenza
.
E
non
ha
risparmiato
i
consigli
:
niente
intese
separate
,
non
escludere
del
tutto
i
sovietici
senza
i
quali
nulla
può
essere
risolto
stabilmente
,
attenzione
ai
palestinesi
che
costituiscono
una
carica
esplosiva
impossibile
da
disinnescare
.
La
natura
dei
due
uomini
,
Sadat
e
Begin
,
e
le
trasformazioni
che
essi
hanno
attuato
nei
rispettivi
paesi
hanno
contribuito
a
rendere
possibile
quest
'
incontro
.
I
loro
predecessori
rappresentavano
quasi
religiosamente
storie
inconciliabili
.
Erano
appesantiti
da
carismi
diversi
per
origine
e
specie
.
Gamal
Nasser
era
prigioniero
di
un
socialismo
panarabo
puritano
,
era
ingabbiato
in
un
dogmatismo
al
quale
non
sfuggivano
neppure
Golda
Meir
,
sionista
vincolata
ai
principi
socialdemocratici
mitteleuropei
,
e
chi
poi
occupò
la
sua
poltrona
di
primo
ministro
a
Gerusalemme
.
Hanno
molti
più
punti
in
comune
i
nazionalismi
meno
sofisticati
e
quindi
più
pragmatisti
di
Menahem
Begin
,
ex
terrorista
dell
'
Irgun
e
sostenitore
del
«
grande
Israele
»
,
e
di
Anuar
Sadat
,
ufficiale
musulmano
e
repubblicano
che
quasi
svenne
per
l
'
emozione
nel
1952
,
accompagnando
il
destituito
monarca
Faruk
sulla
nave
dell
'
esilio
.
Anzitutto
Sadat
e
Begin
hanno
demolito
in
gran
fretta
le
istituzioni
o
i
sogni
socialisti
che
ancora
sopravvivevano
nelle
loro
capitali
.
Il
nazionalismo
grezzo
che
li
anima
rende
possibile
un
dialogo
su
basi
irrazionali
,
che
i
loro
predecessori
respingevano
a
priori
.
Nella
storia
contemporanea
non
era
mai
accaduto
che
il
capo
di
una
nazione
,
senza
aver
posto
fine
allo
stato
di
guerra
,
visitasse
ufficialmente
il
nemico
tra
suoni
di
fanfare
e
discorsi
fraterni
.
E
questo
è
già
paradossale
.
È
un
gesto
riassunto
in
un
'
ingenua
scritta
araba
ben
visibile
su
un
muro
della
vecchia
Gerusalemme
:
«
Evviva
Sadat
messaggero
di
pace
e
dio
della
guerra
»
.
È
un
gesto
al
tempo
stesso
drammatico
e
disperato
.
Israele
in
queste
ore
esulta
ma
trattiene
anche
il
respiro
non
riuscendo
a
capire
quel
che
accadrà
nell
'
immediato
futuro
,
una
volta
partito
Sadat
.
Sente
il
brontolio
del
mondo
arabo
in
preda
a
convulsioni
,
forse
meno
gravi
del
previsto
ma
suscettibili
di
deflagrazioni
delle
quali
è
difficile
oggi
immaginare
le
dimensioni
.
Questi
sentimenti
contraddittori
sono
palpabili
nei
territori
occupati
,
nella
Cisgiordania
che
il
primo
ministro
Begin
chiama
Giudea
e
Samaria
,
considerandole
biblicamente
province
dello
Stato
ebraico
.
Anche
là
,
come
a
Tripoli
e
a
Damasco
,
ma
sottovoce
,
Sadat
viene
accusato
di
spezzare
il
fronte
arabo
e
molti
sindaci
cristiani
e
musulmani
si
asterranno
domani
dal
rendere
omaggio
al
presidente
egiziano
,
davanti
alla
moschea
di
Al
Aqsa
,
dove
si
recherà
per
la
preghiera
di
primo
mattino
.
I
sindaci
musulmani
o
cristiano
-
progressisti
festeggeranno
la
ricorrenza
del
«
sacrificio
»
di
Abramo
nelle
loro
città
con
ufficiale
mestizia
.
Ma
l
'
ordine
di
sciopero
,
lanciato
dalle
massime
organizzazioni
palestinesi
è
rimasto
inascoltato
,
le
botteghe
si
sono
aperte
stamane
come
al
solito
e
non
soltanto
perché
le
autorità
di
Gerusalemme
avevano
minacciato
le
abituali
sanzioni
contro
i
commercianti
insubordinati
.
Mi
ha
detto
con
severa
tristezza
un
esponente
palestinese
:
«
Anche
noi
vogliamo
la
pace
come
Sadat
,
ma
non
al
prezzo
richiesto
dai
suoi
amici
israeliani
»
.
E
dalle
sue
parole
trapelava
un
'
emozione
in
cui
non
c
'
era
soltanto
lo
sdegno
dei
manifesti
clandestini
.
Affiorava
anche
una
certa
speranza
.
«
Sadat
osa
molto
.
Chissà
dove
vuole
arrivare
»
.
StampaQuotidiana ,
L
'
attesa
spasmodica
di
un
nuovo
comunicato
delle
BR
e
le
concitate
discussioni
su
come
ci
si
sarebbe
comportati
in
quel
caso
hanno
portato
la
stampa
a
reagire
in
modo
contraddittorio
.
C
'
è
stato
chi
non
ha
riportato
il
comunicato
,
ma
non
ha
potuto
evitare
di
pubblicizzarlo
con
titoli
a
piena
pagina
;
chi
l
'
ha
riportato
,
ma
in
caratteri
così
piccoli
da
privilegiare
solo
i
lettori
con
dieci
decimi
di
vista
(
discriminazione
inaccettabile
)
.
Quanto
al
contenuto
anche
qui
la
reazione
è
stata
imbarazzata
,
perché
tutti
si
attendevano
inconsciamente
un
testo
disseminato
di
«
ach
so
!
»
o
di
parole
con
cinque
consonanti
di
seguito
,
così
da
tradire
subito
la
mano
del
terrorista
tedesco
o
dell
'
agente
cecoslovacco
,
e
invece
ci
si
è
trovati
di
fronte
a
una
lunga
argomentazione
politica
.
Che
di
argomentazione
si
trattasse
non
è
sfuggito
a
nessuno
e
ai
più
acuti
è
apparso
anche
che
era
una
argomentazione
diretta
non
al
«
nemico
»
,
ma
agli
amici
potenziali
,
per
dimostrare
che
le
BR
non
sono
un
manipolo
di
disperati
che
menano
colpi
a
vuoto
,
ma
vanno
viste
come
l
'
avanguardia
di
un
movimento
che
si
giustifica
proprio
sullo
sfondo
della
situazione
internazionale
.
Se
così
stanno
le
cose
,
non
si
reagisce
affermando
soltanto
che
il
comunicato
è
farneticante
,
delirante
,
fumoso
,
folle
.
Esso
va
analizzato
con
calma
e
attenzione
;
solo
così
si
potrà
chiarire
dove
il
comunicato
,
che
parte
da
premesse
abbastanza
lucide
,
manifesta
la
fatale
debolezza
teorica
e
pratica
delle
BR
.
Dobbiamo
avere
il
coraggio
di
dire
che
questo
«
delirante
»
messaggio
contiene
una
premessa
molto
accettabile
e
traduce
,
sia
pure
in
modo
un
po
'
abborracciato
,
una
tesi
che
tutta
la
cultura
europea
e
americana
,
dagli
studenti
del
'68
ai
teorici
della
«
Monthly
Review
»
,
sino
ai
partiti
di
sinistra
ripetono
da
tempo
.
E
dunque
se
«
paranoia
»
c
'
è
,
non
è
nelle
premesse
ma
,
come
vedremo
,
nelle
conclusioni
pratiche
che
se
ne
traggono
.
Non
mi
pare
il
caso
di
sorridere
sul
delirio
del
cosiddetto
SIM
ovvero
Stato
Imperialistico
delle
Multinazionali
.
Magari
il
modo
in
cui
è
rappresentato
è
un
po
'
folkloristico
,
ma
nessuno
si
nasconde
che
la
politica
internazionale
planetaria
non
è
più
determinata
dai
singoli
governi
ma
appunto
da
una
rete
d
'
interessi
produttivi
(
e
chiamiamola
pure
la
rete
delle
Multinazionali
)
la
quale
decide
delle
politiche
locali
,
delle
guerre
e
delle
paci
e
-
essa
-
stabilisce
í
rapporti
tra
mondo
capitalistico
,
Cina
,
Russia
e
Terzo
Mondo
.
Caso
mai
è
interessante
che
le
BR
abbiano
abbandonato
la
loro
mitologia
alla
Walt
Disney
,
per
cui
da
una
parte
c
'
era
un
capitalista
cattivo
individuale
chiamato
Paperon
de
'
Paperoni
e
dall
'
altra
la
Banda
Bassotti
,
canagliesca
e
truffaldina
è
vero
,
ma
con
una
sua
carica
estrosa
di
simpatia
perché
svaligiava
a
suono
di
espropri
proletari
il
capitalista
avaraccio
ed
egoista
.
Il
gioco
della
Banda
Bassotti
l
'
avevano
giocato
i
tupamaros
uruguayani
,
convinti
che
i
Paperoni
del
Brasile
e
dell
'
Argentina
si
sarebbero
seccati
e
avrebbero
trasformato
l
'
Uruguay
in
un
secondo
Viet
Nam
,
mentre
i
cittadini
,
condotti
a
simpatizzare
coi
Bassotti
,
si
sarebbero
trasformati
in
tanti
vietcong
.
Il
gioco
non
è
riuscito
perché
il
Brasile
non
si
è
mosso
e
le
Multinazionali
,
che
avevano
da
produrre
e
da
vendere
nel
Cono
Sur
,
hanno
lasciato
tornare
Perón
in
Argentina
,
hanno
diviso
le
forze
rivoluzionarie
o
guerrigliere
,
hanno
permesso
che
Perón
e
i
suoi
discendenti
sprofondassero
nella
merda
fino
al
collo
,
e
a
quel
punto
i
montoneros
più
svelti
se
ne
sono
fuggiti
in
Spagna
e
i
più
idealisti
ci
hanno
rimesso
la
pelle
.
È
proprio
perché
esiste
il
potere
delle
Multinazionali
(
ci
siamo
dimenticati
del
Cile
?
)
che
l
'
idea
di
rivoluzione
alla
Che
Guevara
è
diventata
impossibile
.
Si
fa
la
rivoluzione
in
Russia
mentre
tutti
gli
Stati
europei
sono
impegnati
in
una
guerra
mondiale
;
si
organizza
la
lunga
marcia
in
Cina
quando
tutto
il
resto
del
mondo
ha
altro
a
cui
pensare
...
Ma
quando
si
vive
in
un
universo
in
cui
un
sistema
d
'
interessi
produttivi
si
avvale
dell
'
equilibrio
atomico
per
imporre
una
pace
che
fa
comodo
a
tutti
e
manda
per
il
cielo
satelliti
che
si
sorvegliano
a
vicenda
,
a
questo
punto
la
rivoluzione
nazionale
non
la
si
fa
più
,
perché
tutto
è
deciso
altrove
.
Il
compromesso
storico
da
una
parte
e
il
terrorismo
dall
'
altra
rappresentano
due
risposte
(
ovviamente
antitetiche
)
a
questa
situazione
.
L
'
idea
confusa
che
muove
il
terrorismo
è
un
principio
molto
moderno
e
molto
capitalistico
(
rispetto
a
cui
il
marxismo
classico
si
è
trovato
impreparato
)
di
Teoria
dei
Sistemi
.
I
grandi
sistemi
non
hanno
testa
,
non
hanno
protagonisti
e
non
vivono
neppure
sull
'
egoismo
individuale
.
Quindi
non
si
colpiscono
uccidendone
il
Re
,
ma
rendendoli
instabili
attraverso
gesti
di
disturbo
che
si
avvalgono
proprio
della
loro
logica
:
se
esiste
una
fabbrica
interamente
automatizzata
,
essa
non
sarà
disturbata
dalla
morte
del
padrone
ma
solo
da
una
serie
d
'
informazioni
aberranti
inserite
qua
e
là
,
che
rendano
difficile
il
lavoro
dei
computers
che
la
reggono
.
Il
terrorismo
moderno
finge
(
o
crede
)
di
avere
meditato
Marx
,
ma
in
effetti
,
anche
per
vie
indirette
,
ha
meditato
Norbert
Wiener
da
un
lato
e
la
letteratura
di
fantascienza
dall
'
altro
.
Il
problema
è
che
non
l
'
ha
meditata
abbastanza
-
né
ha
studiato
a
sufficienza
cibernetica
.
Prova
ne
sia
che
in
tutta
la
loro
propaganda
precedente
le
BR
parlavano
ancora
di
«
colpire
il
cuore
dello
Stato
»
,
coltivando
da
un
lato
la
nozione
ancora
ottocentesca
di
Stato
e
dall
'
altro
l
'
idea
che
l
'
avversario
avesse
un
cuore
o
una
testa
,
così
come
nelle
battaglie
di
un
tempo
,
se
si
riusciva
a
colpire
il
Re
,
che
cavalcava
davanti
alle
truppe
,
l
'
esercito
nemico
era
demoralizzato
e
distrutto
.
Nell
'
ultimo
volantino
le
BR
abbandonano
l
'
idea
di
cuore
,
di
Stato
,
di
capitalista
cattivo
,
di
ministro
«
boia
»
.
Adesso
l
'
avversario
è
il
sistema
delle
Multinazionali
,
di
cui
Moro
è
un
commesso
,
al
massimo
un
depositario
di
informazioni
.
Qual
è
allora
l
'
errore
di
ragionamento
(
teorico
e
pratico
)
che
a
questo
punto
commettono
le
BR
,
specie
quando
si
appellano
,
contro
la
multinazionale
del
capitale
,
alla
multinazionale
del
terrorismo
?
Prima
ingenuità
.
Una
volta
colta
l
'
idea
dei
grandi
sistemi
,
li
si
mitologizza
di
nuovo
ritenendo
che
essi
abbiano
«
piani
segreti
»
di
cui
Moro
sarebbe
uno
dei
depositari
.
In
realtà
i
grandi
sistemi
non
hanno
nulla
di
segreto
e
si
sa
benissimo
come
funzionano
.
Se
l
'
equilibrio
multinazionale
sconsiglia
la
formazione
di
un
governo
di
sinistra
in
Italia
,
è
puerile
pensare
che
si
invii
a
Moro
una
velina
in
cui
gli
si
insegna
come
sconfiggere
la
classe
operaia
.
Basta
(
si
fa
per
dire
)
provocare
qualcosa
in
Sudafrica
,
sconvolgere
il
mercato
dei
diamanti
a
Amsterdam
,
influenzare
il
corso
del
dollaro
,
ed
ecco
che
la
lira
entra
in
crisi
.
Seconda
ingenuità
.
Il
terrorismo
non
è
il
nemico
dei
grandi
sistemi
,
ne
è
al
contrario
la
contropartita
naturale
,
accettata
,
prevista
.
Il
sistema
delle
Multinazionali
non
può
vivere
in
una
economia
di
guerra
mondiale
(
e
atomica
per
giunta
)
,
ma
sa
che
non
può
nemmeno
ridurre
le
spinte
naturali
dell
'
aggressività
biologica
o
l
'
insofferenza
di
popoli
o
di
gruppi
.
Per
questo
accetta
piccole
guerre
locali
,
che
verranno
di
volta
in
volta
disciplinate
e
ridotte
da
oculati
interventi
internazionali
,
e
dall
'
altro
lato
accetta
appunto
il
terrorismo
.
Una
fabbrica
qua
,
una
fabbrica
là
,
sconvolte
da
qualche
sabotaggio
,
ma
il
sistema
può
andare
avanti
.
Un
aereo
dirottato
ogni
tanto
,
ci
perdono
per
una
settimana
le
compagnie
aeree
,
ma
in
compenso
ci
guadagnano
le
catene
giornalistiche
e
televisive
.
Inoltre
il
terrorismo
serve
a
dare
una
ragion
d
'
essere
alle
polizie
e
agli
eserciti
,
che
a
lasciarli
inoperosi
chiedono
poi
di
realizzarsi
in
qualche
conflitto
più
allargato
.
Infine
il
terrorismo
serve
a
favorire
interventi
disciplinanti
là
dove
un
eccesso
di
democrazia
rende
la
situazione
poco
governabile
.
Il
capitalista
«
nazionale
»
alla
Paperon
de
'
Paperoni
teme
la
rivolta
,
il
furto
e
la
rivoluzione
che
gli
sottraggono
i
mezzi
di
produzione
.
Il
capitalismo
moderno
,
che
investe
in
paesi
diversi
,
ha
sempre
uno
spazio
di
manovra
abbastanza
ampio
per
poter
sopportare
l
'
attacco
terroristico
in
un
punto
,
due
punti
,
tre
punti
isolati
.
Poiché
è
senza
testa
e
senza
cuore
,
il
sistema
manifesta
un
'
incredibile
capacità
di
rimarginazione
e
di
riequilibrio
.
Dovunque
venga
colpito
,
sarà
sempre
alla
sua
periferia
.
Se
poi
il
presidente
degli
industriali
tedeschi
ci
rimette
la
pelle
,
sono
incidenti
statisticamente
accettabili
,
come
la
mortalità
sulle
autostrade
.
Per
il
resto
(
e
lo
si
era
descritto
da
tempo
)
si
procede
a
una
medievalizzazione
del
territorio
,
con
castelli
fortificati
e
grandi
apparati
residenziali
con
guardie
private
e
cellule
fotoelettriche
.
L
'
unico
incidente
serio
sarebbe
un
'
insorgenza
terroristica
diffusa
su
tutto
il
territorio
mondiale
,
un
terrorismo
di
massa
(
come
le
BR
paiono
invocare
)
:
ma
il
sistema
delle
multinazionali
«
sa
»
(
per
quanto
un
sistema
possa
«
sapere
»
)
che
questa
ipotesi
è
da
escludersi
.
Il
sistema
delle
multinazionali
non
manda
i
bambini
in
miniera
:
il
terrorista
è
colui
che
non
ha
più
nulla
da
perdere
se
non
le
proprie
catene
,
ma
il
sistema
gestisce
le
cose
in
modo
che
,
salvo
gli
emarginati
inevitabili
,
tutti
gli
altri
abbiano
qualcosa
da
perdere
in
una
situazione
di
terrorismo
generalizzato
.
Sa
che
quando
il
terrorismo
,
al
di
là
di
qualche
azione
pittoresca
,
comincerà
a
rendere
troppo
inquieta
la
giornata
quotidiana
delle
masse
,
le
masse
faranno
barriera
contro
il
terrorismo
.
Che
cos
'
è
che
il
sistema
delle
multinazionali
vede
invece
di
malocchio
,
come
si
è
dimostrato
negli
ultimi
tempi
?
Che
di
colpo
,
ad
esempio
,
in
Spagna
,
in
Italia
e
in
Francia
,
vadano
al
potere
partiti
che
hanno
dietro
di
sé
le
organizzazioni
operaie
.
Per
«
corrompibili
»
che
siano
questi
partiti
,
il
giorno
che
le
organizzazioni
di
massa
metteranno
il
naso
nella
gestione
internazionale
del
capitale
,
potrebbero
sorgerne
dei
disturbi
.
Non
è
che
le
multinazionali
morirebbero
se
Marchais
andasse
al
posto
di
Giscard
,
ma
tutto
diventerebbe
più
difficile
.
È
pretestuosa
la
preoccupazione
per
cui
i
comunisti
al
potere
conoscerebbero
i
segreti
della
NATO
(
segreti
di
Pulcinella
)
:
la
vera
preoccupazione
del
sistema
delle
Multinazionali
(
e
lo
dico
con
molta
freddezza
,
non
simpatizzando
col
compromesso
storico
così
come
ci
viene
oggi
proposto
)
è
che
il
controllo
dei
partiti
popolari
disturbi
una
gestione
del
potere
che
non
può
permettersi
i
tempi
morti
delle
verifiche
alla
base
.
Il
terrorismo
invece
preoccupa
molto
meno
,
perché
delle
multinazionali
è
conseguenza
biologica
,
così
come
un
giorno
di
febbre
è
il
prezzo
ragionevole
per
un
vaccino
efficiente
.
Se
le
BR
hanno
ragione
nella
loro
analisi
di
un
governo
mondiale
delle
multinazionali
,
allora
devono
riconoscere
che
esse
,
le
BR
,
ne
sono
la
controparte
naturale
e
prevista
.
Esse
devono
riconoscere
che
stanno
recitando
un
copione
già
scritto
dai
loro
presunti
nemici
.
Invece
,
dopo
di
aver
scoperto
,
sia
pure
rozzamente
,
un
importante
principio
di
logica
dei
sistemi
,
le
BR
rispondono
con
un
romanzo
d
'
appendice
ottocentesco
fatto
di
vendicatori
e
giustizieri
bravi
e
efficienti
come
il
conte
di
Montecristo
.
Ci
sarebbe
da
ridere
,
se
questo
romanzo
non
fosse
scritto
col
sangue
.
La
lotta
è
tra
grandi
forze
,
non
tra
demoni
ed
eroi
.
Sfortunato
allora
quel
popolo
che
si
trova
tra
i
piedi
gli
«
eroi
»
,
specie
se
costoro
pensano
ancora
in
termini
religiosi
e
coinvolgono
il
popolo
nella
loro
sanguinosa
scalata
ad
un
paradiso
disabitato
.
StampaQuotidiana ,
Fra
i
capi
storici
del
comunismo
,
il
presidente
a
vita
o
«
re
proletario
»
della
Jugoslavia
è
stato
il
più
longevo
e
resistente
al
potere
.
È
sopravvissuto
a
Stalin
,
Mao
Tse
-
tung
,
Ho
Chi
Minh
.
Ha
tutelato
con
la
sua
patriarcale
autorità
la
coesione
del
federalismo
jugoslavo
,
quel
mosaico
etnico
-
economico
che
unisce
regioni
già
governate
dall
'
impero
austro
-
ungarico
e
regioni
già
tributarie
dell
'
impero
ottomano
.
Ha
garantito
la
resistenza
dell
'
eresia
jugosocialista
,
che
aprì
la
serie
delle
insubordinazioni
alla
legge
del
blocco
sovietico
.
Lo
scisma
titoista
,
nel
1948
,
coincise
con
la
prima
guerra
fredda
.
Ora
Josip
Broz
Tito
,
che
osò
ribellarsi
a
Stalin
e
al
Cominform
,
abbandona
la
scena
mentre
comincia
forse
la
seconda
guerra
fredda
.
Potrà
reggersi
il
titoismo
senza
Tito
?
La
successione
sarà
collegiale
.
Tito
ha
predisposto
una
specie
di
«
legge
salica
»
dello
jugosocialismo
,
per
cui
la
presidenza
del
Presidium
eletto
dall
'
assemblea
federale
dovrebbe
ruotare
ogni
anno
tra
i
suoi
nove
membri
,
un
rappresentante
per
ogni
repubblica
(
Bosnia
-
Erzegovina
,
Croazia
,
Macedonia
,
Montenegro
,
Slovenia
,
Serbia
)
o
provincia
autonoma
(
Kosovo
,
Vojvodina
)
e
il
presidente
della
Lega
dei
comunisti
jugoslavi
.
Ma
rimane
affidata
al
corso
degli
eventi
la
distribuzione
del
potere
reale
tra
personaggi
d
'
influenza
variabile
come
Bakaric
,
Dolanc
,
Stambolic
,
Minic
,
Grlichov
,
Zarkovic
,
Ljubicic
,
Vrhonic
,
Kolisevski
.
E
se
il
Presidium
fosse
discorde
,
fra
contrasti
d
'
interessi
e
spinte
centrifughe
,
non
si
sa
con
quali
mezzi
potrebbe
presiederlo
per
esempio
il
rappresentante
di
Kosovo
,
«
un
albanese
»
.
Il
parziale
benessere
della
Jugoslavia
,
almeno
al
confronto
con
le
nazioni
del
Comecon
o
SEV
,
è
oggi
minacciato
dall
'
iperinflazione
cronica
.
Negli
ultimi
decenni
un
rapido
sviluppo
industriale
ha
scavato
«
un
tunnel
nel
Medioevo
balcanico
»
,
ma
l
'
assetto
dell
'
economia
è
ancora
fragile
.
Tra
pianificazione
e
meccanismi
di
mercato
,
miti
e
delusioni
dell
'
autogestione
socialista
,
deficit
della
bilancia
valutaria
e
arretratezze
tecnologiche
,
migrazioni
di
massa
e
disoccupazione
,
il
divario
tra
il
Nord
«
austro
-
ungarico
»
e
il
Sud
«
ottomano
»
aumenta
anziché
ridursi
.
Rimane
l
'
egemonia
industriale
sloveno
-
croata
sulle
regioni
che
hanno
appena
sostituito
il
cavallo
-
elettricità
al
cavallo
-
cavallo
,
anche
se
per
esempio
i
croati
lamentano
che
il
6
per
cento
del
loro
reddito
di
trent
'
anni
è
stato
requisito
a
vantaggio
del
Sud
.
Qui
può
innescarsi
la
reviviscenza
dei
nazionalismi
come
forze
centrifughe
.
Sulle
frontiere
orientali
,
la
sola
nazione
amica
è
la
Romania
,
oltre
le
Porte
di
Ferro
.
Se
le
antiche
ostilità
tra
le
etnie
oggi
federate
dovessero
un
giorno
riemergere
,
con
l
'
additivo
delle
nuove
contraddizioni
economiche
,
aprirebbero
un
varco
sicuro
alle
pressioni
del
blocco
sovietico
.
Già
l
'
URSS
,
attraverso
gli
scambi
economici
,
tenta
di
guadagnare
influenza
nelle
Repubbliche
del
Sud
.
Già
la
Bulgaria
ritorna
a
periodi
alterni
sulla
questione
macedone
,
mentre
il
quindicesimo
volume
dell
'
enciclopedia
sovietica
non
menziona
in
alcun
modo
l
'
esistenza
della
Repubblica
jugoslava
di
Macedonia
.
Già
nel
'74
fu
inquietante
l
'
episodio
di
quei
gruppi
filosovietici
,
che
nel
Sud
serbo
-
montenegrino
avevano
costituito
un
partito
clandestino
con
diramazioni
nell
'
URSS
e
materiali
stampati
in
Ungheria
.
Come
appare
da
un
documento
essenziale
qual
è
il
diario
di
Veljko
Miciunovich
,
per
lungo
tempo
ambasciatore
a
Mosca
,
lo
scisma
del
'48
non
è
stato
mai
assolto
veramente
dai
sovietici
.
Allo
stesso
modo
,
nei
tempi
delle
guerre
di
religione
in
Europa
,
nessun
compromesso
poteva
far
dimenticare
i
dissidi
originari
che
avevano
suscitato
decenni
di
conflitti
e
stragi
.
Tuttora
non
si
sa
quanti
furono
,
da
Sofia
a
Praga
e
da
Budapest
a
Varsavia
,
i
sospetti
di
titoismo
fucilati
negli
ultimi
anni
di
Stalin
,
o
i
seguaci
del
Cominform
fucilati
in
Jugoslavia
.
I
sovietici
non
hanno
mai
rinunciato
a
immaginare
che
senza
lo
scisma
e
l
'
asilo
eretico
della
Jugoslavia
non
avrebbero
dovuto
fronteggiare
i
moti
polacchi
,
la
rivolta
ungherese
,
il
revisionismo
cecoslovacco
,
il
separatismo
romeno
.
E
così
oggi
,
mentre
comincia
la
seconda
guerra
fredda
,
non
rinunciano
a
pensare
che
la
condanna
dell
'
intervento
in
Afghanistan
non
sarebbe
stata
votata
da
104
nazioni
dell
'
ONU
senza
il
pronunciamento
della
Jugoslavia
e
la
sua
influenza
nel
Terzo
Mondo
.
Prima
o
poi
,
nessuno
a
Belgrado
ne
dubita
,
l
'
URSS
tenterà
il
recupero
della
Jugoslavia
,
focolaio
d
'
ogni
dissidenza
per
il
mondo
sovietico
e
base
di
transito
d
'
un
possibile
sbocco
nel
Mediterraneo
.
La
riconquista
non
avverrà
necessariamente
secondo
lo
scenario
della
Cecoslovacchia
,
poiché
un
'
invasione
potrebbe
rinsaldare
la
coesione
anziché
far
leva
sulle
discordie
.
Questo
teatro
naturale
di
guerriglia
fra
le
montagne
di
Serbia
e
Croazia
non
è
la
Cecoslovacchia
,
né
lo
sperduto
Afghanistan
.
«
I
nostri
otto
milioni
di
guerriglieri
territoriali
»
ricordava
il
generale
Stev
Ilic
,
dirigente
della
scuola
di
guerra
«
possono
equivalere
a
una
bomba
atomica
.
»
L
'
intervento
potrebbe
passare
«
sotto
»
le
frontiere
più
facilmente
che
«
sopra
»
,
utilizzando
le
contraddizioni
fra
le
sei
repubbliche
e
le
due
province
autonome
della
Serbia
.
Come
programma
minimo
,
la
destabilizzazione
del
federalismo
jugoslavo
sarebbe
rivolta
a
instaurare
due
sfere
d
'
interessi
,
il
Sud
fino
al
Basso
Adriatico
quale
zona
d
'
influenza
sovietica
e
il
Nord
quale
zona
d
'
influenza
occidentale
,
il
resto
dello
scenario
sarebbe
affidato
alle
svalutazioni
del
dinaro
,
alle
manovre
del
KGB
di
Jurij
Andropov
,
alla
«
crisi
epocale
»
dell
'
Occidente
.
Insomma
sono
passati
gli
Zar
,
Lenin
,
Stalin
,
Kruscev
,
Breznev
,
e
ancora
una
volta
i
«
grandi
russi
»
premono
sulla
Serbia
.
Continuità
o
stabilità
?
Finora
il
confine
tra
l
'
Ovest
e
l
'
Est
non
è
a
Muggia
,
ma
sul
Danubio
.
Mentre
in
massima
parte
le
importazioni
jugoslave
di
macchinari
industriali
provengono
dalla
CEE
e
un
milione
sui
ventidue
milioni
di
jugoslavi
sono
emigrati
nella
CEE
,
la
Repubblica
federativa
gravita
verso
l
'
Europa
occidentale
.
I
successori
di
Tito
affermano
che
niente
potrà
cambiare
.
Ma
da
vent
'
anni
a
Belgrado
ricorre
anche
il
detto
:
«
Solo
un
ingenuo
può
fare
domande
sul
"
dopo
Tito
"
,
e
solo
un
pazzo
potrebbe
rispondere
»
.
Quanto
maggiori
sono
le
pubbliche
rassicurazioni
,
tanto
più
numerose
le
incognite
.
È
certo
solo
che
se
l
'
ipotesi
della
destabilizzazione
dovesse
prevalere
,
in
Italia
avremmo
ciò
che
si
chiama
«
una
poltrona
di
prima
fila
per
il
prossimo
dramma
della
storia
»
.
StampaQuotidiana ,
Roma
.
Doveva
arrivare
,
questo
18
aprile
a
piazza
del
Gesù
,
ma
nessuno
lo
immaginava
così
carico
d
'
angoscia
,
così
straziato
fra
notizie
vere
e
notizie
incerte
,
così
crudele
nell
'
alternarsi
dei
messaggi
di
morte
e
dei
lampi
di
speranza
.
La
prima
telefonata
,
alle
10.30
,
è
di
Lettieri
,
sottosegretario
all
'
Interno
:
c
'
è
l
'
ultimo
comunicato
delle
Brigate
Rosse
,
Moro
è
stato
assassinato
.
Zaccagnini
ascolta
,
con
lui
c
'
è
soltanto
Pisanu
,
il
capo
della
sua
segreteria
politica
.
E
noi
,
adesso
,
siamo
tutti
qui
col
taccuino
in
mano
,
a
torchiare
Pisanu
,
per
sapere
le
solite
cose
inutili
e
un
po
'
feroci
.
Com
'
era
Zac
?
Che
cosa
ha
fatto
Zac
?
Che
cosa
ha
mormorato
Zac
?
Pisanu
ci
fissa
senza
vederci
,
poi
replica
:
«
Zaccagnini
non
ha
detto
niente
»
.
Subito
dopo
,
il
segretario
della
DC
chiama
gli
amici
che
in
quel
momento
stanno
a
piazza
del
Gesù
:
Bodrato
,
Galloni
,
Belci
,
Cavina
.
Ed
è
su
di
loro
che
cade
la
prima
mezza
conferma
del
Viminale
:
gli
esperti
dicono
che
quel
foglio
ricevuto
dal
«
Messaggero
»
può
essere
autentico
.
È
la
notizia
che
apprendono
anche
Salvi
e
il
ministro
della
Sanità
,
Tina
Anselmi
,
accorsi
dopo
le
prime
voci
.
Si
mette
in
moto
un
frenetico
meccanismo
di
accertamento
,
e
intanto
l
'
Anselmi
corre
dalla
famiglia
Moro
.
La
vediamo
uscire
stravolta
,
non
vuoi
dir
nulla
,
sale
in
silenzio
su
di
un
tassì
che
parte
per
via
di
Forte
Trionfale
.
Alle
12.30
anche
Zaccagnini
lascia
piazza
del
Gesù
per
la
casa
dell
'
amico
.
E
terreo
,
entra
nell
'
Alfetta
e
si
abbandona
sullo
schienale
,
ad
occhi
chiusi
.
Con
lui
ci
sono
Salvi
e
il
medico
personale
di
Moro
,
il
professor
Mario
Giacovazzo
.
Qualcuno
di
noi
dice
:
«
Forse
il
corpo
è
stato
trovato
,
oppure
il
Viminale
ha
una
prova
che
l
'
assassinio
è
avvenuto
»
.
In
realtà
,
non
esistono
né
prove
né
conferme
.
I
capi
democristiani
che
in
questo
tragico
18
aprile
accorrono
alla
sede
del
partito
,
ne
sanno
quanto
noi
.
Arriva
Emilio
Colombo
e
allarga
le
braccia
in
un
gesto
disperato
:
«
Ho
saputo
soltanto
che
esiste
un
volantino
»
.
Forlani
:
«
Non
so
niente
»
.
Rumor
:
«
Ho
ascoltato
la
radio
e
mi
sono
precipitato
qui
»
.
Dall
'
ufficio
del
segretario
scende
Mario
Segni
,
deputato
sardo
:
«
Non
ci
sono
prove
,
ma
la
tendenza
è
di
credere
a
quel
messaggio
»
.
Poco
dopo
l
'
una
,
esce
anche
Evangelisti
,
cupo
come
mai
l
'
avevamo
visto
:
«
Abbiamo
questa
drammatica
certezza
nel
cuore
.
Ma
fino
a
quando
i
sommozzatori
non
saranno
scesi
sul
fondo
di
quel
lago
,
la
certezza
matematica
non
ci
sarà
»
.
Passano
Andreatta
e
Grassini
,
e
non
domandano
nulla
.
Trascorre
un
'
ora
vuota
.
Poi
Pisanu
dice
:
«
Vi
ripeto
che
quel
volantino
sembra
autentico
.
Aspettiamo
un
riscontro
certo
di
questa
sciagurata
notizia
e
viviamo
tutti
nell
'
angoscia
»
.
Il
centralino
è
sovraccarico
di
telefonate
,
la
periferia
del
partito
ha
saputo
e
da
tutta
Italia
chiamano
Roma
.
Ma
Roma
non
è
in
grado
di
dire
nulla
.
E
nulla
dice
Zaccagnini
al
suo
ritorno
da
casa
Moro
:
una
visita
brevissima
,
non
più
di
dieci
minuti
.
Lo
vediamo
uscire
dall
'
auto
un
po
'
barcollante
e
vien
freddo
a
pensare
che
cosa
íl
segretario
deve
aver
visto
e
sentito
in
quella
casa
.
Come
in
un
brutto
giallo
,
il
bianco
e
il
nero
s
'
intrecciano
,
si
sovrappongono
,
si
annullano
.
Evangelisti
,
di
ritorno
da
Palazzo
Chigi
,
dice
:
«
Il
luogo
indicato
dal
messaggio
è
impervio
.
Ci
vorranno
ore
per
raggiungerlo
»
.
Bartolomei
,
il
presidente
dei
senatori
,
s
'
aggrappa
ad
una
speranza
:
«
Alla
procura
della
Repubblica
hanno
dei
dubbi
.
E
se
fosse
soltanto
una
beffa
crudele
?
»
.
Evangelisti
:
«
Dubbi
?
Magari
,
magari
»
.
Piccoli
:
«
Il
volantino
sembra
autentico
.
Gli
elicotteri
sono
sul
posto
,
ma
c
'
è
molta
neve
e
non
possono
atterrare
accanto
al
lago
»
.
La
stessa
notizia
ci
dà
alle
14.30
,
Andreotti
:
«
Sarà
un
lavoro
di
ricerca
piuttosto
lungo
»
.
Si
rifiuta
di
rispondere
ad
altre
domande
e
sale
nell
'
ufficio
di
Zac
.
Due
minuti
dopo
,
entrano
a
piazza
del
Gesù
Berlinguer
e
Chiaromonte
.
Al
secondo
piano
,
c
'
è
un
incontro
fra
gli
esponenti
comunisti
e
Andreotti
,
Galloni
e
il
segretario
democristiano
.
Il
colloquio
dura
una
ventina
di
minuti
,
poi
il
segretario
del
PCI
ridiscende
.
Dice
:
«
Siamo
venuti
qui
a
portare
la
nostra
solidarietà
a
Zaccagnini
e
alla
DC
»
.
Poi
,
con
Chiaromonte
,
si
fa
largo
tra
la
gente
e
s
'
incammina
per
via
d
'
Aracoeli
,
diretto
alle
vicinissime
Botteghe
Oscure
.
Cinque
uomini
del
servizio
d
'
ordine
comunista
lo
circondano
e
lo
accompagnano
,
passo
dopo
passo
.
Inutile
fare
altre
domande
.
Il
viso
di
Berlinguer
è
una
maschera
tesa
,
silenziosa
.
Il
pomeriggio
si
consuma
senza
novità
.
Il
lago
della
Duchessa
sembra
un
posto
lontanissimo
e
irraggiungibile
.
Vito
Napoli
deputato
della
Calabria
,
mormora
:
«
Non
facciamoci
illusioni
.
Moro
è
lassù
ed
è
morto
.
Qui
non
c
'
è
aria
di
scoramento
,
ma
dolore
e
rabbia
,
questo
sì
»
.
Evangelisti
:
«
Mago
è
gelato
e
le
ricerche
sono
difficili
»
.
Da
casa
Moro
rientra
l
'
Anselmi
e
passa
tra
la
gente
piangendo
.
Poco
prima
delle
17
,
un
portavoce
della
segreteria
dice
:
«
Sin
a
questo
momento
,
piazza
del
Gesù
non
ha
la
certezza
che
Moro
sia
morto
»
.
Non
è
possibile
che
il
volantino
sia
un
diversivo
delle
Brigate
Rosse
per
potere
«
operare
»
con
calma
in
un
'
altra
zona
?
«
È
un
'
ipotesi
.
Ma
che
cosa
possiamo
saperne
?
»
Pisanu
riferisce
di
una
telefonata
del
vicesegretario
Gaspari
,
da
due
ore
sul
luogo
indicato
nel
messaggio
:
«
La
lastra
di
ghiaccio
che
copre
il
lago
sembra
intatta
,
e
non
presenta
gibbosità
.
Sembra
da
escludere
che
un
corpo
di
un
certo
peso
possa
esservi
stato
gettato
fra
ieri
e
oggi
»
.
Le
stesse
cose
Zaccagnini
dice
a
La
Malfa
e
al
segretario
repubblicano
Biasini
che
in
quel
momento
arrivano
alla
sede
DC
.
E
poco
dopo
,
questo
18
aprile
ci
offre
una
delle
immagini
più
laceranti
:
il
vecchio
La
Malfa
,
vestito
di
nero
,
magrissimo
,
sparuto
,
gli
occhi
dilatati
,
che
piange
.
«
Nessun
commento
»
mormora
.
«
Soltanto
angoscia
e
attesa
.
»
Poi
,
duro
:
«
È
un
momento
di
estrema
gravità
.
E
a
mio
giudizio
questa
situazione
,
sin
dal
primo
istante
,
è
stata
presa
troppo
alla
leggera
»
.
A
spallate
,
due
agenti
di
polizia
in
tuta
gli
fanno
strada
tra
la
folla
che
ormai
occupa
piazza
del
Gesù
.
Il
traffico
sembra
impazzito
.
Paurosi
ingorghi
stradali
bloccano
il
centro
.
Roma
si
avvia
ad
una
sera
fra
le
più
tragiche
.
Una
donna
grida
a
Forlani
:
«
Fate
una
legge
forte
,
che
noi
vi
appoggiamo
!
»
.
Sul
fianco
del
palazzo
,
sfilano
pullman
di
turisti
stranieri
che
guardano
senza
capire
.
Tutt
'
intorno
,
nel
triangolo
fra
piazza
Venezia
,
il
Senato
e
Montecitorio
sono
comparse
pattuglie
di
agenti
e
carabinieri
anche
in
luoghi
prima
d
'
ora
mai
presidiati
.
Verso
le
19
,
entrano
a
palazzo
del
Gesù
Craxi
e
Signorile
.
E
mentre
i
due
esponenti
socialisti
vanno
a
colloquio
con
Zaccagnini
,
Pisanu
annuncia
che
tutti
i
comitati
provinciali
e
le
sezioni
della
DC
sono
convocati
nelle
loro
sedi
per
le
21.30
.
Un
comunicato
dice
:
«
Nell
'
assoluta
incertezza
sulla
sorte
di
Moro
,
non
verrà
promossa
alcuna
manifestazione
pubblica
.
La
direzione
della
DC
ritiene
non
del
tutto
esaurito
il
tenue
filo
di
speranza
per
la
vita
del
suo
presidente
»
.
StampaQuotidiana ,
Rimini
.
Nel
novembre
del
1980
i
carabinieri
irruppero
nella
disordinata
e
fangosa
comunità
di
San
Patrignano
e
vi
trovarono
,
come
li
aveva
informati
una
ragazza
appena
fuggita
,
cinque
o
sei
ragazzi
legati
e
chiusi
a
chiave
:
il
fondatore
della
prima
comunità
laica
per
tossicodipendenti
,
il
massiccio
e
rumoroso
Vincenzo
Muccioli
,
fu
arrestato
e
sui
giornali
,
tranne
«
Repubblica
»
,
fiorì
la
solita
fremente
indignazione
stracolma
di
lager
e
di
Pagliuca
.
I
ragazzi
,
subito
liberati
,
tornarono
alle
loro
piazze
e
ai
loro
sballi
,
uno
,
la
sera
stessa
,
finì
sotto
un
treno
.
Quattro
anni
dopo
,
da
domani
12
novembre
,
inizia
il
processo
contro
Muccioli
che
allora
era
stato
in
carcere
35
giorni
,
e
13
suoi
collaboratori
,
accusati
,
tra
l
'
altro
,
di
sequestro
di
persona
,
maltrattamenti
,
lesioni
,
abuso
della
professione
medica
,
truffa
aggravata
,
abuso
della
credulità
popolare
.
Il
processo
,
presidente
della
corte
Gino
Righi
,
pubblico
ministero
Roberto
Sapio
,
durerà
almeno
due
mesi
e
chiamerà
a
testimoniare
centinaia
di
persone
:
tossicodipendenti
e
loro
genitori
,
ex
drogati
,
magistrati
,
medici
,
psichiatri
,
politici
;
perché
in
realtà
il
processo
contro
Muccioli
si
trasformerà
nel
più
grande
dibattito
attorno
all
'
amaro
,
angoscioso
,
irrisolto
e
irrisolvibile
problema
della
droga
,
dentro
al
profondo
labirinto
sotterraneo
in
cui
vagano
e
si
dibattono
un
numero
sempre
più
irragionevole
di
giovani
e
adolescenti
,
i
loro
stremati
genitori
,
gli
incerti
legislatori
,
i
politici
chiacchieroni
,
gli
esperti
generosi
o
esibizionisti
,
gli
esasperati
operatori
sociali
,
la
folla
ancora
troppo
esigua
di
quei
volontari
,
cattolici
o
laici
,
che
,
in
assenza
dell
'
intervento
pubblico
,
affrontano
il
vuoto
,
la
disperazione
,
la
solitudine
e
l
'
abbandono
di
troppi
giovani
,
dentro
le
comunità
terapeutiche
private
.
Quindi
il
collegio
di
difesa
che
comprende
gli
avvocati
Accreman
,
Giovanetti
,
Cocchianella
,
Sorrentino
di
Rimini
,
Virga
di
Roma
,
Pisapia
e
Dall
'
Ora
di
Milano
,
oltre
al
costituzionalista
Barile
,
non
si
limiterà
a
sostenere
le
ragioni
di
Muccioli
,
ma
affronterà
la
violenta
assenza
dello
Stato
davanti
a
un
contagio
che
uccide
più
di
un
ragazzo
al
giorno
,
che
ne
dilania
e
annulla
a
centinaia
di
migliaia
,
che
nella
sola
Italia
regala
3650
miliardi
alla
criminalità
organizzata
dei
trafficanti
di
droga
.
Dice
l
'
avvocato
Alberto
Dall
'
Ora
:
«
Sono
entusiasta
di
affrontare
questo
processo
,
per
puro
senso
morale
.
Ho
conosciuto
la
comunità
di
San
Patrignano
quest
'
estate
,
in
occasione
della
visita
del
mio
amico
Pannella
,
sostenitore
della
droga
libera
,
sconfitto
dalla
determinazione
e
dalla
saggezza
,
sperimentata
sulla
loro
pelle
da
quei
500
ragazzi
.
Le
loro
ragioni
mi
hanno
conquistato
.
In
realtà
,
questa
sarà
l
'
occasione
,
forse
ormai
superata
,
per
un
processo
alla
comunità
terapeutica
accusata
tra
l
'
altro
di
sostituire
la
dipendenza
alla
droga
con
la
dipendenza
alla
sua
organizzazione
e
per
lo
scontro
di
due
modi
di
concepire
la
terapia
di
recupero
:
se
è
giusto
cioè
far
uso
anche
della
coercizione
e
della
privazione
della
libertà
,
per
impedire
la
ricaduta
nella
tossicodipendenza
o
se
invece
questa
scelta
,
oltre
che
illegale
,
sia
anche
scientificamente
inutile
»
.
In
questi
quattro
anni
,
l
'
eroina
ha
continuato
a
diffondersi
,
come
dice
Piera
Piatti
,
segretaria
della
Lenad
,
la
Lega
nazionale
antidroga
,
«
per
un
meccanismo
di
imitazione
,
consumismo
,
proselitismo
,
facilità
a
trovare
la
merce
,
fragilità
personale
.
È
impressionante
come
i
nuovi
dipendenti
della
cultura
dello
sballo
,
che
hanno
dai
13
ai
17
anni
,
siano
simili
a
bambocci
di
gomma
,
ragazzi
quasi
privi
di
parola
e
di
desideri
,
il
cui
mondo
è
composto
dai
biliardini
,
dalla
televisione
,
dal
giubbotto
.
Parlare
con
loro
è
una
fatica
improba
,
quasi
impossibile
»
.
È
aumentato
il
numero
dei
morti
e
si
è
diffuso
una
specie
di
silenzio
,
di
paralisi
,
di
rimozione
,
di
rigetto
,
da
parte
dell
'
opinione
pubblica
.
Però
contemporaneamente
sono
nate
agguerrite
associazioni
di
genitori
,
come
appunto
la
Lenad
,
che
ha
anche
messo
a
punto
una
rivoluzionaria
e
severa
proposta
di
legge
,
tutti
i
partiti
hanno
a
loro
volta
steso
una
serie
di
emendamenti
alla
legge
attuale
,
o
come
nel
caso
del
PCI
,
redatto
una
nuova
proposta
che
tra
l
'
altro
chiede
che
al
tossicodipendente
arrestato
per
fatti
connessi
con
la
droga
sia
consentito
in
alternativa
al
carcere
,
il
ricovero
in
una
comunità
terapeutica
.
Sono
diminuiti
i
fautori
del
metadone
,
si
è
proposta
la
liberalizzazione
dell
'
eroina
,
tutti
hanno
concordato
sul
fatto
che
il
mezzo
di
recupero
finora
più
positivo
è
la
comunità
terapeutica
.
Il
governo
si
è
molto
riunito
,
ha
molto
discusso
e
ha
molto
ipotizzato
,
promettendo
vuoi
aiuti
e
riconoscimenti
alle
comunità
private
,
vuoi
stanziamenti
di
miliardi
,
vuoi
la
costruzione
di
carceri
«
recuperatine
»
,
per
i
17
mila
detenuti
,
un
terzo
della
popolazione
carceraria
,
in
galera
per
reati
connessi
all
'
uso
di
droga
.
Il
presidente
del
Consiglio
Craxi
,
ma
anche
il
Papa
,
sono
intervenuti
al
congresso
mondiale
delle
comunità
terapeutiche
,
la
presidenza
del
Consiglio
ha
promosso
il
convegno
veneziano
«
Comunità
e
droga
»
.
Tanto
rumorosa
buona
volontà
,
per
ora
non
si
è
concretizzata
in
nulla
.
Per
i
tossicodipendenti
italiani
o
meglio
per
una
piccola
parte
di
loro
,
la
più
fortunata
,
la
meno
abbandonata
,
la
meno
degradata
,
ci
sono
le
comunità
terapeutiche
religiose
e
gratuite
,
qualche
costosa
comunità
all
'
estero
,
qualche
dubbiosa
iniziativa
,
a
pagamento
,
di
privati
.
C
'
è
soprattutto
quel
San
Patrignano
che
da
domani
va
alla
sbarra
,
l
'
unica
comunità
,
assieme
a
quella
di
Mondox
,
che
accolga
ragazzi
non
disintossicati
,
anche
i
più
disgregati
.
In
quattro
anni
,
anche
questa
comunità
è
cambiata
:
è
diventata
una
piccola
,
ricca
città
,
dove
vivono
540
giovani
,
50
coppie
sposate
,
40
bambini
,
128
studenti
di
scuola
superiore
o
universitari
;
vi
si
insegnano
,
e
si
praticano
,
36
mestieri
,
si
allevano
135
cavalli
da
corsa
,
150
mucche
da
latte
,
gatti
e
cani
di
razza
,
maiali
per
il
prossimo
salumificio
;
si
coltivano
un
milione
e
ottocentomila
metri
quadrati
a
frutteto
e
vigneto
,
si
produce
vino
,
si
confezionano
pellicce
di
lusso
,
carte
da
parati
di
pregio
,
c
'
è
un
laboratorio
di
maglieria
,
uno
di
infissi
,
uno
di
fotolito
.
Muccioli
è
appena
tornato
dall
'
America
dove
ha
piazzato
tutta
la
produzione
di
vino
di
quest
'
anno
e
ha
tenuto
conferenze
sulla
comunità
.
Nell
'
Italia
dei
paradossi
e
delle
incongruenze
,
la
vicenda
di
San
Patrignano
è
tra
1c
più
sorprendenti
.
C
'
è
il
giudice
istruttore
di
Rimini
,
Vincenzo
Antonucci
che
,
in
buona
fede
e
applicando
la
legge
,
dopo
un
'
inchiesta
durata
tre
anni
,
emette
nel
gennaio
'83
un
'
ordinanza
per
vietare
l
'
ingresso
ad
altri
tossicodipendenti
:
quelli
che
ci
sono
pazienza
,
anche
se
il
guru
Muccioli
deve
essere
tra
l
'
altro
processato
per
maltrattamenti
e
sequestro
di
persona
,
non
si
saprebbe
dove
mandarli
.
Da
quel
giorno
,
magistrati
da
tutta
Italia
emettono
contrordinanze
e
inviano
,
scortati
dagli
stessi
carabinieri
che
avevano
consegnato
il
fonogramma
di
divieto
alla
comunità
,
quasi
un
centinaio
di
nuovi
ospiti
.
Questi
magistrati
che
contraddicono
il
collega
di
Rimini
avranno
torto
o
ragione
?
StampaQuotidiana ,
Questo
fagotto
gettato
dietro
il
sedile
posteriore
della
Renault
color
amaranto
parcheggiata
in
via
Caetani
è
il
corpo
di
Aldo
Moro
.
È
un
fagotto
informe
,
avvolto
in
una
coperta
di
lana
color
cammello
,
con
un
bordo
di
raso
,
una
coperta
come
ce
ne
sono
in
tutte
le
nostre
case
.
Il
sedile
è
leggermente
inclinato
verso
l
'
avanti
.
La
macchina
ha
gli
sportelli
aperti
.
A
pochi
metri
ci
sono
il
ministro
Cossiga
,
i
sottosegretari
Darida
e
Lettieri
,
il
procuratore
capo
Giovanni
Di
Matteo
,
il
capo
della
polizia
,
Parlato
,
il
generale
Comini
comandante
dei
carabinieri
.
Sono
le
14.15
.
Giancarlo
Pajetta
passa
attraverso
il
cordone
di
carabinieri
,
rivolge
uno
sguardo
interrogativo
a
Cossiga
:
«
Sì
,
è
Moro
»
risponde
il
ministro
dell
'
Interno
a
voce
bassissima
.
La
Renault
è
parcheggiata
,
contromano
il
muso
rivolto
verso
via
dei
Funari
,
sotto
una
impalcatura
metallica
che
protegge
i
lavori
di
restauro
della
chiesa
di
S
.
Caterina
.
È
una
vecchia
macchina
,
impolverata
,
maltenuta
,
la
vernice
della
carrozzeria
in
qualche
punto
è
scrostata
.
Contro
le
transenne
controllate
dalla
polizia
,
che
isolano
via
Caetani
dalla
parte
di
via
dei
Funari
e
dalla
parte
delle
Botteghe
Oscure
preme
,
silenziosa
e
cupa
,
la
folla
di
abitanti
del
quartiere
,
giovani
soprattutto
.
Alcune
donne
si
allontanano
,
correndo
.
Una
,
prendendo
in
collo
un
bambino
,
grida
:
«
C
'
è
una
bomba
,
c
'
è
una
bomba
!
»
.
Non
è
vero
.
Ma
attorno
alla
macchina
abbandonata
c
'
è
il
vuoto
.
«
È
meglio
non
avvicinarsi
»
avverte
Cossiga
,
«
aspettiamo
gli
artificieri
.
Ci
sono
molti
bossoli
.
»
C
'
è
qualche
istante
d
'
irreale
silenzio
attorno
a
quella
bara
di
metallo
dentro
la
quale
è
rinchiuso
Moro
.
Poi
qualcuno
si
avvicina
alla
porta
posteriore
della
macchina
.
Oltre
a
Cossiga
,
ci
sono
Bonifacio
,
Pecchioli
.
Un
ufficiale
di
polizia
alza
un
lembo
della
coperta
di
lana
giallino
:
s
'
intravvede
la
faccia
di
Moro
,
gli
occhi
semichiusi
,
la
barba
lunga
,
bianchissimo
il
collo
della
camicia
.
Da
via
delle
Botteghe
Oscure
,
chiusa
al
traffico
,
giunge
un
rumore
di
grida
e
imprecazioni
.
C
'
è
gente
arrampicata
sulle
macchine
in
sosta
,
abbarbicata
alle
inferriate
dell
'
Istituto
Pontificio
di
S
.
Lucia
.
C
'
è
gente
che
arriva
correndo
,
chiedendo
notizie
,
premendo
contro
i
cordoni
dei
reparti
della
guardia
di
finanza
,
della
polizia
e
dei
carabinieri
.
Arriva
Gonnella
,
e
sembra
piccolissimo
,
con
le
labbra
tremanti
.
Arriva
un
vecchio
sacerdote
,
la
stola
violetta
gettata
di
traverso
su
una
tonaca
consunta
,
l
'
ampolla
dell
'
olio
santo
tra
le
mani
.
Si
chiama
padre
Damiani
,
è
stato
avvertito
da
due
agenti
di
polizia
,
pochi
minuti
fa
arrivati
a
prelevarlo
nella
sua
chiesa
di
piazza
del
Gesù
.
Sono
le
14.45
.
Padre
Damiani
traccia
un
segno
di
croce
sulla
fronte
ghiaccia
di
Moro
e
gli
impartisce
l
'
assoluzione
.
Alle
15
,
a
sirene
spiegate
arriva
un
'
ambulanza
dei
vigili
del
fuoco
mentre
la
folla
ondeggia
,
preme
pericolosamente
e
scoppia
qualche
piccolo
incidente
.
Bastano
pochi
minuti
,
poi
l
'
ambulanza
scortata
dai
mezzi
della
polizia
parte
in
direzione
dell
'
Istituto
di
medicina
legale
dove
avrà
luogo
l
'
autopsia
.
La
folla
adesso
rompe
i
cordoni
:
sotto
la
palizzata
dove
era
parcheggiata
la
Renault
color
amaranto
,
trasportata
in
questura
,
viene
posata
una
bandiera
bianca
della
DC
,
tre
rose
,
e
alcuni
cartelli
scritti
a
mano
:
«
Moro
siamo
tutti
con
te
»
.
Una
telefonata
anonima
pervenuta
al
centralino
della
questura
poco
dopo
le
13.30
aveva
segnalato
la
presenza
di
una
bomba
in
via
Caetani
,
una
traversa
di
via
delle
Botteghe
Oscure
,
a
poche
centinaia
di
metri
dalla
direzione
del
PCI
e
della
Democrazia
cristiana
.
Era
la
prima
,
inesatta
notizia
,
che
gettava
l
'
allarme
nella
zona
,
immediatamente
isolata
da
cordoni
di
polizia
.
Questa
è
una
versione
.
Ma
ce
n
'
è
anche
un
'
altra
,
secondo
la
quale
alle
13
sarebbe
arrivata
una
telefonata
,
sempre
anonima
,
alla
segreteria
di
Moro
con
l
'
annuncio
:
«
In
via
Caetani
c
'
è
un
'
auto
rossa
con
il
corpo
»
.
La
telefonata
sarebbe
stata
intercettata
dalla
questura
e
immediatamente
sarebbe
scattato
l
'
allarme
nella
zona
.
Il
ritrovamento
del
cadavere
è
avvenuto
poco
dopo
.
Qualche
minuto
prima
delle
due
i
segretari
di
tutti
i
partiti
politici
sapevano
che
il
cadavere
gettato
nel
portabagagli
della
Renault
targata
Roma
N
57686
era
quello
di
Aldo
Moro
.
Via
Michelangelo
Caetani
costeggia
il
palazzo
Mattei
e
il
palazzo
Caetani
dove
ha
sede
la
Biblioteca
di
Storia
Moderna
,
la
Discoteca
di
Stato
e
un
Istituto
di
Studi
americani
.
È
una
strada
molto
frequentata
,
dove
è
difficile
trovare
posto
per
parcheggiare
.
È
possibile
quindi
che
la
macchina
con
gli
assassini
di
Moro
sia
giunta
sul
posto
nella
primissima
mattinata
:
il
portiere
del
Palazzo
Mattei
afferma
di
non
aver
notato
la
macchina
quando
alle
7.40
ha
aperto
il
portone
.
La
segretaria
della
discoteca
l
'
avrebbe
invece
notata
quando
,
poco
dopo
le
otto
,
si
è
recata
al
vicino
bar
dei
Funari
.
Le
prime
testimonianze
sono
contraddittorie
,
la
polizia
non
esclude
nemmeno
che
la
macchina
possa
essere
stata
portata
in
via
Caetani
nella
tarda
mattinata
.
In
un
angolo
del
bagagliaio
,
dalla
parte
dov
'
è
sistemata
la
ruota
di
scorta
sulla
quale
poggiava
la
testa
di
Moro
,
c
'
erano
anche
le
catene
da
neve
,
e
qualche
ciuffo
di
capelli
grigi
.
Questo
particolare
può
far
pensare
che
la
macchina
con
il
cadavere
abbia
percorso
un
tragitto
accidentato
,
durante
il
quale
il
corpo
avrebbe
subito
dei
sobbalzi
.
Ai
piedi
del
cadavere
c
'
era
una
busta
di
plastica
contenente
un
bracciale
e
l
'
orologio
.
Il
corpo
di
Moro
,
quando
è
stato
estratto
dagli
artificieri
,
era
ripiegato
e
irrigidito
.
Indossava
lo
stesso
abito
scuro
che
aveva
il
giorno
del
rapimento
,
un
abito
blu
,
con
la
camicia
bianca
a
righine
,
e
la
cravatta
ben
annodata
.
L
'
abito
era
macchiato
di
sangue
;
sul
petto
di
Moro
erano
stati
premuti
alcuni
fazzoletti
per
impedire
che
il
sangue
sgorgasse
dalle
ferite
.
Nei
risvolti
dei
pantaloni
è
stata
trovata
una
notevole
quantità
di
sabbia
o
terriccio
.
La
morte
risaliva
certamente
a
molte
ore
prima
,
forse
all
'
alba
di
ieri
martedì
,
forse
addirittura
al
pomeriggio
del
giorno
precedente
.
Sotto
il
corpo
e
sul
tappetino
della
Renault
c
'
erano
alcuni
bossoli
di
proiettile
7,65
o
9
corto
.
La
presenza
dei
bossoli
faceva
pensare
,
in
un
primo
momento
che
l
'
esecuzione
fosse
avvenuta
all
'
interno
stesso
della
macchina
,
ma
i
primi
rilievi
effettuati
in
serata
all
'
Istituto
di
medicina
legale
sembrano
suggerire
una
sequenza
se
possibile
ancora
più
spietata
e
agghiacciante
.
Moro
sarebbe
stato
ucciso
con
una
raffica
di
pistola
mitragliatrice
,
calibro
7,65
o
9
corto
.
Almeno
undici
sono
i
fori
che
hanno
squarciato
il
petto
del
prigioniero
inerme
.
Visto
che
l
'
abito
appariva
intatto
,
la
camicia
stirata
,
è
inevitabile
immaginare
la
macabra
rivestizione
del
cadavere
,
e
poi
il
suo
trasporto
dal
luogo
della
prigionia
e
dell
'
esecuzione
fino
al
centro
di
Roma
,
fino
al
quartiere
non
scelto
a
caso
,
al
confine
con
la
sede
della
direzione
comunista
e
di
quella
democristiana
,
quasi
un
macabro
avvertimento
e
insieme
un
'
ultima
sfida
alle
forze
di
polizia
.
La
Renault
pare
avesse
la
targa
che
corrisponde
a
una
delle
FIAT
128
usate
dai
terroristi
in
via
Fani
e
ritrovata
poi
abbandonata
in
via
Licinio
Calvo
.
Si
tratterebbe
cioè
di
un
'
auto
rubata
che
i
terroristi
hanno
usato
dopo
averle
sostituito
la
targa
.
La
Renault
risulta
in
regola
col
pagamento
della
tassa
di
circolazione
e
con
il
contrassegno
dell
'
assicurazione
,
che
sono
scritti
con
una
macchina
che
ha
gli
stessi
caratteri
della
Ibm
a
testina
rotante
usata
per
i
comunicati
delle
BR
.
StampaQuotidiana ,
Palermo
,
9
.
Ai
compagni
aveva
detto
di
aspettarlo
:
giusto
il
tempo
di
fare
un
salto
a
casa
,
prendere
un
boccone
e
tornare
in
sede
per
continuare
la
riunione
.
Non
si
è
più
visto
.
Lo
hanno
trovato
all
'
alba
di
ieri
,
orrendamente
dilaniato
da
un
'
esplosione
,
sulla
linea
ferroviaria
Palermo
-
Trapani
,
all
'
altezza
del
chilometro
38
.
Giuseppe
Impastato
,
Peppino
per
i
compagni
,
trent
'
anni
,
militante
della
nuova
sinistra
e
candidato
nelle
liste
di
Democrazia
proletaria
alle
prossime
elezioni
amministrative
che
si
terranno
anche
nel
comune
di
Cinisi
(
quindici
chilometri
da
Palermo
)
secondo
gli
investigatori
ha
voluto
dunque
uccidersi
«
in
modo
eclatante
»
.
Ovvero
,
è
la
tesi
subordinata
,
è
rimasto
vittima
di
un
«
incidente
»
durante
un
attentato
.
A
sostegno
della
prima
ipotesi
c
'
è
una
lettera
,
trovata
in
casa
della
zia
,
dove
il
giovane
si
recava
a
dormire
:
un
estemporaneo
,
fallimentare
bilancio
della
sua
vita
con
la
preghiera
agli
amici
che
il
suo
corpo
venga
cremato
.
La
seconda
ipotesi
si
regge
invece
sul
semplice
dato
di
fatto
:
un
cadavere
a
pezzi
,
lungo
la
ferrovia
.
Tutto
il
resto
,
la
cosiddetta
«
dinamica
»
,
i
movimenti
della
vittima
nella
serata
precedente
all
'
esplosione
,
le
testimonianze
dei
compagni
sulla
sua
vita
e
sulla
sua
attività
politica
,
non
solo
non
coincide
con
il
quadro
di
ipotetiche
soluzioni
tracciato
dagli
investigatori
,
ma
semmai
legittima
una
terza
ben
più
sconcertante
,
ma
non
meno
plausibile
,
verità
:
quella
del
delitto
di
mafia
.
Peppino
Impastato
ed
il
suo
gruppo
,
negli
ultimi
anni
non
avevano
dato
tregua
alla
mafia
della
zona
,
denunciando
,
attraverso
i
microfoni
di
una
radio
e
i
volantini
,
lo
strapotere
di
personaggi
come
Tanino
Badalamenti
-
boss
indiscusso
della
Sicilia
occidentale
,
compare
di
Luciano
Liggio
-
e
del
suo
clan
.
Peppino
Impastato
andava
denunciando
da
tempo
,
con
tanto
di
nomi
e
cognomi
,
le
speculazioni
e
i
ricatti
della
mafia
locale
.
Domenica
scorsa
aveva
tenuto
un
comizio
a
cui
avevano
assistito
quattrocento
persone
,
rimaste
lì
ad
ascoltarlo
,
dicono
i
compagni
,
nonostante
la
pioggia
insistente
.
Che
la
sua
azione
avesse
finito
col
disturbare
l
'
establishment
politico
mafioso
locale
,
lo
stanno
a
dimostrare
i
numerosi
avvertimenti
e
le
minacce
telefoniche
che
periodicamente
riceveva
a
Radio
-
out
.
Peppino
Impastato
,
per
di
più
,
non
aveva
mai
manifestato
propositi
suicidi
.
Anzi
,
proprio
in
ragione
del
piccolo
successo
che
ogni
giorno
di
più
e
particolarmente
in
questa
fase
di
campagna
elettorale
,
riscuoteva
la
sua
azione
,
cominciava
-
dicono
i
compagni
-
a
sentirsi
«
realizzato
»
.
E
contro
la
tesi
del
suicidio
,
seguita
dagli
investigatori
assieme
a
quella
di
un
fallito
attentato
,
depongono
i
movimenti
del
giovane
la
sera
precedente
l
'
esplosione
.
Per
tutto
il
pomeriggio
fino
alle
20.15
è
in
radio
.
Poi
,
come
ogni
sera
,
esce
per
andare
a
cenare
e
dà
un
appuntamento
a
tutti
per
le
21
.
Non
si
farà
mai
più
vedere
.
I
compagni
lo
aspettano
fino
ad
una
certa
ora
,
poi
lo
vanno
a
cercare
.
Fanno
il
giro
del
paese
,
dei
parenti
,
cercano
almeno
di
rintracciare
la
macchina
.
Tra
mezzanotte
e
mezza
e
l
'
una
scoppia
la
bomba
che
lo
uccide
.
Che
senso
ha
tutto
questo
?
Ammesso
che
Impastato
avesse
in
effetti
intenzione
di
collocare
l
'
ordigno
,
perché
dare
un
appuntamento
ai
compagni
,
farsi
aspettare
,
farsi
cercare
?
La
tecnica
dell
'
attentato
,
infine
,
giustifica
solo
in
parte
l
'
ipotesi
della
disgrazia
imprevista
.
Accanto
alla
ferrovia
,
su
una
trazzera
distante
venti
metri
,
è
stata
infatti
trovata
l
'
auto
-
una
850
-
con
cui
Peppino
ha
raggiunto
il
luogo
dell
'
esplosione
.
Si
suppone
che
l
'
ordigno
fosse
ad
innesco
elettronico
e
che
dovesse
essere
collegato
,
attraverso
una
deviazione
,
alla
batteria
dell
'
automobile
.
Ma
allora
,
la
posizione
della
vittima
dovrebbe
essere
accanto
alla
macchina
,
da
dove
avrebbe
potuto
azionare
il
congegno
,
e
non
nei
pressi
della
bomba
.
StampaQuotidiana ,
L
'
una
di
notte
:
si
sblocca
il
timer
di
Tangentopoli
.
I
telegiornali
stanno
snocciolando
da
qualche
ora
i
risultati
elettorali
che
disegnano
il
tracollo
del
Psi
,
quando
un
ufficiale
dei
carabinieri
parte
dalla
caserma
di
via
Moscova
.
E
diretto
a
Roma
.
Ha
in
tasca
una
busta
ingombrante
.
E
nella
busta
ha
una
bomba
,
l
'
ultimo
colpo
dei
giudici
milanesi
,
l
'
ultimo
calice
,
il
piu
'
amaro
,
per
Bettino
Craxi
:
un
avviso
di
garanzia
.
In
18
pagine
Antonio
Di
Pietro
e
i
suoi
colleghi
contestano
al
segretario
del
Psi
41
episodi
di
malaffare
,
calcolano
36
miliardi
di
bustarelle
,
lo
accusano
di
concorso
in
corruzione
,
ricettazione
e
violazione
delle
norme
sul
finanziamento
pubblico
ai
partiti
.
Tutto
questo
si
porta
nella
giacca
il
capitano
Paolo
La
Forgia
quando
arriva
a
Roma
.
Tutto
questo
,
quando
,
stanco
e
forse
emozionato
,
entra
qualche
ora
piu
'
tardi
all
'
hotel
Raphael
,
nel
quartier
generale
di
Craxi
.
Alle
undici
e
mezzo
,
il
leader
socialista
ha
in
mano
le
diciotto
paginette
:
"
Procedimento
numero
8655.92...Craxi
Benedetto
...
"
.
Legge
con
attenzione
i
passaggi
dove
i
giudici
dell
'
inchiesta
"
Mani
Pulite
"
spiegano
in
sostanza
come
,
in
quel
sistema
feudale
popolato
di
boiardi
della
mazzetta
che
e
'
stata
Milano
fino
a
oggi
,
sia
lui
lo
zar
.
Proprio
lui
.
Ma
non
batte
ciglio
.
Resta
freddissimo
anche
quando
capisce
che
su
di
lui
sembrano
essere
addossate
quasi
tutte
le
colpe
dei
socialisti
finiti
finora
sotto
indagine
:
la
metropolitana
,
le
tangenti
pagate
da
imprenditori
come
Paolo
Pizzarotti
,
Vincenzo
Romagnoli
e
Mario
Lodigiani
,
i
flussi
di
quattrini
in
nero
che
per
anni
sono
serviti
ad
alimentare
la
macchina
del
suo
partito
.
Vincenzo
Balzamo
,
il
segretario
amministrativo
,
il
fidatissimo
tesoriere
nazionale
che
il
2
novembre
e
'
stato
stroncato
da
un
infarto
,
e
'
indicato
come
il
"
percettore
materiale
"
dei
finanziamenti
illegali
.
Lui
,
Craxi
,
come
il
capo
dei
capi
,
l
'
uomo
che
ha
gestito
e
disegnato
le
grandi
strategie
.
La
notizia
circola
gia
'
da
qualche
ora
al
Palazzo
di
giustizia
di
Milano
.
In
breve
,
una
dopo
l
'
altra
,
le
conferme
piovono
come
napalm
.
Giustizia
a
orologeria
?
"
Fosse
davvero
cosi
'
,
vorrebbe
dire
che
l
'
orologio
era
in
ritardo
"
,
si
lascia
scappare
un
magistrato
in
corridoio
.
La
Procura
,
infatti
,
prima
di
sparare
l
'
ultimo
colpo
,
ha
atteso
che
le
urne
fossero
chiuse
.
Come
aveva
fatto
ad
aprile
,
aspettando
il
dopo.elezioni
per
sferrare
la
prima
offensiva
giudiziaria
.
La
decisione
e
'
maturata
in
un
vertice
del
pool
al
completo
.
L
'
altro
ieri
,
per
tutta
la
giornata
,
sono
rimasti
nell
'
ufficio
del
procuratore
Saverio
Borrelli
i
pm
Gherardo
Colombo
e
Piercamillo
Davigo
e
il
procuratore
aggiunto
Gerardo
D
'
Ambrosio
.
Antonio
Di
Pietro
ha
partecipato
solo
per
pochi
minuti
all
'
incontro
,
poi
e
'
volato
a
Roma
per
raccogliere
l
'
ultimo
tassello
,
le
dichiarazioni
di
Nevol
Querci
,
ex
deputato
socialista
,
che
avrebbe
descritto
ancora
una
volta
la
gestione
verticistica
di
certe
decisioni
nel
partito
.
Ma
Querci
e
'
davvero
solo
una
piccola
tessera
.
Il
mosaico
composto
attorno
a
Craxi
e
'
enorme
ed
e
'
fatto
di
molte
voci
.
La
piu
'
pesante
e
'
quella
di
un
vecchio
nemico
,
l
'
ex
segretario
socialista
Giacomo
Mancini
,
che
il
18
novembre
conferma
in
pieno
ai
magistrati
un
'
intervista
concessa
al
Corriere
dieci
giorni
prima
:
"
Balzamo
era
il
segretario
amministrativo
,
ma
la
parte
delle
entrate
che
conosceva
era
quella
che
riguardava
i
grandi
progetti
dell
'
edilizia
,
i
lavori
pubblici
.
Degli
altri
quattrini
non
sapeva
proprio
nulla
.
Craxi
ha
preferito
dire
"
muoia
Sansone
con
tutti
i
filistei
,
siamo
tutti
complici
e
nessuno
puo
'
parlare
"
.
Nessuno
puo
'
forse
fare
il
Pm
nei
confronti
degli
altri
,
ma
la
vastita
'
del
fenomeno
,
i
flussi
di
finanzamento
che
hanno
avuto
come
destinatario
il
Psi
non
sono
certamente
passati
da
Balzamo
,
non
sono
stati
registrati
.
Li
conosceva
solo
Craxi
"
.
"
A
Balzamo
.
avrebbe
spiegato
Mancini
ai
giudici
.
sfuggiva
tutta
la
parte
che
non
trattava
direttamente
,
quella
relativa
ai
rapporti
tra
partito
e
banche
,
partito
e
Iri
,
partito
e
grandi
imprese
,
partito
e
finanza
.
Una
parte
che
faceva
capo
direttamente
alla
segreteria
del
partito
"
.
Poi
,
via
via
,
ecco
gli
altri
ragazzi
del
coro
.
L
'
imprenditore
Mario
Lodigiani
,
il
5
ottobre
,
racconta
dei
suoi
contributi
alla
Dc
e
al
Psi
,
spara
su
Balzamo
e
sul
cassiere
nazionale
scudocrociato
Severino
Citaristi
,
che
in
questi
giorni
ha
avuto
un
nuovo
avviso
di
garanzia
che
sara
'
seguito
entro
la
settimana
dalla
richiesta
d
'
autorizzazione
a
procedere
.
Per
Citaristi
,
il
pool
antimazzette
chiede
anche
l
'
arresto
.
Su
lui
e
su
Balzamo
,
sul
sistema
messo
in
piedi
dai
due
partiti
,
Lodigiani
e
'
prodigo
di
particolari
:
"
Abbiamo
versato
circa
un
miliardo
all
'
anno
a
ciascuno
dei
due
partiti
senza
isciverli
nei
relativi
bilanci
...
Questi
versamenti
sono
avvenuti
in
contanti
,
direttamente
nelle
mani
di
Citaristi
e
Balzamo
"
.
Suo
fratello
Vincenzo
e
'
altrettanto
specifico
:
"
Nel
febbraio
'
92
ho
consegnato
a
Balzamo
l
'
ultima
somma
,
400
milioni
in
contanti
che
mi
ha
espressamente
richiesto
di
versargli
in
nero
perche
'
aveva
urgenti
scadenze
elettorali
e
aveva
bisogno
di
liquidi
"
.
Sullo
stesso
tono
le
dichiarazioni
di
altri
manager
,
come
Vincenzo
Romagnoli
,
Paolo
Pizzarotti
,
Angelo
Simontacchi
:
i
miliardi
,
dalla
meta
'
degli
anni
Ottanta
in
poi
,
scorrevano
senza
sosta
nelle
casse
segrete
della
Dc
e
del
Psi
.
E
ora
i
giudici
sembrano
da
un
lato
far
coincidere
le
responsabilita
'
di
Balzamo
con
quelle
di
Craxi
e
,
dall
'
altro
,
paiono
attribuirne
di
ulteriori
al
leader
del
Psi
.
Le
deposizioni
si
susseguono
come
un
rosario
nell
'
atto
d
'
accusa
.
Ecco
Bruno
Binasco
,
manager
del
gruppo
Gavio
.
Ecco
Luciano
Betti
,
amministratore
delegato
della
Premafin
di
Salvatore
Ligresti
,
e
Nerio
Nesi
,
ex
presidente
della
Banca
Nazionale
del
Lavoro
.
Ed
ecco
lo
stesso
Ligresti
,
che
parla
di
elargizioni
al
Psi
.
Luigi
Carnevale
,
ex
vicepresidente
della
Metropolitana
milanese
,
tira
in
ballo
Silvano
Larini
,
architetto
socialista
,
amico
di
Craxi
da
trent
'
anni
e
tuttora
latitante
.
Carnevale
racconta
che
l
'
architetto
portava
le
mazzette
della
metropolitana
direttamente
al
segretario
.
E
anche
l
'
ex
deputato
psi
Gianstefano
Milani
fa
il
nome
di
Larini
.
Interrogato
la
scorsa
settimana
,
Milani
,
da
sempre
anticraxiano
,
spiega
e
commenta
con
i
giudici
una
sua
frase
intercettata
dai
carabinieri
:
"
Stanno
cercando
Larini
perche
'
pigliava
i
soldi
per
Craxi
"
.
E
l
'
ultima
bordata
.
Per
il
leader
dai
troppi
nemici
comincia
il
conto
alla
rovescia
.
StampaQuotidiana ,
Tutto
cominciò
con
un
mariuolo
.
"
Questo
Chiesa
,
sbottò
Craxi
con
i
compagni
,
rischia
di
rovinarci
le
elezioni
"
.
In
effetti
,
nell
'
armadio
del
Psi
milanese
quel
presidente
di
vecchi
e
orfani
beccato
con
le
mani
nel
sacco
.
e
con
dieci
miliardi
in
banca
.
era
davvero
uno
scheletro
imbarazzante
.
Il
5
aprile
era
alle
porte
,
e
l
'
arresto
di
Mario
Chiesa
(
17
febbraio
)
pesava
come
un
macigno
sulla
campagna
elettorale
:
anche
perche
'
veniva
a
dar
corpo
a
sussurri
che
,
sul
Garofano
di
Milano
,
circolavano
da
tempo
.
Ma
temendo
un
semplice
calo
di
voti
,
Bettino
Craxi
peccava
di
ottimismo
.
Si
preparava
ben
altro
.
Si
preparava
un
assedio
che
la
magistratura
stava
studiando
con
cura
,
con
la
strategia
d
'
un
von
Clausewitz
e
con
l
'
accanimento
d
'
un
Robespierre
.
Prima
i
boiardi
e
poi
lo
zar
,
per
usare
le
parole
del
giudice
Ghitti
.
L
'
obiettivo
era
scardinare
il
sistema
della
corruzione
.
E
,
come
tutti
i
buoni
strateghi
,
i
magistrati
hanno
cominciato
attaccando
i
soldati
semplici
,
per
poi
arrivare
agli
ufficiali
e
quindi
a
quello
che
secondo
loro
è
il
capo
supremo
.
Sarà
forse
un
caso
,
ma
da
mesi
la
Procura
milanese
faceva
terra
bruciata
intorno
a
Bettino
Craxi
,
faceva
cadere
a
uno
a
uno
tutti
i
suoi
fedelissimi
.
Il
primo
,
appunto
,
è
stato
Chiesa
.
Un
pesce
che
sembra
piccolo
,
ma
che
tanto
piccolo
non
era
.
Come
lui
stesso
ha
fatto
mettere
a
verbale
,
aveva
diritto
d
'
accesso
alla
real
casa
e
nei
suoi
sogni
(
neanche
tanto
proibiti
,
allora
)
c
'
era
la
poltrona
di
sindaco
.
Proprio
lui
si
era
esposto
per
sostenere
la
candidatura
di
Bobo
Craxi
alle
ultime
amministrative
.
Il
2
maggio
,
il
secondo
passo
di
avvicinamento
.
Arrivano
informazioni
di
garanzia
agli
ultimi
due
sindaci
socialisti
di
Milano
,
Carlo
Tognoli
e
Paolo
Pillitteri
.
Il
primo
non
è
proprio
un
uomo
di
Craxi
;
ma
il
secondo
del
segretario
socialista
è
addirittura
il
cognato
.
E
toccare
Pillitteri
vuol
dire
,
perlomeno
,
sfiorare
Craxi
.
Mai
la
Procura
aveva
osato
tanto
.
Ma
non
basta
.
Il
6
maggio
finisce
in
galera
Sergio
Radaelli
,
consigliere
della
Cariplo
.
Al
grosso
pubblico
il
suo
nome
non
dice
niente
:
ma
alla
federazione
socialista
di
corso
Magenta
,
quando
arriva
la
notizia
delle
manette
a
Radaelli
,
sono
in
molti
a
tremare
.
Radaelli
è
uno
dei
cassieri
del
partito
,
molte
mazzette
passano
dalle
sue
mani
.
Ha
l
'
ufficio
insieme
con
Pillitteri
in
piazza
Duomo
19
:
al
piano
di
sopra
c
'
è
lo
studio
di
Craxi
.
Si
rivela
una
mina
vagante
:
parla
subito
,
svela
un
conto
plurimiliardario
in
Svizzera
,
accusa
Tognoli
e
Pillitteri
.
Ormai
è
una
valanga
,
che
il
9
giugno
porta
in
carcere
un
altro
uomo
di
Craxi
:
Claudio
Dini
,
per
cinque
anni
presidente
della
Metropolitana
Milanese
.
Dini
nega
tutto
e
,
dopo
due
mesi
a
San
Vittore
,
torna
in
libertà
.
Almeno
lui
non
ha
disseminato
verbali
che
scottano
.
Questa
volta
ai
giudici
non
è
andata
bene
.
Ma
la
manovra
di
accerchiamento
continua
:
c
'
è
un
ordine
di
cattura
anche
contro
l
'
architetto
Silvano
Larini
,
amico
di
Bettino
Craxi
da
un
trentennio
.
Gli
si
contestano
le
stesse
mazzette
che
avrebbe
preso
Dini
.
Ma
anche
Larini
non
dà
soddisfazione
a
Di
Pietro
e
ai
suoi
soci
:
è
all
'
estero
,
e
si
guarda
bene
dal
tornare
.
Non
è
l
'
unico
ad
avere
scelto
la
strada
della
fuga
:
suo
compagno
d
'
avventura
è
Giovanni
Manzi
,
presidente
della
società
che
gestisce
gli
aeroporti
milanesi
.
Anche
lui
,
uomo
vicinissimo
a
Craxi
.
E
il
26
giugno
quando
crollano
i
vertici
regionali
del
Psi
.
In
carcere
finiscono
Andrea
Parini
,
segretario
politico
,
e
Oreste
Lodigiani
,
segretario
amministrativo
.
Lo
stesso
giorno
viene
firmato
un
avviso
di
garanzia
per
il
deputato
Sergio
Moroni
,
predecessore
di
Parini
,
che
poi
si
suiciderà
.
Il
30
luglio
a
San
Vittore
finisce
Loris
Zaffra
,
capogruppo
a
palazzo
Marino
,
ex
segretario
regionale
del
partito
,
anche
lui
craxiano
di
ferro
.
Ma
al
momento
dell
'
arresto
di
Zaffra
,
il
"
botto
"
c
'
era
già
stato
.
E
del
16
luglio
,
infatti
,
la
cattura
dell
'
ingegner
Salvatore
Ligresti
,
big
della
finanza
italiana
,
padrone
di
imprese
edili
,
società
di
assicurazioni
,
cliniche
,
alberghi
,
autostrade
.
Sono
in
molti
a
pensare
che
Ligresti
debba
la
sua
fortuna
a
Craxi
e
che
Craxi
debba
almeno
una
parte
della
sua
a
Ligresti
.
"
Bettino
mi
telefonò
chiedendomi
di
dare
un
finanziamento
di
300
miliardi
a
Ligresti
"
,
ha
detto
ai
giudici
l
'
ex
presidente
della
Banca
Nazionale
del
Lavoro
Nerio
Nesi
.
E
solo
una
testimonianza
dei
rapporti
fra
l
'
ingegnere
e
il
segretario
.
E
forse
è
proprio
il
16
luglio
che
Craxi
ha
cominciato
a
sentirsi
terribilmente
solo
.