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> anno_i:[1970 TO 2000}
StampaQuotidiana ,
" Buongiorno , sono Craxi Benedetto ... eccovi il mio passaporto " . Si ' , prima o poi Bettino finira ' per trovarsi di fronte ai poliziotti , a recitare questa pie ' ce amarissima . A loro dovra ' consegnare quel documento glorioso e un po ' spiegazzato , che gli ricorda certo tanti viaggi da mattatore e che adesso e ' diventato quasi carta straccia . Prima o poi dovra ' farlo . Meglio prima . Perche ' se tardasse troppo , i giudici di Milano potrebbero decidere di rilanciare e di firmare per lui addirittura un ordine di cattura . Per l ' ex segretario socialista sono tempi duri e malinconici . Due magistrati , ieri , hanno deciso di togliergli il passaporto . Il gip Italo Ghitti , vecchio regista degli arresti di Mani pulite , per le mazzette dell ' Enimont e dell ' Enel . E il gip Maurizio Grigo , per la spintarella che Craxi e compagni avrebbero dato alle gia ' traballanti casse del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi . Secondo il codice , quella " spintarella " si chiama concorso in bancarotta fraudolenta , visto che il Banco falli ' dopo essere stato spogliato dalle dissennate iniziative di Calvi e dall ' assalto di politici , massoni e faccendieri . Per questa storiaccia , secondo Grigo , il ritiro del passaporto e ' solo un contorno . I guai non arrivano mai soli e dunque il giudice , proprio per il crac dell ' Ambrosiano , ha deciso di rinviare a giudizio Bettino . Con Craxi dovranno presentarsi sul banco degli imputati , il 16 giugno , l ' ex delfino socialista Claudio Martelli , il capo piduista Licio Gelli , l ' ex vicepresidente dell ' Eni Leonardo Di Donna e l ' architetto Silvano Larini . In ballo ci sono i sette milioni di dollari versati da Calvi , attraverso il solito schermo di societa ' panamensi , sul conto Protezione , numero 633369 della banca Ubs di Lugano . Quel conto era intestato a Larini , amico di Craxi sin dai tempi della giovinezza . E proprio Bettino , durante un ' ormai storica passeggiata a tre ( quel giorno c ' era pure Martelli ) ne aveva chiesto la disponibilita ' al vecchio compagno per fare " una certa operazione " . Silvano , sempre gentile , aveva snocciolato il numero di conto , Claudio aveva preso nota . Tutti a giudizio , adesso : perche ' , gira gira , i quattrini uscivano dalle casse dell ' Ambrosiano ed erano diretti al Psi . Per tutti gli imputati c ' e ' il divieto d ' espatrio . Craxi reagisce . Gia ' aveva proclamato la sua innocenza nell ' intrigo del conto Protezione . Cosi ' , ora , il rospo del passaporto non ha nessuna voglia di ingoiarlo . E , attraverso i suoi portavoce di Roma , fa diffondere una nota : " Tutti sapevano benissimo dove sono , dove vado e dove abito " . Certo . Ma adesso dov ' e ' ? Ieri pomeriggio non e ' stato possibile rintracciarlo per notificargli il provvedimento . I toni di Bettino sono , prima , amari : " Di fronte all ' autorita ' giudiziaria , al Parlamento e al Paese ho sempre usato il linguaggio della verita ' . Cosa che non hanno fatto altri , cui non e ' stato certo riservato lo speciale trattamento che e ' toccato a me " . Poi , piu ' duri : " E una condotta discriminatoria , politicamente strumentale e moralmente odiosa ... Non c ' era nessuna ragione nuovamente insorta che potesse portare a richiedere la misura che e ' stata richiesta , addirittura in modo ripetuto , in un concerto persecutorio del tutto evidente . Nessuna ragione e nessuna giustificazione convincenti . Contro ogni azione che ha solo un carattere persecutorio io intendo continuare a difendermi " . Infine , ecco il richiamo ai princi ' pi : " Lo faccio e lo faro ' non solo per me , ma anche perche ' l ' uso equilibrato e giusto del potere giudiziario rappresenta una barriera di civilta ' per tutti " . Fin qui Bettino . Ma le amarezze per lui continuano , in questa giornata nera . Cosi ' , dall ' ordinanza del gip Ghitti , filtra qualche particolare . Il ritiro del passaporto e ' motivato con il pericolo di fuga . E il gip ricorda le case e i conti all ' estero dell ' ex leader . Conti all ' estero ? Quali ? Il riferimento , indiretto , e ' all ' ormai famoso conto Hambest . Si ' , il conto lussemburghese al centro di un animato siparietto al processo Cusani . A manovrare i quattrini di Hambest era Mauro Giallombardo , gia ' segretario personale di Craxi .
Fiero requiem dell'Italia per Moro ( Cavallari Alberto , 1978 )
StampaQuotidiana ,
Dato che i Papi non partecipano da secoli a funerali di Stato , e soprattutto a Roma dopo l ' Unità d ' Italia , cercammo di guardare bene Paolo VI , ieri , mentre entrava in San Giovanni in Laterano per la cerimonia in suffragio di Moro . Il pomeriggio romano , fuori , era freddo e livido . La polizia coi nervi tesi , gli uomini in tuta coi mitra spianati , avevano creato il vuoto intorno alla chiesa , salvo sulla piazza principale chiusa in un reticolato di sbarramenti . Dentro la basilica protetti da decine di poliziotti , sedevano immobili , pietrificati intorno all ' altare , gli uomini che rappresentano lo Stato italiano , il governo , i partiti , e i « legati » e gli ambasciatori degli altri Stati . Lo sfondo di un avvenimento unico nella storia moderna non ripeteva affatto le riunioni di folla che a Nuova York , a Gerusalemme , a Calcutta , a Manila , hanno accompagnato le altre tappe inconsuete di questo pontificato . Deve aver fatto un ' immensa pena a questo Papa italiano , lombardo , uscire dal Vaticano e vedere questa povera Roma , questo povero quartiere di San Giovanni , e questa povera basilica , precipitati in un silenzio agghiacciante , difesi come una zona di guerra . Nel livido pomeriggio si guardò intorno , raggiunse la sacrestia , vesti i paramenti rossi delle Pentecoste , e il suo pallore di vecchio Papa ottantenne divenne ancor più visibile . Quando tutto fu pronto , congiunse le mani ( e si vide che tremavano ) facendo il suo ingresso nella chiesa illuminata sulla sedia gestatoria . Tra gli uomini di Stato , immobili , pietrificati , apparve un pontefice a sua volta pietrificato dalla tragedia italiana . Seduto sul trono avviò la Messa cosi , fino al Vangelo , con voce affaticata , senza un movimento , salvo quelli voluti dal rito . La sua tensione cresceva , il suo viso scavato , un po ' gotico , amaro , era ancora più pallido . Dal settore dello Stato italiano , lo guardavano - per la prima volta riuniti per una sua Messa - Berlinguer , Pajetta , Ingrao , e gli altri comunisti della delegazione . Dal settore degli Stati stranieri , cinesi , russi , romeni , fissavano questo pontefice drammatico , diventato simbolo del dramma italiano , forse pensando al tempo in cui Stalin chiese « quante divisioni ha il Papa ? » . Esile , la voce a tratti spezzata nella preghiera , Papa Montini era un vecchio stanco , in uno dei pomeriggi più angosciosi della storia italiana . Poi venne il momento della preghiera e il Papa disse : « Ci siamo riuniti per pregare e testimoniare in un mondo di odio e di sangue » . Poi un lettore disse per lui : « Preghiamo per coloro che governano i popoli , specialmente per i responsabili della cosa pubblica del nostro Paese , e per le autorità di questa nostra città di Roma : perché al di sopra delle lotte e delle divisioni sappiano unirsi in uno sforzo fraterno al servizio della giustizia , del bene comune , e della vera libertà » . Ancora disse il lettore : « Preghiamo per il nostro fratello e amico Aldo Moro , per i membri della sua scorta , che lo hanno preceduto nella morte , per tutte le vittime della violenza e dell ' odio » . Di nuovo disse il lettore : « Preghiamo per tutti noi qui presenti , perché lo spirito di Dio rianimi la nostra debolezza e doni la forza di progredire nella riconciliazione » . Infine riprese direttamente il Papa : « Signore , Dio , ascolta con bontà la supplica del tuo popolo » . Per lo sforzo , un lieve rossore gli copri quel volto pietrificato . Da tre punti di vista , come si sa , può essere considerata questa partecipazione di un Papa a un funerale di Stato , che si è sommata a un memorabile passaggio oltre il Tevere per lanciare all ' Italia un messaggio di riconciliazione . Esiste una motivazione privata e religiosa , emersa dal comunicato vaticano di venerdì e dalla preghiera scritta dal Papa per la Messa di ieri , che dipinge Paolo VI spinto alla decisione solo in base a un impulso del cuore : « Per onorare la memoria dello statista scomparso , unito a lui da vincoli di antica amicizia » e definito appunto « fratello e amico » . Esiste quindi una motivazione per cosi dire pubblica e pastorale , che si riassume nell ' appello lanciato all ' Italia , nel « dare un segno del suo particolare affetto alla nazione » , nell ' invito alla riconciliazione generale « al di sopra delle lotte e delle divisioni » . Ma non mancano poi gli osservatori che segnalano ( almeno come ipotesi ) una motivazione politica . Il Papa , si dice , avrebbe voluto testimoniare anche il suo appoggio alla formula politica ispirata da Moro , all ' attuale quadro politico , suggellando con la manifestazione d ' unità intorno alla sua persona una scelta vaticana . Non è un mistero che gli esperti romani parlano di un « cambiamento » del Papa , dopo l ' allontanamento di monsignor Benelli , e di un suo orientamento diverso rispetto alla politica iniziata da Moro . Si dice poi che vi sarebbe conferma di ciò nel fatto che i messaggi vaticani di cordoglio hanno avallato questa tesi , dato che il Papa ha scritto a Leone , il cardinale di stato Villot ad Andreotti , ma poi Papa Montini ha inviato un suo biglietto a Zaccagnini . Infine , nel mondo stesso dei vaticanisti , s ' insiste nel descrivere un Vaticano montiniano avviato verso la « seconda conciliazione » : e quindi incline ad elevare al massimo grado la figura di Moro « statista » per rendere meno reversibile l ' esperienza iniziata a Roma . Fino a che punto può essere vera questa ipotesi ? Non c ' è dubbio che ieri essa circolasse tra i giornalisti italiani e stranieri , inclini a farla circolare , almeno come tale . Ma resta il fatto che il Papa non ha parlato dopo la cerimonia , come si annunciava , limitandosi alle parole della preghiera scritta di suo pugno , che non sono certo un segnale politico , che trascendono la politica contingente con un messaggio accorato e pieno di pena . Stanco , oppresso da una angoscia crescente , lasciò la basilica con un frettoloso saluto al presidente della Repubblica e ai parenti di Moro . Si chiuse nella macchina affranto lasciando dietro di sé nel fosco pomeriggio romano un appello tra i più caldi ricevuti dall ' Italia durante il suo pontificato . Non è difficile immaginare , del resto , che il Papa deve aver valutato per primo il pericolo che dal suo breve viaggio oltre il Tevere , e dalla sua decisione di compiere un gesto senza precedenti , nascessero « ipotesi politiche » . Anni fa , quando rilasciò a chi scrive la prima intervista della storia della Chiesa , Papa Montini non nascose il dramma che rappresenta « parlare dell ' Italia » per un Papa « che ami il paese dov ' è nato » .
StampaQuotidiana ,
MANILA . Imelda Imelda Imelda for president . Lo gridano per le strade , lo hanno scritto sui muri e sui cartelli . È questa la truce fiaba postnatalizia che è dilagata i giorni scorsi sull ' arcipelago delle Filippine . Ma non è favola , è realtà . Con ottanta capi d ' accusa sulla testa che . se provati . potrebbero costarle da un minimo di 400 anni di carcere a un massimo di 900 , la signora Marcos si è ufficialmente candidata per le elezioni presidenziali dal maggio prossimo . È stata scelta all ' unanimità e lanciata nella mischia dai leader del Kilusan Bagong Lipunan ( K B L ) , il partito del defunto presidente Ferdinando Marcos . Sotto la bandiera dell ' ex First Lady potrebbero schierarsi , oltre ai nostalgici del regime , tutti coloro che sono stati delusi dall ' inefficiente amministrazione di Corazon Aquino . L ' ipotesi di un ritorno di Imelda Marcos all ' attività politica ha preso consistenza subito dopo il rientro nelle Filippine in novembre : ma non sorprende che molti , allora , lo ritenessero improbabile . Perche ' si trattava di riaffidare le redini del potere ad una donna che , per venti anni , insieme al marito , aveva dissanguato il Paese e il cui rimpatrio . dopo quasi sei anni di esilio . era stato consentito alla sola condizione che rispondesse alla giustizia di un cumulo di reati infamanti come evasione fiscale , appropriazione indebita , esportazione di capitali all ' estero e chi più ne ha più ne metta . Una gran Ladra , insomma . Proprio così , con la L maiuscola . Cominciata in sordina col rientro di Ferdinando Jr . ( figlio del defunto dittatore ) il 30 ottobre , la rimpatriata dei Marcos nelle Filippine ha avuto il suo vertice folgorante il 4 novembre scorso , quando l ' ex First Lady è apparsa all ' aeroporto Ninoy Aquino e si è inginocchiata e ha baciato la terra . Il processo L ' umiliazione della fuga ignominiosa nel febbraio dell'86 e la vergogna di dover subire ora un processo pesante non parevano aver incrinato la solare arroganza di Imelda Marcos ( anni 62 ) o inserito nella sua personalità di " farfalla d ' acciaio " il fluido corrosivo del dubbio e del rimorso . Il procuratore generale della Repubblica , Francisco Chavez , ha presentato contro di lei ottanta capi d ' accusa : nella speranza di ricuperare parte delle sostanze ( denaro e immobili ) che l ' ex famiglia reale ha sparso nel mondo , come i 350 milioni di dollari custoditi nelle banche svizzere . Ma quando si presenta al tribunale regionale di Quezon City per ascoltare la lettura delle incriminazioni che la riguardano e che l ' avvocato Chavez elenca imperterrito , Imelda sembra appena uscita da un bagno di schiuma . Il bianco luminoso del vestito che indossa è appena ravvivato da un foulard rosso.blu e le dita delle mani che minuti prima hanno disinvoltamente accettato il rito delle impronte stanno ora avvinghiate ai grani del rosario . Regalmente , Imelda respinge ogni accusa col solo movimento della testa . Poi , ai giornalisti che le chiedono se abbia paura del carcere , risponde cortesemente : " Non c ' è un posto in tutte le Filippine dove mi possano incarcerare . Non ho paura . Credo nella giustizia divina " . Però anche Dio dovrà essere molto paziente e misericordioso con la signora Marcos , col suo defunto marito e coi figli , pure incriminati . Tuttavia , il cospicuo deposito in Svizzera potrà rimanere congelato ed eventualmente restituito ai legittimi proprietari . i filippini . soltanto se Manila riuscirà a provare che è stato illegalmente accumulato . E qui tutti temono la lentezza del locale meccanismo processuale . Certo , l ' elenco circostanziato dei capi d ' accusa lascia sbigottiti e mette a nudo il cinismo e la totale mancanza di scrupoli con cui Marcos e la moglie hanno agito per vent ' anni grazie alla copertura della presidenza , spinti solo da un ' insaziabile ingordigia e dall ' ambizione personale : una diabolica " coppia reale " che incamera milioni di pesos destinati agli scolari poveri delle piantagioni di coconut ; che gioca sul dollaro creando uno " shortage " artificiale , che le frutta in un lampo 75 milioni di dollari ; che induce la Banca Centrale a concedere prestiti favolosi a ditte private , " amiche " del Presidente ; che deposita 25 milioni di dollari nella succursale di New York della Philippine National Bank perche ' la First Lady non sia a corto di liquido quando va a fare lo shopping nella Quinta Strada ; e che infine , dopo aver tanto rubato , fugge dal Paese di notte caricando sull ' elicottero 22 casse di valuta straniera e locale : sfortunatamente , non c ' è posto per le tremila paia di scarpe che Imelda abbandona nel palazzo di Malacanang , affrontando scalza l ' esilio . Dietro l ' aberrante immagine di questa coppia predatrice e sanguisuga , c ' è un altro aspetto , dei Marcos , di cui i tribunali non si stanno ora occupando : ed è l ' invereconda manipolazione del potere politico che ha consentito al dittatore di sopravvivere per tanti anni . Su questo la Storia ha già espresso il suo giudizio , che è pesante . Delitti Ma il ritorno di Imelda nelle Filippine non poteva non evocare lo spettro degli anni di piombo e della legge marziale ; e tuttavia nessuno si meraviglia se , sbarcando all ' aeroporto di Manila dove nell'83 venne trucidato Benigno " Ninoy " Aquino , marito di Corazon e irriducibile avversario di Marcos , l ' ex First Lady non abbia provato alcuna emozione . La " farfalla d ' acciaio " recitava ancora una volta i misteri gaudiosi . Nessuno dubitava che l ' assassinio di Ninoy era stato deciso e " preparato " nei meandri di Malacanang , anche se fu impossibile accertarlo : ma quel momento coincise col risveglio della coscienza popolare e con l ' ascesa di Cory e del " people ' s power " , che avrebbero invaso le Filippine coi vessilli gialli e spazzato via Marcos . Al suo rientro , Imelda , si presenta come la vittima di Corazon e della sua perfidia umano.politica . È povera . È Cenerentola . All ' aeroporto confessa : " Non ho più un soldo , sopravvivo grazie agli oboli degli amici " . Però è appena sbarcata da un Boeing , noleggiato alle Hawaii per 600 mila dollari , e il suo seguito è quello di un capo di Stato . Va ad abitare al Philippine Plaza Hotel , dove requisisce l ' undicesimo piano per sistemare , in 60 stanze , il suo entourage : lei si contenta della Suite Imperiale . Da questo fortino di lusso , pacchianamente superaddobbato per le feste , Imelda dirige la sua campagna elettorale . Blas F . Ople , editoralista di un quotidiano popolare ed ex ministro di Marcos , sostiene che Imelda è la sola persona in grado di mettere insieme l ' Opposizione . Occorrono , tra l ' altro , 37 milioni di dollari per la campagna elettorale , che l ' ex Fist Lady ha nelle preziose borse di pelle , firmate dai migliori stilisti . Nella sua scia , sono in molti adesso . I politici del voltafaccia che , nell'86 , rinnegarono Marcos e si buttarono nel campo dell ' Aquino . Uno squallido personaggio come Salvador Laureal , che divenne vice presidente dell ' attuale governo e poi diede il bacio di Giuda a Cory , andando all ' aeroporto per congratularsi con l ' ex First Lady che tornava ; o come l ' estremo rettile delle Filippine , Juan Ponce Enrile , ex ministro della difesa , che fu uno degli artefici della rivoluzione di febbraio e che vidi arrivare , il mitra in mano , nel campo Aguilaldo dei rivoltosi e che ora ha calato le brache e continua ad agitarsi sui banchi dell ' Opposizione , piccolo e isterico . Enrile sostiene che Imelda ha grosse chances a Manila , nelle regioni settentrionali e nelle Visnayas orientali , sua patria d ' origine . Nessuno sa come andrà a finire . Imelda , che definisce Enrile con le iniziali J.E. ( Judas Escariot ) per il suo tradimento nell'86 , basa le sue speranze sull ' accoglienza che i disperati di baraccopoli immonde e letamai umani come Tondo . delusi dall ' inefficienza dell ' attuale governo . le hanno riservato . La gestione di Corazon Aquino ha certamente deluso , ma il comportamento della signora Marcos rasenta , raggiunge e supera il marchio dell ' infamia . Il suo regno d ' influenza e di vita era vastissimo , ma ne erano esclusi i tagliatori delle canne di zucchero delle Negros o i peones di Mindanao . Era pure escluso il sindaco di Zamboanga , Cesar Climaco , che aveva deciso di non farsi tagliare i capelli fino a quando Marcos non avesse rimosso la legge marziale . Aveva scritto al dittatore , di cui un tempo era amico : " La sola cosa onesta in queste isole sono questo paio di coglioni che mi porto intorno " . Lo uccisero sparandogli nella nuca , mentre stava avviando il motorino . Cosa poteva importare , a Imelda , di Climaco ? Lei andava per shopping allo Harrods di Londra , al Bloomingdal ' s di New York , al Takashimaya di Tokio , alla Liberty House di Honolulu . E poi Bond Street , Fauburg St . Honore ' , via Condotti . Le scarpe da Ferragamo , i gioielli da Bulgari . E aveva il diamante più grosso del mondo ( lo Idol ' s Eye ) , pagato con 5 milioni e 500 mila dollari di puro sangue e sudori filippini . La gente muore per le strade e lei fa costruire a Manila 14 alberghi di lusso . Il suo mito era Hollywood , la sua molla erotica gli eroi dello schermo , come George Hamilton . Ed ecco , dentro questo vuoto immane che è la sua vita , germinare il progetto di un festival cinematografico che oscurasse la gloria di Cannes e di Venezia . Ma occorre costruire . e in fretta . un palazzo del cinema degno dell ' occasione . Ottomila operai ( era l'82 ) lavorano 24 ore su 24 . Ma a un certo punto le impalcature crollano e crollano i muri . Sotto le macerie e il cemento ancora caldo c ' è un cimitero . Nessuno saprà mai quanti sono i morti . Imelda ordina di continuare i lavori , la scadenza va rispettata . E a queste mani , così gentili e rapaci che una parte dei filippini affida ora il proprio destino . E allora buon anno e buona fortuna .
StampaQuotidiana ,
Peshawar ( di ritorno dall ' Afghanistan ) . Mawli Bismilha passava per uno dalla mira infallibile , dicevano che avrebbe fulminato un passero a trecento metri : ma i tre soldati russi che montavano di sentinella , quella sera , sul ponte di Jalalabad , non lo sapevano e quando son risuonati i tre colpi sono andati giù come birilli , dietro il parapetto . Di Bismilha si diceva anche che avesse un gran fegato e un ' allergia acuta per i carri armati sovietici che gli aravano la terra quando non era più tempo di semina : e così quella mattina , appena il T-62 è sbucato con chiasso tremendo sull ' argine del fiume Sorkhroad , Mawli non ci ha visto più e ha cominciato a sparargli addosso col suo Enfield 303 . È stato l ' inizio di una battaglia che è durata tutta la giornata : entro sera , un carro armato e una APC ( un ' autoblindo per il trasporto truppe ) erano stati messi fuori uso . Ma Bismilha era morto . Il giorno dopo lo han portato nel suo villaggio a tre ore di cammino e lo hanno sepolto nel cimitero in collina con una gran festa funebre di canti , preghiere e bandiere bianche , come si conviene agli eroi . La commozione era grande e ha colpito anche noi « estranei » , venuti qui a curiosare nel cuore della tragedia afghana . La sepoltura di Bismilha è una ( l ' ultima , la più vivida ) delle tante dolorose immagini che ho potuto raccogliere durante un ' escursione ( chiamiamola così ) clandestina nella provincia di Ningrahar , fino alla periferia di Jalalabad , che ne è il capoluogo . Quel che segue è la cronaca di questo viaggio : un viaggio di pochi giorni dentro una specie di esaltazione collettiva , dove la logica non ha più posto . Ti chiedi che senso abbia il colpo di fucile sparato contro il MI-24 che vola basso : tanto vale il tirasassi . Ma per i mujaidin questa è la Jihad , la guerra santa , e niente - neanche la spaventosa inferiorità sul piano dell ' efficienza bellica - li può far desistere . La vita di Bismilha per un carro armato era un ordine di Allah . È una guerra che puoi vedere solo a spizzichi : e , per vederla , puoi solo aggregarti a questo o quel partito - islamico - che hanno i loro uomini su questo o su quel fronte : a Khunar o Paktia o Herat o nelle zone centrali o settentrionali . La base di partenza è Peshawar , in Pakistan , dove i fuorusciti afghani hanno le loro « carbonerie » : e da qui , con un minimo d ' insistenza e di preghiere , ti fai accompagnare over the border , oltre confine , nelle zone calde , dove la terra è ormai seminata di polvere da sparo . Conosco il paesaggio . È stupendo . L ' ho visto d ' estate , l ' ho visto d ' inverno : ora che è primavera è anche più bello , hai intorno una luce soffice che non acceca , afghano è l ' abito , afghano il cappello , afghano lo scialle ed è con questa esotica bardatura che cominci a scarpinare in montagna dopo aver attraversato il Khunar sulla piana di Cama . La marcia nella notte sembra non finire mai , forse hanno sbagliato strada , le otto - nove ore promesse diventano tredici - quattordici e alla fine tutte le tue ossa sono rotte e fracassate . Sono in buona compagnia . All ' escursione , in provincia di Ningrahar , partecipano una cinquantina di mujaidin che vanno a rafforzare í fronti islamici nell ' area calda intorno a Jalalabad . Alcuni hanno in spalla cassette di munizioni e dinamite . Fatico a tenere í1 passo e il capo della spedizione si arrabbia : dice che bisogna arrivare a destinazione in mattinata perché dopo la zona è sorvolata dagli elicotteri russi e non c ' è modo di nascondersi nella calvizie dell ' altopiano . Gli uomini fanno parte dello Hezb - i - Islami di Mawli Khalés , un partito di modesta consistenza numerica che qualche mese fa si è staccato dal massiccio Hezb - i - Islami di Gulbuddin Hekmatyar , troppo « politicizzato » , per dedicarsi esclusivamente alla lotta armata . F . Khalés , infatti , è il solo leader di partito che vive in Afghanistan , in prossimità del fronte , mentre gli altri fanno la politica da seduti , lontani dalle pallottole , nell ' esilio di Peshawar . Khalés ha 60 anni , la barba autorevole che gli ondeggia sul petto , il fucile a portata di mano . Lo incontro di sera , nella sua casa di Kaja , dopo una giornata di camminate . Viene dalla campagna , è un leader molto amato , a differenza dell ' ingegnere Gulbuddin non mantiene le distanze . I suoi uomini lo chiamano Mawli , gli sono sempre attorno , lo abbracciano . Mi dice : « Lo so cosa pensate voi stranieri : che í russi sono troppo forti , che hanno armi sofisticate e potenti e noi fucili del '19 e tirasassi , che siamo destinati a uscire sconfitti da questa guerra e a diventare satelliti di Mosca . Ma voi stranieri vi sbagliate . Voi non vi rendete conto che la popolazione è con noi al 99 per cento , che se io scendo in strada e incontro il più vecchio del villaggio e gli caccio in mano un fucile , quello mi segue fino a Jalalabad cantando e ringiovanisce di trent ' anni sognando di stendere un russo . Qui nella provincia di Ningrahar i mujaidin armati , cioè veramente impegnati nella guerriglia , sono 25 mila » . Gli chiedo qual è il suo principale obiettivo : « Lei è mai stato a Jalalabad ? » mi dice . « È una gran bella città , tutta fiori e giardini . Adesso è in mano ai russi , ce ne saranno migliaia . E all ' aeroporto ci sono centinaia di jet ed elicotteri militari sovietici . Ma i russi si renderanno presto conto che non gli basteranno perché Jalalabad tornerà in mano nostra . Lei vuoi vedere un po ' d ' azione ? Vuol toccare con mano se noi mujaidin facciamo sul serio o ci battiamo solo a parole ? Bene , si faccia quattro passi fino a Jalalabad : vedrà che ogni sera i miei ragazzi aprono il fuoco su tutta la cintura periferica della città e in particolare contro l ' aeroporto . È un ballo che dura tutta la notte e quando finisce , all ' alba , qualche dozzina di soldati russi o afghani ci ha lasciato la pelle » . Sto per fargli un ' altra domanda ma Khalés l ' indovina e mi precede : « Lo so cosa lei vuol sapere , altri giornalisti me l ' hanno chiesto . Ebbene , sì . Questo Enfield qui non lo tengo per bellezza o per farmi fotografare . Sì , vado anch ' io al fronte e credo d ' aver contribuito la mia parte allo sfoltimento della presenza militare sovietica in Afghanistan . Capisce cosa voglio dire ? Duecento miei ragazzi sono morti e sono sparpagliati nei cimiteri di villaggio di Ningrahar . Può capitare anche a me dall ' oggi al domani e non sarà niente di speciale . La nostra religione comanda che un leader debba essere in prima linea , sempre » . È l ' ora di cena e stendono la tovaglia sul tappeto . È una buona cena , con pane , brodo , riso , spinaci , pezzi di pollo , latte cagliato . Le mani , qui , sostituiscono le posate ma la mia tecnica manducatoria è ancora - dopo qualche giorno di pratica - a un livello tale che suscita sorrisi di divertita compassione in Khalés e nei commensali afghani . Peter e Steve ( i colleghi fotografi che mi hanno accompagnato nell ' escursione ) fanno le cose con maggior disinvoltura . Khalés è loquace e sereno , ma a un certo punto si rabbuia . Qualcuno lo ha informato che un paio di sere prima , nel villaggio di Cheperhar , il giornalista amico è stato derubato del portafoglio . « Sono veramente mortificato » mi dice , « lei era un ospite , lei è venuto per raccontare al mondo la nostra tragedia , per darci una mano . Sono pieno di rabbia , d ' amarezza . Non mi sarei mai aspettato che tra i miei ragazzi , i miei mujaidin , ce ne fosse uno capace di tanta bassezza . Ma lo troveremo , lo troveremo . Intanto , lei domattina riavrà i suoi soldi : purtroppo non abbiamo dollari , dovrà contentarsi di moneta afghana . » Spero non abbiano trovato il ladro . Mi auguro che non lo trovino mai : pagherebbe troppo cara la sua ribalderia . Dopo cena chiedo ai mujaidin quale punizione potrebbero infliggergli . C ' è una breve consultazione , poi : « Gli tagliamo la mano » . Ma uno del gruppo , che ha tutto soppesato e ponderato , è più tetro e drastico : « Siamo in guerra » dice « e pertanto vanno applicate le leggi di guerra . Un reato simile va considerato alla stregua del saccheggio e della violenza carnale . Non credo che Khalés la pensi diversamente : a parte il fatto che ha gettato discredito sul nostro partito . Mister Mo , se lo scopriamo lo fuciliamo . È OK ? Le sta bene ? » . I mujaidin di Khalés sono sistemati in una quindicina di villaggi nel distretto di Sorkhroad , che è una bella , verde , ariosa campagna circondata da montagne calve color caffelatte . La marcia è lunga e ogni tanto devi fermarti perché gli elicotteri ti arrivano improvvisamente in testa . La gente , ormai , non ci fa più caso : « Se è destino morire per questi infedeli » senti dire , « va bene ma lo stesso non avranno la nostra terra » . È sera fonda quando arriviamo nel villaggio di Diwalid , bianco nella luce della luna . Jalalabad è a neanche tre chilometri , difesa - da questa parte - dal « fossato » del fiume Sorkhroad , quasi completamente asciutto . I mujaidin sono in azione e puoi sentire qualche colpo di fucile . « Non c ' è gran che stasera » dice il comandante Awskhan Mokhlis , « i nostri uomini rientreranno dopo la mezzanotte . Vi consiglio di riposare , siete stanchi : e domani sera vi organizzo un bello spettacolo , okay ? » Okay okay . Finora abbiamo visto i mujaidin delle retrovie che di eroico hanno solo la nomenclatura . Parlano incessantemente di eventuali attacchi coi russi , abbattono verbalmente elicotteri e jet e non c ' è tank sovietico che possa fare la sua passeggiata vespertina nei campi di grano di Ningrahar senza essere impallinato , bloccato e bruciato dalle cartucce dei 303 . A sentirli , hanno già vinto la guerra . Sono i mujaidin del tè permanente . Pregano cinque volte al giorno e quindici volte prendono il tè , cominciando al mattino presto , quando il sole non è ancora sbucato . Poi li vedi sempre seduti o sdraiati - sui letti o sul pavimento - a parlare dell ' Islam o di guerra . L ' occupazione più frequente è scaricare o ricaricare il fucile o diramare omericamente i bollettini di guerra che vengono rigonfiati di bocca in bocca : perciò non ti devi meravigliare se i soldati russi morti nella tale operazione da dieci diventano cento e carri armati ed elicotteri sono , nel giro di poche ore , triplicati o quintuplicati . Le distanze sono enormi , non c ' è radio e non c ' è telefono , è praticamente impossibile restare aggiornati sulle vicende militari : eppure trovi sempre qualche arcano , alato messaggero che ha fatto trenta chilometri in cinque minuti e ti scarica sul tavolo la bisaccia delle « ultimissime » . « Allora hanno preso Jalalabad ? » « Non ancora , ma è questione di giorni . » « E Kabul ? » « Questione di settimane . » A Diwalid la guerra ce l ' hanno in casa e non si fanno illusioni . Qui la conta è precisa , puntigliosa . Quando uno esce dalla caserma ( chiamiamola così ) col fucile , non sa mai se torna . Ma anche qui trovi i millantatori . Il nostro miles gloriosus è un sellerone alto quasi due metri , la faccia segata imperiosamente dal baffo , il kalashnikov a tracolla . Entra e dice : « Ho fatto fuori tre russi , sul ponte . Un ' ora fa » . Il comandante Moklis non dice niente , anche gli altri tacciono . Ma Peter e Steve vogliono scattare foto dell ' eroe . Com ' è avvenuto ? Hagi racconta , con pacatezza , l ' impresa . Sembra il De bello Gallico , tanto è asciutto . Mi sono appostato , ho visto i tre , mi son detto questa è roba mia , vai . Ho premuto il grilletto . Si accarezza il baffo e guarda giù sulla nostra miseria d ' uomini con aria sovrumana . Gli chiediamo di tornare sul ponte , le tre sentinelle saranno state rimpiazzate . Ma Hagi rifiuta , la sua dose è tre russi al giorno , Allah è d ' accordo . Però domani , se vogliamo , lui ci porta nei campi e ci improvvisa uno show : « Volete un carro armato ? » dice . « Bene . Esco fuori col mio " rocket launcher " e il primo T-62 che si mette in marcia da Jalalabad ve lo schianto in un colpo . Ma dovete esser pronti ragazzi , clic clic . Io lo spacco e voi clic clic . » Il giorno dopo Peter e Steve non hanno fatto clic clic : o lo hanno fatto , ma non per Hagi . Durante la notte il miles gloriosus è stato selvaggiamente ridimensionato : fuori della stanza c ' è una bagarre in piena regola , volano parole e cazzotti ed è veramente un peccato non capire il pushtu ribaltato di bocca in bocca con tanta sonora violenza . Capiremo il mattino seguente che Hagi s ' era abusivamente attribuito il merito dello sterminio sul ponte e che la scarica micidiale era partita da tutt ' altro cecchino : il cecchino Mawli Bismilha . Mawli e l ' ingegnere Mahammood sono rientrati di notte , all ' una , dopo aver a lungo sparacchiato . Adesso hanno già detto la prima preghiera ed è l ' ora del breakfast , mi offrono il tè e il pane e vogliono sapere se a Roma è primavera come qui , con l ' aria dolce e azzurra . L ' ingegnere avrà trent ' anni , parla un inglese soffice e antico , è molto cauto e prudente e tende sempre ( a differenza dei mujaidin del tè ) a minimizzare . Ma tra poche ore vedremo di che scorza è fatto . L ' ingegnere dice che è stato Bismilha a stendere i russi : non ha sprecato un colpo . Mawli è minuto e gracile , ha occhi grandi di un marrone dorato e un naso da boxeur , schiacciato : quando ride - e lo fa spesso - scopre una dentatura aggressiva , una palizzata bianca che si infigge nel labbro inferiore . Non sono riuscito a scoprire la sua età . L ' inglese approssimativo delle nostre guide non fa testo : chi dice venticinque , chi ventisei , chi ventotto . Non importa . Non aveva l ' età per morire . L ' ingegnere cerca di spiegarmi la situazione e mi traccia una « mappa » sul quaderno : qui c ' è la dronta dam , la diga , qui l ' università , qui il ponte Khab , qui la dorasaka , qui qui ... eccetera . « Ogni sera » dice « noi attacchiamo . Jalalabad è difesa da tre , quattromila militari , tra russi e afghani . Avranno da 50 a 60 elicotteri e una decina di jet . I carri armati potrebbero essere da 400 a 600.» « Ma qual è il vostro obiettivo ? » « Prendere l ' aeroporto » dice « e ammazzare più russi possibile . » « Ingegnere , ma che speranze ci sono ? Non avete armi . » Mi guarda con un ' espressione tranquilla , rassegnata . Non riuscirò a scordarmi quello sguardo . Ordina di farci vedere l ' arsenale , che è modesto . Ci mettono davanti agli occhi , oltre agli Enfield 303 , i kalashnikov AK-47 , un rocket projector RPG-7 , una mitragliatrice Guru , una LMG cecoslovacca , dei fucili G 3 tedeschi , un fucile russo della Seconda guerra mondiale . « È molto poco » ammette l ' ingegnere , « abbiamo bisogno di missili per abbattere gli elicotteri , i gunships MI-24 . Ma per il resto , andiamo bene . Sul piano della guerriglia , i russi non ci possono battere . Noi conosciamo il terreno , sappiamo da dove sparare . Ieri , Bismilha ha stecchito tre russi ma quelli non sono neanche riusciti a scoprire da dove venivano i colpi . È solo questo il nostro vantaggio . Ogni sera attacchiamo Jalalabad da un punto diverso . La sola cosa certa , da parte loro , è che noi , a una certa ora , apriamo il fuoco . I russi mettono davanti i soldati afghani e sono quelli i primi a crepare . Quanti siamo ? Non è possibile fare un conto . Varia da sera a sera . Ma ti posso dire che non gli diamo requie . I mujaidin calano giù da tutte le parti , da Mirzayan , da Charbagh , da Saidane - Poladi e da Haji Sahiban , da Koshkak e da Balabagh , solo per parlare del distretto di Sorkhroad : e poi , naturalmente , da Cherperhar e da Cama . » È un bel cielo d ' aprile , quello che vedo sopra Jalalabad . Sono molto vicino al ponte dove , la sera prima , sono stati falciati i russi . Gli elicotteri sovietici passano e ripassano sopra la campagna e scompaiono oltre , nella valle di Khunar . L ' ingegnere dice : « È troppo pericoloso attaccare adesso : aspettiamo stasera . Di giorno , se spari , ti vengono addosso jet ed elicotteri e non hai scampo » . Ma poi qualcosa cambia . Ed è l ' ingegnere che arriva trafelato e dice : « Attacchiamo adesso : ma vi prego andate via , non vogliamo che vi succeda qualcosa » . Peter ed io siamo in un campo di frumento e vedo l ' ingegnere e Bismilha correre piegati in due lungo l ' argine e poi farsi inghiottire dal verde . Subito dopo , un carro armato russo appare sulla sponda del fiume , dalla parte dei mujaidin : e poi un altro , con la stessa minacciosa musica , e poi tre Carriers . Peter inquadra il primo carro armato , un T 62 : « Cristo » dice , « che bella bestia » . Dal verde alla nostra destra partono i primi colpi . Bismilha è allergico ai tank sovietici e così l ' ingegnere . Sono passate da poco le undici e i mujaidin hanno deciso che l ' Armata Rossa non debba profanare oltre , coi cingoli , la terra sacra di Ningrahar . Né l ' ingegnere né Bismilha hanno avuto il tempo di chiedere l ' autorizzazione a Mawli Khalés , ma sanno molto bene che Mawli Khalés farebbe la stessa cosa . E dai cespugli dove sono rintanati partono altre scariche . Ora , lungo l ' argine del Sorkhroad , procedono lentamente - forse con l ' obiettivo d ' un accerchiamento - due T-62 e tre APC : che cominciano a rispondere al fuoco coi cannoni di 75 mm. Non è ancora l ' inferno , ma questa media temperatura bellica non impedisce a una donna di continuare a sciacquare e risciacquare i suoi panni nel torrente e ai contadini di zappare la terra . Cannonate e raffiche di mitraglia passano sopra questi bellissimi campi di frumento e cipolle e papaveri bianchi e ciclamini da cui esce , distillata , la felicità dell ' oppio . È passato da poco mezzogiorno quando Bismilha e un ragazzotto di neanche diciott ' anni spingono fuori dalla macchia , sull ' argine , tre uomini , percuotendoli coi calci dei fucili . Uno avrà trent ' anni , l ' altro quaranta , il terzo , molto vecchio e fragile , è sulla settantina . Gli sono molto vicino e credo di poter dire da che strana luce sono attraversati gli occhi , quando sei preso dal terrore . Il mujaidin di scorta continua a picchiarli e altri , che li incrociano sul cammino , aggiungono la loro dose di percosse , calciandoli in faccia , alle gambe , ai testicoli . Il vecchio è il più pestato . Uno lo fa stramazzare vibrandogli il fucile sulla schiena con un fendente che avrebbe ucciso un mulo , ma lui riemerge dalla caduta senza un lamento , senza gemiti , la faccia di un antico gufo che è da tempo morto e non appartiene più a questa terra . I tre afghani erano su un bulldozer che i carri armati russi scortavano da qualche parte per lavori di sterramento : sorpresi e terrorizzati dalla sparatoria , si son dati alla fuga scegliendo - nella paura - l ' itinerario sbagliato : ed eccoteli capitare , in pochi minuti , davanti ai fucili dell ' ingegnere e di Bismilha . Li hanno portati dal giudice . Il giudice è un tipo robusto con una faccia larga e una barba coranica , ha occhi color mandorla , vivaci , ironici e crudeli , lo chiamano anche Kissinger per via di una sua certa avventurosa politica estera e sostiene di dovermi proteggere a tutti i costi « perché » dice « tu hai faccia da russo ( " rusj rusj " ) e se capiti in mezzo proprio non darei una lira per i tuoi coglioni » . « Rusj rusj » mi dice il giudice , « tu non vuoi morire a Jalalabad . » Io gli dico di no , anche se è bella , c ' ero stato in gennaio e il collega Bernardo Valli , che pure ha tanto peregrinato , sosteneva che un profumo simile non lo aveva mai respirato da nessun ' altra parte . Quando i tre gli arrivano davanti , il giudice li abbraccia : miei cari fratelli islamici , dice . Ma poi il mujaidin di scorta lo informa che sono « collaborazionisti » , grandi figli di troia fottuti e venduti , e il giudice allora fa scendere dall ' alto la sua mano non più benedicente , un colpo di maglio che quasi gli stacca la testa . Li mettono in una specie di stalla . Nessuno dei tre parla . Forse gli hanno già detto che devono morire . Guardo il vecchio . Ha due crateri secchi nelle guance , la bocca senza labbra cucita sulle gengive amare . L ' uomo di mezza età getta un ' occhiata indifferente - certo senza astio - ai fotoreporters che stanno indagando nella sua disperazione . Il più giovane sembra assente . Il comandante gli dice : « Hai dei bei sandali , sono molto più belli dei miei . Sai che ti dico ? Facciamo un cambio : a te non servono più » . Il comandante Mokhlis butta lontano le sue ciabatte sdrucite e calza i sandali del condannato a morte . Fa due o tre passi per provarle . « Belle calzature eh ? » L ' uomo si guarda i piedi nudi . Nei campi , i mujaidin combattono fin a tarda sera . Il giudice si fa passare sotto le narici dei fiori di campo e poi dice : « Domani finito » . Fa anche capire , con un gesto , che i tre non hanno scampo . Alle quattro del pomeriggio arriva la notizia che Mawli Bismilha è morto . Il ragazzo che porta la notizia ha del sangue sulla camicia . Non piange , ma gli costa fatica . « A che ora è morto ? » gli chiedono . « Un ' ora fa » è la risposta . « L ' hai visto ? » « L ' ho visto . » Vai a capirli , questi mujaidin . Bismilha è morto , l ' ingegnere continua a sparare sui carri armati col cadavere vicino e dai campi di frumento che sono lì a cento metri senti i guerriglieri che tra una fucilata e l ' altra invocano Allah , mentre i carri armati sovietici , non ancora annichiliti , vomitano sui campi il fuoco della 75 mm. È un grido di disperati , un grido che fa paura . Allah Akbar , Allah è grande . La battaglia di Jalalabad è finita senza vinti né vincitori . Ma il giorno dopo i russi son passati alle punizioni e l ' artiglieria di terra e gli elicotteri hanno martoriato per ore Sorkhroad . È sera , ormai , quando il giudice decide di trasferire i prigionieri in zona più tranquilla . Una trasferta di oltre quattro ore . La battaglia continua sulla piana mentre noi scappiamo . Mi dicono che i russi stanno tentando una manovra di accerchiamento e non sarebbe prudente farsi trovare . Quando arriviamo sul fiume , è l ' ora della preghiera . Una luce violetta avvolge le montagne . I tre chiedono di poter pregare e gli viene concesso . Li slegano , quelli si inginocchiano e forse non vedrai più mai nella tua vita una preghiera così fervida , così disperata e così intensa . Viene da piangere . Ma forse - pensiamo - c ' è speranza : li hanno lasciati pregare , potrebbero salvarli . Invece no . Li hanno portati in una cava di ghiaia , a Fathiabad , tre buone ore di marcia da Diwalid . Ed è qui che li rivediamo , sempre legati e pronti a morire . Nessuno è in grado di venirci incontro . Nessun interprete che sappia tradurre . Dei tre non sappiamo né il nome né l ' età né perché si son messi coi russi . Ma non ha importanza . Una cosa ci sembra di aver capito . Ed è che erano tre poveri diavoli di contadini , senza la minima possibilità di traviamento da parte di una filosofia estranea e ( per loro ) lunare come il marxismo e che se erano capitati sui bulldozer « russi » lo avevano fatto soltanto per sbarcare il lunario e per quell ' antica irresistibile ragione che è la fame . Sono le dieci del mattino quando entriamo nella cava di Fathiabad . I due più giovani sono ammanettati insieme da una striscia di stoffa celeste ; il vecchio è solo . Li spingono dietro , dove c ' è una specie di cunetta che sarà la loro fossa . L ' intero villaggio s ' è radunato per la cerimonia ma il giudice li tiene lontano . Non c ' è plotone d ' esecuzione vero e proprio , i tre non vengono messi al muro . Due mujaidin hanno l ' incombenza . Il primo colpo è per il vecchio che cade sulle ginocchia , schiantato , e poi si rovescia sul fianco , cadendo nella cunetta , la bocca e gli occhi pieni di sangue . Poi vanno giù gli altri due : il più giovane ha la schiena sfasciata e da un buco esce della materia . L ' uomo di mezzo ha molto pregato prima di morire . Gli ero molto vicino e ho sentito che ripeteva continuamente Allah , Allah , Allah . Il secondo e ultimo colpo gli ha traforato il cranio . Ma non è tutto finito qui . Qualcuno non è soddisfatto , l ' esecuzione non gli è bastata . Ed ecco che tira fuori dai cenci un coltello e comincia a infierire contro i cadaveri , aprendo altri squarci . Il vecchio ha la gola recisa . Mi vedo attorno bambini di nove , dieci anni colti da macabra esultanza che sputano sui morti , giocando a chi centra meglio . Fathiabad era il villaggio di Mawlí Bismilha . Lo hanno portato al cimitero sul suo letto di paglia , sotto una coperta verde . Hanno rimosso la coperta per farmelo vedere . Ha quei suoi dentoni appoggiati sul labbro inferiore e un buchetto nero in mezzo alla fronte . Sua madre non piange , suo fratello non piange . C ' è solo un ragazzo che piange . Se ho ben capito , dice che Mawli gli ha insegnato a sparare .
StampaQuotidiana ,
HAMMAMET ( Tunisia ) . Bettino sta male , Bettino soffre per i postumi di un infarto , Bettino e ' in clinica a Tunisi : tornera ' , forse ; parlera ' , forse . Dopo una settimana di inutile caccia al fantasma , dopo un certificato medico spedito via fax dalla sua villa tra aranceti e fichi d ' India , dopo le voci , i sospetti e il tam tam di Radio Medina che lo voleva nascosto e sicuro nel rifugio dalla " porta celeste " di una casa anonima tra i vicoli della citta ' vecchia , eccolo di nuovo Bettino : non e ' fuggito ne ' sembra intenzionato a farlo . Sta solo male , deve curarsi , anzi si sta gia ' curando . E il passaporto da riconsegnare ? Tempo , la salute prima di tutto . Poi si vedra ' . La Land Cruiser accosta a destra sulla Rue de la Gare . L ' autista frena . In una nuvola di polvere lo sportello si apre . Anna Craxi , in camicia di seta a fiori arancioni e rossi e fuso ' neri ci viene incontro , sorride . Cortese , come sempre : " Io sono cosi ' , e ' il mio carattere ... " . Abbiamo saputo che suo marito non sta bene . " Eh , infatti . Non sta proprio bene . Non ve lo volevo dire , sapete , ma e ' in clinica a Tunisi . Deve fare dei controlli " . Perche ' , che cos ' ha ? " Beh , aveva gia ' avuto un infarto di cui non s ' era accorto " . Quando era stato male , qualche anno fa ? " No , prima . Un po ' di tempo prima " . Infarto asintomatico ? " Si ' " . E i medici l ' hanno scoperto quando e ' stato male , dopo . " Si ' . Poi da due anni , con tutto quello che gli e ' successo , capirete lo stato d ' animo , lo stress . Anzi , devo dire che io temevo si deprimesse . Invece , per fortuna , e ' sempre un leone " . Signora Craxi , vede , il fatto e ' che i magistrati italiani aspettavano suo marito e sembra che si stiano innervosendo . " Beh , pero ' io non capisco questa cosa . Allora e ' proprio vero che e ' una persecuzione . E insomma , dico : o tutti dentro o tutti fuori ... E comunque , non e ' detto che non ritorni . Certo , fosse per me , io non tornerei . Io gli direi di non tornare . Pero ' lui deve ancora decidere . Non e ' detto " . Dove si fa curare ? " Questa mattina e ' andato in clinica a fare delle analisi . Ne aveva gia ' fatte a Parigi ma sapete com ' e ' lui : non e ' uno che , uno che sta a dieta , segue i consigli . E allora gli hanno rifatto i controlli e hanno trovato valori alti : la glicemia e il resto . Le cartelle e le analisi non sono buone . Anche se , per fortuna , lui e ' sempre di buon umore " . Se ne occupano dei medici del posto ? " Si ' , a Tunisi Bettino ha un sacco di amici medici . Sono di scuola francese , ottimi specialisti " . Dunque , il Leone e ' riapparso . E con lui , i segni distintivi del potere e del rispetto che da vent ' anni e piu ' ne confermano la presenza in terra d ' Africa . Intanto c ' e ' il soldato alla porta della villa . Anzi , due . Il primo ha la tuta verde oliva e la faccia da bravo ragazzo di campagna . Ti viene incontro , chiede i documenti , li porta dentro . Il secondo e ' in divisa , la pistola al cinturone e i documenti te li rimette in mano : " Vous ne revien pas ici , capito ? Mai piu ' " . Il piccoletto che fa la guardia a casa Craxi e invece della divisa sfoggia i rayban e un ghigno alla tonton macoute , se la gode soddisfatto : " E se tornate ici , nous vous agrediron ... " . Ma intanto Radio Medina , la radio delle voci di Hammamet , si e ' tutta sintonizzata occhi e orecchie sul ritorno del Leone : del Rais italiano amico personale del Rais tunisino , il presidente Ben Ali ' . E ne protegge con discrezione spostamenti , abitudini , capricci . Non si tratta pur sempre di un vecchio , fedele amico del popolo arabo , ancora potente anche se un po ' acciaccato in salute e nel prestigio ? Poi questi giornalisti che vogliono ? Dare la caccia a Craxi , nel suo stesso territorio , e ' cosa a volte anche rischiosa . Ti si avvicinano una quantita ' di nemici ( falsi ) e amici ( falsi ) . Ti soffiano le piste piu ' improbabili . Sanno dell ' amicizia tra il Leone e Berlusconi . Ti giurano che si ' , lui ( Berlusconi ) era venuto a trovarlo anche l ' estate scorsa e che Hammamet gli era piaciuta tanto da comprarci quasi una villa . Ti spiegano che l ' amicizia con Ben Ali ' e ' tale da allontanare ogni possibilita ' concreta di estradizione . Poi tu gli chiedi : va bene , ma Craxi dov ' e ' ? E loro , a mezza bocca , ti fanno il nome di questo Karim , che ha un negozio di fiori e fa anche l ' ingegnere . Abita sulla strada per Sousse , dopo il semaforo , dove parte una pista che passa sotto l ' autostrada per Tunisi . Ed e ' vero , Karim abita li ' e si fa pure trovare . Jeans e camicia , barba incolta , l ' occhio astuto di chi annusa e pesa la gente a distanza . Quando gli domandi di Craxi risponde : " E allora ? Rivolgetevi a lui " . Ma lei forse ci puo ' aiutare . " Forse . Mi dia il suo nome . Se lo vedo glielo dico " . Karim Ben Sheida vive circondato dai fiori . Per una settimana Radio Medina ha fatto rimbalzare la voce che Craxi si fosse rifugiato nella sua villa . Tu gli parli e lui ascolta in silenzio , come un confessore , sgranando quel rosario che gli arabi passano tra pollice e indice da Tangeri all ' Eufrate . Sull ' amico Bettino non sgancia una notizia . E quando lo saluti , monta sulla sua Mercedes e ritorna in citta ' . Amici . Come Manken , che in una viuzza davanti al distributore della Mobil ha messo su una pensione e un ristorante di pesce . La pensione l ' ha chiamata " Milano " , il ristorante " La Scala " . Sui muri ha appeso le foto ( piccoline ) di Pavarotti e Giuseppe Verdi , una litografia di Bettino col garofano ( " notre ami italien " ) , una litografia di Garibaldi , una gigantografia di Ben Ali ' ( " notre ami president " ) . Bettino viene qui a mangiare gli spaghetti alle vongole e la spigola . " Uomo semplice , come tutti gli italiani semplici " , fa Manken . E da quanto non si fa vedere ? " Tre settimane ? Due ? Mah " . Gli amici . Le voci . Poi anche i fatti . Il consigliere De Luca , al telefono dall ' ambasciata di Tunisi , spiega che sulla faccenda sa poco : " L ' ambasciatore rientra stasera e ha detto che se ne vuole occupare lui personalmente " . L ' ambasciatore si chiama Caruso , era il consigliere diplomatico di Claudio Martelli . De Luca e ' cortese ma non ha molto da aggiungere . Una curiosita ' : ci sono gia ' in circolazione gli agenti dell ' Interpol ? " Non qui in ambasciata . E comunque , se fossero gia ' qui a Tunisi dovrebbero passare da noi . Fuori dall ' Europa , questa e ' la prassi " . Cosi ' , non resta che attendere le prossime mosse di Bettino , il Leone . Nel certificato firmato dal medico tunisino c ' e ' scritto che rientrera ' in Italia " compatibilmente con le sue condizioni di salute " . Inchallah , dicono gli arabi . Intanto da Milano l ' avvocato Lo Giudice . facendo riferimento a gravi problemi di salute . assicura che " non appena sara ' in grado di farlo , Craxi si presentera ' " . Grigo e Ghitti , che finora non hanno ricevuto richieste dal pool per ulteriori provvedimenti restrittivi , esaminano le convenzioni con la Tunisia nel caso dovesse rendersi necessaria l ' estradizione .
Buscetta, la piuma e il piombo ( Sciascia Leonardo , 1986 )
StampaQuotidiana ,
Buscetta parla con voce ferma , pacata . Quale che sia la domanda che gli si rivolge , non si innervosisce , a momenti sembra anzi divertirsene . Come quando l ' avvocato di Greco gli domanda se ricorda di essere stato arrestato dalla Guardia di finanza , il tale anno , il tale giorno , nelle acque di Crotone . Che cosa vuol dire « nelle acque » ? domanda Buscetta : a mollo , sul bagnasciuga , su una barca ? E poi - chiarito il senso della domanda - risponde che non nelle acque di Crotone era stato quel giorno arrestato , ma sulla terraferma di Taranto . Si sarà benissimo accorto , in questi giorni , di aver perduto la benevolenza della stampa : ma non sembra darsene pensiero . E ' presumibile che sia soltanto impaziente di liberarsi dell ' incombenza che il processo di Palermo gli assegna e di tornarsene negli Stati Uniti dove , esaurito il suo ruolo di testimone d ' accusa , spera di avere - con altro nome e altro volto - una sicura cittadinanza . Benissimo sa pure che gli basterebbe fare il nome di un uomo politico , magari di un solo uomo politico , e preferibilmente democristiano , per riguadagnare al doppio il favore della stampa . Ma non lo fa . Anzi : se , quando il giudice gli domanda il nome dell ' uomo politico che lui aveva detto di avere incontrato nell ' atrio di un albergo romano insieme a Nino Salvo , risponde di non ricordare , alla stessa domanda fatta da un avvocato di parte civile risponde di non ricordare nemmeno l ' incontro . E così la parte civile contribuisce a destituire di credibilità la testimonianza di Buscetta , che è l ' operazione cui prevalentemente si dedicano gli avvocati della difesa . Dovrebbe esser chiaro a tutti coloro che agiscono in questo processo che tutto quello che era possibile spremere da Buscetta si trova negli atti istruttori : e per ragioni comprensibilissime , considerando la situazione ambientale e psicologica di un imputato o testimonio di fronte a un solo giudice ; del tutto diversa da quella in cui viene a trovarsi nel processo dibattimentale . E non parliamo poi di quel che è sempre accaduto nei processi dibattimentali che hanno a che fare con la mafia , in cui regolarmente , tipicamente , le dichiarazioni rese in istruttoria subiscono una riduzione o negazione . Sperare che Buscetta dica qualcosa di più è alquanto insensato . Se mai , qualcosa di meno : come di fatto accade . Invece di ironizzare sul « cantare » di Buscetta e sulle sue « stecche » la stampa dovrebbe fare un po ' di autocritica sul fatto di aver creduto e di aver fatto credere che Buscetta fosse l ' angelo sterminatore incombente sull ' intera mafia siciliana e internazionale . Buscetta è semplicemente un uomo che ha visto intorno a sé cadere familiari ed amici , che sente in pericolo la sua vita , e vuole dalla parte della legge trovare vendetta e riparo . Con tutto quel che la stessa stampa gli propina sui letali pericoli che chi parla o è sul punto di parlare corre in Italia , e persino nelle carceri di massima sicurezza , è umanamente spiegabile che Buscetta tenda a non moltiplicare il numero dei suoi nemici , e specialmente di quei nemici che ancora « possono » . Che poi dai suoi ospiti americani abbia avuto ammonizione a non far nomi di politici italiani , ipotesi che si sente aleggiare tra coloro che seguono attivamente questo processo , è anche possibile : benché viene da pensare che almeno un nome , uno solo , in questo momento avrebbe fatto gioco a certa insofferenza della polizia americana nei riguardi dell ' Italia . Peraltro , la mentalità di Buscetta è perfettamente mafiosa : la sua alleanza con la legge non l ' ha per nulla scalfita . Dalla parte della legge continua a fare quel che avrebbe fatto dentro una « famiglia » ancora capace di far qualcosa : restituisce i colpi ricevuti , si vendica . Ed è appunto perciò credibile in quel che rivela . Nella misura , insomma , per cui è incredibile non sappia certe altre cose è credibile conosca bene e colpisca giusto nelle cose che afferma . Giustamente si dice « dissociato » e non « pentito » . Non è pentito di aver fatto parte della mafia , ne coltiva anzi l ' ideologia , la nobiltà : della mafia , s ' intende , di una volta . Che cosa poi fosse la mafia di una volta , non si capisce bene . Non ammazzava giudici e carabinieri , non produceva e commerciava droga : va bene . Ma omicidi , taglieggiamenti , usurpazioni e soprusi indubbiamente ne faceva . E c ' è una impagabile battuta di Buscetta , in risposta all ' avvocato che gli domanda di Sindona e di quel che era venuto a fare in Sicilia . Vale la pena trascrivere l ' intera sequenza : Avvocato Maffei : « Si ricorda per quali canali avvenne l ' incontro tra Sindona e i suoi amici Bontade e Inzerillo ? » . Buscetta : « Non ne parlammo mai ... Bontade mi disse che Sindona era solo un pazzo ... Non c ' era niente da parlare » . Avvocato Maffei : « Ma Sindona parlò di una rivoluzione . Bontade non era preoccupato di essere custode di simili segreti ? » . Buscetta ( ridendo ) : « I segreti di Sindona ! Erano una piuma , in confronto ai segreti che aveva Bontade » . Una piuma , i segreti di Sindona . Si può immaginare dì qual piombo fossero i segreti della vecchia , buona , nobile mafia , che Bontade custodiva .
Una cultura antimafia ( Sciascia Leonardo , 1987 )
StampaQuotidiana ,
Il comunicato del cosiddetto Coordinamento antimafia è la dimostrazione esatta che sulla lotta alla mafia va fondandosi o si è addirittura fondato un potere che non consente dubbio , dissenso , critica . Proprio come se fossimo all ' anno 1927 . Nel mio articolo di sabato 10 gennaio , c ' era in effetti soltanto un richiamo alle regole , alle leggi dello stato , alla Costituzione della repubblica : e questo cosiddetto Coordinamento - frangia fanatica e stupida di quel costituendo o costituito potere - risponde con una violenza che rende più che attendibili le mie preoccupazioni , la mia denuncia . Ne sono soddisfatto : si sono consegnati all ' opinione di chi sa avere un ' opinione , nella loro vera immagine . Ed è chiaro che non da loro né da chi sta dietro a loro - e ne è riconoscibile ( si dice per dire ) lo stile - verrà una radicale lotta alla mafia . Loro sono affezionati alla " tensione " , e si preoccupano che non cada . Ma le " tensioni " sono appunto destinate a cadere : e specialmente quando obbediscono a giochi di fazione e mirano al conseguimento di un potere . In quanto al dottor Borsellino , non ho messo in discussione la sua competenza , che magari può essere oggetto di discussione per i suoi colleghi ; sono le modalità della suanomina che mi sono apparse e mi appaiono preoccupanti . Ed è proprio nella sentenza di un processo che mi pare sia stato appunto istruito dal dottor Borsellino , sentenza pronunciata dalla corte d ' assise di Palermo , seconda sezione , íl 10 novembre dell ' anno scorso , che trovo la migliore ragione , perché non ci si acquieti agli intendimenti del cosiddetto Coordinamento . Una sentenza che ha mandato assolti gli imputati e in cui ad un certo punto si legge : " Non può essere consentito al giudice lo stravolgimento delle regole probatorie da applicare solo ai processi di mafia ; necessita sempre un serio e rigoroso controllo di tutti gli elementi del reato : le prove devono assumere carattere di certezza e gli indizi devono essere concordanti ed univoci ; non c ' è ingresso nel processo penale ai semplici sospetti e alle generiche opinioni . La lotta concreta al crimine potrà essere fatta solo con la seria utilizzazione degli strumenti normativi " . Parole che credo nessuna persona onesta e intelligente rifiuterebbe di sottoscrivere .
Il pettegolezzo era una cosa seria ( Eco Umberto , 1995 )
StampaPeriodica ,
Si è svolto le settimane scorse a Urbino , nell ' ambito dei consueti simposi estivi di semiotica , un convegno sul pettegolezzo . Ne raccoglieva notizia anche Beniamino Placido su la Repubblica di domenica 23 luglio , con alcune riflessioni sulle quali tornerò alla fine . Quanto sto per dire mi è venuto alla mente discutendo le relazioni di Isabella Pezzini , Maria Pia Pozzato e Giampaolo Caprettini , e ascoltando gli interventi di Paolo Fabbri , Siri Nergaard e altri . Non ricordo più chi abbia detto cosa , ma il bello dei convegni è che alla fine ti ritrovi con qualche idea in testa in più , e la paternità è dubbia . Si era parlato del pettegolezzo televisivo , a cui sono dedicate specifiche trasmissioni , e in cui si trascina qualcuno a fare confessioni sulla propria vita privata . Ora , il pettegolezzo classico , quello che si fa nel villaggio , in portineria o all ' osteria , è ( era ? ) un elemento di coesione sociale . Non si spettegola mai dicendo di qualcuno che è sano , fortunato e felice ; si spettegola su un difetto , un errore , una sfortuna altrui . Così facendo gli spettegolanti in qualche modo partecipano alle sventure degli spettegolati ( il pettegolezzo non implica sempre disprezzo , può indurre anche a compassione ) . Però esso funziona se gli spettegolati non sono presenti ( altrimenti sarebbe solo aggressione ) e non sanno di essere spettegolati ( o possono salvar la faccia facendo finta di non saperlo ) . Questo dà un senso di potere agli spettegolanti ( " noi sappiamo ma tu non sai che sappiamo " ) , i quali debbono essere convinti di possedere un segreto , e felici di possederlo in compagnia di molti . Quando lo spettegolato mostra di sapere , di solito avviene la piazzata ( " brutta linguaccia , so che vai a dire in giro che ... " ) . Avvenuta la piazzata , la voce è pubblica . Chi fa la piazzata , nel momento in cui ha reagito pubblicamente , ha ratificato il pettegolezzo , anche se era falso . Quindi non c ' è più nulla su cui spettegolare . Nel pettegolezzo televisivo , invece , non si parla mai male di qualcuno che non c ' è , perché sarebbe penalmente perseguibile , e perché lo spettacolo ha sapore solo se è la vittima che spettegola di sé , parlando delle proprie vicende intime . Gli spettegolati sono i primi a sapere , e tutti sanno che essi lo sanno . Non sono vittime di alcuna mormorazione . Non c ' è alcun gusto sussurrarsi il giorno dopo " hai sentito che il Tale ha ammesso ieri in Tv di essere cornuto ? " Non c ' è più segreto . In secondo luogo non si può infierire sugli spettegolati ( hanno avuto il coraggio di ammettere ) ma neppure commiserarli ( dalla confessione hanno tratto un vantaggio invidiabile , la pubblica esposizione ) . Il bello del pettegolezzo classico era che , sino a che lo spettegolato non si tradiva con la piazzata , la mormorazione poteva continuare senza limite . La comare , su un adulterio altrui , poteva campare per anni . Lo spettatore televisivo , invece , dopo che il Tale ha confessato , non ha più nulla da sapere . E infatti alla prossima puntata del programma occorrerà che qualcun altro cominci di nuovo , autospettegolandosi . Così ogni giorno c ' è un pettegolezzo nuovo , che muore appena reso pubblico , e i pettegolezzi precedenti si sono ormai autodistrutti . La Tv ha ucciso il pettegolezzo , che pure aveva importanti funzioni sociali . Placido , riprendendo Blackmur , suggeriva che il mito fosse un pettegolezzo stagionato . Probabilmente i miti sono nati come pettegolezzi , perché servivano a familiarizzarci con gli dei , compiangendone o condannandone miserie e magagne ( varrà la pena di osservare che le religioni monoteistiche non consentono il pettegolezzo , che al massimo diventa atto blasfemo , falso e bugiardo ) . Dovremmo dire che il mito , essendo racconto pubblico , non avrebbe dovuto dare agli spettegolanti il gusto di possedere alcun segreto . Ma forse il poeta tragico era colui che metteva gli spettatori nello stato d ' animo di chi ascolta un segreto per la prima volta , e ciascuno si sentiva spaventosamente e gloriosamente solo sulle gradinate affollate dell ' anfiteatro . E questo deve avere a che fare in qualche modo con la catarsi , anche se non mi azzardo a proporne nuove interpretazioni . Dovremo dire allora che il cosiddetto pettegolezzo televisivo - se pure non è pettegolezzo - ha qualcosa a che vedere con il mito ? Credo proprio di no . Il mito prende un essere divino , superiore a noi e , spettegolandone , ci dice che in fondo è per molti versi uguale a noi . La trasmissione televisiva prende un essere uguale a noi e , spettegolandone , ci dice che proprio per questo dovremmo considerarlo una divinità . Non escludo che qualche spettatore sottosviluppato possa confondere queste due dinamiche . Ma forse la memoria di Venere , che tradisce Vulcano , ha la possibilità di durare più a lungo di quella dell ' ultimo autolesionista visto sullo schermo .
Il clandestino ( Lerner Gad , 1986 )
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Chiedo scusa al lettore , ma per una volta devo cominciare parlando di me . Sono nato a Beirut ( da una famiglia ebraica ) e , benché risieda in Italia fin dalla più tenera infanzia , il nome straniero accompagnato sui documenti d ' identità all ' indicazione di quella città insanguinata procura immancabilmente - quando io li debba mostrare ad un qualche controllo - istintivi sospetti , soste prolungate , accurate ispezioni . Per una volta , dunque , ho utilizzato il mio nome e il mio scomodo luogo di nascita a un utile scopo : percorrere l ' Italia ( Razzista ? Spaventata ? Generosa ? Ospitale ? ) lungo l ' itinerario tipico di un immigrato clandestino , con la barba lunga ed un abbigliamento adatto . È una striscia di mare da niente , solo 138 chilometri , ma divide il Sud dal Nord del mondo , e attraversarla dalla Tunisia alla Sicilia è un po ' come passare il Rio Grande a El Paso , dal Messico al Texas . Fra qualche settimana Roma imporrà il visto - e allora bisognerà pagare caro i pescherecci disponibili al trasbordo clandestino - ma per ora lo sbarco a Trapani o a Palermo richiede in tutto poco meno di cinquantamila lire per il biglietto . Basta un ' occhiata veloce al registro dei ricercati e degli indesiderabili , poi il timbro d ' ingresso arriva puntuale sull ' ennesimo passaporto tunisino , algerino , marocchino . Molti marocchini da Trapani prenderanno il pullman per Palermo , sperando di trovare un letto al loro solito albergo Diana di via Roma e ritirando subito i primi accendini , orologi , tappeti dai grossisti di via Bandiera , quelli che in pegno ti chiedono il passaporto . Quasi tutti i tunisini , invece , cercheranno di rendere meno brusco il trapasso andando col treno a far sosta nella loro colonia di Mazara del Vallo . Li seguo . Penetro le viuzze dietro al porto dei pescherecci e incontro suor Margherita Fortuna , una fiorentina che si sforza di aiutare gli stranieri clandestini almeno quando sono vecchi o malati . « Sorella , non c ' è un centro di prima accoglienza , un dormitorio ? » « Non c ' è niente , bisogna arrangiarsi con l ' ospitalità degli altri cinquemila tunisini già entrati nelle case abbandonate o affittate dagli italiani . » « Neanche una pensione ? » « Una volta a chi arrivava qui senza parenti , consigliavo le camere di una signora , in fondo a via Giotto . Ma poi ci ho litigato , ammucchiava la gente come bestie su due piani abusivi senza vetri e senza porte , gli diceva di procurarsi da sé brandine e pagliericci e per giunta si lamentava che erano sporchi e le distruggevano la casa . » Vado in via Giotto la sera di lunedì 13 gennaio e trovo uno stabile piuttosto nuovo , anonimo , senza insegne , lontano dalle case fatiscenti e terremotate della vecchia casbah . Sotto il portone due ragazzi arabi mi confermano che lì si fa pensione e che la proprietaria è una vedova energica e robusta , la signora Roccafiorita . Con me non perde tempo : « Via , via , di questi tempi non ci si può fidare , qui siamo tutti parenti , prendo solo gente conosciuta » . Il giorno dopo , quando riuscirò a entrarci grazie ai buoni uffici di un vecchio residente , troveranno conferma le peggiori descrizioni della suora , e la vedova mostrerà con disappunto l ' ultimo piano diroccato che ora tiene vuoto , ma che vorrebbe affittare ad una famiglia tunisina con donne al seguito : « Gli uomini soli bevono , litigano , si picchiano e sfasciano tutto » . Intanto lo spilungone dall ' aria molto derelitta e dalla pelle molto scura che mi riaccompagna verso il molo giura che quella lì è un ' ottima pensione , quasi di lusso , roba da diecimila lire a notte , secondo lui . In quanti per stanza ? Cinque o sei , ma solo di nazionalità tunisina . È gentile , per consolarmi mi offre di andare a dormire nella sua stanza dietro al porto , ma - lo confesso - sono impedito dal suo indelebile , nauseabondo odore di stiva di peschereccio , là dove forse si sbudellano i pesci da surgelare . Se anche questo è razzismo , ne sarò subito punito : per sbaglio una donna mi rovescia addosso sul molo l ' acqua in cui stavano a bagno i suoi pesci morti . Ora la mia somiglianza con gli immigrati è ancora più completa . Martedì sera , 14 gennaio , il circolo dei biliardini è stranamente meno affollato del solito . « Molti ragazzi preferiscono non rischiare . Sanno che la nave per Tunisi parte il mercoledì , e dunque se la polizia ha l ' ordine di espellere un po ' di gente viene qui a fare la retata una sera prima » mi spiegano . Mohamed Bazine , il gestore , si fa chiamare Roberto e mi dà buoni consigli . Evitare l ' inutile passeggio lungo il molo perché tanto sui 400 pescherecci trovano lavoro solo i più robusti e sperimentati . Meglio provare a vendersi la mattina presto di fronte al tabaccaio di Porta Palermo oppure sulla piazza di Campobello per una giornata di lavoro in campagna , anche se non è la stagione migliore . A meno che uno abbia la forza di andare a tagliare e caricare « cantuni » , cioè massi di tufo , nelle « perriere » , le cave tra Marsala e Mazara ( « quelli sono come gli schiavi » mi aveva però avvertito suor Margherita , pensando agli stranieri che poi si fermano a dormire lì di fianco alle cave , nelle grotte o nei ruderi di muratura ) . « Schiavi ? Perché offenderli ? » si inquieta Roberto . « Nessuna vita è schifosa , se uno se la sceglie , e loro , soli , senza famiglia , scelgono di risparmiare . Dormono sulla paglia , è vero , col tetto aperto , ma hanno le coperte e quindi non soffrono il freddo . » L ' indomani un nuovo amico , Habib , mi accompagnerà a Santo Padre delle perriere , dove la terra è piena di buchi come una gruviera . I neri , sotto l ' occhio vigile dei loro padroncini , ne scavano le pareti con la sega elettrica fino a tagliare dei « cantuni » da costruzione perfettamente regolari . Poi bisogna sollevarli con delicatezza uno a uno ( pesano decine di chili ) , levigarli e caricarli a mano . Si lavora dieci ore al giorno , si possono guadagnare duecentomila lire alla settimana . Il massimo , per uno straniero . Intanto la nostra discussione ha attirato Ayed , un ragazzo dalla pelle chiara , detto Maradona per via della sua pettinatura . Suo cugino è in mare col peschereccio , se voglio per stanotte c ' è un letto libero , all ' ultimo portone di via Guido Cavalcanti . « Gheddafi ? Chiddu non mi piace , chiddu tiniri i fimmine divisi dalli masculi ... » Ayed - Maradona , aiuto - cuoco in un ristorante di Marsala , ha imparato a parlare il dialetto ma non l ' italiano . È un giovanotto fortunato , Ayed . Il suo padrone gli passa 600 mila lire al mese , d ' estate qualche volta lo porta con la Bmw in una discoteca di Trapani , poi lo fa dormire nella cucina del ristorante . In cambio , se arriva l ' ispezione della polizia , Ayed dichiara di essere solo un amico . Abita in una casa di recente costruzione , di quelle mai del tutto completate eppure già degradate . Nessun armadio , pochi indumenti di ricambio appesi al muro . La finestra con il vetro rotto , la lampadina nuda che pende dal soffitto , il vecchio frigorifero arrugginito . Spoglio più ancora di una cella carceraria , è un dormitorio occasionale al punto che Ayed non ha un giaciglio suo abituale , ma sceglie a caso fra le quattro brandine notte per notte . Notti animate da arrivi improvvisi , chiacchiere e risate fino alle ore piccole quando i primi cominciano ad alzarsi per cercare « servizio » . E poi magari il rumore di un sasso lanciato sulla tapparella : allora si sbircia per controllare chi cerca un letto nel cuore della notte e se è una persona sgradita si fa finta che non ci sia nessuno . L ' odore di fogna che viene dalle tubature del cesso impregna tutta la casa . Meglio coricarsi , vestiti e con le coperte fin sulla testa a proteggersi dal freddo . Domattina sveglia alle cinque e mezza per cercare « servizio » . Mercoledì 15 gennaio , prima dell ' alba . Ci si vende sulla piazza di Campobello , la frazione agricola di Mazara , sotto il cartello dell ' Agip , di fianco alla locandina dell ' ennesimo cinema porno oppure di fronte , dove c ' è l ' ingresso della Cassa Rurale . Saremo una ventina , dritti , immobili e silenziosi come prostitute . Sto con alcuni ragazzi che ho visto la sera prima al circolo , hanno tutti l ' alito inacidito dal vino bevuto di prima mattina . Io preferisco il cappuccino , ma quando la padrona del bar Mericaff si accorge che sono un italiano subito si sfoga : « Io ho paura , non se ne può più , se Iddio facesse la grazia di lasciarcene solo qualcuno di quelli bravi , selezionati e si portasse via tutti gli altri ! Questi si ubriacano tutto il tempo , hanno violentato una ragazza » . « Davvero ? Qui a Campobello ? » « No , a Castelvetrano , ma può sempre succedere . Non sono razzista , anch ' io sono emigrata in Svizzera e però lì erano duri , chi sgarrava veniva sbattuto via . » Torno sul marciapiede . Una 131 che ne prende su tre caricherebbe anche me . « Quanto ? » « Ventimila come tutti gli altri , è un lavoro leggero , c ' è solo da potare la vite . » « No , è poco , non mi va » . E gli altri si voltano stupiti di questa rivolta , mentre l ' autista neanche mi risponde e dà un ' accelerata col suo carico umano infreddolito . A chi non ci sta , resta una sola alternativa : salire su un treno ed emigrare ancora più a nord . Ci vogliono più di venti ore di viaggio per arrivare a Roma , capitale dell ' immigrazione clandestina ( con i suoi presunti centomila irregolari ) , città che la strage di Fiumicino ha reso ostile nei confronti di chi ha la pelle nera od olivastra e che comunque non è più da tempo in grado di dare lavoro . Chi , come me , la considera solo una tappa del viaggio verso nord , non può che mantenersi a ridosso di quell ' epicentro della disperazione che è la stazione Termini . Saremo in un centinaio a dover passare la notte , fortunatamente tiepida , alla stazione . Quasi tutti arabi e neri , ricomparsi alla spicciolata nell ' atrio della biglietteria dopo che si è allontanata la speciale roulotte di sorveglianza piazzata lì di fronte dalla polizia . Ma alle ventitré i barboni italiani , sicuri di non venir più disturbati , ed esperti conoscitori di ogni anfratto , hanno già occupato i posti migliori . In via Giolitti , quella dell ' air terminal , hanno trovato degli ottimi cartoni semi - nuovi con su scritto « Fragile » . A vederli si direbbe che lì dentro non c ' è nessuno , non fosse che per un piede che spunta . Sull ' altro lato , invece , in via Marsala , gli ambitissimi balconcini con le grate di aerazione che soffiavano aria calda sono stati da tempo carognescamente bloccati con obliqui coperchi di lamiera , per cui nemmeno un equilibrista ci si potrebbe distendere più . Restano dunque i pur sempre comodi sedili di plastica dell ' atrio , che oltretutto sono al chiuso , su cui accartocciarsi , magari tirandosi sulla testa un maglione a collo alto fino a nasconderla completamente . Di fronte ho una vecchia eritrea senza calze , con i capelli candidi , licenziata l ' anno scorso da colf . Di fianco un ragazzo tunisino che domani vuole continuare il viaggio , non sa neppure bene lui per dove , e quindi trova stupido spendere i soldi per una pensione . Siamo tutti disturbati da un algerino alto e robusto che non smette un attimo di offrirci sigarette , passeggia con la bottiglia in mano , grida in un miscuglio di francese , arabo e italiano , sputa dappertutto . Sarà la nostra colonna sonora molto a lungo . Ma intanto , all ' una meno dieci , i primi appisolamenti sono bruscamente interrotti da un ferroviere che si mette a gridare « Fuori ! » , « Closed » . Così , all ' aperto , ricomincia un brulichio umano disperato . Si tratta di resistere tre ore : alle quattro la stazione riapre . Ma sono le ore della disperazione , è qui che - in caso di freddo e pioggia - si organizzano le comitive per cercare rifugio in qualche vagone . Passeggio per piazza dei Cinquecento , incontro i primi omosessuali che vengono fin sotto la vetrata di Termini , là dove c ' è il posteggio dei taxi , a rimorchiare con sguardi disperati i ragazzi arabi desiderosi di un letto purchessia . Davanti al tabaccaio di turno , urto per sbaglio un tipo grande e grosso : « Sta ' attento , mao mao ! » impreca . Quando un poliziotto sardo delle tante pattuglie che ronzano per la piazza mi ferma e m ' identifica , ricevo la seguente spiegazione : « È ovvio che nella sorveglianza se si deve chiudere un occhio è per il vecchietto italiano che dorme , poverino . Per gli stranieri invece è diverso , con tutti i casini che stanno facendo di questi tempi » . Alle tre siamo quasi tutti accucciati sotto la tettoia , anzi , chissà come , stiamo aumentando di numero . Le grida gutturali dell ' ubriaco non si spengono mai . Lui , un posto per dormire le prossime sere l ' ha trovato poco più tardi , quando , chissà perché , s ' è avventato su uno qualunque dei tanti mucchi di cartone e ha preso a calci in testa un barbone italiano . Le pantere della polizia se lo sono portato via , insieme a un distributore di giornali che farà da testimone e al barbone tutto insanguinato . Ora c ' è più silenzio . L ' ufficio stranieri della questura di Milano per fortuna non richiede le famigerate file dalle cinque del mattino necessarie a Roma . Ma pure in questi giorni vi si coglie il nervosismo tipico dei reparti sotto pressione . Sento protestare nella stanza accanto : « Ma chi è che ci dà certe segnalazioni ? Siamo andati in quattro pantere a piazza Aspromonte per trovarci solo uno jugoslavo e un altro straniero segnato sul registro . Questo è spreco ! » . C ' è chi dice che dopo la strage di Fiumicino le espulsioni di stranieri irregolari sono già state duemila in tutta Italia , di certo solo a Milano si firmano cinquemila fogli di via all ' anno ( ma sono quasi tutti solo dei pezzi di carta : se non viene proprio espulso - a spese dello Stato - lo straniero mica se ne va ) . Si avverte la polemica con la Curia che protegge i clandestini : « Dandogli da dormire anche se sono fuorilegge credono di aiutarli , e invece aiutano chi li sfrutta » . C ' è un fondo di verità anche in questi discorsi poco pietosi : se per strada forse non ho incontrato il razzismo classico dei tedeschi e dei francesi , non ci sarà invece una certa predisposizione allo schiavismo , a far soldi con disinvoltura sulla disperazione altrui ? Me lo chiedo dopo essere sceso con molti altri marocchini dal tram 33 davanti alla SOCOR di via Morgagni , nei pressi della casbah di Porta Venezia . I gestori napoletani buttano a piene mani sul banco orologi , pinze per batterie , calcolatorini , portachiavi sonori , qualche sveglia ... I marocchini scelgono con una cura che appare patetica , visto che poi tanto riusciranno a vendere quasi solo accendini . Dopo che hanno chiuso l ' albergo Nazionale - quello la cui proprietaria sequestrava i passaporti dei debitori - a Sesto San Giovanni mi hanno consigliato l ' alloggio Il Ponte , vicolo Baldanza . Ma il proprietario è secco : « Niente stranieri , non ne prendo più . Mi dispiace , ci saranno anche dei bravi ragazzi , ma litigano e poi danno rogne » . Dice solo una mezza verità , perché lui gli stranieri li ha cacciati , sì , quasi tutti , meno Franco , camera numero 3 . Franco si chiama Busheib Jakini , è un marocchino di Casablanca senza la gamba destra che cammina per Sesto con la sua stampella arrugginita , e che da anni ogni sera gli paga 14 mila lire di pensione . Eppure Franco è anche un fortunato , perché lui ormai ha il suo posto di vendita fisso alla stazione della metropolitana . Vende - anzi , oggi , venerdì 17 gennaio vendiamo insieme - pullover e pantaloni con su l ' etichetta di Armani o Coveri . Il prezzo è di 35 mila lire a capo , a meno che veda un poveretto come lui , e allora gli fa lo sconto . Quando ha tolto le 400 mila e più della pensione , di lire gliene restano appena per mangiare . Qualcuno compra per amicizia , per carità . Ma non adesso , che sono appena passate le feste . Si avvicina un giovanotto dalla giacca a vento azzurra : « Allora Gheddafi , madonna sei proprio identico a Gheddafi , non ti hanno ancora cacciato via ? » . « Tu parlare sempre fuori posto . Gheddafi ha i miliardi , io non ho i miliardi . » « Come no ? Chissà perché voi marocchini siete come gli ebrei , avete sempre le tasche piene di questi ! » e fa il segno dei quattrini con le dita , mettendogli l ' altra mano sulla spalla . Insiste : « Ehi , Busheib Jakini , dove hai messo le tue quattordici mogli ? Non sai che non puoi averne più di quattro , che se no ti tagliano il " zeb " ? E cos ' è , oggi ti sei portato l ' amico ? » . Ride , poi timbra il biglietto e se ne va . « Fa così tutti i giorni , due volte al giorno » mi confesserà con disagio Franco , che non ha altri nemici se non i vigili urbani : se ti sequestrano la merce per vendita senza licenza , con quali soldi ne comprerai dell ' altra ? Per questo lui , che è mutilato e non può scappare veloce , ha scelto í pantaloni al posto degli accendini . Si nascondono in valigia molto più in fretta . Al mercato di Sesto San Giovanni , il sabato mattina , funziona invece un buon servizio di vedetta . Appena un vigile compare in lontananza , la merce si nasconde dietro un ' auto in sosta . Ad ogni potenziale acquirente , poi , vibra un « pregoo » che suona come un ' implorazione . Così , gli accendini e i ricambi di gas vanno discretamente . E stasera si andrà tutti in mezzo alla folla di corso Buenos Aires : « Dove c ' è ressa comprano più facilmente » . Già , se non altro per eliminare il disagio di un marocchino sempre intorno . Questo disagio dei passanti , pietoso o disgustato , derivato dal contatto con una realtà sempre più invadente oltreché limitrofa , mi appare come una possibile premessa di quel nuovo , moderno antisemitismo , che del semitismo avversa anche il ceppo arabo oltre che quello ebraico , prendendo le distanze da un mondo considerato inferiore , sporco , inquinante . « Sì , qualche volta sono stato anche da fratel Ettore , però è meglio dormire all ' aperto . Lì si dorme e si mangia gratis ma c ' è della brutta gente , con la testa mica a posto » mi aveva avvertito Franco . Ma la sera di sabato 18 gennaio vado lo stesso in via Sammartini , proprio sul fondo , nel ventre oscuro e riparato della Stazione Centrale , fra sotterranei e binari morti , là dove fratel Ettore , a differenza di quanto accade nel dormitorio comunale di viale Ortles , non chiede agli stranieri se hanno il permesso di soggiorno . C ' è una specie di rete di pollaio che divide i barboni buoni da quelli cattivi , ubriachi , urlanti . Se hai l ' aria calma , gli ( eroici ) volontari cattolici aprono con cautela un lucchetto e ti fanno passare . Gli altri , i « pericolosi » che assediano la rete , ti lanciano sguardi d ' odio e alimentano il grande falò che , notte dopo notte , ha rinsecchito il salice piangente sotto cui s ' accovacciano . Vado dentro . Sembra una caverna , questo grande archivolto , ex rifugio antiaereo , tappezzato con vari spezzoni di linoleum e di ondulex , con sulla destra il deposito della biancheria sporca , sulla sinistra i cessi , in mezzo i tavoli e tutto intorno dei divani rimediati chissà dove con i vecchi che ci dormono già . Questa è la casa dei malati di mente , dei vecchi dalle barbe di lunghezza inverosimile , ma soprattutto degli stranieri annichiliti dall ' incapacità di vivere . C ' è l ' egiziano con un incredibile orecchino che cerca di fregarmi dalla tasca il berretto di lana . Altri si disputano una sciarpa per la notte . Un tunisino s ' è impietrito davanti alla sala dormitorio , con un sorriso ebete . Ilsuo amico insiste , aspetta che entri : « Ma cosa vuoi ? Che ti spogli io ? Vuoi dormire in piedi ? » . Ma quello non si sposta , non risponde . Già per due sere consecutive sono venuti i carabinieri a setacciare gli immigrati clandestini , e gli ospiti italiani del dormitorio ne sono soddisfatti : « Lo vedi quel fazzoletto nuovo per terra ? Lo ha chiesto uno di quelli , solo che non sa come si usa e lo ha subito buttato via . Cosa credi , che se vado a chiederne uno io me lo danno , il fazzoletto ? » . « Io facevo il cameriere , e se sono finito qui è perché quelli mi hanno rubato il lavoro . » « Si vede che gli italiani ci hanno scritto in fronte che sanno arrangiarsi , e invece gli arabi bisogna aiutarli . » « Alla Stazione Centrale da quando ci sono gli stranieri non si può più passare la notte in pace , ma finalmente la polizia ha cominciato a beccarli per bene ! » Saremo in ottanta , nel dormitorio tappezzato con le scritte in scotch rosso dei dieci comandamenti , quando si apre una porta a soffietto e appare un altare ingenuamente decorato . Non so se sia un sacerdote quello strano personaggio , piccolo , con gli occhi a mandorla , grembiule blu e zuccotto maghrebino , che recita in mezzo ai clandestini : « Al termine di questo giorno rendiamo grazie a Dio per quello che ci ha dato » .
De Mita SPA ( Suttora Mauro , 1988 )
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MAI NELLA STORIA D ' ITALIA TANTO potere politico si è concentrato in così pochi chilometri quadrati . La provincia di Avellino sta regalando alla patria il capo del governo e il capo del maggiore partito : Ciriaco De Mita ; il numero due del maggiore partito , Giuseppe Gargani ; il capo della regione più importante , Enrico De Mita , presidente del Consiglio regionale della Lombardia ; il capo della Rai , Biagio Agnes ; il capo dei senatori del partito di maggioranza , Nicola Mancino ; il vicepresidente vicario della Camera , Gerardo Bianco ; un potente senatore , già ministro per il Mezzogiorno , Salverino De Vito ; un altro senatore , autorevole membro della direzione del maggiore partito , Ortensio Zecchino . Irpini ad honorem per contiguità geografica sono altresì il portavoce unico del partito di maggioranza , Clemente Mastella , nonché il massimo responsabile dei servizi segreti Angelo Salma . Anche il direttore de L ' Osservatore Romano , Mario Agnes , è avellinese . Alcune di queste cariche si assommano nella stessa persona , altre nella stessa famiglia . Il quotidiano di Napoli , Il Mattino , ha rivelato inoltre , domenica 11 dicembre 1988 , che la Banca popolare d ' Irpinia - di cui quasi tutti gli eminenti sopra citati sono azionisti - sta per conquistare la leadership sull ' Italia meridionale . Niente male , per una provincia che non arriva a 500mila abitanti . Nemmeno Cavour , Francesco Crispi , Giovanni Giolitti , Benito Mussolini , Alcide De Gasperi , Aldo Moro , Bettino Craxi , prima di Ciriaco De Mita da Nusco , avevano mai potuto contare su una squadra così imponente di conterranei nei posti chiave della nazione . Cosicché i detrattori di De Mita parlano adesso di " clan degli avellinesi " , mentre i suoi ammiratori si compiacciono per l ' inusitata fertilità dell ' Irpinia , fino a ieri oscura e povera provincia . Siamo andati a controllare se corrispondano al vero alcune maldicenze . Prima fra queste , che i 63mila miliardi di lire stanziati per la ricostruzione in Irpinia del 1980 siano troppi e malspesi . Poi , se De Mita si sia arricchito grazie al sisma , come insinuano i comunisti . O , perlomeno , se abbia fatto arricchire parenti e amici . Certo Nusco non è meglio collegata oggi al resto dell ' Italia di quanto lo fosse dieci anni fa . Di treno , neanche a parlarne : non solo il paesello di De Mita ma Avellino sono pressoché irraggiungibili da Napoli in ferrovia , a meno che non si vogliano spendere giornate per percorrere pochi chilometri . La caratteristica dell ' unica ferrovia irpina è avere le stazioni piazzate in mezzo al nulla , a vari chilometri di distanza dai paesi di cui pure esibiscono il nome . In corriera la situazione non migliora : le 2.500 lire del biglietto Avellino - Nusco garantiscono solo che i 40 chilometri del tragitto vengano compiuti in circa due ore . Insomma , in Irpinia chi non ha la macchina è perduto . Per fortuna a Nusco il visitatore può riposare nel nuovo hotel Colucci , tre stelle , 44 camere . Ammirando dalla terrazza a 900 metri di altitudine il panorama sul massiccio del Vulture , i monti del Matese e l ' Appennino Dauno , ci consoliamo per il freddo ( nevica già da metà novembre ) assaggiando il maiale al finocchietto , i " cicalucculi " , ovvero gli gnocchi , nonché il leggendario torrone irpino . In tutto nell ' hotel ci sono due ospiti : tecnici romagnoli per la zona industriale . C ' è più gente d ' estate ? « No , è sempre cose > , risponde il proprietario , desolato . La carenza di turisti non gli ha impedito però di chiedere un contributo di 13 miliardi di lire per la ricostruzione . Oltre al contributo a fondo perduto del 75 per cento per le nuove iniziative industriali ( l ' aiuto più alto mai concesso dopo una calamità nel mondo occidentale ) , la legge pro terremotati provvede anche a regalare soldi a non meglio precisate " imprese di servizi per le infrastrutture " alle aree industriali . Sui tavoli dell ' Italtecna ( il consorzio Iri - Italstat , quindi Dc , che dovrebbe garantire " l ' alta vigilanza sull ' esecuzione degli interventi " ) è così piovuta una valanga di richieste di finanziamenti per alberghi , imprese di trasporti e perfino per un centro commerciale per la vendita di prodotti in pelle che la signora Teresa D ' Argenio sarebbe lieta di aprire in Avellino città . Una città dove , come denuncia Maurizio Galasso del Wwf , dopo il terremoto c ' è stata una rovinosa speculazione edilizia : « E adesso vogliono costruire un ' autostrada che funzionerà da tangenziale per arrivare a un megacentro commerciale completato da tempo ma mai aperto . Rovineranno una delle ultime aree verdi » . Naturalmente , tutto il fervore economico che si è impossessato dell ' Irpinia provoca anche benefici indiretti : è il famoso " indotto " , parola magica che i politici locali spiattellano quando si fa loro presente che il costo per ogni posto di lavoro creato finora è di 2 miliardi e mezzo di lire e di circa un miliardo a persona . Cifra smentita dal responsabile ( avellinese ) dell ' Ufficio che eroga i fondi , Elveno Pastorelli : secondo lui il costo per addetto sarà meno di 300 milioni di lire . Ma solo quando ( e se ) le imprese cominceranno a produrre . Per ora la realtà è assai più preoccupante : « Soldi spesi , un migliaio di miliardi di lire . Industrie insediate a oggi : 57 . Posti di lavoro : 380 , invece dei 3.500 promessi . Per ottenere il costo pro capite basta fare una divisione » , spiega secco Angelo Giusto , responsabile enti locali del Pci irpino . Il quale desume i suoi dati dalla relazione presentata dallo stesso Pastorelli al Parlamento nel settembre 1988 , e aggiornata al luglio 1988 . È questa , ovvero esiste già , la relazione invocata da Bettino Craxi lunedì 12 dicembre 1988 al posto della commissione d ' inchiesta voluta dalle opposizioni , dal Pli e accettata perfino dai democristiani . E l ' indotto ? Un piccolo esempio è il dépliant dell ' hotel Colucci di Nusco , stampato dalla Poligrafica irpina . Questa è una delle 14 industrie che si sono stabilite nella zona industriale di Nusco . « La ricostruzione è stata una manna » , spiega Gerardo Calabrese , il proprietario , « perché prima operavamo già qui , ma ci mancavano le infrastrutture : strade , telefoni , l ' elettricità andava via 20 volte al giorno . Adesso si può lavorare » . LA POLIGRAFICA HA 28 DIPENDENTI , un fatturato di circa 2 miliardi di lire l ' anno , e ha ricevuto un contributo di 5 miliardi e mezzo . Accanto c ' è la Dielve , che produce vetro ultraresistente per l ' Enel : « Abbiamo iniziato due mesi fa , abbiamo 70 dipendenti » , dice l ' ingegner Carmine Tirri . Otto miliardi di lire li ha avuti la Dietalat , il cui stabilimento scintilla sotto il sole di fronte a un prato dove pascolano le pecore . Questo è il più grosso regalo che Calisto Tanzi , il padrone della Parmalat e di Odeon tv , abbia fatto al suo amico Ciriaco : 58 nuschesi da due anni sfornano focaccine e pizze . Veramente l ' impegno era per 101 dipendenti , ma la legge consente che il 70 per cento del totale possa essere raggiunto nello spazio di quattro anni . « E adesso » , annuncia Sergio Piccini , portavoce della Parmalat , « con il lancio della tortafrutta faremo 35 assunzioni a tempo determinato » . Un regalo ancora più grande , però , è stato Ciriaco a farlo . A se stesso : la più imponente delle otto nuove aree industriali in provincia di Avellino sarà questa di Nusco , con 200 miliardi di lire di contributi alle 14 aziende ( che promettono a pieno regime 980 addetti ) , accompagnati da investimenti in superstrade , elettrodotti , acquedotti . Inoltre sono vicinissime a Nusco anche altre due aree industriali : quelle di Sant ' Angelo dei Lombardi ( due imprese , 178 addetti , 29 miliardi di lire di contributi ) e Morra De Sanctis ( cinque imprese , 594 addetti , 95 miliardi di lire ) . Guarda caso , a Morra De Sanctis è nato Giuseppe Gargani , 53 anni , da sempre fedelissimo di De Mita , presidente della commissione Giustizia alla Camera ( nel 1987 ) , e soprattutto - da quando in aprile Ciriaco è diventato presidente del Consiglio - coordinatore della segreteria Dc . Cioè , numero due del partito . A Morra si è verificato l ' ormai celebre fiasco della Tormene , che avrebbe dovuto produrre barche in un cantiere piantato in mezzo ad aspre montagne . Costo per il contribuente : più di 4 miliardi di lire . Ma neanche le altre tre iniziative ( Fisa , Flexplan e Teletecnica ) hanno avuto sorte migliore : nonostante abbiano ingoiato 16 miliardi di lire di contributi , rimangono fantasmi . Allora l ' anno scorso è intervenuta , provvidenziale , l ' Aeritalia di Napoli ( che nella lottizzazione delle Partecipazioni statali spetta alla Dc ) , la quale , in cambio di 75 miliardi di lire , promette di creare 360 posti di lavoro . A Sant ' Angelo dei Lombardi si sono installate due aziende : la Ferrero , che dà lavoro a 127 persone ( contributo : 24 miliardi di lire ) e la Ifs ( Industria filtri Sud ) . I capannoni di quest ' ultima sono terminati , perfetto è il raccordo stradale : peccato che non ci sia alcun segno di vita . La Ferrero , invece , la scorsa settimana si è assunta anche un altro incarico molto importante perla provincia di Avellino : sollecitata dal prefetto Raffaele Sbrescia e dalla Coldiretti , si è impegnata a comprare ben ottantamila quintali di nocciole ( materia prima della Nutella ) dai diecimila contadini irpini che negli ultimi due anni sono stati messi in crisi dalla concorrenza turca . Così , grazie alla piemontese Ferrero , gli alberi di nocciole irpini non saranno tagliati . Un ' altra grande industria del Nord che è calata in provincia di Avellino approfittando dei contributi post terremoto è l ' altoatesina Zuegg . Si è stabilita nell ' area industriale di San Mango sul Calore , vicina , questa , al paese di Montefalcione , dove è nato Nicola Mancino , presidente dei senatori de da quattro anni e capogruppo al consiglio comunale di Avellino . A San Mango , però , per ora tutto tace . La Zuegg offre solo lavori stagionali ai suoi 40 addetti che producono marmellate . Ma anche le altre nove industrie non sono ancora in produzione , nonostante i 129 miliardi di lire di finanziamenti a fondo perduto e i capannoni che sono quasi tutti già pronti . « Inizieremo l ' attività entro la fine dell ' anno » , promette Helmut Kling , un imprenditore tedesco che ha ricevuto 22 miliardi di lire per il suo calzaturificio , dove dovrebbero lavorare 200 persone . Il problema è che il signor Kling ha già un calzaturificio a Mercogliano , nella zona industriale di Avellino . Adesso vorrebbe che una cinquantina dei suoi 160 operai di Mercogliano si trasferissero a San Mango , che dista 30 chilometri , per avviare gli impianti . I sindacati e anche il sindaco di Mercogliano lo accusano di stare preparando la chiusura o la vendita del vecchio impianto , per trasferirsi nel nuovo . In pratica , un rinnovo degli impianti a spese dello Stato . Kling nega , e assicura di volersi tenere entrambi gli stabilimenti . Nella zona industriale di Lacedonia il caso più significativo è quello della Mulat . Siamo nel feudo del senatore dc Salverino De Vito , 62 anni , non rimpianto ministro per il Mezzogiorno fino all ' anno scorso . De Vito è anche sindaco di Bisaccia , comune dove nel 1987 c ' erano ancora 450 famiglie in container . Quattro anni fa la Mulat , un ' azienda che impacchetta latte ( tedesco : quello munto dalle vacche locali è considerato troppo acido ) , ha chiesto e ottenuto 20 miliardi di lire promettendo 98 posti di lavoro . Ebbene , oggi i 23 dipendenti sono in cassa integrazione , e il proprietario vuole chiudere . Il proprietario è il fratello del segretario regionale della Dc campana , l ' avellinese Antonio Argenziano . Anzi , proprio segretario no : è " coordinatore della segreteria " , in attesa che l ' attuale segretario , il senatore Ortensio Zecchino di Ariano Irpino ( demitiano di ferro ) si faccia più in là . MA ZECCHINO TITUBA , NON VUOLE mollare la poltrona : meglio il partito o lo Stato ? E allora , per tener calmo lo scalpitante Argenziano , gli regala una seconda poltrona : consigliere di amministrazione della Usi di Ariano Irpino . Non è finita . Argenziano di poltrone ne ha quattro . È anche responsabile enti locali della Dc di Avellino , e soprattutto presidente della potente Asi ( Associazione sviluppo industriale ) , la quale vorrebbe prendere in gestione le aree industriali . Così forse potrà fare altri favori alla Mulat di suo fratello . Nel turbinio della vita politica irpina c ' è stata la nomina del socialista Pasquale Ferrara a vicepresidente dellAsi . Lo ha messo lì non il Psi , ma la Dc : Ferrara era consigliere comunale di Avellino , mala prima non eletta socialista , Enza Battista , aveva fatto ricorso per brogli . Allora il capogruppo dc Mancino , piuttosto che rischiare di perdere la maggioranza assoluta conquistata nel 1985 , si è trasformato in paciere per le liti socialiste : ha fatto entrare la Battista in consiglio comunale tacitandola , e ha ricompensato Ferrara con la vicepresidenza dell ' Asi . Ecco , la Dc di Avellino è una macchina così oliata e perfetta da poter risolvere persino le liti altrui . Ai recalcitranti promette posti , gli irriducibili sono emarginati . I figli e i giovani , se fedeli , vengono ricompensati : così Biagio Agnes da Serino ha assunto al suo Tgl Francesco Pionati , figlio dell ' ex sindaco dc di Avellino Giovanni Pionati , nonché Gigi Marzullo , irpino noto più come accompagnatore della first baby Antonia De Mita che per la sua attività giornalistica . L ' unico ribelle è rimasto Giuseppe De Mita , nipote di Ciriaco . La sua tremenda colpa ? Democristiano , ma andreottiano .