StampaQuotidiana ,
"
Buongiorno
,
sono
Craxi
Benedetto
...
eccovi
il
mio
passaporto
"
.
Si
'
,
prima
o
poi
Bettino
finira
'
per
trovarsi
di
fronte
ai
poliziotti
,
a
recitare
questa
pie
'
ce
amarissima
.
A
loro
dovra
'
consegnare
quel
documento
glorioso
e
un
po
'
spiegazzato
,
che
gli
ricorda
certo
tanti
viaggi
da
mattatore
e
che
adesso
e
'
diventato
quasi
carta
straccia
.
Prima
o
poi
dovra
'
farlo
.
Meglio
prima
.
Perche
'
se
tardasse
troppo
,
i
giudici
di
Milano
potrebbero
decidere
di
rilanciare
e
di
firmare
per
lui
addirittura
un
ordine
di
cattura
.
Per
l
'
ex
segretario
socialista
sono
tempi
duri
e
malinconici
.
Due
magistrati
,
ieri
,
hanno
deciso
di
togliergli
il
passaporto
.
Il
gip
Italo
Ghitti
,
vecchio
regista
degli
arresti
di
Mani
pulite
,
per
le
mazzette
dell
'
Enimont
e
dell
'
Enel
.
E
il
gip
Maurizio
Grigo
,
per
la
spintarella
che
Craxi
e
compagni
avrebbero
dato
alle
gia
'
traballanti
casse
del
Banco
Ambrosiano
di
Roberto
Calvi
.
Secondo
il
codice
,
quella
"
spintarella
"
si
chiama
concorso
in
bancarotta
fraudolenta
,
visto
che
il
Banco
falli
'
dopo
essere
stato
spogliato
dalle
dissennate
iniziative
di
Calvi
e
dall
'
assalto
di
politici
,
massoni
e
faccendieri
.
Per
questa
storiaccia
,
secondo
Grigo
,
il
ritiro
del
passaporto
e
'
solo
un
contorno
.
I
guai
non
arrivano
mai
soli
e
dunque
il
giudice
,
proprio
per
il
crac
dell
'
Ambrosiano
,
ha
deciso
di
rinviare
a
giudizio
Bettino
.
Con
Craxi
dovranno
presentarsi
sul
banco
degli
imputati
,
il
16
giugno
,
l
'
ex
delfino
socialista
Claudio
Martelli
,
il
capo
piduista
Licio
Gelli
,
l
'
ex
vicepresidente
dell
'
Eni
Leonardo
Di
Donna
e
l
'
architetto
Silvano
Larini
.
In
ballo
ci
sono
i
sette
milioni
di
dollari
versati
da
Calvi
,
attraverso
il
solito
schermo
di
societa
'
panamensi
,
sul
conto
Protezione
,
numero
633369
della
banca
Ubs
di
Lugano
.
Quel
conto
era
intestato
a
Larini
,
amico
di
Craxi
sin
dai
tempi
della
giovinezza
.
E
proprio
Bettino
,
durante
un
'
ormai
storica
passeggiata
a
tre
(
quel
giorno
c
'
era
pure
Martelli
)
ne
aveva
chiesto
la
disponibilita
'
al
vecchio
compagno
per
fare
"
una
certa
operazione
"
.
Silvano
,
sempre
gentile
,
aveva
snocciolato
il
numero
di
conto
,
Claudio
aveva
preso
nota
.
Tutti
a
giudizio
,
adesso
:
perche
'
,
gira
gira
,
i
quattrini
uscivano
dalle
casse
dell
'
Ambrosiano
ed
erano
diretti
al
Psi
.
Per
tutti
gli
imputati
c
'
e
'
il
divieto
d
'
espatrio
.
Craxi
reagisce
.
Gia
'
aveva
proclamato
la
sua
innocenza
nell
'
intrigo
del
conto
Protezione
.
Cosi
'
,
ora
,
il
rospo
del
passaporto
non
ha
nessuna
voglia
di
ingoiarlo
.
E
,
attraverso
i
suoi
portavoce
di
Roma
,
fa
diffondere
una
nota
:
"
Tutti
sapevano
benissimo
dove
sono
,
dove
vado
e
dove
abito
"
.
Certo
.
Ma
adesso
dov
'
e
'
?
Ieri
pomeriggio
non
e
'
stato
possibile
rintracciarlo
per
notificargli
il
provvedimento
.
I
toni
di
Bettino
sono
,
prima
,
amari
:
"
Di
fronte
all
'
autorita
'
giudiziaria
,
al
Parlamento
e
al
Paese
ho
sempre
usato
il
linguaggio
della
verita
'
.
Cosa
che
non
hanno
fatto
altri
,
cui
non
e
'
stato
certo
riservato
lo
speciale
trattamento
che
e
'
toccato
a
me
"
.
Poi
,
piu
'
duri
:
"
E
una
condotta
discriminatoria
,
politicamente
strumentale
e
moralmente
odiosa
...
Non
c
'
era
nessuna
ragione
nuovamente
insorta
che
potesse
portare
a
richiedere
la
misura
che
e
'
stata
richiesta
,
addirittura
in
modo
ripetuto
,
in
un
concerto
persecutorio
del
tutto
evidente
.
Nessuna
ragione
e
nessuna
giustificazione
convincenti
.
Contro
ogni
azione
che
ha
solo
un
carattere
persecutorio
io
intendo
continuare
a
difendermi
"
.
Infine
,
ecco
il
richiamo
ai
princi
'
pi
:
"
Lo
faccio
e
lo
faro
'
non
solo
per
me
,
ma
anche
perche
'
l
'
uso
equilibrato
e
giusto
del
potere
giudiziario
rappresenta
una
barriera
di
civilta
'
per
tutti
"
.
Fin
qui
Bettino
.
Ma
le
amarezze
per
lui
continuano
,
in
questa
giornata
nera
.
Cosi
'
,
dall
'
ordinanza
del
gip
Ghitti
,
filtra
qualche
particolare
.
Il
ritiro
del
passaporto
e
'
motivato
con
il
pericolo
di
fuga
.
E
il
gip
ricorda
le
case
e
i
conti
all
'
estero
dell
'
ex
leader
.
Conti
all
'
estero
?
Quali
?
Il
riferimento
,
indiretto
,
e
'
all
'
ormai
famoso
conto
Hambest
.
Si
'
,
il
conto
lussemburghese
al
centro
di
un
animato
siparietto
al
processo
Cusani
.
A
manovrare
i
quattrini
di
Hambest
era
Mauro
Giallombardo
,
gia
'
segretario
personale
di
Craxi
.
StampaQuotidiana ,
Dato
che
i
Papi
non
partecipano
da
secoli
a
funerali
di
Stato
,
e
soprattutto
a
Roma
dopo
l
'
Unità
d
'
Italia
,
cercammo
di
guardare
bene
Paolo
VI
,
ieri
,
mentre
entrava
in
San
Giovanni
in
Laterano
per
la
cerimonia
in
suffragio
di
Moro
.
Il
pomeriggio
romano
,
fuori
,
era
freddo
e
livido
.
La
polizia
coi
nervi
tesi
,
gli
uomini
in
tuta
coi
mitra
spianati
,
avevano
creato
il
vuoto
intorno
alla
chiesa
,
salvo
sulla
piazza
principale
chiusa
in
un
reticolato
di
sbarramenti
.
Dentro
la
basilica
protetti
da
decine
di
poliziotti
,
sedevano
immobili
,
pietrificati
intorno
all
'
altare
,
gli
uomini
che
rappresentano
lo
Stato
italiano
,
il
governo
,
i
partiti
,
e
i
«
legati
»
e
gli
ambasciatori
degli
altri
Stati
.
Lo
sfondo
di
un
avvenimento
unico
nella
storia
moderna
non
ripeteva
affatto
le
riunioni
di
folla
che
a
Nuova
York
,
a
Gerusalemme
,
a
Calcutta
,
a
Manila
,
hanno
accompagnato
le
altre
tappe
inconsuete
di
questo
pontificato
.
Deve
aver
fatto
un
'
immensa
pena
a
questo
Papa
italiano
,
lombardo
,
uscire
dal
Vaticano
e
vedere
questa
povera
Roma
,
questo
povero
quartiere
di
San
Giovanni
,
e
questa
povera
basilica
,
precipitati
in
un
silenzio
agghiacciante
,
difesi
come
una
zona
di
guerra
.
Nel
livido
pomeriggio
si
guardò
intorno
,
raggiunse
la
sacrestia
,
vesti
i
paramenti
rossi
delle
Pentecoste
,
e
il
suo
pallore
di
vecchio
Papa
ottantenne
divenne
ancor
più
visibile
.
Quando
tutto
fu
pronto
,
congiunse
le
mani
(
e
si
vide
che
tremavano
)
facendo
il
suo
ingresso
nella
chiesa
illuminata
sulla
sedia
gestatoria
.
Tra
gli
uomini
di
Stato
,
immobili
,
pietrificati
,
apparve
un
pontefice
a
sua
volta
pietrificato
dalla
tragedia
italiana
.
Seduto
sul
trono
avviò
la
Messa
cosi
,
fino
al
Vangelo
,
con
voce
affaticata
,
senza
un
movimento
,
salvo
quelli
voluti
dal
rito
.
La
sua
tensione
cresceva
,
il
suo
viso
scavato
,
un
po
'
gotico
,
amaro
,
era
ancora
più
pallido
.
Dal
settore
dello
Stato
italiano
,
lo
guardavano
-
per
la
prima
volta
riuniti
per
una
sua
Messa
-
Berlinguer
,
Pajetta
,
Ingrao
,
e
gli
altri
comunisti
della
delegazione
.
Dal
settore
degli
Stati
stranieri
,
cinesi
,
russi
,
romeni
,
fissavano
questo
pontefice
drammatico
,
diventato
simbolo
del
dramma
italiano
,
forse
pensando
al
tempo
in
cui
Stalin
chiese
«
quante
divisioni
ha
il
Papa
?
»
.
Esile
,
la
voce
a
tratti
spezzata
nella
preghiera
,
Papa
Montini
era
un
vecchio
stanco
,
in
uno
dei
pomeriggi
più
angosciosi
della
storia
italiana
.
Poi
venne
il
momento
della
preghiera
e
il
Papa
disse
:
«
Ci
siamo
riuniti
per
pregare
e
testimoniare
in
un
mondo
di
odio
e
di
sangue
»
.
Poi
un
lettore
disse
per
lui
:
«
Preghiamo
per
coloro
che
governano
i
popoli
,
specialmente
per
i
responsabili
della
cosa
pubblica
del
nostro
Paese
,
e
per
le
autorità
di
questa
nostra
città
di
Roma
:
perché
al
di
sopra
delle
lotte
e
delle
divisioni
sappiano
unirsi
in
uno
sforzo
fraterno
al
servizio
della
giustizia
,
del
bene
comune
,
e
della
vera
libertà
»
.
Ancora
disse
il
lettore
:
«
Preghiamo
per
il
nostro
fratello
e
amico
Aldo
Moro
,
per
i
membri
della
sua
scorta
,
che
lo
hanno
preceduto
nella
morte
,
per
tutte
le
vittime
della
violenza
e
dell
'
odio
»
.
Di
nuovo
disse
il
lettore
:
«
Preghiamo
per
tutti
noi
qui
presenti
,
perché
lo
spirito
di
Dio
rianimi
la
nostra
debolezza
e
doni
la
forza
di
progredire
nella
riconciliazione
»
.
Infine
riprese
direttamente
il
Papa
:
«
Signore
,
Dio
,
ascolta
con
bontà
la
supplica
del
tuo
popolo
»
.
Per
lo
sforzo
,
un
lieve
rossore
gli
copri
quel
volto
pietrificato
.
Da
tre
punti
di
vista
,
come
si
sa
,
può
essere
considerata
questa
partecipazione
di
un
Papa
a
un
funerale
di
Stato
,
che
si
è
sommata
a
un
memorabile
passaggio
oltre
il
Tevere
per
lanciare
all
'
Italia
un
messaggio
di
riconciliazione
.
Esiste
una
motivazione
privata
e
religiosa
,
emersa
dal
comunicato
vaticano
di
venerdì
e
dalla
preghiera
scritta
dal
Papa
per
la
Messa
di
ieri
,
che
dipinge
Paolo
VI
spinto
alla
decisione
solo
in
base
a
un
impulso
del
cuore
:
«
Per
onorare
la
memoria
dello
statista
scomparso
,
unito
a
lui
da
vincoli
di
antica
amicizia
»
e
definito
appunto
«
fratello
e
amico
»
.
Esiste
quindi
una
motivazione
per
cosi
dire
pubblica
e
pastorale
,
che
si
riassume
nell
'
appello
lanciato
all
'
Italia
,
nel
«
dare
un
segno
del
suo
particolare
affetto
alla
nazione
»
,
nell
'
invito
alla
riconciliazione
generale
«
al
di
sopra
delle
lotte
e
delle
divisioni
»
.
Ma
non
mancano
poi
gli
osservatori
che
segnalano
(
almeno
come
ipotesi
)
una
motivazione
politica
.
Il
Papa
,
si
dice
,
avrebbe
voluto
testimoniare
anche
il
suo
appoggio
alla
formula
politica
ispirata
da
Moro
,
all
'
attuale
quadro
politico
,
suggellando
con
la
manifestazione
d
'
unità
intorno
alla
sua
persona
una
scelta
vaticana
.
Non
è
un
mistero
che
gli
esperti
romani
parlano
di
un
«
cambiamento
»
del
Papa
,
dopo
l
'
allontanamento
di
monsignor
Benelli
,
e
di
un
suo
orientamento
diverso
rispetto
alla
politica
iniziata
da
Moro
.
Si
dice
poi
che
vi
sarebbe
conferma
di
ciò
nel
fatto
che
i
messaggi
vaticani
di
cordoglio
hanno
avallato
questa
tesi
,
dato
che
il
Papa
ha
scritto
a
Leone
,
il
cardinale
di
stato
Villot
ad
Andreotti
,
ma
poi
Papa
Montini
ha
inviato
un
suo
biglietto
a
Zaccagnini
.
Infine
,
nel
mondo
stesso
dei
vaticanisti
,
s
'
insiste
nel
descrivere
un
Vaticano
montiniano
avviato
verso
la
«
seconda
conciliazione
»
:
e
quindi
incline
ad
elevare
al
massimo
grado
la
figura
di
Moro
«
statista
»
per
rendere
meno
reversibile
l
'
esperienza
iniziata
a
Roma
.
Fino
a
che
punto
può
essere
vera
questa
ipotesi
?
Non
c
'
è
dubbio
che
ieri
essa
circolasse
tra
i
giornalisti
italiani
e
stranieri
,
inclini
a
farla
circolare
,
almeno
come
tale
.
Ma
resta
il
fatto
che
il
Papa
non
ha
parlato
dopo
la
cerimonia
,
come
si
annunciava
,
limitandosi
alle
parole
della
preghiera
scritta
di
suo
pugno
,
che
non
sono
certo
un
segnale
politico
,
che
trascendono
la
politica
contingente
con
un
messaggio
accorato
e
pieno
di
pena
.
Stanco
,
oppresso
da
una
angoscia
crescente
,
lasciò
la
basilica
con
un
frettoloso
saluto
al
presidente
della
Repubblica
e
ai
parenti
di
Moro
.
Si
chiuse
nella
macchina
affranto
lasciando
dietro
di
sé
nel
fosco
pomeriggio
romano
un
appello
tra
i
più
caldi
ricevuti
dall
'
Italia
durante
il
suo
pontificato
.
Non
è
difficile
immaginare
,
del
resto
,
che
il
Papa
deve
aver
valutato
per
primo
il
pericolo
che
dal
suo
breve
viaggio
oltre
il
Tevere
,
e
dalla
sua
decisione
di
compiere
un
gesto
senza
precedenti
,
nascessero
«
ipotesi
politiche
»
.
Anni
fa
,
quando
rilasciò
a
chi
scrive
la
prima
intervista
della
storia
della
Chiesa
,
Papa
Montini
non
nascose
il
dramma
che
rappresenta
«
parlare
dell
'
Italia
»
per
un
Papa
«
che
ami
il
paese
dov
'
è
nato
»
.
StampaQuotidiana ,
MANILA
.
Imelda
Imelda
Imelda
for
president
.
Lo
gridano
per
le
strade
,
lo
hanno
scritto
sui
muri
e
sui
cartelli
.
È
questa
la
truce
fiaba
postnatalizia
che
è
dilagata
i
giorni
scorsi
sull
'
arcipelago
delle
Filippine
.
Ma
non
è
favola
,
è
realtà
.
Con
ottanta
capi
d
'
accusa
sulla
testa
che
.
se
provati
.
potrebbero
costarle
da
un
minimo
di
400
anni
di
carcere
a
un
massimo
di
900
,
la
signora
Marcos
si
è
ufficialmente
candidata
per
le
elezioni
presidenziali
dal
maggio
prossimo
.
È
stata
scelta
all
'
unanimità
e
lanciata
nella
mischia
dai
leader
del
Kilusan
Bagong
Lipunan
(
K
B
L
)
,
il
partito
del
defunto
presidente
Ferdinando
Marcos
.
Sotto
la
bandiera
dell
'
ex
First
Lady
potrebbero
schierarsi
,
oltre
ai
nostalgici
del
regime
,
tutti
coloro
che
sono
stati
delusi
dall
'
inefficiente
amministrazione
di
Corazon
Aquino
.
L
'
ipotesi
di
un
ritorno
di
Imelda
Marcos
all
'
attività
politica
ha
preso
consistenza
subito
dopo
il
rientro
nelle
Filippine
in
novembre
:
ma
non
sorprende
che
molti
,
allora
,
lo
ritenessero
improbabile
.
Perche
'
si
trattava
di
riaffidare
le
redini
del
potere
ad
una
donna
che
,
per
venti
anni
,
insieme
al
marito
,
aveva
dissanguato
il
Paese
e
il
cui
rimpatrio
.
dopo
quasi
sei
anni
di
esilio
.
era
stato
consentito
alla
sola
condizione
che
rispondesse
alla
giustizia
di
un
cumulo
di
reati
infamanti
come
evasione
fiscale
,
appropriazione
indebita
,
esportazione
di
capitali
all
'
estero
e
chi
più
ne
ha
più
ne
metta
.
Una
gran
Ladra
,
insomma
.
Proprio
così
,
con
la
L
maiuscola
.
Cominciata
in
sordina
col
rientro
di
Ferdinando
Jr
.
(
figlio
del
defunto
dittatore
)
il
30
ottobre
,
la
rimpatriata
dei
Marcos
nelle
Filippine
ha
avuto
il
suo
vertice
folgorante
il
4
novembre
scorso
,
quando
l
'
ex
First
Lady
è
apparsa
all
'
aeroporto
Ninoy
Aquino
e
si
è
inginocchiata
e
ha
baciato
la
terra
.
Il
processo
L
'
umiliazione
della
fuga
ignominiosa
nel
febbraio
dell'86
e
la
vergogna
di
dover
subire
ora
un
processo
pesante
non
parevano
aver
incrinato
la
solare
arroganza
di
Imelda
Marcos
(
anni
62
)
o
inserito
nella
sua
personalità
di
"
farfalla
d
'
acciaio
"
il
fluido
corrosivo
del
dubbio
e
del
rimorso
.
Il
procuratore
generale
della
Repubblica
,
Francisco
Chavez
,
ha
presentato
contro
di
lei
ottanta
capi
d
'
accusa
:
nella
speranza
di
ricuperare
parte
delle
sostanze
(
denaro
e
immobili
)
che
l
'
ex
famiglia
reale
ha
sparso
nel
mondo
,
come
i
350
milioni
di
dollari
custoditi
nelle
banche
svizzere
.
Ma
quando
si
presenta
al
tribunale
regionale
di
Quezon
City
per
ascoltare
la
lettura
delle
incriminazioni
che
la
riguardano
e
che
l
'
avvocato
Chavez
elenca
imperterrito
,
Imelda
sembra
appena
uscita
da
un
bagno
di
schiuma
.
Il
bianco
luminoso
del
vestito
che
indossa
è
appena
ravvivato
da
un
foulard
rosso.blu
e
le
dita
delle
mani
che
minuti
prima
hanno
disinvoltamente
accettato
il
rito
delle
impronte
stanno
ora
avvinghiate
ai
grani
del
rosario
.
Regalmente
,
Imelda
respinge
ogni
accusa
col
solo
movimento
della
testa
.
Poi
,
ai
giornalisti
che
le
chiedono
se
abbia
paura
del
carcere
,
risponde
cortesemente
:
"
Non
c
'
è
un
posto
in
tutte
le
Filippine
dove
mi
possano
incarcerare
.
Non
ho
paura
.
Credo
nella
giustizia
divina
"
.
Però
anche
Dio
dovrà
essere
molto
paziente
e
misericordioso
con
la
signora
Marcos
,
col
suo
defunto
marito
e
coi
figli
,
pure
incriminati
.
Tuttavia
,
il
cospicuo
deposito
in
Svizzera
potrà
rimanere
congelato
ed
eventualmente
restituito
ai
legittimi
proprietari
.
i
filippini
.
soltanto
se
Manila
riuscirà
a
provare
che
è
stato
illegalmente
accumulato
.
E
qui
tutti
temono
la
lentezza
del
locale
meccanismo
processuale
.
Certo
,
l
'
elenco
circostanziato
dei
capi
d
'
accusa
lascia
sbigottiti
e
mette
a
nudo
il
cinismo
e
la
totale
mancanza
di
scrupoli
con
cui
Marcos
e
la
moglie
hanno
agito
per
vent
'
anni
grazie
alla
copertura
della
presidenza
,
spinti
solo
da
un
'
insaziabile
ingordigia
e
dall
'
ambizione
personale
:
una
diabolica
"
coppia
reale
"
che
incamera
milioni
di
pesos
destinati
agli
scolari
poveri
delle
piantagioni
di
coconut
;
che
gioca
sul
dollaro
creando
uno
"
shortage
"
artificiale
,
che
le
frutta
in
un
lampo
75
milioni
di
dollari
;
che
induce
la
Banca
Centrale
a
concedere
prestiti
favolosi
a
ditte
private
,
"
amiche
"
del
Presidente
;
che
deposita
25
milioni
di
dollari
nella
succursale
di
New
York
della
Philippine
National
Bank
perche
'
la
First
Lady
non
sia
a
corto
di
liquido
quando
va
a
fare
lo
shopping
nella
Quinta
Strada
;
e
che
infine
,
dopo
aver
tanto
rubato
,
fugge
dal
Paese
di
notte
caricando
sull
'
elicottero
22
casse
di
valuta
straniera
e
locale
:
sfortunatamente
,
non
c
'
è
posto
per
le
tremila
paia
di
scarpe
che
Imelda
abbandona
nel
palazzo
di
Malacanang
,
affrontando
scalza
l
'
esilio
.
Dietro
l
'
aberrante
immagine
di
questa
coppia
predatrice
e
sanguisuga
,
c
'
è
un
altro
aspetto
,
dei
Marcos
,
di
cui
i
tribunali
non
si
stanno
ora
occupando
:
ed
è
l
'
invereconda
manipolazione
del
potere
politico
che
ha
consentito
al
dittatore
di
sopravvivere
per
tanti
anni
.
Su
questo
la
Storia
ha
già
espresso
il
suo
giudizio
,
che
è
pesante
.
Delitti
Ma
il
ritorno
di
Imelda
nelle
Filippine
non
poteva
non
evocare
lo
spettro
degli
anni
di
piombo
e
della
legge
marziale
;
e
tuttavia
nessuno
si
meraviglia
se
,
sbarcando
all
'
aeroporto
di
Manila
dove
nell'83
venne
trucidato
Benigno
"
Ninoy
"
Aquino
,
marito
di
Corazon
e
irriducibile
avversario
di
Marcos
,
l
'
ex
First
Lady
non
abbia
provato
alcuna
emozione
.
La
"
farfalla
d
'
acciaio
"
recitava
ancora
una
volta
i
misteri
gaudiosi
.
Nessuno
dubitava
che
l
'
assassinio
di
Ninoy
era
stato
deciso
e
"
preparato
"
nei
meandri
di
Malacanang
,
anche
se
fu
impossibile
accertarlo
:
ma
quel
momento
coincise
col
risveglio
della
coscienza
popolare
e
con
l
'
ascesa
di
Cory
e
del
"
people
'
s
power
"
,
che
avrebbero
invaso
le
Filippine
coi
vessilli
gialli
e
spazzato
via
Marcos
.
Al
suo
rientro
,
Imelda
,
si
presenta
come
la
vittima
di
Corazon
e
della
sua
perfidia
umano.politica
.
È
povera
.
È
Cenerentola
.
All
'
aeroporto
confessa
:
"
Non
ho
più
un
soldo
,
sopravvivo
grazie
agli
oboli
degli
amici
"
.
Però
è
appena
sbarcata
da
un
Boeing
,
noleggiato
alle
Hawaii
per
600
mila
dollari
,
e
il
suo
seguito
è
quello
di
un
capo
di
Stato
.
Va
ad
abitare
al
Philippine
Plaza
Hotel
,
dove
requisisce
l
'
undicesimo
piano
per
sistemare
,
in
60
stanze
,
il
suo
entourage
:
lei
si
contenta
della
Suite
Imperiale
.
Da
questo
fortino
di
lusso
,
pacchianamente
superaddobbato
per
le
feste
,
Imelda
dirige
la
sua
campagna
elettorale
.
Blas
F
.
Ople
,
editoralista
di
un
quotidiano
popolare
ed
ex
ministro
di
Marcos
,
sostiene
che
Imelda
è
la
sola
persona
in
grado
di
mettere
insieme
l
'
Opposizione
.
Occorrono
,
tra
l
'
altro
,
37
milioni
di
dollari
per
la
campagna
elettorale
,
che
l
'
ex
Fist
Lady
ha
nelle
preziose
borse
di
pelle
,
firmate
dai
migliori
stilisti
.
Nella
sua
scia
,
sono
in
molti
adesso
.
I
politici
del
voltafaccia
che
,
nell'86
,
rinnegarono
Marcos
e
si
buttarono
nel
campo
dell
'
Aquino
.
Uno
squallido
personaggio
come
Salvador
Laureal
,
che
divenne
vice
presidente
dell
'
attuale
governo
e
poi
diede
il
bacio
di
Giuda
a
Cory
,
andando
all
'
aeroporto
per
congratularsi
con
l
'
ex
First
Lady
che
tornava
;
o
come
l
'
estremo
rettile
delle
Filippine
,
Juan
Ponce
Enrile
,
ex
ministro
della
difesa
,
che
fu
uno
degli
artefici
della
rivoluzione
di
febbraio
e
che
vidi
arrivare
,
il
mitra
in
mano
,
nel
campo
Aguilaldo
dei
rivoltosi
e
che
ora
ha
calato
le
brache
e
continua
ad
agitarsi
sui
banchi
dell
'
Opposizione
,
piccolo
e
isterico
.
Enrile
sostiene
che
Imelda
ha
grosse
chances
a
Manila
,
nelle
regioni
settentrionali
e
nelle
Visnayas
orientali
,
sua
patria
d
'
origine
.
Nessuno
sa
come
andrà
a
finire
.
Imelda
,
che
definisce
Enrile
con
le
iniziali
J.E.
(
Judas
Escariot
)
per
il
suo
tradimento
nell'86
,
basa
le
sue
speranze
sull
'
accoglienza
che
i
disperati
di
baraccopoli
immonde
e
letamai
umani
come
Tondo
.
delusi
dall
'
inefficienza
dell
'
attuale
governo
.
le
hanno
riservato
.
La
gestione
di
Corazon
Aquino
ha
certamente
deluso
,
ma
il
comportamento
della
signora
Marcos
rasenta
,
raggiunge
e
supera
il
marchio
dell
'
infamia
.
Il
suo
regno
d
'
influenza
e
di
vita
era
vastissimo
,
ma
ne
erano
esclusi
i
tagliatori
delle
canne
di
zucchero
delle
Negros
o
i
peones
di
Mindanao
.
Era
pure
escluso
il
sindaco
di
Zamboanga
,
Cesar
Climaco
,
che
aveva
deciso
di
non
farsi
tagliare
i
capelli
fino
a
quando
Marcos
non
avesse
rimosso
la
legge
marziale
.
Aveva
scritto
al
dittatore
,
di
cui
un
tempo
era
amico
:
"
La
sola
cosa
onesta
in
queste
isole
sono
questo
paio
di
coglioni
che
mi
porto
intorno
"
.
Lo
uccisero
sparandogli
nella
nuca
,
mentre
stava
avviando
il
motorino
.
Cosa
poteva
importare
,
a
Imelda
,
di
Climaco
?
Lei
andava
per
shopping
allo
Harrods
di
Londra
,
al
Bloomingdal
'
s
di
New
York
,
al
Takashimaya
di
Tokio
,
alla
Liberty
House
di
Honolulu
.
E
poi
Bond
Street
,
Fauburg
St
.
Honore
'
,
via
Condotti
.
Le
scarpe
da
Ferragamo
,
i
gioielli
da
Bulgari
.
E
aveva
il
diamante
più
grosso
del
mondo
(
lo
Idol
'
s
Eye
)
,
pagato
con
5
milioni
e
500
mila
dollari
di
puro
sangue
e
sudori
filippini
.
La
gente
muore
per
le
strade
e
lei
fa
costruire
a
Manila
14
alberghi
di
lusso
.
Il
suo
mito
era
Hollywood
,
la
sua
molla
erotica
gli
eroi
dello
schermo
,
come
George
Hamilton
.
Ed
ecco
,
dentro
questo
vuoto
immane
che
è
la
sua
vita
,
germinare
il
progetto
di
un
festival
cinematografico
che
oscurasse
la
gloria
di
Cannes
e
di
Venezia
.
Ma
occorre
costruire
.
e
in
fretta
.
un
palazzo
del
cinema
degno
dell
'
occasione
.
Ottomila
operai
(
era
l'82
)
lavorano
24
ore
su
24
.
Ma
a
un
certo
punto
le
impalcature
crollano
e
crollano
i
muri
.
Sotto
le
macerie
e
il
cemento
ancora
caldo
c
'
è
un
cimitero
.
Nessuno
saprà
mai
quanti
sono
i
morti
.
Imelda
ordina
di
continuare
i
lavori
,
la
scadenza
va
rispettata
.
E
a
queste
mani
,
così
gentili
e
rapaci
che
una
parte
dei
filippini
affida
ora
il
proprio
destino
.
E
allora
buon
anno
e
buona
fortuna
.
StampaQuotidiana ,
Peshawar
(
di
ritorno
dall
'
Afghanistan
)
.
Mawli
Bismilha
passava
per
uno
dalla
mira
infallibile
,
dicevano
che
avrebbe
fulminato
un
passero
a
trecento
metri
:
ma
i
tre
soldati
russi
che
montavano
di
sentinella
,
quella
sera
,
sul
ponte
di
Jalalabad
,
non
lo
sapevano
e
quando
son
risuonati
i
tre
colpi
sono
andati
giù
come
birilli
,
dietro
il
parapetto
.
Di
Bismilha
si
diceva
anche
che
avesse
un
gran
fegato
e
un
'
allergia
acuta
per
i
carri
armati
sovietici
che
gli
aravano
la
terra
quando
non
era
più
tempo
di
semina
:
e
così
quella
mattina
,
appena
il
T-62
è
sbucato
con
chiasso
tremendo
sull
'
argine
del
fiume
Sorkhroad
,
Mawli
non
ci
ha
visto
più
e
ha
cominciato
a
sparargli
addosso
col
suo
Enfield
303
.
È
stato
l
'
inizio
di
una
battaglia
che
è
durata
tutta
la
giornata
:
entro
sera
,
un
carro
armato
e
una
APC
(
un
'
autoblindo
per
il
trasporto
truppe
)
erano
stati
messi
fuori
uso
.
Ma
Bismilha
era
morto
.
Il
giorno
dopo
lo
han
portato
nel
suo
villaggio
a
tre
ore
di
cammino
e
lo
hanno
sepolto
nel
cimitero
in
collina
con
una
gran
festa
funebre
di
canti
,
preghiere
e
bandiere
bianche
,
come
si
conviene
agli
eroi
.
La
commozione
era
grande
e
ha
colpito
anche
noi
«
estranei
»
,
venuti
qui
a
curiosare
nel
cuore
della
tragedia
afghana
.
La
sepoltura
di
Bismilha
è
una
(
l
'
ultima
,
la
più
vivida
)
delle
tante
dolorose
immagini
che
ho
potuto
raccogliere
durante
un
'
escursione
(
chiamiamola
così
)
clandestina
nella
provincia
di
Ningrahar
,
fino
alla
periferia
di
Jalalabad
,
che
ne
è
il
capoluogo
.
Quel
che
segue
è
la
cronaca
di
questo
viaggio
:
un
viaggio
di
pochi
giorni
dentro
una
specie
di
esaltazione
collettiva
,
dove
la
logica
non
ha
più
posto
.
Ti
chiedi
che
senso
abbia
il
colpo
di
fucile
sparato
contro
il
MI-24
che
vola
basso
:
tanto
vale
il
tirasassi
.
Ma
per
i
mujaidin
questa
è
la
Jihad
,
la
guerra
santa
,
e
niente
-
neanche
la
spaventosa
inferiorità
sul
piano
dell
'
efficienza
bellica
-
li
può
far
desistere
.
La
vita
di
Bismilha
per
un
carro
armato
era
un
ordine
di
Allah
.
È
una
guerra
che
puoi
vedere
solo
a
spizzichi
:
e
,
per
vederla
,
puoi
solo
aggregarti
a
questo
o
quel
partito
-
islamico
-
che
hanno
i
loro
uomini
su
questo
o
su
quel
fronte
:
a
Khunar
o
Paktia
o
Herat
o
nelle
zone
centrali
o
settentrionali
.
La
base
di
partenza
è
Peshawar
,
in
Pakistan
,
dove
i
fuorusciti
afghani
hanno
le
loro
«
carbonerie
»
:
e
da
qui
,
con
un
minimo
d
'
insistenza
e
di
preghiere
,
ti
fai
accompagnare
over
the
border
,
oltre
confine
,
nelle
zone
calde
,
dove
la
terra
è
ormai
seminata
di
polvere
da
sparo
.
Conosco
il
paesaggio
.
È
stupendo
.
L
'
ho
visto
d
'
estate
,
l
'
ho
visto
d
'
inverno
:
ora
che
è
primavera
è
anche
più
bello
,
hai
intorno
una
luce
soffice
che
non
acceca
,
afghano
è
l
'
abito
,
afghano
il
cappello
,
afghano
lo
scialle
ed
è
con
questa
esotica
bardatura
che
cominci
a
scarpinare
in
montagna
dopo
aver
attraversato
il
Khunar
sulla
piana
di
Cama
.
La
marcia
nella
notte
sembra
non
finire
mai
,
forse
hanno
sbagliato
strada
,
le
otto
-
nove
ore
promesse
diventano
tredici
-
quattordici
e
alla
fine
tutte
le
tue
ossa
sono
rotte
e
fracassate
.
Sono
in
buona
compagnia
.
All
'
escursione
,
in
provincia
di
Ningrahar
,
partecipano
una
cinquantina
di
mujaidin
che
vanno
a
rafforzare
í
fronti
islamici
nell
'
area
calda
intorno
a
Jalalabad
.
Alcuni
hanno
in
spalla
cassette
di
munizioni
e
dinamite
.
Fatico
a
tenere
í1
passo
e
il
capo
della
spedizione
si
arrabbia
:
dice
che
bisogna
arrivare
a
destinazione
in
mattinata
perché
dopo
la
zona
è
sorvolata
dagli
elicotteri
russi
e
non
c
'
è
modo
di
nascondersi
nella
calvizie
dell
'
altopiano
.
Gli
uomini
fanno
parte
dello
Hezb
-
i
-
Islami
di
Mawli
Khalés
,
un
partito
di
modesta
consistenza
numerica
che
qualche
mese
fa
si
è
staccato
dal
massiccio
Hezb
-
i
-
Islami
di
Gulbuddin
Hekmatyar
,
troppo
«
politicizzato
»
,
per
dedicarsi
esclusivamente
alla
lotta
armata
.
F
.
Khalés
,
infatti
,
è
il
solo
leader
di
partito
che
vive
in
Afghanistan
,
in
prossimità
del
fronte
,
mentre
gli
altri
fanno
la
politica
da
seduti
,
lontani
dalle
pallottole
,
nell
'
esilio
di
Peshawar
.
Khalés
ha
60
anni
,
la
barba
autorevole
che
gli
ondeggia
sul
petto
,
il
fucile
a
portata
di
mano
.
Lo
incontro
di
sera
,
nella
sua
casa
di
Kaja
,
dopo
una
giornata
di
camminate
.
Viene
dalla
campagna
,
è
un
leader
molto
amato
,
a
differenza
dell
'
ingegnere
Gulbuddin
non
mantiene
le
distanze
.
I
suoi
uomini
lo
chiamano
Mawli
,
gli
sono
sempre
attorno
,
lo
abbracciano
.
Mi
dice
:
«
Lo
so
cosa
pensate
voi
stranieri
:
che
í
russi
sono
troppo
forti
,
che
hanno
armi
sofisticate
e
potenti
e
noi
fucili
del
'19
e
tirasassi
,
che
siamo
destinati
a
uscire
sconfitti
da
questa
guerra
e
a
diventare
satelliti
di
Mosca
.
Ma
voi
stranieri
vi
sbagliate
.
Voi
non
vi
rendete
conto
che
la
popolazione
è
con
noi
al
99
per
cento
,
che
se
io
scendo
in
strada
e
incontro
il
più
vecchio
del
villaggio
e
gli
caccio
in
mano
un
fucile
,
quello
mi
segue
fino
a
Jalalabad
cantando
e
ringiovanisce
di
trent
'
anni
sognando
di
stendere
un
russo
.
Qui
nella
provincia
di
Ningrahar
i
mujaidin
armati
,
cioè
veramente
impegnati
nella
guerriglia
,
sono
25
mila
»
.
Gli
chiedo
qual
è
il
suo
principale
obiettivo
:
«
Lei
è
mai
stato
a
Jalalabad
?
»
mi
dice
.
«
È
una
gran
bella
città
,
tutta
fiori
e
giardini
.
Adesso
è
in
mano
ai
russi
,
ce
ne
saranno
migliaia
.
E
all
'
aeroporto
ci
sono
centinaia
di
jet
ed
elicotteri
militari
sovietici
.
Ma
i
russi
si
renderanno
presto
conto
che
non
gli
basteranno
perché
Jalalabad
tornerà
in
mano
nostra
.
Lei
vuoi
vedere
un
po
'
d
'
azione
?
Vuol
toccare
con
mano
se
noi
mujaidin
facciamo
sul
serio
o
ci
battiamo
solo
a
parole
?
Bene
,
si
faccia
quattro
passi
fino
a
Jalalabad
:
vedrà
che
ogni
sera
i
miei
ragazzi
aprono
il
fuoco
su
tutta
la
cintura
periferica
della
città
e
in
particolare
contro
l
'
aeroporto
.
È
un
ballo
che
dura
tutta
la
notte
e
quando
finisce
,
all
'
alba
,
qualche
dozzina
di
soldati
russi
o
afghani
ci
ha
lasciato
la
pelle
»
.
Sto
per
fargli
un
'
altra
domanda
ma
Khalés
l
'
indovina
e
mi
precede
:
«
Lo
so
cosa
lei
vuol
sapere
,
altri
giornalisti
me
l
'
hanno
chiesto
.
Ebbene
,
sì
.
Questo
Enfield
qui
non
lo
tengo
per
bellezza
o
per
farmi
fotografare
.
Sì
,
vado
anch
'
io
al
fronte
e
credo
d
'
aver
contribuito
la
mia
parte
allo
sfoltimento
della
presenza
militare
sovietica
in
Afghanistan
.
Capisce
cosa
voglio
dire
?
Duecento
miei
ragazzi
sono
morti
e
sono
sparpagliati
nei
cimiteri
di
villaggio
di
Ningrahar
.
Può
capitare
anche
a
me
dall
'
oggi
al
domani
e
non
sarà
niente
di
speciale
.
La
nostra
religione
comanda
che
un
leader
debba
essere
in
prima
linea
,
sempre
»
.
È
l
'
ora
di
cena
e
stendono
la
tovaglia
sul
tappeto
.
È
una
buona
cena
,
con
pane
,
brodo
,
riso
,
spinaci
,
pezzi
di
pollo
,
latte
cagliato
.
Le
mani
,
qui
,
sostituiscono
le
posate
ma
la
mia
tecnica
manducatoria
è
ancora
-
dopo
qualche
giorno
di
pratica
-
a
un
livello
tale
che
suscita
sorrisi
di
divertita
compassione
in
Khalés
e
nei
commensali
afghani
.
Peter
e
Steve
(
i
colleghi
fotografi
che
mi
hanno
accompagnato
nell
'
escursione
)
fanno
le
cose
con
maggior
disinvoltura
.
Khalés
è
loquace
e
sereno
,
ma
a
un
certo
punto
si
rabbuia
.
Qualcuno
lo
ha
informato
che
un
paio
di
sere
prima
,
nel
villaggio
di
Cheperhar
,
il
giornalista
amico
è
stato
derubato
del
portafoglio
.
«
Sono
veramente
mortificato
»
mi
dice
,
«
lei
era
un
ospite
,
lei
è
venuto
per
raccontare
al
mondo
la
nostra
tragedia
,
per
darci
una
mano
.
Sono
pieno
di
rabbia
,
d
'
amarezza
.
Non
mi
sarei
mai
aspettato
che
tra
i
miei
ragazzi
,
i
miei
mujaidin
,
ce
ne
fosse
uno
capace
di
tanta
bassezza
.
Ma
lo
troveremo
,
lo
troveremo
.
Intanto
,
lei
domattina
riavrà
i
suoi
soldi
:
purtroppo
non
abbiamo
dollari
,
dovrà
contentarsi
di
moneta
afghana
.
»
Spero
non
abbiano
trovato
il
ladro
.
Mi
auguro
che
non
lo
trovino
mai
:
pagherebbe
troppo
cara
la
sua
ribalderia
.
Dopo
cena
chiedo
ai
mujaidin
quale
punizione
potrebbero
infliggergli
.
C
'
è
una
breve
consultazione
,
poi
:
«
Gli
tagliamo
la
mano
»
.
Ma
uno
del
gruppo
,
che
ha
tutto
soppesato
e
ponderato
,
è
più
tetro
e
drastico
:
«
Siamo
in
guerra
»
dice
«
e
pertanto
vanno
applicate
le
leggi
di
guerra
.
Un
reato
simile
va
considerato
alla
stregua
del
saccheggio
e
della
violenza
carnale
.
Non
credo
che
Khalés
la
pensi
diversamente
:
a
parte
il
fatto
che
ha
gettato
discredito
sul
nostro
partito
.
Mister
Mo
,
se
lo
scopriamo
lo
fuciliamo
.
È
OK
?
Le
sta
bene
?
»
.
I
mujaidin
di
Khalés
sono
sistemati
in
una
quindicina
di
villaggi
nel
distretto
di
Sorkhroad
,
che
è
una
bella
,
verde
,
ariosa
campagna
circondata
da
montagne
calve
color
caffelatte
.
La
marcia
è
lunga
e
ogni
tanto
devi
fermarti
perché
gli
elicotteri
ti
arrivano
improvvisamente
in
testa
.
La
gente
,
ormai
,
non
ci
fa
più
caso
:
«
Se
è
destino
morire
per
questi
infedeli
»
senti
dire
,
«
va
bene
ma
lo
stesso
non
avranno
la
nostra
terra
»
.
È
sera
fonda
quando
arriviamo
nel
villaggio
di
Diwalid
,
bianco
nella
luce
della
luna
.
Jalalabad
è
a
neanche
tre
chilometri
,
difesa
-
da
questa
parte
-
dal
«
fossato
»
del
fiume
Sorkhroad
,
quasi
completamente
asciutto
.
I
mujaidin
sono
in
azione
e
puoi
sentire
qualche
colpo
di
fucile
.
«
Non
c
'
è
gran
che
stasera
»
dice
il
comandante
Awskhan
Mokhlis
,
«
i
nostri
uomini
rientreranno
dopo
la
mezzanotte
.
Vi
consiglio
di
riposare
,
siete
stanchi
:
e
domani
sera
vi
organizzo
un
bello
spettacolo
,
okay
?
»
Okay
okay
.
Finora
abbiamo
visto
i
mujaidin
delle
retrovie
che
di
eroico
hanno
solo
la
nomenclatura
.
Parlano
incessantemente
di
eventuali
attacchi
coi
russi
,
abbattono
verbalmente
elicotteri
e
jet
e
non
c
'
è
tank
sovietico
che
possa
fare
la
sua
passeggiata
vespertina
nei
campi
di
grano
di
Ningrahar
senza
essere
impallinato
,
bloccato
e
bruciato
dalle
cartucce
dei
303
.
A
sentirli
,
hanno
già
vinto
la
guerra
.
Sono
i
mujaidin
del
tè
permanente
.
Pregano
cinque
volte
al
giorno
e
quindici
volte
prendono
il
tè
,
cominciando
al
mattino
presto
,
quando
il
sole
non
è
ancora
sbucato
.
Poi
li
vedi
sempre
seduti
o
sdraiati
-
sui
letti
o
sul
pavimento
-
a
parlare
dell
'
Islam
o
di
guerra
.
L
'
occupazione
più
frequente
è
scaricare
o
ricaricare
il
fucile
o
diramare
omericamente
i
bollettini
di
guerra
che
vengono
rigonfiati
di
bocca
in
bocca
:
perciò
non
ti
devi
meravigliare
se
i
soldati
russi
morti
nella
tale
operazione
da
dieci
diventano
cento
e
carri
armati
ed
elicotteri
sono
,
nel
giro
di
poche
ore
,
triplicati
o
quintuplicati
.
Le
distanze
sono
enormi
,
non
c
'
è
radio
e
non
c
'
è
telefono
,
è
praticamente
impossibile
restare
aggiornati
sulle
vicende
militari
:
eppure
trovi
sempre
qualche
arcano
,
alato
messaggero
che
ha
fatto
trenta
chilometri
in
cinque
minuti
e
ti
scarica
sul
tavolo
la
bisaccia
delle
«
ultimissime
»
.
«
Allora
hanno
preso
Jalalabad
?
»
«
Non
ancora
,
ma
è
questione
di
giorni
.
»
«
E
Kabul
?
»
«
Questione
di
settimane
.
»
A
Diwalid
la
guerra
ce
l
'
hanno
in
casa
e
non
si
fanno
illusioni
.
Qui
la
conta
è
precisa
,
puntigliosa
.
Quando
uno
esce
dalla
caserma
(
chiamiamola
così
)
col
fucile
,
non
sa
mai
se
torna
.
Ma
anche
qui
trovi
i
millantatori
.
Il
nostro
miles
gloriosus
è
un
sellerone
alto
quasi
due
metri
,
la
faccia
segata
imperiosamente
dal
baffo
,
il
kalashnikov
a
tracolla
.
Entra
e
dice
:
«
Ho
fatto
fuori
tre
russi
,
sul
ponte
.
Un
'
ora
fa
»
.
Il
comandante
Moklis
non
dice
niente
,
anche
gli
altri
tacciono
.
Ma
Peter
e
Steve
vogliono
scattare
foto
dell
'
eroe
.
Com
'
è
avvenuto
?
Hagi
racconta
,
con
pacatezza
,
l
'
impresa
.
Sembra
il
De
bello
Gallico
,
tanto
è
asciutto
.
Mi
sono
appostato
,
ho
visto
i
tre
,
mi
son
detto
questa
è
roba
mia
,
vai
.
Ho
premuto
il
grilletto
.
Si
accarezza
il
baffo
e
guarda
giù
sulla
nostra
miseria
d
'
uomini
con
aria
sovrumana
.
Gli
chiediamo
di
tornare
sul
ponte
,
le
tre
sentinelle
saranno
state
rimpiazzate
.
Ma
Hagi
rifiuta
,
la
sua
dose
è
tre
russi
al
giorno
,
Allah
è
d
'
accordo
.
Però
domani
,
se
vogliamo
,
lui
ci
porta
nei
campi
e
ci
improvvisa
uno
show
:
«
Volete
un
carro
armato
?
»
dice
.
«
Bene
.
Esco
fuori
col
mio
"
rocket
launcher
"
e
il
primo
T-62
che
si
mette
in
marcia
da
Jalalabad
ve
lo
schianto
in
un
colpo
.
Ma
dovete
esser
pronti
ragazzi
,
clic
clic
.
Io
lo
spacco
e
voi
clic
clic
.
»
Il
giorno
dopo
Peter
e
Steve
non
hanno
fatto
clic
clic
:
o
lo
hanno
fatto
,
ma
non
per
Hagi
.
Durante
la
notte
il
miles
gloriosus
è
stato
selvaggiamente
ridimensionato
:
fuori
della
stanza
c
'
è
una
bagarre
in
piena
regola
,
volano
parole
e
cazzotti
ed
è
veramente
un
peccato
non
capire
il
pushtu
ribaltato
di
bocca
in
bocca
con
tanta
sonora
violenza
.
Capiremo
il
mattino
seguente
che
Hagi
s
'
era
abusivamente
attribuito
il
merito
dello
sterminio
sul
ponte
e
che
la
scarica
micidiale
era
partita
da
tutt
'
altro
cecchino
:
il
cecchino
Mawli
Bismilha
.
Mawli
e
l
'
ingegnere
Mahammood
sono
rientrati
di
notte
,
all
'
una
,
dopo
aver
a
lungo
sparacchiato
.
Adesso
hanno
già
detto
la
prima
preghiera
ed
è
l
'
ora
del
breakfast
,
mi
offrono
il
tè
e
il
pane
e
vogliono
sapere
se
a
Roma
è
primavera
come
qui
,
con
l
'
aria
dolce
e
azzurra
.
L
'
ingegnere
avrà
trent
'
anni
,
parla
un
inglese
soffice
e
antico
,
è
molto
cauto
e
prudente
e
tende
sempre
(
a
differenza
dei
mujaidin
del
tè
)
a
minimizzare
.
Ma
tra
poche
ore
vedremo
di
che
scorza
è
fatto
.
L
'
ingegnere
dice
che
è
stato
Bismilha
a
stendere
i
russi
:
non
ha
sprecato
un
colpo
.
Mawli
è
minuto
e
gracile
,
ha
occhi
grandi
di
un
marrone
dorato
e
un
naso
da
boxeur
,
schiacciato
:
quando
ride
-
e
lo
fa
spesso
-
scopre
una
dentatura
aggressiva
,
una
palizzata
bianca
che
si
infigge
nel
labbro
inferiore
.
Non
sono
riuscito
a
scoprire
la
sua
età
.
L
'
inglese
approssimativo
delle
nostre
guide
non
fa
testo
:
chi
dice
venticinque
,
chi
ventisei
,
chi
ventotto
.
Non
importa
.
Non
aveva
l
'
età
per
morire
.
L
'
ingegnere
cerca
di
spiegarmi
la
situazione
e
mi
traccia
una
«
mappa
»
sul
quaderno
:
qui
c
'
è
la
dronta
dam
,
la
diga
,
qui
l
'
università
,
qui
il
ponte
Khab
,
qui
la
dorasaka
,
qui
qui
...
eccetera
.
«
Ogni
sera
»
dice
«
noi
attacchiamo
.
Jalalabad
è
difesa
da
tre
,
quattromila
militari
,
tra
russi
e
afghani
.
Avranno
da
50
a
60
elicotteri
e
una
decina
di
jet
.
I
carri
armati
potrebbero
essere
da
400
a
600.»
«
Ma
qual
è
il
vostro
obiettivo
?
»
«
Prendere
l
'
aeroporto
»
dice
«
e
ammazzare
più
russi
possibile
.
»
«
Ingegnere
,
ma
che
speranze
ci
sono
?
Non
avete
armi
.
»
Mi
guarda
con
un
'
espressione
tranquilla
,
rassegnata
.
Non
riuscirò
a
scordarmi
quello
sguardo
.
Ordina
di
farci
vedere
l
'
arsenale
,
che
è
modesto
.
Ci
mettono
davanti
agli
occhi
,
oltre
agli
Enfield
303
,
i
kalashnikov
AK-47
,
un
rocket
projector
RPG-7
,
una
mitragliatrice
Guru
,
una
LMG
cecoslovacca
,
dei
fucili
G
3
tedeschi
,
un
fucile
russo
della
Seconda
guerra
mondiale
.
«
È
molto
poco
»
ammette
l
'
ingegnere
,
«
abbiamo
bisogno
di
missili
per
abbattere
gli
elicotteri
,
i
gunships
MI-24
.
Ma
per
il
resto
,
andiamo
bene
.
Sul
piano
della
guerriglia
,
i
russi
non
ci
possono
battere
.
Noi
conosciamo
il
terreno
,
sappiamo
da
dove
sparare
.
Ieri
,
Bismilha
ha
stecchito
tre
russi
ma
quelli
non
sono
neanche
riusciti
a
scoprire
da
dove
venivano
i
colpi
.
È
solo
questo
il
nostro
vantaggio
.
Ogni
sera
attacchiamo
Jalalabad
da
un
punto
diverso
.
La
sola
cosa
certa
,
da
parte
loro
,
è
che
noi
,
a
una
certa
ora
,
apriamo
il
fuoco
.
I
russi
mettono
davanti
i
soldati
afghani
e
sono
quelli
i
primi
a
crepare
.
Quanti
siamo
?
Non
è
possibile
fare
un
conto
.
Varia
da
sera
a
sera
.
Ma
ti
posso
dire
che
non
gli
diamo
requie
.
I
mujaidin
calano
giù
da
tutte
le
parti
,
da
Mirzayan
,
da
Charbagh
,
da
Saidane
-
Poladi
e
da
Haji
Sahiban
,
da
Koshkak
e
da
Balabagh
,
solo
per
parlare
del
distretto
di
Sorkhroad
:
e
poi
,
naturalmente
,
da
Cherperhar
e
da
Cama
.
»
È
un
bel
cielo
d
'
aprile
,
quello
che
vedo
sopra
Jalalabad
.
Sono
molto
vicino
al
ponte
dove
,
la
sera
prima
,
sono
stati
falciati
i
russi
.
Gli
elicotteri
sovietici
passano
e
ripassano
sopra
la
campagna
e
scompaiono
oltre
,
nella
valle
di
Khunar
.
L
'
ingegnere
dice
:
«
È
troppo
pericoloso
attaccare
adesso
:
aspettiamo
stasera
.
Di
giorno
,
se
spari
,
ti
vengono
addosso
jet
ed
elicotteri
e
non
hai
scampo
»
.
Ma
poi
qualcosa
cambia
.
Ed
è
l
'
ingegnere
che
arriva
trafelato
e
dice
:
«
Attacchiamo
adesso
:
ma
vi
prego
andate
via
,
non
vogliamo
che
vi
succeda
qualcosa
»
.
Peter
ed
io
siamo
in
un
campo
di
frumento
e
vedo
l
'
ingegnere
e
Bismilha
correre
piegati
in
due
lungo
l
'
argine
e
poi
farsi
inghiottire
dal
verde
.
Subito
dopo
,
un
carro
armato
russo
appare
sulla
sponda
del
fiume
,
dalla
parte
dei
mujaidin
:
e
poi
un
altro
,
con
la
stessa
minacciosa
musica
,
e
poi
tre
Carriers
.
Peter
inquadra
il
primo
carro
armato
,
un
T
62
:
«
Cristo
»
dice
,
«
che
bella
bestia
»
.
Dal
verde
alla
nostra
destra
partono
i
primi
colpi
.
Bismilha
è
allergico
ai
tank
sovietici
e
così
l
'
ingegnere
.
Sono
passate
da
poco
le
undici
e
i
mujaidin
hanno
deciso
che
l
'
Armata
Rossa
non
debba
profanare
oltre
,
coi
cingoli
,
la
terra
sacra
di
Ningrahar
.
Né
l
'
ingegnere
né
Bismilha
hanno
avuto
il
tempo
di
chiedere
l
'
autorizzazione
a
Mawli
Khalés
,
ma
sanno
molto
bene
che
Mawli
Khalés
farebbe
la
stessa
cosa
.
E
dai
cespugli
dove
sono
rintanati
partono
altre
scariche
.
Ora
,
lungo
l
'
argine
del
Sorkhroad
,
procedono
lentamente
-
forse
con
l
'
obiettivo
d
'
un
accerchiamento
-
due
T-62
e
tre
APC
:
che
cominciano
a
rispondere
al
fuoco
coi
cannoni
di
75
mm.
Non
è
ancora
l
'
inferno
,
ma
questa
media
temperatura
bellica
non
impedisce
a
una
donna
di
continuare
a
sciacquare
e
risciacquare
i
suoi
panni
nel
torrente
e
ai
contadini
di
zappare
la
terra
.
Cannonate
e
raffiche
di
mitraglia
passano
sopra
questi
bellissimi
campi
di
frumento
e
cipolle
e
papaveri
bianchi
e
ciclamini
da
cui
esce
,
distillata
,
la
felicità
dell
'
oppio
.
È
passato
da
poco
mezzogiorno
quando
Bismilha
e
un
ragazzotto
di
neanche
diciott
'
anni
spingono
fuori
dalla
macchia
,
sull
'
argine
,
tre
uomini
,
percuotendoli
coi
calci
dei
fucili
.
Uno
avrà
trent
'
anni
,
l
'
altro
quaranta
,
il
terzo
,
molto
vecchio
e
fragile
,
è
sulla
settantina
.
Gli
sono
molto
vicino
e
credo
di
poter
dire
da
che
strana
luce
sono
attraversati
gli
occhi
,
quando
sei
preso
dal
terrore
.
Il
mujaidin
di
scorta
continua
a
picchiarli
e
altri
,
che
li
incrociano
sul
cammino
,
aggiungono
la
loro
dose
di
percosse
,
calciandoli
in
faccia
,
alle
gambe
,
ai
testicoli
.
Il
vecchio
è
il
più
pestato
.
Uno
lo
fa
stramazzare
vibrandogli
il
fucile
sulla
schiena
con
un
fendente
che
avrebbe
ucciso
un
mulo
,
ma
lui
riemerge
dalla
caduta
senza
un
lamento
,
senza
gemiti
,
la
faccia
di
un
antico
gufo
che
è
da
tempo
morto
e
non
appartiene
più
a
questa
terra
.
I
tre
afghani
erano
su
un
bulldozer
che
i
carri
armati
russi
scortavano
da
qualche
parte
per
lavori
di
sterramento
:
sorpresi
e
terrorizzati
dalla
sparatoria
,
si
son
dati
alla
fuga
scegliendo
-
nella
paura
-
l
'
itinerario
sbagliato
:
ed
eccoteli
capitare
,
in
pochi
minuti
,
davanti
ai
fucili
dell
'
ingegnere
e
di
Bismilha
.
Li
hanno
portati
dal
giudice
.
Il
giudice
è
un
tipo
robusto
con
una
faccia
larga
e
una
barba
coranica
,
ha
occhi
color
mandorla
,
vivaci
,
ironici
e
crudeli
,
lo
chiamano
anche
Kissinger
per
via
di
una
sua
certa
avventurosa
politica
estera
e
sostiene
di
dovermi
proteggere
a
tutti
i
costi
«
perché
»
dice
«
tu
hai
faccia
da
russo
(
"
rusj
rusj
"
)
e
se
capiti
in
mezzo
proprio
non
darei
una
lira
per
i
tuoi
coglioni
»
.
«
Rusj
rusj
»
mi
dice
il
giudice
,
«
tu
non
vuoi
morire
a
Jalalabad
.
»
Io
gli
dico
di
no
,
anche
se
è
bella
,
c
'
ero
stato
in
gennaio
e
il
collega
Bernardo
Valli
,
che
pure
ha
tanto
peregrinato
,
sosteneva
che
un
profumo
simile
non
lo
aveva
mai
respirato
da
nessun
'
altra
parte
.
Quando
i
tre
gli
arrivano
davanti
,
il
giudice
li
abbraccia
:
miei
cari
fratelli
islamici
,
dice
.
Ma
poi
il
mujaidin
di
scorta
lo
informa
che
sono
«
collaborazionisti
»
,
grandi
figli
di
troia
fottuti
e
venduti
,
e
il
giudice
allora
fa
scendere
dall
'
alto
la
sua
mano
non
più
benedicente
,
un
colpo
di
maglio
che
quasi
gli
stacca
la
testa
.
Li
mettono
in
una
specie
di
stalla
.
Nessuno
dei
tre
parla
.
Forse
gli
hanno
già
detto
che
devono
morire
.
Guardo
il
vecchio
.
Ha
due
crateri
secchi
nelle
guance
,
la
bocca
senza
labbra
cucita
sulle
gengive
amare
.
L
'
uomo
di
mezza
età
getta
un
'
occhiata
indifferente
-
certo
senza
astio
-
ai
fotoreporters
che
stanno
indagando
nella
sua
disperazione
.
Il
più
giovane
sembra
assente
.
Il
comandante
gli
dice
:
«
Hai
dei
bei
sandali
,
sono
molto
più
belli
dei
miei
.
Sai
che
ti
dico
?
Facciamo
un
cambio
:
a
te
non
servono
più
»
.
Il
comandante
Mokhlis
butta
lontano
le
sue
ciabatte
sdrucite
e
calza
i
sandali
del
condannato
a
morte
.
Fa
due
o
tre
passi
per
provarle
.
«
Belle
calzature
eh
?
»
L
'
uomo
si
guarda
i
piedi
nudi
.
Nei
campi
,
i
mujaidin
combattono
fin
a
tarda
sera
.
Il
giudice
si
fa
passare
sotto
le
narici
dei
fiori
di
campo
e
poi
dice
:
«
Domani
finito
»
.
Fa
anche
capire
,
con
un
gesto
,
che
i
tre
non
hanno
scampo
.
Alle
quattro
del
pomeriggio
arriva
la
notizia
che
Mawli
Bismilha
è
morto
.
Il
ragazzo
che
porta
la
notizia
ha
del
sangue
sulla
camicia
.
Non
piange
,
ma
gli
costa
fatica
.
«
A
che
ora
è
morto
?
»
gli
chiedono
.
«
Un
'
ora
fa
»
è
la
risposta
.
«
L
'
hai
visto
?
»
«
L
'
ho
visto
.
»
Vai
a
capirli
,
questi
mujaidin
.
Bismilha
è
morto
,
l
'
ingegnere
continua
a
sparare
sui
carri
armati
col
cadavere
vicino
e
dai
campi
di
frumento
che
sono
lì
a
cento
metri
senti
i
guerriglieri
che
tra
una
fucilata
e
l
'
altra
invocano
Allah
,
mentre
i
carri
armati
sovietici
,
non
ancora
annichiliti
,
vomitano
sui
campi
il
fuoco
della
75
mm.
È
un
grido
di
disperati
,
un
grido
che
fa
paura
.
Allah
Akbar
,
Allah
è
grande
.
La
battaglia
di
Jalalabad
è
finita
senza
vinti
né
vincitori
.
Ma
il
giorno
dopo
i
russi
son
passati
alle
punizioni
e
l
'
artiglieria
di
terra
e
gli
elicotteri
hanno
martoriato
per
ore
Sorkhroad
.
È
sera
,
ormai
,
quando
il
giudice
decide
di
trasferire
i
prigionieri
in
zona
più
tranquilla
.
Una
trasferta
di
oltre
quattro
ore
.
La
battaglia
continua
sulla
piana
mentre
noi
scappiamo
.
Mi
dicono
che
i
russi
stanno
tentando
una
manovra
di
accerchiamento
e
non
sarebbe
prudente
farsi
trovare
.
Quando
arriviamo
sul
fiume
,
è
l
'
ora
della
preghiera
.
Una
luce
violetta
avvolge
le
montagne
.
I
tre
chiedono
di
poter
pregare
e
gli
viene
concesso
.
Li
slegano
,
quelli
si
inginocchiano
e
forse
non
vedrai
più
mai
nella
tua
vita
una
preghiera
così
fervida
,
così
disperata
e
così
intensa
.
Viene
da
piangere
.
Ma
forse
-
pensiamo
-
c
'
è
speranza
:
li
hanno
lasciati
pregare
,
potrebbero
salvarli
.
Invece
no
.
Li
hanno
portati
in
una
cava
di
ghiaia
,
a
Fathiabad
,
tre
buone
ore
di
marcia
da
Diwalid
.
Ed
è
qui
che
li
rivediamo
,
sempre
legati
e
pronti
a
morire
.
Nessuno
è
in
grado
di
venirci
incontro
.
Nessun
interprete
che
sappia
tradurre
.
Dei
tre
non
sappiamo
né
il
nome
né
l
'
età
né
perché
si
son
messi
coi
russi
.
Ma
non
ha
importanza
.
Una
cosa
ci
sembra
di
aver
capito
.
Ed
è
che
erano
tre
poveri
diavoli
di
contadini
,
senza
la
minima
possibilità
di
traviamento
da
parte
di
una
filosofia
estranea
e
(
per
loro
)
lunare
come
il
marxismo
e
che
se
erano
capitati
sui
bulldozer
«
russi
»
lo
avevano
fatto
soltanto
per
sbarcare
il
lunario
e
per
quell
'
antica
irresistibile
ragione
che
è
la
fame
.
Sono
le
dieci
del
mattino
quando
entriamo
nella
cava
di
Fathiabad
.
I
due
più
giovani
sono
ammanettati
insieme
da
una
striscia
di
stoffa
celeste
;
il
vecchio
è
solo
.
Li
spingono
dietro
,
dove
c
'
è
una
specie
di
cunetta
che
sarà
la
loro
fossa
.
L
'
intero
villaggio
s
'
è
radunato
per
la
cerimonia
ma
il
giudice
li
tiene
lontano
.
Non
c
'
è
plotone
d
'
esecuzione
vero
e
proprio
,
i
tre
non
vengono
messi
al
muro
.
Due
mujaidin
hanno
l
'
incombenza
.
Il
primo
colpo
è
per
il
vecchio
che
cade
sulle
ginocchia
,
schiantato
,
e
poi
si
rovescia
sul
fianco
,
cadendo
nella
cunetta
,
la
bocca
e
gli
occhi
pieni
di
sangue
.
Poi
vanno
giù
gli
altri
due
:
il
più
giovane
ha
la
schiena
sfasciata
e
da
un
buco
esce
della
materia
.
L
'
uomo
di
mezzo
ha
molto
pregato
prima
di
morire
.
Gli
ero
molto
vicino
e
ho
sentito
che
ripeteva
continuamente
Allah
,
Allah
,
Allah
.
Il
secondo
e
ultimo
colpo
gli
ha
traforato
il
cranio
.
Ma
non
è
tutto
finito
qui
.
Qualcuno
non
è
soddisfatto
,
l
'
esecuzione
non
gli
è
bastata
.
Ed
ecco
che
tira
fuori
dai
cenci
un
coltello
e
comincia
a
infierire
contro
i
cadaveri
,
aprendo
altri
squarci
.
Il
vecchio
ha
la
gola
recisa
.
Mi
vedo
attorno
bambini
di
nove
,
dieci
anni
colti
da
macabra
esultanza
che
sputano
sui
morti
,
giocando
a
chi
centra
meglio
.
Fathiabad
era
il
villaggio
di
Mawlí
Bismilha
.
Lo
hanno
portato
al
cimitero
sul
suo
letto
di
paglia
,
sotto
una
coperta
verde
.
Hanno
rimosso
la
coperta
per
farmelo
vedere
.
Ha
quei
suoi
dentoni
appoggiati
sul
labbro
inferiore
e
un
buchetto
nero
in
mezzo
alla
fronte
.
Sua
madre
non
piange
,
suo
fratello
non
piange
.
C
'
è
solo
un
ragazzo
che
piange
.
Se
ho
ben
capito
,
dice
che
Mawli
gli
ha
insegnato
a
sparare
.
StampaQuotidiana ,
HAMMAMET
(
Tunisia
)
.
Bettino
sta
male
,
Bettino
soffre
per
i
postumi
di
un
infarto
,
Bettino
e
'
in
clinica
a
Tunisi
:
tornera
'
,
forse
;
parlera
'
,
forse
.
Dopo
una
settimana
di
inutile
caccia
al
fantasma
,
dopo
un
certificato
medico
spedito
via
fax
dalla
sua
villa
tra
aranceti
e
fichi
d
'
India
,
dopo
le
voci
,
i
sospetti
e
il
tam
tam
di
Radio
Medina
che
lo
voleva
nascosto
e
sicuro
nel
rifugio
dalla
"
porta
celeste
"
di
una
casa
anonima
tra
i
vicoli
della
citta
'
vecchia
,
eccolo
di
nuovo
Bettino
:
non
e
'
fuggito
ne
'
sembra
intenzionato
a
farlo
.
Sta
solo
male
,
deve
curarsi
,
anzi
si
sta
gia
'
curando
.
E
il
passaporto
da
riconsegnare
?
Tempo
,
la
salute
prima
di
tutto
.
Poi
si
vedra
'
.
La
Land
Cruiser
accosta
a
destra
sulla
Rue
de
la
Gare
.
L
'
autista
frena
.
In
una
nuvola
di
polvere
lo
sportello
si
apre
.
Anna
Craxi
,
in
camicia
di
seta
a
fiori
arancioni
e
rossi
e
fuso
'
neri
ci
viene
incontro
,
sorride
.
Cortese
,
come
sempre
:
"
Io
sono
cosi
'
,
e
'
il
mio
carattere
...
"
.
Abbiamo
saputo
che
suo
marito
non
sta
bene
.
"
Eh
,
infatti
.
Non
sta
proprio
bene
.
Non
ve
lo
volevo
dire
,
sapete
,
ma
e
'
in
clinica
a
Tunisi
.
Deve
fare
dei
controlli
"
.
Perche
'
,
che
cos
'
ha
?
"
Beh
,
aveva
gia
'
avuto
un
infarto
di
cui
non
s
'
era
accorto
"
.
Quando
era
stato
male
,
qualche
anno
fa
?
"
No
,
prima
.
Un
po
'
di
tempo
prima
"
.
Infarto
asintomatico
?
"
Si
'
"
.
E
i
medici
l
'
hanno
scoperto
quando
e
'
stato
male
,
dopo
.
"
Si
'
.
Poi
da
due
anni
,
con
tutto
quello
che
gli
e
'
successo
,
capirete
lo
stato
d
'
animo
,
lo
stress
.
Anzi
,
devo
dire
che
io
temevo
si
deprimesse
.
Invece
,
per
fortuna
,
e
'
sempre
un
leone
"
.
Signora
Craxi
,
vede
,
il
fatto
e
'
che
i
magistrati
italiani
aspettavano
suo
marito
e
sembra
che
si
stiano
innervosendo
.
"
Beh
,
pero
'
io
non
capisco
questa
cosa
.
Allora
e
'
proprio
vero
che
e
'
una
persecuzione
.
E
insomma
,
dico
:
o
tutti
dentro
o
tutti
fuori
...
E
comunque
,
non
e
'
detto
che
non
ritorni
.
Certo
,
fosse
per
me
,
io
non
tornerei
.
Io
gli
direi
di
non
tornare
.
Pero
'
lui
deve
ancora
decidere
.
Non
e
'
detto
"
.
Dove
si
fa
curare
?
"
Questa
mattina
e
'
andato
in
clinica
a
fare
delle
analisi
.
Ne
aveva
gia
'
fatte
a
Parigi
ma
sapete
com
'
e
'
lui
:
non
e
'
uno
che
,
uno
che
sta
a
dieta
,
segue
i
consigli
.
E
allora
gli
hanno
rifatto
i
controlli
e
hanno
trovato
valori
alti
:
la
glicemia
e
il
resto
.
Le
cartelle
e
le
analisi
non
sono
buone
.
Anche
se
,
per
fortuna
,
lui
e
'
sempre
di
buon
umore
"
.
Se
ne
occupano
dei
medici
del
posto
?
"
Si
'
,
a
Tunisi
Bettino
ha
un
sacco
di
amici
medici
.
Sono
di
scuola
francese
,
ottimi
specialisti
"
.
Dunque
,
il
Leone
e
'
riapparso
.
E
con
lui
,
i
segni
distintivi
del
potere
e
del
rispetto
che
da
vent
'
anni
e
piu
'
ne
confermano
la
presenza
in
terra
d
'
Africa
.
Intanto
c
'
e
'
il
soldato
alla
porta
della
villa
.
Anzi
,
due
.
Il
primo
ha
la
tuta
verde
oliva
e
la
faccia
da
bravo
ragazzo
di
campagna
.
Ti
viene
incontro
,
chiede
i
documenti
,
li
porta
dentro
.
Il
secondo
e
'
in
divisa
,
la
pistola
al
cinturone
e
i
documenti
te
li
rimette
in
mano
:
"
Vous
ne
revien
pas
ici
,
capito
?
Mai
piu
'
"
.
Il
piccoletto
che
fa
la
guardia
a
casa
Craxi
e
invece
della
divisa
sfoggia
i
rayban
e
un
ghigno
alla
tonton
macoute
,
se
la
gode
soddisfatto
:
"
E
se
tornate
ici
,
nous
vous
agrediron
...
"
.
Ma
intanto
Radio
Medina
,
la
radio
delle
voci
di
Hammamet
,
si
e
'
tutta
sintonizzata
occhi
e
orecchie
sul
ritorno
del
Leone
:
del
Rais
italiano
amico
personale
del
Rais
tunisino
,
il
presidente
Ben
Ali
'
.
E
ne
protegge
con
discrezione
spostamenti
,
abitudini
,
capricci
.
Non
si
tratta
pur
sempre
di
un
vecchio
,
fedele
amico
del
popolo
arabo
,
ancora
potente
anche
se
un
po
'
acciaccato
in
salute
e
nel
prestigio
?
Poi
questi
giornalisti
che
vogliono
?
Dare
la
caccia
a
Craxi
,
nel
suo
stesso
territorio
,
e
'
cosa
a
volte
anche
rischiosa
.
Ti
si
avvicinano
una
quantita
'
di
nemici
(
falsi
)
e
amici
(
falsi
)
.
Ti
soffiano
le
piste
piu
'
improbabili
.
Sanno
dell
'
amicizia
tra
il
Leone
e
Berlusconi
.
Ti
giurano
che
si
'
,
lui
(
Berlusconi
)
era
venuto
a
trovarlo
anche
l
'
estate
scorsa
e
che
Hammamet
gli
era
piaciuta
tanto
da
comprarci
quasi
una
villa
.
Ti
spiegano
che
l
'
amicizia
con
Ben
Ali
'
e
'
tale
da
allontanare
ogni
possibilita
'
concreta
di
estradizione
.
Poi
tu
gli
chiedi
:
va
bene
,
ma
Craxi
dov
'
e
'
?
E
loro
,
a
mezza
bocca
,
ti
fanno
il
nome
di
questo
Karim
,
che
ha
un
negozio
di
fiori
e
fa
anche
l
'
ingegnere
.
Abita
sulla
strada
per
Sousse
,
dopo
il
semaforo
,
dove
parte
una
pista
che
passa
sotto
l
'
autostrada
per
Tunisi
.
Ed
e
'
vero
,
Karim
abita
li
'
e
si
fa
pure
trovare
.
Jeans
e
camicia
,
barba
incolta
,
l
'
occhio
astuto
di
chi
annusa
e
pesa
la
gente
a
distanza
.
Quando
gli
domandi
di
Craxi
risponde
:
"
E
allora
?
Rivolgetevi
a
lui
"
.
Ma
lei
forse
ci
puo
'
aiutare
.
"
Forse
.
Mi
dia
il
suo
nome
.
Se
lo
vedo
glielo
dico
"
.
Karim
Ben
Sheida
vive
circondato
dai
fiori
.
Per
una
settimana
Radio
Medina
ha
fatto
rimbalzare
la
voce
che
Craxi
si
fosse
rifugiato
nella
sua
villa
.
Tu
gli
parli
e
lui
ascolta
in
silenzio
,
come
un
confessore
,
sgranando
quel
rosario
che
gli
arabi
passano
tra
pollice
e
indice
da
Tangeri
all
'
Eufrate
.
Sull
'
amico
Bettino
non
sgancia
una
notizia
.
E
quando
lo
saluti
,
monta
sulla
sua
Mercedes
e
ritorna
in
citta
'
.
Amici
.
Come
Manken
,
che
in
una
viuzza
davanti
al
distributore
della
Mobil
ha
messo
su
una
pensione
e
un
ristorante
di
pesce
.
La
pensione
l
'
ha
chiamata
"
Milano
"
,
il
ristorante
"
La
Scala
"
.
Sui
muri
ha
appeso
le
foto
(
piccoline
)
di
Pavarotti
e
Giuseppe
Verdi
,
una
litografia
di
Bettino
col
garofano
(
"
notre
ami
italien
"
)
,
una
litografia
di
Garibaldi
,
una
gigantografia
di
Ben
Ali
'
(
"
notre
ami
president
"
)
.
Bettino
viene
qui
a
mangiare
gli
spaghetti
alle
vongole
e
la
spigola
.
"
Uomo
semplice
,
come
tutti
gli
italiani
semplici
"
,
fa
Manken
.
E
da
quanto
non
si
fa
vedere
?
"
Tre
settimane
?
Due
?
Mah
"
.
Gli
amici
.
Le
voci
.
Poi
anche
i
fatti
.
Il
consigliere
De
Luca
,
al
telefono
dall
'
ambasciata
di
Tunisi
,
spiega
che
sulla
faccenda
sa
poco
:
"
L
'
ambasciatore
rientra
stasera
e
ha
detto
che
se
ne
vuole
occupare
lui
personalmente
"
.
L
'
ambasciatore
si
chiama
Caruso
,
era
il
consigliere
diplomatico
di
Claudio
Martelli
.
De
Luca
e
'
cortese
ma
non
ha
molto
da
aggiungere
.
Una
curiosita
'
:
ci
sono
gia
'
in
circolazione
gli
agenti
dell
'
Interpol
?
"
Non
qui
in
ambasciata
.
E
comunque
,
se
fossero
gia
'
qui
a
Tunisi
dovrebbero
passare
da
noi
.
Fuori
dall
'
Europa
,
questa
e
'
la
prassi
"
.
Cosi
'
,
non
resta
che
attendere
le
prossime
mosse
di
Bettino
,
il
Leone
.
Nel
certificato
firmato
dal
medico
tunisino
c
'
e
'
scritto
che
rientrera
'
in
Italia
"
compatibilmente
con
le
sue
condizioni
di
salute
"
.
Inchallah
,
dicono
gli
arabi
.
Intanto
da
Milano
l
'
avvocato
Lo
Giudice
.
facendo
riferimento
a
gravi
problemi
di
salute
.
assicura
che
"
non
appena
sara
'
in
grado
di
farlo
,
Craxi
si
presentera
'
"
.
Grigo
e
Ghitti
,
che
finora
non
hanno
ricevuto
richieste
dal
pool
per
ulteriori
provvedimenti
restrittivi
,
esaminano
le
convenzioni
con
la
Tunisia
nel
caso
dovesse
rendersi
necessaria
l
'
estradizione
.
StampaQuotidiana ,
Buscetta
parla
con
voce
ferma
,
pacata
.
Quale
che
sia
la
domanda
che
gli
si
rivolge
,
non
si
innervosisce
,
a
momenti
sembra
anzi
divertirsene
.
Come
quando
l
'
avvocato
di
Greco
gli
domanda
se
ricorda
di
essere
stato
arrestato
dalla
Guardia
di
finanza
,
il
tale
anno
,
il
tale
giorno
,
nelle
acque
di
Crotone
.
Che
cosa
vuol
dire
«
nelle
acque
»
?
domanda
Buscetta
:
a
mollo
,
sul
bagnasciuga
,
su
una
barca
?
E
poi
-
chiarito
il
senso
della
domanda
-
risponde
che
non
nelle
acque
di
Crotone
era
stato
quel
giorno
arrestato
,
ma
sulla
terraferma
di
Taranto
.
Si
sarà
benissimo
accorto
,
in
questi
giorni
,
di
aver
perduto
la
benevolenza
della
stampa
:
ma
non
sembra
darsene
pensiero
.
E
'
presumibile
che
sia
soltanto
impaziente
di
liberarsi
dell
'
incombenza
che
il
processo
di
Palermo
gli
assegna
e
di
tornarsene
negli
Stati
Uniti
dove
,
esaurito
il
suo
ruolo
di
testimone
d
'
accusa
,
spera
di
avere
-
con
altro
nome
e
altro
volto
-
una
sicura
cittadinanza
.
Benissimo
sa
pure
che
gli
basterebbe
fare
il
nome
di
un
uomo
politico
,
magari
di
un
solo
uomo
politico
,
e
preferibilmente
democristiano
,
per
riguadagnare
al
doppio
il
favore
della
stampa
.
Ma
non
lo
fa
.
Anzi
:
se
,
quando
il
giudice
gli
domanda
il
nome
dell
'
uomo
politico
che
lui
aveva
detto
di
avere
incontrato
nell
'
atrio
di
un
albergo
romano
insieme
a
Nino
Salvo
,
risponde
di
non
ricordare
,
alla
stessa
domanda
fatta
da
un
avvocato
di
parte
civile
risponde
di
non
ricordare
nemmeno
l
'
incontro
.
E
così
la
parte
civile
contribuisce
a
destituire
di
credibilità
la
testimonianza
di
Buscetta
,
che
è
l
'
operazione
cui
prevalentemente
si
dedicano
gli
avvocati
della
difesa
.
Dovrebbe
esser
chiaro
a
tutti
coloro
che
agiscono
in
questo
processo
che
tutto
quello
che
era
possibile
spremere
da
Buscetta
si
trova
negli
atti
istruttori
:
e
per
ragioni
comprensibilissime
,
considerando
la
situazione
ambientale
e
psicologica
di
un
imputato
o
testimonio
di
fronte
a
un
solo
giudice
;
del
tutto
diversa
da
quella
in
cui
viene
a
trovarsi
nel
processo
dibattimentale
.
E
non
parliamo
poi
di
quel
che
è
sempre
accaduto
nei
processi
dibattimentali
che
hanno
a
che
fare
con
la
mafia
,
in
cui
regolarmente
,
tipicamente
,
le
dichiarazioni
rese
in
istruttoria
subiscono
una
riduzione
o
negazione
.
Sperare
che
Buscetta
dica
qualcosa
di
più
è
alquanto
insensato
.
Se
mai
,
qualcosa
di
meno
:
come
di
fatto
accade
.
Invece
di
ironizzare
sul
«
cantare
»
di
Buscetta
e
sulle
sue
«
stecche
»
la
stampa
dovrebbe
fare
un
po
'
di
autocritica
sul
fatto
di
aver
creduto
e
di
aver
fatto
credere
che
Buscetta
fosse
l
'
angelo
sterminatore
incombente
sull
'
intera
mafia
siciliana
e
internazionale
.
Buscetta
è
semplicemente
un
uomo
che
ha
visto
intorno
a
sé
cadere
familiari
ed
amici
,
che
sente
in
pericolo
la
sua
vita
,
e
vuole
dalla
parte
della
legge
trovare
vendetta
e
riparo
.
Con
tutto
quel
che
la
stessa
stampa
gli
propina
sui
letali
pericoli
che
chi
parla
o
è
sul
punto
di
parlare
corre
in
Italia
,
e
persino
nelle
carceri
di
massima
sicurezza
,
è
umanamente
spiegabile
che
Buscetta
tenda
a
non
moltiplicare
il
numero
dei
suoi
nemici
,
e
specialmente
di
quei
nemici
che
ancora
«
possono
»
.
Che
poi
dai
suoi
ospiti
americani
abbia
avuto
ammonizione
a
non
far
nomi
di
politici
italiani
,
ipotesi
che
si
sente
aleggiare
tra
coloro
che
seguono
attivamente
questo
processo
,
è
anche
possibile
:
benché
viene
da
pensare
che
almeno
un
nome
,
uno
solo
,
in
questo
momento
avrebbe
fatto
gioco
a
certa
insofferenza
della
polizia
americana
nei
riguardi
dell
'
Italia
.
Peraltro
,
la
mentalità
di
Buscetta
è
perfettamente
mafiosa
:
la
sua
alleanza
con
la
legge
non
l
'
ha
per
nulla
scalfita
.
Dalla
parte
della
legge
continua
a
fare
quel
che
avrebbe
fatto
dentro
una
«
famiglia
»
ancora
capace
di
far
qualcosa
:
restituisce
i
colpi
ricevuti
,
si
vendica
.
Ed
è
appunto
perciò
credibile
in
quel
che
rivela
.
Nella
misura
,
insomma
,
per
cui
è
incredibile
non
sappia
certe
altre
cose
è
credibile
conosca
bene
e
colpisca
giusto
nelle
cose
che
afferma
.
Giustamente
si
dice
«
dissociato
»
e
non
«
pentito
»
.
Non
è
pentito
di
aver
fatto
parte
della
mafia
,
ne
coltiva
anzi
l
'
ideologia
,
la
nobiltà
:
della
mafia
,
s
'
intende
,
di
una
volta
.
Che
cosa
poi
fosse
la
mafia
di
una
volta
,
non
si
capisce
bene
.
Non
ammazzava
giudici
e
carabinieri
,
non
produceva
e
commerciava
droga
:
va
bene
.
Ma
omicidi
,
taglieggiamenti
,
usurpazioni
e
soprusi
indubbiamente
ne
faceva
.
E
c
'
è
una
impagabile
battuta
di
Buscetta
,
in
risposta
all
'
avvocato
che
gli
domanda
di
Sindona
e
di
quel
che
era
venuto
a
fare
in
Sicilia
.
Vale
la
pena
trascrivere
l
'
intera
sequenza
:
Avvocato
Maffei
:
«
Si
ricorda
per
quali
canali
avvenne
l
'
incontro
tra
Sindona
e
i
suoi
amici
Bontade
e
Inzerillo
?
»
.
Buscetta
:
«
Non
ne
parlammo
mai
...
Bontade
mi
disse
che
Sindona
era
solo
un
pazzo
...
Non
c
'
era
niente
da
parlare
»
.
Avvocato
Maffei
:
«
Ma
Sindona
parlò
di
una
rivoluzione
.
Bontade
non
era
preoccupato
di
essere
custode
di
simili
segreti
?
»
.
Buscetta
(
ridendo
)
:
«
I
segreti
di
Sindona
!
Erano
una
piuma
,
in
confronto
ai
segreti
che
aveva
Bontade
»
.
Una
piuma
,
i
segreti
di
Sindona
.
Si
può
immaginare
dì
qual
piombo
fossero
i
segreti
della
vecchia
,
buona
,
nobile
mafia
,
che
Bontade
custodiva
.
StampaQuotidiana ,
Il
comunicato
del
cosiddetto
Coordinamento
antimafia
è
la
dimostrazione
esatta
che
sulla
lotta
alla
mafia
va
fondandosi
o
si
è
addirittura
fondato
un
potere
che
non
consente
dubbio
,
dissenso
,
critica
.
Proprio
come
se
fossimo
all
'
anno
1927
.
Nel
mio
articolo
di
sabato
10
gennaio
,
c
'
era
in
effetti
soltanto
un
richiamo
alle
regole
,
alle
leggi
dello
stato
,
alla
Costituzione
della
repubblica
:
e
questo
cosiddetto
Coordinamento
-
frangia
fanatica
e
stupida
di
quel
costituendo
o
costituito
potere
-
risponde
con
una
violenza
che
rende
più
che
attendibili
le
mie
preoccupazioni
,
la
mia
denuncia
.
Ne
sono
soddisfatto
:
si
sono
consegnati
all
'
opinione
di
chi
sa
avere
un
'
opinione
,
nella
loro
vera
immagine
.
Ed
è
chiaro
che
non
da
loro
né
da
chi
sta
dietro
a
loro
-
e
ne
è
riconoscibile
(
si
dice
per
dire
)
lo
stile
-
verrà
una
radicale
lotta
alla
mafia
.
Loro
sono
affezionati
alla
"
tensione
"
,
e
si
preoccupano
che
non
cada
.
Ma
le
"
tensioni
"
sono
appunto
destinate
a
cadere
:
e
specialmente
quando
obbediscono
a
giochi
di
fazione
e
mirano
al
conseguimento
di
un
potere
.
In
quanto
al
dottor
Borsellino
,
non
ho
messo
in
discussione
la
sua
competenza
,
che
magari
può
essere
oggetto
di
discussione
per
i
suoi
colleghi
;
sono
le
modalità
della
suanomina
che
mi
sono
apparse
e
mi
appaiono
preoccupanti
.
Ed
è
proprio
nella
sentenza
di
un
processo
che
mi
pare
sia
stato
appunto
istruito
dal
dottor
Borsellino
,
sentenza
pronunciata
dalla
corte
d
'
assise
di
Palermo
,
seconda
sezione
,
íl
10
novembre
dell
'
anno
scorso
,
che
trovo
la
migliore
ragione
,
perché
non
ci
si
acquieti
agli
intendimenti
del
cosiddetto
Coordinamento
.
Una
sentenza
che
ha
mandato
assolti
gli
imputati
e
in
cui
ad
un
certo
punto
si
legge
:
"
Non
può
essere
consentito
al
giudice
lo
stravolgimento
delle
regole
probatorie
da
applicare
solo
ai
processi
di
mafia
;
necessita
sempre
un
serio
e
rigoroso
controllo
di
tutti
gli
elementi
del
reato
:
le
prove
devono
assumere
carattere
di
certezza
e
gli
indizi
devono
essere
concordanti
ed
univoci
;
non
c
'
è
ingresso
nel
processo
penale
ai
semplici
sospetti
e
alle
generiche
opinioni
.
La
lotta
concreta
al
crimine
potrà
essere
fatta
solo
con
la
seria
utilizzazione
degli
strumenti
normativi
"
.
Parole
che
credo
nessuna
persona
onesta
e
intelligente
rifiuterebbe
di
sottoscrivere
.
StampaPeriodica ,
Si
è
svolto
le
settimane
scorse
a
Urbino
,
nell
'
ambito
dei
consueti
simposi
estivi
di
semiotica
,
un
convegno
sul
pettegolezzo
.
Ne
raccoglieva
notizia
anche
Beniamino
Placido
su
la
Repubblica
di
domenica
23
luglio
,
con
alcune
riflessioni
sulle
quali
tornerò
alla
fine
.
Quanto
sto
per
dire
mi
è
venuto
alla
mente
discutendo
le
relazioni
di
Isabella
Pezzini
,
Maria
Pia
Pozzato
e
Giampaolo
Caprettini
,
e
ascoltando
gli
interventi
di
Paolo
Fabbri
,
Siri
Nergaard
e
altri
.
Non
ricordo
più
chi
abbia
detto
cosa
,
ma
il
bello
dei
convegni
è
che
alla
fine
ti
ritrovi
con
qualche
idea
in
testa
in
più
,
e
la
paternità
è
dubbia
.
Si
era
parlato
del
pettegolezzo
televisivo
,
a
cui
sono
dedicate
specifiche
trasmissioni
,
e
in
cui
si
trascina
qualcuno
a
fare
confessioni
sulla
propria
vita
privata
.
Ora
,
il
pettegolezzo
classico
,
quello
che
si
fa
nel
villaggio
,
in
portineria
o
all
'
osteria
,
è
(
era
?
)
un
elemento
di
coesione
sociale
.
Non
si
spettegola
mai
dicendo
di
qualcuno
che
è
sano
,
fortunato
e
felice
;
si
spettegola
su
un
difetto
,
un
errore
,
una
sfortuna
altrui
.
Così
facendo
gli
spettegolanti
in
qualche
modo
partecipano
alle
sventure
degli
spettegolati
(
il
pettegolezzo
non
implica
sempre
disprezzo
,
può
indurre
anche
a
compassione
)
.
Però
esso
funziona
se
gli
spettegolati
non
sono
presenti
(
altrimenti
sarebbe
solo
aggressione
)
e
non
sanno
di
essere
spettegolati
(
o
possono
salvar
la
faccia
facendo
finta
di
non
saperlo
)
.
Questo
dà
un
senso
di
potere
agli
spettegolanti
(
"
noi
sappiamo
ma
tu
non
sai
che
sappiamo
"
)
,
i
quali
debbono
essere
convinti
di
possedere
un
segreto
,
e
felici
di
possederlo
in
compagnia
di
molti
.
Quando
lo
spettegolato
mostra
di
sapere
,
di
solito
avviene
la
piazzata
(
"
brutta
linguaccia
,
so
che
vai
a
dire
in
giro
che
...
"
)
.
Avvenuta
la
piazzata
,
la
voce
è
pubblica
.
Chi
fa
la
piazzata
,
nel
momento
in
cui
ha
reagito
pubblicamente
,
ha
ratificato
il
pettegolezzo
,
anche
se
era
falso
.
Quindi
non
c
'
è
più
nulla
su
cui
spettegolare
.
Nel
pettegolezzo
televisivo
,
invece
,
non
si
parla
mai
male
di
qualcuno
che
non
c
'
è
,
perché
sarebbe
penalmente
perseguibile
,
e
perché
lo
spettacolo
ha
sapore
solo
se
è
la
vittima
che
spettegola
di
sé
,
parlando
delle
proprie
vicende
intime
.
Gli
spettegolati
sono
i
primi
a
sapere
,
e
tutti
sanno
che
essi
lo
sanno
.
Non
sono
vittime
di
alcuna
mormorazione
.
Non
c
'
è
alcun
gusto
sussurrarsi
il
giorno
dopo
"
hai
sentito
che
il
Tale
ha
ammesso
ieri
in
Tv
di
essere
cornuto
?
"
Non
c
'
è
più
segreto
.
In
secondo
luogo
non
si
può
infierire
sugli
spettegolati
(
hanno
avuto
il
coraggio
di
ammettere
)
ma
neppure
commiserarli
(
dalla
confessione
hanno
tratto
un
vantaggio
invidiabile
,
la
pubblica
esposizione
)
.
Il
bello
del
pettegolezzo
classico
era
che
,
sino
a
che
lo
spettegolato
non
si
tradiva
con
la
piazzata
,
la
mormorazione
poteva
continuare
senza
limite
.
La
comare
,
su
un
adulterio
altrui
,
poteva
campare
per
anni
.
Lo
spettatore
televisivo
,
invece
,
dopo
che
il
Tale
ha
confessato
,
non
ha
più
nulla
da
sapere
.
E
infatti
alla
prossima
puntata
del
programma
occorrerà
che
qualcun
altro
cominci
di
nuovo
,
autospettegolandosi
.
Così
ogni
giorno
c
'
è
un
pettegolezzo
nuovo
,
che
muore
appena
reso
pubblico
,
e
i
pettegolezzi
precedenti
si
sono
ormai
autodistrutti
.
La
Tv
ha
ucciso
il
pettegolezzo
,
che
pure
aveva
importanti
funzioni
sociali
.
Placido
,
riprendendo
Blackmur
,
suggeriva
che
il
mito
fosse
un
pettegolezzo
stagionato
.
Probabilmente
i
miti
sono
nati
come
pettegolezzi
,
perché
servivano
a
familiarizzarci
con
gli
dei
,
compiangendone
o
condannandone
miserie
e
magagne
(
varrà
la
pena
di
osservare
che
le
religioni
monoteistiche
non
consentono
il
pettegolezzo
,
che
al
massimo
diventa
atto
blasfemo
,
falso
e
bugiardo
)
.
Dovremmo
dire
che
il
mito
,
essendo
racconto
pubblico
,
non
avrebbe
dovuto
dare
agli
spettegolanti
il
gusto
di
possedere
alcun
segreto
.
Ma
forse
il
poeta
tragico
era
colui
che
metteva
gli
spettatori
nello
stato
d
'
animo
di
chi
ascolta
un
segreto
per
la
prima
volta
,
e
ciascuno
si
sentiva
spaventosamente
e
gloriosamente
solo
sulle
gradinate
affollate
dell
'
anfiteatro
.
E
questo
deve
avere
a
che
fare
in
qualche
modo
con
la
catarsi
,
anche
se
non
mi
azzardo
a
proporne
nuove
interpretazioni
.
Dovremo
dire
allora
che
il
cosiddetto
pettegolezzo
televisivo
-
se
pure
non
è
pettegolezzo
-
ha
qualcosa
a
che
vedere
con
il
mito
?
Credo
proprio
di
no
.
Il
mito
prende
un
essere
divino
,
superiore
a
noi
e
,
spettegolandone
,
ci
dice
che
in
fondo
è
per
molti
versi
uguale
a
noi
.
La
trasmissione
televisiva
prende
un
essere
uguale
a
noi
e
,
spettegolandone
,
ci
dice
che
proprio
per
questo
dovremmo
considerarlo
una
divinità
.
Non
escludo
che
qualche
spettatore
sottosviluppato
possa
confondere
queste
due
dinamiche
.
Ma
forse
la
memoria
di
Venere
,
che
tradisce
Vulcano
,
ha
la
possibilità
di
durare
più
a
lungo
di
quella
dell
'
ultimo
autolesionista
visto
sullo
schermo
.
StampaPeriodica ,
Chiedo
scusa
al
lettore
,
ma
per
una
volta
devo
cominciare
parlando
di
me
.
Sono
nato
a
Beirut
(
da
una
famiglia
ebraica
)
e
,
benché
risieda
in
Italia
fin
dalla
più
tenera
infanzia
,
il
nome
straniero
accompagnato
sui
documenti
d
'
identità
all
'
indicazione
di
quella
città
insanguinata
procura
immancabilmente
-
quando
io
li
debba
mostrare
ad
un
qualche
controllo
-
istintivi
sospetti
,
soste
prolungate
,
accurate
ispezioni
.
Per
una
volta
,
dunque
,
ho
utilizzato
il
mio
nome
e
il
mio
scomodo
luogo
di
nascita
a
un
utile
scopo
:
percorrere
l
'
Italia
(
Razzista
?
Spaventata
?
Generosa
?
Ospitale
?
)
lungo
l
'
itinerario
tipico
di
un
immigrato
clandestino
,
con
la
barba
lunga
ed
un
abbigliamento
adatto
.
È
una
striscia
di
mare
da
niente
,
solo
138
chilometri
,
ma
divide
il
Sud
dal
Nord
del
mondo
,
e
attraversarla
dalla
Tunisia
alla
Sicilia
è
un
po
'
come
passare
il
Rio
Grande
a
El
Paso
,
dal
Messico
al
Texas
.
Fra
qualche
settimana
Roma
imporrà
il
visto
-
e
allora
bisognerà
pagare
caro
i
pescherecci
disponibili
al
trasbordo
clandestino
-
ma
per
ora
lo
sbarco
a
Trapani
o
a
Palermo
richiede
in
tutto
poco
meno
di
cinquantamila
lire
per
il
biglietto
.
Basta
un
'
occhiata
veloce
al
registro
dei
ricercati
e
degli
indesiderabili
,
poi
il
timbro
d
'
ingresso
arriva
puntuale
sull
'
ennesimo
passaporto
tunisino
,
algerino
,
marocchino
.
Molti
marocchini
da
Trapani
prenderanno
il
pullman
per
Palermo
,
sperando
di
trovare
un
letto
al
loro
solito
albergo
Diana
di
via
Roma
e
ritirando
subito
i
primi
accendini
,
orologi
,
tappeti
dai
grossisti
di
via
Bandiera
,
quelli
che
in
pegno
ti
chiedono
il
passaporto
.
Quasi
tutti
i
tunisini
,
invece
,
cercheranno
di
rendere
meno
brusco
il
trapasso
andando
col
treno
a
far
sosta
nella
loro
colonia
di
Mazara
del
Vallo
.
Li
seguo
.
Penetro
le
viuzze
dietro
al
porto
dei
pescherecci
e
incontro
suor
Margherita
Fortuna
,
una
fiorentina
che
si
sforza
di
aiutare
gli
stranieri
clandestini
almeno
quando
sono
vecchi
o
malati
.
«
Sorella
,
non
c
'
è
un
centro
di
prima
accoglienza
,
un
dormitorio
?
»
«
Non
c
'
è
niente
,
bisogna
arrangiarsi
con
l
'
ospitalità
degli
altri
cinquemila
tunisini
già
entrati
nelle
case
abbandonate
o
affittate
dagli
italiani
.
»
«
Neanche
una
pensione
?
»
«
Una
volta
a
chi
arrivava
qui
senza
parenti
,
consigliavo
le
camere
di
una
signora
,
in
fondo
a
via
Giotto
.
Ma
poi
ci
ho
litigato
,
ammucchiava
la
gente
come
bestie
su
due
piani
abusivi
senza
vetri
e
senza
porte
,
gli
diceva
di
procurarsi
da
sé
brandine
e
pagliericci
e
per
giunta
si
lamentava
che
erano
sporchi
e
le
distruggevano
la
casa
.
»
Vado
in
via
Giotto
la
sera
di
lunedì
13
gennaio
e
trovo
uno
stabile
piuttosto
nuovo
,
anonimo
,
senza
insegne
,
lontano
dalle
case
fatiscenti
e
terremotate
della
vecchia
casbah
.
Sotto
il
portone
due
ragazzi
arabi
mi
confermano
che
lì
si
fa
pensione
e
che
la
proprietaria
è
una
vedova
energica
e
robusta
,
la
signora
Roccafiorita
.
Con
me
non
perde
tempo
:
«
Via
,
via
,
di
questi
tempi
non
ci
si
può
fidare
,
qui
siamo
tutti
parenti
,
prendo
solo
gente
conosciuta
»
.
Il
giorno
dopo
,
quando
riuscirò
a
entrarci
grazie
ai
buoni
uffici
di
un
vecchio
residente
,
troveranno
conferma
le
peggiori
descrizioni
della
suora
,
e
la
vedova
mostrerà
con
disappunto
l
'
ultimo
piano
diroccato
che
ora
tiene
vuoto
,
ma
che
vorrebbe
affittare
ad
una
famiglia
tunisina
con
donne
al
seguito
:
«
Gli
uomini
soli
bevono
,
litigano
,
si
picchiano
e
sfasciano
tutto
»
.
Intanto
lo
spilungone
dall
'
aria
molto
derelitta
e
dalla
pelle
molto
scura
che
mi
riaccompagna
verso
il
molo
giura
che
quella
lì
è
un
'
ottima
pensione
,
quasi
di
lusso
,
roba
da
diecimila
lire
a
notte
,
secondo
lui
.
In
quanti
per
stanza
?
Cinque
o
sei
,
ma
solo
di
nazionalità
tunisina
.
È
gentile
,
per
consolarmi
mi
offre
di
andare
a
dormire
nella
sua
stanza
dietro
al
porto
,
ma
-
lo
confesso
-
sono
impedito
dal
suo
indelebile
,
nauseabondo
odore
di
stiva
di
peschereccio
,
là
dove
forse
si
sbudellano
i
pesci
da
surgelare
.
Se
anche
questo
è
razzismo
,
ne
sarò
subito
punito
:
per
sbaglio
una
donna
mi
rovescia
addosso
sul
molo
l
'
acqua
in
cui
stavano
a
bagno
i
suoi
pesci
morti
.
Ora
la
mia
somiglianza
con
gli
immigrati
è
ancora
più
completa
.
Martedì
sera
,
14
gennaio
,
il
circolo
dei
biliardini
è
stranamente
meno
affollato
del
solito
.
«
Molti
ragazzi
preferiscono
non
rischiare
.
Sanno
che
la
nave
per
Tunisi
parte
il
mercoledì
,
e
dunque
se
la
polizia
ha
l
'
ordine
di
espellere
un
po
'
di
gente
viene
qui
a
fare
la
retata
una
sera
prima
»
mi
spiegano
.
Mohamed
Bazine
,
il
gestore
,
si
fa
chiamare
Roberto
e
mi
dà
buoni
consigli
.
Evitare
l
'
inutile
passeggio
lungo
il
molo
perché
tanto
sui
400
pescherecci
trovano
lavoro
solo
i
più
robusti
e
sperimentati
.
Meglio
provare
a
vendersi
la
mattina
presto
di
fronte
al
tabaccaio
di
Porta
Palermo
oppure
sulla
piazza
di
Campobello
per
una
giornata
di
lavoro
in
campagna
,
anche
se
non
è
la
stagione
migliore
.
A
meno
che
uno
abbia
la
forza
di
andare
a
tagliare
e
caricare
«
cantuni
»
,
cioè
massi
di
tufo
,
nelle
«
perriere
»
,
le
cave
tra
Marsala
e
Mazara
(
«
quelli
sono
come
gli
schiavi
»
mi
aveva
però
avvertito
suor
Margherita
,
pensando
agli
stranieri
che
poi
si
fermano
a
dormire
lì
di
fianco
alle
cave
,
nelle
grotte
o
nei
ruderi
di
muratura
)
.
«
Schiavi
?
Perché
offenderli
?
»
si
inquieta
Roberto
.
«
Nessuna
vita
è
schifosa
,
se
uno
se
la
sceglie
,
e
loro
,
soli
,
senza
famiglia
,
scelgono
di
risparmiare
.
Dormono
sulla
paglia
,
è
vero
,
col
tetto
aperto
,
ma
hanno
le
coperte
e
quindi
non
soffrono
il
freddo
.
»
L
'
indomani
un
nuovo
amico
,
Habib
,
mi
accompagnerà
a
Santo
Padre
delle
perriere
,
dove
la
terra
è
piena
di
buchi
come
una
gruviera
.
I
neri
,
sotto
l
'
occhio
vigile
dei
loro
padroncini
,
ne
scavano
le
pareti
con
la
sega
elettrica
fino
a
tagliare
dei
«
cantuni
»
da
costruzione
perfettamente
regolari
.
Poi
bisogna
sollevarli
con
delicatezza
uno
a
uno
(
pesano
decine
di
chili
)
,
levigarli
e
caricarli
a
mano
.
Si
lavora
dieci
ore
al
giorno
,
si
possono
guadagnare
duecentomila
lire
alla
settimana
.
Il
massimo
,
per
uno
straniero
.
Intanto
la
nostra
discussione
ha
attirato
Ayed
,
un
ragazzo
dalla
pelle
chiara
,
detto
Maradona
per
via
della
sua
pettinatura
.
Suo
cugino
è
in
mare
col
peschereccio
,
se
voglio
per
stanotte
c
'
è
un
letto
libero
,
all
'
ultimo
portone
di
via
Guido
Cavalcanti
.
«
Gheddafi
?
Chiddu
non
mi
piace
,
chiddu
tiniri
i
fimmine
divisi
dalli
masculi
...
»
Ayed
-
Maradona
,
aiuto
-
cuoco
in
un
ristorante
di
Marsala
,
ha
imparato
a
parlare
il
dialetto
ma
non
l
'
italiano
.
È
un
giovanotto
fortunato
,
Ayed
.
Il
suo
padrone
gli
passa
600
mila
lire
al
mese
,
d
'
estate
qualche
volta
lo
porta
con
la
Bmw
in
una
discoteca
di
Trapani
,
poi
lo
fa
dormire
nella
cucina
del
ristorante
.
In
cambio
,
se
arriva
l
'
ispezione
della
polizia
,
Ayed
dichiara
di
essere
solo
un
amico
.
Abita
in
una
casa
di
recente
costruzione
,
di
quelle
mai
del
tutto
completate
eppure
già
degradate
.
Nessun
armadio
,
pochi
indumenti
di
ricambio
appesi
al
muro
.
La
finestra
con
il
vetro
rotto
,
la
lampadina
nuda
che
pende
dal
soffitto
,
il
vecchio
frigorifero
arrugginito
.
Spoglio
più
ancora
di
una
cella
carceraria
,
è
un
dormitorio
occasionale
al
punto
che
Ayed
non
ha
un
giaciglio
suo
abituale
,
ma
sceglie
a
caso
fra
le
quattro
brandine
notte
per
notte
.
Notti
animate
da
arrivi
improvvisi
,
chiacchiere
e
risate
fino
alle
ore
piccole
quando
i
primi
cominciano
ad
alzarsi
per
cercare
«
servizio
»
.
E
poi
magari
il
rumore
di
un
sasso
lanciato
sulla
tapparella
:
allora
si
sbircia
per
controllare
chi
cerca
un
letto
nel
cuore
della
notte
e
se
è
una
persona
sgradita
si
fa
finta
che
non
ci
sia
nessuno
.
L
'
odore
di
fogna
che
viene
dalle
tubature
del
cesso
impregna
tutta
la
casa
.
Meglio
coricarsi
,
vestiti
e
con
le
coperte
fin
sulla
testa
a
proteggersi
dal
freddo
.
Domattina
sveglia
alle
cinque
e
mezza
per
cercare
«
servizio
»
.
Mercoledì
15
gennaio
,
prima
dell
'
alba
.
Ci
si
vende
sulla
piazza
di
Campobello
,
la
frazione
agricola
di
Mazara
,
sotto
il
cartello
dell
'
Agip
,
di
fianco
alla
locandina
dell
'
ennesimo
cinema
porno
oppure
di
fronte
,
dove
c
'
è
l
'
ingresso
della
Cassa
Rurale
.
Saremo
una
ventina
,
dritti
,
immobili
e
silenziosi
come
prostitute
.
Sto
con
alcuni
ragazzi
che
ho
visto
la
sera
prima
al
circolo
,
hanno
tutti
l
'
alito
inacidito
dal
vino
bevuto
di
prima
mattina
.
Io
preferisco
il
cappuccino
,
ma
quando
la
padrona
del
bar
Mericaff
si
accorge
che
sono
un
italiano
subito
si
sfoga
:
«
Io
ho
paura
,
non
se
ne
può
più
,
se
Iddio
facesse
la
grazia
di
lasciarcene
solo
qualcuno
di
quelli
bravi
,
selezionati
e
si
portasse
via
tutti
gli
altri
!
Questi
si
ubriacano
tutto
il
tempo
,
hanno
violentato
una
ragazza
»
.
«
Davvero
?
Qui
a
Campobello
?
»
«
No
,
a
Castelvetrano
,
ma
può
sempre
succedere
.
Non
sono
razzista
,
anch
'
io
sono
emigrata
in
Svizzera
e
però
lì
erano
duri
,
chi
sgarrava
veniva
sbattuto
via
.
»
Torno
sul
marciapiede
.
Una
131
che
ne
prende
su
tre
caricherebbe
anche
me
.
«
Quanto
?
»
«
Ventimila
come
tutti
gli
altri
,
è
un
lavoro
leggero
,
c
'
è
solo
da
potare
la
vite
.
»
«
No
,
è
poco
,
non
mi
va
»
.
E
gli
altri
si
voltano
stupiti
di
questa
rivolta
,
mentre
l
'
autista
neanche
mi
risponde
e
dà
un
'
accelerata
col
suo
carico
umano
infreddolito
.
A
chi
non
ci
sta
,
resta
una
sola
alternativa
:
salire
su
un
treno
ed
emigrare
ancora
più
a
nord
.
Ci
vogliono
più
di
venti
ore
di
viaggio
per
arrivare
a
Roma
,
capitale
dell
'
immigrazione
clandestina
(
con
i
suoi
presunti
centomila
irregolari
)
,
città
che
la
strage
di
Fiumicino
ha
reso
ostile
nei
confronti
di
chi
ha
la
pelle
nera
od
olivastra
e
che
comunque
non
è
più
da
tempo
in
grado
di
dare
lavoro
.
Chi
,
come
me
,
la
considera
solo
una
tappa
del
viaggio
verso
nord
,
non
può
che
mantenersi
a
ridosso
di
quell
'
epicentro
della
disperazione
che
è
la
stazione
Termini
.
Saremo
in
un
centinaio
a
dover
passare
la
notte
,
fortunatamente
tiepida
,
alla
stazione
.
Quasi
tutti
arabi
e
neri
,
ricomparsi
alla
spicciolata
nell
'
atrio
della
biglietteria
dopo
che
si
è
allontanata
la
speciale
roulotte
di
sorveglianza
piazzata
lì
di
fronte
dalla
polizia
.
Ma
alle
ventitré
i
barboni
italiani
,
sicuri
di
non
venir
più
disturbati
,
ed
esperti
conoscitori
di
ogni
anfratto
,
hanno
già
occupato
i
posti
migliori
.
In
via
Giolitti
,
quella
dell
'
air
terminal
,
hanno
trovato
degli
ottimi
cartoni
semi
-
nuovi
con
su
scritto
«
Fragile
»
.
A
vederli
si
direbbe
che
lì
dentro
non
c
'
è
nessuno
,
non
fosse
che
per
un
piede
che
spunta
.
Sull
'
altro
lato
,
invece
,
in
via
Marsala
,
gli
ambitissimi
balconcini
con
le
grate
di
aerazione
che
soffiavano
aria
calda
sono
stati
da
tempo
carognescamente
bloccati
con
obliqui
coperchi
di
lamiera
,
per
cui
nemmeno
un
equilibrista
ci
si
potrebbe
distendere
più
.
Restano
dunque
i
pur
sempre
comodi
sedili
di
plastica
dell
'
atrio
,
che
oltretutto
sono
al
chiuso
,
su
cui
accartocciarsi
,
magari
tirandosi
sulla
testa
un
maglione
a
collo
alto
fino
a
nasconderla
completamente
.
Di
fronte
ho
una
vecchia
eritrea
senza
calze
,
con
i
capelli
candidi
,
licenziata
l
'
anno
scorso
da
colf
.
Di
fianco
un
ragazzo
tunisino
che
domani
vuole
continuare
il
viaggio
,
non
sa
neppure
bene
lui
per
dove
,
e
quindi
trova
stupido
spendere
i
soldi
per
una
pensione
.
Siamo
tutti
disturbati
da
un
algerino
alto
e
robusto
che
non
smette
un
attimo
di
offrirci
sigarette
,
passeggia
con
la
bottiglia
in
mano
,
grida
in
un
miscuglio
di
francese
,
arabo
e
italiano
,
sputa
dappertutto
.
Sarà
la
nostra
colonna
sonora
molto
a
lungo
.
Ma
intanto
,
all
'
una
meno
dieci
,
i
primi
appisolamenti
sono
bruscamente
interrotti
da
un
ferroviere
che
si
mette
a
gridare
«
Fuori
!
»
,
«
Closed
»
.
Così
,
all
'
aperto
,
ricomincia
un
brulichio
umano
disperato
.
Si
tratta
di
resistere
tre
ore
:
alle
quattro
la
stazione
riapre
.
Ma
sono
le
ore
della
disperazione
,
è
qui
che
-
in
caso
di
freddo
e
pioggia
-
si
organizzano
le
comitive
per
cercare
rifugio
in
qualche
vagone
.
Passeggio
per
piazza
dei
Cinquecento
,
incontro
i
primi
omosessuali
che
vengono
fin
sotto
la
vetrata
di
Termini
,
là
dove
c
'
è
il
posteggio
dei
taxi
,
a
rimorchiare
con
sguardi
disperati
i
ragazzi
arabi
desiderosi
di
un
letto
purchessia
.
Davanti
al
tabaccaio
di
turno
,
urto
per
sbaglio
un
tipo
grande
e
grosso
:
«
Sta
'
attento
,
mao
mao
!
»
impreca
.
Quando
un
poliziotto
sardo
delle
tante
pattuglie
che
ronzano
per
la
piazza
mi
ferma
e
m
'
identifica
,
ricevo
la
seguente
spiegazione
:
«
È
ovvio
che
nella
sorveglianza
se
si
deve
chiudere
un
occhio
è
per
il
vecchietto
italiano
che
dorme
,
poverino
.
Per
gli
stranieri
invece
è
diverso
,
con
tutti
i
casini
che
stanno
facendo
di
questi
tempi
»
.
Alle
tre
siamo
quasi
tutti
accucciati
sotto
la
tettoia
,
anzi
,
chissà
come
,
stiamo
aumentando
di
numero
.
Le
grida
gutturali
dell
'
ubriaco
non
si
spengono
mai
.
Lui
,
un
posto
per
dormire
le
prossime
sere
l
'
ha
trovato
poco
più
tardi
,
quando
,
chissà
perché
,
s
'
è
avventato
su
uno
qualunque
dei
tanti
mucchi
di
cartone
e
ha
preso
a
calci
in
testa
un
barbone
italiano
.
Le
pantere
della
polizia
se
lo
sono
portato
via
,
insieme
a
un
distributore
di
giornali
che
farà
da
testimone
e
al
barbone
tutto
insanguinato
.
Ora
c
'
è
più
silenzio
.
L
'
ufficio
stranieri
della
questura
di
Milano
per
fortuna
non
richiede
le
famigerate
file
dalle
cinque
del
mattino
necessarie
a
Roma
.
Ma
pure
in
questi
giorni
vi
si
coglie
il
nervosismo
tipico
dei
reparti
sotto
pressione
.
Sento
protestare
nella
stanza
accanto
:
«
Ma
chi
è
che
ci
dà
certe
segnalazioni
?
Siamo
andati
in
quattro
pantere
a
piazza
Aspromonte
per
trovarci
solo
uno
jugoslavo
e
un
altro
straniero
segnato
sul
registro
.
Questo
è
spreco
!
»
.
C
'
è
chi
dice
che
dopo
la
strage
di
Fiumicino
le
espulsioni
di
stranieri
irregolari
sono
già
state
duemila
in
tutta
Italia
,
di
certo
solo
a
Milano
si
firmano
cinquemila
fogli
di
via
all
'
anno
(
ma
sono
quasi
tutti
solo
dei
pezzi
di
carta
:
se
non
viene
proprio
espulso
-
a
spese
dello
Stato
-
lo
straniero
mica
se
ne
va
)
.
Si
avverte
la
polemica
con
la
Curia
che
protegge
i
clandestini
:
«
Dandogli
da
dormire
anche
se
sono
fuorilegge
credono
di
aiutarli
,
e
invece
aiutano
chi
li
sfrutta
»
.
C
'
è
un
fondo
di
verità
anche
in
questi
discorsi
poco
pietosi
:
se
per
strada
forse
non
ho
incontrato
il
razzismo
classico
dei
tedeschi
e
dei
francesi
,
non
ci
sarà
invece
una
certa
predisposizione
allo
schiavismo
,
a
far
soldi
con
disinvoltura
sulla
disperazione
altrui
?
Me
lo
chiedo
dopo
essere
sceso
con
molti
altri
marocchini
dal
tram
33
davanti
alla
SOCOR
di
via
Morgagni
,
nei
pressi
della
casbah
di
Porta
Venezia
.
I
gestori
napoletani
buttano
a
piene
mani
sul
banco
orologi
,
pinze
per
batterie
,
calcolatorini
,
portachiavi
sonori
,
qualche
sveglia
...
I
marocchini
scelgono
con
una
cura
che
appare
patetica
,
visto
che
poi
tanto
riusciranno
a
vendere
quasi
solo
accendini
.
Dopo
che
hanno
chiuso
l
'
albergo
Nazionale
-
quello
la
cui
proprietaria
sequestrava
i
passaporti
dei
debitori
-
a
Sesto
San
Giovanni
mi
hanno
consigliato
l
'
alloggio
Il
Ponte
,
vicolo
Baldanza
.
Ma
il
proprietario
è
secco
:
«
Niente
stranieri
,
non
ne
prendo
più
.
Mi
dispiace
,
ci
saranno
anche
dei
bravi
ragazzi
,
ma
litigano
e
poi
danno
rogne
»
.
Dice
solo
una
mezza
verità
,
perché
lui
gli
stranieri
li
ha
cacciati
,
sì
,
quasi
tutti
,
meno
Franco
,
camera
numero
3
.
Franco
si
chiama
Busheib
Jakini
,
è
un
marocchino
di
Casablanca
senza
la
gamba
destra
che
cammina
per
Sesto
con
la
sua
stampella
arrugginita
,
e
che
da
anni
ogni
sera
gli
paga
14
mila
lire
di
pensione
.
Eppure
Franco
è
anche
un
fortunato
,
perché
lui
ormai
ha
il
suo
posto
di
vendita
fisso
alla
stazione
della
metropolitana
.
Vende
-
anzi
,
oggi
,
venerdì
17
gennaio
vendiamo
insieme
-
pullover
e
pantaloni
con
su
l
'
etichetta
di
Armani
o
Coveri
.
Il
prezzo
è
di
35
mila
lire
a
capo
,
a
meno
che
veda
un
poveretto
come
lui
,
e
allora
gli
fa
lo
sconto
.
Quando
ha
tolto
le
400
mila
e
più
della
pensione
,
di
lire
gliene
restano
appena
per
mangiare
.
Qualcuno
compra
per
amicizia
,
per
carità
.
Ma
non
adesso
,
che
sono
appena
passate
le
feste
.
Si
avvicina
un
giovanotto
dalla
giacca
a
vento
azzurra
:
«
Allora
Gheddafi
,
madonna
sei
proprio
identico
a
Gheddafi
,
non
ti
hanno
ancora
cacciato
via
?
»
.
«
Tu
parlare
sempre
fuori
posto
.
Gheddafi
ha
i
miliardi
,
io
non
ho
i
miliardi
.
»
«
Come
no
?
Chissà
perché
voi
marocchini
siete
come
gli
ebrei
,
avete
sempre
le
tasche
piene
di
questi
!
»
e
fa
il
segno
dei
quattrini
con
le
dita
,
mettendogli
l
'
altra
mano
sulla
spalla
.
Insiste
:
«
Ehi
,
Busheib
Jakini
,
dove
hai
messo
le
tue
quattordici
mogli
?
Non
sai
che
non
puoi
averne
più
di
quattro
,
che
se
no
ti
tagliano
il
"
zeb
"
?
E
cos
'
è
,
oggi
ti
sei
portato
l
'
amico
?
»
.
Ride
,
poi
timbra
il
biglietto
e
se
ne
va
.
«
Fa
così
tutti
i
giorni
,
due
volte
al
giorno
»
mi
confesserà
con
disagio
Franco
,
che
non
ha
altri
nemici
se
non
i
vigili
urbani
:
se
ti
sequestrano
la
merce
per
vendita
senza
licenza
,
con
quali
soldi
ne
comprerai
dell
'
altra
?
Per
questo
lui
,
che
è
mutilato
e
non
può
scappare
veloce
,
ha
scelto
í
pantaloni
al
posto
degli
accendini
.
Si
nascondono
in
valigia
molto
più
in
fretta
.
Al
mercato
di
Sesto
San
Giovanni
,
il
sabato
mattina
,
funziona
invece
un
buon
servizio
di
vedetta
.
Appena
un
vigile
compare
in
lontananza
,
la
merce
si
nasconde
dietro
un
'
auto
in
sosta
.
Ad
ogni
potenziale
acquirente
,
poi
,
vibra
un
«
pregoo
»
che
suona
come
un
'
implorazione
.
Così
,
gli
accendini
e
i
ricambi
di
gas
vanno
discretamente
.
E
stasera
si
andrà
tutti
in
mezzo
alla
folla
di
corso
Buenos
Aires
:
«
Dove
c
'
è
ressa
comprano
più
facilmente
»
.
Già
,
se
non
altro
per
eliminare
il
disagio
di
un
marocchino
sempre
intorno
.
Questo
disagio
dei
passanti
,
pietoso
o
disgustato
,
derivato
dal
contatto
con
una
realtà
sempre
più
invadente
oltreché
limitrofa
,
mi
appare
come
una
possibile
premessa
di
quel
nuovo
,
moderno
antisemitismo
,
che
del
semitismo
avversa
anche
il
ceppo
arabo
oltre
che
quello
ebraico
,
prendendo
le
distanze
da
un
mondo
considerato
inferiore
,
sporco
,
inquinante
.
«
Sì
,
qualche
volta
sono
stato
anche
da
fratel
Ettore
,
però
è
meglio
dormire
all
'
aperto
.
Lì
si
dorme
e
si
mangia
gratis
ma
c
'
è
della
brutta
gente
,
con
la
testa
mica
a
posto
»
mi
aveva
avvertito
Franco
.
Ma
la
sera
di
sabato
18
gennaio
vado
lo
stesso
in
via
Sammartini
,
proprio
sul
fondo
,
nel
ventre
oscuro
e
riparato
della
Stazione
Centrale
,
fra
sotterranei
e
binari
morti
,
là
dove
fratel
Ettore
,
a
differenza
di
quanto
accade
nel
dormitorio
comunale
di
viale
Ortles
,
non
chiede
agli
stranieri
se
hanno
il
permesso
di
soggiorno
.
C
'
è
una
specie
di
rete
di
pollaio
che
divide
i
barboni
buoni
da
quelli
cattivi
,
ubriachi
,
urlanti
.
Se
hai
l
'
aria
calma
,
gli
(
eroici
)
volontari
cattolici
aprono
con
cautela
un
lucchetto
e
ti
fanno
passare
.
Gli
altri
,
i
«
pericolosi
»
che
assediano
la
rete
,
ti
lanciano
sguardi
d
'
odio
e
alimentano
il
grande
falò
che
,
notte
dopo
notte
,
ha
rinsecchito
il
salice
piangente
sotto
cui
s
'
accovacciano
.
Vado
dentro
.
Sembra
una
caverna
,
questo
grande
archivolto
,
ex
rifugio
antiaereo
,
tappezzato
con
vari
spezzoni
di
linoleum
e
di
ondulex
,
con
sulla
destra
il
deposito
della
biancheria
sporca
,
sulla
sinistra
i
cessi
,
in
mezzo
i
tavoli
e
tutto
intorno
dei
divani
rimediati
chissà
dove
con
i
vecchi
che
ci
dormono
già
.
Questa
è
la
casa
dei
malati
di
mente
,
dei
vecchi
dalle
barbe
di
lunghezza
inverosimile
,
ma
soprattutto
degli
stranieri
annichiliti
dall
'
incapacità
di
vivere
.
C
'
è
l
'
egiziano
con
un
incredibile
orecchino
che
cerca
di
fregarmi
dalla
tasca
il
berretto
di
lana
.
Altri
si
disputano
una
sciarpa
per
la
notte
.
Un
tunisino
s
'
è
impietrito
davanti
alla
sala
dormitorio
,
con
un
sorriso
ebete
.
Ilsuo
amico
insiste
,
aspetta
che
entri
:
«
Ma
cosa
vuoi
?
Che
ti
spogli
io
?
Vuoi
dormire
in
piedi
?
»
.
Ma
quello
non
si
sposta
,
non
risponde
.
Già
per
due
sere
consecutive
sono
venuti
i
carabinieri
a
setacciare
gli
immigrati
clandestini
,
e
gli
ospiti
italiani
del
dormitorio
ne
sono
soddisfatti
:
«
Lo
vedi
quel
fazzoletto
nuovo
per
terra
?
Lo
ha
chiesto
uno
di
quelli
,
solo
che
non
sa
come
si
usa
e
lo
ha
subito
buttato
via
.
Cosa
credi
,
che
se
vado
a
chiederne
uno
io
me
lo
danno
,
il
fazzoletto
?
»
.
«
Io
facevo
il
cameriere
,
e
se
sono
finito
qui
è
perché
quelli
mi
hanno
rubato
il
lavoro
.
»
«
Si
vede
che
gli
italiani
ci
hanno
scritto
in
fronte
che
sanno
arrangiarsi
,
e
invece
gli
arabi
bisogna
aiutarli
.
»
«
Alla
Stazione
Centrale
da
quando
ci
sono
gli
stranieri
non
si
può
più
passare
la
notte
in
pace
,
ma
finalmente
la
polizia
ha
cominciato
a
beccarli
per
bene
!
»
Saremo
in
ottanta
,
nel
dormitorio
tappezzato
con
le
scritte
in
scotch
rosso
dei
dieci
comandamenti
,
quando
si
apre
una
porta
a
soffietto
e
appare
un
altare
ingenuamente
decorato
.
Non
so
se
sia
un
sacerdote
quello
strano
personaggio
,
piccolo
,
con
gli
occhi
a
mandorla
,
grembiule
blu
e
zuccotto
maghrebino
,
che
recita
in
mezzo
ai
clandestini
:
«
Al
termine
di
questo
giorno
rendiamo
grazie
a
Dio
per
quello
che
ci
ha
dato
»
.
StampaPeriodica ,
MAI
NELLA
STORIA
D
'
ITALIA
TANTO
potere
politico
si
è
concentrato
in
così
pochi
chilometri
quadrati
.
La
provincia
di
Avellino
sta
regalando
alla
patria
il
capo
del
governo
e
il
capo
del
maggiore
partito
:
Ciriaco
De
Mita
;
il
numero
due
del
maggiore
partito
,
Giuseppe
Gargani
;
il
capo
della
regione
più
importante
,
Enrico
De
Mita
,
presidente
del
Consiglio
regionale
della
Lombardia
;
il
capo
della
Rai
,
Biagio
Agnes
;
il
capo
dei
senatori
del
partito
di
maggioranza
,
Nicola
Mancino
;
il
vicepresidente
vicario
della
Camera
,
Gerardo
Bianco
;
un
potente
senatore
,
già
ministro
per
il
Mezzogiorno
,
Salverino
De
Vito
;
un
altro
senatore
,
autorevole
membro
della
direzione
del
maggiore
partito
,
Ortensio
Zecchino
.
Irpini
ad
honorem
per
contiguità
geografica
sono
altresì
il
portavoce
unico
del
partito
di
maggioranza
,
Clemente
Mastella
,
nonché
il
massimo
responsabile
dei
servizi
segreti
Angelo
Salma
.
Anche
il
direttore
de
L
'
Osservatore
Romano
,
Mario
Agnes
,
è
avellinese
.
Alcune
di
queste
cariche
si
assommano
nella
stessa
persona
,
altre
nella
stessa
famiglia
.
Il
quotidiano
di
Napoli
,
Il
Mattino
,
ha
rivelato
inoltre
,
domenica
11
dicembre
1988
,
che
la
Banca
popolare
d
'
Irpinia
-
di
cui
quasi
tutti
gli
eminenti
sopra
citati
sono
azionisti
-
sta
per
conquistare
la
leadership
sull
'
Italia
meridionale
.
Niente
male
,
per
una
provincia
che
non
arriva
a
500mila
abitanti
.
Nemmeno
Cavour
,
Francesco
Crispi
,
Giovanni
Giolitti
,
Benito
Mussolini
,
Alcide
De
Gasperi
,
Aldo
Moro
,
Bettino
Craxi
,
prima
di
Ciriaco
De
Mita
da
Nusco
,
avevano
mai
potuto
contare
su
una
squadra
così
imponente
di
conterranei
nei
posti
chiave
della
nazione
.
Cosicché
i
detrattori
di
De
Mita
parlano
adesso
di
"
clan
degli
avellinesi
"
,
mentre
i
suoi
ammiratori
si
compiacciono
per
l
'
inusitata
fertilità
dell
'
Irpinia
,
fino
a
ieri
oscura
e
povera
provincia
.
Siamo
andati
a
controllare
se
corrispondano
al
vero
alcune
maldicenze
.
Prima
fra
queste
,
che
i
63mila
miliardi
di
lire
stanziati
per
la
ricostruzione
in
Irpinia
del
1980
siano
troppi
e
malspesi
.
Poi
,
se
De
Mita
si
sia
arricchito
grazie
al
sisma
,
come
insinuano
i
comunisti
.
O
,
perlomeno
,
se
abbia
fatto
arricchire
parenti
e
amici
.
Certo
Nusco
non
è
meglio
collegata
oggi
al
resto
dell
'
Italia
di
quanto
lo
fosse
dieci
anni
fa
.
Di
treno
,
neanche
a
parlarne
:
non
solo
il
paesello
di
De
Mita
ma
Avellino
sono
pressoché
irraggiungibili
da
Napoli
in
ferrovia
,
a
meno
che
non
si
vogliano
spendere
giornate
per
percorrere
pochi
chilometri
.
La
caratteristica
dell
'
unica
ferrovia
irpina
è
avere
le
stazioni
piazzate
in
mezzo
al
nulla
,
a
vari
chilometri
di
distanza
dai
paesi
di
cui
pure
esibiscono
il
nome
.
In
corriera
la
situazione
non
migliora
:
le
2.500
lire
del
biglietto
Avellino
-
Nusco
garantiscono
solo
che
i
40
chilometri
del
tragitto
vengano
compiuti
in
circa
due
ore
.
Insomma
,
in
Irpinia
chi
non
ha
la
macchina
è
perduto
.
Per
fortuna
a
Nusco
il
visitatore
può
riposare
nel
nuovo
hotel
Colucci
,
tre
stelle
,
44
camere
.
Ammirando
dalla
terrazza
a
900
metri
di
altitudine
il
panorama
sul
massiccio
del
Vulture
,
i
monti
del
Matese
e
l
'
Appennino
Dauno
,
ci
consoliamo
per
il
freddo
(
nevica
già
da
metà
novembre
)
assaggiando
il
maiale
al
finocchietto
,
i
"
cicalucculi
"
,
ovvero
gli
gnocchi
,
nonché
il
leggendario
torrone
irpino
.
In
tutto
nell
'
hotel
ci
sono
due
ospiti
:
tecnici
romagnoli
per
la
zona
industriale
.
C
'
è
più
gente
d
'
estate
?
«
No
,
è
sempre
cose
>
,
risponde
il
proprietario
,
desolato
.
La
carenza
di
turisti
non
gli
ha
impedito
però
di
chiedere
un
contributo
di
13
miliardi
di
lire
per
la
ricostruzione
.
Oltre
al
contributo
a
fondo
perduto
del
75
per
cento
per
le
nuove
iniziative
industriali
(
l
'
aiuto
più
alto
mai
concesso
dopo
una
calamità
nel
mondo
occidentale
)
,
la
legge
pro
terremotati
provvede
anche
a
regalare
soldi
a
non
meglio
precisate
"
imprese
di
servizi
per
le
infrastrutture
"
alle
aree
industriali
.
Sui
tavoli
dell
'
Italtecna
(
il
consorzio
Iri
-
Italstat
,
quindi
Dc
,
che
dovrebbe
garantire
"
l
'
alta
vigilanza
sull
'
esecuzione
degli
interventi
"
)
è
così
piovuta
una
valanga
di
richieste
di
finanziamenti
per
alberghi
,
imprese
di
trasporti
e
perfino
per
un
centro
commerciale
per
la
vendita
di
prodotti
in
pelle
che
la
signora
Teresa
D
'
Argenio
sarebbe
lieta
di
aprire
in
Avellino
città
.
Una
città
dove
,
come
denuncia
Maurizio
Galasso
del
Wwf
,
dopo
il
terremoto
c
'
è
stata
una
rovinosa
speculazione
edilizia
:
«
E
adesso
vogliono
costruire
un
'
autostrada
che
funzionerà
da
tangenziale
per
arrivare
a
un
megacentro
commerciale
completato
da
tempo
ma
mai
aperto
.
Rovineranno
una
delle
ultime
aree
verdi
»
.
Naturalmente
,
tutto
il
fervore
economico
che
si
è
impossessato
dell
'
Irpinia
provoca
anche
benefici
indiretti
:
è
il
famoso
"
indotto
"
,
parola
magica
che
i
politici
locali
spiattellano
quando
si
fa
loro
presente
che
il
costo
per
ogni
posto
di
lavoro
creato
finora
è
di
2
miliardi
e
mezzo
di
lire
e
di
circa
un
miliardo
a
persona
.
Cifra
smentita
dal
responsabile
(
avellinese
)
dell
'
Ufficio
che
eroga
i
fondi
,
Elveno
Pastorelli
:
secondo
lui
il
costo
per
addetto
sarà
meno
di
300
milioni
di
lire
.
Ma
solo
quando
(
e
se
)
le
imprese
cominceranno
a
produrre
.
Per
ora
la
realtà
è
assai
più
preoccupante
:
«
Soldi
spesi
,
un
migliaio
di
miliardi
di
lire
.
Industrie
insediate
a
oggi
:
57
.
Posti
di
lavoro
:
380
,
invece
dei
3.500
promessi
.
Per
ottenere
il
costo
pro
capite
basta
fare
una
divisione
»
,
spiega
secco
Angelo
Giusto
,
responsabile
enti
locali
del
Pci
irpino
.
Il
quale
desume
i
suoi
dati
dalla
relazione
presentata
dallo
stesso
Pastorelli
al
Parlamento
nel
settembre
1988
,
e
aggiornata
al
luglio
1988
.
È
questa
,
ovvero
esiste
già
,
la
relazione
invocata
da
Bettino
Craxi
lunedì
12
dicembre
1988
al
posto
della
commissione
d
'
inchiesta
voluta
dalle
opposizioni
,
dal
Pli
e
accettata
perfino
dai
democristiani
.
E
l
'
indotto
?
Un
piccolo
esempio
è
il
dépliant
dell
'
hotel
Colucci
di
Nusco
,
stampato
dalla
Poligrafica
irpina
.
Questa
è
una
delle
14
industrie
che
si
sono
stabilite
nella
zona
industriale
di
Nusco
.
«
La
ricostruzione
è
stata
una
manna
»
,
spiega
Gerardo
Calabrese
,
il
proprietario
,
«
perché
prima
operavamo
già
qui
,
ma
ci
mancavano
le
infrastrutture
:
strade
,
telefoni
,
l
'
elettricità
andava
via
20
volte
al
giorno
.
Adesso
si
può
lavorare
»
.
LA
POLIGRAFICA
HA
28
DIPENDENTI
,
un
fatturato
di
circa
2
miliardi
di
lire
l
'
anno
,
e
ha
ricevuto
un
contributo
di
5
miliardi
e
mezzo
.
Accanto
c
'
è
la
Dielve
,
che
produce
vetro
ultraresistente
per
l
'
Enel
:
«
Abbiamo
iniziato
due
mesi
fa
,
abbiamo
70
dipendenti
»
,
dice
l
'
ingegner
Carmine
Tirri
.
Otto
miliardi
di
lire
li
ha
avuti
la
Dietalat
,
il
cui
stabilimento
scintilla
sotto
il
sole
di
fronte
a
un
prato
dove
pascolano
le
pecore
.
Questo
è
il
più
grosso
regalo
che
Calisto
Tanzi
,
il
padrone
della
Parmalat
e
di
Odeon
tv
,
abbia
fatto
al
suo
amico
Ciriaco
:
58
nuschesi
da
due
anni
sfornano
focaccine
e
pizze
.
Veramente
l
'
impegno
era
per
101
dipendenti
,
ma
la
legge
consente
che
il
70
per
cento
del
totale
possa
essere
raggiunto
nello
spazio
di
quattro
anni
.
«
E
adesso
»
,
annuncia
Sergio
Piccini
,
portavoce
della
Parmalat
,
«
con
il
lancio
della
tortafrutta
faremo
35
assunzioni
a
tempo
determinato
»
.
Un
regalo
ancora
più
grande
,
però
,
è
stato
Ciriaco
a
farlo
.
A
se
stesso
:
la
più
imponente
delle
otto
nuove
aree
industriali
in
provincia
di
Avellino
sarà
questa
di
Nusco
,
con
200
miliardi
di
lire
di
contributi
alle
14
aziende
(
che
promettono
a
pieno
regime
980
addetti
)
,
accompagnati
da
investimenti
in
superstrade
,
elettrodotti
,
acquedotti
.
Inoltre
sono
vicinissime
a
Nusco
anche
altre
due
aree
industriali
:
quelle
di
Sant
'
Angelo
dei
Lombardi
(
due
imprese
,
178
addetti
,
29
miliardi
di
lire
di
contributi
)
e
Morra
De
Sanctis
(
cinque
imprese
,
594
addetti
,
95
miliardi
di
lire
)
.
Guarda
caso
,
a
Morra
De
Sanctis
è
nato
Giuseppe
Gargani
,
53
anni
,
da
sempre
fedelissimo
di
De
Mita
,
presidente
della
commissione
Giustizia
alla
Camera
(
nel
1987
)
,
e
soprattutto
-
da
quando
in
aprile
Ciriaco
è
diventato
presidente
del
Consiglio
-
coordinatore
della
segreteria
Dc
.
Cioè
,
numero
due
del
partito
.
A
Morra
si
è
verificato
l
'
ormai
celebre
fiasco
della
Tormene
,
che
avrebbe
dovuto
produrre
barche
in
un
cantiere
piantato
in
mezzo
ad
aspre
montagne
.
Costo
per
il
contribuente
:
più
di
4
miliardi
di
lire
.
Ma
neanche
le
altre
tre
iniziative
(
Fisa
,
Flexplan
e
Teletecnica
)
hanno
avuto
sorte
migliore
:
nonostante
abbiano
ingoiato
16
miliardi
di
lire
di
contributi
,
rimangono
fantasmi
.
Allora
l
'
anno
scorso
è
intervenuta
,
provvidenziale
,
l
'
Aeritalia
di
Napoli
(
che
nella
lottizzazione
delle
Partecipazioni
statali
spetta
alla
Dc
)
,
la
quale
,
in
cambio
di
75
miliardi
di
lire
,
promette
di
creare
360
posti
di
lavoro
.
A
Sant
'
Angelo
dei
Lombardi
si
sono
installate
due
aziende
:
la
Ferrero
,
che
dà
lavoro
a
127
persone
(
contributo
:
24
miliardi
di
lire
)
e
la
Ifs
(
Industria
filtri
Sud
)
.
I
capannoni
di
quest
'
ultima
sono
terminati
,
perfetto
è
il
raccordo
stradale
:
peccato
che
non
ci
sia
alcun
segno
di
vita
.
La
Ferrero
,
invece
,
la
scorsa
settimana
si
è
assunta
anche
un
altro
incarico
molto
importante
perla
provincia
di
Avellino
:
sollecitata
dal
prefetto
Raffaele
Sbrescia
e
dalla
Coldiretti
,
si
è
impegnata
a
comprare
ben
ottantamila
quintali
di
nocciole
(
materia
prima
della
Nutella
)
dai
diecimila
contadini
irpini
che
negli
ultimi
due
anni
sono
stati
messi
in
crisi
dalla
concorrenza
turca
.
Così
,
grazie
alla
piemontese
Ferrero
,
gli
alberi
di
nocciole
irpini
non
saranno
tagliati
.
Un
'
altra
grande
industria
del
Nord
che
è
calata
in
provincia
di
Avellino
approfittando
dei
contributi
post
terremoto
è
l
'
altoatesina
Zuegg
.
Si
è
stabilita
nell
'
area
industriale
di
San
Mango
sul
Calore
,
vicina
,
questa
,
al
paese
di
Montefalcione
,
dove
è
nato
Nicola
Mancino
,
presidente
dei
senatori
de
da
quattro
anni
e
capogruppo
al
consiglio
comunale
di
Avellino
.
A
San
Mango
,
però
,
per
ora
tutto
tace
.
La
Zuegg
offre
solo
lavori
stagionali
ai
suoi
40
addetti
che
producono
marmellate
.
Ma
anche
le
altre
nove
industrie
non
sono
ancora
in
produzione
,
nonostante
i
129
miliardi
di
lire
di
finanziamenti
a
fondo
perduto
e
i
capannoni
che
sono
quasi
tutti
già
pronti
.
«
Inizieremo
l
'
attività
entro
la
fine
dell
'
anno
»
,
promette
Helmut
Kling
,
un
imprenditore
tedesco
che
ha
ricevuto
22
miliardi
di
lire
per
il
suo
calzaturificio
,
dove
dovrebbero
lavorare
200
persone
.
Il
problema
è
che
il
signor
Kling
ha
già
un
calzaturificio
a
Mercogliano
,
nella
zona
industriale
di
Avellino
.
Adesso
vorrebbe
che
una
cinquantina
dei
suoi
160
operai
di
Mercogliano
si
trasferissero
a
San
Mango
,
che
dista
30
chilometri
,
per
avviare
gli
impianti
.
I
sindacati
e
anche
il
sindaco
di
Mercogliano
lo
accusano
di
stare
preparando
la
chiusura
o
la
vendita
del
vecchio
impianto
,
per
trasferirsi
nel
nuovo
.
In
pratica
,
un
rinnovo
degli
impianti
a
spese
dello
Stato
.
Kling
nega
,
e
assicura
di
volersi
tenere
entrambi
gli
stabilimenti
.
Nella
zona
industriale
di
Lacedonia
il
caso
più
significativo
è
quello
della
Mulat
.
Siamo
nel
feudo
del
senatore
dc
Salverino
De
Vito
,
62
anni
,
non
rimpianto
ministro
per
il
Mezzogiorno
fino
all
'
anno
scorso
.
De
Vito
è
anche
sindaco
di
Bisaccia
,
comune
dove
nel
1987
c
'
erano
ancora
450
famiglie
in
container
.
Quattro
anni
fa
la
Mulat
,
un
'
azienda
che
impacchetta
latte
(
tedesco
:
quello
munto
dalle
vacche
locali
è
considerato
troppo
acido
)
,
ha
chiesto
e
ottenuto
20
miliardi
di
lire
promettendo
98
posti
di
lavoro
.
Ebbene
,
oggi
i
23
dipendenti
sono
in
cassa
integrazione
,
e
il
proprietario
vuole
chiudere
.
Il
proprietario
è
il
fratello
del
segretario
regionale
della
Dc
campana
,
l
'
avellinese
Antonio
Argenziano
.
Anzi
,
proprio
segretario
no
:
è
"
coordinatore
della
segreteria
"
,
in
attesa
che
l
'
attuale
segretario
,
il
senatore
Ortensio
Zecchino
di
Ariano
Irpino
(
demitiano
di
ferro
)
si
faccia
più
in
là
.
MA
ZECCHINO
TITUBA
,
NON
VUOLE
mollare
la
poltrona
:
meglio
il
partito
o
lo
Stato
?
E
allora
,
per
tener
calmo
lo
scalpitante
Argenziano
,
gli
regala
una
seconda
poltrona
:
consigliere
di
amministrazione
della
Usi
di
Ariano
Irpino
.
Non
è
finita
.
Argenziano
di
poltrone
ne
ha
quattro
.
È
anche
responsabile
enti
locali
della
Dc
di
Avellino
,
e
soprattutto
presidente
della
potente
Asi
(
Associazione
sviluppo
industriale
)
,
la
quale
vorrebbe
prendere
in
gestione
le
aree
industriali
.
Così
forse
potrà
fare
altri
favori
alla
Mulat
di
suo
fratello
.
Nel
turbinio
della
vita
politica
irpina
c
'
è
stata
la
nomina
del
socialista
Pasquale
Ferrara
a
vicepresidente
dellAsi
.
Lo
ha
messo
lì
non
il
Psi
,
ma
la
Dc
:
Ferrara
era
consigliere
comunale
di
Avellino
,
mala
prima
non
eletta
socialista
,
Enza
Battista
,
aveva
fatto
ricorso
per
brogli
.
Allora
il
capogruppo
dc
Mancino
,
piuttosto
che
rischiare
di
perdere
la
maggioranza
assoluta
conquistata
nel
1985
,
si
è
trasformato
in
paciere
per
le
liti
socialiste
:
ha
fatto
entrare
la
Battista
in
consiglio
comunale
tacitandola
,
e
ha
ricompensato
Ferrara
con
la
vicepresidenza
dell
'
Asi
.
Ecco
,
la
Dc
di
Avellino
è
una
macchina
così
oliata
e
perfetta
da
poter
risolvere
persino
le
liti
altrui
.
Ai
recalcitranti
promette
posti
,
gli
irriducibili
sono
emarginati
.
I
figli
e
i
giovani
,
se
fedeli
,
vengono
ricompensati
:
così
Biagio
Agnes
da
Serino
ha
assunto
al
suo
Tgl
Francesco
Pionati
,
figlio
dell
'
ex
sindaco
dc
di
Avellino
Giovanni
Pionati
,
nonché
Gigi
Marzullo
,
irpino
noto
più
come
accompagnatore
della
first
baby
Antonia
De
Mita
che
per
la
sua
attività
giornalistica
.
L
'
unico
ribelle
è
rimasto
Giuseppe
De
Mita
,
nipote
di
Ciriaco
.
La
sua
tremenda
colpa
?
Democristiano
,
ma
andreottiano
.