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> anno_i:[1970 TO 2000}
Caro senatore ( Montanelli Indro , 1978 )
StampaQuotidiana ,
Caro senatore , il suo discorso non fa una grinza . Io sono perfettamente d ' accordo con lei che una spesa di 74 miliardi , e anche quella di 270 prevista per il '79 , è ben poca cosa in confronto al valore dell ' enorme patrimonio artistico da salvare ; e anzi questo giornale è sempre stato in prima linea nel reclamare che a questa difesa siano dati mezzi sempre più grandi ed efficienti . Ma Ricossa non contestava affatto questa tesi . Semplicemente diceva : Prendiamo il più modesto di tutti i nostri bilanci , quello per i Beni culturali , 74 miliardi appena . Il cittadino è in grado di controllare come viene amministrato questo stanziamento , e se esso serve di più a mantenere il suddetto patrimonio o coloro che vi sovrintendono ? No . E allora figuriamoci quanto è in grado di controllare una spesa globale di 64 mila miliardi , qual è quella dello Stato , del suo Stato . Questo , diceva Ricossa . Egli ha portato l ' esempio del bilancio dei Beni culturali perché , appunto per la sua modestia , era quello che meglio si prestava a dimostrare il suo assunto che trova consenzienti - glielo posso garantire - tutti i lettori . Perché tutti i lettori - anche questo le posso garantire - hanno le scatole piene di questo Stato ciaccione , avido e dissipatore , che vuol fare troppe cose e le fa malissimo , a cominciare da una contabilità talmente ingarbugliata che nessuno , nemmeno i cosiddetti uomini di Stato e la loro burocrazia , riescono a capirci più nulla . Lei non vorrà negarmi , spero , che l ' enorme prelievo che lo Stato fa del pubblico denaro viene adibito soprattutto a mantenere coloro che lo maneggiano , e a mantenerli male perché sono troppi e costretti ad operare in un guazzabuglio di leggi che li condanna all ' inefficienza e al parassitismo : Non so se i Beni culturali facciano eccezione alla regola . Ma la regola è quella che dice Ricossa : uno Stato che dovunque mette le mani combina guai e per ripararli ha sempre più bisogno di succhiare quattrini al cittadino senza dargli modo di controllare come li usa . Per difendersi non c ' è che un mezzo : ridurre la spesa pubblica , che significa anche ridurre gl ' interventi dello Stato , insomma riprivatizzare il Paese . Ne convenga anche lei , caro senatore . Altrimenti , perde i voti . Lei parla di contraddizione , caro Lo Cascio , e ha ragione . Ma il problema va posto , a mio avviso , in termini un po ' diversi da quelli esposti nella sua lettera . E ' vero : il mondo politico italiano intrattiene rapporti assidui con gli esponenti di quegli stati dell ' Est « socialista » che hanno indubbie connotazioni totalitarie . Ciò può turbare la coscienza dei democratici ma è difficilmente evitabile , anche se certe inutili sbracature e indulgenze sono eccessive . L ' impero sovietico è una realtà . Così come è una realtà la assoluta prevalenza numerica , nel mondo , dei regimi dittatoriali sui regimi democratici . Se questi ultimi dovessero chiudersi in se stessi , rifiutando ogni contatto con gli « impuri » , e troncando con essi rapporti diplomatici , economici , culturali , si arriverebbe a una situazione paradossale : alla situazione cioè di una coalizione della libertà che rinuncerebbe ad influire sulle vicende del mondo , e che , respingendoli in blocco , costringerebbe gli altri , i non liberi , ossia , ripetiamo , la maggioranza degli stati , a coalizzarsi a loro volta . La confusione tra morale e politica produce effetti di solito negativi , a volte catastrofici . Se ne è accorto anche Carter , che giuoca la carta cinese contro la carta russa pur sapendo perfettamente che , quanto a democrazia , se Mosca piange Pechino non ride . Io penso , insomma , che la politica internazionale di un Paese debba accettare questi compromessi e adattarsi agli incontri , ai brindisi , ai comunicati finali , con tutte le loro ipocrisie e reticenze . La contraddizione , secondo me , sta altrove . Sotto la spinta dei partiti di sinistra e della loro propaganda la politica estera italiana pecca di duplicità e di incoerenza . Se la ragion di stato deve prevalere sulla morale internazionale , se impone di colloquiare con i totalitari , la regola deve valere per tutti : per la Unione Sovietica come per il Cile , per l ' Albania come per la Rhodesia . Invece non è così . Non si vuole che sia così . Pertini , Andreotti e Forlani , possono tranquillamente recarsi in visita ufficiale a Mosca , ma guai se si azzardassero a visitare Argentina e Cile ; possono ricevere Gheddafi , ma guai se accogliessero a Roma Pinochet . Abbiamo normali rappresentanze diplomatiche perfino nell ' Uganda di Idi Amin , ma non a Santiago del Cile . Allora qual è il criterio ? Vale la ragion di stato , che consiglia di mantenere canali in ogni direzione , o vale la morale politica , che consiglierebbe di negare reciprocità di rapporti a chi non ha le carte in regola con la democrazia ? Non si sa . O piuttosto si sa benissimo . In obbedienza non a un criterio uniforme , ma al vociare propagandistico e al ricatto parlamentare , si usano due pesi e due misure . I totalitari di sinistra sono ritenuti internazionalmente più frequentabili di quelli di destra . La Farnesina si indigna : ma con juicio .
Caro amico ( Montanelli Indro , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Caro amico ( visto che lei mi considera tale ) , se l ' allusione sul modo in cui vivono certi giornali è rivolta al nostro , la invito senz ' altro a fare un sopralluogo da noi , pagandole anche biglietto e diaria , e in compagnia di uno stuolo di avvocati e commercialisti per controllare , fatture alla mano , quanto e da dove introiamo , quanto e come spendiamo . Si accorgerebbe che , come rigore amministrativo , e non soltanto amministrativo , abbiamo lezioni da dare , non da prendere , specie dai Comuni e dalle Province . Per quanto concerne la sua attività di consigliere provinciale , lei ha tutto il diritto di credere che in essa rientri anche la politica estera nazionale ; io ho quello di pensare e di scrivere che gli elettori eleggono un consigliere provinciale perché s ' interessi delle cose della provincia , non della Rhodesia e dello Zimbabwe , delle quali può benissimo occuparsi quando parla con gli amici al caffè , non quando siede nel consiglio provinciale . Chi di noi due abbia ragione , lasciamolo giudicare ai lettori . Quanto alla Dc , lei fa benissimo , come militante e gerarca , a difenderla . Ma non può dire che chi vota per essa perde , dopo aver depositato la scheda nell ' urna , qualsiasi diritto , compreso quello di avvertire certi puzzi e di turarsi il naso . Noi , lo sappiamo benissimo , non possiamo impedirvi di puzzare ; ma voi non potete impedirci di sentire il puzzo e di dire che lo sentiamo . Resta la questione dei butteri , di cui lei si aderge a difensore . Ma contro chi ? Io sono un vecchio amico dei butteri coi quali ho convissuto intere estati , quando mio nonno mi conduceva a caccia a Capalbio e dintorni . Magari ce ne fossero ancora , perché erano gran gente . Ma dove fossero la Rhodesia e lo Zimbabwe non lo sapevano , né credo che lo sappiano oggi , se ce n ' è ancora qualcuno . Ecco tutto , caro amico .
Pubblico insieme queste due lettere ( Montanelli Indro , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Pubblico insieme queste due lettere perché mi pare ch ' esse formino un perfetto pendant , a conferma di quanto dicevo nell ' articolo ( è il caso di dirlo ) incriminato . Per coloro che non lo avessero letto , o non lo ricordassero , ne riassumerò brevemente la tesi . Non capisco , dicevo , perché il contrasto fra Stato e Chiesa sull ' aborto faccia scandalo . Essi parlano a due diversi interlocutori : l ' uno al cittadino , l ' altra al credente . Quando l ' uno concede come diritto ciò che l ' altra proibisce come peccato , sta ad ognuno di noi decidere secondo coscienza il da farsi . Nessuno è condannato all ' aborto . È una facoltà . Lo Stato non poteva non regolarla , visti i pericoli e le ingiustizie della pratica clandestina . La Chiesa non può non condannare questa pratica . Non è la prima volta , e non è questo il solo caso in cui norma civile e norma religiosa discordano . La grande conquista dello Stato di diritto è di porre il cittadino nella condizione di scegliere fra l ' una e l ' altra . Ora il sig. Tornaquinci mi dice addio perché non trova questa posizione abbastanza laica , il sig. Strampelli mi dice addio perché non trova questa posizione abbastanza cattolica . Sembra che dicano cose antitetiche . E invece dicono la stessa cosa . Dicono cioè che non vogliono esser loro a scegliere . Secondo l ' uno questo compito spetta allo Stato , secondo l ' altro alla Chiesa , senza rendersi conto che uno Stato che proibisse alla Chiesa d ' interloquire su un problema morale come questo sarebbe uno Stato totalitario , così come una Chiesa che proibisse allo Stato di regolare un problema come questo , che è anche civile , sarebbe una teocrazia . Per quanto mi dispiaccia perderli ( e mi dispiace moltissimo ) , debbo riconoscere che il nostro giornale non è fatto per questi lettori . Noi ci rivolgiamo a quelli che , fra un imperativo civile e un imperativo religioso , accettano di assumersi la responsabilità di una scelta , anche quando è angosciosa come nel caso dell ' aborto . In quanti siamo ? Non lo so . Certo , una minoranza . Ma una minoranza di uomini , qualifica che spetta solo a coloro che hanno una coscienza , e non sono disposti a portarla all ' ammasso pur sapendo di avere in essa il tribunale più difficile cui rispondere . Anche in pochi , è preferibile restare tra noi .
Tre uomini in carcere ( Sullo Pierluigi , 1997 )
StampaQuotidiana ,
Forse è perfino un sollievo , una volta arrivati qui , nella saletta bianca delle guardie carcerarie , superata la trafila dei controlli e i metal detector e le pesanti porte d ' acciaio foderate di vetro antiproiettile , una volta passato il visibilissimo confine tra " fuori " e " dentro " , sentirli parlare dei detenuti e del carcere , delle sue follie e umiliazioni , della lotta dei detenuti e dello sciopero della fame che si estende , da Roma - Rebibbia a Pisa oggi , e domani forse dovunque . Adriano Sofri , ironico e diretto , e Giorgio Pietrostefani che borbotta e ride , e Ovidio Bompressi affilato e il collo magro che balla dentro il colletto abbottonato di una camicia bianca ; non parlano di sé , anzi sì , parlano di tre detenuti e di altri cinquantamila , come persone che non riescono più a sopportare la stupidità feroce della vita carceraria , dove " il tempo si sbriciola - dice Adriano Sofri - e non è affatto vero che qui per lo meno hai tempo per leggere e scrivere , ci sono le mille incombenze inutili , i ' rapporti ' , ovvero quando ti rimproverano per cose futili , e gli altri che ti vengono a parlare , non hai idea di quanti mi scrivano dalle carceri , e hai soprattutto il tempo di osservare le miserie , la povertà della maggior parte dei detenuti , la mancanza di tutto " . E ' per questo , contro questo , che per il momento digiunano . Hanno cominciato domenica scorsa , prendono solo caffè , tè , e acqua , moltissima acqua : " così puoi resistere a lungo " , dice Adriano , poi si volta verso Ovidio , mentre Tano D ' Amico fa loro la foto che serve , tutti e tre insieme , la foto che manca , e scherzano su quanto sei alto tu e quanto basso io , e dice al suo compagno , come meravigliato : " Ma lo sai che sono già dimagrito tre chili ? Almeno , è quel che dice la bilancia " . Qui , nel carcere , sei " una persona espulsa per giusta causa dalla società - spiega meticoloso Ovidio Bompressi - o almeno così pensa l ' opinione , e sei perciò una parte distaccata e disseccata " . Lento , lo ripete , come una formula cui ha pensato a lungo : " Una parte distaccata e disseccata " . " E ' la massima degradazione dell ' individuo " , aggiunge . Adriano dice : " Siamo stati quasi felici - si capisce che c ' è un po ' d ' ironia - quando abbiamo saputo dello sciopero della fame a Rebibbia . Ecco che partecipiamo di qualcosa più vasta di noi , e abbiamo iniziato uno sciopero della fame che probabilmente avremmo fatto comunque . Ma ora siamo vincolati a questo movimento , di cui , sia chiaro , non vogliamo diventare esponenti ; siamo tre detenuti tra altri , che si ribellano a una vergogna , il carcere , che mortifica la dignità umana " . Poveri , malati , soli . Ma la separazione , tra qui e l ' altrove , è tale , che parole come queste possono suonare retoriche . Come dice Ovidio , se sei dentro è per qualche ragione , così pensa la gente . E i poveri , i malati , i soli che sono in cella sono perciò più poveri , più malati e più soli . Bisogna farsi raccontare i particolari , per capire . E i tre te li raccontano pazientemente . Il carcere passa una tazza di " caffè " la mattina , un primo caldo e un pezzetto di formaggio a mezzogiorno , un secondo caldo la sera ; un rotolo di carta igienica , una saponetta e alcuni sacchetti per i rifiuti ogni mese . Ed è tutto . Chi non ha i soldi per il " sopravvitto " e per comprarsi dentifricio e detersivi per la cella , scarpe e maglioni , le sigarette , insomma per tutto il resto , cioè quasi tutto , ne resta privo . E se i detenuti sono , come a Pisa e dappertutto , per il 40 per cento immigrati , nella grande maggioranza poveracci o tossicodipendenti , insomma senza un soldo , la conseguenza sarà , come racconta Ovidio , una grandinata di microconflitti tra detenuti poveri , e tra i poveri e quelli che hanno qualcosa . " Dice : gli immigrati non portano le scarpe . Per forza - è Adriano che parla - non le hanno , semplicemente non le hanno " . E la seconda conseguenza sarà che " questo è un posto di ospedalizzati coatti , qui siamo tutti malati , più o meno , uno su tre ha l ' epatite C e per fortuna che in questo carcere - dice ancora Adriano - ancora somministrano l ' interferone , l ' unica terapia conosciuta per quel tipo di malattia " . In poche e terribili parole , la situazione è questa : negli ultimi anni la " popolazione carceraria " , cioè questo lazzaretto di abbandonati , ha tracimato oltre ogni argine , " perché soprattutto con la custodia cautelare - dice Pietro - si mette dentro gente per reati di ogni tipo e là - gira la testa in una qualche direzione - al giudiziario , si tagliano tutti i giorni , mentre qui al penale , dove sono quelli condannati in via definitiva , è un po ' più tranquillo " . " Si tagliano " significa autolesionismo : per essere notati , ascoltati , per non " essere partiti " , come si dice in gergo , un terribile transitivo che sta per essere trasferiti , nelle celle di punizione o in un altro carcere , ad ogni piccola " mancanza " . E mentre le carceri scoppiano , cioè , come dice pacato e preciso Ovidio , " funzionano da discarica sociale , in cui finisce tutto quel che la disoccupazione , la povertà , la crisi dello stato sociale provoca , in Italia e in tutto l ' Occidente " , il governo , appunto , taglia i bilanci . " Meno 30 per cento l ' anno scorso , meno 15 quest ' anno - enumera Adriano - quasi la metà in meno in due anni . E il primo settore ad essere tagliato è la sanità , ecco perché a Rebibbia digiunano i malati di Aids , tanto sono lì non perché li curino , ma per impedirgli di morire fuori dal carcere . E infatti il personale sanitario è in agitazione " . E gli educatori , tre per 295 detenuti a Pisa ; e gli agenti di custodia , che , " poveracci - dice Pietro - hanno alloggi quasi peggio delle nostre celle " , e comunque sono sempre pochi , pochi . Dopo tangentopoli . Allora , che si può fare ? Secondo Adriano , " solo un brusco calo del numero dei detenuti , dieci o quindicimila in meno d ' un colpo , può far ripartire il sistema carcerario in una direzione diversa . Ma non mi pare che questo sarebbe l ' effetto della legge Simeone di cui si parla in questi giorni . E d ' altra parte , dopo tangentopoli è una bestemmia anche solo parlare di amnistia , per la quale oggi ci vogliono almeno i due terzi dei voti del parlamento , come nemmeno per una riforma costituzionale . Come se in galera ci fossero loro , i grandi corrotti , e non questi poveretti , a cui è stata tolta anche questa concessione , questa grazia periodica . D ' Ambrosio ( magistrato milanese , ndr . ) ha avuto una buona battuta : ha detto che se si fa l ' amnistia verrebbero da tutta Europa , qui in Italia . E be ' , a parte che le pene , da noi , sono molto più alte che nel resto d ' Europa , e per esempio in Francia un reato come quello che ci ha condotti qui è prescritto dopo 15 anni , e noi siamo dentro dopo 25 , a parte questo , che io sappia , sono accorsi da tutta Europa solo Giorgio Pietrostefani e Toni Negri " . Ovidio aggiunge che sì , i progetti di legge servirebbero , come servirebbero regolamenti meno assurdi di quelli che proibiscono i libri rilegati e le giacche ( mi guarda e dice : " Lo sai che avevo una giacca come la tua ? Che nostalgia " ) e i cappotti , e se li concedono è a seconda della personalità e del tipo di reato , col risultato , dice Adriano , " che magari me ne andrò in giro con un bel cappotto di castorino , in mezzo a gente che trema per il freddo " , ecco , se il governo facesse il molto che può fare e il parlamento si sbrigasse , certo sarebbe un bene . Ma il problema della separazione , dell ' essere " distaccati e disseccati " , lo si può medicare solo se le associazioni , il volontariato , cioè il modo che la società inventa per difendersi , si allarga anche al carcere . E racconta : " Attraverso il vescovo di Massa e persone legate alla Caritas abbiamo creato , caso unico in Italia , un fondo cassa per i detenuti poveri , e a ciascuno diamo da trenta a cinquantamila lire al giorno ; si è sparsa la voce e molti hanno mandato soldi , oggi abbiamo quattro milioni , ma non bastano " . ( Questo , di conseguenza , è un appello : chi vuole mandare soldi , li può indirizzare a Athe Gracci , via tosco - romagnola 77 , Pontedera ; per informazioni invece si può telefonare al cercere di Pisa e chiedere della dottoressa Truscello ) . Il colloquio è già molto lungo , Tano chiede di mettersi qui e là per fare le foto , Pietro comincia a elencare aneddoti sugli anni settanta milanesi in cui lui compare sempre nella parte del cattivo , e ci ride sopra . Pende una domanda : e voi ? Proprio voi tre ? " Se avessi un ' idea di quel che faremo quando il digiuno di protesta nelle carceri si fermerà , te lo direi , onestamente te lo direi " , risponde Adriano . Quel che è sicuro è che tra la metà e la fine di novembre sarà depositata la richiesta di revisione del processo , " e lì vogliamo arrivarci in piedi " , aggiunge . Ma nove mesi sono passati , da quando si sono consegnati , e loro sono grati per tutto quello che si è fatto , le 160 mila firme , l ' assemblea di oggi a Roma , " ma uscire di qui - dice Ovidio - uscire in ogni modo , è un obbligo verso noi stessi , ed è un gesto di rispetto verso il diritto come dovrebbe essere " . " E ' chiaro - conclude Adriano - che andremo fino in fondo in tempi molto brevi " . Cade un silenzio , anche le Laika di Tano tacciono . Adriano chiede dello stato di salute del manifesto , ha sul tavolo la copia con la lettera aperta di Rossana Rossanda al presidente della repubblica . Non buono , rispondo , stato di salute non buono . Si apre la porta , i tre si alzano , ci salutiamo . Quando è sulla soglia , Adriano si gira e mi dice : " Resistete " .
Fascismi ( Rossanda Rossana , 1994 )
StampaQuotidiana ,
Norberto Bobbio è tornato nell ' ultimo numero di « l ' Espresso » a ragionare sull ' impossibilità del fascismo . È una esperienza storica conclusa , non si può ripetere . Anche a sospettare che Fini nasconda le più fosche intenzioni , non ci sono le condizioni perché le metta in atto . Qualche tempo fa Leonardo Paggi aggiungeva che è il contesto internazionale a rendere impensabile un fascismo italiano . Sono considerazioni giuste . Meno persuasivo è concluderne , come già aveva fatto Lucio Colletti , e ieri gli si sono affiancati Nilde Jotti e Augusto Barbera , che perciò Alleanza nazionale è una forza democratica , buon materiale di costruzione della seconda Repubblica . Qualche tempo fa anche Eugenio Scalfari , della cui severità verso il Polo della libertà non si può dubitare , ascriveva fra i non molti meriti di Berlusconi l ' avere « sdoganato » Fini . Ed è di pochi giorni fa l ' assoluzione del « New York Times » . Fascismo non è . E allora che cosa è ? Conviene chiederselo , nel momento in cui Alleanza nazionale si delinea come la struttura più consistente del Polo berlusconiano , capace di raddoppiare nel giro di un anno i massimi storici di voto del Msi , penetrando anche nel nord dove questo era stato men che marginale . Non basta dire che Alleanza nazionale è in qualche misura « radicata nel territorio » : fino a sei mesi fa questo pareva un limite , un segno del vecchio modo d ' essere politico , destinato a essere travolto dal messaggio mediatico e del resto perché An ha retto dove insediamenti semisecolari nel territorio sono crollati ? Ammesso che abbia digerito ogni nostalgia e si indirizzi verso spazi diversi dal passato , di che cosa li riempie ? Che cosa vuole ? In che cosa si identificano coloro che la votano ? Si fa presto a dire che se non è il fascismo che abbiamo conosciuto , vuoi dire che è democrazia ; che si fonda sul consenso elettorale e tanto ci garantisce . Anche Hitler s ' era fondato sul consenso elettorale , anche Perón . Non basta : il più proceduralista dei politologi sa che democrazia non è soltanto andare a votare , è una certa idea degli orizzonti e limiti della comunità politica . Qui il profilo del partito di Fini è assai sfuggente . Il suo non è un progetto liberale , il germoglio della famosa destra civilizzata ; non è che , sepolto Mussolini , prenda per riferimento Einaudi o Malagodi o La Malf a , e tanto meno Kelsen ; sarà se mai Cari Schmitt . Non nasconde l ' avversione per il liberismo federalista della Lega : e per questo l ' ha erosa a Brescia . Bossi strilla che Fini è statalista , dunque un residuato della prima Repubblica , che era appunto centralista , burocratica e spartitoria . Ma Bossi confonde : lo statalisimo di Fini non è burocratico e spartitorio , è totalitario . E in questo si separa dal plebiscitarismo di Berlusconi , per il quale lo Stato ha da essere quel minimo che garantisce all ' impresa di far quel che più le serve . Per Fini lo Stato è lo Stato , ordinatore delle gerarchie , garante del grande capitale e delle plebi . Per Berlusconi l ' Italia è un ' azienda , per Fini un destino . L ' ideale dell ' uno è un borghese approssimativo e gaudente , mollemente democratico , senza altri orizzonti che quelli del bilancio , quello dell ' altro è l ' italiano , che finalmente realizza se stesso , si distingue dagli altri , non perdona nulla all ' immigrato , preferisce che non ci sia . È vero che in altri tempi ha esagerato con gli ebrei , sicuro , gli va chiesto perdono , ma fermo restando che sono « altro » . Il suo nazionalismo è prudente , frena Tremaglia , ma chiede alla Slovenia di mettersi in ginocchio per essersi liberata dagli ustascia amici degli italiani . E pesca nelle acque non limpide degli « italiani all ' estero » . Si potrebbe continuare . Sta di fatto che An funge da guardia pretoriana al presidente che l ' ha sdoganata , ma non cela l ' ambizione di mangiarsi Forza Italia dalla testa alla coda , o per fusione o per sottrazione di voti . E già ora influisce sui suoi equilibri interni , mentre Forza Italia non intacca minimamente i suoi . Tra Fini e Berlusconi le parti previste dal signore di Arcore , quale sarebbe stata la corda e quale l ' impiccato , si sono invertite . Il loro vero cemento è l ' avversione per la sinistra - che per Berlusconi rappresenta il classico elemento di disturbo d ' una forza di lavoro ancora vagamente organizzata , di cui vanno ridotte pretese e libertà di manovra , per Fini l ' avversario storico , ideologico , la tentazione mai abbastanza sradicata d ' una società di uguali . Fini sopporta più facilmente la violenza dei naziskin - sono un fenomeno sociale , dice - che un popolo che si faccia con calma soggetto di autodeterminazione . Meglio un pizzico di sovversivismo , sale della società serialiazzata . Sono lineamenti riconoscibili . Dubito che appartengano alla democrazia . Un Terzo Reich non è in vista , ma sta ridisegnandosi nella società un volto che speravamo perduto . Beniamino Placido scriveva qualche tempo fa che i fascismi saranno superati , ma il fascismo risponde a una pulsione alla sopraffazione , da tener d ' occhio perché ha radici nel lato oscuro che sta in tutti . Condivido . Ma c ' è dell ' altro : essendo una pulsione umana , troppo umana , non effimera , cerca e produce ideologie forti . Di quella forza che sarebbe nelle origini , nel sangue , nel sacro , nell ' indeclinabile - e prefigura comunità di eletti , rifiutando la massificazione . Se il fascismo lusinga certe rozzezze è perché la plebe vuol essere guidata e foraggiata come il cavallo dal padrone , ma il signore non ha altre regole che quelle che si impone . E trova iscritte in qualche eternità . È comprensibile che di fronte a una infinita problematicità del senso , affascini il suggerimento che da qualche parte c ' è un segno , per tutti ma visibile soltanto agli eletti , rassicurante e non omologante . Si tratta di discernerlo e seguirlo per coloro che sanno leggere . Non soli ma esoterici . Curioso come questa tentazione sia stata anch ' essa sdoganata dalla postmodernità stanca di responsabilizzazioni totali . Nessun automatismo lega il fascino del segno alla pratica dei fascismi , ma non c ' è fascismo senza il segno - un ordine simbolico signorile , iscritto prima dei tempi . Questo segno affascina . Hermann Hesse non è stato nazista , anzi con il nazismo ha avuto dei guai . Ma è dallo stesso humus germanico che è nato Siddharta , un libro che da anni non esce dalle classifiche , uno dei più letti dalla generazione giovane . Non avrà la stessa fortuna , forse , il suo romanzo più bello , Demian , da poco uscito da Marsilio , storia d ' un contemporaneo figlio di Caino : anche lui porta un segno , ed è tanto più splendente dei figli di Abele . Niente è semplice . L ' anno scorso un liceo francese ha imposto alle studentesse di religione musulmana di venire a scuola senza il velo . Al rifiuto delle famiglie , le ha espulse . Quest ' anno i foulards si sono moltiplicati , forse anche per quella interdizione , e piovono provvedimenti analoghi . L ' anno scorso la reazione di Sos - racisme era stata aspra : vergogna , lo stato calpesta un segno di identità . Quest ' anno , Sos - racisme ha capovolto la linea : è bene che la scuola sia laica , il laicismo implica che non vi si faccia proselitismo per nessuna fede o religione che non sia quella della repubblica , cioè una metodologia di convivenza . Se i musulmani impongono il chador , i cattolici potrebbero reintrodurre il crocefisso , storicamente estromesso . Sono seguite divisioni e inasprimenti delle comunità musulmane : per l ' appunto , se accettassimo l ' ideologia della laicità ci assimileremmo a un ' idea di comunità che non è la nostra . Sos - racisme replica : non fatevi assimilare ma accettate che il paese dove andate difenda spazi per così dire agnostici , se no come si convive ? E chi vuoi convivere , risponde a voce più bassa il fondamentalismo : le ragazze portino d ' ora in poi il chador non come segno di appartenenza , ma come segno di militanza . E le donne in questione ? Le femministe esitano fra la difesa delle differenze e l ' universalismo della libertà femminile di Taslima Nasreen . Le ragazze che vanno a scuola non parlano , o non sono interrogate o non gli è permesso . Il padre e la madre impongono il foulard , che nasconde i capelli , la fronte , la parte inferiore del viso , il collo , la scuola impone di toglierlo . Se tengono il foulard la scuola le esclude . Se lo tolgono , sono escluse dalla famiglia e dalla comunità . Quelle che l ' avevano tolto per propria scelta già da tempo sono oggi incastrate tra fedeltà o tradimento della loro gente e fedeltà o tradimento di una idea di sé che credevano di aver conquistato . Da una trappola all ' altra .
Prodi ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Raramente mi è successo di raccogliere tante lodi e tanti rimproveri come per aver scritto che a me Prodi va bene . Mi si rimprovera di cancellare cuore e ragioni della sinistra appiattendola a un cattolico democratico , mi si elogia perché finalmente avrei smesso di essere una massimalista che insegue il tanto peggio tanto meglio . Mi voglio rovinare : tutte chiacchiere , andiamo al sodo . Che cosa sono oggi le sinistre ? Che cosa vogliono ? Se non riescono a proporre un proprio candidato capace di raccogliere dal 40 al 50 per cento dei voti è perché non hanno una risposta sul dove vorrebbero che andasse il paese . Berlusconi non ha vinto perché era un Grande comunicatore , ma perché comunicava a un ' Italia con il Pci in caduta libera e il Caf in galera che l ' avrebbe portata sulla via liberista . Prodi comunica che si può avere un sano liberismo , ma corretto da misure di solidarietà , perché , differentemente da Berlusconi , non racconta che il processo sarà indolore . Che proporrebbe invece l ' ipotetico candidato delle sinistre ? Fino a dieci anni fa quel che la sinistra voleva era abbastanza chiaro , e per questo , pur non superando mai il 30 per cento , influiva su alleati e avversari , pesava sulla bilancia delle decisioni . Quando il Polo strilla che i comunisti erano e sono dovunque e dovunque vanno sradicati , esprime un abito mentale fascistoide , per cui chiunque fino a ieri era agente di Mosca oggi lo sarebbe di D ' Alema , ma evidenzia una verità : un senso comune di sinistra ha avuto una vera egemonia in questo paese . In che consisteva ? In politica , in un ' idea forte della rappresentanza , nella persuasione che potevano e dovevano avere una voce tutti e sempre , non solo al momento delle elezioni . In tema di società , in un ' idea forte della cittadinanza , per cui ogni italiano aveva diritto a lavorare , a essere istruito e curato , e doveva esserne assicurato nei mezzi per farlo . Nessuna delle due cose era venuta da sé , c ' erano volute la crisi del 1929 e una guerra . Non andava da sé che fossimo un paese di ricche contraddizioni , donne e uomini , deboli e forti , ricchi e poveri , cattolici e laici o altre religioni , Nord e Sud : e che queste differenze si esprimessero anche in conflitti , condotti dalle rappresentanze politiche ma anche da quelle sociali dirette . Né che esse volta a volta trovassero un provvisorio punto di arrivo , o avanzata , o sconfitta , o mediazione in una società articolata che non delegava tutti i poteri a una oligarchia verificata ogni quattro o cinque anni , e in una idea del « pubblico » , statale o comunale o regionale , che fungesse anche come compensatore degli squilibri . Era la democrazia partecipata , il « non americanismo » italiano . Questi princìpi hanno retto l ' Italia dal dopoguerra agli anni ottanta e in essi la sinistra - assai poco « comunista » nel senso filologico della parola - è cresciuta , e ha funzionato anche da frusta dello sviluppo , tanto è vero che siamo nel club riservato dei G-7 . Questi stessi princìpi sono andati in crisi nel corso degli anni ottanta e il 27 marzo scorso si è tentato di abbatterli . Ma quale partecipazione ? Ci vuole un esecutivo forte e un cittadino che vota ogni quattro o cinque anni per dire sì o no e per il resto non disturbi il manovratore . Ma quali diritti sociali o di cittadinanza ? I diritti sono solo politici ; per il resto il diritto dei diritti , il pilastro della società è l ' impresa , e lavoro casa scuola assistenza sono sue variabili dipendenti . Lo Stato , il « pubblico » come luogo di compensazione , garante di una qualche uguaglianza sui beni essenziali , si tolga di mezzo . La sinistra ha subìto questa ondata , non difende l ' ottica di prima e per questo ha perduto , se non voti , la capacità di essere un riferimento anche oltre il proprio ambito . Perciò si divide , non solo tra Pds e Rifondazione e soggetti politici minori , ma anche fra soggetti sociali maggiori , che in qualche modo hanno tentato di declinare in forme diverse quei princìpi e quei bisogni - vale anche per il pensiero delle donne - e per questo non c ' è oggi un candidato delle sinistre . Perché è avvenuto ? È una storia di errori o tradimenti , come mi scrivono alcuni compagni ? È una modernizzazione fatale , come pensano altri ? Io non credo né ai tradimenti né alle fatalità . Credo che ci sia stato un franamento del terreno sul quale la sinistra della mia generazione è cresciuta . Era il terreno dello sviluppo , magari cattivo ma certo , in cui ormai stavamo e nel quale i nostri diritti , politici e sociali , erano in qualche misura garantiti . Mi spiego . Eravamo persuasi che il capitalismo comportava una crescita allargata di beni , dunque di lavoro , dunque di consumi . Ci dividevamo dopo : i comunisti la trovavano brutale , a prezzi sociali troppo elevati , con inuguaglianze feroci ; i riformisti ritenevano di poterle alleviare con forme pubbliche di redistribuzione all ' interno e aiuti al terzo mondo e all ' estero ; i nuovi soggetti degli anni settanta ne contestavano la natura di per sé alienante , consumista , gerarchica , maschilista . Ma sviluppo era e , con morti e feriti , andava unificando il mondo . Oggi non lo è più . Oggi la crescita di produzione e di merci si fa per un mercato alto e ristretto , quindi come non mai competitivo , cui la mondializzazione permette di reclutare manodopera a prezzi stracciati e la tecnologia di risparmiarne una grande quantità . L ' Europa sta diventando un continente senza lavoro . Vorrei sommessamente pregare la sinistra di partire da qui . Non è problema « economico » , di « economicismo » , o come dicono i miei amici ex operaisti di « lavorismo » ; le democrazie moderne fondano la pienezza della cittadinanza non più sulla proprietà ma su un possesso di sé , una non dipendenza , che piaccia o non piaccia nel capitalismo passa per l ' accesso a una remunerazione del lavoro . Il resto è capitale , rendita o dipendenza , come quella della donna che non lavora o dei bambini . E infatti chi non lavora è tendenzialmente un escluso . Vorrei sempre sommessamente aggiungere che l ' Italia è arrivata a questa stretta in una condizione paradossale : negli anni in cui gli altri paesi si omogeneizzavano relativamente nella crescita , noi siamo rimasti con larghe zone deindustrializzate , che si riproducono tuttora in un Nord e Nordest fortemente dinamico e in un Sud immobile , per cui il lavoro cessa di estendersi prima di essere arrivato a riempire il bacino del paese . Ma avevamo una forte sinistra , con una forte combattività , e lo Stato ha funzionato non solo da mediatore dei conflitti ma da compensatore nelle sacche che le tendenze proprie del mercato o dell ' impresa lasciavano fuori . Non è molto intelligente deridere l ' industria di Stato o la pubblica amministrazione come mero clientelismo , senza capire che hanno svolto un ruolo di supplenza a uno sviluppo inuguale e manchevole . Si potrebbe , anzi si dovrebbe analizzarne le conseguenze , ma va capito da dove è venuto il nostro specifico compromesso sociale , e perché a un certo punto è diventato un terreno da un lato di paralisi e dall ' altro di corruzione . Questo modello la destra lo vuole abbattere . Ma non estendendo la crescita , per brutale che sia : non può più , se vuole restare mondialmente competitiva . Punta dunque a una progressiva separazione tra parti trainanti e parti , per così dire , in perdita , lasciate indietro . Le scelte del Polo - per esempio niente tasse , riduzione del peso del lavoro , dei contributi e delle pensioni , l ' estensione della spesa pubblica - sono andate in questa direzione , seguendo il percorso già delineato da Amato - Ciampi . La Lega nord è una formazione spuria ma dentro a un ' ipotesi nordista ; non raccontiamoci che è un interessante invito all ' autogoverno , è la presa d ' atto che l ' unificazione del tessuto nazionale sotto il profilo produttivo non c ' è stata , e il rifiuto di porla come obiettivo . Ma la sinistra come la mette ? Mi pare che neppure ne parli . Ne parlano in Germania , Francia e Gran Bretagna , pure meno squilibrati di noi , ma in Italia è il silenzio . Non parlarne significa stare alla scelta dei G-7 , che è la scelta abbozzata da Amato e Ciampi e portata avanti da Berlusconi . Il Pds non riesce a dirci in che cosa se ne differenzierebbe . Rifondazione dice che si batterà con tutti coloro che questa scelta umilia offende ed esclude . Ma vogliamo dirci per quale crescita o sviluppo , oppure non - crescita siamo ? Come pensiamo di condizionare o modificare il trend attuale ? Alzando dei grandi muri fra l ' Italia e il resto del mondo o facendo uso di strumenti politici radicali per stare nel mondo ma contrastare le tendenze che abbiamo di fronte ? Che cosa pensiamo dell ' attuale conglomerato sociale , come distinguiamo le corporazioni dalle classi , i ceti , i bisogni ? A chi proponiamo di aggregarsi e su quale obiettivo ? Come la mettiamo con l ' Europa ? Come la mettiamo con il debito pubblico in presenza di una rendita diffusa e di una circolazione di capitali del tutto incontrollata ? Non mi si risponda che tutto è chiaro . Non è chiaro nulla , per questo metto ostinatamente al centro questo problema e mi inquieta una sinistra , vecchia o nuova , che non lo veda . Per questo non mi appassionano i calcoli sulle leggi elettorali , non perdo i sensi sui sondaggi e non mi va di arricciare il naso perché Prodi non è un rivoluzionario . Non vedo molti rivoluzionari in giro . Mi basta che non mi rompa le ossa e non neghi che oggi il dilemma centrale , e ormai quasi mortale , che l ' Europa ha davanti è questo . Sta a noi affrontarlo , di tempo se n ' è perduto fin troppo .
Ingrao ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Ingrao ? Un perdente . È la battuta degli ex figiciotti , dei cinquantenni del Pds o Rifondazione , dei democratici convinti che senza Pci l ' Italia sarebbe stata meglio , e di molti , di tutte le età , risentiti di sognare sogni minori . Perdente , dicono soprattutto coloro che gli rimproverano un surplus di politica . Eppure , se non è questa che conta , è difficile immaginare un uomo più « riuscito » , per quanto si possa riuscire nella personale esistenza . Eccolo a ottant ' anni come se ne avesse venti di meno , appena avvertito che il tempo si restringe . Risparmiato da troppe sciagure nel corpo e negli affetti . Povero , ma non ha conosciuto miserie e la sobrietà è la sua misura . Ha una importante compagna di vita , moglie e amica , figlie belle e impegnate , né identiche né lontane , un figlio arrivato tardi , allegro complice in una casa a dominante femminile . Gli Ingrao sono una tribù , con relative radici in un Lazio roccioso come loro . E poi , l ' Ingrao giovane che voleva ? Conoscere il mondo e farsene conoscere , e così è stato . Battersi con e per gli altri , e ha avuto il più grande partito comunista d ' Occidente . Conosce il linguaggio del comizio e quello dei versi , e la musica è il suo giardino . Nessuno nella sinistra è rispettato come lui anche dagli avversari . Che può avere di più un uomo ? Ha perso sul comunismo , borbottano i realisti . Non che sia colpa sua la crisi del marxismo o il crollo dell ' Urss , che sono cosa del secolo , ma il Pci , quello sì era roba sua . Ce l ' hanno con lui coloro per i quali esso non poteva non finire e quelli che pensano che è stato tradito . Il comunismo è uno spettro rimproverante , e il rimprovero si sposta su Ingrao . Può sorriderne , ma sa di essere solo . Per un comunista essere soli non è un incidente esistenziale , è una radicale messa in questione . È vero che in tema di comunismo i conti non tornano , anche se le vittorie e le sconfitte epocali non si misurano sui giornali , e le lacerazioni del mondo possono rimandare a quel che Luporini definiva « il comunismo come orizzonte » . Come il 1789 , forse anche il 1917 ha un destino carsico . Ma ora ? Non basta fare le scelte giuste per vincere ; figurarsi se sono state sbagliate . Al contrario di quel che si dice , la storia si fa con i « se » : prima di compiere quel gesto , un altro era possibile , e se il battito delle ali di una farfalla a Pechino sta a monte del terremoto di San Francisco , un ' azione fatta o non fatta , e tanto più se pubblica , una distrazione , una difficoltà elusa , presenteranno i loro conti . Solo un narcisista se ne assolve , ma il narcisismo è l ' ultimo difetto che a Ingrao si possa imputare . Visto da fuori , vien da chiedersi in che cosa si sia scontrato Pietro Ingrao se non in quello che più era e resta suo . Prima di tutto sulla questione della « rivoluzione italiana » , non la rivoluzione in genere , quella specifica che si riapriva negli anni sessanta . Vige oggi una sorta di progressismo alla rovescia , un hegelismo da bar per cui quel che avviene è il reale e il reale è razionale , e si accompagna a un furioso oscuramento di quel che è stato . Quel che è stato è che il Pci non fu affatto « rivoluzionario » dal dopoguerra a poco fa . Non avrebbe neppure potuto . È tornato a pensarsi come soggetto di un rivoluzionamento sociale , dentro o forse fuori dal patto politico , soltanto nei primi anni sessanta - lo pensò Ingrao , e questo fu l ' ingraismo . Prima di allora l ' ha da venì Baffone degli umili si coniugò non oltre che con la « democrazia avanzata » . Ma quando la guerra fredda cessa di essere la grande discriminante delle coscienze europee , la ricostruzione è compiuta , una generazione è uscita di scena e un ' altra è entrata , in Italia ci sono nuovi proletari e la prima massa studentesca , e il centrismo va in crisi , Ingrao si domanda , e non lui solo , che cosa possiamo diventare . Gliela farei volentieri un ' intervista su che cosa era , vista da oggi , questa « rivoluzione italiana » . Certo più Gramsci che Lenin . Certo si delineò un qualcosa che prima non c ' era , e Amendola , che era un uomo acuto , da allora avversò Ingrao tenacemente . Non so come avrebbe arbitrato Togliatti ; Longo e Berlinguer scelsero Amendola . Non sembra che abbiano veduto molto lontano , quella fu la prima svolta del Pci , il resto venne a seguire . Ma Ingrao era ben fermo a porre le sue domande non a se stesso né ad altri che non fosse il suo partito . E per chiunque sia anche vagamente marxista o non regredisca a una teoria delle élites , il come si esprime il soggetto del movimento storico nella modernità , resta « il » problema . Chi , come me , pensò nel 1969 che la maturazione era tale da non avere più bisogno di una forma - perché la forma è frutto di qualcosa che poi tende a immobilizzare - sbagliava : gli anni settanta e quel che è seguito ci dicono che senza una sua forma , una sua organizzazione , e capace di mutare con il suo soggetto , la contraddizione non si fa soggetto . Si può scegliere di essere invece che di fare , ma non è la stessa cosa . Oggi la società è in sofferenza , ma anche le sue voci più autentiche sono azzittite , quando non integrate ; e atomizzazione e omologazione mettono a rischio fin le identità individuali . Difficile dire quale sarebbe stata per Ingrao una scelta vincente nel breve riemergere della « rivoluzione italiana » : forse la risposta non sarebbe molto dissimile per coloro che la intravidero , molti e divisi , negli anni sessanta , e quando venne in scena nel 1968 . È storia da archiviare o altro ? E se altro , dove si è mancato ? Che cosa occorreva e non ci fu ? Ingrao registrò subito il recedere del Pci . Non so che cosa pensasse del 1976 , ma quando per la prima volta Berlinguer parlò della « produzione come bene in sé » vide l ' inversione di rotta , che sarebbe apparsa enorme con il Lama del 1977 e del 1978 . Ma noi , sinistra extraparlamentare , non dico i gruppi armati , non lo persuademmo - che avevamo a che fare , così drastici e grevi , con un Gramsci messo a giorno ? È vero che eravamo approssimativi , ma chi ti nega in non poca misura ti determina . È stata lunga l ' interruzione del dialogo fra Ingrao e quelli che gli erano rimasti amici anche dopo il 1969 . Lui si rintanava , prima nelle istituzioni , e poi , quando andò a dire al Partito che non ci sarebbe più stato perché occorreva studiare e rimettere a giorno la bussola , gli risposero : giusto , studia e togliti di mezzo . Non so come votasse sulla Nato . Non si agitò sulle leggi speciali . Da fuori chiedevamo , dov ' è Ingrao ? Anche quando scriveva , pareva che lo facesse da lontano . Più agevole capire che cosa sia stato per lui il Partito , strumento e gabbia . Perfino per gli avversari , il fascino di Ingrao sta nell ' aver sempre separato politica da potere . Il Partito era la comunità che o maturava tutta o periva , non lo forzò mai , tanto meno fece uso di una sua autorità - e i suoi , che si sono sentiti abbandonati , glielo rimproverano . Come se quella virtù fosse anche un difetto . Ricordo 1'XI congresso , il primo dissenso esplicito nel Pci : Ingrao se lo assunse da solo , raccomandando agli ingraiani - strano oggetto , compagni che non somigliassero neanche da lontano a una frazione - di starsene buoni . Perdette e perdemmo . Ricordo l ' estate del 1968 , fra il maggio e la Cecoslovacchia , il Partito in sommovimento , alcuni di noi che volevano un affondo e Ingrao , che pur ci aveva sperato , che mi dice : Il Partito non è maturo . È la primavera del 1969 : comunico a Berlinguer che faremo la nostra eretica rivista , gli chiedo : Credi che ci saranno sanzioni ? No , risponde Berlinguer . Sì , risponde Ingrao . E non senza risentimento , perché facevamo di testa nostra , lo lasciavamo . Nella discussione che precede la radiazione del « manifesto » , il suo fu un grande silenzio . Poi restò una voce a parte , il presidente della Camera che andava a Castellanza , il compagno che nel Comitato centrale si differenziava . Nessuno è più amato in un partito comunista di una sinistra che non mette in causa la segreteria . Se ti metti a rischio , mi metti a rischio ; compagno Ingrao , non lo fare , grazie di non farlo . Qual è il momento in cui si può / deve lasciare un ' impresa in cui hai messo la vita , senza essere sconfitti ? Se nel 1969 Ingrao avesse detto : se cacciate quelli del « manifesto » esco con loro , la storia del Pci sarebbe stata diversa ? Se a Firenze non avesse abbracciato Occhetto che gli tendeva una mano ? Pochi giorni prima mi aveva detto : O sto nel Partito o divento un testimone , tu ti contenti della testimonianza . Poi la Bolognina , poi Arco - se Ingrao ... I compagni ne rientrarono furiosi , io lo difesi . Fu un errore , sì , già si era fuori dei tempi massimi . E che aveva a che vedere la Rifondazione di Cossutta con lui ? Gli restò la battaglia sulla guerra del Golfo , l ' ultima . Poi se ne andò , neanche con altri . Da solo . Pensava ancora di coagulare , da fuori , un polo della sinistra non capitalista . E credeva che il « manifesto » potesse esserne il catalizzatore . Ma il « manifesto » non era , non è , fuori della crisi della sinistra , del marxismo , del comunismo , come che si voglia chiamare . Tiene fermo con qualche eroismo un minimo , non poco , non abbastanza . Arrivava Ingrao e non sapeva che dirgli . Quando egli propose almeno un laboratorio di ricerca , il giornale non seppe , non volle , non poté , era altro - ma che contano i conti e le ragioni ? Siamo tutti un po ' poveri . Quell ' uomo fortunato non ha più casa . Perdente , dunque ? Forse sì . Ritirato , giubilato , selvatico nel senso di Leonardo : chi è selvatico si salva ? Ma non è vero , nessuno si salva , non c ' è più un ' altra terra . Ma in quella che c ' è e dove siamo stati sconfitti non ci sono né pace , né ricomposizione , né vero dominio - ci sono le urla e la lacerazione che avevamo a tentoni intravisto nei sessanta , nei settanta . Le avevamo viste con lui e grazie a lui : poi ne traemmo altre conclusioni . Ma chi si aspetta che Ingrao taccia , si sbaglia . È di quelli che preferiscono essere fatti a pezzi che tornare a casa .
Encicliche ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Sarà modesta la sorte ecclesiale dell ' enciclica Evangelium vitae . I teologi o ne tacciono o la giudicano severamente . E gli umili pastori d ' anime sanno bene che per parlare e farsi ascoltare dalle coscienze inquiete della gente dovranno regolarsi come se non ci fosse . Essere papa è una dura prova per un uomo . Isolato , senza più una vera comunicazione , esaltato e sovraccaricato dall ' esser la voce di Cristo in terra , dovrebbe avere grande capacità di ascolto e grande saggezza di parola . Erano le virtù di Giovanni XXIII . Karol Wojtyla non le possiede o le ha perdute , e più le sue forze declinano più smisurata diventa in lui l ' idea , o la tentazione , di avere una funzione secolare immensa , del contare nel mondo in nome di un potere più che umano . È fin inquietante a vedersi , scavato , ammalato , in piedi con fatica , mentre legge con voce tremante un foglietto sorretto da mani tremanti per ribadire l ' interpretazione autentica della profluvie di encicliche , lettere apostoliche , discorsi vari e « statements » con i quali si affanna a statuire , a impedire , a chiudere porte e tirar su paletti davanti a qualcosa che incalza . Stavolta a incalzare sono le nuove minacce della morte alla vita - quella morte che « entra nel mondo a causa dell ' invidia del diavolo e del peccato dei progenitori » . Di quale morte parla ? Non inganniamoci . Non è l ' angoscia che ci ha colti con Hiroshima , quando per la prima volta abbiamo pensato che il pianeta poteva finire . Né il timore per l ' Aids , moderna pestilenza , né per l ' impulso distruttivo che sembra infuriare in violenze cieche e in guerre illeggibili . L ' Evangelium vitae non ha al centro la conservazione della specie alla soglia del terzo millennio né le guerre né le calamità naturali : il Vaticano sa bene che mai gli uomini sono stati in così grande numero , che in meno di un secolo l ' umanità si è quadruplicata e si è raddoppiata la speranza di vita . Sa anche che per la prima volta nella storia da un capo all ' altro del pianeta ci si interroga in qualche modo sui « diritti umani » ai quali fino a ieri l ' altro nessuno o ben pochi facevano caso . Sulle calamità naturali non ha nulla da dire , e quanto alle guerre stavolta appena si attarda a nominarle , essendo state rigettate alla periferia di quell ' Occidente che di questa enciclica è il vero interlocutore . In esso infatti egli vede covare il nemico : la morte per così dire privata , quella che si annida nel più intimo dei rapporti , la famiglia , nel vicino più prossimo da persona a persona . Non tanto la morte di un solo , ma la morte o la non - vita o la , vita - a - certe - condizioni - per Wojtyla sono quasi sinonimi - la vita insomma non come fatalità ma come scelta . Così egli non spende troppe parole sull ' omicidio , antica interdizione , e neppure sulla pena di morte ; e non solo perché la Chiesa non ama intrattenersi troppo sul biblico « Nessuno tocchi Caino » o è avvezza a patteggiare con i poteri costituiti . Stavolta non patteggia , minaccia . Chiama anzi alla disubbidienza civile , cosa rarissima , su quel che più di ogni cosa le preme : la vita degli « innocenti » . Chi sono gli « innocenti » ? Coloro che non sono ancora venuti alla luce , non ancora persone , ma vita nascente , vita possibile , i purissimi non nati e , quasi altrettanto inermi , i sofferenti terminali che vorrebbero morire . Creatura nella quale la volontà non c ' è ancora o non è più in senso pieno ; questo è il « debole » , sul quale preme la minaccia dei più vicini , i genitori , la madre , la famiglia . Per egoismo o per pietà costoro non lo metteranno alla luce o ne accelereranno la morte . Per egoismo o per pietà decideranno quando e come far nascere . Aiutati da inedite possibilità della scienza e della tecnologia . Questa è la nuova morte , il vero nemico . Il come della riproduzione non è problema di poca grandezza : investe al fondo la questione della persona e della libertà . Meritava , se enciclica doveva essere , una vera riflessione su questioni primarie dell ' etica del nostro tempo . Non l ' ha avuto ; l ' Evangelium vitae non ritiene che ci sia dilemma né una inedita problematica della coscienza ; tutto è sempre lo stesso ed è chiaro . Si tratta di ribadire il già noto nelle due occasioni cruciali , che datano quest ' ultima enciclica : la conferenza delle Nazioni Unite sulla popolazione appena avvenuta al Cairo e quella sulla donna che avrà luogo dalla fine di agosto ai primi di settembre a Pechino . Sulla popolazione , il Vaticano aveva incaricato una sua commissione di stendergli un rapporto , e si è trovato di fronte la proposta di dichiarare lecita la contraccezione . È stato un colpo . Wojtyla , Ratzinger e la curia di Roma hanno abbattuto la commissione pontificia e al Cairo i loro incaricati si sono battuti fino all ' ultimo non solo contro l ' aborto ma contro il controllo delle nascite , e hanno incontrato due scacchi . Primo , la defezione dell ' Islam che ha lasciato libera la contraccezione . Secondo , e più preoccupante , l ' alleanza delle donne - si può dire di tutte le donne , del Nord del Sud dell ' Est e dell ' Ovest - per il diritto al controllo delle nascite . Era la prima volta che paesi del Sud del mondo non si limitavano a dire a quelli del Nord « non immischiatevi nelle nostre faccende , cresciamo quanto ci pare » . Le donne hanno detto basta , la vita passa attraverso il nostro corpo e hanno preso il problema dalle mani degli uni e degli altri , ne hanno fatto una questione del loro essere , della loro persona e libertà , e non solo per la gestazione ma per il nutrimento , la crescita , l ' orizzonte di chi viene al mondo . Hanno identificato il proprio problema in una idea forte di sviluppo . Fra qualche mese esse torneranno a Pechino . Non è una lettura maliziosa vedere nell ' Evangelium vitae un sussulto di timore della più autorevole comunità monosessuale , comprensibilmente e miseramente sessuofoba , la Chiesa di Roma , davanti all ' insorgere inaspettato di un soggetto mondiale femminile . La donna , antico tramite del diavolo e oggi tramite della « nuova » morte . Wojtyla non è neppure in grado di parlarne , se non come matrice , grembo , luogo di maturazione dell ' embrione , contenitore di una vita che in lei viene transitoriamente immessa . Si commuove evocando le sole parole che gli vengono nella penna , quella della madre dei Maccabei davanti ai figli spenti : « Non so come siate apparsi nel mio seno , non io vi ho dato lo spirito e la vita , non io ho dato forma alle membra di ognuno di voi . Ma il creatore del mondo , che ha plasmato l ' origine e l ' uomo e ha provveduto alla generazione di tutti » . Come potrebbe lo sgorgare della vita - postilla Giovanni Paolo II - essere lasciato in balia della specie umana ? La vita le è data da Dio attraverso il corpo della donna . È l ' antica tradizione occidentale , sublimata dal principio del maschile - divino . Ogni intervento , ogni assunzione di libertà su questo punto è violazione della legge santa di Dio e il seme di avventure totalitarie . Si comincia col decidere se avere un figlio o no , poi se portare avanti la gravidanza o no , e a quale età , e se nell ' utero proprio o altrui , sole o con un uomo ; domani se ne sceglieranno il sesso , le fattezze , lo si clonerà , o gli si imporrà un Dna con vita a termine . Nella donna che vuol decidere di una maternità c ' è in nuce un Mengele . Qui sta la chiave e la povertà dell ' enciclica . Il problema della riproduzione umana è arrivato a più di una svolta . Una di esse è il problema della libertà e del corpo femminile ; complesso , non semplice . Un altro è quello delle possibilità di intervento indotte dalla scienza , che sono molte e inducono il dilemma del fin dove e del come . Ma l ' Evangelium vitae annulla ogni problema di scelta , azzera ogni dilemmatica morale : non c ' è di che discutere né interrogarsi né decidere . Da una parte ci sono Dio e la Natura , quasi sinonimi , e dall ' altra il demonio . Dio ha parlato una volta per tutte attraverso la Chiesa , che è sovrumana custode della sua parola quindi delle leggi dell ' universo . Non resta che seguirla , il resto è crimine e sacrilegio . La semplificazione culturale è immensa e desolante ; è davvero un toccare il fondo del cattolicesimo , il quale da tempo , del resto , lasciava al luteranesimo la tragedia della persona , l ' etico , lo stesso interrogarsi sul senso della vita nel disegno di Dio , che poi è il fondamento della libertà per un credente . Domani saranno cinquant ' anni precisi da che a Flossenburg veniva impiccato Dietrich Bonhoeffer , che sembra più lontano da Karol Wojtyla del Gran Muftì di Gerusalemme . Egli aveva osato parlare di un mondo adulto , che non ha più bisogno di un signore o giudice o consolatore , « un mondo senza Dio in presenza di Dio » , non parentesi , non breve transito , ma luogo decisivo dove si giocano il senso e la salvezza . L ' Evangelium vitae torna a disegnarci un mondo dove velocemente si passa , segmento insignificante , specie di prova d ' esame in vista della vita vera , che verrà « dopo » . È l ' antica tesi autoritaria , assieme pedagogica e consolatoria , che ha permesso alla Chiesa tutte le repressioni e tutti i compromessi ; oggi la rende muta davanti a ogni domanda sulla concretezza della libertà . E paradossalmente perfino sull ' obbedienza . Wojtyla non sa più parlare neppure nel severo ambito dell ' epistola di san Paolo ai Romani - fra lo sconvolgente commento di Karl Barth , traversato da tutta la modernità , e i testi di Giovanni Paolo II c ' è un abisso . Non è un bene neanche per chi non è cattolico . Dal tema della vita come scelta propria e altrui la Chiesa si ritira , si dimette , lasciando scoperti i credenti . Non a caso le rispondono zelantemente soltanto i politici , i medici e i farmacisti .
Stragi ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Un silenzio di piombo ha accolto l ' inchiesta del giudice Salvini sulle stragi da piazza Fontana in avanti . Lo stesso per il verbale riservatissimo della riunione del governo dopo la strage di Bologna nell ' agosto del 1980 . Scrupolo di accertare questa o quella responsabilità penale ? Certo no , gli scrupoli non sono la specialità dei media e dei leaders . È scelta di tacere su quanto già si supponeva e ora è accertato , l ' ampiezza devastante delle responsabilità dei governi dagli anni sessanta a ieri . Dunque il più estremista dei volantini estremisti degli anni settanta restava al di sotto della verità . Pensarono tutti , pensammo tutti , che nei servizi segreti fossero infiltrati personaggi o lobbies o gruppi che agivano in un loro disegno , ma marginale rispetto alle scelte dell ' esecutivo , una carta matta imprudentemente usata e che finiva con il ricattare i governi , i quali prima tacevano poi periodicamente cercavano di liberarsene . Non era così . I servizi segreti operarono con l ' accordo dei governi e dell ' arma dei carabinieri nell ' uso della manovalanza che già avevano o trovavano nell ' area missina . Quando , negli anni sessanta , in fabbrica si dovettero dismettere le schedature e i movimenti della sinistra avanzarono impetuosamente e si modificarono gli equilibri centristi , i governi , costretti ad « aprirsi » , allargarono d ' accordo con la Nato i compiti delle strutture clandestine destinate a fare fronte non già a del tutto improbabili invasioni sovietiche ma a un mutamento di indirizzi , una vera « alternanza » in Italia . Furono così lasciati fare attentati e stragi , anzi suggeriti e garantiti di copertura , ventisei anni di tritolo e cadaveri , dal 1960 in poi . Per agitare una presunta instabilità e seminare il dubbio e la divisione sul movimento che potentemente avanzava , specie dopo il '68 e il '69 , accusandolo di portare il terrore dentro di sé . Di questa laida operazione i governi erano al corrente , conoscevano la mappa di chi operava e la copersero . Non copersero solo le stragi interne . Il presidente Cossiga ci invia uno stupefacente verbale dal quale si desume che il suo governo aveva motivo di sapere che l ' aereo dell ' Itavia precipitato a Ustica era stato colpito da un missile della Nato che voleva liberarsi del colonnello Gheddafi ma sbagliò obiettivo . È il5 agosto 1980 , a due giorni dalla strage alla stazione di Bologna , ne deduceva trattarsi di una vendetta dei libici . Chi legge il verbale - c ' erano Cossiga , Colombo , Bisaglia , Morlino , gli inevitabili Sisde e Sismi e capi della polizia , ma anche Formica , Andreatta e Giorgio La Malfa - non ne trae alcuna certezza che siano stati i libici , ma che questi signori considerarono l ' ipotesi sufficientemente valida da dover essere nascosta , dati gli interessi libici in Italia oltre che la figura della Nato . E che decisero di discorrerne con i servizi segreti della Libia e di tacerne con gli inquirenti italiani , che per quindici anni si sono dibattuti tra falsi di ogni genere , finendo con l ' inseguire quei Nar che c ' era ragione di ritenere non entrassero nella strage di Bologna affatto . Intanto i presidenti della repubblica ricevevano periodicamente le famiglie assicurando che si sarebbe fatta giustizia . E fino a quando dura questa sanguinosa commedia ? Ancora nel 1992 il governo mente alla camera sulla struttura Gladio , che deve ammettere ma di cui consegna soltanto l ' involucro esterno , 622 nomi di poco conto destinati a nascondere la vera struttura di fiducia , quei « Nuclei di difesa dello Stato » che , per quanto ne sappiamo , scorrazzano anche ora . Non si liquida in un giorno un piccolo esercito protetto dai carabinieri e quei servizi che , infatti , sembra difficile processare anche se colti con le mani nel sacco . I ricatti si sprecano . Dunque non singoli personaggi deviati ma i regolari servizi dello Stato hanno utilizzato esplosivi , sparatorie e missili , con l ' accordo dei governi e della Nato , hanno schedato il mezzo milione di italiani ( e le schede ci sono ancora ) e hanno allenato supercentrali operative , reclutando i tipi più fidati nel Movimento sociale italiano . Dove ogni tanto uno come Vinciguerra si innervosiva di essere usato dai corpi della Repubblica invece che per la rivoluzione fascista , come gli assicurava Rauti che gestiva in buona armonia con Giorgio Almirante , mentore di Gianfranco Fini , le due facce del partito . Il tutto nel quadro di intese interne e internazionali del tutto illegali , del tutto incostituzionali e del tutto accettate . Perché , ebbe a dire Francesco Cossiga , che c ' era di strano ? Noi , l ' Occidente democratico governavamo in Italia un paese di frontiera che doveva tenersi pronto all ' invasione delle armate russe e iugoslave , come è noto impazienti di occupare l ' Europa , mentre voi avevate il partito e le masse pronti a consegnare il paese a Breznev . Noi ci servimmo dei nostri servizi e delle nostre bombe , voi avevate le Brigate rosse e i loro revolver . C ' era una guerra , ora non c ' è più per decesso dell ' Urss e possiamo chiudere la partita . Quelli di noi che gettarono un urlo si sentirono dire anche da Norberto Bobbio che erano gli incerti della situazione geopolitica : ovvio che fossimo in libertà vigilata dal 1945 al 1989 . Sennonché nessun esercito sovietico si preparava a dilagare in Europa , dove Mosca aveva rinunciato anche all ' idea di rivoluzione dopo gli anni venti . Tanto meno dopo Yalta . E infatti la Nato operava in tutta l ' Europa occidentale , ma nessun altro paese ha chiesto o subìto condizioni simili . La Stay behind più « Gladio » è un esempio della creatività italiana , armata dai governi centristi quando temettero che quella grossa socialdemocrazia , popolare e moderatamente avanzata che era il Pci , si conquistasse quell ' alternanza della cui mancanza si dolgono gli stessi che tacciono sui mezzi con cui fu impedita . La storia d ' Italia prende davvero , alla luce dei fatti , una strana fisionomia . Guardo i nomi dei presidenti della Repubblica negli annidi fuoco , Pertini e Cossiga , uomini diametralmente opposti , mi chiedo come venne eletto l ' uno , che cosa sapeva , come venne usato , e come venne eletto l ' altro , quello che sapeva tutto degli apparati e sa dove cercare i documenti quando gli viene in mente di illuminare gli storici . E che cosa sa Scalfaro , del passato e del presente ? Quali dilemmi i migliori di loro hanno avuto ma tengono per sé ? Guardo i nomi dei presidenti del Consiglio , e mi fa impressione che Andreotti sia perseguito per un improbabile bacio a Riina e non per aver inviato a « sfoltire » di nomi i dossiers delle stragi nel 1974 . Penso alla lista dei ministri della Difesa e agli armadi di quelli degli Interni , cui i servizi facevano pervenire rapporti più che espliciti . Penso ai capi della polizia , fedeli servitori dello Stato , come quello che vidi mentire tranquillo sotto giuramento al processo 7 aprile . In nome dell ' anticomunismo in Italia fu ovvio , implicito , consentito fare di tutto , compreso l ' ammazzamento di cittadini che si trovavano per caso in una banca , in una piazza , in un treno o una stazione . In tema di atlantismo , il nostro è un record . Penso anche all ' opposizione , che esce da questo quadro beffata e sciocca . Nel 1964 , quando si preparava il colpo del generale De Lorenzo nel silenzio - assenso del presidente Segni , Pietro Nenni sentì fragore di sciabole e fece marcia indietro invece che chiamare i carabinieri - forse dubitando che sarebbero volati in suo soccorso . Negli anni settanta , preso atto del Cile , Enrico Berlinguer fece sapere allo Stato nel quale desiderava entrare che non avrebbe cercato di modificare nessuno degli equilibri militari , né interni né internazionali . E infatti . Quale fastidio diede ai servizi il Pci ? Nel 1969 cadde col naso in avanti nella tesi della pista rossa , non vide altro che un pericolo a sinistra , ottenendo in tutto e per tutto una coda di paglia grande come una casa per essersi appiattito a quell ' impresentabile stato . Che ne dice oggi Ugo Pecchioli , da una vita nel comitato parlamentare che doveva controllare i servizi ? Di lui devono aver riso molto un bel mucchio di mascalzoni . Per quindici anni comunisti e progressisti hanno chiuso gli occhi su coloro che li stavano facendo fuori , per inseguire l ' eversione di sinistra che la loro debolezza aveva provocato , e ora apriva la propria sanguinosa , perdente guerra privata con gli apparati della polizia e dell ' esercito . Rivedo gli editoriali di « l ' Unità » , e di Valiani e di Scalf ari , che accusavano le Brigate rosse di mettere a repentaglio le istituzioni repubblicane . Intendevano dire che eravamo già così occupati da colonnelli e armigeri fascisti che non bisognava eccitarli oltre ? Che su tutto questo , oggi squadernato , Gianfranco Fini taccia , si capisce : la sua svolta è avvenuta sotto il ritratto di Almirante . E si capisce che dunque ne taccia il Polo . Che tacciano i popolari è meno chiaro : l ' esame di coscienza della Dc , i Bianco , i Martinazzoli e Rosy Bindi lo devono fare . Ma perché la sinistra tace ? Perché dovremmo tacere noi ? Sento persone piene di saggezza ammonirmi : lasciamo perdere , non ci si attarda sulla malattia quando si è guariti , la vita deve continuare ; e che puoi dire ai giovani ? Che i governi della Repubblica avevano qualche intesa con la mafia , e poi hanno anche rubato , e infine che sono stati un po ' assassini ? Meglio guardare avanti . No . Non si guarda avanti se non si vede chiaro ieri , se non si sa dove il marcio è arrivato , se si assolvono uomini , mezzi e fini , se si racconta che di fascisti non ce n ' è stati più dal 1945 e che se avessimo avuto meno comunisti saremmo da un pezzo una splendida democrazia . I miei amici giovanissimi mi guardano e sussurrano : avete lasciato un cumulo di macerie , non seccare con la politica , preferiamo un ' esistenza senza le sue ambizioni ma senza i suoi orrori . Debbo dirgli che in fondo , sì , siamo in un sistema trasparente , il conflitto non è poi grande e avviene ad armi pari , sotto i fari d ' una stampa coraggiosa e veritiera ? Non è vero . Non sono uguali le responsabilità , le colpe , i fini e i mezzi . Ci hanno scassato a colpi di bombe , fucilate , complotti e bugie . Quelli che vengono dopo di noi costruiranno mattone per mattone il proprio destino , ma noi dobbiamo loro la verità .
Mettere al mondo ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Non facciamo confusione : non sono la stessa cosa un ' interruzione di gravidanza e l ' intervento genetico sulla riproduzione della specie . Nel primo caso una donna si chiede se mettere al mondo un figlio o no ; una donna , quella persona / corpo che non regge una maternità , e decide per il no . Nel secondo , il genere umano si trova a decidere il sì o il no di manipolazioni e mutazioni , financo donazioni o differenziazioni perverse , che decidono dell ' umano futuro . E interpellano alle radici culture , etiche , princìpi di identità . E infatti la prima è un ' antica vicenda , la seconda del tutto inedita . Da sempre le donne hanno ricorso a erbe e strumenti e tecniche abortive quando non potevano mettere al mondo e tenere al mondo una creatura . A rischio della vita . Uomini e società lo sanno , non c ' è testo di scienza naturale che non ne parli . Non c ' è stata legislazione demografica che lo abbia impedito . Le grida sull ' aborto che si levano periodicamente sono bugiarde e perverse . Lo scrive Gustavo Zagrebelski : « Un punto che dovrebbe essere pacifico in ogni discussione in buona fede è che tutti i divieti legali , siano essi rimessi nelle mani del giudice penale che condanna , o del medico che rifiuta l ' intervento , o del genitore che nega l ' assenso , o del padre che impone la sua volontà generatrice , si risolvono concretamente non nell ' impedimento dell ' aborto ma nella ricerca dell ' aborto clandestino ... non la difesa della vita del nascituro ma il pericolo della vita della donna e la discriminazione fra donne ricche e povere : due conseguenze entrambe incostituzionali » . Non penso che su questo si debba elucubrare , tanto è tristemente noto e chiaro . Si può chiedersi il perché del periodico risorgere d ' una maledizione su pratiche acquisite dal sapere comune e dalla medicina semplice - penso al trattato « sulle malattie delle donne » di Trotula de Ruggiero - e che fecero riflettere con più problematicità di ora la Chiesa delle origini . È come se qualcosa spingesse uomini o Chiese o Stati a inchiodare il corpo femminile sul margine fra vita e morte nel quale per secoli lo hanno cacciato e il parto ( fino all ' asepsi ) e l ' aborto . Là dovrebbe restare o essere riportata la maledetta sessualità femminile ? Si può anche capire il problema del credente , per il quale sono sacri qualsiasi tempo di vita come qualsiasi distruzione « naturale » perché Dio disegnerebbe il correre dell ' universo , e l ' uomo non avrebbe il diritto di intervenirvi . Ma quale fondamento può avere una etica laica , se non il doppio principio della libertà e delle responsabilità ? In questa ottica appare bizzarro che quel che di più importante si può fare , cioè mettere una creatura al mondo , non sia libero , deciso . Neppure la più folle delle legislazioni , salvo una segreta pratica nazista , osa enunciare l ' obbligo di generare . Ma se scelta è , è scelta in prima istanza e in ultima della donna . Qualsiasi uomo che abbia saputo dalla donna - lui non può saperlo - di averne fecondato un ovulo , sa quel che accadrà in se stesso e in lei : in lui , nulla , in lei , una rivoluzione . Il corpo di lei è investito , rovesciato il ciclo , l ' embrione cresce nei suoi tessuti , partecipa della sua circolazione sanguigna e respiratoria , è difeso dalle sue difese immunitarie , non potrà in nessun caso vivere se se ne separa prima di sei mesi , verrà a maturazione piena a nove e sarà espulso « nel dolore » . Poi la madre lo raccoglierà , pulirà , medicherà , alimenterà , mentre le si rinchiude quel grembo lacerato di cui , fino a meno di quarant ' anni fa , ancora rischiava di morire . Ma dovrà proteggere il piccolo cranio ancora aperto . Il cucciolo umano nasce assai più fragile d ' un gattino , e gli ci vorranno tre anni per cavarsela senza perire . E se la madre non gli sarà stata accanto nel suo pauroso precipitare in un mondo così diverso dall ' alveo materno , l ' angoscia sarà tale da incrinare il suo passaporto per l ' esistenza . La maternità è un evento globale e lungo che investe una esistenza femminile , scompone ogni altro programma di realizzazione , ed esige mediazioni perché uno dei due , madre e figlio / a , non ne esca mutilato . Quale comune misura ha questo con la paternità ? Sul piano fisico nessuna . La paternità è un ' acquisizione mentale , affettiva , non percepita nel corpo . È sulla vita di relazione ? Va da sé che la madre restringa le sue relazioni per privilegiare quelle con la sua creatura , va da sé che l ' uomo sviluppi le sue relazioni , un padre essendo chiamato ad essere più di prima un individuo sociale . La dissimetria è patente , la fisiologia si riproietta e moltiplica in ruoli apparentemente obbligati . Di questo dovremmo pur parlarci , fra uomini e donne . Io ho molti e carissimi amici fra gli uomini , ma non ne fanno parola . Credo neanche fra loro . Forse ogni uomo ha in fondo a sé , oscuramente , la percezione di questo scompenso , che ha battuto fin dalle origini il fantasma della Grande Madre , quella che veniva prima che si riuscisse a legare sessualità e riproduzione , quella ancora presente in Esiodo , la terra generatrice di tutto , anche del cielo . Lui , il maschio , ha potuto accedere alla filiazione , in lei così visibile , soltanto sequestrandone il corpo , e imponendo alla creatura un simbolo di proprietà , il nome . Ma ha dovuto fare della donna un soggetto secondo , meno libero . Si può capire . Credo che dovremmo ascoltare la fragilità del maschio , il sapersi un corpo che non si riproduce , che finisce , che disperde il seme . E nel medesimo tempo sapersi meno esposto , confessa Winnicott : per millenni il parto è stato un rischio di vita . Di fronte all ' invidia - timore che le donne avrebbero del pene , c ' è l ' invidia - timore del maschio per la femminilità sdoppiantesi , sola signora della genealogia . Si può anche capire che quando il sapere medico ci mette nella possibilità di decidere il sì o il no della maternità senza rischiare la vita , il nostro potere appaia enorme , inammissibile . Che altro traspare dalle parole di un uomo , abitualmente problematico e colto come Giuliano Amato ? « Lei » non sa , è egoista , immatura , incapace di veder oltre se stessa . Decido io al posto suo . Diverso il problema di fronte agli interventi genetici che investono la riproduzione della specie . Ma proprio perché essi riguardano l ' intera umanità , divisa in ruoli di inuguale potere prima di tutto fra i sessi , va detto forte che non se ne deciderà senza la determinazione della parola femminile . Io sono grata al centro Virginia Woolf per averlo scritto e proposto alla firma di tutte , al di là di ogni appartenenza . Il « che cosa » poter o dover fare in tema di procreazione esige una decisione d ' urgenza , perché già troppo si è avanzati senza una regola , e dove le regole non ci sono , conta il più forte , in saperi , denari , poteri . Su questo terreno si può giungere a mostruosità , come sappiamo , e anche dove sogni perversi di eugenetica fossero evitati , nessuna mutazione sarà cosa da poco . E non di poca tentazione : se intervenendo sul Dna abbattessimo alcune fatali malattie ? Per salvare e per salvarsi si possono compiere atrocità . Ma anche fosse tutto per il meglio , questo meglio va lungamente meditato e comunemente deciso . E la decisione varrà se ambedue i sessi , al punto in cui sono le riflessioni su di sé e l ' altro , e le identità , e le prospettive , vi si riconosceranno . Questo è l ' ammonimento dell ' appello firmato da migliaia di donne . Altro che domanda « corporativa » ( ammesso che sia pensabile ridurre un sesso anche alla più vasta delle corporazioni ) . Quel che è sicuro è che finora non ambedue i sessi ma solo il genere maschile ha parlato e legiferato . L ' altro , noi , abbiamo taciuto o subìto o privatamente mediato o ci siamo fatte complici : sono complicati , ben poco trasparenti , i rapporti fra uomini e donne . Lo schema maschile ha funzionato da schema unico , oggettivo e neutrale . Ma come potrebbe esserlo ? Anche chi , come me , non rinuncerebbe ai saperi d ' un mondo cui le donne hanno subalternamente partecipato , dubita che sul terreno della sessualità e della procreazione gli uomini possano attingere a pretese di universalismo . Si tratta d ' una frontiera limite , dolente e problematica , dove ogni sesso è forzato a una sua parzialità . Di più , il corpo non si dice in parole , è sentito , ne scriviamo per geroglifici . Sull ' esperienza del corpo siamo rimandati al massimo del « dato » e al massimo dell ' « irripetibile » , a leggi fisse prima e dopo di noi e alla solitudine delle differenze . La comunicazione va costruita . Fra le donne e fra i generi . E questo significa cambiare ordini , simboli , valori , poteri . Agli uomini , signori delle parole , restituirei quella competenza sui sentimenti che , tenendosi per sé i saperi , sembrano averci consegnato rimuovendoli da sé . Non credo alla divisione dell ' intelligere e del sentire , pati , patire . A certi testi femminili restituirei l ' inclinazione opposta , una sapienza come antilogos , che già ci ha funestato negli anni settanta . Come se si potesse pensare , elaborare , riflettere , senza astrarre , e non si potesse astrarre senza ordinare , né ordinare senza coartare . Come se potessimo eludere la sfera dei diritti , dei conflitti , di scarse ma essenziali leggi e del loro mutare nella storia . Ma questa è strada da fare . Se credevamo di aver tempo , perché qualcosa era sicuramente raggiunto e garantito , ci siamo sbagliate .