StampaQuotidiana ,
Caro
senatore
,
il
suo
discorso
non
fa
una
grinza
.
Io
sono
perfettamente
d
'
accordo
con
lei
che
una
spesa
di
74
miliardi
,
e
anche
quella
di
270
prevista
per
il
'79
,
è
ben
poca
cosa
in
confronto
al
valore
dell
'
enorme
patrimonio
artistico
da
salvare
;
e
anzi
questo
giornale
è
sempre
stato
in
prima
linea
nel
reclamare
che
a
questa
difesa
siano
dati
mezzi
sempre
più
grandi
ed
efficienti
.
Ma
Ricossa
non
contestava
affatto
questa
tesi
.
Semplicemente
diceva
:
Prendiamo
il
più
modesto
di
tutti
i
nostri
bilanci
,
quello
per
i
Beni
culturali
,
74
miliardi
appena
.
Il
cittadino
è
in
grado
di
controllare
come
viene
amministrato
questo
stanziamento
,
e
se
esso
serve
di
più
a
mantenere
il
suddetto
patrimonio
o
coloro
che
vi
sovrintendono
?
No
.
E
allora
figuriamoci
quanto
è
in
grado
di
controllare
una
spesa
globale
di
64
mila
miliardi
,
qual
è
quella
dello
Stato
,
del
suo
Stato
.
Questo
,
diceva
Ricossa
.
Egli
ha
portato
l
'
esempio
del
bilancio
dei
Beni
culturali
perché
,
appunto
per
la
sua
modestia
,
era
quello
che
meglio
si
prestava
a
dimostrare
il
suo
assunto
che
trova
consenzienti
-
glielo
posso
garantire
-
tutti
i
lettori
.
Perché
tutti
i
lettori
-
anche
questo
le
posso
garantire
-
hanno
le
scatole
piene
di
questo
Stato
ciaccione
,
avido
e
dissipatore
,
che
vuol
fare
troppe
cose
e
le
fa
malissimo
,
a
cominciare
da
una
contabilità
talmente
ingarbugliata
che
nessuno
,
nemmeno
i
cosiddetti
uomini
di
Stato
e
la
loro
burocrazia
,
riescono
a
capirci
più
nulla
.
Lei
non
vorrà
negarmi
,
spero
,
che
l
'
enorme
prelievo
che
lo
Stato
fa
del
pubblico
denaro
viene
adibito
soprattutto
a
mantenere
coloro
che
lo
maneggiano
,
e
a
mantenerli
male
perché
sono
troppi
e
costretti
ad
operare
in
un
guazzabuglio
di
leggi
che
li
condanna
all
'
inefficienza
e
al
parassitismo
:
Non
so
se
i
Beni
culturali
facciano
eccezione
alla
regola
.
Ma
la
regola
è
quella
che
dice
Ricossa
:
uno
Stato
che
dovunque
mette
le
mani
combina
guai
e
per
ripararli
ha
sempre
più
bisogno
di
succhiare
quattrini
al
cittadino
senza
dargli
modo
di
controllare
come
li
usa
.
Per
difendersi
non
c
'
è
che
un
mezzo
:
ridurre
la
spesa
pubblica
,
che
significa
anche
ridurre
gl
'
interventi
dello
Stato
,
insomma
riprivatizzare
il
Paese
.
Ne
convenga
anche
lei
,
caro
senatore
.
Altrimenti
,
perde
i
voti
.
Lei
parla
di
contraddizione
,
caro
Lo
Cascio
,
e
ha
ragione
.
Ma
il
problema
va
posto
,
a
mio
avviso
,
in
termini
un
po
'
diversi
da
quelli
esposti
nella
sua
lettera
.
E
'
vero
:
il
mondo
politico
italiano
intrattiene
rapporti
assidui
con
gli
esponenti
di
quegli
stati
dell
'
Est
«
socialista
»
che
hanno
indubbie
connotazioni
totalitarie
.
Ciò
può
turbare
la
coscienza
dei
democratici
ma
è
difficilmente
evitabile
,
anche
se
certe
inutili
sbracature
e
indulgenze
sono
eccessive
.
L
'
impero
sovietico
è
una
realtà
.
Così
come
è
una
realtà
la
assoluta
prevalenza
numerica
,
nel
mondo
,
dei
regimi
dittatoriali
sui
regimi
democratici
.
Se
questi
ultimi
dovessero
chiudersi
in
se
stessi
,
rifiutando
ogni
contatto
con
gli
«
impuri
»
,
e
troncando
con
essi
rapporti
diplomatici
,
economici
,
culturali
,
si
arriverebbe
a
una
situazione
paradossale
:
alla
situazione
cioè
di
una
coalizione
della
libertà
che
rinuncerebbe
ad
influire
sulle
vicende
del
mondo
,
e
che
,
respingendoli
in
blocco
,
costringerebbe
gli
altri
,
i
non
liberi
,
ossia
,
ripetiamo
,
la
maggioranza
degli
stati
,
a
coalizzarsi
a
loro
volta
.
La
confusione
tra
morale
e
politica
produce
effetti
di
solito
negativi
,
a
volte
catastrofici
.
Se
ne
è
accorto
anche
Carter
,
che
giuoca
la
carta
cinese
contro
la
carta
russa
pur
sapendo
perfettamente
che
,
quanto
a
democrazia
,
se
Mosca
piange
Pechino
non
ride
.
Io
penso
,
insomma
,
che
la
politica
internazionale
di
un
Paese
debba
accettare
questi
compromessi
e
adattarsi
agli
incontri
,
ai
brindisi
,
ai
comunicati
finali
,
con
tutte
le
loro
ipocrisie
e
reticenze
.
La
contraddizione
,
secondo
me
,
sta
altrove
.
Sotto
la
spinta
dei
partiti
di
sinistra
e
della
loro
propaganda
la
politica
estera
italiana
pecca
di
duplicità
e
di
incoerenza
.
Se
la
ragion
di
stato
deve
prevalere
sulla
morale
internazionale
,
se
impone
di
colloquiare
con
i
totalitari
,
la
regola
deve
valere
per
tutti
:
per
la
Unione
Sovietica
come
per
il
Cile
,
per
l
'
Albania
come
per
la
Rhodesia
.
Invece
non
è
così
.
Non
si
vuole
che
sia
così
.
Pertini
,
Andreotti
e
Forlani
,
possono
tranquillamente
recarsi
in
visita
ufficiale
a
Mosca
,
ma
guai
se
si
azzardassero
a
visitare
Argentina
e
Cile
;
possono
ricevere
Gheddafi
,
ma
guai
se
accogliessero
a
Roma
Pinochet
.
Abbiamo
normali
rappresentanze
diplomatiche
perfino
nell
'
Uganda
di
Idi
Amin
,
ma
non
a
Santiago
del
Cile
.
Allora
qual
è
il
criterio
?
Vale
la
ragion
di
stato
,
che
consiglia
di
mantenere
canali
in
ogni
direzione
,
o
vale
la
morale
politica
,
che
consiglierebbe
di
negare
reciprocità
di
rapporti
a
chi
non
ha
le
carte
in
regola
con
la
democrazia
?
Non
si
sa
.
O
piuttosto
si
sa
benissimo
.
In
obbedienza
non
a
un
criterio
uniforme
,
ma
al
vociare
propagandistico
e
al
ricatto
parlamentare
,
si
usano
due
pesi
e
due
misure
.
I
totalitari
di
sinistra
sono
ritenuti
internazionalmente
più
frequentabili
di
quelli
di
destra
.
La
Farnesina
si
indigna
:
ma
con
juicio
.
StampaQuotidiana ,
Caro
amico
(
visto
che
lei
mi
considera
tale
)
,
se
l
'
allusione
sul
modo
in
cui
vivono
certi
giornali
è
rivolta
al
nostro
,
la
invito
senz
'
altro
a
fare
un
sopralluogo
da
noi
,
pagandole
anche
biglietto
e
diaria
,
e
in
compagnia
di
uno
stuolo
di
avvocati
e
commercialisti
per
controllare
,
fatture
alla
mano
,
quanto
e
da
dove
introiamo
,
quanto
e
come
spendiamo
.
Si
accorgerebbe
che
,
come
rigore
amministrativo
,
e
non
soltanto
amministrativo
,
abbiamo
lezioni
da
dare
,
non
da
prendere
,
specie
dai
Comuni
e
dalle
Province
.
Per
quanto
concerne
la
sua
attività
di
consigliere
provinciale
,
lei
ha
tutto
il
diritto
di
credere
che
in
essa
rientri
anche
la
politica
estera
nazionale
;
io
ho
quello
di
pensare
e
di
scrivere
che
gli
elettori
eleggono
un
consigliere
provinciale
perché
s
'
interessi
delle
cose
della
provincia
,
non
della
Rhodesia
e
dello
Zimbabwe
,
delle
quali
può
benissimo
occuparsi
quando
parla
con
gli
amici
al
caffè
,
non
quando
siede
nel
consiglio
provinciale
.
Chi
di
noi
due
abbia
ragione
,
lasciamolo
giudicare
ai
lettori
.
Quanto
alla
Dc
,
lei
fa
benissimo
,
come
militante
e
gerarca
,
a
difenderla
.
Ma
non
può
dire
che
chi
vota
per
essa
perde
,
dopo
aver
depositato
la
scheda
nell
'
urna
,
qualsiasi
diritto
,
compreso
quello
di
avvertire
certi
puzzi
e
di
turarsi
il
naso
.
Noi
,
lo
sappiamo
benissimo
,
non
possiamo
impedirvi
di
puzzare
;
ma
voi
non
potete
impedirci
di
sentire
il
puzzo
e
di
dire
che
lo
sentiamo
.
Resta
la
questione
dei
butteri
,
di
cui
lei
si
aderge
a
difensore
.
Ma
contro
chi
?
Io
sono
un
vecchio
amico
dei
butteri
coi
quali
ho
convissuto
intere
estati
,
quando
mio
nonno
mi
conduceva
a
caccia
a
Capalbio
e
dintorni
.
Magari
ce
ne
fossero
ancora
,
perché
erano
gran
gente
.
Ma
dove
fossero
la
Rhodesia
e
lo
Zimbabwe
non
lo
sapevano
,
né
credo
che
lo
sappiano
oggi
,
se
ce
n
'
è
ancora
qualcuno
.
Ecco
tutto
,
caro
amico
.
StampaQuotidiana ,
Pubblico
insieme
queste
due
lettere
perché
mi
pare
ch
'
esse
formino
un
perfetto
pendant
,
a
conferma
di
quanto
dicevo
nell
'
articolo
(
è
il
caso
di
dirlo
)
incriminato
.
Per
coloro
che
non
lo
avessero
letto
,
o
non
lo
ricordassero
,
ne
riassumerò
brevemente
la
tesi
.
Non
capisco
,
dicevo
,
perché
il
contrasto
fra
Stato
e
Chiesa
sull
'
aborto
faccia
scandalo
.
Essi
parlano
a
due
diversi
interlocutori
:
l
'
uno
al
cittadino
,
l
'
altra
al
credente
.
Quando
l
'
uno
concede
come
diritto
ciò
che
l
'
altra
proibisce
come
peccato
,
sta
ad
ognuno
di
noi
decidere
secondo
coscienza
il
da
farsi
.
Nessuno
è
condannato
all
'
aborto
.
È
una
facoltà
.
Lo
Stato
non
poteva
non
regolarla
,
visti
i
pericoli
e
le
ingiustizie
della
pratica
clandestina
.
La
Chiesa
non
può
non
condannare
questa
pratica
.
Non
è
la
prima
volta
,
e
non
è
questo
il
solo
caso
in
cui
norma
civile
e
norma
religiosa
discordano
.
La
grande
conquista
dello
Stato
di
diritto
è
di
porre
il
cittadino
nella
condizione
di
scegliere
fra
l
'
una
e
l
'
altra
.
Ora
il
sig.
Tornaquinci
mi
dice
addio
perché
non
trova
questa
posizione
abbastanza
laica
,
il
sig.
Strampelli
mi
dice
addio
perché
non
trova
questa
posizione
abbastanza
cattolica
.
Sembra
che
dicano
cose
antitetiche
.
E
invece
dicono
la
stessa
cosa
.
Dicono
cioè
che
non
vogliono
esser
loro
a
scegliere
.
Secondo
l
'
uno
questo
compito
spetta
allo
Stato
,
secondo
l
'
altro
alla
Chiesa
,
senza
rendersi
conto
che
uno
Stato
che
proibisse
alla
Chiesa
d
'
interloquire
su
un
problema
morale
come
questo
sarebbe
uno
Stato
totalitario
,
così
come
una
Chiesa
che
proibisse
allo
Stato
di
regolare
un
problema
come
questo
,
che
è
anche
civile
,
sarebbe
una
teocrazia
.
Per
quanto
mi
dispiaccia
perderli
(
e
mi
dispiace
moltissimo
)
,
debbo
riconoscere
che
il
nostro
giornale
non
è
fatto
per
questi
lettori
.
Noi
ci
rivolgiamo
a
quelli
che
,
fra
un
imperativo
civile
e
un
imperativo
religioso
,
accettano
di
assumersi
la
responsabilità
di
una
scelta
,
anche
quando
è
angosciosa
come
nel
caso
dell
'
aborto
.
In
quanti
siamo
?
Non
lo
so
.
Certo
,
una
minoranza
.
Ma
una
minoranza
di
uomini
,
qualifica
che
spetta
solo
a
coloro
che
hanno
una
coscienza
,
e
non
sono
disposti
a
portarla
all
'
ammasso
pur
sapendo
di
avere
in
essa
il
tribunale
più
difficile
cui
rispondere
.
Anche
in
pochi
,
è
preferibile
restare
tra
noi
.
StampaQuotidiana ,
Forse
è
perfino
un
sollievo
,
una
volta
arrivati
qui
,
nella
saletta
bianca
delle
guardie
carcerarie
,
superata
la
trafila
dei
controlli
e
i
metal
detector
e
le
pesanti
porte
d
'
acciaio
foderate
di
vetro
antiproiettile
,
una
volta
passato
il
visibilissimo
confine
tra
"
fuori
"
e
"
dentro
"
,
sentirli
parlare
dei
detenuti
e
del
carcere
,
delle
sue
follie
e
umiliazioni
,
della
lotta
dei
detenuti
e
dello
sciopero
della
fame
che
si
estende
,
da
Roma
-
Rebibbia
a
Pisa
oggi
,
e
domani
forse
dovunque
.
Adriano
Sofri
,
ironico
e
diretto
,
e
Giorgio
Pietrostefani
che
borbotta
e
ride
,
e
Ovidio
Bompressi
affilato
e
il
collo
magro
che
balla
dentro
il
colletto
abbottonato
di
una
camicia
bianca
;
non
parlano
di
sé
,
anzi
sì
,
parlano
di
tre
detenuti
e
di
altri
cinquantamila
,
come
persone
che
non
riescono
più
a
sopportare
la
stupidità
feroce
della
vita
carceraria
,
dove
"
il
tempo
si
sbriciola
-
dice
Adriano
Sofri
-
e
non
è
affatto
vero
che
qui
per
lo
meno
hai
tempo
per
leggere
e
scrivere
,
ci
sono
le
mille
incombenze
inutili
,
i
'
rapporti
'
,
ovvero
quando
ti
rimproverano
per
cose
futili
,
e
gli
altri
che
ti
vengono
a
parlare
,
non
hai
idea
di
quanti
mi
scrivano
dalle
carceri
,
e
hai
soprattutto
il
tempo
di
osservare
le
miserie
,
la
povertà
della
maggior
parte
dei
detenuti
,
la
mancanza
di
tutto
"
.
E
'
per
questo
,
contro
questo
,
che
per
il
momento
digiunano
.
Hanno
cominciato
domenica
scorsa
,
prendono
solo
caffè
,
tè
,
e
acqua
,
moltissima
acqua
:
"
così
puoi
resistere
a
lungo
"
,
dice
Adriano
,
poi
si
volta
verso
Ovidio
,
mentre
Tano
D
'
Amico
fa
loro
la
foto
che
serve
,
tutti
e
tre
insieme
,
la
foto
che
manca
,
e
scherzano
su
quanto
sei
alto
tu
e
quanto
basso
io
,
e
dice
al
suo
compagno
,
come
meravigliato
:
"
Ma
lo
sai
che
sono
già
dimagrito
tre
chili
?
Almeno
,
è
quel
che
dice
la
bilancia
"
.
Qui
,
nel
carcere
,
sei
"
una
persona
espulsa
per
giusta
causa
dalla
società
-
spiega
meticoloso
Ovidio
Bompressi
-
o
almeno
così
pensa
l
'
opinione
,
e
sei
perciò
una
parte
distaccata
e
disseccata
"
.
Lento
,
lo
ripete
,
come
una
formula
cui
ha
pensato
a
lungo
:
"
Una
parte
distaccata
e
disseccata
"
.
"
E
'
la
massima
degradazione
dell
'
individuo
"
,
aggiunge
.
Adriano
dice
:
"
Siamo
stati
quasi
felici
-
si
capisce
che
c
'
è
un
po
'
d
'
ironia
-
quando
abbiamo
saputo
dello
sciopero
della
fame
a
Rebibbia
.
Ecco
che
partecipiamo
di
qualcosa
più
vasta
di
noi
,
e
abbiamo
iniziato
uno
sciopero
della
fame
che
probabilmente
avremmo
fatto
comunque
.
Ma
ora
siamo
vincolati
a
questo
movimento
,
di
cui
,
sia
chiaro
,
non
vogliamo
diventare
esponenti
;
siamo
tre
detenuti
tra
altri
,
che
si
ribellano
a
una
vergogna
,
il
carcere
,
che
mortifica
la
dignità
umana
"
.
Poveri
,
malati
,
soli
.
Ma
la
separazione
,
tra
qui
e
l
'
altrove
,
è
tale
,
che
parole
come
queste
possono
suonare
retoriche
.
Come
dice
Ovidio
,
se
sei
dentro
è
per
qualche
ragione
,
così
pensa
la
gente
.
E
i
poveri
,
i
malati
,
i
soli
che
sono
in
cella
sono
perciò
più
poveri
,
più
malati
e
più
soli
.
Bisogna
farsi
raccontare
i
particolari
,
per
capire
.
E
i
tre
te
li
raccontano
pazientemente
.
Il
carcere
passa
una
tazza
di
"
caffè
"
la
mattina
,
un
primo
caldo
e
un
pezzetto
di
formaggio
a
mezzogiorno
,
un
secondo
caldo
la
sera
;
un
rotolo
di
carta
igienica
,
una
saponetta
e
alcuni
sacchetti
per
i
rifiuti
ogni
mese
.
Ed
è
tutto
.
Chi
non
ha
i
soldi
per
il
"
sopravvitto
"
e
per
comprarsi
dentifricio
e
detersivi
per
la
cella
,
scarpe
e
maglioni
,
le
sigarette
,
insomma
per
tutto
il
resto
,
cioè
quasi
tutto
,
ne
resta
privo
.
E
se
i
detenuti
sono
,
come
a
Pisa
e
dappertutto
,
per
il
40
per
cento
immigrati
,
nella
grande
maggioranza
poveracci
o
tossicodipendenti
,
insomma
senza
un
soldo
,
la
conseguenza
sarà
,
come
racconta
Ovidio
,
una
grandinata
di
microconflitti
tra
detenuti
poveri
,
e
tra
i
poveri
e
quelli
che
hanno
qualcosa
.
"
Dice
:
gli
immigrati
non
portano
le
scarpe
.
Per
forza
-
è
Adriano
che
parla
-
non
le
hanno
,
semplicemente
non
le
hanno
"
.
E
la
seconda
conseguenza
sarà
che
"
questo
è
un
posto
di
ospedalizzati
coatti
,
qui
siamo
tutti
malati
,
più
o
meno
,
uno
su
tre
ha
l
'
epatite
C
e
per
fortuna
che
in
questo
carcere
-
dice
ancora
Adriano
-
ancora
somministrano
l
'
interferone
,
l
'
unica
terapia
conosciuta
per
quel
tipo
di
malattia
"
.
In
poche
e
terribili
parole
,
la
situazione
è
questa
:
negli
ultimi
anni
la
"
popolazione
carceraria
"
,
cioè
questo
lazzaretto
di
abbandonati
,
ha
tracimato
oltre
ogni
argine
,
"
perché
soprattutto
con
la
custodia
cautelare
-
dice
Pietro
-
si
mette
dentro
gente
per
reati
di
ogni
tipo
e
là
-
gira
la
testa
in
una
qualche
direzione
-
al
giudiziario
,
si
tagliano
tutti
i
giorni
,
mentre
qui
al
penale
,
dove
sono
quelli
condannati
in
via
definitiva
,
è
un
po
'
più
tranquillo
"
.
"
Si
tagliano
"
significa
autolesionismo
:
per
essere
notati
,
ascoltati
,
per
non
"
essere
partiti
"
,
come
si
dice
in
gergo
,
un
terribile
transitivo
che
sta
per
essere
trasferiti
,
nelle
celle
di
punizione
o
in
un
altro
carcere
,
ad
ogni
piccola
"
mancanza
"
.
E
mentre
le
carceri
scoppiano
,
cioè
,
come
dice
pacato
e
preciso
Ovidio
,
"
funzionano
da
discarica
sociale
,
in
cui
finisce
tutto
quel
che
la
disoccupazione
,
la
povertà
,
la
crisi
dello
stato
sociale
provoca
,
in
Italia
e
in
tutto
l
'
Occidente
"
,
il
governo
,
appunto
,
taglia
i
bilanci
.
"
Meno
30
per
cento
l
'
anno
scorso
,
meno
15
quest
'
anno
-
enumera
Adriano
-
quasi
la
metà
in
meno
in
due
anni
.
E
il
primo
settore
ad
essere
tagliato
è
la
sanità
,
ecco
perché
a
Rebibbia
digiunano
i
malati
di
Aids
,
tanto
sono
lì
non
perché
li
curino
,
ma
per
impedirgli
di
morire
fuori
dal
carcere
.
E
infatti
il
personale
sanitario
è
in
agitazione
"
.
E
gli
educatori
,
tre
per
295
detenuti
a
Pisa
;
e
gli
agenti
di
custodia
,
che
,
"
poveracci
-
dice
Pietro
-
hanno
alloggi
quasi
peggio
delle
nostre
celle
"
,
e
comunque
sono
sempre
pochi
,
pochi
.
Dopo
tangentopoli
.
Allora
,
che
si
può
fare
?
Secondo
Adriano
,
"
solo
un
brusco
calo
del
numero
dei
detenuti
,
dieci
o
quindicimila
in
meno
d
'
un
colpo
,
può
far
ripartire
il
sistema
carcerario
in
una
direzione
diversa
.
Ma
non
mi
pare
che
questo
sarebbe
l
'
effetto
della
legge
Simeone
di
cui
si
parla
in
questi
giorni
.
E
d
'
altra
parte
,
dopo
tangentopoli
è
una
bestemmia
anche
solo
parlare
di
amnistia
,
per
la
quale
oggi
ci
vogliono
almeno
i
due
terzi
dei
voti
del
parlamento
,
come
nemmeno
per
una
riforma
costituzionale
.
Come
se
in
galera
ci
fossero
loro
,
i
grandi
corrotti
,
e
non
questi
poveretti
,
a
cui
è
stata
tolta
anche
questa
concessione
,
questa
grazia
periodica
.
D
'
Ambrosio
(
magistrato
milanese
,
ndr
.
)
ha
avuto
una
buona
battuta
:
ha
detto
che
se
si
fa
l
'
amnistia
verrebbero
da
tutta
Europa
,
qui
in
Italia
.
E
be
'
,
a
parte
che
le
pene
,
da
noi
,
sono
molto
più
alte
che
nel
resto
d
'
Europa
,
e
per
esempio
in
Francia
un
reato
come
quello
che
ci
ha
condotti
qui
è
prescritto
dopo
15
anni
,
e
noi
siamo
dentro
dopo
25
,
a
parte
questo
,
che
io
sappia
,
sono
accorsi
da
tutta
Europa
solo
Giorgio
Pietrostefani
e
Toni
Negri
"
.
Ovidio
aggiunge
che
sì
,
i
progetti
di
legge
servirebbero
,
come
servirebbero
regolamenti
meno
assurdi
di
quelli
che
proibiscono
i
libri
rilegati
e
le
giacche
(
mi
guarda
e
dice
:
"
Lo
sai
che
avevo
una
giacca
come
la
tua
?
Che
nostalgia
"
)
e
i
cappotti
,
e
se
li
concedono
è
a
seconda
della
personalità
e
del
tipo
di
reato
,
col
risultato
,
dice
Adriano
,
"
che
magari
me
ne
andrò
in
giro
con
un
bel
cappotto
di
castorino
,
in
mezzo
a
gente
che
trema
per
il
freddo
"
,
ecco
,
se
il
governo
facesse
il
molto
che
può
fare
e
il
parlamento
si
sbrigasse
,
certo
sarebbe
un
bene
.
Ma
il
problema
della
separazione
,
dell
'
essere
"
distaccati
e
disseccati
"
,
lo
si
può
medicare
solo
se
le
associazioni
,
il
volontariato
,
cioè
il
modo
che
la
società
inventa
per
difendersi
,
si
allarga
anche
al
carcere
.
E
racconta
:
"
Attraverso
il
vescovo
di
Massa
e
persone
legate
alla
Caritas
abbiamo
creato
,
caso
unico
in
Italia
,
un
fondo
cassa
per
i
detenuti
poveri
,
e
a
ciascuno
diamo
da
trenta
a
cinquantamila
lire
al
giorno
;
si
è
sparsa
la
voce
e
molti
hanno
mandato
soldi
,
oggi
abbiamo
quattro
milioni
,
ma
non
bastano
"
.
(
Questo
,
di
conseguenza
,
è
un
appello
:
chi
vuole
mandare
soldi
,
li
può
indirizzare
a
Athe
Gracci
,
via
tosco
-
romagnola
77
,
Pontedera
;
per
informazioni
invece
si
può
telefonare
al
cercere
di
Pisa
e
chiedere
della
dottoressa
Truscello
)
.
Il
colloquio
è
già
molto
lungo
,
Tano
chiede
di
mettersi
qui
e
là
per
fare
le
foto
,
Pietro
comincia
a
elencare
aneddoti
sugli
anni
settanta
milanesi
in
cui
lui
compare
sempre
nella
parte
del
cattivo
,
e
ci
ride
sopra
.
Pende
una
domanda
:
e
voi
?
Proprio
voi
tre
?
"
Se
avessi
un
'
idea
di
quel
che
faremo
quando
il
digiuno
di
protesta
nelle
carceri
si
fermerà
,
te
lo
direi
,
onestamente
te
lo
direi
"
,
risponde
Adriano
.
Quel
che
è
sicuro
è
che
tra
la
metà
e
la
fine
di
novembre
sarà
depositata
la
richiesta
di
revisione
del
processo
,
"
e
lì
vogliamo
arrivarci
in
piedi
"
,
aggiunge
.
Ma
nove
mesi
sono
passati
,
da
quando
si
sono
consegnati
,
e
loro
sono
grati
per
tutto
quello
che
si
è
fatto
,
le
160
mila
firme
,
l
'
assemblea
di
oggi
a
Roma
,
"
ma
uscire
di
qui
-
dice
Ovidio
-
uscire
in
ogni
modo
,
è
un
obbligo
verso
noi
stessi
,
ed
è
un
gesto
di
rispetto
verso
il
diritto
come
dovrebbe
essere
"
.
"
E
'
chiaro
-
conclude
Adriano
-
che
andremo
fino
in
fondo
in
tempi
molto
brevi
"
.
Cade
un
silenzio
,
anche
le
Laika
di
Tano
tacciono
.
Adriano
chiede
dello
stato
di
salute
del
manifesto
,
ha
sul
tavolo
la
copia
con
la
lettera
aperta
di
Rossana
Rossanda
al
presidente
della
repubblica
.
Non
buono
,
rispondo
,
stato
di
salute
non
buono
.
Si
apre
la
porta
,
i
tre
si
alzano
,
ci
salutiamo
.
Quando
è
sulla
soglia
,
Adriano
si
gira
e
mi
dice
:
"
Resistete
"
.
StampaQuotidiana ,
Norberto
Bobbio
è
tornato
nell
'
ultimo
numero
di
«
l
'
Espresso
»
a
ragionare
sull
'
impossibilità
del
fascismo
.
È
una
esperienza
storica
conclusa
,
non
si
può
ripetere
.
Anche
a
sospettare
che
Fini
nasconda
le
più
fosche
intenzioni
,
non
ci
sono
le
condizioni
perché
le
metta
in
atto
.
Qualche
tempo
fa
Leonardo
Paggi
aggiungeva
che
è
il
contesto
internazionale
a
rendere
impensabile
un
fascismo
italiano
.
Sono
considerazioni
giuste
.
Meno
persuasivo
è
concluderne
,
come
già
aveva
fatto
Lucio
Colletti
,
e
ieri
gli
si
sono
affiancati
Nilde
Jotti
e
Augusto
Barbera
,
che
perciò
Alleanza
nazionale
è
una
forza
democratica
,
buon
materiale
di
costruzione
della
seconda
Repubblica
.
Qualche
tempo
fa
anche
Eugenio
Scalfari
,
della
cui
severità
verso
il
Polo
della
libertà
non
si
può
dubitare
,
ascriveva
fra
i
non
molti
meriti
di
Berlusconi
l
'
avere
«
sdoganato
»
Fini
.
Ed
è
di
pochi
giorni
fa
l
'
assoluzione
del
«
New
York
Times
»
.
Fascismo
non
è
.
E
allora
che
cosa
è
?
Conviene
chiederselo
,
nel
momento
in
cui
Alleanza
nazionale
si
delinea
come
la
struttura
più
consistente
del
Polo
berlusconiano
,
capace
di
raddoppiare
nel
giro
di
un
anno
i
massimi
storici
di
voto
del
Msi
,
penetrando
anche
nel
nord
dove
questo
era
stato
men
che
marginale
.
Non
basta
dire
che
Alleanza
nazionale
è
in
qualche
misura
«
radicata
nel
territorio
»
:
fino
a
sei
mesi
fa
questo
pareva
un
limite
,
un
segno
del
vecchio
modo
d
'
essere
politico
,
destinato
a
essere
travolto
dal
messaggio
mediatico
e
del
resto
perché
An
ha
retto
dove
insediamenti
semisecolari
nel
territorio
sono
crollati
?
Ammesso
che
abbia
digerito
ogni
nostalgia
e
si
indirizzi
verso
spazi
diversi
dal
passato
,
di
che
cosa
li
riempie
?
Che
cosa
vuole
?
In
che
cosa
si
identificano
coloro
che
la
votano
?
Si
fa
presto
a
dire
che
se
non
è
il
fascismo
che
abbiamo
conosciuto
,
vuoi
dire
che
è
democrazia
;
che
si
fonda
sul
consenso
elettorale
e
tanto
ci
garantisce
.
Anche
Hitler
s
'
era
fondato
sul
consenso
elettorale
,
anche
Perón
.
Non
basta
:
il
più
proceduralista
dei
politologi
sa
che
democrazia
non
è
soltanto
andare
a
votare
,
è
una
certa
idea
degli
orizzonti
e
limiti
della
comunità
politica
.
Qui
il
profilo
del
partito
di
Fini
è
assai
sfuggente
.
Il
suo
non
è
un
progetto
liberale
,
il
germoglio
della
famosa
destra
civilizzata
;
non
è
che
,
sepolto
Mussolini
,
prenda
per
riferimento
Einaudi
o
Malagodi
o
La
Malf
a
,
e
tanto
meno
Kelsen
;
sarà
se
mai
Cari
Schmitt
.
Non
nasconde
l
'
avversione
per
il
liberismo
federalista
della
Lega
:
e
per
questo
l
'
ha
erosa
a
Brescia
.
Bossi
strilla
che
Fini
è
statalista
,
dunque
un
residuato
della
prima
Repubblica
,
che
era
appunto
centralista
,
burocratica
e
spartitoria
.
Ma
Bossi
confonde
:
lo
statalisimo
di
Fini
non
è
burocratico
e
spartitorio
,
è
totalitario
.
E
in
questo
si
separa
dal
plebiscitarismo
di
Berlusconi
,
per
il
quale
lo
Stato
ha
da
essere
quel
minimo
che
garantisce
all
'
impresa
di
far
quel
che
più
le
serve
.
Per
Fini
lo
Stato
è
lo
Stato
,
ordinatore
delle
gerarchie
,
garante
del
grande
capitale
e
delle
plebi
.
Per
Berlusconi
l
'
Italia
è
un
'
azienda
,
per
Fini
un
destino
.
L
'
ideale
dell
'
uno
è
un
borghese
approssimativo
e
gaudente
,
mollemente
democratico
,
senza
altri
orizzonti
che
quelli
del
bilancio
,
quello
dell
'
altro
è
l
'
italiano
,
che
finalmente
realizza
se
stesso
,
si
distingue
dagli
altri
,
non
perdona
nulla
all
'
immigrato
,
preferisce
che
non
ci
sia
.
È
vero
che
in
altri
tempi
ha
esagerato
con
gli
ebrei
,
sicuro
,
gli
va
chiesto
perdono
,
ma
fermo
restando
che
sono
«
altro
»
.
Il
suo
nazionalismo
è
prudente
,
frena
Tremaglia
,
ma
chiede
alla
Slovenia
di
mettersi
in
ginocchio
per
essersi
liberata
dagli
ustascia
amici
degli
italiani
.
E
pesca
nelle
acque
non
limpide
degli
«
italiani
all
'
estero
»
.
Si
potrebbe
continuare
.
Sta
di
fatto
che
An
funge
da
guardia
pretoriana
al
presidente
che
l
'
ha
sdoganata
,
ma
non
cela
l
'
ambizione
di
mangiarsi
Forza
Italia
dalla
testa
alla
coda
,
o
per
fusione
o
per
sottrazione
di
voti
.
E
già
ora
influisce
sui
suoi
equilibri
interni
,
mentre
Forza
Italia
non
intacca
minimamente
i
suoi
.
Tra
Fini
e
Berlusconi
le
parti
previste
dal
signore
di
Arcore
,
quale
sarebbe
stata
la
corda
e
quale
l
'
impiccato
,
si
sono
invertite
.
Il
loro
vero
cemento
è
l
'
avversione
per
la
sinistra
-
che
per
Berlusconi
rappresenta
il
classico
elemento
di
disturbo
d
'
una
forza
di
lavoro
ancora
vagamente
organizzata
,
di
cui
vanno
ridotte
pretese
e
libertà
di
manovra
,
per
Fini
l
'
avversario
storico
,
ideologico
,
la
tentazione
mai
abbastanza
sradicata
d
'
una
società
di
uguali
.
Fini
sopporta
più
facilmente
la
violenza
dei
naziskin
-
sono
un
fenomeno
sociale
,
dice
-
che
un
popolo
che
si
faccia
con
calma
soggetto
di
autodeterminazione
.
Meglio
un
pizzico
di
sovversivismo
,
sale
della
società
serialiazzata
.
Sono
lineamenti
riconoscibili
.
Dubito
che
appartengano
alla
democrazia
.
Un
Terzo
Reich
non
è
in
vista
,
ma
sta
ridisegnandosi
nella
società
un
volto
che
speravamo
perduto
.
Beniamino
Placido
scriveva
qualche
tempo
fa
che
i
fascismi
saranno
superati
,
ma
il
fascismo
risponde
a
una
pulsione
alla
sopraffazione
,
da
tener
d
'
occhio
perché
ha
radici
nel
lato
oscuro
che
sta
in
tutti
.
Condivido
.
Ma
c
'
è
dell
'
altro
:
essendo
una
pulsione
umana
,
troppo
umana
,
non
effimera
,
cerca
e
produce
ideologie
forti
.
Di
quella
forza
che
sarebbe
nelle
origini
,
nel
sangue
,
nel
sacro
,
nell
'
indeclinabile
-
e
prefigura
comunità
di
eletti
,
rifiutando
la
massificazione
.
Se
il
fascismo
lusinga
certe
rozzezze
è
perché
la
plebe
vuol
essere
guidata
e
foraggiata
come
il
cavallo
dal
padrone
,
ma
il
signore
non
ha
altre
regole
che
quelle
che
si
impone
.
E
trova
iscritte
in
qualche
eternità
.
È
comprensibile
che
di
fronte
a
una
infinita
problematicità
del
senso
,
affascini
il
suggerimento
che
da
qualche
parte
c
'
è
un
segno
,
per
tutti
ma
visibile
soltanto
agli
eletti
,
rassicurante
e
non
omologante
.
Si
tratta
di
discernerlo
e
seguirlo
per
coloro
che
sanno
leggere
.
Non
soli
ma
esoterici
.
Curioso
come
questa
tentazione
sia
stata
anch
'
essa
sdoganata
dalla
postmodernità
stanca
di
responsabilizzazioni
totali
.
Nessun
automatismo
lega
il
fascino
del
segno
alla
pratica
dei
fascismi
,
ma
non
c
'
è
fascismo
senza
il
segno
-
un
ordine
simbolico
signorile
,
iscritto
prima
dei
tempi
.
Questo
segno
affascina
.
Hermann
Hesse
non
è
stato
nazista
,
anzi
con
il
nazismo
ha
avuto
dei
guai
.
Ma
è
dallo
stesso
humus
germanico
che
è
nato
Siddharta
,
un
libro
che
da
anni
non
esce
dalle
classifiche
,
uno
dei
più
letti
dalla
generazione
giovane
.
Non
avrà
la
stessa
fortuna
,
forse
,
il
suo
romanzo
più
bello
,
Demian
,
da
poco
uscito
da
Marsilio
,
storia
d
'
un
contemporaneo
figlio
di
Caino
:
anche
lui
porta
un
segno
,
ed
è
tanto
più
splendente
dei
figli
di
Abele
.
Niente
è
semplice
.
L
'
anno
scorso
un
liceo
francese
ha
imposto
alle
studentesse
di
religione
musulmana
di
venire
a
scuola
senza
il
velo
.
Al
rifiuto
delle
famiglie
,
le
ha
espulse
.
Quest
'
anno
i
foulards
si
sono
moltiplicati
,
forse
anche
per
quella
interdizione
,
e
piovono
provvedimenti
analoghi
.
L
'
anno
scorso
la
reazione
di
Sos
-
racisme
era
stata
aspra
:
vergogna
,
lo
stato
calpesta
un
segno
di
identità
.
Quest
'
anno
,
Sos
-
racisme
ha
capovolto
la
linea
:
è
bene
che
la
scuola
sia
laica
,
il
laicismo
implica
che
non
vi
si
faccia
proselitismo
per
nessuna
fede
o
religione
che
non
sia
quella
della
repubblica
,
cioè
una
metodologia
di
convivenza
.
Se
i
musulmani
impongono
il
chador
,
i
cattolici
potrebbero
reintrodurre
il
crocefisso
,
storicamente
estromesso
.
Sono
seguite
divisioni
e
inasprimenti
delle
comunità
musulmane
:
per
l
'
appunto
,
se
accettassimo
l
'
ideologia
della
laicità
ci
assimileremmo
a
un
'
idea
di
comunità
che
non
è
la
nostra
.
Sos
-
racisme
replica
:
non
fatevi
assimilare
ma
accettate
che
il
paese
dove
andate
difenda
spazi
per
così
dire
agnostici
,
se
no
come
si
convive
?
E
chi
vuoi
convivere
,
risponde
a
voce
più
bassa
il
fondamentalismo
:
le
ragazze
portino
d
'
ora
in
poi
il
chador
non
come
segno
di
appartenenza
,
ma
come
segno
di
militanza
.
E
le
donne
in
questione
?
Le
femministe
esitano
fra
la
difesa
delle
differenze
e
l
'
universalismo
della
libertà
femminile
di
Taslima
Nasreen
.
Le
ragazze
che
vanno
a
scuola
non
parlano
,
o
non
sono
interrogate
o
non
gli
è
permesso
.
Il
padre
e
la
madre
impongono
il
foulard
,
che
nasconde
i
capelli
,
la
fronte
,
la
parte
inferiore
del
viso
,
il
collo
,
la
scuola
impone
di
toglierlo
.
Se
tengono
il
foulard
la
scuola
le
esclude
.
Se
lo
tolgono
,
sono
escluse
dalla
famiglia
e
dalla
comunità
.
Quelle
che
l
'
avevano
tolto
per
propria
scelta
già
da
tempo
sono
oggi
incastrate
tra
fedeltà
o
tradimento
della
loro
gente
e
fedeltà
o
tradimento
di
una
idea
di
sé
che
credevano
di
aver
conquistato
.
Da
una
trappola
all
'
altra
.
Prodi ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Raramente
mi
è
successo
di
raccogliere
tante
lodi
e
tanti
rimproveri
come
per
aver
scritto
che
a
me
Prodi
va
bene
.
Mi
si
rimprovera
di
cancellare
cuore
e
ragioni
della
sinistra
appiattendola
a
un
cattolico
democratico
,
mi
si
elogia
perché
finalmente
avrei
smesso
di
essere
una
massimalista
che
insegue
il
tanto
peggio
tanto
meglio
.
Mi
voglio
rovinare
:
tutte
chiacchiere
,
andiamo
al
sodo
.
Che
cosa
sono
oggi
le
sinistre
?
Che
cosa
vogliono
?
Se
non
riescono
a
proporre
un
proprio
candidato
capace
di
raccogliere
dal
40
al
50
per
cento
dei
voti
è
perché
non
hanno
una
risposta
sul
dove
vorrebbero
che
andasse
il
paese
.
Berlusconi
non
ha
vinto
perché
era
un
Grande
comunicatore
,
ma
perché
comunicava
a
un
'
Italia
con
il
Pci
in
caduta
libera
e
il
Caf
in
galera
che
l
'
avrebbe
portata
sulla
via
liberista
.
Prodi
comunica
che
si
può
avere
un
sano
liberismo
,
ma
corretto
da
misure
di
solidarietà
,
perché
,
differentemente
da
Berlusconi
,
non
racconta
che
il
processo
sarà
indolore
.
Che
proporrebbe
invece
l
'
ipotetico
candidato
delle
sinistre
?
Fino
a
dieci
anni
fa
quel
che
la
sinistra
voleva
era
abbastanza
chiaro
,
e
per
questo
,
pur
non
superando
mai
il
30
per
cento
,
influiva
su
alleati
e
avversari
,
pesava
sulla
bilancia
delle
decisioni
.
Quando
il
Polo
strilla
che
i
comunisti
erano
e
sono
dovunque
e
dovunque
vanno
sradicati
,
esprime
un
abito
mentale
fascistoide
,
per
cui
chiunque
fino
a
ieri
era
agente
di
Mosca
oggi
lo
sarebbe
di
D
'
Alema
,
ma
evidenzia
una
verità
:
un
senso
comune
di
sinistra
ha
avuto
una
vera
egemonia
in
questo
paese
.
In
che
consisteva
?
In
politica
,
in
un
'
idea
forte
della
rappresentanza
,
nella
persuasione
che
potevano
e
dovevano
avere
una
voce
tutti
e
sempre
,
non
solo
al
momento
delle
elezioni
.
In
tema
di
società
,
in
un
'
idea
forte
della
cittadinanza
,
per
cui
ogni
italiano
aveva
diritto
a
lavorare
,
a
essere
istruito
e
curato
,
e
doveva
esserne
assicurato
nei
mezzi
per
farlo
.
Nessuna
delle
due
cose
era
venuta
da
sé
,
c
'
erano
volute
la
crisi
del
1929
e
una
guerra
.
Non
andava
da
sé
che
fossimo
un
paese
di
ricche
contraddizioni
,
donne
e
uomini
,
deboli
e
forti
,
ricchi
e
poveri
,
cattolici
e
laici
o
altre
religioni
,
Nord
e
Sud
:
e
che
queste
differenze
si
esprimessero
anche
in
conflitti
,
condotti
dalle
rappresentanze
politiche
ma
anche
da
quelle
sociali
dirette
.
Né
che
esse
volta
a
volta
trovassero
un
provvisorio
punto
di
arrivo
,
o
avanzata
,
o
sconfitta
,
o
mediazione
in
una
società
articolata
che
non
delegava
tutti
i
poteri
a
una
oligarchia
verificata
ogni
quattro
o
cinque
anni
,
e
in
una
idea
del
«
pubblico
»
,
statale
o
comunale
o
regionale
,
che
fungesse
anche
come
compensatore
degli
squilibri
.
Era
la
democrazia
partecipata
,
il
«
non
americanismo
»
italiano
.
Questi
princìpi
hanno
retto
l
'
Italia
dal
dopoguerra
agli
anni
ottanta
e
in
essi
la
sinistra
-
assai
poco
«
comunista
»
nel
senso
filologico
della
parola
-
è
cresciuta
,
e
ha
funzionato
anche
da
frusta
dello
sviluppo
,
tanto
è
vero
che
siamo
nel
club
riservato
dei
G-7
.
Questi
stessi
princìpi
sono
andati
in
crisi
nel
corso
degli
anni
ottanta
e
il
27
marzo
scorso
si
è
tentato
di
abbatterli
.
Ma
quale
partecipazione
?
Ci
vuole
un
esecutivo
forte
e
un
cittadino
che
vota
ogni
quattro
o
cinque
anni
per
dire
sì
o
no
e
per
il
resto
non
disturbi
il
manovratore
.
Ma
quali
diritti
sociali
o
di
cittadinanza
?
I
diritti
sono
solo
politici
;
per
il
resto
il
diritto
dei
diritti
,
il
pilastro
della
società
è
l
'
impresa
,
e
lavoro
casa
scuola
assistenza
sono
sue
variabili
dipendenti
.
Lo
Stato
,
il
«
pubblico
»
come
luogo
di
compensazione
,
garante
di
una
qualche
uguaglianza
sui
beni
essenziali
,
si
tolga
di
mezzo
.
La
sinistra
ha
subìto
questa
ondata
,
non
difende
l
'
ottica
di
prima
e
per
questo
ha
perduto
,
se
non
voti
,
la
capacità
di
essere
un
riferimento
anche
oltre
il
proprio
ambito
.
Perciò
si
divide
,
non
solo
tra
Pds
e
Rifondazione
e
soggetti
politici
minori
,
ma
anche
fra
soggetti
sociali
maggiori
,
che
in
qualche
modo
hanno
tentato
di
declinare
in
forme
diverse
quei
princìpi
e
quei
bisogni
-
vale
anche
per
il
pensiero
delle
donne
-
e
per
questo
non
c
'
è
oggi
un
candidato
delle
sinistre
.
Perché
è
avvenuto
?
È
una
storia
di
errori
o
tradimenti
,
come
mi
scrivono
alcuni
compagni
?
È
una
modernizzazione
fatale
,
come
pensano
altri
?
Io
non
credo
né
ai
tradimenti
né
alle
fatalità
.
Credo
che
ci
sia
stato
un
franamento
del
terreno
sul
quale
la
sinistra
della
mia
generazione
è
cresciuta
.
Era
il
terreno
dello
sviluppo
,
magari
cattivo
ma
certo
,
in
cui
ormai
stavamo
e
nel
quale
i
nostri
diritti
,
politici
e
sociali
,
erano
in
qualche
misura
garantiti
.
Mi
spiego
.
Eravamo
persuasi
che
il
capitalismo
comportava
una
crescita
allargata
di
beni
,
dunque
di
lavoro
,
dunque
di
consumi
.
Ci
dividevamo
dopo
:
i
comunisti
la
trovavano
brutale
,
a
prezzi
sociali
troppo
elevati
,
con
inuguaglianze
feroci
;
i
riformisti
ritenevano
di
poterle
alleviare
con
forme
pubbliche
di
redistribuzione
all
'
interno
e
aiuti
al
terzo
mondo
e
all
'
estero
;
i
nuovi
soggetti
degli
anni
settanta
ne
contestavano
la
natura
di
per
sé
alienante
,
consumista
,
gerarchica
,
maschilista
.
Ma
sviluppo
era
e
,
con
morti
e
feriti
,
andava
unificando
il
mondo
.
Oggi
non
lo
è
più
.
Oggi
la
crescita
di
produzione
e
di
merci
si
fa
per
un
mercato
alto
e
ristretto
,
quindi
come
non
mai
competitivo
,
cui
la
mondializzazione
permette
di
reclutare
manodopera
a
prezzi
stracciati
e
la
tecnologia
di
risparmiarne
una
grande
quantità
.
L
'
Europa
sta
diventando
un
continente
senza
lavoro
.
Vorrei
sommessamente
pregare
la
sinistra
di
partire
da
qui
.
Non
è
problema
«
economico
»
,
di
«
economicismo
»
,
o
come
dicono
i
miei
amici
ex
operaisti
di
«
lavorismo
»
;
le
democrazie
moderne
fondano
la
pienezza
della
cittadinanza
non
più
sulla
proprietà
ma
su
un
possesso
di
sé
,
una
non
dipendenza
,
che
piaccia
o
non
piaccia
nel
capitalismo
passa
per
l
'
accesso
a
una
remunerazione
del
lavoro
.
Il
resto
è
capitale
,
rendita
o
dipendenza
,
come
quella
della
donna
che
non
lavora
o
dei
bambini
.
E
infatti
chi
non
lavora
è
tendenzialmente
un
escluso
.
Vorrei
sempre
sommessamente
aggiungere
che
l
'
Italia
è
arrivata
a
questa
stretta
in
una
condizione
paradossale
:
negli
anni
in
cui
gli
altri
paesi
si
omogeneizzavano
relativamente
nella
crescita
,
noi
siamo
rimasti
con
larghe
zone
deindustrializzate
,
che
si
riproducono
tuttora
in
un
Nord
e
Nordest
fortemente
dinamico
e
in
un
Sud
immobile
,
per
cui
il
lavoro
cessa
di
estendersi
prima
di
essere
arrivato
a
riempire
il
bacino
del
paese
.
Ma
avevamo
una
forte
sinistra
,
con
una
forte
combattività
,
e
lo
Stato
ha
funzionato
non
solo
da
mediatore
dei
conflitti
ma
da
compensatore
nelle
sacche
che
le
tendenze
proprie
del
mercato
o
dell
'
impresa
lasciavano
fuori
.
Non
è
molto
intelligente
deridere
l
'
industria
di
Stato
o
la
pubblica
amministrazione
come
mero
clientelismo
,
senza
capire
che
hanno
svolto
un
ruolo
di
supplenza
a
uno
sviluppo
inuguale
e
manchevole
.
Si
potrebbe
,
anzi
si
dovrebbe
analizzarne
le
conseguenze
,
ma
va
capito
da
dove
è
venuto
il
nostro
specifico
compromesso
sociale
,
e
perché
a
un
certo
punto
è
diventato
un
terreno
da
un
lato
di
paralisi
e
dall
'
altro
di
corruzione
.
Questo
modello
la
destra
lo
vuole
abbattere
.
Ma
non
estendendo
la
crescita
,
per
brutale
che
sia
:
non
può
più
,
se
vuole
restare
mondialmente
competitiva
.
Punta
dunque
a
una
progressiva
separazione
tra
parti
trainanti
e
parti
,
per
così
dire
,
in
perdita
,
lasciate
indietro
.
Le
scelte
del
Polo
-
per
esempio
niente
tasse
,
riduzione
del
peso
del
lavoro
,
dei
contributi
e
delle
pensioni
,
l
'
estensione
della
spesa
pubblica
-
sono
andate
in
questa
direzione
,
seguendo
il
percorso
già
delineato
da
Amato
-
Ciampi
.
La
Lega
nord
è
una
formazione
spuria
ma
dentro
a
un
'
ipotesi
nordista
;
non
raccontiamoci
che
è
un
interessante
invito
all
'
autogoverno
,
è
la
presa
d
'
atto
che
l
'
unificazione
del
tessuto
nazionale
sotto
il
profilo
produttivo
non
c
'
è
stata
,
e
il
rifiuto
di
porla
come
obiettivo
.
Ma
la
sinistra
come
la
mette
?
Mi
pare
che
neppure
ne
parli
.
Ne
parlano
in
Germania
,
Francia
e
Gran
Bretagna
,
pure
meno
squilibrati
di
noi
,
ma
in
Italia
è
il
silenzio
.
Non
parlarne
significa
stare
alla
scelta
dei
G-7
,
che
è
la
scelta
abbozzata
da
Amato
e
Ciampi
e
portata
avanti
da
Berlusconi
.
Il
Pds
non
riesce
a
dirci
in
che
cosa
se
ne
differenzierebbe
.
Rifondazione
dice
che
si
batterà
con
tutti
coloro
che
questa
scelta
umilia
offende
ed
esclude
.
Ma
vogliamo
dirci
per
quale
crescita
o
sviluppo
,
oppure
non
-
crescita
siamo
?
Come
pensiamo
di
condizionare
o
modificare
il
trend
attuale
?
Alzando
dei
grandi
muri
fra
l
'
Italia
e
il
resto
del
mondo
o
facendo
uso
di
strumenti
politici
radicali
per
stare
nel
mondo
ma
contrastare
le
tendenze
che
abbiamo
di
fronte
?
Che
cosa
pensiamo
dell
'
attuale
conglomerato
sociale
,
come
distinguiamo
le
corporazioni
dalle
classi
,
i
ceti
,
i
bisogni
?
A
chi
proponiamo
di
aggregarsi
e
su
quale
obiettivo
?
Come
la
mettiamo
con
l
'
Europa
?
Come
la
mettiamo
con
il
debito
pubblico
in
presenza
di
una
rendita
diffusa
e
di
una
circolazione
di
capitali
del
tutto
incontrollata
?
Non
mi
si
risponda
che
tutto
è
chiaro
.
Non
è
chiaro
nulla
,
per
questo
metto
ostinatamente
al
centro
questo
problema
e
mi
inquieta
una
sinistra
,
vecchia
o
nuova
,
che
non
lo
veda
.
Per
questo
non
mi
appassionano
i
calcoli
sulle
leggi
elettorali
,
non
perdo
i
sensi
sui
sondaggi
e
non
mi
va
di
arricciare
il
naso
perché
Prodi
non
è
un
rivoluzionario
.
Non
vedo
molti
rivoluzionari
in
giro
.
Mi
basta
che
non
mi
rompa
le
ossa
e
non
neghi
che
oggi
il
dilemma
centrale
,
e
ormai
quasi
mortale
,
che
l
'
Europa
ha
davanti
è
questo
.
Sta
a
noi
affrontarlo
,
di
tempo
se
n
'
è
perduto
fin
troppo
.
Ingrao ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Ingrao
?
Un
perdente
.
È
la
battuta
degli
ex
figiciotti
,
dei
cinquantenni
del
Pds
o
Rifondazione
,
dei
democratici
convinti
che
senza
Pci
l
'
Italia
sarebbe
stata
meglio
,
e
di
molti
,
di
tutte
le
età
,
risentiti
di
sognare
sogni
minori
.
Perdente
,
dicono
soprattutto
coloro
che
gli
rimproverano
un
surplus
di
politica
.
Eppure
,
se
non
è
questa
che
conta
,
è
difficile
immaginare
un
uomo
più
«
riuscito
»
,
per
quanto
si
possa
riuscire
nella
personale
esistenza
.
Eccolo
a
ottant
'
anni
come
se
ne
avesse
venti
di
meno
,
appena
avvertito
che
il
tempo
si
restringe
.
Risparmiato
da
troppe
sciagure
nel
corpo
e
negli
affetti
.
Povero
,
ma
non
ha
conosciuto
miserie
e
la
sobrietà
è
la
sua
misura
.
Ha
una
importante
compagna
di
vita
,
moglie
e
amica
,
figlie
belle
e
impegnate
,
né
identiche
né
lontane
,
un
figlio
arrivato
tardi
,
allegro
complice
in
una
casa
a
dominante
femminile
.
Gli
Ingrao
sono
una
tribù
,
con
relative
radici
in
un
Lazio
roccioso
come
loro
.
E
poi
,
l
'
Ingrao
giovane
che
voleva
?
Conoscere
il
mondo
e
farsene
conoscere
,
e
così
è
stato
.
Battersi
con
e
per
gli
altri
,
e
ha
avuto
il
più
grande
partito
comunista
d
'
Occidente
.
Conosce
il
linguaggio
del
comizio
e
quello
dei
versi
,
e
la
musica
è
il
suo
giardino
.
Nessuno
nella
sinistra
è
rispettato
come
lui
anche
dagli
avversari
.
Che
può
avere
di
più
un
uomo
?
Ha
perso
sul
comunismo
,
borbottano
i
realisti
.
Non
che
sia
colpa
sua
la
crisi
del
marxismo
o
il
crollo
dell
'
Urss
,
che
sono
cosa
del
secolo
,
ma
il
Pci
,
quello
sì
era
roba
sua
.
Ce
l
'
hanno
con
lui
coloro
per
i
quali
esso
non
poteva
non
finire
e
quelli
che
pensano
che
è
stato
tradito
.
Il
comunismo
è
uno
spettro
rimproverante
,
e
il
rimprovero
si
sposta
su
Ingrao
.
Può
sorriderne
,
ma
sa
di
essere
solo
.
Per
un
comunista
essere
soli
non
è
un
incidente
esistenziale
,
è
una
radicale
messa
in
questione
.
È
vero
che
in
tema
di
comunismo
i
conti
non
tornano
,
anche
se
le
vittorie
e
le
sconfitte
epocali
non
si
misurano
sui
giornali
,
e
le
lacerazioni
del
mondo
possono
rimandare
a
quel
che
Luporini
definiva
«
il
comunismo
come
orizzonte
»
.
Come
il
1789
,
forse
anche
il
1917
ha
un
destino
carsico
.
Ma
ora
?
Non
basta
fare
le
scelte
giuste
per
vincere
;
figurarsi
se
sono
state
sbagliate
.
Al
contrario
di
quel
che
si
dice
,
la
storia
si
fa
con
i
«
se
»
:
prima
di
compiere
quel
gesto
,
un
altro
era
possibile
,
e
se
il
battito
delle
ali
di
una
farfalla
a
Pechino
sta
a
monte
del
terremoto
di
San
Francisco
,
un
'
azione
fatta
o
non
fatta
,
e
tanto
più
se
pubblica
,
una
distrazione
,
una
difficoltà
elusa
,
presenteranno
i
loro
conti
.
Solo
un
narcisista
se
ne
assolve
,
ma
il
narcisismo
è
l
'
ultimo
difetto
che
a
Ingrao
si
possa
imputare
.
Visto
da
fuori
,
vien
da
chiedersi
in
che
cosa
si
sia
scontrato
Pietro
Ingrao
se
non
in
quello
che
più
era
e
resta
suo
.
Prima
di
tutto
sulla
questione
della
«
rivoluzione
italiana
»
,
non
la
rivoluzione
in
genere
,
quella
specifica
che
si
riapriva
negli
anni
sessanta
.
Vige
oggi
una
sorta
di
progressismo
alla
rovescia
,
un
hegelismo
da
bar
per
cui
quel
che
avviene
è
il
reale
e
il
reale
è
razionale
,
e
si
accompagna
a
un
furioso
oscuramento
di
quel
che
è
stato
.
Quel
che
è
stato
è
che
il
Pci
non
fu
affatto
«
rivoluzionario
»
dal
dopoguerra
a
poco
fa
.
Non
avrebbe
neppure
potuto
.
È
tornato
a
pensarsi
come
soggetto
di
un
rivoluzionamento
sociale
,
dentro
o
forse
fuori
dal
patto
politico
,
soltanto
nei
primi
anni
sessanta
-
lo
pensò
Ingrao
,
e
questo
fu
l
'
ingraismo
.
Prima
di
allora
l
'
ha
da
venì
Baffone
degli
umili
si
coniugò
non
oltre
che
con
la
«
democrazia
avanzata
»
.
Ma
quando
la
guerra
fredda
cessa
di
essere
la
grande
discriminante
delle
coscienze
europee
,
la
ricostruzione
è
compiuta
,
una
generazione
è
uscita
di
scena
e
un
'
altra
è
entrata
,
in
Italia
ci
sono
nuovi
proletari
e
la
prima
massa
studentesca
,
e
il
centrismo
va
in
crisi
,
Ingrao
si
domanda
,
e
non
lui
solo
,
che
cosa
possiamo
diventare
.
Gliela
farei
volentieri
un
'
intervista
su
che
cosa
era
,
vista
da
oggi
,
questa
«
rivoluzione
italiana
»
.
Certo
più
Gramsci
che
Lenin
.
Certo
si
delineò
un
qualcosa
che
prima
non
c
'
era
,
e
Amendola
,
che
era
un
uomo
acuto
,
da
allora
avversò
Ingrao
tenacemente
.
Non
so
come
avrebbe
arbitrato
Togliatti
;
Longo
e
Berlinguer
scelsero
Amendola
.
Non
sembra
che
abbiano
veduto
molto
lontano
,
quella
fu
la
prima
svolta
del
Pci
,
il
resto
venne
a
seguire
.
Ma
Ingrao
era
ben
fermo
a
porre
le
sue
domande
non
a
se
stesso
né
ad
altri
che
non
fosse
il
suo
partito
.
E
per
chiunque
sia
anche
vagamente
marxista
o
non
regredisca
a
una
teoria
delle
élites
,
il
come
si
esprime
il
soggetto
del
movimento
storico
nella
modernità
,
resta
«
il
»
problema
.
Chi
,
come
me
,
pensò
nel
1969
che
la
maturazione
era
tale
da
non
avere
più
bisogno
di
una
forma
-
perché
la
forma
è
frutto
di
qualcosa
che
poi
tende
a
immobilizzare
-
sbagliava
:
gli
anni
settanta
e
quel
che
è
seguito
ci
dicono
che
senza
una
sua
forma
,
una
sua
organizzazione
,
e
capace
di
mutare
con
il
suo
soggetto
,
la
contraddizione
non
si
fa
soggetto
.
Si
può
scegliere
di
essere
invece
che
di
fare
,
ma
non
è
la
stessa
cosa
.
Oggi
la
società
è
in
sofferenza
,
ma
anche
le
sue
voci
più
autentiche
sono
azzittite
,
quando
non
integrate
;
e
atomizzazione
e
omologazione
mettono
a
rischio
fin
le
identità
individuali
.
Difficile
dire
quale
sarebbe
stata
per
Ingrao
una
scelta
vincente
nel
breve
riemergere
della
«
rivoluzione
italiana
»
:
forse
la
risposta
non
sarebbe
molto
dissimile
per
coloro
che
la
intravidero
,
molti
e
divisi
,
negli
anni
sessanta
,
e
quando
venne
in
scena
nel
1968
.
È
storia
da
archiviare
o
altro
?
E
se
altro
,
dove
si
è
mancato
?
Che
cosa
occorreva
e
non
ci
fu
?
Ingrao
registrò
subito
il
recedere
del
Pci
.
Non
so
che
cosa
pensasse
del
1976
,
ma
quando
per
la
prima
volta
Berlinguer
parlò
della
«
produzione
come
bene
in
sé
»
vide
l
'
inversione
di
rotta
,
che
sarebbe
apparsa
enorme
con
il
Lama
del
1977
e
del
1978
.
Ma
noi
,
sinistra
extraparlamentare
,
non
dico
i
gruppi
armati
,
non
lo
persuademmo
-
che
avevamo
a
che
fare
,
così
drastici
e
grevi
,
con
un
Gramsci
messo
a
giorno
?
È
vero
che
eravamo
approssimativi
,
ma
chi
ti
nega
in
non
poca
misura
ti
determina
.
È
stata
lunga
l
'
interruzione
del
dialogo
fra
Ingrao
e
quelli
che
gli
erano
rimasti
amici
anche
dopo
il
1969
.
Lui
si
rintanava
,
prima
nelle
istituzioni
,
e
poi
,
quando
andò
a
dire
al
Partito
che
non
ci
sarebbe
più
stato
perché
occorreva
studiare
e
rimettere
a
giorno
la
bussola
,
gli
risposero
:
giusto
,
studia
e
togliti
di
mezzo
.
Non
so
come
votasse
sulla
Nato
.
Non
si
agitò
sulle
leggi
speciali
.
Da
fuori
chiedevamo
,
dov
'
è
Ingrao
?
Anche
quando
scriveva
,
pareva
che
lo
facesse
da
lontano
.
Più
agevole
capire
che
cosa
sia
stato
per
lui
il
Partito
,
strumento
e
gabbia
.
Perfino
per
gli
avversari
,
il
fascino
di
Ingrao
sta
nell
'
aver
sempre
separato
politica
da
potere
.
Il
Partito
era
la
comunità
che
o
maturava
tutta
o
periva
,
non
lo
forzò
mai
,
tanto
meno
fece
uso
di
una
sua
autorità
-
e
i
suoi
,
che
si
sono
sentiti
abbandonati
,
glielo
rimproverano
.
Come
se
quella
virtù
fosse
anche
un
difetto
.
Ricordo
1'XI
congresso
,
il
primo
dissenso
esplicito
nel
Pci
:
Ingrao
se
lo
assunse
da
solo
,
raccomandando
agli
ingraiani
-
strano
oggetto
,
compagni
che
non
somigliassero
neanche
da
lontano
a
una
frazione
-
di
starsene
buoni
.
Perdette
e
perdemmo
.
Ricordo
l
'
estate
del
1968
,
fra
il
maggio
e
la
Cecoslovacchia
,
il
Partito
in
sommovimento
,
alcuni
di
noi
che
volevano
un
affondo
e
Ingrao
,
che
pur
ci
aveva
sperato
,
che
mi
dice
:
Il
Partito
non
è
maturo
.
È
la
primavera
del
1969
:
comunico
a
Berlinguer
che
faremo
la
nostra
eretica
rivista
,
gli
chiedo
:
Credi
che
ci
saranno
sanzioni
?
No
,
risponde
Berlinguer
.
Sì
,
risponde
Ingrao
.
E
non
senza
risentimento
,
perché
facevamo
di
testa
nostra
,
lo
lasciavamo
.
Nella
discussione
che
precede
la
radiazione
del
«
manifesto
»
,
il
suo
fu
un
grande
silenzio
.
Poi
restò
una
voce
a
parte
,
il
presidente
della
Camera
che
andava
a
Castellanza
,
il
compagno
che
nel
Comitato
centrale
si
differenziava
.
Nessuno
è
più
amato
in
un
partito
comunista
di
una
sinistra
che
non
mette
in
causa
la
segreteria
.
Se
ti
metti
a
rischio
,
mi
metti
a
rischio
;
compagno
Ingrao
,
non
lo
fare
,
grazie
di
non
farlo
.
Qual
è
il
momento
in
cui
si
può
/
deve
lasciare
un
'
impresa
in
cui
hai
messo
la
vita
,
senza
essere
sconfitti
?
Se
nel
1969
Ingrao
avesse
detto
:
se
cacciate
quelli
del
«
manifesto
»
esco
con
loro
,
la
storia
del
Pci
sarebbe
stata
diversa
?
Se
a
Firenze
non
avesse
abbracciato
Occhetto
che
gli
tendeva
una
mano
?
Pochi
giorni
prima
mi
aveva
detto
:
O
sto
nel
Partito
o
divento
un
testimone
,
tu
ti
contenti
della
testimonianza
.
Poi
la
Bolognina
,
poi
Arco
-
se
Ingrao
...
I
compagni
ne
rientrarono
furiosi
,
io
lo
difesi
.
Fu
un
errore
,
sì
,
già
si
era
fuori
dei
tempi
massimi
.
E
che
aveva
a
che
vedere
la
Rifondazione
di
Cossutta
con
lui
?
Gli
restò
la
battaglia
sulla
guerra
del
Golfo
,
l
'
ultima
.
Poi
se
ne
andò
,
neanche
con
altri
.
Da
solo
.
Pensava
ancora
di
coagulare
,
da
fuori
,
un
polo
della
sinistra
non
capitalista
.
E
credeva
che
il
«
manifesto
»
potesse
esserne
il
catalizzatore
.
Ma
il
«
manifesto
»
non
era
,
non
è
,
fuori
della
crisi
della
sinistra
,
del
marxismo
,
del
comunismo
,
come
che
si
voglia
chiamare
.
Tiene
fermo
con
qualche
eroismo
un
minimo
,
non
poco
,
non
abbastanza
.
Arrivava
Ingrao
e
non
sapeva
che
dirgli
.
Quando
egli
propose
almeno
un
laboratorio
di
ricerca
,
il
giornale
non
seppe
,
non
volle
,
non
poté
,
era
altro
-
ma
che
contano
i
conti
e
le
ragioni
?
Siamo
tutti
un
po
'
poveri
.
Quell
'
uomo
fortunato
non
ha
più
casa
.
Perdente
,
dunque
?
Forse
sì
.
Ritirato
,
giubilato
,
selvatico
nel
senso
di
Leonardo
:
chi
è
selvatico
si
salva
?
Ma
non
è
vero
,
nessuno
si
salva
,
non
c
'
è
più
un
'
altra
terra
.
Ma
in
quella
che
c
'
è
e
dove
siamo
stati
sconfitti
non
ci
sono
né
pace
,
né
ricomposizione
,
né
vero
dominio
-
ci
sono
le
urla
e
la
lacerazione
che
avevamo
a
tentoni
intravisto
nei
sessanta
,
nei
settanta
.
Le
avevamo
viste
con
lui
e
grazie
a
lui
:
poi
ne
traemmo
altre
conclusioni
.
Ma
chi
si
aspetta
che
Ingrao
taccia
,
si
sbaglia
.
È
di
quelli
che
preferiscono
essere
fatti
a
pezzi
che
tornare
a
casa
.
StampaQuotidiana ,
Sarà
modesta
la
sorte
ecclesiale
dell
'
enciclica
Evangelium
vitae
.
I
teologi
o
ne
tacciono
o
la
giudicano
severamente
.
E
gli
umili
pastori
d
'
anime
sanno
bene
che
per
parlare
e
farsi
ascoltare
dalle
coscienze
inquiete
della
gente
dovranno
regolarsi
come
se
non
ci
fosse
.
Essere
papa
è
una
dura
prova
per
un
uomo
.
Isolato
,
senza
più
una
vera
comunicazione
,
esaltato
e
sovraccaricato
dall
'
esser
la
voce
di
Cristo
in
terra
,
dovrebbe
avere
grande
capacità
di
ascolto
e
grande
saggezza
di
parola
.
Erano
le
virtù
di
Giovanni
XXIII
.
Karol
Wojtyla
non
le
possiede
o
le
ha
perdute
,
e
più
le
sue
forze
declinano
più
smisurata
diventa
in
lui
l
'
idea
,
o
la
tentazione
,
di
avere
una
funzione
secolare
immensa
,
del
contare
nel
mondo
in
nome
di
un
potere
più
che
umano
.
È
fin
inquietante
a
vedersi
,
scavato
,
ammalato
,
in
piedi
con
fatica
,
mentre
legge
con
voce
tremante
un
foglietto
sorretto
da
mani
tremanti
per
ribadire
l
'
interpretazione
autentica
della
profluvie
di
encicliche
,
lettere
apostoliche
,
discorsi
vari
e
«
statements
»
con
i
quali
si
affanna
a
statuire
,
a
impedire
,
a
chiudere
porte
e
tirar
su
paletti
davanti
a
qualcosa
che
incalza
.
Stavolta
a
incalzare
sono
le
nuove
minacce
della
morte
alla
vita
-
quella
morte
che
«
entra
nel
mondo
a
causa
dell
'
invidia
del
diavolo
e
del
peccato
dei
progenitori
»
.
Di
quale
morte
parla
?
Non
inganniamoci
.
Non
è
l
'
angoscia
che
ci
ha
colti
con
Hiroshima
,
quando
per
la
prima
volta
abbiamo
pensato
che
il
pianeta
poteva
finire
.
Né
il
timore
per
l
'
Aids
,
moderna
pestilenza
,
né
per
l
'
impulso
distruttivo
che
sembra
infuriare
in
violenze
cieche
e
in
guerre
illeggibili
.
L
'
Evangelium
vitae
non
ha
al
centro
la
conservazione
della
specie
alla
soglia
del
terzo
millennio
né
le
guerre
né
le
calamità
naturali
:
il
Vaticano
sa
bene
che
mai
gli
uomini
sono
stati
in
così
grande
numero
,
che
in
meno
di
un
secolo
l
'
umanità
si
è
quadruplicata
e
si
è
raddoppiata
la
speranza
di
vita
.
Sa
anche
che
per
la
prima
volta
nella
storia
da
un
capo
all
'
altro
del
pianeta
ci
si
interroga
in
qualche
modo
sui
«
diritti
umani
»
ai
quali
fino
a
ieri
l
'
altro
nessuno
o
ben
pochi
facevano
caso
.
Sulle
calamità
naturali
non
ha
nulla
da
dire
,
e
quanto
alle
guerre
stavolta
appena
si
attarda
a
nominarle
,
essendo
state
rigettate
alla
periferia
di
quell
'
Occidente
che
di
questa
enciclica
è
il
vero
interlocutore
.
In
esso
infatti
egli
vede
covare
il
nemico
:
la
morte
per
così
dire
privata
,
quella
che
si
annida
nel
più
intimo
dei
rapporti
,
la
famiglia
,
nel
vicino
più
prossimo
da
persona
a
persona
.
Non
tanto
la
morte
di
un
solo
,
ma
la
morte
o
la
non
-
vita
o
la
,
vita
-
a
-
certe
-
condizioni
-
per
Wojtyla
sono
quasi
sinonimi
-
la
vita
insomma
non
come
fatalità
ma
come
scelta
.
Così
egli
non
spende
troppe
parole
sull
'
omicidio
,
antica
interdizione
,
e
neppure
sulla
pena
di
morte
;
e
non
solo
perché
la
Chiesa
non
ama
intrattenersi
troppo
sul
biblico
«
Nessuno
tocchi
Caino
»
o
è
avvezza
a
patteggiare
con
i
poteri
costituiti
.
Stavolta
non
patteggia
,
minaccia
.
Chiama
anzi
alla
disubbidienza
civile
,
cosa
rarissima
,
su
quel
che
più
di
ogni
cosa
le
preme
:
la
vita
degli
«
innocenti
»
.
Chi
sono
gli
«
innocenti
»
?
Coloro
che
non
sono
ancora
venuti
alla
luce
,
non
ancora
persone
,
ma
vita
nascente
,
vita
possibile
,
i
purissimi
non
nati
e
,
quasi
altrettanto
inermi
,
i
sofferenti
terminali
che
vorrebbero
morire
.
Creatura
nella
quale
la
volontà
non
c
'
è
ancora
o
non
è
più
in
senso
pieno
;
questo
è
il
«
debole
»
,
sul
quale
preme
la
minaccia
dei
più
vicini
,
i
genitori
,
la
madre
,
la
famiglia
.
Per
egoismo
o
per
pietà
costoro
non
lo
metteranno
alla
luce
o
ne
accelereranno
la
morte
.
Per
egoismo
o
per
pietà
decideranno
quando
e
come
far
nascere
.
Aiutati
da
inedite
possibilità
della
scienza
e
della
tecnologia
.
Questa
è
la
nuova
morte
,
il
vero
nemico
.
Il
come
della
riproduzione
non
è
problema
di
poca
grandezza
:
investe
al
fondo
la
questione
della
persona
e
della
libertà
.
Meritava
,
se
enciclica
doveva
essere
,
una
vera
riflessione
su
questioni
primarie
dell
'
etica
del
nostro
tempo
.
Non
l
'
ha
avuto
;
l
'
Evangelium
vitae
non
ritiene
che
ci
sia
dilemma
né
una
inedita
problematica
della
coscienza
;
tutto
è
sempre
lo
stesso
ed
è
chiaro
.
Si
tratta
di
ribadire
il
già
noto
nelle
due
occasioni
cruciali
,
che
datano
quest
'
ultima
enciclica
:
la
conferenza
delle
Nazioni
Unite
sulla
popolazione
appena
avvenuta
al
Cairo
e
quella
sulla
donna
che
avrà
luogo
dalla
fine
di
agosto
ai
primi
di
settembre
a
Pechino
.
Sulla
popolazione
,
il
Vaticano
aveva
incaricato
una
sua
commissione
di
stendergli
un
rapporto
,
e
si
è
trovato
di
fronte
la
proposta
di
dichiarare
lecita
la
contraccezione
.
È
stato
un
colpo
.
Wojtyla
,
Ratzinger
e
la
curia
di
Roma
hanno
abbattuto
la
commissione
pontificia
e
al
Cairo
i
loro
incaricati
si
sono
battuti
fino
all
'
ultimo
non
solo
contro
l
'
aborto
ma
contro
il
controllo
delle
nascite
,
e
hanno
incontrato
due
scacchi
.
Primo
,
la
defezione
dell
'
Islam
che
ha
lasciato
libera
la
contraccezione
.
Secondo
,
e
più
preoccupante
,
l
'
alleanza
delle
donne
-
si
può
dire
di
tutte
le
donne
,
del
Nord
del
Sud
dell
'
Est
e
dell
'
Ovest
-
per
il
diritto
al
controllo
delle
nascite
.
Era
la
prima
volta
che
paesi
del
Sud
del
mondo
non
si
limitavano
a
dire
a
quelli
del
Nord
«
non
immischiatevi
nelle
nostre
faccende
,
cresciamo
quanto
ci
pare
»
.
Le
donne
hanno
detto
basta
,
la
vita
passa
attraverso
il
nostro
corpo
e
hanno
preso
il
problema
dalle
mani
degli
uni
e
degli
altri
,
ne
hanno
fatto
una
questione
del
loro
essere
,
della
loro
persona
e
libertà
,
e
non
solo
per
la
gestazione
ma
per
il
nutrimento
,
la
crescita
,
l
'
orizzonte
di
chi
viene
al
mondo
.
Hanno
identificato
il
proprio
problema
in
una
idea
forte
di
sviluppo
.
Fra
qualche
mese
esse
torneranno
a
Pechino
.
Non
è
una
lettura
maliziosa
vedere
nell
'
Evangelium
vitae
un
sussulto
di
timore
della
più
autorevole
comunità
monosessuale
,
comprensibilmente
e
miseramente
sessuofoba
,
la
Chiesa
di
Roma
,
davanti
all
'
insorgere
inaspettato
di
un
soggetto
mondiale
femminile
.
La
donna
,
antico
tramite
del
diavolo
e
oggi
tramite
della
«
nuova
»
morte
.
Wojtyla
non
è
neppure
in
grado
di
parlarne
,
se
non
come
matrice
,
grembo
,
luogo
di
maturazione
dell
'
embrione
,
contenitore
di
una
vita
che
in
lei
viene
transitoriamente
immessa
.
Si
commuove
evocando
le
sole
parole
che
gli
vengono
nella
penna
,
quella
della
madre
dei
Maccabei
davanti
ai
figli
spenti
:
«
Non
so
come
siate
apparsi
nel
mio
seno
,
non
io
vi
ho
dato
lo
spirito
e
la
vita
,
non
io
ho
dato
forma
alle
membra
di
ognuno
di
voi
.
Ma
il
creatore
del
mondo
,
che
ha
plasmato
l
'
origine
e
l
'
uomo
e
ha
provveduto
alla
generazione
di
tutti
»
.
Come
potrebbe
lo
sgorgare
della
vita
-
postilla
Giovanni
Paolo
II
-
essere
lasciato
in
balia
della
specie
umana
?
La
vita
le
è
data
da
Dio
attraverso
il
corpo
della
donna
.
È
l
'
antica
tradizione
occidentale
,
sublimata
dal
principio
del
maschile
-
divino
.
Ogni
intervento
,
ogni
assunzione
di
libertà
su
questo
punto
è
violazione
della
legge
santa
di
Dio
e
il
seme
di
avventure
totalitarie
.
Si
comincia
col
decidere
se
avere
un
figlio
o
no
,
poi
se
portare
avanti
la
gravidanza
o
no
,
e
a
quale
età
,
e
se
nell
'
utero
proprio
o
altrui
,
sole
o
con
un
uomo
;
domani
se
ne
sceglieranno
il
sesso
,
le
fattezze
,
lo
si
clonerà
,
o
gli
si
imporrà
un
Dna
con
vita
a
termine
.
Nella
donna
che
vuol
decidere
di
una
maternità
c
'
è
in
nuce
un
Mengele
.
Qui
sta
la
chiave
e
la
povertà
dell
'
enciclica
.
Il
problema
della
riproduzione
umana
è
arrivato
a
più
di
una
svolta
.
Una
di
esse
è
il
problema
della
libertà
e
del
corpo
femminile
;
complesso
,
non
semplice
.
Un
altro
è
quello
delle
possibilità
di
intervento
indotte
dalla
scienza
,
che
sono
molte
e
inducono
il
dilemma
del
fin
dove
e
del
come
.
Ma
l
'
Evangelium
vitae
annulla
ogni
problema
di
scelta
,
azzera
ogni
dilemmatica
morale
:
non
c
'
è
di
che
discutere
né
interrogarsi
né
decidere
.
Da
una
parte
ci
sono
Dio
e
la
Natura
,
quasi
sinonimi
,
e
dall
'
altra
il
demonio
.
Dio
ha
parlato
una
volta
per
tutte
attraverso
la
Chiesa
,
che
è
sovrumana
custode
della
sua
parola
quindi
delle
leggi
dell
'
universo
.
Non
resta
che
seguirla
,
il
resto
è
crimine
e
sacrilegio
.
La
semplificazione
culturale
è
immensa
e
desolante
;
è
davvero
un
toccare
il
fondo
del
cattolicesimo
,
il
quale
da
tempo
,
del
resto
,
lasciava
al
luteranesimo
la
tragedia
della
persona
,
l
'
etico
,
lo
stesso
interrogarsi
sul
senso
della
vita
nel
disegno
di
Dio
,
che
poi
è
il
fondamento
della
libertà
per
un
credente
.
Domani
saranno
cinquant
'
anni
precisi
da
che
a
Flossenburg
veniva
impiccato
Dietrich
Bonhoeffer
,
che
sembra
più
lontano
da
Karol
Wojtyla
del
Gran
Muftì
di
Gerusalemme
.
Egli
aveva
osato
parlare
di
un
mondo
adulto
,
che
non
ha
più
bisogno
di
un
signore
o
giudice
o
consolatore
,
«
un
mondo
senza
Dio
in
presenza
di
Dio
»
,
non
parentesi
,
non
breve
transito
,
ma
luogo
decisivo
dove
si
giocano
il
senso
e
la
salvezza
.
L
'
Evangelium
vitae
torna
a
disegnarci
un
mondo
dove
velocemente
si
passa
,
segmento
insignificante
,
specie
di
prova
d
'
esame
in
vista
della
vita
vera
,
che
verrà
«
dopo
»
.
È
l
'
antica
tesi
autoritaria
,
assieme
pedagogica
e
consolatoria
,
che
ha
permesso
alla
Chiesa
tutte
le
repressioni
e
tutti
i
compromessi
;
oggi
la
rende
muta
davanti
a
ogni
domanda
sulla
concretezza
della
libertà
.
E
paradossalmente
perfino
sull
'
obbedienza
.
Wojtyla
non
sa
più
parlare
neppure
nel
severo
ambito
dell
'
epistola
di
san
Paolo
ai
Romani
-
fra
lo
sconvolgente
commento
di
Karl
Barth
,
traversato
da
tutta
la
modernità
,
e
i
testi
di
Giovanni
Paolo
II
c
'
è
un
abisso
.
Non
è
un
bene
neanche
per
chi
non
è
cattolico
.
Dal
tema
della
vita
come
scelta
propria
e
altrui
la
Chiesa
si
ritira
,
si
dimette
,
lasciando
scoperti
i
credenti
.
Non
a
caso
le
rispondono
zelantemente
soltanto
i
politici
,
i
medici
e
i
farmacisti
.
Stragi ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Un
silenzio
di
piombo
ha
accolto
l
'
inchiesta
del
giudice
Salvini
sulle
stragi
da
piazza
Fontana
in
avanti
.
Lo
stesso
per
il
verbale
riservatissimo
della
riunione
del
governo
dopo
la
strage
di
Bologna
nell
'
agosto
del
1980
.
Scrupolo
di
accertare
questa
o
quella
responsabilità
penale
?
Certo
no
,
gli
scrupoli
non
sono
la
specialità
dei
media
e
dei
leaders
.
È
scelta
di
tacere
su
quanto
già
si
supponeva
e
ora
è
accertato
,
l
'
ampiezza
devastante
delle
responsabilità
dei
governi
dagli
anni
sessanta
a
ieri
.
Dunque
il
più
estremista
dei
volantini
estremisti
degli
anni
settanta
restava
al
di
sotto
della
verità
.
Pensarono
tutti
,
pensammo
tutti
,
che
nei
servizi
segreti
fossero
infiltrati
personaggi
o
lobbies
o
gruppi
che
agivano
in
un
loro
disegno
,
ma
marginale
rispetto
alle
scelte
dell
'
esecutivo
,
una
carta
matta
imprudentemente
usata
e
che
finiva
con
il
ricattare
i
governi
,
i
quali
prima
tacevano
poi
periodicamente
cercavano
di
liberarsene
.
Non
era
così
.
I
servizi
segreti
operarono
con
l
'
accordo
dei
governi
e
dell
'
arma
dei
carabinieri
nell
'
uso
della
manovalanza
che
già
avevano
o
trovavano
nell
'
area
missina
.
Quando
,
negli
anni
sessanta
,
in
fabbrica
si
dovettero
dismettere
le
schedature
e
i
movimenti
della
sinistra
avanzarono
impetuosamente
e
si
modificarono
gli
equilibri
centristi
,
i
governi
,
costretti
ad
«
aprirsi
»
,
allargarono
d
'
accordo
con
la
Nato
i
compiti
delle
strutture
clandestine
destinate
a
fare
fronte
non
già
a
del
tutto
improbabili
invasioni
sovietiche
ma
a
un
mutamento
di
indirizzi
,
una
vera
«
alternanza
»
in
Italia
.
Furono
così
lasciati
fare
attentati
e
stragi
,
anzi
suggeriti
e
garantiti
di
copertura
,
ventisei
anni
di
tritolo
e
cadaveri
,
dal
1960
in
poi
.
Per
agitare
una
presunta
instabilità
e
seminare
il
dubbio
e
la
divisione
sul
movimento
che
potentemente
avanzava
,
specie
dopo
il
'68
e
il
'69
,
accusandolo
di
portare
il
terrore
dentro
di
sé
.
Di
questa
laida
operazione
i
governi
erano
al
corrente
,
conoscevano
la
mappa
di
chi
operava
e
la
copersero
.
Non
copersero
solo
le
stragi
interne
.
Il
presidente
Cossiga
ci
invia
uno
stupefacente
verbale
dal
quale
si
desume
che
il
suo
governo
aveva
motivo
di
sapere
che
l
'
aereo
dell
'
Itavia
precipitato
a
Ustica
era
stato
colpito
da
un
missile
della
Nato
che
voleva
liberarsi
del
colonnello
Gheddafi
ma
sbagliò
obiettivo
.
È
il5
agosto
1980
,
a
due
giorni
dalla
strage
alla
stazione
di
Bologna
,
ne
deduceva
trattarsi
di
una
vendetta
dei
libici
.
Chi
legge
il
verbale
-
c
'
erano
Cossiga
,
Colombo
,
Bisaglia
,
Morlino
,
gli
inevitabili
Sisde
e
Sismi
e
capi
della
polizia
,
ma
anche
Formica
,
Andreatta
e
Giorgio
La
Malfa
-
non
ne
trae
alcuna
certezza
che
siano
stati
i
libici
,
ma
che
questi
signori
considerarono
l
'
ipotesi
sufficientemente
valida
da
dover
essere
nascosta
,
dati
gli
interessi
libici
in
Italia
oltre
che
la
figura
della
Nato
.
E
che
decisero
di
discorrerne
con
i
servizi
segreti
della
Libia
e
di
tacerne
con
gli
inquirenti
italiani
,
che
per
quindici
anni
si
sono
dibattuti
tra
falsi
di
ogni
genere
,
finendo
con
l
'
inseguire
quei
Nar
che
c
'
era
ragione
di
ritenere
non
entrassero
nella
strage
di
Bologna
affatto
.
Intanto
i
presidenti
della
repubblica
ricevevano
periodicamente
le
famiglie
assicurando
che
si
sarebbe
fatta
giustizia
.
E
fino
a
quando
dura
questa
sanguinosa
commedia
?
Ancora
nel
1992
il
governo
mente
alla
camera
sulla
struttura
Gladio
,
che
deve
ammettere
ma
di
cui
consegna
soltanto
l
'
involucro
esterno
,
622
nomi
di
poco
conto
destinati
a
nascondere
la
vera
struttura
di
fiducia
,
quei
«
Nuclei
di
difesa
dello
Stato
»
che
,
per
quanto
ne
sappiamo
,
scorrazzano
anche
ora
.
Non
si
liquida
in
un
giorno
un
piccolo
esercito
protetto
dai
carabinieri
e
quei
servizi
che
,
infatti
,
sembra
difficile
processare
anche
se
colti
con
le
mani
nel
sacco
.
I
ricatti
si
sprecano
.
Dunque
non
singoli
personaggi
deviati
ma
i
regolari
servizi
dello
Stato
hanno
utilizzato
esplosivi
,
sparatorie
e
missili
,
con
l
'
accordo
dei
governi
e
della
Nato
,
hanno
schedato
il
mezzo
milione
di
italiani
(
e
le
schede
ci
sono
ancora
)
e
hanno
allenato
supercentrali
operative
,
reclutando
i
tipi
più
fidati
nel
Movimento
sociale
italiano
.
Dove
ogni
tanto
uno
come
Vinciguerra
si
innervosiva
di
essere
usato
dai
corpi
della
Repubblica
invece
che
per
la
rivoluzione
fascista
,
come
gli
assicurava
Rauti
che
gestiva
in
buona
armonia
con
Giorgio
Almirante
,
mentore
di
Gianfranco
Fini
,
le
due
facce
del
partito
.
Il
tutto
nel
quadro
di
intese
interne
e
internazionali
del
tutto
illegali
,
del
tutto
incostituzionali
e
del
tutto
accettate
.
Perché
,
ebbe
a
dire
Francesco
Cossiga
,
che
c
'
era
di
strano
?
Noi
,
l
'
Occidente
democratico
governavamo
in
Italia
un
paese
di
frontiera
che
doveva
tenersi
pronto
all
'
invasione
delle
armate
russe
e
iugoslave
,
come
è
noto
impazienti
di
occupare
l
'
Europa
,
mentre
voi
avevate
il
partito
e
le
masse
pronti
a
consegnare
il
paese
a
Breznev
.
Noi
ci
servimmo
dei
nostri
servizi
e
delle
nostre
bombe
,
voi
avevate
le
Brigate
rosse
e
i
loro
revolver
.
C
'
era
una
guerra
,
ora
non
c
'
è
più
per
decesso
dell
'
Urss
e
possiamo
chiudere
la
partita
.
Quelli
di
noi
che
gettarono
un
urlo
si
sentirono
dire
anche
da
Norberto
Bobbio
che
erano
gli
incerti
della
situazione
geopolitica
:
ovvio
che
fossimo
in
libertà
vigilata
dal
1945
al
1989
.
Sennonché
nessun
esercito
sovietico
si
preparava
a
dilagare
in
Europa
,
dove
Mosca
aveva
rinunciato
anche
all
'
idea
di
rivoluzione
dopo
gli
anni
venti
.
Tanto
meno
dopo
Yalta
.
E
infatti
la
Nato
operava
in
tutta
l
'
Europa
occidentale
,
ma
nessun
altro
paese
ha
chiesto
o
subìto
condizioni
simili
.
La
Stay
behind
più
«
Gladio
»
è
un
esempio
della
creatività
italiana
,
armata
dai
governi
centristi
quando
temettero
che
quella
grossa
socialdemocrazia
,
popolare
e
moderatamente
avanzata
che
era
il
Pci
,
si
conquistasse
quell
'
alternanza
della
cui
mancanza
si
dolgono
gli
stessi
che
tacciono
sui
mezzi
con
cui
fu
impedita
.
La
storia
d
'
Italia
prende
davvero
,
alla
luce
dei
fatti
,
una
strana
fisionomia
.
Guardo
i
nomi
dei
presidenti
della
Repubblica
negli
annidi
fuoco
,
Pertini
e
Cossiga
,
uomini
diametralmente
opposti
,
mi
chiedo
come
venne
eletto
l
'
uno
,
che
cosa
sapeva
,
come
venne
usato
,
e
come
venne
eletto
l
'
altro
,
quello
che
sapeva
tutto
degli
apparati
e
sa
dove
cercare
i
documenti
quando
gli
viene
in
mente
di
illuminare
gli
storici
.
E
che
cosa
sa
Scalfaro
,
del
passato
e
del
presente
?
Quali
dilemmi
i
migliori
di
loro
hanno
avuto
ma
tengono
per
sé
?
Guardo
i
nomi
dei
presidenti
del
Consiglio
,
e
mi
fa
impressione
che
Andreotti
sia
perseguito
per
un
improbabile
bacio
a
Riina
e
non
per
aver
inviato
a
«
sfoltire
»
di
nomi
i
dossiers
delle
stragi
nel
1974
.
Penso
alla
lista
dei
ministri
della
Difesa
e
agli
armadi
di
quelli
degli
Interni
,
cui
i
servizi
facevano
pervenire
rapporti
più
che
espliciti
.
Penso
ai
capi
della
polizia
,
fedeli
servitori
dello
Stato
,
come
quello
che
vidi
mentire
tranquillo
sotto
giuramento
al
processo
7
aprile
.
In
nome
dell
'
anticomunismo
in
Italia
fu
ovvio
,
implicito
,
consentito
fare
di
tutto
,
compreso
l
'
ammazzamento
di
cittadini
che
si
trovavano
per
caso
in
una
banca
,
in
una
piazza
,
in
un
treno
o
una
stazione
.
In
tema
di
atlantismo
,
il
nostro
è
un
record
.
Penso
anche
all
'
opposizione
,
che
esce
da
questo
quadro
beffata
e
sciocca
.
Nel
1964
,
quando
si
preparava
il
colpo
del
generale
De
Lorenzo
nel
silenzio
-
assenso
del
presidente
Segni
,
Pietro
Nenni
sentì
fragore
di
sciabole
e
fece
marcia
indietro
invece
che
chiamare
i
carabinieri
-
forse
dubitando
che
sarebbero
volati
in
suo
soccorso
.
Negli
anni
settanta
,
preso
atto
del
Cile
,
Enrico
Berlinguer
fece
sapere
allo
Stato
nel
quale
desiderava
entrare
che
non
avrebbe
cercato
di
modificare
nessuno
degli
equilibri
militari
,
né
interni
né
internazionali
.
E
infatti
.
Quale
fastidio
diede
ai
servizi
il
Pci
?
Nel
1969
cadde
col
naso
in
avanti
nella
tesi
della
pista
rossa
,
non
vide
altro
che
un
pericolo
a
sinistra
,
ottenendo
in
tutto
e
per
tutto
una
coda
di
paglia
grande
come
una
casa
per
essersi
appiattito
a
quell
'
impresentabile
stato
.
Che
ne
dice
oggi
Ugo
Pecchioli
,
da
una
vita
nel
comitato
parlamentare
che
doveva
controllare
i
servizi
?
Di
lui
devono
aver
riso
molto
un
bel
mucchio
di
mascalzoni
.
Per
quindici
anni
comunisti
e
progressisti
hanno
chiuso
gli
occhi
su
coloro
che
li
stavano
facendo
fuori
,
per
inseguire
l
'
eversione
di
sinistra
che
la
loro
debolezza
aveva
provocato
,
e
ora
apriva
la
propria
sanguinosa
,
perdente
guerra
privata
con
gli
apparati
della
polizia
e
dell
'
esercito
.
Rivedo
gli
editoriali
di
«
l
'
Unità
»
,
e
di
Valiani
e
di
Scalf
ari
,
che
accusavano
le
Brigate
rosse
di
mettere
a
repentaglio
le
istituzioni
repubblicane
.
Intendevano
dire
che
eravamo
già
così
occupati
da
colonnelli
e
armigeri
fascisti
che
non
bisognava
eccitarli
oltre
?
Che
su
tutto
questo
,
oggi
squadernato
,
Gianfranco
Fini
taccia
,
si
capisce
:
la
sua
svolta
è
avvenuta
sotto
il
ritratto
di
Almirante
.
E
si
capisce
che
dunque
ne
taccia
il
Polo
.
Che
tacciano
i
popolari
è
meno
chiaro
:
l
'
esame
di
coscienza
della
Dc
,
i
Bianco
,
i
Martinazzoli
e
Rosy
Bindi
lo
devono
fare
.
Ma
perché
la
sinistra
tace
?
Perché
dovremmo
tacere
noi
?
Sento
persone
piene
di
saggezza
ammonirmi
:
lasciamo
perdere
,
non
ci
si
attarda
sulla
malattia
quando
si
è
guariti
,
la
vita
deve
continuare
;
e
che
puoi
dire
ai
giovani
?
Che
i
governi
della
Repubblica
avevano
qualche
intesa
con
la
mafia
,
e
poi
hanno
anche
rubato
,
e
infine
che
sono
stati
un
po
'
assassini
?
Meglio
guardare
avanti
.
No
.
Non
si
guarda
avanti
se
non
si
vede
chiaro
ieri
,
se
non
si
sa
dove
il
marcio
è
arrivato
,
se
si
assolvono
uomini
,
mezzi
e
fini
,
se
si
racconta
che
di
fascisti
non
ce
n
'
è
stati
più
dal
1945
e
che
se
avessimo
avuto
meno
comunisti
saremmo
da
un
pezzo
una
splendida
democrazia
.
I
miei
amici
giovanissimi
mi
guardano
e
sussurrano
:
avete
lasciato
un
cumulo
di
macerie
,
non
seccare
con
la
politica
,
preferiamo
un
'
esistenza
senza
le
sue
ambizioni
ma
senza
i
suoi
orrori
.
Debbo
dirgli
che
in
fondo
,
sì
,
siamo
in
un
sistema
trasparente
,
il
conflitto
non
è
poi
grande
e
avviene
ad
armi
pari
,
sotto
i
fari
d
'
una
stampa
coraggiosa
e
veritiera
?
Non
è
vero
.
Non
sono
uguali
le
responsabilità
,
le
colpe
,
i
fini
e
i
mezzi
.
Ci
hanno
scassato
a
colpi
di
bombe
,
fucilate
,
complotti
e
bugie
.
Quelli
che
vengono
dopo
di
noi
costruiranno
mattone
per
mattone
il
proprio
destino
,
ma
noi
dobbiamo
loro
la
verità
.
StampaQuotidiana ,
Non
facciamo
confusione
:
non
sono
la
stessa
cosa
un
'
interruzione
di
gravidanza
e
l
'
intervento
genetico
sulla
riproduzione
della
specie
.
Nel
primo
caso
una
donna
si
chiede
se
mettere
al
mondo
un
figlio
o
no
;
una
donna
,
quella
persona
/
corpo
che
non
regge
una
maternità
,
e
decide
per
il
no
.
Nel
secondo
,
il
genere
umano
si
trova
a
decidere
il
sì
o
il
no
di
manipolazioni
e
mutazioni
,
financo
donazioni
o
differenziazioni
perverse
,
che
decidono
dell
'
umano
futuro
.
E
interpellano
alle
radici
culture
,
etiche
,
princìpi
di
identità
.
E
infatti
la
prima
è
un
'
antica
vicenda
,
la
seconda
del
tutto
inedita
.
Da
sempre
le
donne
hanno
ricorso
a
erbe
e
strumenti
e
tecniche
abortive
quando
non
potevano
mettere
al
mondo
e
tenere
al
mondo
una
creatura
.
A
rischio
della
vita
.
Uomini
e
società
lo
sanno
,
non
c
'
è
testo
di
scienza
naturale
che
non
ne
parli
.
Non
c
'
è
stata
legislazione
demografica
che
lo
abbia
impedito
.
Le
grida
sull
'
aborto
che
si
levano
periodicamente
sono
bugiarde
e
perverse
.
Lo
scrive
Gustavo
Zagrebelski
:
«
Un
punto
che
dovrebbe
essere
pacifico
in
ogni
discussione
in
buona
fede
è
che
tutti
i
divieti
legali
,
siano
essi
rimessi
nelle
mani
del
giudice
penale
che
condanna
,
o
del
medico
che
rifiuta
l
'
intervento
,
o
del
genitore
che
nega
l
'
assenso
,
o
del
padre
che
impone
la
sua
volontà
generatrice
,
si
risolvono
concretamente
non
nell
'
impedimento
dell
'
aborto
ma
nella
ricerca
dell
'
aborto
clandestino
...
non
la
difesa
della
vita
del
nascituro
ma
il
pericolo
della
vita
della
donna
e
la
discriminazione
fra
donne
ricche
e
povere
:
due
conseguenze
entrambe
incostituzionali
»
.
Non
penso
che
su
questo
si
debba
elucubrare
,
tanto
è
tristemente
noto
e
chiaro
.
Si
può
chiedersi
il
perché
del
periodico
risorgere
d
'
una
maledizione
su
pratiche
acquisite
dal
sapere
comune
e
dalla
medicina
semplice
-
penso
al
trattato
«
sulle
malattie
delle
donne
»
di
Trotula
de
Ruggiero
-
e
che
fecero
riflettere
con
più
problematicità
di
ora
la
Chiesa
delle
origini
.
È
come
se
qualcosa
spingesse
uomini
o
Chiese
o
Stati
a
inchiodare
il
corpo
femminile
sul
margine
fra
vita
e
morte
nel
quale
per
secoli
lo
hanno
cacciato
e
il
parto
(
fino
all
'
asepsi
)
e
l
'
aborto
.
Là
dovrebbe
restare
o
essere
riportata
la
maledetta
sessualità
femminile
?
Si
può
anche
capire
il
problema
del
credente
,
per
il
quale
sono
sacri
qualsiasi
tempo
di
vita
come
qualsiasi
distruzione
«
naturale
»
perché
Dio
disegnerebbe
il
correre
dell
'
universo
,
e
l
'
uomo
non
avrebbe
il
diritto
di
intervenirvi
.
Ma
quale
fondamento
può
avere
una
etica
laica
,
se
non
il
doppio
principio
della
libertà
e
delle
responsabilità
?
In
questa
ottica
appare
bizzarro
che
quel
che
di
più
importante
si
può
fare
,
cioè
mettere
una
creatura
al
mondo
,
non
sia
libero
,
deciso
.
Neppure
la
più
folle
delle
legislazioni
,
salvo
una
segreta
pratica
nazista
,
osa
enunciare
l
'
obbligo
di
generare
.
Ma
se
scelta
è
,
è
scelta
in
prima
istanza
e
in
ultima
della
donna
.
Qualsiasi
uomo
che
abbia
saputo
dalla
donna
-
lui
non
può
saperlo
-
di
averne
fecondato
un
ovulo
,
sa
quel
che
accadrà
in
se
stesso
e
in
lei
:
in
lui
,
nulla
,
in
lei
,
una
rivoluzione
.
Il
corpo
di
lei
è
investito
,
rovesciato
il
ciclo
,
l
'
embrione
cresce
nei
suoi
tessuti
,
partecipa
della
sua
circolazione
sanguigna
e
respiratoria
,
è
difeso
dalle
sue
difese
immunitarie
,
non
potrà
in
nessun
caso
vivere
se
se
ne
separa
prima
di
sei
mesi
,
verrà
a
maturazione
piena
a
nove
e
sarà
espulso
«
nel
dolore
»
.
Poi
la
madre
lo
raccoglierà
,
pulirà
,
medicherà
,
alimenterà
,
mentre
le
si
rinchiude
quel
grembo
lacerato
di
cui
,
fino
a
meno
di
quarant
'
anni
fa
,
ancora
rischiava
di
morire
.
Ma
dovrà
proteggere
il
piccolo
cranio
ancora
aperto
.
Il
cucciolo
umano
nasce
assai
più
fragile
d
'
un
gattino
,
e
gli
ci
vorranno
tre
anni
per
cavarsela
senza
perire
.
E
se
la
madre
non
gli
sarà
stata
accanto
nel
suo
pauroso
precipitare
in
un
mondo
così
diverso
dall
'
alveo
materno
,
l
'
angoscia
sarà
tale
da
incrinare
il
suo
passaporto
per
l
'
esistenza
.
La
maternità
è
un
evento
globale
e
lungo
che
investe
una
esistenza
femminile
,
scompone
ogni
altro
programma
di
realizzazione
,
ed
esige
mediazioni
perché
uno
dei
due
,
madre
e
figlio
/
a
,
non
ne
esca
mutilato
.
Quale
comune
misura
ha
questo
con
la
paternità
?
Sul
piano
fisico
nessuna
.
La
paternità
è
un
'
acquisizione
mentale
,
affettiva
,
non
percepita
nel
corpo
.
È
sulla
vita
di
relazione
?
Va
da
sé
che
la
madre
restringa
le
sue
relazioni
per
privilegiare
quelle
con
la
sua
creatura
,
va
da
sé
che
l
'
uomo
sviluppi
le
sue
relazioni
,
un
padre
essendo
chiamato
ad
essere
più
di
prima
un
individuo
sociale
.
La
dissimetria
è
patente
,
la
fisiologia
si
riproietta
e
moltiplica
in
ruoli
apparentemente
obbligati
.
Di
questo
dovremmo
pur
parlarci
,
fra
uomini
e
donne
.
Io
ho
molti
e
carissimi
amici
fra
gli
uomini
,
ma
non
ne
fanno
parola
.
Credo
neanche
fra
loro
.
Forse
ogni
uomo
ha
in
fondo
a
sé
,
oscuramente
,
la
percezione
di
questo
scompenso
,
che
ha
battuto
fin
dalle
origini
il
fantasma
della
Grande
Madre
,
quella
che
veniva
prima
che
si
riuscisse
a
legare
sessualità
e
riproduzione
,
quella
ancora
presente
in
Esiodo
,
la
terra
generatrice
di
tutto
,
anche
del
cielo
.
Lui
,
il
maschio
,
ha
potuto
accedere
alla
filiazione
,
in
lei
così
visibile
,
soltanto
sequestrandone
il
corpo
,
e
imponendo
alla
creatura
un
simbolo
di
proprietà
,
il
nome
.
Ma
ha
dovuto
fare
della
donna
un
soggetto
secondo
,
meno
libero
.
Si
può
capire
.
Credo
che
dovremmo
ascoltare
la
fragilità
del
maschio
,
il
sapersi
un
corpo
che
non
si
riproduce
,
che
finisce
,
che
disperde
il
seme
.
E
nel
medesimo
tempo
sapersi
meno
esposto
,
confessa
Winnicott
:
per
millenni
il
parto
è
stato
un
rischio
di
vita
.
Di
fronte
all
'
invidia
-
timore
che
le
donne
avrebbero
del
pene
,
c
'
è
l
'
invidia
-
timore
del
maschio
per
la
femminilità
sdoppiantesi
,
sola
signora
della
genealogia
.
Si
può
anche
capire
che
quando
il
sapere
medico
ci
mette
nella
possibilità
di
decidere
il
sì
o
il
no
della
maternità
senza
rischiare
la
vita
,
il
nostro
potere
appaia
enorme
,
inammissibile
.
Che
altro
traspare
dalle
parole
di
un
uomo
,
abitualmente
problematico
e
colto
come
Giuliano
Amato
?
«
Lei
»
non
sa
,
è
egoista
,
immatura
,
incapace
di
veder
oltre
se
stessa
.
Decido
io
al
posto
suo
.
Diverso
il
problema
di
fronte
agli
interventi
genetici
che
investono
la
riproduzione
della
specie
.
Ma
proprio
perché
essi
riguardano
l
'
intera
umanità
,
divisa
in
ruoli
di
inuguale
potere
prima
di
tutto
fra
i
sessi
,
va
detto
forte
che
non
se
ne
deciderà
senza
la
determinazione
della
parola
femminile
.
Io
sono
grata
al
centro
Virginia
Woolf
per
averlo
scritto
e
proposto
alla
firma
di
tutte
,
al
di
là
di
ogni
appartenenza
.
Il
«
che
cosa
»
poter
o
dover
fare
in
tema
di
procreazione
esige
una
decisione
d
'
urgenza
,
perché
già
troppo
si
è
avanzati
senza
una
regola
,
e
dove
le
regole
non
ci
sono
,
conta
il
più
forte
,
in
saperi
,
denari
,
poteri
.
Su
questo
terreno
si
può
giungere
a
mostruosità
,
come
sappiamo
,
e
anche
dove
sogni
perversi
di
eugenetica
fossero
evitati
,
nessuna
mutazione
sarà
cosa
da
poco
.
E
non
di
poca
tentazione
:
se
intervenendo
sul
Dna
abbattessimo
alcune
fatali
malattie
?
Per
salvare
e
per
salvarsi
si
possono
compiere
atrocità
.
Ma
anche
fosse
tutto
per
il
meglio
,
questo
meglio
va
lungamente
meditato
e
comunemente
deciso
.
E
la
decisione
varrà
se
ambedue
i
sessi
,
al
punto
in
cui
sono
le
riflessioni
su
di
sé
e
l
'
altro
,
e
le
identità
,
e
le
prospettive
,
vi
si
riconosceranno
.
Questo
è
l
'
ammonimento
dell
'
appello
firmato
da
migliaia
di
donne
.
Altro
che
domanda
«
corporativa
»
(
ammesso
che
sia
pensabile
ridurre
un
sesso
anche
alla
più
vasta
delle
corporazioni
)
.
Quel
che
è
sicuro
è
che
finora
non
ambedue
i
sessi
ma
solo
il
genere
maschile
ha
parlato
e
legiferato
.
L
'
altro
,
noi
,
abbiamo
taciuto
o
subìto
o
privatamente
mediato
o
ci
siamo
fatte
complici
:
sono
complicati
,
ben
poco
trasparenti
,
i
rapporti
fra
uomini
e
donne
.
Lo
schema
maschile
ha
funzionato
da
schema
unico
,
oggettivo
e
neutrale
.
Ma
come
potrebbe
esserlo
?
Anche
chi
,
come
me
,
non
rinuncerebbe
ai
saperi
d
'
un
mondo
cui
le
donne
hanno
subalternamente
partecipato
,
dubita
che
sul
terreno
della
sessualità
e
della
procreazione
gli
uomini
possano
attingere
a
pretese
di
universalismo
.
Si
tratta
d
'
una
frontiera
limite
,
dolente
e
problematica
,
dove
ogni
sesso
è
forzato
a
una
sua
parzialità
.
Di
più
,
il
corpo
non
si
dice
in
parole
,
è
sentito
,
ne
scriviamo
per
geroglifici
.
Sull
'
esperienza
del
corpo
siamo
rimandati
al
massimo
del
«
dato
»
e
al
massimo
dell
'
«
irripetibile
»
,
a
leggi
fisse
prima
e
dopo
di
noi
e
alla
solitudine
delle
differenze
.
La
comunicazione
va
costruita
.
Fra
le
donne
e
fra
i
generi
.
E
questo
significa
cambiare
ordini
,
simboli
,
valori
,
poteri
.
Agli
uomini
,
signori
delle
parole
,
restituirei
quella
competenza
sui
sentimenti
che
,
tenendosi
per
sé
i
saperi
,
sembrano
averci
consegnato
rimuovendoli
da
sé
.
Non
credo
alla
divisione
dell
'
intelligere
e
del
sentire
,
pati
,
patire
.
A
certi
testi
femminili
restituirei
l
'
inclinazione
opposta
,
una
sapienza
come
antilogos
,
che
già
ci
ha
funestato
negli
anni
settanta
.
Come
se
si
potesse
pensare
,
elaborare
,
riflettere
,
senza
astrarre
,
e
non
si
potesse
astrarre
senza
ordinare
,
né
ordinare
senza
coartare
.
Come
se
potessimo
eludere
la
sfera
dei
diritti
,
dei
conflitti
,
di
scarse
ma
essenziali
leggi
e
del
loro
mutare
nella
storia
.
Ma
questa
è
strada
da
fare
.
Se
credevamo
di
aver
tempo
,
perché
qualcosa
era
sicuramente
raggiunto
e
garantito
,
ci
siamo
sbagliate
.