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> anno_i:[1970 TO 2000}
Sulla viltà dei docenti universitari ( Sofri Adriano , 1998 )
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Perché il tradimento dei professori è ritenuto peggiore e ' senz ' altro più colpevole ' di quello della gente comune ? Lo spiega il diario di un grande filologo ebreo tedesco , Victor Klemperer . Victor Klemperer era un professore di filologia nell ' università di Dresda . Suo fratello Otto era un celebre direttore d ' orchestra . Siccome erano di famiglia ebraica , negli anni 30 non poterono più essere tedeschi . Otto andò in esilio . Victor fu cacciato dall ' università , cacciato da casa , assegnato al lavoro obbligatorio - spazzino , scaricatore in fabbriche e altri simili - costretto a indossare la stella gialla . Gli era vietato possedere libri e leggere giornali , o prendere un autobus . Ma Victor fu molto fortunato . Prima per aver militato nella guerra del '14 , poi perché aveva una moglie ariana , e alla fine per il disordine dei catastrofici bombardamenti su Dresda , riuscì a scampare alla deportazione e a sopravvivere . In tutti quegli anni si impegnò sistematicamente , perfino un po ' pedantescamente , a studiare le mutazioni che il Terzo Reich imponeva alla lingua tedesca : chiamò questa neolingua Lti , ' Lingua tertii imperii ' . Pubblicò questo trattatello sulla persecuzione nel 1947 , nella Dresda ormai appartenente alla Repubblica democratica tedesca . La traduzione italiana ( di Paola Buscaglione : eccellente ) è stata appena pubblicata dalla Giuntina . ' Scrupoloso e non geniale ' ( così lo elogia Michele Ranchetti nella prefazione ) il diario di Victor Klemperer dà una idea esatta e turbante della vita ordinaria nella persecuzione ' minore ' : sulla quale lo sterminio incombeva , ma capricciosamente dilazionato . Fra le osservazioni più specifiche di Klemperer segnalerò il destino delle parole ' fanatico ' e ' fanatismo ' , che il nazismo capovolge rendendole sinonimi di virtù . E anche l ' auge della ' weltanschauung ' ( la visione del mondo ) , che spodesta la filosofia e sostituisce con una venatura magico - intuitiva il rispetto per il pensiero e il linguaggio chiaro e distinto . Molte preziose notizie si troveranno in questo taccuino di filologo , che si applica , con la testa bassa , a una lingua che , per volontà di dominio , ' si è votata alla povertà ' . Ma si troverà anche una testimonianza illuminante su un rovello grande e ancora da esplorare : la viltà , non genericamente degli ' intellettuali ' , ma di quella loro aristocrazia del lustro e del reddito che era l ' insegnamento universitario . Davanti ai ' segnati ' i banchi diventano ogni giorno più vuoti , fino all ' espulsione ( nel 1935 ) . Il francesista Victor Klemperer ricorda gli antichi versi di Rutebeuf sugli ' amis que vent emporte et il ventait devant ma porte ' : ' Il vento ha soffiato davanti alla mia porta . Però non voglio essere ingiusto : ho trovato amici fedeli e coraggiosi , soltanto che fra loro non c ' erano appunto i colleghi e i collaboratori più stretti ' . Licenziando il suo diario , Victor Klemperer guardava indietro i ' tradimenti a perdita d ' occhio ' di letterati , poeti , giornalisti , professori universitari . ' Peggiore ' , quell ' ambiente di studenti e professori , ' della gente comune , e senz ' altro più colpevole ' . Klemperer , cui le circostanze suggerivano un ' ammirazione per la Russia e il suo regime , scriveva contemporaneamente a Vasilij Grossman , la cui titanica opera ( Tutto scorre , ma soprattutto Vita e destino , usciti ambedue postumi ) ha al centro la debolezza , l ' abiezione , il tradimento - e anche la resistenza - dei maestri , degli accademici , letterati e scienziati , nell ' Unione Sovietica staliniana . Forse i professori universitari devono essere più coraggiosi , o più dignitosi , degli operai o degli impiegati di banca ? Certamente no , immagino che abbiate già risposto . Forse sì . O almeno la loro è una prostituzione più indecorosa . Ben prima del '68 , quando nessuno avrebbe immaginato la rivolta studentesca contro l ' accademia e i suoi baroni , c ' era già fra i giovani un ' insofferenza contro le carriere universitarie . Non era universale , ma neanche era soltanto questione di individui eccentrici . Era un ' impazienza morale , o moralistica , come volete : non c ' è differenza , all ' inizio . Aspirare alla carriera universitaria ( eufemismi : alla ricerca , alla docenza ) costava servilismo , cortigianeria , conformismo , rivalità sleale o meschina . Fra i miei ( più o meno ) coetanei , potrei citare un certo numero di persone che per questo esclusero dal proprio orizzonte la carriera universitaria , magari per tornarci molto più tardi , quando sia loro che l ' università erano un ' altra cosa . Non ho nostalgia di quel moralismo , e tanto meno penso che quei disertori di concorsi fossero perciò più stimabili di altri . La questione che resta è quella della viltà della categoria intellettuale privilegiata costituita dai professori universitari . Si sono appena ricordate ( altro che '68 ) le leggi razziste del fascismo , sessant ' anni fa . Nell ' università italiana , passarono tra viltà e soddisfazione : non tanto di fanatici , quanto di aspiranti ai posti che si erano liberati . In appendice al suo L ' università italiana e le leggi antiebraiche ( Editori Riuniti 1997 ) Roberto Finzi pubblica i 96 nomi di professori ' ebrei ' espulsi . E che nomi ! Più del 7 per cento delle cattedre . Ernesto Rossi , dalla galera , commentò : ' Una manna per tutti i candidati che si affolleranno ora ai concorsi ' .
StampaQuotidiana ,
Oggi a Comiso decine di migliaia di siciliani e con essi delegazioni provenienti da ogni parte d ' Italia e d ' Europa si danno appuntamento per una grande manifestazione per la pace e il disarmo e per chiedere che alla Sicilia sia evitato il destino sciagurato di essere trasformata in un avamposto nello scontro atomico tra i due blocchi militari contrapposti . La scelta dell ' estremo lembo a sud della Sicilia per la costruzione di una grande base di missili " Cruise " ha alimentato una polemica sul reale bersaglio degli ordigni atomici che vi si intendono installare . Come dimenticare che , nei giorni immediatamente successivi all ' annuncio del governo italiano di costruire la base a Comiso , si verificava il pericoloso scontro tra aerei americani e libici nel Golfo della Sirte ? E che il presidente Reagan dichiarava , in quella occasione , di aver voluto mostrare i muscoli al colonnello Gheddafi ? E che , infine , quest ' ultimo , replicando aspramente , chiamava anche in causa l ' Italia proprio per la progettata base di Comiso ? L ' assassinio del presidente egiziano Sadat ha portato ora nuovi elementi di inquietudine e di destabilizzazione in un ' area alle soglie di casa nostra , sempre più gravata da minacce che possono da un momento all ' altro precipitare e innescare processi incontrollabili . Sentiamo così avvicinarsi i rischi che dai focolai di guerra del Medio Oriente si estendono al Mediterraneo . Nasce da questa realtà il bisogno di non risparmiare sforzi e iniziative che , riducendo la tensione in quest ' area , contribuiscano alla ripresa di quei negoziati da cui dipende la causa della pace nel mondo . L ' Italia può e deve giocare un ruolo decisivo perchè il Mediterraneo diventi nel suo complesso un mare di pace , che aiuti la prospettiva della distensione e nello stesso tempo quella di un nuovo ordine internazionale fondato sul progresso e l ' eliminazione degli squilibri tra nord e sud del mondo . Proprio in questa visione la Sicilia può assolvere la funzione di ponte nel dialogo fra le nazioni che si affacciano sul Mediterraneo . Non si può certo sostenere che la costruzione della base di Comiso vada in questa direzione . Anzi trasformerebbe la nostra isola in un polo di aggravamento delle tensioni in questo mare e in bersaglio predestinato nello scontro tra i blocchi contrapposti . Il popolo siciliano dirà , oggi , a Comiso che intende rifiutare questo orrendo destino . La Sicilia ha una storia millenaria interessata di tragedie e di sofferenze inaudite . Essa è stata più volte terra di conquista e il suo popolo ha subito le oppressioni più brutali , il cui retaggio si è espresso in miseria e arretratezza . La conquista dello Statuto dell ' autonomia , nel quadro della Costituzione repubblicana , frutto della lotta antifascista e della guerra di liberazione , aveva aperto una fase di progresso civile e democratico del popolo siciliano . Questo sviluppo , conquistato con grandi lotte di popolo , è ora in crisi . Negli ultimi anni in Sicilia sono accaduti dei fatti gravissimi . Il potere mafioso ha rialzato la testa e abbiamo assistito ad una sequenza drammatica di omicidi politici culminati nell ' assassinio del presidente della Regione Piersanti Mattarella . Da quel momento si è accelerato il processo di degradazione della vita politica e delle stesse istituzioni autonomistiche . Il già insufficiente apparato produttivo dell ' isola è duramente scosso dalla crisi economica mentre lo Stato si dimostra sempre più impotente di fronte alla violenza criminale e mafiosa che ogni giorno semina terrore e morte . E come non vedere il pericolo che la trasformazione della Sicilia in una gigantesca base di guerra spingerebbe alle estreme conseguenze i processi degenerativi già così allarmanti ? Il nostro no alla installazione a Comiso della base atomica tende ad impedire un avvenire davvero oscuro per il popolo siciliano . Lo dico convinto che questo oggi sia un obiettivo giusto e anche realistico . Il 30 novembre inizieranno a Ginevra le trattative tra URSS e USA e al primo punto dell ' agenda vi è la questione degli euromissili . La conclusione positiva della trattativa - a cui tutti devono lavorare - deve riguardare la fissazione di un equilibrio al più basso livello possibile dei missili contrapposti : gli SS-20 sovietici e i nuovi missili americani nell ' Europa occidentale . Questo livello di equilibrio potrebbe essere la " soluzione zero " , cioè la non installazione dei Cruise , bilanciata da misure di pari significato per gli SS-20 . Ecco perchè è raggiungibile l ' obiettivo di impedire la costruzione della base a Comiso . Chiedere , come noi facciamo oggi , di sospendere l ' inizio dei lavori della costruzione della base è il modo più giusto ed efficace per il popolo siciliano di premere perchè la trattativa di Ginevra abbia uno sbocco positivo . Quello di oggi , è pertanto , il primo atto di una mobilitazione che nei prossimi mesi dovrà via via allargarsi come una grande fiumana di uomini e donne , di giovani e anziani di ogni ceto sociale e di ogni fede pubblica e religiosa . Noi comunisti vogliamo essere soltanto una componente di questo grande movimento unitario e opereremo , con sempre maggiore consapevolezza , perchè altre forze democratiche , superando incomprensioni e strumentalizzazioni , scendano in campo per dare il loro contributo originale a questa lotta decisiva per l ' avvenire del popolo siciliano e per la salvezza della pace nel mondo .
StampaQuotidiana ,
Non so se gli assassini delle Brigate rosse considerino loro compagno Marco Pannella . Probabilmente no , lo disprezzano come disprezzano tutti i " riformisti " , tutti i " borghesi " , lo utilizzano cinicamente come un " utile idiota " . Invece , Marco Pannella , si sta comportando nei fatti come un fedele compagno degli assassini . Nelle tragiche quarantotto ore dell ' ultimatum brigatista , il concetto centrale delle interminabili concioni non - stop del leader radicale alla sua radio è stato quello che il giudice D ' Urso è condannato a morte non dalle Br ma dai giornali e dai giornalisti che si rifiutano di pubblicare i comunicati dei " proletari " prigionieri delle carceri di Trani e di Palmi . Ora , questo è esattamente ciò che i boia delle Br vogliono . Sono essi che , nel loro ordinamento " giuridico " praticano il processo senza accuse , senza prove , senza difensori , senza appelli , sono essi , che hanno reintrodotto quella pena di morte , che la Repubblica italiana si gloria di aver eliminato con il fascismo ; su di loro , e soltanto su di loro , ricade la responsabilità delle esecuzioni capitali da loro , e soltanto da loro decretate . Ebbene , questa elementare verità di fatto deve essere rovesciata propagandisticamente : non i " tribunali dell ' arbitrio e i loro boia " , ma coloro che non ne riconoscono l ' autorità avrebbero sulla coscienza le condanne e le esecuzioni delle Br . Di questo rovesciamento propagandistico si incarica il compagno - loro , non nostro - Marco Pannella , colla sua rozza sofistica , il suo gusto per la volgarità violenta , i suoi patologici complessi di superiorità . " Alla gogna Eugenio Scalari " , blatera il compagno dei terroristi , " è Scalfari , sono i giornalisti gli assassini ! " E così , i veri , gli unici e soli assassini restano coperti e in definitiva giustificati . Tutto viene stravolto . Sarebbe umanitario non chi si rivolge alle Br perché comunque , non uccidano , come fece Paolo VI nel suo scritto umanamente più alto e bello , quello rivolto agli " uomini delle Brigate rosse " , ma chi scarica la responsabilità di un assassinio su chi non cede alle richieste degli assassini , ben sapendo che se lo facesse , la strage continuerebbe , e anzi l ' ondata di morte verrebbe esaltata . Io sono tra coloro che ritengono del tutto vano un appello umanitario agli " uomini delle Brigate " rosse , che attraverso un processo di disfacimento vero e proprio del pensiero e della personalità , sono ormai al di fuori della logica e dai sentimenti umani . Ma comprendo benissimo che altri credano invece giusto fare alle Br un appello umanitario . Il fatto è però che un appello , per chiamarsi umanitario , non può che cominciare colle parole : Comunque non uccidete ! Nel caso particolare del giudice D ' Urso , un sincero umanitario , poteva anche ( io non sono d ' accordo , ma poteva ) proseguire facendo presente che molte delle richieste delle Br erano state soddisfatte . Una posizione sbagliata , ma non spregevole . Non spregevole come tutte le parole e i gesti di Marco Pannella e dei suoi più fedeli - non dico , non voglio dire dei radicali in genere - nella vicenda D ' Urso . A costoro non è bastato aver reso possibile la diffusione dei comunicati dei Collettivi di lotta di Palmi e di Trani , che tutta Italia conosce nei loro concetti essenziali , che sono pubblici ormai anche se non da tutti pubblicati . Potevano fermarsi qui e ricordarsi che mentre i giornalisti da loro messi sotto accusa non hanno ammazzato nessuno , questi comunicati esaltano come " tempestiva e precisa rappresaglia " un ' altra atroce condanna a morte , quella del generale Enrico Galvaligi : e preannunciano nuove ribellioni dentro le carceri , nuovo terrore fuori . Lo dicono loro , che comunque andranno avanti sulla loro via di morte ! Mancava loro un compagno . Lo hanno trovato . È giusto che Marco Pannella sia protetto dalla immunità parlamentare , non invoco davvero processi penali e condanne contro di lui . Possiamo però e dobbiamo colpirlo con una condanna non cruenta ma non perciò meno dura : la condanna morale alla esclusione dal dialogo con chi ha davvero sensi di umanità .
La trasformazione si mette in gioco ( Niola Marino , 1999 )
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Ottantasei miliardi . E ' la più strepitosa vincita al Superenalotto , con una schedina da poche migliaia di lire giocata a Montopoli Sabina . La cifra è tanto colossale - quindici volte il bilancio di quel piccolo Comune che qualcuno ha pensato addirittura ad una leggenda metropolitana . Altri hanno paventato una pericolosa e diseducativa tracimazione del mercato del gioco d ' azzardo , una verticalizzazione indotta e amplificata dall ' eco mediatica . Effetti nuovi per un fenomeno antico e di lunga durata . Il nostro è , infatti , un paese dove i giochi pubblici hanno sempre avuto schiere infinite di adepti di ogni ceto . Basti pensare alla fortuna del lotto . Il più popolare e più antico dei nostri giochi è nato nel Cinquecento a Genova . Solo nell ' Ottocento , però , la sua diffusione è cresciuta fino a creare una vera e propria mitologia , soprattutto a Napoli , che ne è diventata l ' indiscussa capitale . Al punto che la grande giornalista e scrittrice Matilde Serao definiva il gioco dei numeri " acquavite di Napoli " . Al gioco pubblico in Italia , alla sua storia , alla cultura che lo sottende , alle dinamiche di mercato che lo governano è dedicato un bel libro curato , per i Tipi di Marsilio , da Giuseppe Imbucci ( " Il gioco pubblico in Italia . Storia , cultura e mercato , 38.00Olire ) , già noto per i suoi studi sul tema . Il volume raccoglie gli atti di un convegno svoltosi all ' Università di Salerno nel maggio dello scorso anno . Studiosi come Giampaolo Dossena , Paolo Macry , Domenico Scafoglio , Augusto Piacanica , Vittorio Dini , Antonio Cavicchia Scalamonti , Valdo D ' Arienzo , oltre allo stesso Imbucci e molti altri ancora , esplorano le mille sfaccettature dell ' universo retto dall ' imperscrutabile capriccio del caso . Qual è il lungo filo rosso che unisce il lotto , le riffe , gli altri giochi tradizionali , con l ' umanità che in essi si rifletteva , agli anonimi e esso immateriali giochi d ' alea che muovono oggi cifre da capogiro : in lire e in bits ? La fortuna popolare delle " ruote " si fondava di fatto su un sistema di interpretazione della realtà largamente condiviso . Ogni avvenimento , ogni cosa diventavano dei segni , delle verità nascoste , degli arcani che si rivelavano in numeri . Tutta la realtà , presente passata e futura , era insomma riconducibile alle novanta enigmatiche cifre della Smorfia che funzionava così come un grande libro del mondo . Charles Dickens scriveva che il popolo di Napoli credeva tanto ciecamente che ogni cosa avesse un riferimento nel gioco del lotto che il governo era costretto a sospendere le scommesse su fatti di cronaca troppo giocati , per non rischiare il fallimento delle casse detto Stato . Attraverso i " numeri " l ' Italia di ieri interpretava gli eventi . Li commentava , li traduceva in " vox populi " , in una sorta di grande mormorio collettivo simile a un coro greco , e affidava la verifica dei suoi giudizi alla sentenza inappellabile della sorte . Il lotto serviva così a creare legame sociale e opinione collettiva . Rifletteva la morale comunitaria per cui la fortuna , anche attraverso gli spiriti degli antenati - il quarantotto , nella Smorfia , fa proprio il morto che parla - premiava i discendenti più meritevoli con la concessione dei sospiratissimi numeri . Sullo sfondo del gioco la comunità metteva in scena i suoi valori , intrecciando il presente al passato e traendone criteri per orientarsi nel futuro . Ciò anche per effetto delle trasformazioni subite in età moderna dalla Cabala . Questa si fondava in origine su uno stretto intreccio tra matematica , astronomia ed astrologia per cui le cifre arcane della realtà erano traducibili in numeri . Si trattava di un connubio tra scienza divina e sapienza umana da usare a fini nobili , non vani , come quelli della previsione del futuro e della divinazione dei numeri del lotto . Già dalla metà del Cinquecento la Cabala viene piegata invece ad una popolarizzazione che tende a sfumare progressivamente il confine tra scienza e divinazione facendo del cabalista un interprete di sogni da tradurre in numeri . La Smorfia napoletana è proprio un esempio di tale volgarizzazione della Cabala per cui il cabalista smette di essere un sapiente , studioso di cose segrete , per divenire un divulgatore di arcani dispensati al popolo : un " assistito " . Con questo nome a Napoli venivano identificati nell ' Ottocento quegli individui capaci di interpretare i sogni o addirittura di sognare su commissione - proprio come gli sciamani - di entrare in contatto con gli spiriti dei morti per ottenerne la rivelazione dei numeri da giocare al lotto . E ' vero , dunque , che la fortuna era determinante , ma è vero anche che essa era determinata : non del tutto cieca . Premiava chi mostrava di sapersela meritare . Pertanto i terni e le quaterne divenivano il riconoscimento a posteriori e a giusta ricompensa di una capacità di lettura della realtà e del saper stare al mondo . C ' è dunque nella filosofia tradizionale del lotto un ' idea di reciprocità che non è riducibile al puro caso . Il Superenalotto - con una chance su seicentoventidue milioni di azzeccare la combinazione vincente - riflette invece una realtà in cui dal gioco sono esclusi valori comunitari , valori di senso e quindi di merito . Non diversamente dalle tante lotterie che non a caso impazzano in una congiuntura come quella attuale in cui ogni capacità di interpretare la realtà , di prevederne le tendenze , di ricondurla ad un significato e a una morale collettivi e condivisi sembra ormai perduta . Anche se nel superenalotto sembra riaffiorare un ' idea del valore della comunità come giocatore collettivo - lo rileva Imbucci - è da chiedersi se tale " collettivismo " produca realmente valori comunitari o se non sia piuttosto una semplice società d ' impresa , una joint venture , spesso tra sconosciuti , senza reale ricaduta in termini di legame sociale e di solidarietà . In questo senso le forme e le trasformazioni del gioco , nello spazio e nel tempo , le analogie e le differenze tra le filosofie dell ' alea di ieri e quelle di oggi riflettono come in uno specchio , le forme e le trasformazioni della società " tout court " . Nel nostro tempo la febbre del gioco si accompagna non casualmente ad uno spostamento insidiosamente illusionistico dei confini del ludico che incrocia fenomeni come la globalizzazione e , prima ancora , la mediatizzazione , la virtualizzazione della realtà . Si pensi a fenomeni dilaganti come i giochi televisivi in tutte le loro varianti , generaliste e localistiche : dai quiz alle riffe , fino alle tradizionalissime tombole che si celebrano per la gloria delle emittenti locali nei bassi napoletani . O alla lottomatica , alla progressiva verticalizzazione del jackpot nel Superenalotto : potentissimi moltiplicatori della velocità dei flussi e della crescita del consumo di giochi . E ancora al gioco " in rete " che fa di ciascun individuo un giocatore e , insieme , una potenziale posta , giocato dal suo stesso gioco . Si direbbe che il villaggio globale prima che i suoi servizi tenda a strutturare i suoi vizi . Anche in questo senso il gioco è specchio fedele della mondializzazione . Alla fine il giocatore perde sempre . Vince il banco , alias il mercato . Ma se fosse proprio questa la ragione oscura del gioco ? Qualcosa di simile al potlatch , lo scambio competitivo diffuso tra gli Indiani del Nord Ovest americano e fondato sull ' acquisizione di prestigio e di identità attraverso lo spreco di risorse ? E ' quello che Georges Bataille chiamava la " proprietà costitutiva della perdita " . Guadagnare per perdere . O perdersi .
I dioscuri del privilegio ( Petruccioli Claudio , 1976 )
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Che perfetta sintonia , quale identico istinto , quanta reciproca simpatia fra Montanelli , Pannella e De Carolis ! La stessa vena trascorre nelle frasi che il primo ha scritto ieri e nelle battute che i due dioscuri radicali ( ambedue tali per definizione del " Giornale nuovo " ) hanno affastellato l ' altra sera a Roma . E non è la vena dell ' anticomunismo che pure , ribollente e inquieta , li accomuna ; è una vena più profonda e limacciosa , che si snoda lungo tutto il percorso dell ' Italia contemporanea , di volta in volta emerge in superficie o si occulta in percorsi sotterranei . È la vena astiosa e arrogante , allusiva e incolta , insinuante e ricattatoria che raccoglie la schiuma degli umori , delle paure , delle presunzioni , delle aggressività di quanti , in questa società , anche quando non detengono il potere , godono di privilegi . Martedì , pomeriggio e sera , Milano è stata sconvolta da uno stillicidio di vandalismi , di violenze , di scontri con la polizia ad opera di un paio di migliaia di giovani messi in campo da " Circoli giovanili proletari " . Fra le molte cose oscure e confuse che hanno ispirato questa azione e altre analoghe dei cosiddetti " autoriduttori " , del tutto chiaro è proprio il loro atteggiamento verso il privilegio ; la loro ribellione è sì contro il privilegio , ma in quanto li esclude . È qui la caratterizzazione piccolo borghese e irrazionale della loro ideologia ; è questa la diversità , enorme e decisiva , dalle proteste del '68 che , per quanto talvolta infantili , si ispiravano sempre a ideali di razionalità sociale , di eguaglianza collettiva , mai di appropriazione individuale . Non è stata neppure , come scrive il " Corriere " una jacquerie ; perché le jacqueries , disperate e inefficaci , esposte sempre alla più sanguinosa rivincita repressiva , sono state fiammate e rivolte di contadini , di dannati della terra contro un privilegio che si voleva incendiare e annientare . Come poteva Montanelli soffermarsi su questo e indignarsi per questo , visto che la sua ideologia ha lo stesso impasto di quella degli autoriduttori ? Certo , una differenza c ' è , e grande : Montanelli è ben dentro il recinto del privilegio , mentre gli agitatori di martedì sono ancora fuori . E poi Montanelli è più esperto , più scaltro : sa che il privilegio , per perpetuarsi e proteggersi , deve servire il potere e servirsi del potere , deve dimostrare al potere che gli è utile . Ed ecco , ieri , il compito puntualmente svolto : quella dell ' altra sera a Milano è da lui trasformata in una minacciosa esplosione della violenza delle masse , con il PCI pronto ad approfittarne . Anticomunismo , si può dire , certo : ma c ' è qualcosa di ancestrale , che viene prima ancora dell ' anticomunismo , ed è l ' odio per le masse , escluse dal potere e nemiche dei privilegi , che si muovono e avanzano con fatica e con tenacia passo dopo passo spinte non da ingordigia di appropriazione ma dalla volontà di giustizia , di pulizia , di eguaglianza , di libertà , di onestà , di sincerità , dalla decisione di modellare tutta la società in questi valori . Montanelli per difendere i privilegi posseduti e l ' autoriduttore per aspirare ai privilegi idolatrati devono schierarsi contro queste masse , devono considerarle il peggior nemico : e così fanno . È lo stesso fastidio , lo stesso odio che trasuda dal duetto Pannella De Carolis . Qui il privilegio da difendere è quello del " personaggio " , un privilegio che si manifesta anche nel gesto , nella esibizione , nel gusto del paradosso , nella ammirazione di sé ; fra Pannella e De Carolis non c ' è accordo , c ' è qualcosa di più , c ' è intesa . " Noi ci intendiamo " . Si sono reciprocamente riconosciuti . Sono , Pannella e De Carolis , la vera incarnazione politica e culturale di quella profezia pseudoperaia rappresentata dallo slogan " vogliamo tutto " lanciato qualche anno fa da Balestrini . Ogni idea e ogni valore vanno bene se goduti e consumati individualmente ; ogni idea e ogni valore divengono perversi quando se ne impadroniscono le masse , e tanto più quando li usano per organizzarsi , per costruire un moto di emancipazione , per estendere e approfondire la propria coscienza . Non sorprende affatto , perciò , che Pannella vagheggi i tempi di Scelba né che un corifeo del seguito di Montanelli , riferendo compiaciuto le parole del deputato radicale , si confessi a lui affine . Siamo di fronte alle manifestazioni di un male antico che in Italia ha segnato profondamente anche la storia delle idee e degli intellettuali , non solo sul versante conservatore ; il distacco , la sfiducia e la contrapposizione verso le masse , che si vogliono tenere in una condizione di passività , perché siano oggetto e non soggetto della politica e della cultura , considerate al più quando lo sono campo di esercitazione e di affermazione per il singolo che le interpreta , le guida o le agita . È un male che ci sembra nient ' altro che il riflesso , sullo schermo delle ideologie e dei comportamenti , della avida e gretta difesa di tutti i privilegi materiali , protetti con tanta maggiore protervia quanto più si sa che sono arbitrari e ingiustificati . L ' anticomunismo certo , c ' entra , ma non è il punto di partenza , è la inevitabile conseguenza di ciò . E ' un anticomunismo non vecchio , non tradizionale ; è anzi nuovo , e tanto più aspro e agitato perché ha a che fare con il Partito comunista italiano così come è oggi , per quello che rappresenta , per quello che è , per quello che dice , per quello che fa ; soprattutto per gli aspetti che più esprimono la originalità e la novità del PCI . Perché non siete ci rimproverano Montanelli e Pannella come noi vi immaginiamo , vi vogliamo , vi descriviamo ? Perché non esprimete , voi che siete partito di massa e di masse per eccellenza , l ' immagine che noi diamo di orde minacciose e distruttive , ignare e cieche ? Il fastidio e l ' odio di costoro per il PCI si alimentano per il nostro testardo impegno di organizzare la democrazia con le masse e le masse con la democrazia ; per l ' importanza che attribuiamo alla fatica dell ' apprendere e del lavorare ; per la nostra affermazione dei diritti di libertà degli individui e delle garanzie che li devono proteggere ; perché sosteniamo e dimostriamo che essi devono e possono congiungersi fino a rafforzarsi reciprocamente con i diritti collettivi e i bisogni sociali . Provoca ira in costoro questo nostro volere e sapere essere trasformatori e costruttori , insieme . Gli ingordi di privilegi , gli autoriduttori di ogni risma , i chierici esibizionisti che " vogliono tutto " non ci sopportano perché siamo di un ' altra stoffa .
LA POLONIA INSEGNA ( Spadolini Giovanni , 1970 )
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Invano i comunisti italiani negano che si tratti di un altro momento della « crisi del sistema » . La tragedia polacca , ai loro occhi , si identifica con una « strada sbagliata » , con una serie di errori di direzione politica . È la stessa tesi che fu adottata per i delitti di Stalin , dopo il rapporto Kruscev ; è la stessa tesi che fu assunta per l ' Ungheria . Ma come continuare a sostenerla ? Il sistema comunista , cioè collettivista , appare in crisi quasi in eguale misura nelle società industriali avanzate , come la Cecoslovacchia , e nelle società prevalentemente rurali e di limitata o parziale evoluzione capitalistica , come la Polonia . Una volta sono gli operai di Praga a sollevarsi contro il comunismo , sia pure in nome di un ideale di revisionismo neo - marxista duramente represso e soffocato dai carri armati sovietici ; un ' altra volta sono le massaie di Danzica o di Gdynia a rinnovare le antiche jacqueries plebee con la devastazione dei magazzini , il saccheggio dei negozi , l ' incendio delle sedi del partito , identificato nel simbolo di un potere predatore e sopraffattore . Scene che ricordano l ' ancien régime . La Polonia è il solo paese dell ' Est europeo che aveva tentato una sua strada nazionale al comunismo : il contemperamento della proprietà pubblica dei mezzi di produzione e di scambio con la salvaguardia della piccola e media proprietà contadina , radicata in un tessuto di tradizioni tanto profondo da apparire inestirpabile perfino nel periodo del più cupo e ottuso stalinismo , lo stalinismo di cui fu vittima , a suo tempo eroica , Gomulka . Ma si tratta di un esperimento che è naufragato , non meno del comunismo integrale incondizionato adottato a Budapest od a Praga . Lo spazio riservato all ' impresa agricola , in uno Stato fondato su una prevalente struttura centralizzata , è apparso troppo ristretto per alimentare le capacità dell ' iniziativa e dell ' inventiva individuale ; lo spazio occupato dall ' impresa pubblica nell ' industria troppo vasto e soffocante per consentire un equilibrio effettivo di forze . E le leggi del mercato hanno preso la loro rivincita , una volta di più , su tutte le coercizioni , parziali o totali . È la stessa tragedia che si è riflessa in altri aspetti della vita polacca . In quella religiosa , per esempio . È certo che la Polonia rappresenta la sola nazione dell ' Est europeo , che sia riuscita a difendere l ' indipendenza e l ' integrità della fede cattolica nella grande maggioranza del popolo anche durante l ' epoca nera dell ' oppressione e del terrore staliniani . Il cardinale Wyszinsky è una figura legata al mondo , adesso tanto lontano da sembrare quasi irreale , di Pio XII . Abbozzi e sforzi per un concordato fra Santa Sede e regime comunista non furono mai intermessi , neppure nell ' età delle grandi purghe . Senonché ilprezzo pagato per evitare la prevalenza dell ' ateismo appare grandissimo ; i compromessi volti a salvare il salvabile infiniti ed estenuanti : le deviazioni di parte del clero a favore di un ' intesa diretta col regime - si ricordi il movimento pro sovietico « pax » - insidiose e ritornanti ; la salvaguardia dell ' equilibrio fra i due poteri malsicura e precaria . Quando il presidente polacco Ochab , un fedelissimo di Gomulka , venne in Italia , or sono tre anni e mezzo , finì per non rendere visita al Papa : lui , il rappresentante di uno degli Stati più tenacemente e direi misticamente cattolici d ' Europa . A differenza , magari , del genero di Kruscev o di Gromiko ! Tanti erano i motivi di contrasto e di contrapposizione : tutt ' altro che « conciliari » , allora . Certo , il dramma della Polonia impone un senso profondo di rispetto non disgiunto da un ' accorata vena di malinconia . La stessa repressione ordinata dalle autorità di Varsavia nelle zone baltiche del Paese , zone in gran parte ex tedesche , appare particolarmente severa , e in molti casi spietata , proprio in vista di togliere alla Russia il pretesto ad un qualunque intervento militare . Stretta fra Germania e Russia da secoli , la Polonia non ha dimenticato il turpe mercato del '39 fra Hitler e Stalin , mercato che portò alla sua scomparsa come nazione , all ' amputazione di larga parte delle sue province orientali in favore dell ' Unione Sovietica , ai successivi compensi post - bellici con Pomerania e Alta Slesia , quasi nell ' intento di creare un fossato incolmabile fra tedeschi e polacchi . I riflessi della Ostpolitik di Brandt , cioè dell ' avvicinamento fra Bonn e Mosca , non sono estranei alla nuova fase di turbamenti e di sconvolgimenti della Polonia . Da un lato c ' è il modello economico della Germania occidentale che esercita un indubbio fascino sulle regioni non lontane della Polonia , degradate ad un livello di vita infinitamente più basso ( altro che la polemica contro la civiltà dei consumi ! ) . Dall ' altro c ' è l ' attenuazione del terrore , tradizionale e tutt ' altro che ingiustificato , verso il nemico germanico e la ripresa di un sentimento nazionale anti - russo , che è comune a quasi tutto il Paese , non escluso il grosso del partito comunista . Si è detto che , se la Russia ripetesse in Polonia anche la metà dell ' operazione cecoslovacca , assisteremmo ad una autentica carneficina : le forze armate polacche ripeterebbero contro l ' invasore dell ' Est quello che fecero , con incomparabile eroismo , nei diciassette giorni della resistenza agli invasori dell ' Ovest , nel settembre del '39 . Per tali motivi di fondo , Gomulka , che pur tornò al potere sull ' onda dei fatti di Poznan del '56 , evitò di trarre poi tutte le conseguenze dalla liberalizzazione del comunismo , che invano fu attesa in Europa ; per tali ragioni di fondo , la successiva evoluzione del regime revisionista polacco coincise piuttosto con una involuzione , non priva di ombre inquietanti , come la formazione di un ' ala nazionalstalinista , con un fondo antisemita , quella di Moczar . Oggi tutti i nodi tornano al pettine : riesplodono le contraddizioni , che Gomulka si era illuso di conciliare sull ' onda di un prestigio personale tanto alto quanto meritato . Il divario fra Stato comunista e società civile si approfondisce : al livello della gioventù universitaria non meno che delle maestranze operaie , non meno che delle grandi masse contadine . La struttura del comunismo centralizzatore appare sempre più imposta , ed imposta dall ' alto , ad un paese pluralista , fedele ad una visione occidentale della vita , nutrito da un ' esperienza cattolica che è esperienza di costume e di civiltà . Le eresie , invano respinte o represse , ritornano attraverso forme imprevedibili , che squarciano e lacerano tutti gli ottimismi ufficiali . E l ' ombra della dottrina Breznev sulla sovranità limitata torna a gravare sulla nazione che pur si rifiutò di alzare anche una sola statua a Stalin , nel periodo del suo splendore . A differenza della Cecoslovacchia , che elevò la statua più alta . Nessuna speculazione , quindi , ma una lezione chiarissima . È il sistema del comunismo che appare dovunque in crisi , in una crisi profonda cui non si ripara con le furbizie o le ambiguità delle « vie nazionali » , comode ed evasive nei paesi a democrazia garantita e sicura , come l ' Italia o la Francia . Motivo di meditazione per tutti i fautori della « nuova maggioranza » . Purtroppo , in Italia , c ' è una crisi che appare più grande e profonda di quella dei comunisti : ed è la crisi dei democratici , di troppi democratici . Una crisi , anzi - diciamolo pure - una mancanza di fede in se stessi . E nella libertà .
CHIESA E STATO ( Spadolini Giovanni , 1970 )
StampaQuotidiana ,
I rapporti fra Chiesa e Stato , specie in Italia , sono fatti di sfumature . Ecco perché si impone sempre , ma soprattutto nei momenti di tensione o di inquietudine , una grande dose di discrezione , di prudenza , di misura . Talvolta può bastare un aggettivo ad alterarli , una parola di troppo a turbarli . Un esempio . All ' indomani del varo della legge sul divorzio , dopo il contrastato e tormentato dibattito prolungatosi fino all ' alba di martedì a Montecitorio , in un clima evocante le grandi dispute del Risorgimento ( con un tono di nobiltà comune alle due sponde : basti pensare ad un Gonella per i cattolici ) , giunse da Sydney la notizia che il Papa aveva espresso « profondo dolore » per il voto del Parlamento italiano . Ci furono due versioni , a distanza di poche ore , di quello che era presentato come un comunicato della sala stampa della Santa Sede . Una accennava all ' iter della legge che non poteva dirsi ancora completo , « esigendosi per questo la firma del capo dello Stato » . L ' altro testo , quello poi ripreso dalle fonti cattoliche , si limitava a parlare della decisione dell ' assemblea , « per quanto non inattesa » , che aveva colpito il Pontefice , ma ometteva giustamente , e responsabilmente , ogni riferimento , diretto o indiretto , al capo dello Stato . Tutto fa pensare che la seconda versione , la più cauta e la più vigilata , corrispondesse al vero pensiero di Paolo VI . La prima , scritta in fretta da qualche collaboratore forse troppo zelante , poteva generare l ' impressione che la Santa Sede ipotizzasse un possibile contrasto - del tutto inimmaginabile - fra il Parlamento e il capo dello Stato , calcolasse su un gesto di reazione o di ritardo da parte del presidente della Repubblica nei riguardi del solenne « sì » di Montecitorio : un gesto che costituzionalmente non era pensabile , per il carattere parlamentare della nostra Repubblica , e nel caso specifico era escluso dai sentimenti e dalle convinzioni di fedeltà laica e risorgimentale , anche se al di fuori di ogni suggestione anticlericale , caratteristiche di Saragat ( immaginate il dramma di un presidente democristiano ! ) . Ecco un ' area in cui la prudenza non è mai troppa . Se il testo del comunicato pontificio non avesse contenuto , in nessuna delle due versioni , l ' incauto ed in ogni caso impreciso riferimento al capo dello Stato e alla sua « firma » , si sarebbe evitato un momento , non diciamo di antagonismo o di contrapposizione , ma semplicemente di ombra e di sospetto fra Chiesa e Stato , fra Vaticano e Quirinale . È quello che dobbiamo augurarci per i prossimi sviluppi della vicenda divorzista , all ' indomani del ritorno del Pontefice dal suo lungo e drammatico periplo asiatico , cominciato con l ' attentato delle Filippine e terminato con 1'«autocensura» del messaggio di Hong - Kong , di fronte alla polemica , ormai aperta e non senza abili inserimenti comunisti , sulla revisione del Concordato davanti alle prospettive di una nuova regolamentazione dell ' intero diritto di famiglia . La democrazia cristiana ha dimostrato , occorre riconoscerlo , un grande senso di responsabilità nell ' ultimo arco della battaglia divorzista . Dapprima ha appoggiato - merito della segretaria Forlani - la mediazione Leone sul progetto Fortuna - Baslini ; in un secondo tempo , nonostante le oscure e spesso oblique manovre sul decretone , ha imposto alla Camera la salvaguardia sostanziale dei patti di palazzo Madama , che implicavano la rinuncia , non formale ma nei fatti , ad ulteriori emendamenti al testo del progetto già rivisto . Le pressioni del mondo cattolico più oltranzista sono state respinte o contenute . Non si è ceduto alla tentazione , pur forte , di una « guerra di religione » sul divorzio ; si sono salvaguardate le intese , ben altrimenti importanti , coi partiti di democrazia laica , malgrado il prezzo così amaro . L ' atteggiamento della parte migliore della Dc , sul referendum è indicativo al riguardo . Né Colombo né Forlani hanno detto « no » all ' iniziativa di un possibile referendum abrogativo , annunciata da gruppi anche autorevoli del laicato credente ; ma hanno fatto capire chiaramente , attraverso calcolati silenzi o indirette allusioni , che non desidererebbero una prova di forza , necessariamente estesa a rimettere in discussione l ' anagrafe cattolica degli italiani . Non vorrebbero trovarsi alleati con la sola estrema destra , una compagna di strada troppo ingombrante ; non vorrebbero rialzare gli storici steccati fra guelfi e ghibellini , che tanto preoccupavano De Gasperi . La Dc preferirebbe una riforma concordata - Colombo l ' ha detto con lealtà - del diritto di famiglia : concordata nell ' ambito della coalizione quadripartita , e senza le ritornanti e riammiccanti offerte dei comunisti , più che mai cauti e sottili nel loro complesso rapporto col mondo cattolico . E pronti a spostarsi , dal « sì » obbligato al divorzio , ad una linea possibilista e di dialogo articolato . Non sappiamo quanto le prudenze della Dc saranno premiate , o confortate , dallo sviluppo dei fatti . Tutto è incerto : la linea dell ' azione cattolica , l ' atteggiamento dei vescovi , le stesse decisioni della conferenza episcopale , che riflette le divisioni post - conciliari . Sappiamo solo che molto dipende dalla Curia , dal Vaticano , diciamolo pure senza mezzi termini dal Papa , da questo Papa tormentato e problematico in cui sembrano consumarsi tutte le contraddizioni della Chiesa di oggi , tese e laceranti fino quasi ad un ' ansia di martirio . Per la formazione anche culturale e familiare tipica di Paolo VI , il colpo subito dal Papa , con l ' introduzione del divorzio in Italia , deve essere stato grandissimo . Pensiamo alla vecchia borghesia cattolica di Brescia , al clima in cui il giovane Montini si è formato , in quell ' età giolittiana in cui nessun progetto di divorzio arrivava alle soglie dell ' aula , anche per l ' ironica resistenza di Giolitti ( « il divorzio interessa solo due scapoli : il Papa e Zanardelli » : amava dire il grande statista quando era ancora ministro dell ' interno nel governo di Zanardelli , un altro bresciano , il contraltare laico del mondo guelfo ) . Ma la delicatezza dei rapporti fra Chiesa e Stato in Italia , e degli stessi precari assetti concordatari , sopravvissuti ad un regime così diverso e lontano da quello di oggi , deve spingere il Pontefice ad un grande sforzo di comprensione e di moderazione , il solo degno dei tempi , il solo ispirato alla carità pastorale del Pontificato , all ' ecumenismo che equipara l ' Italia alle Filippine . Tutta la materia del Concordato è oggetto di revisione : fin dalla commissione costituita da Moro . Il matrimonio concordatario come tale è un monstrum giuridico , seguito ad un ' abdicazione irripetibile del potere civile , in cambio di vantaggi di prestigio oggi irreali . Ci sono certe difese , che non difendono nulla ; certe resistenze ad oltranza , che compromettono solo i valori fondamentali . Ed oggi il valore fondamentale è , per ammissione generale , la salvezza della libertà religiosa , la difesa della libertà di coscienza : egualmente sacre al mondo laico e al mondo cattolico . Un secolo non dovrebbe essere passato invano dal 20 settembre .
Il significato della sofferenza ( Sofri Adriano , 1999 )
StampaPeriodica ,
Indro Montanelli ha rivendicato l ' intenzione di disporre di sé anche al momento della propria morte e si è augurato di trovare un medico ad aiutarlo . Ha spiegato di non voler accettare la degradazione fisica e tantomeno morale . In apparenza , si è trattato di un intervento sull ' eutanasia . Ma solo in apparenza , come ha mostrato Lalla Romano , la quale ha sostenuto l ' opinione di Montanelli , dichiarando la propria avversione ( se ho capito bene ) alle discussioni categoriali , in particolare su una nozione carica di ombre come quella di eutanasia ; e soprattutto ha trasferito la riflessione sul rifiuto della sofferenza , della rassegnazione alla sofferenza , e di qualunque sua valorizzazione . Per questo rifiuto , ha detto , « non possiamo dirci cristiani » . Mi pare un punto molto importante e complicato . Esso eccede il tema del triste diritto a decidere di sé anche per la propria morte , che riconosco senz ' altro . È invece il punto del significato della sofferenza e , anzitutto , se la sofferenza abbia un significato . Di recente , Paolo Flores è intervenuto con passione contro il divieto religioso o legale al suicidio assistito e contro il suo pregiudizio profondo : il « dovere » della sofferenza . « La condanna a una sofferenza ... senza fine , senza scopo , senza riscatto . Insensata , innanzitutto ( a meno che non soccorra la fede di chi considera la sofferenza un bene in sé , ovviamente ) . Nella malattia terminale non c ' è più nulla , infatti , oltre la sofferenza stessa . Quando l ' anestesia era ancora e solo qualche sorsata di acquavite , le mostruose sofferenze di un ' amputazione possedevano il senso della differenza capitale : quella tra la vita e la morte . L ' agonia irreversibile del malato terminale è , invece , semplice certezza di tortura a morte » . Flores , che ha dovuto pensare a ciò di cui parla , parla tuttavia della malattia terminale : che non è l ' orizzonte esclusivo della discussione ora riaccesa . In una vecchiezza che immagina il modo della propria fine , la malattia terminale è la vita stessa che si approssima al suo compimento , e minaccia la perdita di sé . Con questa forte differenza , resta il problema posto da quell ' inciso : « A meno che non soccorra la fede di chi considera la sofferenza un bene in sé , ovviamente » . Esso vuol dire , com ' è davvero ovvio , che il diritto al « suicidio assistito » è appunto solo un diritto e non un opposto dovere , e che non può coinvolgere se non la libera volontà delle persone , senza di che diventa un fanatismo opposto e abominevole , come la decisione di Stato , o medicale , o di qualunque altra autorità o convenienza fuori delle persone , a metter fine a vite « inutili » . Pascal pregava « pour demander à Dieu le bon usage des maladies » : « Fate che io mi senta in questa malattia come in una specie di morte , separato dal mondo , privo di tutto , solo in vostra presenza ... » . La domanda delicata è un ' altra : solo la fede può indurre a considerare la sofferenza « un bene in sé » ? Anche a Flores la questione non sfugge , benché non vi veda che un espediente estremo del bigottismo per replicare alla perdita di autorità dogmatica della gerarchia ecclesiastica . È la questione della « natura » , del « lasciare che la natura faccia il suo corso » . In suo nome , e ipocritamente , dice Flores , si rifiuta il farmaco che « in una volta » abbrevi la sofferenza insopportabile , e si somministrano i farmaci che , pur micidiali , accorciano la vita in una specie di eutanasia al rallentatore . Lasciar fare alla natura imporrebbe , per coerenza , di rinunciare a ogni vaccino , a ogni antibiotico . Che cosa , se non un ' ipocrisia , separa l ' omissione , l ' astensione dall ' accanimento terapeutico , la spina staccata , dall ' azione ( una flebo attaccata , una compressa fornita ) che ottiene lo stesso risultato ? Io sono , tremando , d ' accordo . Ma ho fatto in tempo ad appartenere a una cultura umana millenaria , solo da poco abbandonata , per la quale ( non solo nella sua versione cristiana ) il timore nei confronti della violazione della « natura » , il senso del sacrilegio , era forte e profondo . Si sentiva che una febbre doveva alzarsi e bruciare , prima di ricadere . Si sentiva che il dolore era parte della guarigione , e anzi ne era il prezzo . La « natura » , e per essa il tempo , il tempo che uccide , o risana , erano sentiti come inviolabili e pronti a prendersi la rivincita . L ' anestesia era sentita con vergogna come una debolezza da quella cultura virile , ma anche come un ' usurpazione . Quella cultura era spaventata e coraggiosa insieme , superstiziosa e nobile . Per essa Tolstoj avversava come immorale la cura del mal di denti e si teneva la sofferenza . Non ho nostalgia di quella cultura , al contrario . Bisogna che tutti gli esseri viventi vengano liberati quanto è possibile dal dolore e dalla debolezza . Ma so che nel modo di questa liberazione c ' è un prezzo alto . Che la longevità spinta in cerca dell ' immortalità e l ' anestesia universale possono storcere il disegno della vita umana in qualcosa di cattivo . Che nel modo della manipolazione della natura può esserci l ' eccesso e la ritorsione . Sia lode agli antibiotici : ma abbiamo imparato a temerne gli effetti di ritorno . La sanità personale , come l ' ecologia comune , non ci promettono più solo felicità e progresso , ma vulnerabilità e riparazione perpetua . Anche a non voler vedere la folla di persone condannate alla fame , all ' umiliazione e a una breve vita che riterremmo per noi peggiore della morte . Dunque : c ' è un significato nella sofferenza , e che significato è ? Io non lo so . Provo a immaginarlo , da molto lontano , immagino che l ' esperienza della sofferenza dia un solo acquisto : la comprensione della sofferenza altrui . La cognizione del dolore . Non è poco . Nel Cristianesimo c ' è anche questo , oltre al bigottismo della sofferenza salvifica ed espiatrice .
Non siamo gentili ( Fortebraccio , 1977 )
StampaQuotidiana ,
Secondo noi , ha avuto ragione « Il Popolo » ieri , che si è preoccupato , a proposito delle mille voci che corrono sulla evasione del Celio , di farne anche , se non principalmente , una questione di buona creanza . « Proprio per questo » ha scritto tra l ' altro il giornale democristiano in un suo corsivo editoriale « troviamo non solo di pessimo gusto , ma anche moralmente e politicamente immotivata e irresponsabile la campagna scandalistica che da alcune parti si cerca di montare sul "caso"...» Sì , veramente , non siamo gentili . Ci sono laggiù , che ancora non riposano , 335 patrioti massacrati alle Fosse Ardeatine da un assassino più che spietato , disumano , che ora è fuggito sotto gli occhi complici ( sì , complici , non disattenti o inesperti ) di chi doveva sorvegliarlo in basso e in alto ( soprattutto in alto ) , e noi commettiamo la scortesia - come ci rimprovera « Il Popolo » - di voler conoscere la verità tutta quanta sul « caso » , come lo chiama finemente lui ; e siamo così volgari da raccogliere anche i pettegolezzi , se possono servire in qualche modo a illuminarci contro chi vuole deliberatamente , consapevolmente , tenerci al buio . Per esempio : si è letto ieri che non tutti i pareri concordano sulla diagnosi disastrosa pronunciata a suo tempo dai medici sulle condizioni del prigioniero . Non accusiamo nessuno , non siamo in grado di farlo . Ma abbiamo il diritto di porre una domanda : ci si preoccupò di sapere come la pensavano anche in politica questi clinici ? Viviamo in un Paese dove migliaia di parroci e di padroni hanno per anni schedato ( e forse tuttora schedano ) operai e fedeli , prima di ammetterli al torchio o in chiesa . E non parliamo dei cosiddetti servizi segreti . Si è pensato di assicurarsi che medici , assistenti , sorveglianti di Kappler non fossero per caso , bravura a parte , fascisti ? Un Terracini , un Pertini ci avrebbero sicuramente pensato . Guardateli in faccia , si vede subito . Ma guardate in faccia Lattanzio : vi pare che costui abbia una faccia da antinazista o anche soltanto da antifascista ? Per la sua età , direte , non ha potuto esserlo . Ma ai vent ' anni del fascismo sono seguiti questi trent ' anni , in cui un uomo di governo avrebbe avuto il dovere di diventarlo . Invece eccolo lì , Lattanzio , a , comportarsi come avete visto e sentito in questi giorni . E un uomo di pezza . E non usiamo un ' altra parola che ci starebbe meglio , perché « Il Popolo » ci invita al buon gusto e perché noi stessi , del resto , teniamo a praticarlo . Ma ci soffriamo molto .
Lor signori vanno sempre in paradiso ( Fortebraccio , 1981 )
StampaQuotidiana ,
I giornali di ieri hanno riferito che , contrariamente ai timori espressi unanimemente dagli ambienti laici e democratici , e dalla stampa che ne è portavoce , il papa è intervenuto al Palasport di Roma alla festa dei Focolari ( come era in programma ) e vi ha parlato da quel sacerdote che è - e che non dovrebbe mai cessare di essere - pronunciandovi un discorso « tutto religioso » , come lo ha definito « Il Messaggero » . Non stiamo a chiederci ( ciò che potrebbe apparire inutilmente puntiglioso ) se questo sia avvenuto in seguito alla generale sollevazione provocata dagli ultimi interventi del pontefice a Sotto il Monte e a Bergamo , veri e propri comizi . Limitiamoci a constatare che domenica al Palasport il papa ha fatto il papa e non il propagandista elettorale : gliene diamo atto volentieri e ci auguriamo - e gli auguriamo - che continui così . Ma non c ' è soltanto Giovanni Paolo II . Ci sono anche tanti altri preti di vario grado che si occupano dell ' ormai prossimo referendum sull ' aborto e noi ci accontenteremo - per oggi - di citare uno dei maggiori tra essi e forse il più noto : quel cardinale Giuseppe Siri , arcivescovo di Genova , che ha già scritto per tutte le chiese della sua Diocesi un appello da leggersi domenica 10 ( a una settimana dal voto ) , al confronto col quale i passati e tanto deplorati interventi del papa sembrano lievi e languide allusioni , platonici incitamenti e carezzevoli accenni , tali da farci ricordare quei trepidi versi di Di Giacomo , che parevano sparire come in un soffio : « Nu pianefforte e ' notte sona luntanamente ... » . Qui c ' è ben altro . Qui Siri « ordina » come si deve votare e ne indica addirittura il modo con smaccata anzi sfrontata violazione della legge elettorale . C ' è qualcuno che ha fatto notare all ' arcivescovo di Genova che questo è un vero e proprio reato e che gli ha ingiunto di ritirare la sua lettera ? Ma in fondo il cardinale Siri dà un colore di classe ( noi lo sospettavamo fondatamente ) alla campagna del Movimento per la vita che pure conta anche chi vi aderisce con sincerità di cuore e con disinteresse . Ma Siri è colui che una volta , parlando a ricchi signori , disse : « Homo sine pecunia , imago mortis » , l ' uomo senza soldi è l ' immagine della morte . Questo « sì » alla cancellazione della legge 194 piace a coloro che hanno denari , che possono pagarsi i cucchiai d ' oro . Forse il cardinale Siri dice tra sé : « Femina ( o mulier ) cum pecunia , imago vitae » , perché gli piace un mondo nel quale i ricchi comandino . Anche peccando , ma Iddio è misericordioso ; e poi ci sono dei cardinali per i quali i conti correnti valgono anche lassù .