StampaPeriodica ,
Il
voto
di
protesta
s
'
insinua
dappertutto
,
dissolve
schieramenti
tradizionali
,
amplifica
le
voci
più
diverse
.
E
mai
come
questa
volta
i
primi
commenti
hanno
sottolineato
questo
carattere
del
voto
.
Protestano
gli
operai
di
Marghera
e
i
piemontesi
delle
valli
,
cacciatori
di
Reggio
Calabria
e
giovani
al
primo
voto
,
ecologisti
e
adoratori
di
Cicciolina
.
Ma
è
tutta
vera
protesta
?
Quale
denominatore
comune
si
può
offrire
a
interessi
e
a
gruppi
tanto
diversi
?
Ci
si
può
fermare
al
confronto
tra
le
varie
liste
o
si
deve
guardare
al
modo
nel
quale
sono
state
indirizzate
le
preferenze
?
Una
novità
comunque
c
'
è
.
Quello
che
nelle
ultime
occasioni
era
stato
il
comportamento
di
protesta
per
eccellenza
,
l
'
astensionismo
elettorale
e
il
voto
bianco
o
nullo
,
non
riceve
più
il
favore
dei
cittadini
.
Cresce
il
numero
già
altissimo
dei
votanti
,
le
schede
bianche
e
nulle
sembrano
in
diminuzione
.
Questo
vuol
dire
che
l
'
offerta
elettorale
,
rappresentata
dalle
liste
in
competizione
,
è
apparsa
questa
volta
più
allettante
che
in
passato
,
capace
di
interpretare
meglio
le
spinte
dell
'
elettorato
.
Ma
che
tipo
di
spinte
?
Attenzione
,
dice
più
d
'
uno
:
sono
spinte
localistiche
,
corporative
,
razziste
addirittura
.
Nel
programma
delle
liste
locali
piemontesi
non
c
'
erano
forse
le
proposte
di
non
pagare
la
quota
delle
imposte
che
va
a
favore
del
Mezzogiorno
e
il
rifiuto
di
avere
insegnanti
o
impiegati
meridionali
?
Voti
del
genere
esprimono
certamente
una
protesta
,
che
si
dirige
verso
l
'
intero
sistema
dei
partiti
ed
esaspera
interessi
particolaristici
.
E
sulla
stessa
linea
si
trovano
quelli
che
,
a
Reggio
Calabria
,
formano
e
votano
una
lista
per
dare
la
caccia
al
falco
pecchiaiolo
.
Questa
protesta
,
però
,
non
ha
nulla
a
che
vedere
con
il
voto
dato
alle
liste
verdi
.
Qui
si
ritrova
il
rifiuto
di
un
ambiente
pesantemente
degradato
.
Ma
la
motivazione
fondamentale
è
l
'
affermazione
positiva
di
nuovi
valori
,
in
grado
di
fornire
alla
politica
la
capacità
di
interpretare
meglio
le
esigenze
del
mondo
di
oggi
e
di
domani
.
E
il
voto
ai
radicali
e
al
loro
ultimo
emblema
elettorale
,
Cicciolina
?
Qui
di
protesta
non
c
'
è
nulla
.
C
'
è
un
puro
sberleffo
alle
istituzioni
,
che
in
altri
casi
si
è
espresso
scrivendo
sulla
scheda
frasi
variamente
oltraggiose
.
Su
questa
base
mi
sembra
che
sia
stata
costruita
una
operazione
consapevole
e
mirata
di
discredito
del
Parlamento
.
Già
durante
la
campagna
elettorale
si
è
irriso
a
una
possibile
maggioranza
di
alternativa
"
da
Natta
a
Cicciolina
"
.
Domani
sarà
facile
ridicolizzare
la
richiesta
di
portare
il
governo
in
Parlamento
per
discutere
qualche
serio
problema
.
Immagino
già
la
battuta
:
"
Vogliamo
discutere
di
queste
cose
con
Cicciolina
?
"
.
Un
'
altra
pietruzza
sarà
così
stata
portata
alla
costruzione
di
chi
vuol
liberarsi
dell
'
ingombro
del
Parlamento
per
adottare
modi
di
governo
sempre
più
sbrigativi
e
autoritari
.
Una
prima
analisi
del
voto
ci
dice
pure
che
,
per
esempio
,
i
verdi
hanno
trovato
consensi
nei
quartieri
operai
dove
è
stata
secca
la
perdita
comunista
.
Una
protesta
contro
il
degrado
ambientale
di
zone
come
Marghera
?
Certamente
.
Ma
anche
un
modo
di
sottolineare
il
distacco
da
un
partito
non
più
ritenuto
il
difensore
di
fasce
sociali
deboli
.
Ecco
,
allora
,
un
paradosso
di
queste
elezioni
.
Il
sistema
politico
si
articola
,
dà
ingresso
in
Parlamento
a
interessi
nuovi
,
ma
non
riesce
a
offrire
rappresentanza
adeguata
a
interessi
"
vecchi
"
,
se
così
si
possono
definire
quelli
di
una
parte
della
tradizionale
classe
operaia
.
Il
voto
per
il
Pci
si
segnala
anche
per
il
largo
consenso
ricevuto
dagli
indipendenti
.
Questo
vuol
dire
adesione
alla
scelta
di
apertura
alla
società
fatta
dal
Pci
.
Ma
non
c
'
è
pure
protesta
contro
uomini
e
apparati
di
partito
,
giudicati
dallo
stesso
elettorato
comunista
non
adeguati
a
quel
rinnovamento
che
le
candidature
indipendenti
vorrebbero
simboleggiare
?
Come
rispondere
al
diffuso
malessere
espresso
da
questi
diversi
voti
?
Con
una
legge
elettorale
che
impedisca
ai
gruppi
minori
di
entrare
in
Parlamento
?
Attenzione
,
però
.
Se
il
sistema
politico
è
malato
,
la
cura
non
può
consistere
soltanto
nel
rompere
il
termometro
.
StampaQuotidiana ,
Signor
Presidente
della
Repubblica
,
non
le
sottopongo
il
caso
di
un
mio
collega
,
ma
quello
di
un
cittadino
.
Non
auspico
un
suo
intervento
,
ma
non
saprei
perdonarmi
il
silenzio
.
Vicende
come
quella
che
ha
portato
in
carcere
Enzo
Tortora
possono
accadere
a
chiunque
.
E
questo
mi
fa
paura
.
Lei
è
il
massimo
esponente
dell
'
organo
supremo
dei
Magistrati
:
e
deve
sapere
.
Ho
un
sincero
e
profondo
rispetto
per
i
giudici
che
,
come
i
giornalisti
,
hanno
pagato
,
e
pagano
,
un
duro
conto
con
il
crimine
.
Conoscevo
Alessandrini
,
e
voglio
bene
ai
figli
del
dott.
Galli
.
Credo
nell
'
onestà
e
nel
sacrificio
di
quelli
che
lottano
,
a
Napoli
e
ovunque
,
contro
la
camorra
e
la
mafia
.
Ma
ci
sono
aspetti
del
«
blitz
»
contro
i
cutoliani
che
lasciano
perplessi
:
dalla
data
,
una
settimana
o
poco
più
prima
delle
elezioni
,
agli
sviluppi
.
Dalle
conferenze
stampa
trionfalistiche
,
alla
caccia
all
'
uomo
con
cineprese
al
seguito
,
dal
segreto
istruttorio
largamente
violato
,
al
numero
degli
arrestati
e
dei
dimessi
.
Su
350
,
se
le
cronache
sono
esatte
,
200
sono
tornati
fuori
:
ma
,
hanno
detto
gli
Inquirenti
,
e
mi
scuso
per
l
'
odioso
e
usatissimo
termine
che
suscita
il
ricordo
di
antiche
procedure
,
molti
rientreranno
in
cella
,
Come
dire
,
che
si
può
sbagliare
fino
a
tre
volte
:
arresto
,
scarcerazione
,
altra
cattura
.
Ma
qual
è
la
buona
?
Tortora
è
denunciato
da
un
tale
Pandico
,
che
fa
il
suo
nome
dopo
tre
interrogatori
:
guarda
caso
,
un
personaggio
così
popolare
non
gli
viene
in
mente
subito
.
Le
conferme
vengono
da
un
certo
Barra
,
conosciuto
nell
'
ambiente
come
«
O
'
animale
»
:
è
lui
che
parla
dello
«
sgarro
»
,
e
che
fa
andar
dentro
il
sindaco
D
'
Antuono
,
rilasciato
poi
al
trentanovesimo
giorno
di
detenzione
per
mancanza
di
indizi
.
È
sempre
lui
che
riferisce
della
visita
a
Cutolo
dei
Gava
e
dei
servizi
segreti
,
per
tirare
fuori
dagli
impicci
l
'
amico
Cirillo
,
ma
di
questa
impresa
non
si
discute
.
Gli
avvocati
che
difendono
il
presentatore
non
hanno
potuto
leggere
neppure
i
verbali
degli
interrogatori
del
loro
assistito
;
ci
sono
periodici
che
hanno
pubblicato
i
testi
delle
deposizioni
dei
due
camorristi
accusatori
.
Chi
glieli
ha
dati
?
Ogni
mattina
,
la
stampa
ha
ricevuto
la
sua
dose
di
indiscrezioni
:
Tortora
fu
iniziato
col
taglio
di
una
vena
,
Tortora
ha
spacciato
droga
per
80
milioni
e
non
ha
consegnato
l
'
incasso
,
Tortora
ha
riciclato
denaro
sporco
,
Tortora
era
amico
di
Turatello
:
smentisce
la
madre
del
bandito
,
smentisce
,
ed
è
a
disposizione
,
il
suo
braccio
destro
.
Nessun
segno
sui
polsi
.
Ma
ci
sarebbe
la
conferma
di
una
«
contessa
»
:
che
non
può
testimoniare
,
perché
,
guarda
caso
,
è
morta
.
C
'
è
la
prova
che
dovrebbe
mettere
in
difficoltà
Tortora
:
una
lettera
di
Barbaro
Domenico
per
dei
centrini
andati
perduti
alla
RAI
.
Esiste
un
carteggio
tenuto
dall
'
ufficio
legale
della
TV
di
Stato
,
ma
non
significa
nulla
.
Conta
,
invece
,
la
parola
di
due
assassini
.
Poi
ci
sarebbe
l
'
altro
seguace
di
Cutolo
,
che
messo
in
libertà
avrebbe
dovuto
far
fuori
il
compare
Tortora
che
ha
tradito
,
tanto
è
vero
che
ha
scritto
il
nome
dell
'
autore
di
Portobello
nella
sua
agenda
che
è
come
se
Oswald
avesse
segnato
sul
calendario
:
«
Mercoledì
:
sparare
a
Kennedy
»
.
È
pensabile
che
i
misteriosi
tipi
che
stanno
sconvolgendo
la
nostra
vita
,
per
far
fuori
uno
,
o
per
far
saltare
una
automobile
,
abbiano
bisogno
di
aspettare
che
un
detenuto
torni
in
circolazione
?
Si
ha
l
'
impressione
che
,
dopo
aver
messo
le
manette
a
Tortora
,
stiano
cercando
le
ragioni
del
provvedimento
.
Ma
ecco
che
arriva
il
colpo
sensazionale
:
col
caldo
che
imperversa
,
il
dottor
Di
Persia
corre
a
Milano
,
perché
ha
trovato
finalmente
chi
può
schiacciare
quel
finto
galantuomo
di
Tortora
.
C
'
è
uno
che
lo
ha
visto
,
nientemeno
,
consegnare
della
polvere
bianca
in
cambio
di
una
mazzetta
di
banconote
,
a
un
terzetto
di
farabutti
,
ed
ha
assistito
alla
scena
in
compagnia
della
sua
gentile
signora
.
Il
dottor
Di
Persia
non
si
informa
sui
precedenti
del
«
noto
pittore
»
,
che
si
chiama
Giuseppe
Margutti
,
ed
è
tanto
riservato
,
odia
tanto
la
pubblicità
,
e
dà
dello
stesso
fatto
versioni
differenti
:
una
ad
un
redattore
di
«
Stop
»
,
l
'
altra
al
Sostituto
Procuratore
.
Bene
,
l
'
artista
,
che
si
è
fatto
denunciare
dal
Louvre
per
una
mostra
delle
sue
opere
non
richiesta
,
che
inventa
,
per
andare
con
una
donna
,
un
rapimento
,
che
mette
in
circolazione
francobolli
con
la
sua
faccia
,
che
dichiara
guerra
agli
USA
che
lo
hanno
buttato
fuori
,
che
immagina
un
sequestro
che
non
c
'
è
mai
stato
,
che
denuncia
i
critici
che
non
lo
capiscono
,
che
si
fa
incatenare
nella
Galleria
di
Milano
,
che
chiama
i
fotografi
per
farsi
ammirare
mentre
imbianca
i
muri
sudici
dell
'
asilo
di
sua
figlia
è
il
teste
chiave
.
I
giudici
di
Napoli
spiegano
poi
agli
avvocati
Dall
'
Ora
,
Della
Valle
e
Coppola
,
tutori
di
Tortora
,
che
le
chiacchiere
di
Margutti
costituiscono
«
un
importante
risultato
sul
piano
probatorio
»
.
Signor
Presidente
,
chi
risarcirà
Tortora
di
queste
calunnie
?
Col
pappagallo
,
dovrà
forse
andare
a
distribuire
i
pianeti
della
fortuna
?
Del
resto
,
visto
come
va
la
giustizia
,
a
chi
si
dovrebbe
affidare
?
StampaQuotidiana ,
Grenada
,
31
.
Si
parte
in
aereo
per
Grenada
,
con
la
US
Air
Force
,
spintonando
illustri
giornalisti
venuti
da
tutto
il
mondo
,
dopo
aver
bivaccato
durante
la
notte
in
un
capannone
del
vecchio
aeroporto
di
Barbados
.
Ormai
da
anni
il
vecchio
circo
Barnum
che
accompagna
e
segue
guerre
e
colpi
di
Stato
si
è
gonfiato
a
proporzioni
ipertrofiche
,
ed
è
diventato
sempre
più
rissoso
e
ansioso
:
scene
invereconde
di
anziani
professionisti
che
pietiscono
informazioni
al
passaggio
degli
ufficiali
,
altrimenti
saranno
licenziati
;
maledizioni
lanciate
contro
le
onnipotenti
catene
televisive
americane
,
che
riescono
con
protervia
ad
essere
sempre
le
prime
.
L
'
altro
ieri
mattina
qualche
decina
di
ragazzi
vestiti
da
«
avventurieri
»
,
come
il
baffone
rosso
della
pubblicità
delle
Marlboro
,
si
strappavano
di
mano
i
moduli
che
le
forze
armate
USA
distribuivano
per
la
richiesta
del
volo
a
Grenada
,
sottoscrivendo
che
viaggiavano
a
loro
rischio
e
pericolo
eccetera
.
L
'
isola
appare
dall
'
alto
assai
verde
e
montuosa
,
con
magnifiche
spiagge
intorno
.
L
'
ufficiale
che
ci
accompagna
ne
indica
il
nord
,
dicendo
solo
«
cubani
»
:
la
resistenza
,
anche
se
sporadica
,
continua
tra
le
macchie
e
nelle
colline
.
Si
parla
anche
di
un
contingente
di
cubani
e
di
grenadesi
scoperto
a
Carrincou
,
un
isolotto
subito
a
nord
di
Grenada
.
Si
atterra
quasi
sul
mare
,
senza
difficoltà
,
tra
gli
Hercules
che
continuano
a
rollare
,
camion
,
jeep
che
attraversano
la
pista
in
tutte
le
direzioni
,
casse
di
materiali
diversi
e
di
viveri
.
Poi
,
dopo
alcune
istruzioni
,
avvertimenti
sull
'
ora
del
ritorno
,
proibizioni
di
comprare
o
vendere
alcunché
,
inizia
il
giro
guidato
.
«
Tra
un
paio
di
giorni
sarete
liberi
di
andare
dove
volete
,
anche
nel
centro
di
St
.
George
»
dice
l
'
ufficiale
al
seguito
.
L
'
air
terminal
dell
'
aeroporto
di
Point
Salines
è
ancora
in
costruzione
:
ci
sono
le
impalcature
di
legno
,
le
gru
e
le
impastatrici
di
cemento
abbandonate
.
Un
altro
ufficiale
dell
'
aviazione
spiega
che
la
pista
lunga
più
di
tremila
metri
avrebbe
permesso
ai
Mig-23
da
combattimento
,
ai
trasporti
sovietici
di
atterrare
senza
difficoltà
:
«
come
a
dire
:
il
Venezuela
sotto
la
minaccia
dei
Mig
»
.
Un
giornalista
inglese
chiede
,
con
aria
sorniona
,
di
vedere
gli
hangar
blindati
,
i
magazzini
sotterranei
,
come
ci
sono
in
tutti
gli
aeroporti
militari
.
C
'
è
un
momento
di
imbarazzo
,
l
'
ufficiale
si
scusa
,
non
sa
:
«
Probabilmente
»
dice
«
li
avrebbero
costruiti
più
tardi
»
.
Si
passeggia
nei
dintorni
dell
'
aeroporto
.
Dietro
mucchi
di
terra
scavata
,
sormontati
dalla
bandiera
americana
,
è
sdraiata
una
pattuglia
di
paracadutisti
.
La
metà
sono
di
colore
,
ragazzoni
immensi
,
dall
'
aria
parecchio
dura
,
che
non
si
staccano
mai
un
momento
dai
fucili
mitragliatori
.
Non
hanno
l
'
autorizzazione
a
parlare
.
Le
poche
frasi
ripetono
concetti
già
sentiti
:
i
cubani
hanno
combattuto
magnificamente
,
non
ci
aspettavamo
una
simile
resistenza
.
Naturalmente
gli
americani
hanno
vinto
:
ma
sono
dovuti
sbarcare
in
cinquemila
appoggiati
dai
cacciabombardieri
,
dagli
elicotteri
,
dalle
navi
,
contro
qualche
centinaio
di
cubani
e
pochi
soldati
grenadesi
(
come
ha
ammesso
lo
stesso
comando
americano
)
.
I
marines
,
i
rangers
e
i
paracadutisti
sono
truppe
scelte
,
battaglioni
-
crack
,
ma
l
'
invasione
di
Grenada
non
sembra
essere
stata
un
test
sufficiente
per
le
loro
capacità
.
Secondo
il
«
Miami
Herald
»
,
alcuni
di
loro
non
sapevano
bene
contro
chi
andavano
a
combattere
:
un
comandante
di
pattuglia
,
incontrato
da
un
reporter
sbarcato
avventurosamente
nell
'
isola
durante
le
prime
ore
dell
'
invasione
,
gli
ha
chiesto
se
sapesse
cosa
stava
succedendo
:
«
L
'
esercito
dei
Caraibi
è
con
noi
o
contro
di
noi
?
»
.
Sembra
che
le
carte
in
dotazione
fossero
fotocopie
di
mappe
turistiche
.
I
prigionieri
cubani
sono
sempre
sotto
il
sole
,
circondati
da
filo
spinato
.
Dormono
nelle
baracche
vicino
:
dovrebbero
essere
trasportati
al
più
presto
a
Cuba
in
nave
.
Alcuni
fumano
ostentatamente
,
con
piacere
,
con
calma
,
grossi
sigari
,
come
ci
avevano
detto
,
il
cappello
di
paglia
.
Un
poliziotto
di
Barbados
,
di
guardia
insieme
con
un
marine
,
racconta
con
un
sorriso
che
non
è
che
i
cubani
abbiano
una
riserva
infinita
di
sigari
.
Fumano
solo
quando
arrivano
i
giornalisti
.
Sembra
che
ci
si
sia
messi
quasi
d
'
accordo
sul
numero
degli
uomini
di
Fidel
Castro
presenti
nell
'
isola
.
Non
sono
1100
,
come
aveva
dichiarato
due
giorni
fa
con
sicurezza
l
'
ammiraglio
a
tre
stelle
Joseph
Metcalf
III
,
comandante
delle
forze
americane
a
Grenada
.
La
cifra
approssimativa
,
tra
i
sette
e
gli
ottocento
,
è
molto
vicina
a
quella
fatta
dall
'
ambasciatore
cubano
a
Barbados
.
Prima
di
partire
per
Grenada
,
era
arrivata
la
notizia
della
cattura
di
Hudson
Austin
,
il
capo
del
consiglio
militare
rivoluzionario
,
ritenuto
il
mandante
dell
'
assassinio
di
Maurice
Bishop
.
Sembra
che
abbia
continuato
a
combattere
per
alcuni
giorni
dopo
l
'
invasione
,
spalleggiato
da
cubani
e
dalla
sua
guardia
grenadese
.
Il
vice
primo
ministro
Bernard
Coard
,
il
marxista
inflessibile
,
molto
legato
a
Castro
,
la
mente
del
complotto
,
era
stato
preso
sabato
insieme
con
la
moglie
.
Lo
hanno
trovato
nascosto
in
una
casa
su
una
collina
vicino
alla
residenza
del
governatore
generale
:
secondo
informazioni
ricevute
da
fonti
locali
,
un
battaglione
USA
ha
circondato
il
gruppo
di
Coard
in
un
edificio
governativo
ad
est
della
capitale
e
ne
ha
accettato
la
resa
.
Il
gruppo
non
ha
fatto
alcuna
resistenza
.
Grenadesi
locali
hanno
inoltre
indicato
alle
forze
USA
enormi
depositi
clandestini
di
armi
e
munizioni
di
piccolo
calibro
,
immagazzinate
in
case
private
e
depositi
presso
la
capitale
.
Ci
mostrano
i
magazzini
traboccanti
di
armi
:
decine
di
casse
di
proiettili
,
armi
anticarro
,
mortai
cinesi
,
lanciarazzi
.
L
'
ambasciatore
di
Grenada
alle
Nazioni
Unite
prima
del
colpo
di
Stato
ha
dichiarato
di
sospettare
che
le
munizioni
e
le
armi
siano
state
piazzate
là
dagli
invasori
.
Ma
com
'
è
possibile
che
gli
USA
abbiano
sempre
a
disposizione
un
arsenale
militare
straniero
da
rimorchiarsi
dietro
ad
ogni
invasione
e
da
sistemare
alla
bisogna
?
Quasi
tutte
le
armi
e
munizioni
sono
infatti
cubane
,
cecoslovacche
,
russe
,
cinesi
.
Sui
documenti
top
-
secret
ritrovati
si
hanno
notizie
più
a
Washington
che
a
Grenada
:
si
assicura
molto
genericamente
,
ma
con
enfasi
,
di
un
accordo
tra
Grenada
e
l
'
URSS
per
il
rifornimento
di
armi
attraverso
Cuba
.
Non
c
'
è
molta
gente
in
giro
,
e
pochi
sono
quindi
disposti
a
parlare
.
Una
donna
racconta
tra
i
singhiozzi
gli
attacchi
degli
aerei
,
i
bombardamenti
.
Un
inglese
residente
a
Grenada
spiega
che
c
'
erano
già
fratture
,
nei
giorni
immediatamente
prima
l
'
invasione
,
tra
l
'
esercito
rivoluzionario
del
popolo
,
controllato
da
Hudson
Austin
,
e
la
milizia
,
circa
diecimila
lavoratori
con
addestramento
sommario
,
che
adoravano
Bishop
.
Sembra
che
molti
soldati
dell
'
esercito
rivoluzionario
abbiano
gettato
nei
campi
le
uniformi
al
primo
sbarco
dei
marines
,
sistemandosi
in
abiti
civili
.
I
più
volenterosi
tra
gli
intervistati
,
che
circolano
nella
zona
dell
'
aeroporto
senza
fare
nulla
,
sono
tutti
pro
americani
.
«
Vi
è
stata
una
felicità
alla
notizia
dello
sbarco
»
dice
uno
,
«
sapevamo
quello
che
era
successo
a
Bishop
,
sapevamo
dove
stavamo
andando
.
»
Un
altro
racconta
che
le
prime
pattuglie
dei
marines
,
sbarcati
nel
nord
di
Grenada
,
sono
stati
accolti
con
frutta
,
acqua
,
vino
e
manifestazioni
di
giubilo
:
«
Un
ufficiale
americano
mi
ha
detto
che
sono
stati
gli
abitanti
di
Grenada
ad
informarli
sulle
postazioni
dei
cubani
e
dell
'
esercito
.
Una
donna
lo
ha
portato
sul
posto
dove
c
'
era
un
cannone
anticarro
»
.
Dichiarazioni
che
contrastano
con
quelle
fatte
ad
altri
giornalisti
e
molto
difficili
,
per
ora
,
da
verificare
:
è
tardi
e
l
'
aereo
che
torna
a
Barbados
ci
aspetta
.
StampaQuotidiana ,
Torino
.
«
Tangenti
?
Be
'
,
io
le
chiamerei
provvigioni
,
nei
miei
interrogatori
ho
sempre
usato
questo
termine
.
Comunque
»
concede
Zampini
,
assaporando
il
sigaretto
«
diciamo
pure
tangenti
.
Certo
che
ne
ho
pagate
,
per
qualche
miliardo
.
Vuole
una
cifra
meno
vaga
?
Più
di
uno
,
meno
di
cinque
.
Se
non
le
avessi
pagate
,
le
mie
possibilità
di
lavoro
si
sarebbero
ridotte
quasi
a
zero
.
La
tangente
,
del
resto
,
è
un
investimento
che
frutta
il
cento
per
cento
l
'
anno
.
Ed
è
naturale
che
sia
così
:
i
politici
sono
gente
attivissima
,
il
loro
mestiere
è
fare
affari
,
la
politica
è
appena
un
corollario
...
»
.
Adriano
Zampini
,
34
anni
,
geometra
,
martella
le
parole
con
calma
.
È
l
'
«
Alpino
»
dello
scandalo
torinese
,
l
'
uomo
nero
che
ha
fatto
crollare
la
giunta
rossa
,
l
'
imputato
-
chiave
di
un
processo
che
fra
pochi
mesi
scoperchierà
molte
pentole
subalpine
.
Con
lui
in
aula
ci
saranno
i
presunti
corrotti
:
un
mazzo
di
politici
socialisti
,
democristiani
,
comunisti
:
«
Se
provo
astio
per
loro
?
Ma
no
!
Sono
tutti
degli
amici
.
Li
stimo
come
li
stimavo
prima
.
Oggi
fanno
il
possibile
per
salvarsi
.
E
per
salvarsi
dicono
che
sono
un
millantatore
...
»
.
E
sorride
.
Già
,
ma
come
sorride
Zampini
?
Ha
un
sorriso
da
giovane
lupo
,
in
un
viso
forte
,
con
due
occhi
azzurro
freddo
,
e
una
barba
da
vero
alpino
.
È
un
tipo
alto
,
ben
squadrato
,
l
'
aria
terribilmente
sicura
di
uno
che
s
'
è
conquistato
tutto
da
solo
,
cominciando
dal
niente
.
Un
«
niente
»
molto
lontano
dal
belmondo
dei
rampanti
di
Torino
.
La
scena
iniziale
è
la
Valpolicella
,
provincia
di
Verona
.
Ambiente
popolare
,
famiglia
operaia
-
contadina
.
Papà
Zampini
fa
il
caporeparto
in
una
fabbrica
di
casseforti
.
Un
uomo
che
lavora
duro
e
morirà
a
56
anni
di
cancro
al
polmone
,
contratto
nel
verniciar
forzieri
per
i
soldi
degli
altri
.
Preso
il
diploma
,
anche
l
'
Adriano
entra
in
ditta
.
È
sveglio
,
ha
grande
iniziativa
e
una
memoria
da
computer
.
Dopo
un
po
'
è
responsabile
del
servizio
assistenza
per
gli
impianti
di
sicurezza
:
«
Che
bella
squadra
eravamo
!
Siamo
stati
i
primi
ad
usare
la
lancia
termica
.
In
dieci
secondi
sapevamo
aprire
una
cassaforte
corazzata
.
Adesso
però
»
mi
avverte
sornione
«
non
so
più
farlo
,
lo
scriva
...
»
.
Un
giorno
arriva
l
'
amore
.
No
,
non
è
un
dettaglio
privato
.
L
'
amore
,
infatti
,
è
una
maestrina
piemontese
di
Villareggia
,
e
sarà
questo
incontro
a
portar
Zampini
verso
la
fatal
Torino
.
Una
Torino
che
da
lontano
già
conosce
,
per
via
del
servizio
di
leva
alla
Scuola
militare
alpina
di
Aosta
,
dove
ha
preso
il
grado
di
tenente
.
Così
,
quando
viene
il
tempo
delle
nozze
,
la
scelta
è
fatta
:
via
da
Verona
,
si
va
ad
ovest
,
verso
la
città
del
capitale
e
del
lavoro
.
È
il
gennaio
1973
.
A
Torino
,
il
giovane
Zampini
fa
il
rappresentante
di
mobili
per
ufficio
e
impara
subito
una
verità
:
«
Sì
,
imparo
che
vendere
è
molto
difficile
.
Prima
,
quando
aprivo
le
casseforti
,
erano
i
clienti
ad
implorarmi
:
venga
,
s
'
è
bloccato
l
'
impianto
,
dentro
ci
sono
duecento
milioni
!
Vendere
,
invece
,
era
tutt
'
altra
cosa
.
Poi
,
un
po
'
alla
volta
,
ho
capito
come
dovevo
fare
...
»
.
Mentre
l
'
Adriano
comincia
ad
annusare
il
giro
dei
politici
torinesi
,
la
sua
ditta
vince
(
«
regolarmente
!
»
)
la
gara
per
una
grossa
fornitura
alla
Regione
Piemonte
.
Incoraggiato
,
Zampini
decide
di
mettersi
in
proprio
.
Con
dieci
milioni
in
contanti
,
nell
'
ottobre
1974
,
a
25
anni
,
fonda
la
società
Juppiter
,
mobili
per
ufficio
e
attrezzature
scientifiche
.
Cinque
anni
dopo
verrà
la
Concord
,
informatica
e
centri
di
calcolo
.
Quindi
la
Programma
Immobiliare
.
Chiedo
:
e
la
Biolight
di
cui
s
'
è
tanto
parlato
?
«
Quella
non
l
'
ho
fondata
io
.
Esisteva
già
quando
ne
son
diventato
l
'
amministratore
unico
.
Importava
e
vendeva
lampade
della
Duro
-
Test
Corporation
,
del
New
Jersey
.
Sì
,
fra
i
soci
dichiarati
c
'
erano
i
fratelli
Biffi
-
Gentili
.
Ma
questi
due
io
li
conoscevo
da
molto
tempo
...
»
.
Li
conosceva
per
comune
militanza
socialista
?
«
Macché
.
Io
non
ho
mai
fatto
vita
politica
,
a
parte
qualcosina
da
studente
a
Verona
,
nello
PSIUP
.
Sì
,
lo
scriva
:
PSIUP
!
Altro
che
fascista
di
Ordine
Nuovo
!
È
stato
1'
"
Avanti
!
"
a
stampare
questa
bugia
,
e
non
ha
nemmeno
pubblicato
la
mia
rettifica
.
Così
Martelli
e
Intini
si
son
meritati
una
querela
.
Ma
non
me
la
prendo
.
Erano
i
giorni
degli
arresti
,
un
grande
marasma
,
e
poi
il
PSI
è
un
partito
che
macina
anche
i
sassi
,
un
partito
di
movimento
...
»
.
«
Dopo
il
PSIUP
niente
più
politica
»
garantisce
Zampini
.
«
Da
allora
ho
avuto
un
motto
solo
:
amico
di
ciascuno
,
fratello
di
nessuno
.
L
'
uomo
d
'
affari
dev
'
essere
così
.
Deve
andare
bene
a
tutti
.
Deve
fare
come
il
medico
,
che
conforta
e
aiuta
.
Del
resto
,
a
noi
piccoli
imprenditori
non
ci
serve
essere
impegnati
politicamente
.
Se
hai
bisogno
di
un
intervento
politico
,
basta
avere
cinque
milioni
sull
'
unghia
e
li
hai
tutti
con
te
,
pronti
a
farsi
comprare
,
anche
i
parlamentari
»
.
«
Lavorando
in
proprio
»
continua
1'«Alpino»
«
ho
scoperto
sulla
mia
pelle
che
la
strada
giusta
era
quella
di
pagare
.
E
allora
son
partito
subito
.
Prima
con
personaggi
di
minimo
cabotaggio
,
per
poi
,
a
poco
a
poco
,
salire
di
calibro
.
E
così
mi
sono
trovato
in
un
meccanismo
ben
conosciuto
da
quelli
che
devono
lavorare
con
le
tangenti
:
una
giostra
dal
moto
perpetuo
,
che
non
ti
consente
né
di
scendere
né
di
tornare
indietro
.
Devo
spiegarmi
meglio
?
Bene
,
da
una
parte
c
'
è
l
'
imprenditore
che
ha
la
giusta
bramosia
di
buoni
affari
.
Dall
'
altra
ci
sono
i
politici
con
un
appetito
tremendo
,
che
chiedono
e
chiedono
,
e
domandano
anche
anticipi
sugli
affari
futuri
.
Tu
paghi
,
una
volta
,
due
,
tre
.
Poi
,
a
forza
di
pagare
,
ti
trovi
impegnato
al
di
là
del
ragionevole
,
corri
dei
rischi
,
ti
sveni
,
e
così
cerchi
sempre
nuovi
affari
con
l
'
aiuto
di
quei
politici
che
hai
pagato
la
prima
volta
»
.
Davvero
una
brutta
giostra
,
Zampini
...
L
'
«
Alpino
»
sospira
:
«
Sì
,
ci
si
trova
agganciati
senza
scampo
.
Il
politico
è
come
un
drogato
in
crisi
d
'
astinenza
,
ha
bisogno
sempre
di
soldi
,
e
non
si
disintossica
se
non
quando
l
'
arrestano
.
Tu
imprenditore
devi
dargli
la
dose
,
e
non
puoi
abbandonarlo
.
Perché
,
se
l
'
abbandoni
,
perdi
una
montagna
di
soldi
e
poi
ti
fai
un
brutto
nome
sulla
piazza
dei
partiti
,
una
piazza
importante
!
»
.
È
grazie
a
questo
girone
infernale
che
l
'
attività
di
Zampini
cresce
.
«
All
'
inizio
,
però
,
facevo
solo
operazioncine
.
Ero
giovane
,
immigrato
veneto
,
avevo
una
piccola
azienda
.
Quindi
ho
impiegato
qualche
anno
ad
arrivare
nelle
vere
anticamere
delle
stanze
dei
bottoni
.
Poi
,
mentre
campavo
con
i
miei
lavori
normali
,
finalmente
ho
incontrato
gli
amici
giusti
.
E
mi
son
reso
conto
anch
'
io
,
come
tanti
in
Italia
,
di
un
'
altra
verità
:
i
grossi
affari
stanno
là
dove
c
'
è
il
denaro
pubblico
e
dove
ci
sono
politici
che
lo
gestiscono
senza
responsabilità
.
Gli
amici
che
avevo
scoperto
fra
il
1979
e
l'80
erano
così
.
Avevano
in
mano
Torino
.
Rispetto
a
loro
,
io
ero
soltanto
un
satellite
.
E
allora
ho
provato
a
diventare
una
stella
.
Non
ci
sono
riuscito
.
Ho
cominciato
a
volare
alto
,
ma
ho
fatto
la
fine
di
Icaro
»
dice
Zampini
,
con
un
sorriso
mesto
,
«
sì
io
sono
un
piccolo
Icaro
le
cui
ali
di
cera
sono
state
bruciate
da
un
sole
:
il
procuratore
Caccia
.
»
Finalmente
un
nome
pulito
:
Bruno
Caccia
,
magistrato
,
capo
della
Procura
di
Torino
,
poi
assassinato
da
mano
ignota
.
L
'
«
Alpino
»
ne
parla
con
ammirazione
:
«
Come
dice
quel
personaggio
di
Sciascia
?
Ci
sono
gli
uomini
,
i
mezzi
uomini
,
i
quaraquaquà
.
Be
'
,
cari
miei
,
Caccia
quello
sì
che
era
un
uomo
!
Ha
assistito
a
due
miei
interrogatori
,
alle
undici
di
sera
.
Mi
ha
fatto
pochissime
domande
,
ma
tutte
centrate
,
centratissime
!
Torniamo
al
mio
volo
.
Grazie
agli
amici
,
le
mie
operazioni
si
sono
fatte
più
grosse
.
E
io
pagavo
,
pagavo
.
Ma
non
era
ancora
niente
rispetto
a
quello
che
avrebbe
dovuto
svolgersi
nel
1983
:
affari
da
decine
di
miliardi
.
E
invece
,
zac
!
,
è
caduta
la
mannaia
dei
magistrati
.
Hanno
avuto
fortuna
,
e
così
sono
intervenuti
al
momento
giusto
.
Ma
avevano
anche
messo
in
campo
la
squadra
vincente
»
.
Che
vuol
dire
,
Zampini
?
«
Vede
,
io
ho
fatto
l
'
arbitro
di
calcio
.
Prima
della
partita
,
vedendo
entrare
le
squadre
,
tu
capisci
già
da
tante
cose
chi
delle
due
ha
la
mentalità
vincente
.
La
squadra
della
Procura
era
quella
giusta
:
giovani
,
preparati
,
con
la
mentalità
di
chi
vuoi
stroncare
un
certo
giro
.
Pensi
che
quando
son
venuti
in
casa
a
perquisirmi
,
alle
cinque
di
mattina
,
non
ho
nemmeno
capito
che
quello
che
li
comandava
era
un
magistrato
.
Pensavo
all
'
Intendenza
di
Finanza
!
Ho
persino
detto
:
guardate
che
il
condono
l
'
ho
fatto
!
Poi
ho
chiesto
:
posso
telefonare
al
vicesindaco
Biffi
per
disdire
un
appuntamento
?
E
quel
giudice
:
ma
prego
,
faccia
pure
!
»
.
È
il
2
marzo
1983
.
Finita
la
perquisizione
,
l
'
«
Alpino
»
,
ancora
libero
,
va
alla
caserma
dei
carabinieri
di
Venaria
sulla
sua
Alfetta
con
radiotelefono
.
Solo
alle
cinque
del
pomeriggio
s
'
accorge
d
'
avere
le
ali
bruciate
.
Lo
capisce
leggendo
l
'
ordine
di
cattura
:
«
Sette
pagine
tremende
,
firmate
dal
dottor
Marzachì
,
con
tutti
i
nomi
.
Allora
ho
deciso
di
parlare
.
Qualche
giornale
ha
poi
scritto
che
sono
un
pentito
.
Balle
!
Io
non
mi
son
pentito
di
niente
.
Ho
pagato
le
tangenti
perché
questo
è
il
sistema
e
io
dovevo
lavorare
!
»
.
Come
mai
ha
detto
tutto
?
«
Io
ho
una
mentalità
economica
.
A
Venaria
ho
capito
che
mi
erano
sfumati
affari
per
dieci
miliardi
.
Dunque
,
perso
per
perso
,
tanto
valeva
difendermi
raccontando
quel
che
sapevo
.
Era
l
'
unico
comportamento
intelligente
,
me
l
'
ha
consigliato
anche
il
mio
difensore
,
Graziano
Masselli
.
E
poi
c
'
era
un
'
altra
ragione
.
Se
fossi
stato
un
uomo
di
partito
,
qualche
grosso
calibro
pronto
a
soccorrermi
l
'
avrei
trovato
.
Ma
ero
l
'
uomo
di
nessuno
,
e
quindi
nessuno
mi
avrebbe
difeso
.
Così
,
in
quaranta
giorni
d
'
interrogatori
,
ho
scoperto
tutti
i
sepolcri
»
.
Avendoli
scoperti
,
oggi
Zampini
è
l
'
uomo
giusto
per
qualche
domandina
sulle
tecniche
e
i
misteri
dell
'
Italia
tangentizia
.
Lui
sorride
:
«
Quali
misteri
?
È
un
sistema
vecchio
come
il
cucco
,
solo
che
adesso
si
ha
il
coraggio
di
parlarne
.
Ed
è
un
sistema
diffuso
anche
nell
'
ambiente
privato
.
Su
cento
lavori
che
prendi
,
per
novanta
devi
dare
la
stecca
.
I
politici
la
vogliono
quasi
tutti
.
Ma
li
capisco
.
Se
uno
spende
duecento
milioni
per
diventar
deputato
,
si
deve
poi
accontentare
d
'
andar
su
e
giù
da
casa
a
Roma
per
fare
il
peone
?
Certo
,
per
qualcuno
l
'
ideologia
è
ancora
importante
.
Ma
gli
altri
stanno
a
Roma
per
far
rendere
i
milioni
spesi
o
,
come
minimo
,
per
recuperarli
!
»
.
Chi
lavora
con
gli
enti
pubblici
può
fare
a
meno
di
pagar
tangenti
?
«
Secondo
me
,
no
.
Una
gara
la
puoi
anche
vincere
in
modo
pulito
.
Però
poi
scopri
che
l
'
aggiornamento
prezzi
non
viene
,
che
gli
stati
d
'
avanzamento
lavori
ti
son
pagati
a
uno
o
due
anni
,
che
delle
tue
forniture
poche
vanno
bene
.
E
allora
ti
devi
decidere
:
o
non
partecipi
più
a
nessun
appalto
,
o
cominci
anche
tu
a
pagare
i
funzionari
e
soprattutto
i
politici
che
li
coprono
»
.
Ma
gli
imprenditori
che
vogliono
vendere
beni
o
servizi
allo
Stato
e
agli
enti
locali
,
la
pagano
davvero
tutti
la
tangente
?
Zampini
non
ha
dubbi
:
«
Tutti
quelli
che
conosco
io
sì
»
.
E
che
cosa
succede
a
chi
non
vuol
pagare
?
«
Deve
cambiar
settore
d
'
attività
,
se
no
distrugge
la
propria
azienda
»
.
Ed
è
vero
che
le
tangenti
oggi
vengono
richieste
anche
sugli
atti
dovuti
,
e
non
più
soltanto
su
quelli
discrezionali
?
L
'
«
Alpino
»
sorride
ironico
:
«
Ma
in
che
mondo
vive
lei
?
È
soprattutto
sugli
atti
dovuti
che
pretendono
la
tangente
,
perché
è
più
facile
nasconderla
.
L
'
amministratore
pubblico
potrà
sempre
difendersi
dicendo
:
io
quella
decisione
l
'
ho
presa
perché
era
obbligatoria
...
»
.
Come
viene
pagata
la
tangente
?
«
In
cash
,
in
contanti
.
Questo
sì
che
è
un
guaio
!
Lei
sa
che
negli
istituti
di
credito
,
se
uno
ritira
banconote
per
più
di
venti
milioni
,
c
'
è
un
controllo
.
E
allora
diventa
una
via
crucis
fare
il
giro
di
tante
banche
.
Quelli
che
incassano
hanno
il
problema
rovesciato
:
suddividere
i
soldi
neri
in
piccole
somme
,
affidarle
a
portaborse
che
girino
anche
loro
le
banche
a
trasformare
il
denaro
in
tanti
assegni
circolari
»
.
E
i
più
affamati
chi
sono
?
Zampini
mette
le
mani
avanti
:
«
Sigle
di
partito
io
non
ne
faccio
!
Le
risponderò
così
:
i
più
voraci
sono
i
politici
giovani
.
I
meno
affamati
?
Quelli
che
fanno
politica
in
sede
strettamente
locale
,
gente
più
anziana
,
che
ha
cominciato
la
militanza
subito
dopo
la
guerra
,
quando
l
'
Italia
scopriva
la
democrazia
.
Per
esempio
,
il
capostazione
socialista
che
è
stato
nella
Resistenza
.
O
il
politico
che
era
operaio
quando
ti
licenziavano
se
avevi
la
tessera
del
sindacato
.
Questa
gente
di
stecche
non
ne
chiede
.
Però
sono
persone
che
operano
a
livelli
amministrativi
molto
bassi
»
.
«
Appena
più
in
su
»
giura
Zampini
«
non
c
'
è
scampo
.
L
'
entità
della
tangente
varia
a
seconda
dell
'
importanza
dell
'
incarico
e
del
rischio
che
il
politico
corre
.
Ma
a
parte
queste
differenze
,
la
prendono
tutti
.
E
sa
perché
?
Perché
a
quelli
della
politica
gli
frega
poco
o
niente
,
e
meno
ancora
degli
elettori
.
Hanno
una
sola
idea
:
arrivare
ad
una
certa
carica
per
farla
fruttare
»
.
Ma
sono
proprio
tutti
così
?
I
comunisti
,
per
esempio
,
non
sono
diversi
?
«
Non
sono
assolutamente
diversi
.
Però
sono
molto
più
precisi
.
Se
lei
sgarra
sui
tempi
o
sulla
quantità
del
versamento
,
li
perde
e
non
li
ritrova
più
.
Ma
se
prendono
un
impegno
,
non
ti
bidonano
,
vanno
fino
in
fondo
.
Insomma
,
sono
più
professionali
.
E
sanno
anche
scegliersi
gli
affari
.
Loro
non
si
vendono
a
cani
e
porci
...
»
.
La
tangente
finanzia
il
partito
o
ingrassa
il
politico
che
la
riceve
?
«
Finanzia
i
patrimoni
personali
dei
politici
e
nient
'
altro
»
.
Vale
anche
per
i
comunisti
?
«
Rispondo
di
sì
,
ma
con
beneficio
d
'
inventario
,
perché
bisogna
vedere
caso
per
caso
.
Secondo
me
,
anche
molti
comunisti
ormai
fanno
la
cresta
.
Una
prima
volta
gli
dai
cento
e
loro
passano
tutto
al
partito
.
La
seconda
volta
gli
dai
cinquanta
e
se
ne
trattengono
venti
.
Poi
gettano
la
colpa
su
di
te
,
dicendo
alla
casa
madre
:
non
ha
versato
tutto
»
.
Fare
il
politico
,
dunque
,
è
un
mestiere
che
rende
?
Zampini
torna
a
sorridere
da
lupo
:
«
Il
politico
italiano
è
un
professionista
molto
ricco
.
E
ha
un
unico
problema
:
allenarsi
a
non
far
apparire
i
suoi
soldi
.
Allora
,
ecco
certe
camicie
un
po
'
lise
,
le
scarpe
consunte
,
il
vecchio
vestito
,
la
128
scassata
...
Quella
di
non
apparire
è
la
loro
sofferenza
continua
.
Si
concedono
un
unico
lusso
:
i
ristoranti
costosi
»
.
E
lei
,
Zampini
,
che
cos
'
è
:
un
disonesto
,
uno
sciocco
,
un
imprudente
?
L
'
«
Alpino
»
ci
pensa
su
:
«
Nessuna
di
queste
tre
cose
e
tutte
e
tre
insieme
.
Vuole
la
verità
?
Io
sono
come
il
novanta
per
cento
degli
imprenditori
che
lavorano
con
gli
enti
pubblici
.
Aggiungo
:
ultimamente
non
ero
io
a
cercare
i
politici
,
mi
cercavano
loro
.
Il
mio
problema
era
rinunciare
alle
proposte
d
'
affari
che
mi
facevano
!
»
.
Si
considera
più
onesto
o
meno
onesto
di
loro
?
Di
colpo
,
Zampini
diventa
aspro
:
«
Chi
ha
un
'
azienda
non
può
badare
a
certi
princìpi
,
deve
pensare
solo
alla
sua
attività
.
Ma
i
politici
?
Loro
no
.
Tocca
a
loro
,
non
a
me
,
badare
alla
moralità
pubblica
.
E
poi
,
io
ero
obbligato
a
versare
.
È
tutto
un
sistema
che
campa
sulla
corruzione
.
Forse
finirà
quando
i
partiti
s
'
accorgeranno
che
,
rubando
,
si
arriva
ai
crolli
elettorali
,
e
i
crolli
fanno
saltare
le
carriere
.
Ma
ci
vorranno
molti
anni
»
.
In
attesa
di
questo
giusto
finale
,
avremo
l
'
intermezzo
del
processo
di
Torino
.
Zampini
mormora
:
«
Io
sono
qui
che
l
'
aspetto
.
E
qualche
volta
ho
paura
.
Non
per
oggi
,
ma
per
l
'
avvenire
.
Anche
per
i
politici
la
vendetta
è
un
piatto
da
consumare
freddo
.
Ma
poi
mi
do
coraggio
e
attendo
di
vedere
gli
amici
in
quell
'
aula
di
tribunale
.
Le
ho
detto
che
ho
fatto
l
'
arbitro
,
no
?
Ho
imparato
a
non
tremare
quando
duemila
persone
mi
gridano
contro
.
E
anche
a
non
reagire
se
qualcuno
mi
sputa
in
faccia
...
»
.
StampaQuotidiana ,
Milano
,
dicembre
.
Qui
Milano
network
,
la
«
televisiun
»
,
privata
e
pubblica
,
reti
uno
,
quattro
,
cinque
,
Euro
TV
,
Rete
A
e
consideriamo
pure
a
parte
Antenna
3
,
il
cui
patron
,
Renzo
Villa
,
è
anche
il
conduttore
dello
show
festivo
,
tanto
per
capire
l
'
ambiente
,
un
po
'
saloon
.
Fin
che
la
dura
,
la
più
ricca
,
lussuosa
,
dissipatrice
televisione
del
creato
,
capace
da
sola
di
ingoiare
i
due
quinti
della
produzione
americana
e
di
consumare
in
un
giorno
tanti
film
,
telefilm
e
serial
quanto
gli
USA
o
la
Germania
in
una
settimana
.
Per
via
,
si
sa
,
della
sfida
infernale
delle
private
fra
di
loro
e
con
la
RAI
che
essendo
femmina
virtuosa
si
è
trovata
con
la
gonna
alzata
dalla
concorrenza
a
mostrar
natiche
un
po
'
rugose
e
biancheria
rattoppata
.
Reti
di
un
solo
proprietario
contro
reti
di
affiliati
,
come
i
contadini
contro
i
mandriani
del
West
,
per
disputarsi
l
'
immensa
prateria
televisiva
,
le
grasse
mandrie
pubblicitarie
da
condurre
al
santo
macello
,
con
lotta
all
'
ultimo
sangue
,
ossessiva
,
grottesca
per
la
audience
,
l
'
ascolto
pagato
con
cifre
enormi
,
non
sai
mai
se
autentiche
o
gonfiate
:
programmi
per
500
miliardi
e
2000
titoli
nei
magazzini
di
Canale
5
e
di
Rete
4
,
Dallas
contro
Dynasty
,
quanto
a
dire
serial
da
un
miliardo
a
puntata
,
per
la
produzione
,
comperati
prima
a
24.000
dollari
a
puntata
e
poi
,
a
forza
di
rilanci
,
a
100.000
.
E
dietro
a
valanga
Flamingo
road
,
Falcon
crest
,
Magnum
sino
alle
vette
di
Uccelli
di
rovo
e
di
Venti
di
guerra
in
quella
euforia
,
un
po
'
irresponsabile
,
che
vi
prende
nei
casinò
o
nel
salone
delle
grida
alla
Borsa
,
dicono
due
miliardi
a
testa
per
film
come
l
'
Ufficiale
e
gentiluomo
e
Rambo
e
sicuramente
mezzo
miliardo
per
qualsiasi
filmetto
pornodialettal
-
comico
.
Ma
chi
si
ferma
davanti
all
'
ascesa
continua
della
pubblicità
?
Le
sole
private
sono
passate
dai
60
miliardi
del
'79
,
ai
144
dell'80
,
ai
255
dell'81
,
ai
467
dell'82
,
ai
720
dell'83
ai
previsti
1400
dell'84
,
con
crescita
a
raddoppio
.
Sì
,
non
sarà
tutto
oro
quello
che
luce
,
le
cifre
sono
al
lordo
,
spesso
pagate
con
«
cambio
merci
»
cucine
,
piastrelle
,
liquori
che
poi
bisogna
rivendere
e
magari
quasi
al
limite
del
codice
,
con
ristorni
,
in
nero
,
ai
titolari
di
azienda
,
se
la
vedano
poi
loro
con
i
soci
,
le
banche
,
gli
azionisti
,
e
cospicui
gratuiti
:
se
mi
paghi
cento
spot
nelle
ore
di
punta
,
te
ne
regalo
cento
nelle
altre
ore
.
Non
sarà
tutto
oro
,
ma
tanto
oro
quanto
basta
per
celebrare
,
fra
addetti
,
le
gesta
dei
pistoleros
tivù
:
«
Giuseppe
Lamastra
,
direttore
acquisti
di
Rete
4
,
ha
soffiato
a
Berlusconi
tutto
lo
stock
della
Publikompass
»
.
Due
giorni
dopo
Silvio
Berlusconi
risponde
«
bloccando
l
'
intero
pacchetto
della
Cineriz
,
ha
scelto
fra
250
film
il
meglio
,
pagandoli
ognuno
36
milioni
(
cifre
del
'79
)
contro
i
35
del
concorrente
»
.
Allora
Formenton
,
boss
di
Rete
4
,
si
fionda
in
Brasile
a
mietere
telenovelas
.
Moltiplicando
per
cento
,
per
mille
è
un
po
'
come
il
boom
dei
rotocalchi
nell
'
immediato
dopoguerra
,
con
i
tipici
sviluppi
all
'
italiana
,
la
rana
che
si
gonfia
a
rischio
di
scoppiare
.
Nessuno
ha
tempo
per
studiare
,
per
inventare
si
fa
più
presto
a
comperare
il
meglio
che
c
'
è
,
íl
direttore
che
ha
avuto
successo
,
la
testata
fortunata
,
il
genere
che
va
.
Il
bollettino
di
guerra
risuona
per
corridoi
e
uffici
.
Udite
!
Udite
!
Lillo
Tombolini
è
passato
da
Rete
uno
a
Rete
4
con
Enzo
Papelli
in
fuga
dalla
RAI
e
allora
Canale
5
ha
sparato
a
zero
sulla
Sipra
,
concessionaria
RAI
,
le
ha
rubato
Longhi
,
direttore
vendite
!
Ma
di
queste
lotte
stellari
fra
gli
staff
televisivi
il
pubblico
sa
poco
e
nulla
e
poi
non
se
ne
cura
attonito
come
è
di
fronte
ai
trasferimenti
di
Mike
(
Bongiorno
)
di
Pippo
(
Baudo
)
e
di
Corrado
.
Come
ai
tempi
eroici
dei
rotocalchi
si
torna
all
'
editore
leggendario
,
al
padre
padrone
come
furono
l
'
Angelo
Rízzoli
e
l
'
Arnoldo
Mondadori
,
al
boss
duro
-
fraterno
,
capitalista
ma
amico
del
fattorino
,
tecnico
,
contabile
,
grafico
,
inventore
,
esperto
in
tette
da
copertina
,
simpatico
anche
nelle
sue
«
ire
funeste
»
,
il
factotum
che
attraversa
le
aziende
in
ogni
direzione
per
provvedere
a
tutto
,
per
tenere
assieme
questo
mondo
nuovo
che
sembra
sempre
sul
punto
di
sfasciarsi
,
di
dissolversi
.
Silvio
Berlusconi
è
il
padre
padrone
più
noto
,
conosciuto
anche
come
«
mister
five
»
o
«
il
ragazzo
della
via
Gluck
»
o
per
antonomasia
«
quello
che
trova
sempre
i
soldi
,
chi
sa
dove
»
fulmineo
e
onnipresente
e
vorace
come
un
Howard
Hughes
,
speriamo
per
lui
e
per
noi
un
po
'
meno
«
cabiria
»
;
o
il
Mario
Formenton
,
esitante
fra
l
'
aplomb
del
grande
editore
e
la
grinta
del
vecchio
rugbista
,
o
il
re
del
latte
Calisto
Tanzi
,
forse
il
più
temerario
dato
il
finanziamento
del
«
Globo
»
e
l
'
Alberto
Peruzzo
,
per
antonomasia
«
ma
da
dove
è
spuntato
?
»
.
E
al
loro
seguito
i
comprimari
e
le
macchinette
,
i
self
made
man
e
i
portaborracce
,
i
forzuti
e
le
bionde
eroine
.
Ecco
Annamaria
Frizzi
,
veneta
,
moglie
di
industriale
e
industriale
essa
stessa
che
pianta
marito
e
azienda
per
mettersi
nella
pubblicità
con
Berlusconi
e
tirar
su
in
un
anno
,
da
sola
,
15
miliardi
.
Non
male
al
15
per
cento
di
interessenza
.
E
papà
Balini
?
Per
anni
lo
hanno
visto
fare
anticamera
nei
corridoi
della
RAI
con
la
sua
valigia
piena
di
pizze
cinematografiche
italo
-
americane
che
i
signori
di
via
Mazzini
non
degnavano
di
uno
sguardo
.
Adesso
è
miliardario
,
si
è
stabilito
a
Hollywood
e
siccome
la
cucina
locale
non
gli
va
sta
aprendo
dei
ristoranti
italiani
,
mentre
procura
serial
a
Berlusconi
che
lo
paga
con
la
metà
degli
inserti
pubblicitari
inseriti
,
come
usa
dire
alla
brianzola
«
dentro
la
pucetta
»
dentro
lo
zabaione
del
successo
.
Uno
che
ricorda
un
po
'
Lombardi
,
«
l
'
amico
degli
animali
»
della
prima
televisione
,
è
il
Rino
Tommasi
consulente
sportivo
e
americanista
,
1800
libri
sullo
sport
yankee
,
intervista
di
un
'
ora
a
Kissinger
sul
soccer
e
l
'
olimpiade
,
un
tipico
«
superstat
»
macchina
statistica
.
A
parte
mettiamo
Carlo
Freccero
trentasette
anni
,
re
dei
programmi
che
hanno
fatto
la
fortuna
di
Canale
5
e
1
,
o
meglio
dire
del
palinsesto
,
che
se
lo
cerchi
sullo
Zingarellí
trovi
«
pergamena
più
volte
grattata
e
riscritta
»
che
non
è
poi
molto
distante
dal
significato
televisivo
.
Ci
incontriamo
alla
cafeteria
di
Milano
2
,
che
sembra
di
essere
a
Santa
Monica
California
,
luci
tenui
,
olive
e
Martini
,
stangone
biondo
platino
in
attesa
della
prova
di
balletto
,
registi
che
fanno
il
baciamano
.
E
c
'
è
anche
lui
,
Carlo
Freccero
intellettuale
sessantottino
,
raffinato
,
fra
la
nostalgia
e
l
'
incubo
della
stagione
utopica
.
«
Lei
Freccero
come
ha
sfondato
?
»
«
Mi
sono
sforzato
di
capire
tre
o
quattro
cose
,
già
molte
,
no
?
La
prima
è
che
sul
prodotto
non
puoi
bluffare
,
devi
avere
il
meglio
,
dunque
muoverti
sul
mercato
americano
.
La
seconda
l
'
avevo
scoperta
in
una
mia
archeologia
delle
TV
private
degli
inizi
:
quella
loro
rivelazione
del
prato
basso
italiano
,
ignoto
ma
ricco
e
vitale
,
il
prato
di
Portobello
,
degli
spettacoli
a
premi
,
partecipati
,
della
gente
che
parte
in
pullman
dalla
provincia
per
i
suoi
pellegrinaggi
laici
,
non
più
ai
santuari
per
chieder
la
grazia
alla
Madonna
,
ma
ai
teatri
televisivi
dove
si
celebra
il
dio
denaro
.
Poi
la
RAI
,
come
punto
di
riferimento
obbligatorio
,
perché
la
RAI
vuol
dire
venti
anni
di
abitudine
,
di
appuntamenti
fissi
,
magari
anche
di
noie
famigliari
,
ma
comunque
la
televisione
.
Quando
io
sono
arrivato
nella
professione
,
le
private
avevano
già
occupato
le
ore
vuote
o
silenziose
o
noiose
della
RAI
nel
pomeriggio
e
nella
tarda
sera
.
Restava
da
conquistare
il
peak
point
,
come
lo
chiamano
,
il
massimo
ascolto
delle
8
e
30
di
sera
.
Ce
l
'
abbiamo
fatta
con
dei
programmi
omogenei
,
sempre
riferiti
all
'
immagine
dell
'
emittente
,
famigliar
-
americana
di
Canale
5
,
italiano
popolare
di
Rete
uno
,
e
sottraendo
alla
RAI
i
Mike
e
i
Corrado
,
i
portavoce
o
maieutici
del
"
prato
basso
".»
Ora
andiamo
al
ristorante
dove
si
attende
il
boss
dei
boss
,
Silvio
Berlusconi
,
che
ha
appena
finito
di
festeggiare
non
so
quale
tribù
televisiva
di
venditori
o
di
aficionados
.
«
È
vero
»
gli
chiedo
«
che
mandriani
e
contadini
del
nostro
West
televisivo
stanno
per
fare
la
pace
?
Che
andate
a
un
'
unica
concessionaria
di
pubblicità
già
chiamata
Sipra
2
,
per
dire
nuovo
monopolio
in
vista
?
»
«
Lei
crede
che
il
primo
Agnelli
o
il
primo
Pirelli
potessero
davvero
autodimensionare
le
loro
aziende
?
No
e
neppure
noi
delle
TV
private
,
anche
noi
dobbiamo
misurarci
con
il
mercato
,
con
le
risorse
,
i
quali
dicono
che
solo
gli
oligopoli
possono
sopravvivere
.
»
«
Allora
continuerete
a
gettare
miliardi
nella
fornace
?
»
«
Spero
di
no
,
spero
in
un
gentleman
agreement
,
in
una
regola
di
comportamento
.
Ma
non
dimenticate
i
nostri
meriti
:
abbiamo
creato
una
ricchezza
pubblicitaria
in
crescita
anche
negli
anni
di
crisi
»
.
Il
boss
di
Rete
4
e
della
Mondadori
,
Mario
Formenton
,
sta
invece
meditabondo
ai
suoi
laghi
Masuri
,
pardon
,
ai
laghetti
ghiacciati
di
Segrate
(
chi
sa
le
tinche
giganti
come
se
la
passano
sotto
il
pack
)
.
«
Ho
qui
una
buona
notizia
»
dice
,
«
l
'
Associazione
degli
utenti
pubblicitari
si
è
decisa
a
creare
un
istituto
statistico
credibile
.
Dobbiamo
finirla
con
questi
rilevamenti
di
parte
che
a
sommarli
fanno
più
della
popolazione
italiana
»
.
«
Ma
a
Canale
5
dicono
che
il
vero
parametro
è
quello
delle
vendite
dei
prodotti
pubblicizzati
»
.
«
Già
,
come
non
sapessimo
che
una
campagna
pubblicitaria
punta
su
una
ventina
di
media
e
che
è
impossibile
dire
chi
ha
reso
di
più
per
le
vendite
»
.
«
È
il
meter
,
dottor
Formenton
,
l
'
aggeggio
elettronico
che
misura
l
'
ascolto
di
un
apparecchio
minuto
per
minuto
?
»
.
«
Sì
,
il
meter
,
ma
lo
gestisce
la
RAI
che
si
riserva
il
segreto
delle
postazioni
e
di
certi
rilevamenti
politici
.
Se
lo
immagina
lei
cosa
capiterebbe
se
facesse
sapere
che
appena
è
apparso
il
grande
leader
la
gente
è
scappata
?
»
.
L
'
alluvione
televisiva
è
come
quelle
del
Nilo
o
del
Mississippi
:
qui
distrugge
villaggi
,
là
posa
limo
fecondo
.
Una
rivoluzione
benefica
l
'
ha
compiuta
abbattendo
lo
steccato
della
TV
pubblica
,
storico
come
quello
vaticano
.
Mettendo
fine
a
una
lunga
stagione
di
sonni
,
di
alterigie
,
di
supponenza
,
vedi
la
Sipra
che
metteva
i
clienti
in
coda
,
zitti
e
buoni
.
Così
,
il
giorno
in
cui
un
suo
funzionario
di
nome
Trainetti
ha
dovuto
salire
le
scale
di
una
agenzia
pubblicitaria
,
lo
guardavano
increduli
come
la
vergine
di
Fatima
,
apparizione
divina
,
ma
anche
un
po
'
da
prendere
per
i
fondelli
:
«
Come
andiamo
Trainetti
,
è
vero
che
non
riuscite
a
raggiungere
il
tetto
pubblicitario
?
»
.
Si
è
dovuta
dare
una
regolata
anche
la
Sacis
,
che
per
anni
ha
svolto
l
'
unico
ridicolo
compito
della
censura
e
proibiva
negli
annunci
parole
come
estro
,
perché
pare
che
così
si
dica
dei
cavalli
in
calore
,
oltre
i
tradizionali
membro
,
sega
e
,
va
sans
dire
,
«
seghetto
alternativo
»
.
Adesso
in
difesa
della
RAI
e
della
Sipra
italiane
si
levano
i
«
vespri
»
patriottici
di
Flaminio
Piccoli
e
di
Gianni
Pasquarelli
che
se
la
prendono
con
la
colonizzazione
dell
'
Italia
,
con
l
'
americanismo
trionfante
che
mortifica
«
ogni
sforzo
onesto
di
produzione
plurima
»
.
Suvvia
,
lasciamo
perdere
,
diciamo
piuttosto
,
con
l
'
ingegner
Mattucci
direttore
RAI
in
Milano
,
che
le
private
sono
passate
«
dalla
cattiva
produzione
al
buon
acquisto
»
ma
solo
all
'
acquisto
,
incapaci
per
ora
di
creare
una
industria
televisiva
in
crescita
armonica
,
produttiva
.
L
'
antiamericanismo
alla
Jack
Lang
,
ministro
mitterrandiano
,
del
tipo
vive
la
France
abbasso
les
amerlos
,
gli
imitatori
dell
'
America
,
ha
un
senso
se
lo
traduci
in
capacità
produttive
,
in
somma
di
risorse
.
Ma
siccome
le
cifre
sono
quelle
che
sono
e
gli
investimenti
televisivi
italiani
sono
di
3000
miliardi
contro
i
30.000
delle
televisioni
americane
,
siccome
a
Broadway
e
a
Hollywood
ci
sono
migliaia
di
registi
,
scenografi
,
attori
,
operatori
che
da
noi
non
ci
sono
,
comperare
bisogna
.
Certo
,
come
macchina
socialculturale
,
la
televisione
commerciale
può
spaventare
,
ha
ragione
l
'
ingegner
Mattucci
a
dire
che
essa
«
può
far
morire
e
rinascere
il
cinema
,
dominare
le
comunicazioni
di
massa
,
creare
nuove
professioni
,
rovesciare
i
rapporti
culturali
»
.
Il
boom
delle
private
ha
avuto
,
per
dire
,
effetti
massicci
nella
stampa
di
intrattenimento
sollevando
a
un
milione
e
seicentomila
copie
,
massima
tiratura
italiana
(
il
25
per
cento
dei
giornali
venduti
nei
centri
con
meno
di
cinquemila
abitanti
)
,
«
Sorrisi
e
Canzoni
»
che
segue
le
trasmissioni
,
se
non
di
tutte
le
quattrocento
antenne
italiane
di
gran
parte
,
prima
redazione
computerizzata
per
tener
memoria
e
ordine
nel
mare
di
notizie
televisive
,
mentre
crollava
a
200.000
copie
il
«
Radiocorriere
Tv
»
che
ha
pagato
la
sua
fedeltà
alla
televisione
pubblica
.
La
«
televisiun
»
ha
anche
tolto
la
puzza
sotto
il
naso
degli
editori
racé
.
Se
uno
pensa
cosa
era
lo
snobismo
della
Einaudi
al
tempo
delle
vacanze
con
Vittorini
a
Bocca
di
Magra
quando
unici
interlocutori
accettabili
sembravano
il
poeta
Sereni
e
i
letterati
toscani
dell
'
altra
sponda
,
i
Tobino
,
i
Benedetti
,
i
Cancogni
;
o
ai
ricevimenti
cattedratici
in
casa
Laterza
con
i
professori
e
signore
in
nero
e
oggi
vede
Pippo
Baudo
al
centro
del
premio
Strega
,
adulato
,
corteggiato
assieme
al
suo
dirimpettaio
televisivo
della
domenica
,
Minà
,
per
il
potere
televisivo
che
hanno
di
farti
vendere
come
niente
diecimila
copie
in
più
,
capisce
che
se
ne
è
fatta
di
strada
dalle
élites
alle
masse
.
Carlo
Freccero
che
ha
l
'
occhio
del
mestiere
mi
faceva
osservare
:
«
Ha
notato
che
Baudo
,
adesso
,
delega
a
Grillo
ed
altri
attori
le
parti
grottesche
satiriche
?
Adesso
si
riserva
quelle
del
talk
show
autorevole
,
dell
'
amabile
cerimoniere
ormai
entrato
nell
'
establishment
culturale
»
.
La
televisione
è
un
'
alluvione
di
cui
pochi
conoscono
davvero
i
possibili
sbocchi
.
Per
ora
,
i
suoi
capitani
coraggiosi
come
Berlusconi
e
Formenton
navigano
un
po
'
a
vista
,
intuiscono
le
connessioni
con
i
teatri
,
i
giornali
,
l
'
editoria
specializzata
,
la
produzione
filmistica
in
proprio
,
l
'
azionariato
popolare
,
l
'
informazione
,
ma
senza
sapere
esattamente
cosa
c
'
è
dietro
quelle
porte
aperte
o
socchiuse
.
Oggi
le
prospettive
della
televisione
italiana
privata
e
pubblica
oscillano
fra
previsioni
trionfali
e
rischi
sempre
più
grandi
.
Si
scommette
su
una
crescita
senza
fine
della
pubblicità
,
si
preferisce
non
pensare
a
cosa
accadrebbe
se
dovesse
fermarsi
.
È
in
piena
angoscia
da
futuro
incerto
la
televisione
pubblica
.
C
'
è
una
commissione
parlamentare
che
dovrebbe
varare
la
famosa
legge
per
la
televisione
che
va
interrogando
un
po
'
tutti
,
in
cerca
della
pietra
filosofale
nel
Mugnone
,
capace
di
cambiar
i
sassi
in
oro
.
Mi
confida
il
dottor
Berretta
del
sindacato
pubblicitari
:
«
Hanno
convocato
anche
noi
,
ma
che
gli
diciamo
?
Che
quattordicimila
dipendenti
e
quattromila
consulenti
sono
una
follia
?
Che
bisogna
tagliarne
almeno
i
due
terzi
?
Ma
se
continuano
ad
assumere
giornalisti
democristiani
,
comunisti
,
socialisti
raccomandati
dai
partiti
.
Gli
proponi
un
canale
sovvenzionato
dagli
abbonamenti
e
pulito
di
pubblicità
?
Proprio
noi
?
Ma
le
pare
?
Eppure
sono
nei
guai
,
riescono
a
coprire
gli
spazi
pubblicitari
vicini
al
telegiornale
della
sera
,
ma
nelle
altre
ore
hanno
il
fiato
lungo
»
.
Per
l
'
ingegner
Luigi
Mattucci
,
direttore
della
RA1
a
Milano
,
l
'
unica
soluzione
praticabile
è
quella
di
una
televisione
pubblica
assistita
,
ma
concorrenziale
:
«
Se
molliamo
la
concorrenza
pubblicitaria
e
dell
'
audience
siamo
morti
.
Non
vedo
come
riusciremo
a
sfoltire
il
personale
.
Abbiamo
bisogno
di
quattro
o
cinque
anni
di
assistenza
,
il
tempo
necessario
per
riciclare
competenze
e
funzioni
,
diventare
una
azienda
che
dà
servizi
e
fa
ricerca
come
la
SIP
,
come
l
'
ENEL
»
.
Allora
,
altri
cinque
anni
di
compromessi
?
Di
informazione
televisiva
mutilata
,
congelata
?
Dice
Freccero
:
«
C
'
è
una
sola
via
per
vincere
tutte
le
censure
e
ottenere
tutte
le
interconnessioni
.
Fare
un
'
informazione
che
abbia
una
grande
audience
.
Allora
nessuno
si
preoccuperà
che
sia
di
sinistra
o
di
destra
,
tutti
staranno
attenti
agli
indici
di
gradimento
e
ai
miliardi
di
pubblicità
»
.
StampaQuotidiana ,
Roma
.
Quanti
?
Ce
lo
domanderemo
per
un
pezzo
.
Più
che
per
i
funerali
di
Togliatti
,
questo
è
certo
.
Più
che
per
chiunque
nell
'
età
repubblicana
è
probabile
.
Chi
ha
visto
le
immagini
in
televisione
si
sarà
fatta
un
'
idea
:
Roma
si
è
dilatata
fra
le
sue
mura
e
i
suoi
Fori
per
accogliere
questo
popolo
comunista
che
sembrava
una
nazione
e
che
sotto
un
sole
tardivo
ma
implacabile
è
andata
a
dire
addio
a
Berlinguer
.
Ce
lo
diranno
meglio
ancora
le
immagini
che
su
dal
cielo
andavano
filmando
Ettore
Scola
e
Francesco
Maselli
,
dall
'
elicottero
che
ronzava
e
sibilava
,
planava
e
si
arrestava
come
una
creatura
degli
stagni
.
Forse
erano
un
milione
e
mezzo
.
Un
milione
è
certamente
un
numero
per
difetto
,
considerato
che
soltanto
fra
le
Botteghe
Oscure
e
San
Giovanni
,
prima
dei
cortei
periferici
e
senza
calcolare
la
piazza
già
gremita
,
erano
almeno
ottocentomila
.
Davanti
al
rosso
palazzo
di
Botteghe
Oscure
,
chiusa
la
camera
ardente
,
la
folla
era
stipata
fino
al
collasso
,
fitta
nelle
zone
d
'
ombra
fino
a
sembrare
un
muro
respirante
e
stravolto
nell
'
attesa
.
Alle
14.45
è
uscita
la
bara
chiara
con
il
corpo
di
Berlinguer
.
Fino
ad
un
attimo
prima
era
silenzio
.
Volti
molto
affaticati
.
Occhi
di
pianto
.
Poi
l
'
applauso
come
un
uragano
.
I
bambini
in
braccio
,
sulle
spalle
.
Urlano
«
Enrico
»
.
Lo
ritmano
.
Lo
ripetono
a
triplette
-
«
Enrico
-
Enrico
-
Enrico
»
-
sempre
più
veloci
.
Si
levano
i
pugni
.
Partono
sei
o
sette
tentativi
di
intonare
Bandiera
rossa
che
si
sommergono
l
'
un
l
'
altro
su
diverse
tonalità
.
Perentoria
si
impone
la
marcia
funebre
di
Chopin
numero
uno
,
diretta
dallo
stesso
maestro
Franco
Castellani
che
la
suonò
vent
'
anni
fa
per
i
funerali
di
Togliatti
.
Chissà
se
si
farà
un
altro
quadro
gigantesco
per
questi
funerali
.
Proviamo
a
immaginarlo
,
dipinto
così
come
lo
abbiamo
visto
oggi
vivo
:
in
prima
fila
,
dietro
il
disadorno
furgone
nero
,
i
familiari
di
Enrico
Berlinguer
,
di
cui
non
si
cesserà
di
lodare
la
compostezza
e
quella
impensabile
misura
di
partecipazione
e
separazione
dal
lutto
pubblico
,
di
partito
,
politico
,
corale
.
Non
sarà
facile
dipingerli
senza
forzarne
i
tratti
.
E
poi
,
a
qualche
metro
,
Nilde
Jotti
con
un
foulard
celeste
per
ripararsi
dal
sole
che
arde
i
capelli
di
tutti
,
Giancarlo
Pajetta
e
Napolitano
col
berretto
in
testa
,
Pietro
Ingrao
,
Reichlin
,
Occhetto
che
in
questi
giorni
ha
retto
il
peso
organizzativo
del
presidio
di
Botteghe
Oscure
,
Tortorella
,
Pecchioli
sempre
più
diafano
ed
eretto
nel
suo
dolore
personale
,
il
sindaco
di
Roma
Vetere
,
Novelli
.
Poi
c
'
era
un
cordone
d
'
ordine
terribile
,
che
sgomitava
e
chiudeva
senza
pietà
.
Un
servizio
di
contenimento
della
folla
efficiente
,
duro
,
concitato
,
sicuramente
necessario
,
ma
che
faceva
singolare
contrasto
con
la
mestizia
,
la
folla
che
si
trascinava
su
un
asfalto
pastoso
,
appiccicoso
nel
quale
non
soltanto
le
suole
delle
scarpe
lasciavano
l
'
impronta
,
ma
in
cui
garofani
,
gladioli
e
rose
si
incorporavano
come
fossili
istantanei
.
Il
corteo
funebre
si
muove
lentamente
.
Pochi
metri
e
si
ferma
.
Davanti
si
incolonnano
centinaia
di
corone
:
sono
i
fiori
delle
sezioni
,
delle
federazioni
,
e
più
avanti
quelle
dei
consigli
di
fabbrica
,
della
FGCI
e
quelle
tricolori
del
presidente
della
Repubblica
,
della
Camera
dei
deputati
,
del
Senato
e
dei
presidenti
del
Parlamento
.
Elenchiamo
intanto
le
poche
cifre
note
.
I
pullman
che
sono
arrivati
a
Roma
sono
stati
più
di
cinquemila
.
I
treni
speciali
venticinque
.
Le
persone
arrivate
a
piazza
San
Giovanni
per
conto
loro
,
senza
far
parte
di
nessuno
dei
tre
cortei
collaterali
o
di
quello
centrale
,
erano
più
di
trentamila
.
Alle
10.30
il
centro
storico
era
chiuso
e
bloccato
.
A
quell
'
ora
,
soltanto
fra
via
del
Teatro
di
Marcello
e
piazza
Venezia
,
per
un
chilometro
e
mezzo
di
strada
,
erano
già
stipate
trentamila
persone
.
Il
Comune
di
Roma
ha
impiegato
per
il
governo
del
traffico
mille
e
duecento
vigili
urbani
.
Davanti
a
Botteghe
Oscure
,
nei
giardini
adiacenti
a
piazza
Venezia
,
sui
prati
e
sui
marciapiedi
hanno
dormito
migliaia
di
comunisti
arrivati
durante
la
notte
.
Alle
4
del
mattino
si
è
dovuta
riaprire
la
camera
ardente
perché
la
folla
premeva
.
Fino
alle
14
,
quando
è
stata
chiusa
,
i
visitatori
che
sono
riusciti
a
passare
davanti
a
quella
bara
sono
stati
almeno
centoventicinquemila
.
Gli
ultimi
a
fare
il
picchetto
d
'
onore
sono
stati
gli
attori
,
i
registi
,
la
gente
di
spettacolo
.
C
'
erano
Monica
Vitti
,
Giovanna
Ralli
,
Ettore
Scola
,
Carla
Gravina
,
Carla
Tatò
,
Giuliano
Montaldo
,
Mariangela
Melato
,
Felice
Laudadio
.
È
stato
visto
Alberto
Sordi
,
che
comunista
non
è
,
passare
e
fermarsi
un
istante
,
commosso
.
Fra
gli
ultimi
politici
sono
passati
il
democristiano
Mario
Segni
e
Aldo
Aniasi
,
socialista
.
E
poi
i
rappresentanti
della
comunità
israelitica
che
sono
stati
ricevuti
da
Pietro
Ingrao
,
con
cui
si
sono
fermati
a
parlare
della
«
straordinaria
umanità
»
del
segretario
del
PCI
scomparso
.
Così
,
quando
la
città
-
Roma
si
è
svegliata
,
già
era
in
piedi
e
quasi
stremata
un
'
altra
città
che
l
'
aveva
invasa
sovrapponendosi
:
almeno
mezzo
milione
di
persone
erano
a
mezzogiorno
su
via
delle
Botteghe
Oscure
e
qualcuno
già
sveniva
.
Abbiamo
visto
diverse
persone
accasciarsi
per
il
caldo
e
sono
state
soccorse
con
molto
affetto
.
Una
è
morta
per
malore
.
Le
ambulanze
sono
state
chiamate
in
qualche
caso
.
I
siciliani
che
sono
arrivati
stremati
dopo
venti
ore
di
treno
hanno
trovato
latte
e
yogurt
offerto
gratis
dai
dipendenti
della
Centrale
del
Latte
che
si
sono
autotassati
.
Il
Comune
di
Roma
ha
predisposto
numerose
autobotti
che
hanno
fornito
acqua
fresca
alle
migliaia
di
assetati
.
A
piazza
San
Giovanni
già
alle
13
era
impossibile
entrare
.
E
per
tutto
il
tempo
dei
comizi
,
dei
discorsi
ufficiali
,
folla
e
folla
ha
seguitato
a
premere
sulla
piazza
,
a
riempire
tutte
le
vie
adiacenti
,
come
un
liquido
palpitante
e
colorato
,
sul
quale
spiccavano
le
bandiere
rosse
.
E
anche
piazza
San
Giovanni
non
ricordiamo
di
averla
mai
vista
arredata
con
un
palco
di
quelle
dimensioni
e
di
quella
funzionale
architettura
.
Rivedremo
quel
palco
di
320
metri
quadrati
nei
filmati
e
nelle
foto
,
costruito
in
gran
fretta
da
sessanta
carpentieri
di
attrezzature
metalliche
e
falegnami
e
sormontato
da
quella
grande
foto
di
Berlinguer
mite
e
duro
,
forse
timido
ma
anche
ironico
,
alta
quattro
metri
e
mezzo
e
larga
tre
.
Una
coreografia
,
paradossalmente
trattandosi
di
un
funerale
,
assai
viva
:
ideata
per
contenere
cinquecento
invitati
fra
europei
,
asiatici
,
africani
ed
americani
.
Anche
in
questo
senso
ci
sembra
di
poter
dire
che
non
si
era
mai
vista
una
cosa
del
genere
.
La
gente
.
Giovani
tantissimi
,
con
i
loro
jeans
(
e
due
copie
dell
'
«
Unità
»
ficcate
una
per
tasca
)
,
e
le
loro
magliette
,
il
loro
modo
di
parlare
che
trascende
ormai
i
dialetti
in
un
esperanto
adolescente
e
militante
.
Ma
tanti
,
tantissimi
i
vecchi
,
la
gente
d
'
età
,
i
capelli
bianchi
.
Le
barbe
e
le
pinguedini
dei
quarantenni
.
E
i
romani
,
in
maggioranza
subito
seguiti
dai
milanesi
,
che
quando
sono
comunisti
si
ritrovano
anche
in
un
loro
linguaggio
,
popolare
ma
affettuosamente
brusco
.
Così
quando
la
folla
trascina
e
si
cade
travolti
,
i
mariti
proteggono
le
mogli
:
«
Bianca
!
Acchiappate
ar
braccio
mio
»
.
E
i
fotografi
impostano
i
loro
servizi
:
«
Avvisa
tutti
:
tirate
fuori
1'
"
Unità
"
e
fateci
un
cappelluccio
.
Ma
che
si
veda
la
parola
"
addio
"
davanti
.
Poi
mettetevi
lì
che
faccio
il
gruppo
»
.
I
giovani
toccano
,
ti
toccano
,
palpano
,
è
una
folla
carezzevole
e
confidenziale
.
E
quando
l
'
emozione
passa
in
un
grido
,
in
uno
slogan
,
l
'
alito
contamina
tutti
:
«
Non
ti
dimenticheremo
»
,
«
Enrico
»
,
«
Vivrai
per
sempre
»
.
Togliatti
morì
in
agosto
.
Berlinguer
di
giugno
.
E
soltanto
oggi
si
può
dire
che
è
estate
:
«
Fa
lo
stesso
caldo
di
quando
morì
Palmiro
»
dice
un
vecchio
operaio
.
Il
furgone
avanza
e
il
vento
generosamente
ingrossa
le
bandiere
che
si
dispiegano
con
maestà
:
quella
grande
del
Comitato
centrale
,
frangiata
e
abbrunata
,
e
il
tricolore
della
Repubblica
.
E
poi
quella
strana
bandiera
ibrida
:
verde
e
bianca
in
parti
uguali
e
poi
la
sezione
rossa
di
dimensioni
triple
.
Il
furgone
va
avanti
e
l
'
asfalto
fonde
.
Cantano
Bandiera
rossa
e
la
banda
procede
a
passi
lillipuziani
,
con
imprevisti
schianti
dei
piatti
.
Ai
lati
del
corteo
le
transenne
.
Oltre
,
c
'
è
altro
popolo
che
si
stringe
e
soffoca
e
piange
.
Si
direbbe
che
un
sottile
velo
di
lacrime
renda
tremula
questa
immagine
.
O
forse
il
miraggio
dell
'
alito
rovente
dall
'
asfalto
.
Un
urlo
verso
i
Fori
imperiali
:
«
Viva
il
grande
Partito
comunista
di
Gramsci
,
Togliatti
e
Berlinguer
»
.
Folla
bianca
e
rossa
sui
giardini
.
Arriva
la
limousine
nera
del
presidente
della
Repubblica
:
riceverà
un
applauso
grande
come
un
boato
allo
stadio
,
a
piazza
San
Giovanni
.
Qui
lo
vedono
in
pochi
e
lo
chiamano
.
I
capi
del
servizio
d
'
ordine
sono
implacabili
.
E
bravi
.
«
Forza
,
forza
co
'
sto
cordone
,
su
,
su
,
sbrigarsi
»
.
Quando
passa
Berlinguer
tutti
levano
in
alto
il
giornale
del
partito
nell
'
edizione
straordinaria
che
dice
grande
«
Addio
»
in
rosso
.
Inatteso
un
grande
cartello
declama
:
«
Genitori
,
non
crescete
i
vostri
figli
come
schiavi
,
i
figli
non
si
picchiano
»
.
Una
vecchia
signora
genovese
filosovietica
si
è
messa
ai
lati
del
corteo
con
un
cartello
:
«
Oggi
non
c
'
è
scelta
,
o
amici
dell
'
URSS
,
o
servi
di
Reagan
»
.
Distribuisce
a
pacchi
la
rivista
«
Realtà
sovietica
»
.
Grida
:
«
Siete
dei
criminali
,
venduti
all
'
America
»
.
Qualcuno
,
con
rapida
intolleranza
,
le
fa
a
pezzi
il
cartello
.
Resta
lì
,
patetica
e
testarda
.
Avanzano
i
gonfaloni
delle
città
.
Sono
centinaia
,
forse
migliaia
,
con
i
nomi
dei
paesi
dell
'
Umbria
,
delle
Marche
,
del
Lazio
,
della
Calabria
,
della
Toscana
.
E
ne
arrivano
sempre
più
,
sempre
più
,
con
i
loro
vigili
urbani
nelle
uniformi
fantasiose
e
diverse
,
tutte
sull
'
azzurrino
.
E
arriva
,
preceduto
dal
rullo
dei
tamburi
,
il
corteo
torinese
dai
grandi
cartelli
e
gli
striscioni
rossi
.
E
i
sardi
del
Sulcis
che
hanno
montato
la
guardia
al
feretro
col
casco
dei
minatori
e
la
lampada
accesa
,
avanzando
lentamente
dietro
il
loro
striscione
.
Sulla
colonna
Traiana
,
imbragata
nell
'
impalcatura
del
restauro
,
un
lungo
cartello
verticale
:
«
Vivrai
sempre
»
.
Le
bandiere
rosse
sono
vecchie
e
nuove
.
Le
nuove
sembrano
di
plastica
,
di
questo
nailon
luccicante
che
si
arroventa
e
non
stinge
.
Quelle
vecchie
sono
gloriose
e
slavate
,
falci
e
martelli
ricamati
a
mano
,
all
'
ingiù
,
come
si
usava
all
'
inizio
del
secolo
.
Tre
i
cortei
che
sono
confluiti
man
mano
su
quello
principale
,
fino
alla
piazza
.
Uno
è
partito
dalla
stazione
Tiburtina
,
uno
dall
'
Ostiense
e
l
'
ultimo
da
Cinecittà
.
Del
primo
facevano
parte
i
comunisti
padovani
,
trattati
con
riguardo
perché
la
loro
città
è
stata
affettuosa
e
vicina
al
dramma
di
Berlinguer
.
Si
radunavano
lì
i
comunisti
di
Mantova
,
di
Varese
,
di
Bologna
,
del
Friuli
,
di
Verona
.
E
poi
i
petrolchimici
di
Marghera
,
di
Milano
.
Fischiano
Bella
ciao
nel
caldo
.
Lacrime
e
sudore
.
Si
muovono
al
canto
di
Bandiera
rossa
.
Pugni
chiusi
.
Pugni
chiusi
,
ma
molti
di
quelli
che
riusciranno
ad
arrivare
fino
alla
camera
ardente
renderanno
omaggio
a
Berlinguer
prima
con
íl
segno
di
croce
e
poi
col
pugno
:
pietas
cattolica
e
militanza
.
Se
c
'
era
chi
gridava
:
«
Enrico
,
vivi
in
tutti
noi
»
,
non
è
mancato
chi
amaramente
inalberava
un
cartello
che
dichiarava
«
Enrico
,
sei
morto
insieme
a
noi
»
,
riecheggiando
la
battuta
addolorata
di
Benigni
che
ha
scritto
più
o
meno
:
adesso
andremo
tutti
indietro
.
I
comunisti
piemontesi
sono
arrivati
all
'
Ostiense
.
E
anche
quelli
liguri
,
i
toscani
e
gli
umbri
,
con
le
loro
bande
musicali
e
i
gonfaloni
.
A
mezzogiorno
intorno
alla
Piramide
erano
più
di
sessantamila
,
con
i
ragazzi
della
FGCI
in
prima
linea
,
seguiti
dagli
operai
della
FIAT
Lingotto
,
di
Rivalta
,
Mirafiori
,
tutti
con
i
cappelli
di
carta
,
con
i
berretti
di
tela
,
i
golf
della
notte
annodati
alla
vita
,
í
fazzoletti
sui
capelli
.
Cartelli
grandi
e
affettuosi
:
«
Enrico
,
sei
stato
grande
»
,
«
Enrico
,
ti
prometto
un
mondo
più
bello
,
ti
voglio
bene
,
Dalia
»
.
Bisogna
dire
che
l
'
eco
del
titolo
del
film
di
Benigni
ha
fatto
scuola
:
«
Ti
voglio
bene
»
era
dovunque
.
E
deve
avere
influenzato
anche
quel
confidenziale
,
personale
«
ciao
Enrico
»
dell
'
«
Unità
»
,
così
nuovo
in
un
giornale
che
fu
paludato
fino
alla
tristezza
.
Molti
cartelli
del
tenore
«
Grazie
Enrico
per
quello
che
ci
hai
insegnato
»
e
drammatico
quello
che
promette
:
«
Senza
di
te
,
senza
perderti
»
.
I
cortei
si
sono
mossi
ininterrottamente
,
come
fluidi
continui
.
Al
Circo
Massimo
í
primi
malori
.
I
«
compagni
medici
»
intervengono
spesso
.
Ed
ecco
í
portuali
di
Genova
,
di
Riva
Trigoso
,
gli
stessi
che
udirono
il
comizio
del
giorno
prima
di
Padova
.
A
Cinecittà
si
raduna
il
popolo
del
Sud
.
Centinaia
di
pullman
che
vengono
da
Bari
,
Brindisi
,
Matera
,
Napoli
,
Potenza
.
Una
folla
eterogenea
che
ha
usato
pullman
di
gran
turismo
con
TV
e
toilette
,
oppure
vecchie
corriere
degli
anni
Cinquanta
.
C
'
è
stato
chi
si
è
preoccupato
di
raccogliere
le
cartacce
e
molte
donne
hanno
aperto
fagotti
di
viveri
.
Anche
da
Cinecittà
sono
partiti
a
migliaia
diretti
verso
piazza
San
Giovanni
,
attraverso
una
città
trasfigurata
.
StampaQuotidiana ,
Teheran
,
16
.
Reza
Pahlevi
se
n
'
è
andato
.
Alle
13.08
l
'
aereo
imperiale
si
è
involato
,
puntando
sull
'
Egitto
.
Alle
16
non
c
'
erano
più
statue
dello
Scià
sui
piedistalli
,
nella
capitale
in
festa
.
La
folla
abbatte
i
monumenti
della
dinastia
Pahlevi
,
come
se
la
monarchia
fosse
finita
.
Quando
la
radio
ha
dato
la
notizia
della
partenza
,
trenta
minuti
dopo
il
decollo
,
gli
automobilisti
hanno
acceso
i
fari
e
hanno
cominciato
a
suonare
i
clacson
.
In
tutti
i
quartieri
si
sono
formati
cortei
.
«
Il
nemico
del
popolo
è
fuggito
»
,
«
Lo
Scià
ha
raggiunto
lo
sposo
infedele
Jimmy
Carter
»
,
«
Dopo
la
fuga
dello
scià
quella
degli
americani
»
:
questi
sono
gli
slogan
ancora
scanditi
per
le
strade
,
a
tarda
sera
,
mentre
si
avvicina
l
'
ora
del
coprifuoco
,
che
oggi
rischia
di
non
essere
rispettato
.
Nella
capitale
centinaia
di
migliaia
di
persone
si
salutano
con
l
'
indice
e
il
medio
tesi
,
in
segno
di
vittoria
,
si
abbracciano
,
invocano
il
ritorno
di
Khomeini
,
il
capo
religioso
disarmato
,
che
in
un
anno
,
lanciando
proclami
dall
'
esilio
,
ha
costretto
Reza
Pahlevi
ad
abbandonare
il
trono
.
L
'
esercito
si
è
ritirato
nelle
caserme
,
lasciando
qualche
unità
davanti
all
'
ambasciata
americana
(
la
sola
ad
essere
protetta
)
,
ai
ministeri
e
al
Parlamento
.
La
folla
pensa
che
il
sovrano
non
ritornerà
mai
più
.
Lo
Scià
ha
cercato
di
imporre
alla
sua
partenza
ritmi
non
troppo
affrettati
.
Il
protocollo
è
stato
rispettato
.
Venticinque
anni
fa
,
incalzato
da
Mossadeq
,
il
primo
ministro
che
gli
imponeva
il
rispetto
della
Costituzione
,
Reza
Pahlevi
fuggì
con
la
moglie
d
'
allora
,
Soraya
,
a
bordo
di
un
piccolo
aereo
,
prima
a
Baghdad
e
poi
a
Roma
.
Questa
volta
,
prima
di
lasciare
in
elicottero
la
residenza
di
Niavaran
,
il
suo
«
palazzo
d
'
inverno
»
,
ha
salutato
i
nove
membri
del
Consiglio
di
reggenza
,
i
cortigiani
e
persino
i
cuochi
.
Più
tardi
,
ai
piedi
della
scaletta
del
Boeing
727
,
c
'
erano
il
primo
ministro
Sciapur
Bakhtian
,
il
ministro
di
corte
Ardalan
,
il
presidente
della
Camera
Djavad
Said
.
I
pochi
giornalisti
iraniani
ammessi
nel
recinto
dell
'
aeroporto
hanno
descritto
Reza
Pahlevi
e
Farah
Diba
pallidi
,
tesi
,
vestiti
con
abiti
sobri
.
Rispettando
la
tradizione
,
lo
Scià
e
la
moglie
sono
passati
sotto
il
Corano
,
tenuto
da
un
cortigiano
per
augurare
buon
viaggio
.
Prima
di
entrare
nell
'
aereo
,
il
sovrano
avrebbe
afferrato
il
libro
sacro
dell
'
Islam
e
l
'
avrebbe
baciato
,
trattenendo
a
stento
le
lacrime
.
Ad
eccezione
dei
pochi
fedeli
che
hanno
assistito
alla
partenza
,
nessuno
ha
visto
lo
scià
«
andarsene
in
vacanza
»
.
La
televisione
non
ha
diffuso
le
immagini
del
sovrano
che
lascia
l
'
Iran
.
Sugli
schermi
appaiono
stasera
soltanto
alberi
coperti
di
neve
o
film
di
repertorio
.
Soltanto
la
radio
ha
trasmesso
le
ultime
parole
pronunciate
da
Reza
Pahlevi
,
prima
del
decollo
:
«
Come
avevo
annunciato
dieci
giorni
or
sono
,
sono
stanco
e
parto
per
riposarmi
,
dopo
che
il
governo
ha
ricevuto
il
voto
di
fiducia
del
Parlamento
.
Spero
che
il
nuovo
governo
riesca
a
riparare
le
ferite
del
passato
e
preparare
il
futuro
.
Dobbiamo
essere
uniti
al
fine
di
preparare
un
avvenire
migliore
.
Il
paese
deve
salvarsi
grazie
al
patriottismo
del
popolo
»
.
«
Quanto
tempo
resterà
all
'
estero
?
»
gli
ha
chiesto
il
radiocronista
.
«
Sono
molto
stanco
.
Fino
a
quando
non
mi
sarò
rimesso
,
resterò
all
'
estero
.
La
prima
tappa
sarà
Assuan
»
.
La
Sciabanu
Farah
Diba
è
stata
ancora
più
laconica
:
«
Credo
nella
saggezza
e
nella
forza
del
popolo
»
.
A
questo
punto
,
mentre
i
motori
del
Boeing
erano
già
accesi
,
il
cronista
è
scoppiato
in
singhiozzi
e
ha
detto
:
«
Speriamo
che
lei
ritorni
presto
»
.
Sono
le
sole
parole
di
augurio
al
sovrano
che
ho
udito
oggi
a
Teheran
.
Ecco
alcune
immagini
che
ho
raccolto
in
questa
giornata
,
non
ancora
conclusa
,
nella
capitale
invasa
da
una
folla
sempre
più
densa
.
Sulla
piazza
Pahlevi
,
mentre
la
radio
trasmette
ancora
la
voce
spezzata
dello
Scià
,
un
centinaio
di
giovani
divelgono
la
sua
statua
.
Si
forma
un
corteo
.
Il
monumento
viene
trascinato
con
un
cavo
di
ferro
per
le
strade
del
quartiere
settentrionale
della
città
.
La
folla
si
infittisce
e
grida
:
«
Impicchiamo
lo
scià
»
.
Mezz
'
ora
dopo
la
statua
penzola
da
un
cavalcavia
.
Sulla
via
Hafez
una
pattuglia
militare
si
allontana
di
gran
fretta
,
appena
spunta
un
piccolo
corteo
con
una
bandiera
rossa
in
testa
.
La
sola
che
ho
visto
,
per
alcuni
istanti
,
prima
che
sparisse
per
iniziativa
di
non
so
chi
.
I
soldati
hanno
ricevuto
l
'
ordine
di
rientrare
nelle
caserme
al
più
presto
,
per
evitare
scontri
con
i
manifestanti
.
Un
militare
non
riesce
ad
avviare
il
motore
e
abbandona
il
camion
in
mezzo
alla
strada
.
Un
'
altra
unità
lascia
su
un
viale
un
piccolo
rimorchio
,
per
non
perdere
tempo
ad
agganciarlo
ad
una
jeep
.
È
come
se
temesse
di
essere
travolto
dall
'
acqua
di
una
diga
infranta
.
Ma
molti
soldati
,
durante
la
precipitosa
ritirata
,
vengono
sommersi
dalla
folla
che
li
abbraccia
,
li
riempie
di
fiori
e
caramelle
,
li
obbliga
ad
accettare
i
ritratti
di
Khomeini
.
Sulla
via
Reza
scià
,
una
delle
vie
principali
di
Teheran
,
gruppi
di
ragazzi
mi
mostrano
banconote
da
venti
rials
(
duecento
lire
)
dalle
quali
hanno
ritagliato
l
'
immagine
dello
scià
.
Reza
Pahlevi
è
partito
da
poco
più
di
un
'
ora
e
le
edizioni
straordinarie
dei
giornali
sono
già
in
vendita
,
con
titoli
neri
,
corvini
,
enormi
sulle
prime
pagine
.
Il
re
se
n
'
è
andato
.
Accanto
alla
notizia
della
partenza
imperiale
ci
sono
gli
ordini
che
Khomeini
avrebbe
impartito
dall
'
esilio
parigino
.
Un
amico
iraniano
li
traduce
:
1
)
i
deputati
al
Parlamento
e
i
membri
del
Consiglio
di
reggenza
devono
dimettersi
;
2
)
i
contadini
non
devono
vendere
il
grano
agli
stranieri
che
vogliono
affamare
il
paese
;
3
)
i
soldati
devono
impedire
che
gli
americani
portino
via
le
armi
sofisticate
,
al
fine
di
indebolire
l
'
esercito
;
4
)
venerdì
dovrà
essere
organizzata
la
più
grande
manifestazione
della
storia
dell
'
Iran
.
I
quotidiani
,
sotto
un
titolo
vistoso
,
parlano
della
morte
di
un
colonnello
americano
,
Arthur
Haynhot
,
indicato
come
il
capo
dei
consiglieri
militari
.
L
'
ufficiale
sarebbe
stato
trovato
appeso
ad
una
corda
nel
suo
appartamento
.
La
polizia
pensa
sia
stato
impiccato
.
Stamane
i
giornali
parlavano
di
un
altro
cittadino
USA
assassinato
a
Kerman
:
era
il
responsabile
della
Parsons
-
Jordan
Company
e
«
un
veterano
della
guerra
del
Vietnam
»
.
Il
cronista
non
è
in
grado
di
controllare
le
notizie
.
I
ministeri
,
gli
uffici
pubblici
sono
chiusi
e
i
telefoni
suonano
invano
.
Sulla
piazza
Ferdosi
,
la
statua
del
poeta
iraniano
è
coperta
di
ritratti
di
Khomeini
.
A
cavalcioni
del
monumento
,
un
giovane
cerca
di
dirigere
il
traffico
con
un
altoparlante
.
Ma
nessuno
lo
ascolta
.
La
gente
balla
di
gioia
tra
le
automobili
,
alle
quali
sono
avvinghiati
grappoli
umani
.
Non
si
vede
un
poliziotto
.
Teheran
sembra
abbandonata
a
se
stessa
.
Il
ronzio
degli
elicotteri
ricorda
tuttavia
chel
'
esercito
è
intatto
e
che
i
generali
dello
scià
non
perdono
d
'
occhio
i
cortei
,
per
ora
non
violenti
.
Milioni
di
iraniani
festeggiano
«
la
fine
»
di
37
anni
di
regno
di
Reza
Pahlevi
,
meglio
i
53
anni
della
dinastia
,
poiché
anche
i
ritratti
e
le
statue
di
Reza
Khan
,
padre
del
sovrano
in
vacanza
,
vengono
strappati
e
abbattuti
.
Teheran
stasera
assomiglia
a
Lisbona
,
dopo
mezzo
secolo
di
salazarismo
.
Quel
che
resta
del
regime
è
adesso
formalmente
affidato
al
Consiglio
di
reggenza
,
presieduto
da
un
astronomo
ottantenne
,
Jallal
Teharani
,
che
non
dispone
ancora
di
un
ufficio
.
L
'
opposizione
lo
ha
già
definito
«
un
gruppo
di
cortigiani
e
di
vegliardi
»
.
Gli
uomini
forti
del
Consiglio
sono
il
generale
Gharabaghy
,
capo
di
Stato
Maggiore
delle
Forze
armate
,
e
il
primo
ministro
Bakhtiar
,
che
stamane
,
poco
prima
della
partenza
dello
scià
,
ha
ricevuto
il
voto
di
fiducia
della
Camera
,
dopo
aver
ottenuto
ieri
quello
del
Senato
.
Da
stasera
il
sessantaduenne
Bakhtiar
è
in
sostanza
solo
,
schiacciato
tra
la
folla
ubbidiente
agli
ordini
di
Khomeini
e
l
'
esercito
ubbidiente
ai
generali
.
L
'
ala
moderata
dell
'
opposizione
ha
già
rivolto
un
appello
alla
calma
(
«
non
affrettiamo
i
tempi
»
)
,
al
fine
di
evitare
le
reazioni
dei
militari
e
di
frenare
i
gruppi
rivoluzionari
.
Ma
questo
non
significa
che
i
partigiani
di
una
svolta
indolore
siano
pronti
a
trattare
con
Bakhtiar
.
Tutti
temono
la
scomunica
di
Khomeini
,
che
dovrebbe
annunciare
la
composizione
del
suo
governo
provvisorio
e
del
suo
Consiglio
rivoluzionario
.
E
che
,
forse
,
sta
studiando
il
rientro
in
patria
,
dopo
quindici
anni
di
esilio
,
ora
che
il
suo
rivale
è
partito
.
StampaQuotidiana ,
Genova
,
27
.
«
Guido
Rossa
è
stato
ucciso
perché
non
si
è
piegato
,
perché
non
ha
avuto
paura
e
ha
voluto
vivere
in
fondo
,
con
coerenza
la
sua
scelta
politica
.
Coloro
che
speravano
con
questo
assassinio
di
chiuderci
sgomenti
nelle
nostre
fabbriche
si
sono
sbagliati
.
Non
sanno
di
quale
ostinata
rabbia
e
determinazione
noi
siamo
capaci
»
:
così
Paolo
Perugino
,
dell
'
esecutivo
del
Consiglio
di
fabbrica
dell
'
Italsider
,
ha
salutato
il
compagno
di
lavoro
ammazzato
dalle
BR
mercoledì
mattina
all
'
alba
.
Parlava
dall
'
alto
del
palco
,
gridando
dentro
il
microfono
la
sua
rabbia
,
con
una
voce
che
conosceva
tutte
le
incrinature
della
commozione
.
Dietro
di
lui
,
Luciano
Lama
sembrava
più
pallido
del
solito
;
al
suo
fianco
Berlinguer
appariva
stravolto
.
Il
presidente
Pertini
,
bianco
come
la
sciarpa
che
aveva
al
collo
,
e
tuttavia
rigido
e
dritto
sotto
il
peso
di
una
storia
d
'
Italia
che
domanda
ancora
tanti
sacrifici
.
Vicino
a
lui
,
a
capo
scoperto
sotto
la
pioggia
,
la
moglie
dell
'
operaio
Guido
Rossa
,
la
bella
faccia
chiusa
e
disperata
di
una
che
sa
che
bisogna
continuare
a
vivere
(
ma
come
?
)
anche
domani
e
dopo
.
Erano
operai
.
Duecento
,
forse
duecentocinquantamila
sotto
la
pioggia
battente
in
piazza
De
Ferrari
.
Ma
erano
nere
di
folla
anche
via
Dante
e
via
XX
Settembre
,
le
due
arterie
che
collegano
il
cuore
della
città
con
piazza
della
Vittoria
.
Erano
operai
di
Genova
,
di
Torino
,
di
Milano
,
di
Brescia
,
ma
venuti
anche
da
più
lontano
,
da
Roma
,
da
Napoli
,
da
Reggio
Calabria
,
da
Palermo
,
i
berretti
di
lana
,
i
cappucci
,
gli
elmetti
gialli
calati
sugli
occhi
stanchi
e
le
facce
tese
.
Un
funerale
e
una
manifestazione
immensi
,
ma
con
qualcosa
di
cupo
che
non
era
dato
solo
da
quel
furgone
mortuario
in
sosta
sotto
il
palco
degli
oratori
,
dalle
centinaia
di
corone
posate
contro
il
muro
diroccato
del
teatro
Carlo
Felice
,
ma
anche
dalla
sensazione
angosciosa
di
trovarsi
in
trincea
,
contro
un
nemico
di
cui
non
conosci
l
'
identità
e
il
volto
.
La
Genova
commerciante
,
terziaria
,
borghese
non
era
venuta
in
piazza
.
Ha
espresso
la
sua
solidarietà
abbassando
le
serrande
dei
negozi
e
chiudendosi
in
casa
.
Le
strade
attorno
alla
zona
della
manifestazione
erano
deserte
e
silenziose
.
Ma
la
Genova
-
bene
non
aveva
nemmeno
partecipato
ai
comizi
e
ai
cortei
convocati
dopo
l
'
eccidio
di
via
Fani
e
l
'
assassinio
di
Moro
.
Qui
,
ma
non
solo
qui
,
del
resto
,
c
'
è
chi
,
pur
condannando
il
terrorismo
,
si
tira
indietro
spaventato
o
scoraggiato
,
quasi
l
'
assenza
potesse
aprire
una
qualche
individuale
via
di
salvezza
.
«
Non
dire
:
non
ci
riguarda
.
Siamo
giunti
a
questo
punto
proprio
perché
troppi
hanno
detto
:
non
ci
riguarda
»
:
così
un
manifesto
dell
'
Anpi
riproducente
la
frase
di
un
giovane
cattolico
fucilato
dai
nazisti
invita
a
prendere
coscienza
del
pericolo
rappresentato
dalla
passività
e
dalla
rassegnazione
.
Questo
pericolo
esiste
,
i
terroristi
lo
sanno
.
È
una
carta
che
giocano
coscientemente
.
L
'
assassinio
di
Rossa
può
alimentare
un
aggravato
clima
di
paura
,
un
ripiegamento
sul
proprio
particolare
,
una
fuga
dalle
responsabilità
;
ma
può
anche
sollecitare
una
reazione
di
tipo
opposto
e
,
con
la
definitiva
condanna
del
terrorismo
,
una
più
generale
determinazione
nella
difesa
della
democrazia
.
Stamattina
a
piazza
De
Ferrari
c
'
era
,
per
dirla
con
Lama
,
«
il
movimento
dei
lavoratori
,
il
nocciolo
più
duro
della
resistenza
democratica
,
l
'
ostacolo
più
saldo
contro
la
reazione
e
la
violenza
armata
»
.
C
'
è
,
nella
storia
del
movimento
operaio
genovese
,
una
continuità
che
collega
la
manifestazione
di
oggi
alla
Resistenza
contro
i
fascisti
e
i
tedeschi
:
i
padri
degli
operai
che
erano
oggi
in
piazza
hanno
salvato
nel
1945
le
fabbriche
della
città
dalla
cieca
rabbia
nazista
.
E
sono
questi
stessi
operai
,
metalmeccanici
e
portuali
,
che
nel
luglio
del
1960
,
occupando
piazza
De
Ferrari
e
via
XX
Settembre
,
impedirono
lo
svolgimento
del
congresso
missino
e
contribuirono
a
rovesciare
il
governo
Tambroni
.
«
Si
parla
troppo
di
delirio
e
di
follia
quando
ci
si
riferisce
all
'
eversione
»
ha
detto
Luciano
Lama
.
«
A
me
pare
che
all
'
azione
delle
BR
presieda
un
freddo
se
pur
disumano
disegno
politico
,
un
disegno
che
si
contrappone
frontalmente
ai
nostri
obiettivi
di
progresso
,
alla
nostra
stessa
concezione
della
vita
.
E
non
a
caso
questi
tentativi
di
eversione
intervengono
ferocemente
,
specie
quando
la
situazione
politica
si
fa
più
tesa
,
per
impedire
che
la
spinta
al
cambiamento
diventi
efficace
,
capace
di
dare
vita
ad
un
processo
di
rinnovamento
e
di
autentica
trasformazione
della
società
»
.
II
richiamo
alla
crisi
politica
in
atto
non
è
una
forzatura
.
I
duecentocinquantamila
che
sono
in
piazza
sanno
di
essere
qui
anche
per
questo
,
per
dare
una
spinta
a
questo
lento
processo
politico
che
lascia
ancora
il
movimento
operaio
ed
i
suoi
rappresentanti
fuori
della
porta
o
a
metà
del
guado
.
La
manifestazione
non
è
soltanto
un
funerale
o
un
momento
di
aspro
cordoglio
.
È
anche
parte
di
una
battaglia
politica
.
E
lo
esprimono
gridando
,
tra
le
altre
parole
d
'
ordine
:
«
È
ora
,
è
ora
,
è
ora
di
cambiare
-
il
Partito
comunista
deve
governare
»
.
Lama
interpreta
puntualmente
gli
umori
della
folla
quando
parla
dei
problemi
dell
'
ordine
pubblico
in
termini
di
stretta
attualità
:
«
La
nostra
critica
e
la
nostra
protesta
va
contro
le
inadempienze
,
le
inefficienze
,
le
coperture
e
le
omertà
che
ogni
giorno
si
manifestano
nell
'
azione
contro
il
terrorismo
.
Le
fughe
di
criminali
fascisti
e
l
'
impunità
dei
terroristi
di
ogni
colore
non
sarebbero
possibili
se
connivenze
tenaci
non
esistessero
tra
le
forze
eversive
ed
i
nemici
della
Repubblica
,
annidati
con
alte
responsabilità
negli
organi
dello
Stato
preposti
all
'
amministrazione
della
giustizia
,
della
sicurezza
e
alla
difesa
dell
'
ordine
democratico
»
.
L
'
accusa
è
precisa
e
pesante
.
Non
più
però
di
quella
espressa
sabato
scorso
da
Pertini
a
Savona
,
quando
individuava
la
matrice
di
tutti
i
fatti
eversivi
di
questi
anni
nelle
oscurità
che
ancora
avvolgono
la
strage
di
piazza
Fontana
.
La
scelta
democratica
del
movimento
dei
lavoratori
,
oramai
definitiva
ed
irreversibile
,
non
può
non
accompagnarsi
all
'
impegno
di
fare
luce
su
tutti
gli
oscuri
episodi
eversivi
che
hanno
accompagnato
la
vita
politica
di
questi
anni
.
«
La
classe
operaia
non
è
un
mansueto
agnello
sacrificale
:
in
democrazia
essa
non
si
fa
giustizia
da
sé
,
ma
reclama
giustizia
e
fa
il
suo
dovere
perché
giustizia
si
faccia
,
collabora
alla
difesa
delle
istituzioni
,
stimola
la
partecipazione
dei
cittadini
alla
lotta
contro
il
terrorismo
»
.
Su
questo
fronte
è
caduto
Guido
Rossa
.
Il
presidente
della
Repubblica
,
in
un
rapido
incontro
che
ha
avuto
con
i
giornalisti
subito
dopo
la
manifestazione
,
ha
voluto
illustrare
ancora
i
motivi
che
lo
hanno
spinto
ad
assegnargli
la
medaglia
d
'
oro
al
valor
civile
alla
memoria
:
«
Perché
è
stato
un
cittadino
che
ha
dimostrato
di
avere
coraggio
.
È
un
incitamento
per
tutti
i
cittadini
,
perché
si
coalizzino
e
si
uniscano
contro
le
Brigate
Rosse
»
.
La
paura
,
il
coraggio
.
Il
coraggio
di
difendere
una
democrazia
ancora
tanto
insufficiente
ed
imperfetta
.
«
Ma
questa
Repubblica
»
conclude
Pertini
«
ci
è
costata
vent
'
anni
di
lotte
,
di
sacrifici
e
di
morti
.
Bisogna
saperla
difendere
,
costi
quel
che
costi
,
contro
tutti
coloro
che
intendono
destabilizzarla
e
disgregarla
.
Mi
conforta
il
fatto
che
la
classe
lavoratrice
questo
lo
ha
capito
fino
in
fondo
.
La
manifestazione
di
oggi
ne
è
una
dimostrazione
»
.
StampaQuotidiana ,
Padova
,
22
.
«
Roberto
libero
»
scritto
in
azzurro
dagli
autonomi
e
sotto
,
«
Merda
»
scritto
in
nero
,
dai
fascisti
.
Finisce
così
,
Hegel
non
deve
essere
passato
per
Padova
,
la
dialettica
,
almeno
,
è
sconosciuta
a
questi
muri
.
«
Bruciamo
la
città
»
,
in
vernice
rossa
,
attraversa
una
facciata
,
ma
ad
ogni
buon
conto
il
cartolaio
d
'
angolo
appende
il
suo
cartellino
scritto
a
penna
:
«
Chiuso
il
sabato
»
.
Gli
opposti
,
a
Padova
,
qualche
volta
si
scontrano
,
più
spesso
si
ignorano
.
«
Mitra
è
bello
»
dichiarano
gli
autonomi
di
Psicologia
,
ma
il
Circolo
di
cultura
cattolico
finge
che
Padova
sia
ancora
quella
dell
'
Antonianum
,
della
grande
stagione
gesuitica
fra
le
due
guerre
,
invita
ad
ascoltare
Giovanni
Testori
«
che
leggerà
il
suo
ultimo
dramma
di
meditazione
sulla
morte
»
,
profumo
di
ceri
e
di
gigli
sfatti
.
Chi
entra
da
Ponte
Corvo
vede
,
a
sinistra
,
una
città
esotica
,
in
stupenda
decomposizione
,
un
ponticello
fragile
su
un
rivo
sepolto
da
una
vegetazione
metà
veneta
e
metà
subtropicale
;
da
cui
si
alzano
nel
cielo
le
cupole
e
i
minareti
-
campanile
del
santo
,
e
mura
annerite
dall
'
umidità
,
quei
marroni
tenui
delle
case
.
Ma
a
destra
condomini
altissimi
,
disegnati
da
Buzzati
,
laidi
e
tragici
,
nel
cielo
tempestoso
.
«
Morte
alla
borghesia
»
deve
essere
autonomo
,
a
vernice
,
ma
c
'
era
,
lì
accanto
,
una
bacheca
vuota
e
qualcuno
con
mano
notarile
,
in
bella
calligrafia
ha
scritto
«
Prego
,
non
sporchiamo
la
città
»
.
Gli
amici
di
Padova
-
squallidi
riformisti
,
s
'
intende
-
si
lamentano
dei
luoghi
comuni
giornalistici
,
dicono
che
c
'
è
anche
l
'
altra
Padova
.
Sarà
,
ma
la
Padova
dei
giovani
,
dell
'
Università
è
questa
:
un
dodici
per
cento
che
vota
,
in
maggioranza
democristiano
,
in
maggioranza
di
reddito
medio
alto
;
poi
quelli
che
non
si
vedono
mai
,
che
capitano
solo
agli
esami
,
forse
settanta
su
cento
e
poi
gli
incazzati
,
i
poveri
,
quelli
che
si
sentono
stranieri
a
questa
scuola
.
Anche
perché
non
capiscono
perché
ci
sia
,
a
cosa
serva
:
gli
autonomi
.
Perché
violenti
?
Musatti
ci
ha
detto
che
è
un
meccanismo
di
compensazione
,
l
'
altra
faccia
del
desiderio
di
onnipotenza
che
è
di
ogni
uomo
.
Violenza
contro
emarginazione
.
Uno
storico
come
il
professor
Prandstaller
può
vederci
una
storia
cattolica
,
dall
'
integralismo
dell
'
Antonianum
al
radicalismo
giacobino
.
E
il
portavoce
degli
autonomi
Emilio
Vesce
vi
dirà
,
senz
'
altro
,
che
tutto
dipende
«
dalla
assoluta
mancanza
di
credibilità
delle
istituzioni
,
qui
sono
nate
le
trame
nere
,
era
nera
la
magistratura
,
salvo
Tamburino
,
neri
i
poliziotti
»
.
La
storia
non
è
semplice
,
i
rami
per
cui
muove
la
provincia
cattolica
sono
sempre
contorti
,
sottili
,
la
spaccatura
fra
le
due
Padove
,
la
loro
incomunicabilità
può
sembrare
arcana
,
al
professor
Sabino
Acquaviva
,
quasi
una
maledizione
celeste
.
Ma
oggi
la
diversità
,
l
'
estraneità
hanno
la
chiarezza
di
una
stratificazione
geologica
,
argilla
o
granito
,
senza
alcuna
possibilità
di
dubbio
;
l
'
Italia
dei
partiti
,
dei
sindacati
,
degli
organizzati
,
dei
raziocinanti
,
del
buon
senso
,
delle
compatibilità
e
l
'
Italia
insicura
e
perciò
violenta
,
appena
uscita
dalla
foresta
nera
e
perciò
pronta
a
tutto
per
non
ritornarvi
,
che
nell
'
università
di
massa
vive
assieme
ai
ricchi
,
ne
mutua
i
desideri
e
i
bisogni
senza
poi
avere
i
mezzi
per
soddisfarli
:
ancora
un
esercito
di
«
spostati
»
come
dicono
i
sociologi
,
ancora
il
vecchio
gioco
delle
élites
colte
che
cercano
di
cavalcare
il
fatto
sociale
per
farne
uno
strumento
di
potere
,
nel
'21
per
fare
il
fascismo
,
adesso
chi
sa
.
Dove
il
privato
coincide
con
il
politico
,
dove
i
bisogni
esistenziali
si
verniciano
di
ideologie
arcaiche
o
fumose
,
dove
gli
uni
discutono
e
spesso
cianciano
a
vuoto
di
riforme
e
di
razionalità
,
e
gli
altri
chiedono
,
subito
,
posti
,
ragioni
di
esistere
,
di
partecipare
,
che
altro
può
esserci
se
non
la
incomunicabilità
e
l
'
ambiguità
?
Agli
occhi
dell
'
Italia
organizzata
,
assicurata
,
la
violenza
degli
altri
appare
incomprensibile
.
Se
a
Venezia
mettono
una
bomba
al
«
Gazzettino
»
,
giornale
cattolico
,
di
destra
,
si
pensa
,
secondo
la
comune
ragione
:
sarà
un
attentato
di
sinistra
.
Invece
sono
quelli
di
Ordine
Nuovo
.
Se
a
Padova
viene
sprangato
un
professore
«
democratico
»
,
ex
partigiano
,
comunista
come
Petter
o
come
Longo
si
dice
:
«
Sarà
una
provocazione
fascista
»
.
Invece
gli
autonomi
rivendicano
l
'
attentato
.
Nei
quartieri
popolari
di
Padova
la
violenza
scoppia
per
i
più
futili
pretesti
e
nelle
più
imprevedibili
direzioni
,
perché
è
un
bisogno
,
uno
sfogo
,
qualcosa
che
sta
nella
pancia
di
quelle
gioventù
e
deve
uscirne
,
e
noi
che
nella
pancia
quella
rabbia
non
ce
l
'
abbiamo
,
cerchiamo
,
smarriti
,
il
perché
e
il
per
come
politico
.
La
rapina
alle
casse
delle
mense
universitarie
non
è
razionale
,
ma
la
risposta
razionale
data
da
certe
facoltà
-
se
rapinano
le
casse
,
noi
le
facciamo
blindate
-
appare
come
una
provocazione
,
come
una
violenza
.
Non
c
'
è
comunicabilità
perché
non
c
'
è
quasi
niente
da
dire
.
La
cultura
cattolica
e
laica
,
che
ha
voluto
l
'
università
di
massa
per
sistemarvi
in
funzioni
docenti
i
suoi
figli
e
nipoti
,
ha
poco
o
niente
da
offrire
a
questi
che
fanno
i
neoleninisti
o
gli
helleriani
tanto
per
fare
qualcosa
,
ma
vogliono
posti
,
vogliono
soldi
,
vogliono
ciò
che
gli
altri
non
possono
dare
o
non
sono
capaci
di
dare
.
Così
la
violenza
serpeggia
imprevedibile
,
ambigua
,
indefinibile
.
In
vicolo
Ognissanti
viene
bruciata
una
sede
di
Lotta
continua
e
,
poco
più
in
là
,
una
agenzia
immobiliare
.
Perché
Lotta
continua
inclina
al
riformismo
?
Perché
l
'
agenzia
immobiliare
è
uno
strumento
della
speculazione
?
Sì
,
ma
come
pretesto
,
come
scusa
per
sentirsi
presenti
,
potenti
,
minacciosi
,
vivi
.
Un
giorno
irrompono
nel
negozietto
di
un
verduraio
:
qualche
cesto
di
frutta
,
un
po
'
di
insalata
,
due
contadini
inurbati
,
povera
gente
;
bastonati
a
sangue
,
il
negozio
incendiato
«
perché
era
aperto
durante
una
delle
festività
infrasettimanali
rubate
al
popolo
»
.
Ma
non
sono
popolo
due
contadini
inurbati
,
due
poveri
cristi
?
Sì
,
ma
i
casi
personali
non
contano
,
conta
l
'
esempio
,
l
'
azione
,
la
presenza
,
l
'
attivismo
.
Era
così
anche
il
fascismo
nascente
,
ma
non
cadiamo
nella
falsa
consolazione
dei
paragoni
troppo
facili
:
l
'
esercito
degli
«
spostati
»
è
di
nuovo
in
marcia
,
non
si
sa
dove
andrà
a
parare
;
e
imprecare
,
maledire
in
nome
della
santa
democrazia
serve
a
poco
;
anche
accorgersi
adesso
,
marzo
del
1979
,
che
alla
facoltà
di
Psicologia
di
Padova
è
stato
ripetuto
lo
stesso
errore
di
Trento
e
di
Milano
,
da
cui
,
si
poteva
almeno
ricordarlo
,
sono
nati
Potere
Operaio
e
le
Brigate
Rosse
.
La
facoltà
di
Psicologia
di
Padova
viene
immaginata
,
come
quella
di
Trento
,
come
una
università
di
élite
:
per
i
nuovi
tecnocrati
,
al
servizio
del
sistema
.
E
di
nuovo
l
'
esercito
degli
spostati
,
che
attende
in
ogni
provincia
italiana
,
lancia
il
suo
ballali
e
parte
alla
conquista
del
vuoto
;
una
facoltà
che
doveva
avere
mille
studenti
se
ne
trova
,
in
breve
,
novemila
.
Gli
autonomi
non
sono
di
aspetto
gradevole
,
come
di
solito
non
lo
sono
í
poveri
;
i
loro
metodi
sono
violenti
,
spesso
il
privato
si
traduce
in
ferocia
stupida
,
in
cinismo
da
quattro
soldi
;
il
gioco
del
potere
che
si
fa
sulla
loro
pelle
può
anche
assomigliare
a
una
triste
parodia
del
leninismo
.
Ma
anche
vedere
la
palazzina
dove
ha
sede
la
facoltà
di
Psicologia
non
è
un
bel
vedere
,
anche
vedere
degli
uffici
,
dei
locali
,
delle
attrezzature
che
andrebbero
in
frantumi
se
gli
studenti
compissero
il
loro
dovere
di
venirci
a
studiare
non
è
un
bel
vedere
.
Sono
accorsi
a
migliaia
a
Psicologia
per
le
stesse
ragioni
per
cui
erano
andati
a
Trento
:
l
'
illusione
di
impadronirsi
in
qualche
modo
della
chiave
per
capire
gli
altri
e
per
comandarli
;
ancora
il
desiderio
di
onnipotenza
pessimamente
collocato
in
una
macchina
della
frustrazione
e
della
impotenza
.
Che
altro
era
nella
vecchia
Italia
la
corsa
generale
a
Giurisprudenza
?
La
speranza
di
entrare
a
far
parte
di
quelli
che
conoscono
le
machiavelliche
procedure
dei
dottori
.
Qui
a
Psicologia
anche
la
voglia
della
scorciatoia
,
di
lauree
facili
con
bibliografia
ridotta
;
e
poi
di
posti
di
prestigio
,
in
una
categoria
di
moda
:
gli
psicologi
,
dopo
i
sociologi
,
gli
urbanisti
,
gli
architetti
e
le
altre
onde
delle
ricorrenti
mode
sociali
.
Dicono
bene
i
francesi
:
un
raz
de
marée
,
una
marea
che
sale
,
d
'
improvviso
;
in
una
di
quelle
professioni
che
fanno
saltare
i
nervi
,
le
professioni
-
dice
Pizzorno
-
che
mettono
di
fronte
i
mille
che
avranno
un
buon
posto
e
un
alto
stipendio
,
agli
ottomila
che
non
avranno
niente
e
lo
prevedono
,
lo
sanno
e
si
incazzano
in
anticipo
.
Certo
,
le
aggressioni
a
Petter
e
a
Longo
sono
state
ignobili
,
cretine
,
al
punto
che
fra
gli
stessi
autonomi
ci
sarebbero
critiche
,
dissensi
aperti
se
non
intervenisse
la
disciplina
neoleninista
-
carbonara
-
mafiosa
che
li
tiene
assieme
.
Ma
è
anche
stato
mediocre
,
prima
,
lasciar
gonfiare
la
facoltà
per
piazzarci
figli
e
nipoti
di
professori
.
Adesso
il
rettorato
cerca
una
soluzione
pratica
:
arrivare
in
qualche
modo
al
numero
chiuso
senza
proclamarlo
formalmente
.
Per
potere
,
si
può
,
all
'
italiana
.
Si
chiudono
gli
uffici
per
le
iscrizioni
,
si
mettono
a
tacere
per
il
primo
anno
i
corsi
più
importanti
,
si
inizia
il
decentramento
:
in
Francia
è
riuscito
,
in
America
funziona
.
Ma
sì
,
a
parole
si
può
fare
tutto
,
dire
tutto
;
ma
solo
con
le
parole
non
si
cambia
niente
e
qui
,
da
dieci
anni
a
questa
parte
,
pochissimo
è
cambiato
,
salvo
il
numero
degli
incazzati
e
degli
emarginati
che
è
in
continuo
aumento
,
salvo
il
numero
delle
pistole
e
delle
molotov
che
è
in
continua
moltiplicazione
,
salvo
la
prospettiva
di
una
guerriglia
diffusa
,
già
in
atto
e
magari
capace
di
allargarsi
a
guerra
civile
con
conseguenti
repressioni
di
tipo
argentino
.
Perché
questa
è
la
contrapposizione
tragica
:
un
potere
immobile
,
incapace
di
uscire
dai
suoi
vizi
,
e
una
opposizione
che
si
affida
solo
alla
rabbia
,
troppo
poco
per
essere
l
'
alternativa
in
un
paese
industriale
avanzato
.
StampaQuotidiana ,
Milano
.
Questa
storia
di
miliardi
e
di
sangue
matura
nella
Milano
degli
ultimi
anni
Sessanta
.
In
quella
Milano
che
vede
i
metalmeccanici
in
tuta
blu
scendere
in
piazza
per
migliori
salari
e
i
titoli
metalmeccanici
salire
in
Borsa
sotto
la
spinta
della
speculazione
.
In
quella
Milano
che
vede
í
primi
cortei
dei
ragazzi
di
Mario
Capanna
sfilare
al
grido
di
«
Fascisti
,
borghesi
,
ancora
pochi
mesi
»
,
ma
che
assiste
anche
alle
prime
gesta
dei
futuri
assaltatori
della
Borsa
,
ai
primi
vorticosi
scambi
di
pacchetti
azionari
,
alle
prime
colossali
e
inspiegabili
fortune
finanziarie
.
I
protagonisti
della
storia
sono
tre
:
Michele
Sindona
,
Carlo
Bordoni
,
Giorgio
Ambrosoli
.
Sono
passati
appena
dieci
anni
e
quest
'
ultimo
già
è
morto
ammazzato
l
'
altra
sera
a
Milano
sotto
casa
sua
.
Bordoni
si
sta
lentamente
spegnendo
nel
Correctional
Center
di
Manhattan
,
il
più
grande
carcere
di
New
York
,
colpito
da
una
grave
malattia
.
Michele
Sindona
,
invece
,
vive
tranquillo
e
apparentemente
spensierato
in
una
comodissima
suite
dell
'
Hotel
Pierre
,
forse
il
più
bell
'
albergo
di
tutta
New
York
.
Prima
di
cadere
sotto
i
colpi
di
una
P38
,
Ambrosoli
aveva
fatto
in
tempo
a
sporgere
denuncia
contro
ignoti
perché
sapeva
che
stavano
cercando
di
farlo
fuori
.
Bordoni
,
benché
rinchiuso
in
carcere
e
sorvegliato
quasi
a
vista
,
riesce
a
far
filtrare
continuamente
messaggi
nei
quali
accusa
Sindona
di
voler
attentare
alla
sua
vita
.
Ma
nel
1968
questi
tre
uomini
quasi
ancora
non
si
conoscevano
.
Michele
Sindona
era
allora
poco
più
di
un
grande
esperto
in
questioni
finanziarie
e
immobiliari
.
In
città
non
lo
frequentava
nessuno
,
se
si
escludono
alcuni
ristretti
circoli
finanziari
e
alcuni
personaggi
importanti
del
mondo
dell
'
industria
e
delle
banche
.
Quando
un
giornalista
dell
'
«
Espresso
»
gli
chiese
il
permesso
per
farlo
fotografare
,
rispose
secco
:
«
Se
vedo
arrivare
un
fotografo
,
gli
faccio
sparare
dall
'
autista
»
.
Il
primo
ad
accorgersi
delle
grandi
qualità
di
questo
ambizioso
avvocato
siciliano
era
stato
il
Marinotti
della
Snia
Viscosa
,
che
si
era
rivolto
a
lui
per
certe
storie
relative
ai
danni
di
guerra
e
che
ne
aveva
tratto
un
giovamento
preziosissimo
.
Ma
la
vera
pista
di
lancio
di
Sindona
è
stato
l
'
avvocato
Carnelutti
:
insieme
hanno
fatto
i
primi
affari
,
insieme
hanno
messo
piede
nella
prima
banca
,
la
Moizzi
,
destinata
a
diventare
poi
la
Privata
Finanziaria
e
la
fonte
di
tutte
le
disgrazie
future
,
compresa
la
morte
di
Ambrosoli
e
il
terrore
di
Carlo
Bordoni
.
Nel
1968
Michele
Sindona
,
che
è
già
il
padrone
assoluto
della
Banca
Privata
Finanziaria
,
sta
per
mettere
le
mani
sulla
Banca
Unione
e
sta
per
lanciarsi
nel
mondo
della
Borsa
e
della
speculazione
sui
cambi
in
grande
stile
.
Carlo
Bordoni
,
che
proprio
in
quegli
anni
inizia
la
sua
collaborazione
con
l
'
avvocato
siciliano
,
ha
una
storia
diversa
,
tutta
segnata
dalla
carriera
in
banca
.
La
sua
professione
,
il
suo
vero
destino
,
è
quello
del
cambista
:
ogni
giorno
Bordoni
arriva
in
ufficio
alle
sei
della
mattina
,
tiene
fra
le
labbra
un
grosso
sigaro
cubano
,
si
mette
personalmente
al
telex
e
comincia
a
imbastire
le
sue
speculazioni
.
Marchi
contro
yen
,
dollari
contro
franchi
svizzeri
,
sterline
contro
fiorini
.
E
,
quando
proprio
c
'
è
troppa
calma
sui
mercati
valutari
,
anche
platino
contro
oro
,
oppure
,
nei
momenti
di
magra
assoluta
,
patate
contro
cipolle
.
Per
Bordoni
tutto
va
bene
.
Purché
si
tratti
di
comprare
e
vendere
sulla
carta
,
Bordoni
non
ha
magazzini
,
non
ha
camions
,
non
ha
niente
;
gli
bastano
un
telex
e
qualche
telefono
con
le
linee
dirette
per
tutto
il
mondo
.
Nel
giro
dei
cambisti
ha
una
fama
enorme
:
si
dice
che
sia
il
più
bravo
in
Europa
e
,
forse
,
addirittura
nel
mondo
.
Ma
sul
suo
conto
circolano
storie
inquietanti
.
Si
racconta
di
guadagni
favolosi
,
ma
anche
di
perdite
tremende
.
Si
ricorda
,
ad
esempio
,
come
il
consiglio
di
amministrazione
di
una
delle
più
importanti
banche
italiane
lo
abbia
licenziato
sui
due
piedi
perché
colto
dal
terrore
davanti
all
'
enormità
delle
sue
operazioni
in
cambi
,
tali
da
mettere
in
pericolo
la
stessa
solidità
dell
'
azienda
.
E
si
racconta
ancora
,
ma
forse
è
leggenda
,
di
una
sua
colossale
speculazione
al
ribasso
contro
il
fiorino
che
provocò
addirittura
l
'
intervento
della
diplomazia
olandese
.
Giorgio
Ambrosoli
,
invece
,
entra
in
questa
storia
solo
più
tardi
,
nell
'
autunno
del
1974
,
e
nel
ruolo
del
riparatore
di
torti
.
Nel
1968
è
ancora
chino
sui
libri
contabili
della
Sfi
,
un
imbroglio
finanziario
che
all
'
inizio
degli
anni
Sessanta
aveva
fatto
tremare
mezza
pianura
padana
,
una
ventina
di
industriali
di
primo
piano
e
grossi
esponenti
della
DC
lombarda
.
Quei
libri
gli
erano
stati
affidati
nel
1964
e
la
sua
opera
di
liquidatore
della
Sfi
avrà
termine
solo
nel
1972
:
giusto
il
tempo
per
prendere
fiato
un
paio
d
'
anni
,
prima
di
ripiegare
la
testa
su
un
nuovo
scandalo
,
ben
più
grosso
e
inquietante
,
quello
di
Michele
Sindona
,
di
Carlo
Bordoni
e
di
tanti
altri
i
cui
nomi
forse
non
conosceremo
mai
.
Ambrosoli
,
cioè
,
è
l
'
esatto
contrario
dei
due
personaggi
con
i
quali
la
sua
vita
si
incrocerà
e
si
perderà
.
È
un
avvocato
,
come
Sindona
,
ma
non
ama
le
avventure
,
è
prudente
,
è
di
ghiaccio
,
è
implacabile
.
Quasi
sempre
chiuso
dentro
un
blazer
blu
e
anonimi
pantaloni
grigio
scuro
,
instancabile
fumatore
di
sigarette
,
pignolo
al
punto
da
controllare
anche
le
bollette
della
luce
di
Michele
Sindona
,
dopo
il
1974
si
rivelerà
come
il
più
tenace
avversario
che
l
'
avvocato
siciliano
abbia
incontrato
.
Alla
fine
,
pur
non
avendolo
mai
visto
in
faccia
saprà
tutto
di
lui
,
più
di
ogni
altro
al
mondo
.
Ma
nel
1968
,
si
diceva
,
Ambrosoli
lavora
a
riparare
antiche
ingiustizie
.
Sindona
e
Bordoni
,
invece
,
stanno
preparando
la
loro
scalata
nella
finanza
internazionale
.
Lo
schema
concettuale
da
cui
partono
è
talmente
semplice
da
lasciare
sbalorditi
.
Attraverso
le
loro
banche
e
le
loro
moltissime
società
rastrellano
denaro
in
Italia
e
nel
mondo
offrendo
qualche
punto
percentuale
in
più
sugli
interessi
.
Questi
soldi
,
poi
,
vengono
utilizzati
per
le
più
straordinarie
speculazioni
rialziste
che
si
siano
mai
viste
in
piazza
degli
Affari
e
per
le
più
temerarie
speculazioni
in
cambi
che
siano
mai
state
condotte
sui
mercati
internazionali
.
Montagne
di
dollari
attraversano
l
'
Oceano
manovrate
dai
cavi
telex
e
telefonici
di
Bordoni
,
magari
più
volte
nello
stesso
giorno
e
nei
due
sensi
.
Il
denaro
sembra
moltiplicarsi
solo
nell
'
andare
avanti
e
indietro
.
In
realtà
sta
fermo
:
a
muoversi
è
solo
Bordoni
con
i
suoi
messaggi
in
codice
e
le
sue
brucianti
telefonate
sulle
principali
piazze
finanziarie
del
mondo
.
La
Borsa
di
Milano
è
invece
il
regno
di
Sindona
.
I
titoli
della
sua
scuderia
sembrano
conoscere
solo
il
movimento
verso
l
'
alto
.
La
voce
si
sparge
e
questo
siciliano
che
nessuno
conosce
ancora
diventa
una
specie
di
lotteria
nella
quale
tutti
sanno
di
poter
vincere
sempre
.
I
guadagni
vengono
investiti
in
nuove
imprese
,
sempre
più
grandi
.
Ma
la
passione
di
Sindona
rimangono
le
banche
.
Dopo
la
Privata
Finanziaria
e
la
Unione
,
vengono
la
Amincor
e
la
Fina
in
Svizzera
,
la
Wolff
in
Germania
e
,
ecco
la
scalata
al
cielo
,
la
Franklin
di
New
York
,
uno
dei
più
grandi
istituti
di
credito
degli
Stati
Uniti
.
Il
sogno
di
una
vita
sbagliata
è
realizzato
:
Sindona
è
un
finanziere
con
interessi
sulle
due
sponde
dell
'
Atlantico
.
Comincia
a
frequentare
non
solo
gli
uomini
che
contano
a
Milano
,
ma
anche
quelli
che
contano
a
Roma
,
soprattutto
democristiani
.
Conosciutissima
è
la
sua
amicizia
con
Andreotti
.
Ma
è
anche
la
fine
.
All
'
inizio
del
1974
Bordoni
e
Sindona
si
accorgono
che
i
conti
non
tornano
,
mancano
100
miliardi
,
forse
200
,
forse
1000
.
Ormai
nessuno
di
loro
due
può
dirlo
.
Sono
persi
dentro
le
loro
stesse
trame
finanziarie
.
Bordoni
è
il
primo
a
scappare
,
si
rifugia
a
Caracas
,
dove
verrà
ripescato
dalla
polizia
americana
per
certe
illegalità
commesse
alla
Franklin
.
Sindona
lancia
con
la
Finambro
un
'
operazione
destinata
a
procurargli
almeno
150
miliardi
di
lire
fresche
e
pulite
,
ma
viene
giustamente
bloccato
dall
'
allora
ministro
del
Tesoro
Ugo
La
Malfa
.
Alla
fine
,
in
giugno
,
troverà
i
100
miliardi
presso
il
Banco
di
Roma
cedendo
la
proprietà
del
suo
impero
.
Ma
è
troppo
tardi
.
Tanto
in
Italia
quanto
in
America
ci
sono
ispettori
in
tutte
le
sue
banche
.
Saltano
fuori
speculazioni
sui
cambi
per
3
o
4
miliardi
di
dollari
,
truffe
e
pasticci
di
ogni
sorta
.
Anche
Sindona
abbandona
il
campo
e
fugge
a
New
York
appena
in
tempo
per
evitare
il
mandato
di
cattura
.
E
tutta
la
storia
passa
nelle
mani
di
Giorgio
Ambrosoli
,
nominato
liquidatore
della
Banca
Privata
Italiana
.
In
mano
a
un
altro
quell
'
enorme
mucchio
di
carte
false
,
di
contratti
mai
onorati
e
di
miliardi
a
volte
mai
esistiti
che
fu
l
'
impero
Sindona
sarebbe
ancora
avvolto
nel
mistero
e
quindi
innocuo
.
Ma
Ambrosoli
,
come
una
brava
talpa
lombarda
,
scava
fino
nei
più
segreti
angolini
e
consegna
,
proprio
pochi
giorni
fa
,
una
monumentale
relazione
alla
magistratura
:
la
verità
,
dopo
cinque
anni
di
indagini
.
Una
verità
,
evidentemente
,
scomoda
.
Tanto
scomoda
da
essere
ripagata
a
colpi
di
pistola
.