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> anno_i:[1970 TO 2000}
Protesta e sberleffo ( Rodotà Stefano , 1987 )
StampaPeriodica ,
Il voto di protesta s ' insinua dappertutto , dissolve schieramenti tradizionali , amplifica le voci più diverse . E mai come questa volta i primi commenti hanno sottolineato questo carattere del voto . Protestano gli operai di Marghera e i piemontesi delle valli , cacciatori di Reggio Calabria e giovani al primo voto , ecologisti e adoratori di Cicciolina . Ma è tutta vera protesta ? Quale denominatore comune si può offrire a interessi e a gruppi tanto diversi ? Ci si può fermare al confronto tra le varie liste o si deve guardare al modo nel quale sono state indirizzate le preferenze ? Una novità comunque c ' è . Quello che nelle ultime occasioni era stato il comportamento di protesta per eccellenza , l ' astensionismo elettorale e il voto bianco o nullo , non riceve più il favore dei cittadini . Cresce il numero già altissimo dei votanti , le schede bianche e nulle sembrano in diminuzione . Questo vuol dire che l ' offerta elettorale , rappresentata dalle liste in competizione , è apparsa questa volta più allettante che in passato , capace di interpretare meglio le spinte dell ' elettorato . Ma che tipo di spinte ? Attenzione , dice più d ' uno : sono spinte localistiche , corporative , razziste addirittura . Nel programma delle liste locali piemontesi non c ' erano forse le proposte di non pagare la quota delle imposte che va a favore del Mezzogiorno e il rifiuto di avere insegnanti o impiegati meridionali ? Voti del genere esprimono certamente una protesta , che si dirige verso l ' intero sistema dei partiti ed esaspera interessi particolaristici . E sulla stessa linea si trovano quelli che , a Reggio Calabria , formano e votano una lista per dare la caccia al falco pecchiaiolo . Questa protesta , però , non ha nulla a che vedere con il voto dato alle liste verdi . Qui si ritrova il rifiuto di un ambiente pesantemente degradato . Ma la motivazione fondamentale è l ' affermazione positiva di nuovi valori , in grado di fornire alla politica la capacità di interpretare meglio le esigenze del mondo di oggi e di domani . E il voto ai radicali e al loro ultimo emblema elettorale , Cicciolina ? Qui di protesta non c ' è nulla . C ' è un puro sberleffo alle istituzioni , che in altri casi si è espresso scrivendo sulla scheda frasi variamente oltraggiose . Su questa base mi sembra che sia stata costruita una operazione consapevole e mirata di discredito del Parlamento . Già durante la campagna elettorale si è irriso a una possibile maggioranza di alternativa " da Natta a Cicciolina " . Domani sarà facile ridicolizzare la richiesta di portare il governo in Parlamento per discutere qualche serio problema . Immagino già la battuta : " Vogliamo discutere di queste cose con Cicciolina ? " . Un ' altra pietruzza sarà così stata portata alla costruzione di chi vuol liberarsi dell ' ingombro del Parlamento per adottare modi di governo sempre più sbrigativi e autoritari . Una prima analisi del voto ci dice pure che , per esempio , i verdi hanno trovato consensi nei quartieri operai dove è stata secca la perdita comunista . Una protesta contro il degrado ambientale di zone come Marghera ? Certamente . Ma anche un modo di sottolineare il distacco da un partito non più ritenuto il difensore di fasce sociali deboli . Ecco , allora , un paradosso di queste elezioni . Il sistema politico si articola , dà ingresso in Parlamento a interessi nuovi , ma non riesce a offrire rappresentanza adeguata a interessi " vecchi " , se così si possono definire quelli di una parte della tradizionale classe operaia . Il voto per il Pci si segnala anche per il largo consenso ricevuto dagli indipendenti . Questo vuol dire adesione alla scelta di apertura alla società fatta dal Pci . Ma non c ' è pure protesta contro uomini e apparati di partito , giudicati dallo stesso elettorato comunista non adeguati a quel rinnovamento che le candidature indipendenti vorrebbero simboleggiare ? Come rispondere al diffuso malessere espresso da questi diversi voti ? Con una legge elettorale che impedisca ai gruppi minori di entrare in Parlamento ? Attenzione , però . Se il sistema politico è malato , la cura non può consistere soltanto nel rompere il termometro .
StampaQuotidiana ,
Signor Presidente della Repubblica , non le sottopongo il caso di un mio collega , ma quello di un cittadino . Non auspico un suo intervento , ma non saprei perdonarmi il silenzio . Vicende come quella che ha portato in carcere Enzo Tortora possono accadere a chiunque . E questo mi fa paura . Lei è il massimo esponente dell ' organo supremo dei Magistrati : e deve sapere . Ho un sincero e profondo rispetto per i giudici che , come i giornalisti , hanno pagato , e pagano , un duro conto con il crimine . Conoscevo Alessandrini , e voglio bene ai figli del dott. Galli . Credo nell ' onestà e nel sacrificio di quelli che lottano , a Napoli e ovunque , contro la camorra e la mafia . Ma ci sono aspetti del « blitz » contro i cutoliani che lasciano perplessi : dalla data , una settimana o poco più prima delle elezioni , agli sviluppi . Dalle conferenze stampa trionfalistiche , alla caccia all ' uomo con cineprese al seguito , dal segreto istruttorio largamente violato , al numero degli arrestati e dei dimessi . Su 350 , se le cronache sono esatte , 200 sono tornati fuori : ma , hanno detto gli Inquirenti , e mi scuso per l ' odioso e usatissimo termine che suscita il ricordo di antiche procedure , molti rientreranno in cella , Come dire , che si può sbagliare fino a tre volte : arresto , scarcerazione , altra cattura . Ma qual è la buona ? Tortora è denunciato da un tale Pandico , che fa il suo nome dopo tre interrogatori : guarda caso , un personaggio così popolare non gli viene in mente subito . Le conferme vengono da un certo Barra , conosciuto nell ' ambiente come « O ' animale » : è lui che parla dello « sgarro » , e che fa andar dentro il sindaco D ' Antuono , rilasciato poi al trentanovesimo giorno di detenzione per mancanza di indizi . È sempre lui che riferisce della visita a Cutolo dei Gava e dei servizi segreti , per tirare fuori dagli impicci l ' amico Cirillo , ma di questa impresa non si discute . Gli avvocati che difendono il presentatore non hanno potuto leggere neppure i verbali degli interrogatori del loro assistito ; ci sono periodici che hanno pubblicato i testi delle deposizioni dei due camorristi accusatori . Chi glieli ha dati ? Ogni mattina , la stampa ha ricevuto la sua dose di indiscrezioni : Tortora fu iniziato col taglio di una vena , Tortora ha spacciato droga per 80 milioni e non ha consegnato l ' incasso , Tortora ha riciclato denaro sporco , Tortora era amico di Turatello : smentisce la madre del bandito , smentisce , ed è a disposizione , il suo braccio destro . Nessun segno sui polsi . Ma ci sarebbe la conferma di una « contessa » : che non può testimoniare , perché , guarda caso , è morta . C ' è la prova che dovrebbe mettere in difficoltà Tortora : una lettera di Barbaro Domenico per dei centrini andati perduti alla RAI . Esiste un carteggio tenuto dall ' ufficio legale della TV di Stato , ma non significa nulla . Conta , invece , la parola di due assassini . Poi ci sarebbe l ' altro seguace di Cutolo , che messo in libertà avrebbe dovuto far fuori il compare Tortora che ha tradito , tanto è vero che ha scritto il nome dell ' autore di Portobello nella sua agenda che è come se Oswald avesse segnato sul calendario : « Mercoledì : sparare a Kennedy » . È pensabile che i misteriosi tipi che stanno sconvolgendo la nostra vita , per far fuori uno , o per far saltare una automobile , abbiano bisogno di aspettare che un detenuto torni in circolazione ? Si ha l ' impressione che , dopo aver messo le manette a Tortora , stiano cercando le ragioni del provvedimento . Ma ecco che arriva il colpo sensazionale : col caldo che imperversa , il dottor Di Persia corre a Milano , perché ha trovato finalmente chi può schiacciare quel finto galantuomo di Tortora . C ' è uno che lo ha visto , nientemeno , consegnare della polvere bianca in cambio di una mazzetta di banconote , a un terzetto di farabutti , ed ha assistito alla scena in compagnia della sua gentile signora . Il dottor Di Persia non si informa sui precedenti del « noto pittore » , che si chiama Giuseppe Margutti , ed è tanto riservato , odia tanto la pubblicità , e dà dello stesso fatto versioni differenti : una ad un redattore di « Stop » , l ' altra al Sostituto Procuratore . Bene , l ' artista , che si è fatto denunciare dal Louvre per una mostra delle sue opere non richiesta , che inventa , per andare con una donna , un rapimento , che mette in circolazione francobolli con la sua faccia , che dichiara guerra agli USA che lo hanno buttato fuori , che immagina un sequestro che non c ' è mai stato , che denuncia i critici che non lo capiscono , che si fa incatenare nella Galleria di Milano , che chiama i fotografi per farsi ammirare mentre imbianca i muri sudici dell ' asilo di sua figlia è il teste chiave . I giudici di Napoli spiegano poi agli avvocati Dall ' Ora , Della Valle e Coppola , tutori di Tortora , che le chiacchiere di Margutti costituiscono « un importante risultato sul piano probatorio » . Signor Presidente , chi risarcirà Tortora di queste calunnie ? Col pappagallo , dovrà forse andare a distribuire i pianeti della fortuna ? Del resto , visto come va la giustizia , a chi si dovrebbe affidare ?
A Grenada con gli americani ( Malatesta Stefano , 1983 )
StampaQuotidiana ,
Grenada , 31 . Si parte in aereo per Grenada , con la US Air Force , spintonando illustri giornalisti venuti da tutto il mondo , dopo aver bivaccato durante la notte in un capannone del vecchio aeroporto di Barbados . Ormai da anni il vecchio circo Barnum che accompagna e segue guerre e colpi di Stato si è gonfiato a proporzioni ipertrofiche , ed è diventato sempre più rissoso e ansioso : scene invereconde di anziani professionisti che pietiscono informazioni al passaggio degli ufficiali , altrimenti saranno licenziati ; maledizioni lanciate contro le onnipotenti catene televisive americane , che riescono con protervia ad essere sempre le prime . L ' altro ieri mattina qualche decina di ragazzi vestiti da « avventurieri » , come il baffone rosso della pubblicità delle Marlboro , si strappavano di mano i moduli che le forze armate USA distribuivano per la richiesta del volo a Grenada , sottoscrivendo che viaggiavano a loro rischio e pericolo eccetera . L ' isola appare dall ' alto assai verde e montuosa , con magnifiche spiagge intorno . L ' ufficiale che ci accompagna ne indica il nord , dicendo solo « cubani » : la resistenza , anche se sporadica , continua tra le macchie e nelle colline . Si parla anche di un contingente di cubani e di grenadesi scoperto a Carrincou , un isolotto subito a nord di Grenada . Si atterra quasi sul mare , senza difficoltà , tra gli Hercules che continuano a rollare , camion , jeep che attraversano la pista in tutte le direzioni , casse di materiali diversi e di viveri . Poi , dopo alcune istruzioni , avvertimenti sull ' ora del ritorno , proibizioni di comprare o vendere alcunché , inizia il giro guidato . « Tra un paio di giorni sarete liberi di andare dove volete , anche nel centro di St . George » dice l ' ufficiale al seguito . L ' air terminal dell ' aeroporto di Point Salines è ancora in costruzione : ci sono le impalcature di legno , le gru e le impastatrici di cemento abbandonate . Un altro ufficiale dell ' aviazione spiega che la pista lunga più di tremila metri avrebbe permesso ai Mig-23 da combattimento , ai trasporti sovietici di atterrare senza difficoltà : « come a dire : il Venezuela sotto la minaccia dei Mig » . Un giornalista inglese chiede , con aria sorniona , di vedere gli hangar blindati , i magazzini sotterranei , come ci sono in tutti gli aeroporti militari . C ' è un momento di imbarazzo , l ' ufficiale si scusa , non sa : « Probabilmente » dice « li avrebbero costruiti più tardi » . Si passeggia nei dintorni dell ' aeroporto . Dietro mucchi di terra scavata , sormontati dalla bandiera americana , è sdraiata una pattuglia di paracadutisti . La metà sono di colore , ragazzoni immensi , dall ' aria parecchio dura , che non si staccano mai un momento dai fucili mitragliatori . Non hanno l ' autorizzazione a parlare . Le poche frasi ripetono concetti già sentiti : i cubani hanno combattuto magnificamente , non ci aspettavamo una simile resistenza . Naturalmente gli americani hanno vinto : ma sono dovuti sbarcare in cinquemila appoggiati dai cacciabombardieri , dagli elicotteri , dalle navi , contro qualche centinaio di cubani e pochi soldati grenadesi ( come ha ammesso lo stesso comando americano ) . I marines , i rangers e i paracadutisti sono truppe scelte , battaglioni - crack , ma l ' invasione di Grenada non sembra essere stata un test sufficiente per le loro capacità . Secondo il « Miami Herald » , alcuni di loro non sapevano bene contro chi andavano a combattere : un comandante di pattuglia , incontrato da un reporter sbarcato avventurosamente nell ' isola durante le prime ore dell ' invasione , gli ha chiesto se sapesse cosa stava succedendo : « L ' esercito dei Caraibi è con noi o contro di noi ? » . Sembra che le carte in dotazione fossero fotocopie di mappe turistiche . I prigionieri cubani sono sempre sotto il sole , circondati da filo spinato . Dormono nelle baracche vicino : dovrebbero essere trasportati al più presto a Cuba in nave . Alcuni fumano ostentatamente , con piacere , con calma , grossi sigari , come ci avevano detto , il cappello di paglia . Un poliziotto di Barbados , di guardia insieme con un marine , racconta con un sorriso che non è che i cubani abbiano una riserva infinita di sigari . Fumano solo quando arrivano i giornalisti . Sembra che ci si sia messi quasi d ' accordo sul numero degli uomini di Fidel Castro presenti nell ' isola . Non sono 1100 , come aveva dichiarato due giorni fa con sicurezza l ' ammiraglio a tre stelle Joseph Metcalf III , comandante delle forze americane a Grenada . La cifra approssimativa , tra i sette e gli ottocento , è molto vicina a quella fatta dall ' ambasciatore cubano a Barbados . Prima di partire per Grenada , era arrivata la notizia della cattura di Hudson Austin , il capo del consiglio militare rivoluzionario , ritenuto il mandante dell ' assassinio di Maurice Bishop . Sembra che abbia continuato a combattere per alcuni giorni dopo l ' invasione , spalleggiato da cubani e dalla sua guardia grenadese . Il vice primo ministro Bernard Coard , il marxista inflessibile , molto legato a Castro , la mente del complotto , era stato preso sabato insieme con la moglie . Lo hanno trovato nascosto in una casa su una collina vicino alla residenza del governatore generale : secondo informazioni ricevute da fonti locali , un battaglione USA ha circondato il gruppo di Coard in un edificio governativo ad est della capitale e ne ha accettato la resa . Il gruppo non ha fatto alcuna resistenza . Grenadesi locali hanno inoltre indicato alle forze USA enormi depositi clandestini di armi e munizioni di piccolo calibro , immagazzinate in case private e depositi presso la capitale . Ci mostrano i magazzini traboccanti di armi : decine di casse di proiettili , armi anticarro , mortai cinesi , lanciarazzi . L ' ambasciatore di Grenada alle Nazioni Unite prima del colpo di Stato ha dichiarato di sospettare che le munizioni e le armi siano state piazzate là dagli invasori . Ma com ' è possibile che gli USA abbiano sempre a disposizione un arsenale militare straniero da rimorchiarsi dietro ad ogni invasione e da sistemare alla bisogna ? Quasi tutte le armi e munizioni sono infatti cubane , cecoslovacche , russe , cinesi . Sui documenti top - secret ritrovati si hanno notizie più a Washington che a Grenada : si assicura molto genericamente , ma con enfasi , di un accordo tra Grenada e l ' URSS per il rifornimento di armi attraverso Cuba . Non c ' è molta gente in giro , e pochi sono quindi disposti a parlare . Una donna racconta tra i singhiozzi gli attacchi degli aerei , i bombardamenti . Un inglese residente a Grenada spiega che c ' erano già fratture , nei giorni immediatamente prima l ' invasione , tra l ' esercito rivoluzionario del popolo , controllato da Hudson Austin , e la milizia , circa diecimila lavoratori con addestramento sommario , che adoravano Bishop . Sembra che molti soldati dell ' esercito rivoluzionario abbiano gettato nei campi le uniformi al primo sbarco dei marines , sistemandosi in abiti civili . I più volenterosi tra gli intervistati , che circolano nella zona dell ' aeroporto senza fare nulla , sono tutti pro americani . « Vi è stata una felicità alla notizia dello sbarco » dice uno , « sapevamo quello che era successo a Bishop , sapevamo dove stavamo andando . » Un altro racconta che le prime pattuglie dei marines , sbarcati nel nord di Grenada , sono stati accolti con frutta , acqua , vino e manifestazioni di giubilo : « Un ufficiale americano mi ha detto che sono stati gli abitanti di Grenada ad informarli sulle postazioni dei cubani e dell ' esercito . Una donna lo ha portato sul posto dove c ' era un cannone anticarro » . Dichiarazioni che contrastano con quelle fatte ad altri giornalisti e molto difficili , per ora , da verificare : è tardi e l ' aereo che torna a Barbados ci aspetta .
Così ho pagato i politici ( Pansa Giampaolo , 1983 )
StampaQuotidiana ,
Torino . « Tangenti ? Be ' , io le chiamerei provvigioni , nei miei interrogatori ho sempre usato questo termine . Comunque » concede Zampini , assaporando il sigaretto « diciamo pure tangenti . Certo che ne ho pagate , per qualche miliardo . Vuole una cifra meno vaga ? Più di uno , meno di cinque . Se non le avessi pagate , le mie possibilità di lavoro si sarebbero ridotte quasi a zero . La tangente , del resto , è un investimento che frutta il cento per cento l ' anno . Ed è naturale che sia così : i politici sono gente attivissima , il loro mestiere è fare affari , la politica è appena un corollario ... » . Adriano Zampini , 34 anni , geometra , martella le parole con calma . È l ' « Alpino » dello scandalo torinese , l ' uomo nero che ha fatto crollare la giunta rossa , l ' imputato - chiave di un processo che fra pochi mesi scoperchierà molte pentole subalpine . Con lui in aula ci saranno i presunti corrotti : un mazzo di politici socialisti , democristiani , comunisti : « Se provo astio per loro ? Ma no ! Sono tutti degli amici . Li stimo come li stimavo prima . Oggi fanno il possibile per salvarsi . E per salvarsi dicono che sono un millantatore ... » . E sorride . Già , ma come sorride Zampini ? Ha un sorriso da giovane lupo , in un viso forte , con due occhi azzurro freddo , e una barba da vero alpino . È un tipo alto , ben squadrato , l ' aria terribilmente sicura di uno che s ' è conquistato tutto da solo , cominciando dal niente . Un « niente » molto lontano dal belmondo dei rampanti di Torino . La scena iniziale è la Valpolicella , provincia di Verona . Ambiente popolare , famiglia operaia - contadina . Papà Zampini fa il caporeparto in una fabbrica di casseforti . Un uomo che lavora duro e morirà a 56 anni di cancro al polmone , contratto nel verniciar forzieri per i soldi degli altri . Preso il diploma , anche l ' Adriano entra in ditta . È sveglio , ha grande iniziativa e una memoria da computer . Dopo un po ' è responsabile del servizio assistenza per gli impianti di sicurezza : « Che bella squadra eravamo ! Siamo stati i primi ad usare la lancia termica . In dieci secondi sapevamo aprire una cassaforte corazzata . Adesso però » mi avverte sornione « non so più farlo , lo scriva ... » . Un giorno arriva l ' amore . No , non è un dettaglio privato . L ' amore , infatti , è una maestrina piemontese di Villareggia , e sarà questo incontro a portar Zampini verso la fatal Torino . Una Torino che da lontano già conosce , per via del servizio di leva alla Scuola militare alpina di Aosta , dove ha preso il grado di tenente . Così , quando viene il tempo delle nozze , la scelta è fatta : via da Verona , si va ad ovest , verso la città del capitale e del lavoro . È il gennaio 1973 . A Torino , il giovane Zampini fa il rappresentante di mobili per ufficio e impara subito una verità : « Sì , imparo che vendere è molto difficile . Prima , quando aprivo le casseforti , erano i clienti ad implorarmi : venga , s ' è bloccato l ' impianto , dentro ci sono duecento milioni ! Vendere , invece , era tutt ' altra cosa . Poi , un po ' alla volta , ho capito come dovevo fare ... » . Mentre l ' Adriano comincia ad annusare il giro dei politici torinesi , la sua ditta vince ( « regolarmente ! » ) la gara per una grossa fornitura alla Regione Piemonte . Incoraggiato , Zampini decide di mettersi in proprio . Con dieci milioni in contanti , nell ' ottobre 1974 , a 25 anni , fonda la società Juppiter , mobili per ufficio e attrezzature scientifiche . Cinque anni dopo verrà la Concord , informatica e centri di calcolo . Quindi la Programma Immobiliare . Chiedo : e la Biolight di cui s ' è tanto parlato ? « Quella non l ' ho fondata io . Esisteva già quando ne son diventato l ' amministratore unico . Importava e vendeva lampade della Duro - Test Corporation , del New Jersey . Sì , fra i soci dichiarati c ' erano i fratelli Biffi - Gentili . Ma questi due io li conoscevo da molto tempo ... » . Li conosceva per comune militanza socialista ? « Macché . Io non ho mai fatto vita politica , a parte qualcosina da studente a Verona , nello PSIUP . Sì , lo scriva : PSIUP ! Altro che fascista di Ordine Nuovo ! È stato 1' " Avanti ! " a stampare questa bugia , e non ha nemmeno pubblicato la mia rettifica . Così Martelli e Intini si son meritati una querela . Ma non me la prendo . Erano i giorni degli arresti , un grande marasma , e poi il PSI è un partito che macina anche i sassi , un partito di movimento ... » . « Dopo il PSIUP niente più politica » garantisce Zampini . « Da allora ho avuto un motto solo : amico di ciascuno , fratello di nessuno . L ' uomo d ' affari dev ' essere così . Deve andare bene a tutti . Deve fare come il medico , che conforta e aiuta . Del resto , a noi piccoli imprenditori non ci serve essere impegnati politicamente . Se hai bisogno di un intervento politico , basta avere cinque milioni sull ' unghia e li hai tutti con te , pronti a farsi comprare , anche i parlamentari » . « Lavorando in proprio » continua 1'«Alpino» « ho scoperto sulla mia pelle che la strada giusta era quella di pagare . E allora son partito subito . Prima con personaggi di minimo cabotaggio , per poi , a poco a poco , salire di calibro . E così mi sono trovato in un meccanismo ben conosciuto da quelli che devono lavorare con le tangenti : una giostra dal moto perpetuo , che non ti consente né di scendere né di tornare indietro . Devo spiegarmi meglio ? Bene , da una parte c ' è l ' imprenditore che ha la giusta bramosia di buoni affari . Dall ' altra ci sono i politici con un appetito tremendo , che chiedono e chiedono , e domandano anche anticipi sugli affari futuri . Tu paghi , una volta , due , tre . Poi , a forza di pagare , ti trovi impegnato al di là del ragionevole , corri dei rischi , ti sveni , e così cerchi sempre nuovi affari con l ' aiuto di quei politici che hai pagato la prima volta » . Davvero una brutta giostra , Zampini ... L ' « Alpino » sospira : « Sì , ci si trova agganciati senza scampo . Il politico è come un drogato in crisi d ' astinenza , ha bisogno sempre di soldi , e non si disintossica se non quando l ' arrestano . Tu imprenditore devi dargli la dose , e non puoi abbandonarlo . Perché , se l ' abbandoni , perdi una montagna di soldi e poi ti fai un brutto nome sulla piazza dei partiti , una piazza importante ! » . È grazie a questo girone infernale che l ' attività di Zampini cresce . « All ' inizio , però , facevo solo operazioncine . Ero giovane , immigrato veneto , avevo una piccola azienda . Quindi ho impiegato qualche anno ad arrivare nelle vere anticamere delle stanze dei bottoni . Poi , mentre campavo con i miei lavori normali , finalmente ho incontrato gli amici giusti . E mi son reso conto anch ' io , come tanti in Italia , di un ' altra verità : i grossi affari stanno là dove c ' è il denaro pubblico e dove ci sono politici che lo gestiscono senza responsabilità . Gli amici che avevo scoperto fra il 1979 e l'80 erano così . Avevano in mano Torino . Rispetto a loro , io ero soltanto un satellite . E allora ho provato a diventare una stella . Non ci sono riuscito . Ho cominciato a volare alto , ma ho fatto la fine di Icaro » dice Zampini , con un sorriso mesto , « sì io sono un piccolo Icaro le cui ali di cera sono state bruciate da un sole : il procuratore Caccia . » Finalmente un nome pulito : Bruno Caccia , magistrato , capo della Procura di Torino , poi assassinato da mano ignota . L ' « Alpino » ne parla con ammirazione : « Come dice quel personaggio di Sciascia ? Ci sono gli uomini , i mezzi uomini , i quaraquaquà . Be ' , cari miei , Caccia quello sì che era un uomo ! Ha assistito a due miei interrogatori , alle undici di sera . Mi ha fatto pochissime domande , ma tutte centrate , centratissime ! Torniamo al mio volo . Grazie agli amici , le mie operazioni si sono fatte più grosse . E io pagavo , pagavo . Ma non era ancora niente rispetto a quello che avrebbe dovuto svolgersi nel 1983 : affari da decine di miliardi . E invece , zac ! , è caduta la mannaia dei magistrati . Hanno avuto fortuna , e così sono intervenuti al momento giusto . Ma avevano anche messo in campo la squadra vincente … » . Che vuol dire , Zampini ? « Vede , io ho fatto l ' arbitro di calcio . Prima della partita , vedendo entrare le squadre , tu capisci già da tante cose chi delle due ha la mentalità vincente . La squadra della Procura era quella giusta : giovani , preparati , con la mentalità di chi vuoi stroncare un certo giro . Pensi che quando son venuti in casa a perquisirmi , alle cinque di mattina , non ho nemmeno capito che quello che li comandava era un magistrato . Pensavo all ' Intendenza di Finanza ! Ho persino detto : guardate che il condono l ' ho fatto ! Poi ho chiesto : posso telefonare al vicesindaco Biffi per disdire un appuntamento ? E quel giudice : ma prego , faccia pure ! » . È il 2 marzo 1983 . Finita la perquisizione , l ' « Alpino » , ancora libero , va alla caserma dei carabinieri di Venaria sulla sua Alfetta con radiotelefono . Solo alle cinque del pomeriggio s ' accorge d ' avere le ali bruciate . Lo capisce leggendo l ' ordine di cattura : « Sette pagine tremende , firmate dal dottor Marzachì , con tutti i nomi . Allora ho deciso di parlare . Qualche giornale ha poi scritto che sono un pentito . Balle ! Io non mi son pentito di niente . Ho pagato le tangenti perché questo è il sistema e io dovevo lavorare ! » . Come mai ha detto tutto ? « Io ho una mentalità economica . A Venaria ho capito che mi erano sfumati affari per dieci miliardi . Dunque , perso per perso , tanto valeva difendermi raccontando quel che sapevo . Era l ' unico comportamento intelligente , me l ' ha consigliato anche il mio difensore , Graziano Masselli . E poi c ' era un ' altra ragione . Se fossi stato un uomo di partito , qualche grosso calibro pronto a soccorrermi l ' avrei trovato . Ma ero l ' uomo di nessuno , e quindi nessuno mi avrebbe difeso . Così , in quaranta giorni d ' interrogatori , ho scoperto tutti i sepolcri » . Avendoli scoperti , oggi Zampini è l ' uomo giusto per qualche domandina sulle tecniche e i misteri dell ' Italia tangentizia . Lui sorride : « Quali misteri ? È un sistema vecchio come il cucco , solo che adesso si ha il coraggio di parlarne . Ed è un sistema diffuso anche nell ' ambiente privato . Su cento lavori che prendi , per novanta devi dare la stecca . I politici la vogliono quasi tutti . Ma li capisco . Se uno spende duecento milioni per diventar deputato , si deve poi accontentare d ' andar su e giù da casa a Roma per fare il peone ? Certo , per qualcuno l ' ideologia è ancora importante . Ma gli altri stanno a Roma per far rendere i milioni spesi o , come minimo , per recuperarli ! » . Chi lavora con gli enti pubblici può fare a meno di pagar tangenti ? « Secondo me , no . Una gara la puoi anche vincere in modo pulito . Però poi scopri che l ' aggiornamento prezzi non viene , che gli stati d ' avanzamento lavori ti son pagati a uno o due anni , che delle tue forniture poche vanno bene . E allora ti devi decidere : o non partecipi più a nessun appalto , o cominci anche tu a pagare i funzionari e soprattutto i politici che li coprono » . Ma gli imprenditori che vogliono vendere beni o servizi allo Stato e agli enti locali , la pagano davvero tutti la tangente ? Zampini non ha dubbi : « Tutti quelli che conosco io sì » . E che cosa succede a chi non vuol pagare ? « Deve cambiar settore d ' attività , se no distrugge la propria azienda » . Ed è vero che le tangenti oggi vengono richieste anche sugli atti dovuti , e non più soltanto su quelli discrezionali ? L ' « Alpino » sorride ironico : « Ma in che mondo vive lei ? È soprattutto sugli atti dovuti che pretendono la tangente , perché è più facile nasconderla . L ' amministratore pubblico potrà sempre difendersi dicendo : io quella decisione l ' ho presa perché era obbligatoria ... » . Come viene pagata la tangente ? « In cash , in contanti . Questo sì che è un guaio ! Lei sa che negli istituti di credito , se uno ritira banconote per più di venti milioni , c ' è un controllo . E allora diventa una via crucis fare il giro di tante banche . Quelli che incassano hanno il problema rovesciato : suddividere i soldi neri in piccole somme , affidarle a portaborse che girino anche loro le banche a trasformare il denaro in tanti assegni circolari » . E i più affamati chi sono ? Zampini mette le mani avanti : « Sigle di partito io non ne faccio ! Le risponderò così : i più voraci sono i politici giovani . I meno affamati ? Quelli che fanno politica in sede strettamente locale , gente più anziana , che ha cominciato la militanza subito dopo la guerra , quando l ' Italia scopriva la democrazia . Per esempio , il capostazione socialista che è stato nella Resistenza . O il politico che era operaio quando ti licenziavano se avevi la tessera del sindacato . Questa gente di stecche non ne chiede . Però sono persone che operano a livelli amministrativi molto bassi » . « Appena più in su » giura Zampini « non c ' è scampo . L ' entità della tangente varia a seconda dell ' importanza dell ' incarico e del rischio che il politico corre . Ma a parte queste differenze , la prendono tutti . E sa perché ? Perché a quelli della politica gli frega poco o niente , e meno ancora degli elettori . Hanno una sola idea : arrivare ad una certa carica per farla fruttare » . Ma sono proprio tutti così ? I comunisti , per esempio , non sono diversi ? « Non sono assolutamente diversi . Però sono molto più precisi . Se lei sgarra sui tempi o sulla quantità del versamento , li perde e non li ritrova più . Ma se prendono un impegno , non ti bidonano , vanno fino in fondo . Insomma , sono più professionali . E sanno anche scegliersi gli affari . Loro non si vendono a cani e porci ... » . La tangente finanzia il partito o ingrassa il politico che la riceve ? « Finanzia i patrimoni personali dei politici e nient ' altro » . Vale anche per i comunisti ? « Rispondo di sì , ma con beneficio d ' inventario , perché bisogna vedere caso per caso . Secondo me , anche molti comunisti ormai fanno la cresta . Una prima volta gli dai cento e loro passano tutto al partito . La seconda volta gli dai cinquanta e se ne trattengono venti . Poi gettano la colpa su di te , dicendo alla casa madre : non ha versato tutto » . Fare il politico , dunque , è un mestiere che rende ? Zampini torna a sorridere da lupo : « Il politico italiano è un professionista molto ricco . E ha un unico problema : allenarsi a non far apparire i suoi soldi . Allora , ecco certe camicie un po ' lise , le scarpe consunte , il vecchio vestito , la 128 scassata ... Quella di non apparire è la loro sofferenza continua . Si concedono un unico lusso : i ristoranti costosi » . E lei , Zampini , che cos ' è : un disonesto , uno sciocco , un imprudente ? L ' « Alpino » ci pensa su : « Nessuna di queste tre cose e tutte e tre insieme . Vuole la verità ? Io sono come il novanta per cento degli imprenditori che lavorano con gli enti pubblici . Aggiungo : ultimamente non ero io a cercare i politici , mi cercavano loro . Il mio problema era rinunciare alle proposte d ' affari che mi facevano ! » . Si considera più onesto o meno onesto di loro ? Di colpo , Zampini diventa aspro : « Chi ha un ' azienda non può badare a certi princìpi , deve pensare solo alla sua attività . Ma i politici ? Loro no . Tocca a loro , non a me , badare alla moralità pubblica . E poi , io ero obbligato a versare . È tutto un sistema che campa sulla corruzione . Forse finirà quando i partiti s ' accorgeranno che , rubando , si arriva ai crolli elettorali , e i crolli fanno saltare le carriere . Ma ci vorranno molti anni » . In attesa di questo giusto finale , avremo l ' intermezzo del processo di Torino . Zampini mormora : « Io sono qui che l ' aspetto . E qualche volta ho paura . Non per oggi , ma per l ' avvenire . Anche per i politici la vendetta è un piatto da consumare freddo . Ma poi mi do coraggio e attendo di vedere gli amici in quell ' aula di tribunale . Le ho detto che ho fatto l ' arbitro , no ? Ho imparato a non tremare quando duemila persone mi gridano contro . E anche a non reagire se qualcuno mi sputa in faccia ... » .
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Milano , dicembre . Qui Milano network , la « televisiun » , privata e pubblica , reti uno , quattro , cinque , Euro TV , Rete A e consideriamo pure a parte Antenna 3 , il cui patron , Renzo Villa , è anche il conduttore dello show festivo , tanto per capire l ' ambiente , un po ' saloon . Fin che la dura , la più ricca , lussuosa , dissipatrice televisione del creato , capace da sola di ingoiare i due quinti della produzione americana e di consumare in un giorno tanti film , telefilm e serial quanto gli USA o la Germania in una settimana . Per via , si sa , della sfida infernale delle private fra di loro e con la RAI che essendo femmina virtuosa si è trovata con la gonna alzata dalla concorrenza a mostrar natiche un po ' rugose e biancheria rattoppata . Reti di un solo proprietario contro reti di affiliati , come i contadini contro i mandriani del West , per disputarsi l ' immensa prateria televisiva , le grasse mandrie pubblicitarie da condurre al santo macello , con lotta all ' ultimo sangue , ossessiva , grottesca per la audience , l ' ascolto pagato con cifre enormi , non sai mai se autentiche o gonfiate : programmi per 500 miliardi e 2000 titoli nei magazzini di Canale 5 e di Rete 4 , Dallas contro Dynasty , quanto a dire serial da un miliardo a puntata , per la produzione , comperati prima a 24.000 dollari a puntata e poi , a forza di rilanci , a 100.000 . E dietro a valanga Flamingo road , Falcon crest , Magnum sino alle vette di Uccelli di rovo e di Venti di guerra in quella euforia , un po ' irresponsabile , che vi prende nei casinò o nel salone delle grida alla Borsa , dicono due miliardi a testa per film come l ' Ufficiale e gentiluomo e Rambo e sicuramente mezzo miliardo per qualsiasi filmetto pornodialettal - comico . Ma chi si ferma davanti all ' ascesa continua della pubblicità ? Le sole private sono passate dai 60 miliardi del '79 , ai 144 dell'80 , ai 255 dell'81 , ai 467 dell'82 , ai 720 dell'83 ai previsti 1400 dell'84 , con crescita a raddoppio . Sì , non sarà tutto oro quello che luce , le cifre sono al lordo , spesso pagate con « cambio merci » cucine , piastrelle , liquori che poi bisogna rivendere e magari quasi al limite del codice , con ristorni , in nero , ai titolari di azienda , se la vedano poi loro con i soci , le banche , gli azionisti , e cospicui gratuiti : se mi paghi cento spot nelle ore di punta , te ne regalo cento nelle altre ore . Non sarà tutto oro , ma tanto oro quanto basta per celebrare , fra addetti , le gesta dei pistoleros tivù : « Giuseppe Lamastra , direttore acquisti di Rete 4 , ha soffiato a Berlusconi tutto lo stock della Publikompass » . Due giorni dopo Silvio Berlusconi risponde « bloccando l ' intero pacchetto della Cineriz , ha scelto fra 250 film il meglio , pagandoli ognuno 36 milioni ( cifre del '79 ) contro i 35 del concorrente » . Allora Formenton , boss di Rete 4 , si fionda in Brasile a mietere telenovelas . Moltiplicando per cento , per mille è un po ' come il boom dei rotocalchi nell ' immediato dopoguerra , con i tipici sviluppi all ' italiana , la rana che si gonfia a rischio di scoppiare . Nessuno ha tempo per studiare , per inventare si fa più presto a comperare il meglio che c ' è , íl direttore che ha avuto successo , la testata fortunata , il genere che va . Il bollettino di guerra risuona per corridoi e uffici . Udite ! Udite ! Lillo Tombolini è passato da Rete uno a Rete 4 con Enzo Papelli in fuga dalla RAI e allora Canale 5 ha sparato a zero sulla Sipra , concessionaria RAI , le ha rubato Longhi , direttore vendite ! Ma di queste lotte stellari fra gli staff televisivi il pubblico sa poco e nulla e poi non se ne cura attonito come è di fronte ai trasferimenti di Mike ( Bongiorno ) di Pippo ( Baudo ) e di Corrado . Come ai tempi eroici dei rotocalchi si torna all ' editore leggendario , al padre padrone come furono l ' Angelo Rízzoli e l ' Arnoldo Mondadori , al boss duro - fraterno , capitalista ma amico del fattorino , tecnico , contabile , grafico , inventore , esperto in tette da copertina , simpatico anche nelle sue « ire funeste » , il factotum che attraversa le aziende in ogni direzione per provvedere a tutto , per tenere assieme questo mondo nuovo che sembra sempre sul punto di sfasciarsi , di dissolversi . Silvio Berlusconi è il padre padrone più noto , conosciuto anche come « mister five » o « il ragazzo della via Gluck » o per antonomasia « quello che trova sempre i soldi , chi sa dove » fulmineo e onnipresente e vorace come un Howard Hughes , speriamo per lui e per noi un po ' meno « cabiria » ; o il Mario Formenton , esitante fra l ' aplomb del grande editore e la grinta del vecchio rugbista , o il re del latte Calisto Tanzi , forse il più temerario dato il finanziamento del « Globo » e l ' Alberto Peruzzo , per antonomasia « ma da dove è spuntato ? » . E al loro seguito i comprimari e le macchinette , i self made man e i portaborracce , i forzuti e le bionde eroine . Ecco Annamaria Frizzi , veneta , moglie di industriale e industriale essa stessa che pianta marito e azienda per mettersi nella pubblicità con Berlusconi e tirar su in un anno , da sola , 15 miliardi . Non male al 15 per cento di interessenza . E papà Balini ? Per anni lo hanno visto fare anticamera nei corridoi della RAI con la sua valigia piena di pizze cinematografiche italo - americane che i signori di via Mazzini non degnavano di uno sguardo . Adesso è miliardario , si è stabilito a Hollywood e siccome la cucina locale non gli va sta aprendo dei ristoranti italiani , mentre procura serial a Berlusconi che lo paga con la metà degli inserti pubblicitari inseriti , come usa dire alla brianzola « dentro la pucetta » dentro lo zabaione del successo . Uno che ricorda un po ' Lombardi , « l ' amico degli animali » della prima televisione , è il Rino Tommasi consulente sportivo e americanista , 1800 libri sullo sport yankee , intervista di un ' ora a Kissinger sul soccer e l ' olimpiade , un tipico « superstat » macchina statistica . A parte mettiamo Carlo Freccero trentasette anni , re dei programmi che hanno fatto la fortuna di Canale 5 e 1 , o meglio dire del palinsesto , che se lo cerchi sullo Zingarellí trovi « pergamena più volte grattata e riscritta » che non è poi molto distante dal significato televisivo . Ci incontriamo alla cafeteria di Milano 2 , che sembra di essere a Santa Monica California , luci tenui , olive e Martini , stangone biondo platino in attesa della prova di balletto , registi che fanno il baciamano . E c ' è anche lui , Carlo Freccero intellettuale sessantottino , raffinato , fra la nostalgia e l ' incubo della stagione utopica . « Lei Freccero come ha sfondato ? » « Mi sono sforzato di capire tre o quattro cose , già molte , no ? La prima è che sul prodotto non puoi bluffare , devi avere il meglio , dunque muoverti sul mercato americano . La seconda l ' avevo scoperta in una mia archeologia delle TV private degli inizi : quella loro rivelazione del prato basso italiano , ignoto ma ricco e vitale , il prato di Portobello , degli spettacoli a premi , partecipati , della gente che parte in pullman dalla provincia per i suoi pellegrinaggi laici , non più ai santuari per chieder la grazia alla Madonna , ma ai teatri televisivi dove si celebra il dio denaro . Poi la RAI , come punto di riferimento obbligatorio , perché la RAI vuol dire venti anni di abitudine , di appuntamenti fissi , magari anche di noie famigliari , ma comunque la televisione . Quando io sono arrivato nella professione , le private avevano già occupato le ore vuote o silenziose o noiose della RAI nel pomeriggio e nella tarda sera . Restava da conquistare il peak point , come lo chiamano , il massimo ascolto delle 8 e 30 di sera . Ce l ' abbiamo fatta con dei programmi omogenei , sempre riferiti all ' immagine dell ' emittente , famigliar - americana di Canale 5 , italiano popolare di Rete uno , e sottraendo alla RAI i Mike e i Corrado , i portavoce o maieutici del " prato basso ".» Ora andiamo al ristorante dove si attende il boss dei boss , Silvio Berlusconi , che ha appena finito di festeggiare non so quale tribù televisiva di venditori o di aficionados . « È vero » gli chiedo « che mandriani e contadini del nostro West televisivo stanno per fare la pace ? Che andate a un ' unica concessionaria di pubblicità già chiamata Sipra 2 , per dire nuovo monopolio in vista ? » « Lei crede che il primo Agnelli o il primo Pirelli potessero davvero autodimensionare le loro aziende ? No e neppure noi delle TV private , anche noi dobbiamo misurarci con il mercato , con le risorse , i quali dicono che solo gli oligopoli possono sopravvivere . » « Allora continuerete a gettare miliardi nella fornace ? » « Spero di no , spero in un gentleman agreement , in una regola di comportamento . Ma non dimenticate i nostri meriti : abbiamo creato una ricchezza pubblicitaria in crescita anche negli anni di crisi » . Il boss di Rete 4 e della Mondadori , Mario Formenton , sta invece meditabondo ai suoi laghi Masuri , pardon , ai laghetti ghiacciati di Segrate ( chi sa le tinche giganti come se la passano sotto il pack ) . « Ho qui una buona notizia » dice , « l ' Associazione degli utenti pubblicitari si è decisa a creare un istituto statistico credibile . Dobbiamo finirla con questi rilevamenti di parte che a sommarli fanno più della popolazione italiana » . « Ma a Canale 5 dicono che il vero parametro è quello delle vendite dei prodotti pubblicizzati » . « Già , come non sapessimo che una campagna pubblicitaria punta su una ventina di media e che è impossibile dire chi ha reso di più per le vendite » . « È il meter , dottor Formenton , l ' aggeggio elettronico che misura l ' ascolto di un apparecchio minuto per minuto ? » . « Sì , il meter , ma lo gestisce la RAI che si riserva il segreto delle postazioni e di certi rilevamenti politici . Se lo immagina lei cosa capiterebbe se facesse sapere che appena è apparso il grande leader la gente è scappata ? » . L ' alluvione televisiva è come quelle del Nilo o del Mississippi : qui distrugge villaggi , là posa limo fecondo . Una rivoluzione benefica l ' ha compiuta abbattendo lo steccato della TV pubblica , storico come quello vaticano . Mettendo fine a una lunga stagione di sonni , di alterigie , di supponenza , vedi la Sipra che metteva i clienti in coda , zitti e buoni . Così , il giorno in cui un suo funzionario di nome Trainetti ha dovuto salire le scale di una agenzia pubblicitaria , lo guardavano increduli come la vergine di Fatima , apparizione divina , ma anche un po ' da prendere per i fondelli : « Come andiamo Trainetti , è vero che non riuscite a raggiungere il tetto pubblicitario ? » . Si è dovuta dare una regolata anche la Sacis , che per anni ha svolto l ' unico ridicolo compito della censura e proibiva negli annunci parole come estro , perché pare che così si dica dei cavalli in calore , oltre i tradizionali membro , sega e , va sans dire , « seghetto alternativo » . Adesso in difesa della RAI e della Sipra italiane si levano i « vespri » patriottici di Flaminio Piccoli e di Gianni Pasquarelli che se la prendono con la colonizzazione dell ' Italia , con l ' americanismo trionfante che mortifica « ogni sforzo onesto di produzione plurima » . Suvvia , lasciamo perdere , diciamo piuttosto , con l ' ingegner Mattucci direttore RAI in Milano , che le private sono passate « dalla cattiva produzione al buon acquisto » ma solo all ' acquisto , incapaci per ora di creare una industria televisiva in crescita armonica , produttiva . L ' antiamericanismo alla Jack Lang , ministro mitterrandiano , del tipo vive la France abbasso les amerlos , gli imitatori dell ' America , ha un senso se lo traduci in capacità produttive , in somma di risorse . Ma siccome le cifre sono quelle che sono e gli investimenti televisivi italiani sono di 3000 miliardi contro i 30.000 delle televisioni americane , siccome a Broadway e a Hollywood ci sono migliaia di registi , scenografi , attori , operatori che da noi non ci sono , comperare bisogna . Certo , come macchina socialculturale , la televisione commerciale può spaventare , ha ragione l ' ingegner Mattucci a dire che essa « può far morire e rinascere il cinema , dominare le comunicazioni di massa , creare nuove professioni , rovesciare i rapporti culturali » . Il boom delle private ha avuto , per dire , effetti massicci nella stampa di intrattenimento sollevando a un milione e seicentomila copie , massima tiratura italiana ( il 25 per cento dei giornali venduti nei centri con meno di cinquemila abitanti ) , « Sorrisi e Canzoni » che segue le trasmissioni , se non di tutte le quattrocento antenne italiane di gran parte , prima redazione computerizzata per tener memoria e ordine nel mare di notizie televisive , mentre crollava a 200.000 copie il « Radiocorriere Tv » che ha pagato la sua fedeltà alla televisione pubblica . La « televisiun » ha anche tolto la puzza sotto il naso degli editori racé . Se uno pensa cosa era lo snobismo della Einaudi al tempo delle vacanze con Vittorini a Bocca di Magra quando unici interlocutori accettabili sembravano il poeta Sereni e i letterati toscani dell ' altra sponda , i Tobino , i Benedetti , i Cancogni ; o ai ricevimenti cattedratici in casa Laterza con i professori e signore in nero e oggi vede Pippo Baudo al centro del premio Strega , adulato , corteggiato assieme al suo dirimpettaio televisivo della domenica , Minà , per il potere televisivo che hanno di farti vendere come niente diecimila copie in più , capisce che se ne è fatta di strada dalle élites alle masse . Carlo Freccero che ha l ' occhio del mestiere mi faceva osservare : « Ha notato che Baudo , adesso , delega a Grillo ed altri attori le parti grottesche satiriche ? Adesso si riserva quelle del talk show autorevole , dell ' amabile cerimoniere ormai entrato nell ' establishment culturale » . La televisione è un ' alluvione di cui pochi conoscono davvero i possibili sbocchi . Per ora , i suoi capitani coraggiosi come Berlusconi e Formenton navigano un po ' a vista , intuiscono le connessioni con i teatri , i giornali , l ' editoria specializzata , la produzione filmistica in proprio , l ' azionariato popolare , l ' informazione , ma senza sapere esattamente cosa c ' è dietro quelle porte aperte o socchiuse . Oggi le prospettive della televisione italiana privata e pubblica oscillano fra previsioni trionfali e rischi sempre più grandi . Si scommette su una crescita senza fine della pubblicità , si preferisce non pensare a cosa accadrebbe se dovesse fermarsi . È in piena angoscia da futuro incerto la televisione pubblica . C ' è una commissione parlamentare che dovrebbe varare la famosa legge per la televisione che va interrogando un po ' tutti , in cerca della pietra filosofale nel Mugnone , capace di cambiar i sassi in oro . Mi confida il dottor Berretta del sindacato pubblicitari : « Hanno convocato anche noi , ma che gli diciamo ? Che quattordicimila dipendenti e quattromila consulenti sono una follia ? Che bisogna tagliarne almeno i due terzi ? Ma se continuano ad assumere giornalisti democristiani , comunisti , socialisti raccomandati dai partiti . Gli proponi un canale sovvenzionato dagli abbonamenti e pulito di pubblicità ? Proprio noi ? Ma le pare ? Eppure sono nei guai , riescono a coprire gli spazi pubblicitari vicini al telegiornale della sera , ma nelle altre ore hanno il fiato lungo » . Per l ' ingegner Luigi Mattucci , direttore della RA1 a Milano , l ' unica soluzione praticabile è quella di una televisione pubblica assistita , ma concorrenziale : « Se molliamo la concorrenza pubblicitaria e dell ' audience siamo morti . Non vedo come riusciremo a sfoltire il personale . Abbiamo bisogno di quattro o cinque anni di assistenza , il tempo necessario per riciclare competenze e funzioni , diventare una azienda che dà servizi e fa ricerca come la SIP , come l ' ENEL » . Allora , altri cinque anni di compromessi ? Di informazione televisiva mutilata , congelata ? Dice Freccero : « C ' è una sola via per vincere tutte le censure e ottenere tutte le interconnessioni . Fare un ' informazione che abbia una grande audience . Allora nessuno si preoccuperà che sia di sinistra o di destra , tutti staranno attenti agli indici di gradimento e ai miliardi di pubblicità » .
Così lo ha salutato la sua Italia ( Guzzanti Paolo , 1984 )
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Roma . Quanti ? Ce lo domanderemo per un pezzo . Più che per i funerali di Togliatti , questo è certo . Più che per chiunque nell ' età repubblicana è probabile . Chi ha visto le immagini in televisione si sarà fatta un ' idea : Roma si è dilatata fra le sue mura e i suoi Fori per accogliere questo popolo comunista che sembrava una nazione e che sotto un sole tardivo ma implacabile è andata a dire addio a Berlinguer . Ce lo diranno meglio ancora le immagini che su dal cielo andavano filmando Ettore Scola e Francesco Maselli , dall ' elicottero che ronzava e sibilava , planava e si arrestava come una creatura degli stagni . Forse erano un milione e mezzo . Un milione è certamente un numero per difetto , considerato che soltanto fra le Botteghe Oscure e San Giovanni , prima dei cortei periferici e senza calcolare la piazza già gremita , erano almeno ottocentomila . Davanti al rosso palazzo di Botteghe Oscure , chiusa la camera ardente , la folla era stipata fino al collasso , fitta nelle zone d ' ombra fino a sembrare un muro respirante e stravolto nell ' attesa . Alle 14.45 è uscita la bara chiara con il corpo di Berlinguer . Fino ad un attimo prima era silenzio . Volti molto affaticati . Occhi di pianto . Poi l ' applauso come un uragano . I bambini in braccio , sulle spalle . Urlano « Enrico » . Lo ritmano . Lo ripetono a triplette - « Enrico - Enrico - Enrico » - sempre più veloci . Si levano i pugni . Partono sei o sette tentativi di intonare Bandiera rossa che si sommergono l ' un l ' altro su diverse tonalità . Perentoria si impone la marcia funebre di Chopin numero uno , diretta dallo stesso maestro Franco Castellani che la suonò vent ' anni fa per i funerali di Togliatti . Chissà se si farà un altro quadro gigantesco per questi funerali . Proviamo a immaginarlo , dipinto così come lo abbiamo visto oggi vivo : in prima fila , dietro il disadorno furgone nero , i familiari di Enrico Berlinguer , di cui non si cesserà di lodare la compostezza e quella impensabile misura di partecipazione e separazione dal lutto pubblico , di partito , politico , corale . Non sarà facile dipingerli senza forzarne i tratti . E poi , a qualche metro , Nilde Jotti con un foulard celeste per ripararsi dal sole che arde i capelli di tutti , Giancarlo Pajetta e Napolitano col berretto in testa , Pietro Ingrao , Reichlin , Occhetto che in questi giorni ha retto il peso organizzativo del presidio di Botteghe Oscure , Tortorella , Pecchioli sempre più diafano ed eretto nel suo dolore personale , il sindaco di Roma Vetere , Novelli . Poi c ' era un cordone d ' ordine terribile , che sgomitava e chiudeva senza pietà . Un servizio di contenimento della folla efficiente , duro , concitato , sicuramente necessario , ma che faceva singolare contrasto con la mestizia , la folla che si trascinava su un asfalto pastoso , appiccicoso nel quale non soltanto le suole delle scarpe lasciavano l ' impronta , ma in cui garofani , gladioli e rose si incorporavano come fossili istantanei . Il corteo funebre si muove lentamente . Pochi metri e si ferma . Davanti si incolonnano centinaia di corone : sono i fiori delle sezioni , delle federazioni , e più avanti quelle dei consigli di fabbrica , della FGCI e quelle tricolori del presidente della Repubblica , della Camera dei deputati , del Senato e dei presidenti del Parlamento . Elenchiamo intanto le poche cifre note . I pullman che sono arrivati a Roma sono stati più di cinquemila . I treni speciali venticinque . Le persone arrivate a piazza San Giovanni per conto loro , senza far parte di nessuno dei tre cortei collaterali o di quello centrale , erano più di trentamila . Alle 10.30 il centro storico era chiuso e bloccato . A quell ' ora , soltanto fra via del Teatro di Marcello e piazza Venezia , per un chilometro e mezzo di strada , erano già stipate trentamila persone . Il Comune di Roma ha impiegato per il governo del traffico mille e duecento vigili urbani . Davanti a Botteghe Oscure , nei giardini adiacenti a piazza Venezia , sui prati e sui marciapiedi hanno dormito migliaia di comunisti arrivati durante la notte . Alle 4 del mattino si è dovuta riaprire la camera ardente perché la folla premeva . Fino alle 14 , quando è stata chiusa , i visitatori che sono riusciti a passare davanti a quella bara sono stati almeno centoventicinquemila . Gli ultimi a fare il picchetto d ' onore sono stati gli attori , i registi , la gente di spettacolo . C ' erano Monica Vitti , Giovanna Ralli , Ettore Scola , Carla Gravina , Carla Tatò , Giuliano Montaldo , Mariangela Melato , Felice Laudadio . È stato visto Alberto Sordi , che comunista non è , passare e fermarsi un istante , commosso . Fra gli ultimi politici sono passati il democristiano Mario Segni e Aldo Aniasi , socialista . E poi i rappresentanti della comunità israelitica che sono stati ricevuti da Pietro Ingrao , con cui si sono fermati a parlare della « straordinaria umanità » del segretario del PCI scomparso . Così , quando la città - Roma si è svegliata , già era in piedi e quasi stremata un ' altra città che l ' aveva invasa sovrapponendosi : almeno mezzo milione di persone erano a mezzogiorno su via delle Botteghe Oscure e qualcuno già sveniva . Abbiamo visto diverse persone accasciarsi per il caldo e sono state soccorse con molto affetto . Una è morta per malore . Le ambulanze sono state chiamate in qualche caso . I siciliani che sono arrivati stremati dopo venti ore di treno hanno trovato latte e yogurt offerto gratis dai dipendenti della Centrale del Latte che si sono autotassati . Il Comune di Roma ha predisposto numerose autobotti che hanno fornito acqua fresca alle migliaia di assetati . A piazza San Giovanni già alle 13 era impossibile entrare . E per tutto il tempo dei comizi , dei discorsi ufficiali , folla e folla ha seguitato a premere sulla piazza , a riempire tutte le vie adiacenti , come un liquido palpitante e colorato , sul quale spiccavano le bandiere rosse . E anche piazza San Giovanni non ricordiamo di averla mai vista arredata con un palco di quelle dimensioni e di quella funzionale architettura . Rivedremo quel palco di 320 metri quadrati nei filmati e nelle foto , costruito in gran fretta da sessanta carpentieri di attrezzature metalliche e falegnami e sormontato da quella grande foto di Berlinguer mite e duro , forse timido ma anche ironico , alta quattro metri e mezzo e larga tre . Una coreografia , paradossalmente trattandosi di un funerale , assai viva : ideata per contenere cinquecento invitati fra europei , asiatici , africani ed americani . Anche in questo senso ci sembra di poter dire che non si era mai vista una cosa del genere . La gente . Giovani tantissimi , con i loro jeans ( e due copie dell ' « Unità » ficcate una per tasca ) , e le loro magliette , il loro modo di parlare che trascende ormai i dialetti in un esperanto adolescente e militante . Ma tanti , tantissimi i vecchi , la gente d ' età , i capelli bianchi . Le barbe e le pinguedini dei quarantenni . E i romani , in maggioranza subito seguiti dai milanesi , che quando sono comunisti si ritrovano anche in un loro linguaggio , popolare ma affettuosamente brusco . Così quando la folla trascina e si cade travolti , i mariti proteggono le mogli : « Bianca ! Acchiappate ar braccio mio » . E i fotografi impostano i loro servizi : « Avvisa tutti : tirate fuori 1' " Unità " e fateci un cappelluccio . Ma che si veda la parola " addio " davanti . Poi mettetevi lì che faccio il gruppo » . I giovani toccano , ti toccano , palpano , è una folla carezzevole e confidenziale . E quando l ' emozione passa in un grido , in uno slogan , l ' alito contamina tutti : « Non ti dimenticheremo » , « Enrico » , « Vivrai per sempre » . Togliatti morì in agosto . Berlinguer di giugno . E soltanto oggi si può dire che è estate : « Fa lo stesso caldo di quando morì Palmiro » dice un vecchio operaio . Il furgone avanza e il vento generosamente ingrossa le bandiere che si dispiegano con maestà : quella grande del Comitato centrale , frangiata e abbrunata , e il tricolore della Repubblica . E poi quella strana bandiera ibrida : verde e bianca in parti uguali e poi la sezione rossa di dimensioni triple . Il furgone va avanti e l ' asfalto fonde . Cantano Bandiera rossa e la banda procede a passi lillipuziani , con imprevisti schianti dei piatti . Ai lati del corteo le transenne . Oltre , c ' è altro popolo che si stringe e soffoca e piange . Si direbbe che un sottile velo di lacrime renda tremula questa immagine . O forse il miraggio dell ' alito rovente dall ' asfalto . Un urlo verso i Fori imperiali : « Viva il grande Partito comunista di Gramsci , Togliatti e Berlinguer » . Folla bianca e rossa sui giardini . Arriva la limousine nera del presidente della Repubblica : riceverà un applauso grande come un boato allo stadio , a piazza San Giovanni . Qui lo vedono in pochi e lo chiamano . I capi del servizio d ' ordine sono implacabili . E bravi . « Forza , forza co ' sto cordone , su , su , sbrigarsi » . Quando passa Berlinguer tutti levano in alto il giornale del partito nell ' edizione straordinaria che dice grande « Addio » in rosso . Inatteso un grande cartello declama : « Genitori , non crescete i vostri figli come schiavi , i figli non si picchiano » . Una vecchia signora genovese filosovietica si è messa ai lati del corteo con un cartello : « Oggi non c ' è scelta , o amici dell ' URSS , o servi di Reagan » . Distribuisce a pacchi la rivista « Realtà sovietica » . Grida : « Siete dei criminali , venduti all ' America » . Qualcuno , con rapida intolleranza , le fa a pezzi il cartello . Resta lì , patetica e testarda . Avanzano i gonfaloni delle città . Sono centinaia , forse migliaia , con i nomi dei paesi dell ' Umbria , delle Marche , del Lazio , della Calabria , della Toscana . E ne arrivano sempre più , sempre più , con i loro vigili urbani nelle uniformi fantasiose e diverse , tutte sull ' azzurrino . E arriva , preceduto dal rullo dei tamburi , il corteo torinese dai grandi cartelli e gli striscioni rossi . E i sardi del Sulcis che hanno montato la guardia al feretro col casco dei minatori e la lampada accesa , avanzando lentamente dietro il loro striscione . Sulla colonna Traiana , imbragata nell ' impalcatura del restauro , un lungo cartello verticale : « Vivrai sempre » . Le bandiere rosse sono vecchie e nuove . Le nuove sembrano di plastica , di questo nailon luccicante che si arroventa e non stinge . Quelle vecchie sono gloriose e slavate , falci e martelli ricamati a mano , all ' ingiù , come si usava all ' inizio del secolo . Tre i cortei che sono confluiti man mano su quello principale , fino alla piazza . Uno è partito dalla stazione Tiburtina , uno dall ' Ostiense e l ' ultimo da Cinecittà . Del primo facevano parte i comunisti padovani , trattati con riguardo perché la loro città è stata affettuosa e vicina al dramma di Berlinguer . Si radunavano lì i comunisti di Mantova , di Varese , di Bologna , del Friuli , di Verona . E poi i petrolchimici di Marghera , di Milano . Fischiano Bella ciao nel caldo . Lacrime e sudore . Si muovono al canto di Bandiera rossa . Pugni chiusi . Pugni chiusi , ma molti di quelli che riusciranno ad arrivare fino alla camera ardente renderanno omaggio a Berlinguer prima con íl segno di croce e poi col pugno : pietas cattolica e militanza . Se c ' era chi gridava : « Enrico , vivi in tutti noi » , non è mancato chi amaramente inalberava un cartello che dichiarava « Enrico , sei morto insieme a noi » , riecheggiando la battuta addolorata di Benigni che ha scritto più o meno : adesso andremo tutti indietro . I comunisti piemontesi sono arrivati all ' Ostiense . E anche quelli liguri , i toscani e gli umbri , con le loro bande musicali e i gonfaloni . A mezzogiorno intorno alla Piramide erano più di sessantamila , con i ragazzi della FGCI in prima linea , seguiti dagli operai della FIAT Lingotto , di Rivalta , Mirafiori , tutti con i cappelli di carta , con i berretti di tela , i golf della notte annodati alla vita , í fazzoletti sui capelli . Cartelli grandi e affettuosi : « Enrico , sei stato grande » , « Enrico , ti prometto un mondo più bello , ti voglio bene , Dalia » . Bisogna dire che l ' eco del titolo del film di Benigni ha fatto scuola : « Ti voglio bene » era dovunque . E deve avere influenzato anche quel confidenziale , personale « ciao Enrico » dell ' « Unità » , così nuovo in un giornale che fu paludato fino alla tristezza . Molti cartelli del tenore « Grazie Enrico per quello che ci hai insegnato » e drammatico quello che promette : « Senza di te , senza perderti » . I cortei si sono mossi ininterrottamente , come fluidi continui . Al Circo Massimo í primi malori . I « compagni medici » intervengono spesso . Ed ecco í portuali di Genova , di Riva Trigoso , gli stessi che udirono il comizio del giorno prima di Padova . A Cinecittà si raduna il popolo del Sud . Centinaia di pullman che vengono da Bari , Brindisi , Matera , Napoli , Potenza . Una folla eterogenea che ha usato pullman di gran turismo con TV e toilette , oppure vecchie corriere degli anni Cinquanta . C ' è stato chi si è preoccupato di raccogliere le cartacce e molte donne hanno aperto fagotti di viveri . Anche da Cinecittà sono partiti a migliaia diretti verso piazza San Giovanni , attraverso una città trasfigurata .
Esplode la gioia di Teheran ( Valli Bernardo , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Teheran , 16 . Reza Pahlevi se n ' è andato . Alle 13.08 l ' aereo imperiale si è involato , puntando sull ' Egitto . Alle 16 non c ' erano più statue dello Scià sui piedistalli , nella capitale in festa . La folla abbatte i monumenti della dinastia Pahlevi , come se la monarchia fosse finita . Quando la radio ha dato la notizia della partenza , trenta minuti dopo il decollo , gli automobilisti hanno acceso i fari e hanno cominciato a suonare i clacson . In tutti i quartieri si sono formati cortei . « Il nemico del popolo è fuggito » , « Lo Scià ha raggiunto lo sposo infedele Jimmy Carter » , « Dopo la fuga dello scià quella degli americani » : questi sono gli slogan ancora scanditi per le strade , a tarda sera , mentre si avvicina l ' ora del coprifuoco , che oggi rischia di non essere rispettato . Nella capitale centinaia di migliaia di persone si salutano con l ' indice e il medio tesi , in segno di vittoria , si abbracciano , invocano il ritorno di Khomeini , il capo religioso disarmato , che in un anno , lanciando proclami dall ' esilio , ha costretto Reza Pahlevi ad abbandonare il trono . L ' esercito si è ritirato nelle caserme , lasciando qualche unità davanti all ' ambasciata americana ( la sola ad essere protetta ) , ai ministeri e al Parlamento . La folla pensa che il sovrano non ritornerà mai più . Lo Scià ha cercato di imporre alla sua partenza ritmi non troppo affrettati . Il protocollo è stato rispettato . Venticinque anni fa , incalzato da Mossadeq , il primo ministro che gli imponeva il rispetto della Costituzione , Reza Pahlevi fuggì con la moglie d ' allora , Soraya , a bordo di un piccolo aereo , prima a Baghdad e poi a Roma . Questa volta , prima di lasciare in elicottero la residenza di Niavaran , il suo « palazzo d ' inverno » , ha salutato i nove membri del Consiglio di reggenza , i cortigiani e persino i cuochi . Più tardi , ai piedi della scaletta del Boeing 727 , c ' erano il primo ministro Sciapur Bakhtian , il ministro di corte Ardalan , il presidente della Camera Djavad Said . I pochi giornalisti iraniani ammessi nel recinto dell ' aeroporto hanno descritto Reza Pahlevi e Farah Diba pallidi , tesi , vestiti con abiti sobri . Rispettando la tradizione , lo Scià e la moglie sono passati sotto il Corano , tenuto da un cortigiano per augurare buon viaggio . Prima di entrare nell ' aereo , il sovrano avrebbe afferrato il libro sacro dell ' Islam e l ' avrebbe baciato , trattenendo a stento le lacrime . Ad eccezione dei pochi fedeli che hanno assistito alla partenza , nessuno ha visto lo scià « andarsene in vacanza » . La televisione non ha diffuso le immagini del sovrano che lascia l ' Iran . Sugli schermi appaiono stasera soltanto alberi coperti di neve o film di repertorio . Soltanto la radio ha trasmesso le ultime parole pronunciate da Reza Pahlevi , prima del decollo : « Come avevo annunciato dieci giorni or sono , sono stanco e parto per riposarmi , dopo che il governo ha ricevuto il voto di fiducia del Parlamento . Spero che il nuovo governo riesca a riparare le ferite del passato e preparare il futuro . Dobbiamo essere uniti al fine di preparare un avvenire migliore . Il paese deve salvarsi grazie al patriottismo del popolo » . « Quanto tempo resterà all ' estero ? » gli ha chiesto il radiocronista . « Sono molto stanco . Fino a quando non mi sarò rimesso , resterò all ' estero . La prima tappa sarà Assuan » . La Sciabanu Farah Diba è stata ancora più laconica : « Credo nella saggezza e nella forza del popolo » . A questo punto , mentre i motori del Boeing erano già accesi , il cronista è scoppiato in singhiozzi e ha detto : « Speriamo che lei ritorni presto » . Sono le sole parole di augurio al sovrano che ho udito oggi a Teheran . Ecco alcune immagini che ho raccolto in questa giornata , non ancora conclusa , nella capitale invasa da una folla sempre più densa . Sulla piazza Pahlevi , mentre la radio trasmette ancora la voce spezzata dello Scià , un centinaio di giovani divelgono la sua statua . Si forma un corteo . Il monumento viene trascinato con un cavo di ferro per le strade del quartiere settentrionale della città . La folla si infittisce e grida : « Impicchiamo lo scià » . Mezz ' ora dopo la statua penzola da un cavalcavia . Sulla via Hafez una pattuglia militare si allontana di gran fretta , appena spunta un piccolo corteo con una bandiera rossa in testa . La sola che ho visto , per alcuni istanti , prima che sparisse per iniziativa di non so chi . I soldati hanno ricevuto l ' ordine di rientrare nelle caserme al più presto , per evitare scontri con i manifestanti . Un militare non riesce ad avviare il motore e abbandona il camion in mezzo alla strada . Un ' altra unità lascia su un viale un piccolo rimorchio , per non perdere tempo ad agganciarlo ad una jeep . È come se temesse di essere travolto dall ' acqua di una diga infranta . Ma molti soldati , durante la precipitosa ritirata , vengono sommersi dalla folla che li abbraccia , li riempie di fiori e caramelle , li obbliga ad accettare i ritratti di Khomeini . Sulla via Reza scià , una delle vie principali di Teheran , gruppi di ragazzi mi mostrano banconote da venti rials ( duecento lire ) dalle quali hanno ritagliato l ' immagine dello scià . Reza Pahlevi è partito da poco più di un ' ora e le edizioni straordinarie dei giornali sono già in vendita , con titoli neri , corvini , enormi sulle prime pagine . Il re se n ' è andato . Accanto alla notizia della partenza imperiale ci sono gli ordini che Khomeini avrebbe impartito dall ' esilio parigino . Un amico iraniano li traduce : 1 ) i deputati al Parlamento e i membri del Consiglio di reggenza devono dimettersi ; 2 ) i contadini non devono vendere il grano agli stranieri che vogliono affamare il paese ; 3 ) i soldati devono impedire che gli americani portino via le armi sofisticate , al fine di indebolire l ' esercito ; 4 ) venerdì dovrà essere organizzata la più grande manifestazione della storia dell ' Iran . I quotidiani , sotto un titolo vistoso , parlano della morte di un colonnello americano , Arthur Haynhot , indicato come il capo dei consiglieri militari . L ' ufficiale sarebbe stato trovato appeso ad una corda nel suo appartamento . La polizia pensa sia stato impiccato . Stamane i giornali parlavano di un altro cittadino USA assassinato a Kerman : era il responsabile della Parsons - Jordan Company e « un veterano della guerra del Vietnam » . Il cronista non è in grado di controllare le notizie . I ministeri , gli uffici pubblici sono chiusi e i telefoni suonano invano . Sulla piazza Ferdosi , la statua del poeta iraniano è coperta di ritratti di Khomeini . A cavalcioni del monumento , un giovane cerca di dirigere il traffico con un altoparlante . Ma nessuno lo ascolta . La gente balla di gioia tra le automobili , alle quali sono avvinghiati grappoli umani . Non si vede un poliziotto . Teheran sembra abbandonata a se stessa . Il ronzio degli elicotteri ricorda tuttavia chel ' esercito è intatto e che i generali dello scià non perdono d ' occhio i cortei , per ora non violenti . Milioni di iraniani festeggiano « la fine » di 37 anni di regno di Reza Pahlevi , meglio i 53 anni della dinastia , poiché anche i ritratti e le statue di Reza Khan , padre del sovrano in vacanza , vengono strappati e abbattuti . Teheran stasera assomiglia a Lisbona , dopo mezzo secolo di salazarismo . Quel che resta del regime è adesso formalmente affidato al Consiglio di reggenza , presieduto da un astronomo ottantenne , Jallal Teharani , che non dispone ancora di un ufficio . L ' opposizione lo ha già definito « un gruppo di cortigiani e di vegliardi » . Gli uomini forti del Consiglio sono il generale Gharabaghy , capo di Stato Maggiore delle Forze armate , e il primo ministro Bakhtiar , che stamane , poco prima della partenza dello scià , ha ricevuto il voto di fiducia della Camera , dopo aver ottenuto ieri quello del Senato . Da stasera il sessantaduenne Bakhtiar è in sostanza solo , schiacciato tra la folla ubbidiente agli ordini di Khomeini e l ' esercito ubbidiente ai generali . L ' ala moderata dell ' opposizione ha già rivolto un appello alla calma ( « non affrettiamo i tempi » ) , al fine di evitare le reazioni dei militari e di frenare i gruppi rivoluzionari . Ma questo non significa che i partigiani di una svolta indolore siano pronti a trattare con Bakhtiar . Tutti temono la scomunica di Khomeini , che dovrebbe annunciare la composizione del suo governo provvisorio e del suo Consiglio rivoluzionario . E che , forse , sta studiando il rientro in patria , dopo quindici anni di esilio , ora che il suo rivale è partito .
A Genova contro le BR ( Mafai Miriam , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Genova , 27 . « Guido Rossa è stato ucciso perché non si è piegato , perché non ha avuto paura e ha voluto vivere in fondo , con coerenza la sua scelta politica . Coloro che speravano con questo assassinio di chiuderci sgomenti nelle nostre fabbriche si sono sbagliati . Non sanno di quale ostinata rabbia e determinazione noi siamo capaci » : così Paolo Perugino , dell ' esecutivo del Consiglio di fabbrica dell ' Italsider , ha salutato il compagno di lavoro ammazzato dalle BR mercoledì mattina all ' alba . Parlava dall ' alto del palco , gridando dentro il microfono la sua rabbia , con una voce che conosceva tutte le incrinature della commozione . Dietro di lui , Luciano Lama sembrava più pallido del solito ; al suo fianco Berlinguer appariva stravolto . Il presidente Pertini , bianco come la sciarpa che aveva al collo , e tuttavia rigido e dritto sotto il peso di una storia d ' Italia che domanda ancora tanti sacrifici . Vicino a lui , a capo scoperto sotto la pioggia , la moglie dell ' operaio Guido Rossa , la bella faccia chiusa e disperata di una che sa che bisogna continuare a vivere ( ma come ? ) anche domani e dopo . Erano operai . Duecento , forse duecentocinquantamila sotto la pioggia battente in piazza De Ferrari . Ma erano nere di folla anche via Dante e via XX Settembre , le due arterie che collegano il cuore della città con piazza della Vittoria . Erano operai di Genova , di Torino , di Milano , di Brescia , ma venuti anche da più lontano , da Roma , da Napoli , da Reggio Calabria , da Palermo , i berretti di lana , i cappucci , gli elmetti gialli calati sugli occhi stanchi e le facce tese . Un funerale e una manifestazione immensi , ma con qualcosa di cupo che non era dato solo da quel furgone mortuario in sosta sotto il palco degli oratori , dalle centinaia di corone posate contro il muro diroccato del teatro Carlo Felice , ma anche dalla sensazione angosciosa di trovarsi in trincea , contro un nemico di cui non conosci l ' identità e il volto . La Genova commerciante , terziaria , borghese non era venuta in piazza . Ha espresso la sua solidarietà abbassando le serrande dei negozi e chiudendosi in casa . Le strade attorno alla zona della manifestazione erano deserte e silenziose . Ma la Genova - bene non aveva nemmeno partecipato ai comizi e ai cortei convocati dopo l ' eccidio di via Fani e l ' assassinio di Moro . Qui , ma non solo qui , del resto , c ' è chi , pur condannando il terrorismo , si tira indietro spaventato o scoraggiato , quasi l ' assenza potesse aprire una qualche individuale via di salvezza . « Non dire : non ci riguarda . Siamo giunti a questo punto proprio perché troppi hanno detto : non ci riguarda » : così un manifesto dell ' Anpi riproducente la frase di un giovane cattolico fucilato dai nazisti invita a prendere coscienza del pericolo rappresentato dalla passività e dalla rassegnazione . Questo pericolo esiste , i terroristi lo sanno . È una carta che giocano coscientemente . L ' assassinio di Rossa può alimentare un aggravato clima di paura , un ripiegamento sul proprio particolare , una fuga dalle responsabilità ; ma può anche sollecitare una reazione di tipo opposto e , con la definitiva condanna del terrorismo , una più generale determinazione nella difesa della democrazia . Stamattina a piazza De Ferrari c ' era , per dirla con Lama , « il movimento dei lavoratori , il nocciolo più duro della resistenza democratica , l ' ostacolo più saldo contro la reazione e la violenza armata » . C ' è , nella storia del movimento operaio genovese , una continuità che collega la manifestazione di oggi alla Resistenza contro i fascisti e i tedeschi : i padri degli operai che erano oggi in piazza hanno salvato nel 1945 le fabbriche della città dalla cieca rabbia nazista . E sono questi stessi operai , metalmeccanici e portuali , che nel luglio del 1960 , occupando piazza De Ferrari e via XX Settembre , impedirono lo svolgimento del congresso missino e contribuirono a rovesciare il governo Tambroni . « Si parla troppo di delirio e di follia quando ci si riferisce all ' eversione » ha detto Luciano Lama . « A me pare che all ' azione delle BR presieda un freddo se pur disumano disegno politico , un disegno che si contrappone frontalmente ai nostri obiettivi di progresso , alla nostra stessa concezione della vita . E non a caso questi tentativi di eversione intervengono ferocemente , specie quando la situazione politica si fa più tesa , per impedire che la spinta al cambiamento diventi efficace , capace di dare vita ad un processo di rinnovamento e di autentica trasformazione della società » . II richiamo alla crisi politica in atto non è una forzatura . I duecentocinquantamila che sono in piazza sanno di essere qui anche per questo , per dare una spinta a questo lento processo politico che lascia ancora il movimento operaio ed i suoi rappresentanti fuori della porta o a metà del guado . La manifestazione non è soltanto un funerale o un momento di aspro cordoglio . È anche parte di una battaglia politica . E lo esprimono gridando , tra le altre parole d ' ordine : « È ora , è ora , è ora di cambiare - il Partito comunista deve governare » . Lama interpreta puntualmente gli umori della folla quando parla dei problemi dell ' ordine pubblico in termini di stretta attualità : « La nostra critica e la nostra protesta va contro le inadempienze , le inefficienze , le coperture e le omertà che ogni giorno si manifestano nell ' azione contro il terrorismo . Le fughe di criminali fascisti e l ' impunità dei terroristi di ogni colore non sarebbero possibili se connivenze tenaci non esistessero tra le forze eversive ed i nemici della Repubblica , annidati con alte responsabilità negli organi dello Stato preposti all ' amministrazione della giustizia , della sicurezza e alla difesa dell ' ordine democratico » . L ' accusa è precisa e pesante . Non più però di quella espressa sabato scorso da Pertini a Savona , quando individuava la matrice di tutti i fatti eversivi di questi anni nelle oscurità che ancora avvolgono la strage di piazza Fontana . La scelta democratica del movimento dei lavoratori , oramai definitiva ed irreversibile , non può non accompagnarsi all ' impegno di fare luce su tutti gli oscuri episodi eversivi che hanno accompagnato la vita politica di questi anni . « La classe operaia non è un mansueto agnello sacrificale : in democrazia essa non si fa giustizia da sé , ma reclama giustizia e fa il suo dovere perché giustizia si faccia , collabora alla difesa delle istituzioni , stimola la partecipazione dei cittadini alla lotta contro il terrorismo » . Su questo fronte è caduto Guido Rossa . Il presidente della Repubblica , in un rapido incontro che ha avuto con i giornalisti subito dopo la manifestazione , ha voluto illustrare ancora i motivi che lo hanno spinto ad assegnargli la medaglia d ' oro al valor civile alla memoria : « Perché è stato un cittadino che ha dimostrato di avere coraggio . È un incitamento per tutti i cittadini , perché si coalizzino e si uniscano contro le Brigate Rosse » . La paura , il coraggio . Il coraggio di difendere una democrazia ancora tanto insufficiente ed imperfetta . « Ma questa Repubblica » conclude Pertini « ci è costata vent ' anni di lotte , di sacrifici e di morti . Bisogna saperla difendere , costi quel che costi , contro tutti coloro che intendono destabilizzarla e disgregarla . Mi conforta il fatto che la classe lavoratrice questo lo ha capito fino in fondo . La manifestazione di oggi ne è una dimostrazione » .
Padova, la rabbia e la spranga ( Bocca Giorgio , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Padova , 22 . « Roberto libero » scritto in azzurro dagli autonomi e sotto , « Merda » scritto in nero , dai fascisti . Finisce così , Hegel non deve essere passato per Padova , la dialettica , almeno , è sconosciuta a questi muri . « Bruciamo la città » , in vernice rossa , attraversa una facciata , ma ad ogni buon conto il cartolaio d ' angolo appende il suo cartellino scritto a penna : « Chiuso il sabato » . Gli opposti , a Padova , qualche volta si scontrano , più spesso si ignorano . « Mitra è bello » dichiarano gli autonomi di Psicologia , ma il Circolo di cultura cattolico finge che Padova sia ancora quella dell ' Antonianum , della grande stagione gesuitica fra le due guerre , invita ad ascoltare Giovanni Testori « che leggerà il suo ultimo dramma di meditazione sulla morte » , profumo di ceri e di gigli sfatti . Chi entra da Ponte Corvo vede , a sinistra , una città esotica , in stupenda decomposizione , un ponticello fragile su un rivo sepolto da una vegetazione metà veneta e metà subtropicale ; da cui si alzano nel cielo le cupole e i minareti - campanile del santo , e mura annerite dall ' umidità , quei marroni tenui delle case . Ma a destra condomini altissimi , disegnati da Buzzati , laidi e tragici , nel cielo tempestoso . « Morte alla borghesia » deve essere autonomo , a vernice , ma c ' era , lì accanto , una bacheca vuota e qualcuno con mano notarile , in bella calligrafia ha scritto « Prego , non sporchiamo la città » . Gli amici di Padova - squallidi riformisti , s ' intende - si lamentano dei luoghi comuni giornalistici , dicono che c ' è anche l ' altra Padova . Sarà , ma la Padova dei giovani , dell ' Università è questa : un dodici per cento che vota , in maggioranza democristiano , in maggioranza di reddito medio alto ; poi quelli che non si vedono mai , che capitano solo agli esami , forse settanta su cento e poi gli incazzati , i poveri , quelli che si sentono stranieri a questa scuola . Anche perché non capiscono perché ci sia , a cosa serva : gli autonomi . Perché violenti ? Musatti ci ha detto che è un meccanismo di compensazione , l ' altra faccia del desiderio di onnipotenza che è di ogni uomo . Violenza contro emarginazione . Uno storico come il professor Prandstaller può vederci una storia cattolica , dall ' integralismo dell ' Antonianum al radicalismo giacobino . E il portavoce degli autonomi Emilio Vesce vi dirà , senz ' altro , che tutto dipende « dalla assoluta mancanza di credibilità delle istituzioni , qui sono nate le trame nere , era nera la magistratura , salvo Tamburino , neri i poliziotti » . La storia non è semplice , i rami per cui muove la provincia cattolica sono sempre contorti , sottili , la spaccatura fra le due Padove , la loro incomunicabilità può sembrare arcana , al professor Sabino Acquaviva , quasi una maledizione celeste . Ma oggi la diversità , l ' estraneità hanno la chiarezza di una stratificazione geologica , argilla o granito , senza alcuna possibilità di dubbio ; l ' Italia dei partiti , dei sindacati , degli organizzati , dei raziocinanti , del buon senso , delle compatibilità e l ' Italia insicura e perciò violenta , appena uscita dalla foresta nera e perciò pronta a tutto per non ritornarvi , che nell ' università di massa vive assieme ai ricchi , ne mutua i desideri e i bisogni senza poi avere i mezzi per soddisfarli : ancora un esercito di « spostati » come dicono i sociologi , ancora il vecchio gioco delle élites colte che cercano di cavalcare il fatto sociale per farne uno strumento di potere , nel '21 per fare il fascismo , adesso chi sa . Dove il privato coincide con il politico , dove i bisogni esistenziali si verniciano di ideologie arcaiche o fumose , dove gli uni discutono e spesso cianciano a vuoto di riforme e di razionalità , e gli altri chiedono , subito , posti , ragioni di esistere , di partecipare , che altro può esserci se non la incomunicabilità e l ' ambiguità ? Agli occhi dell ' Italia organizzata , assicurata , la violenza degli altri appare incomprensibile . Se a Venezia mettono una bomba al « Gazzettino » , giornale cattolico , di destra , si pensa , secondo la comune ragione : sarà un attentato di sinistra . Invece sono quelli di Ordine Nuovo . Se a Padova viene sprangato un professore « democratico » , ex partigiano , comunista come Petter o come Longo si dice : « Sarà una provocazione fascista » . Invece gli autonomi rivendicano l ' attentato . Nei quartieri popolari di Padova la violenza scoppia per i più futili pretesti e nelle più imprevedibili direzioni , perché è un bisogno , uno sfogo , qualcosa che sta nella pancia di quelle gioventù e deve uscirne , e noi che nella pancia quella rabbia non ce l ' abbiamo , cerchiamo , smarriti , il perché e il per come politico . La rapina alle casse delle mense universitarie non è razionale , ma la risposta razionale data da certe facoltà - se rapinano le casse , noi le facciamo blindate - appare come una provocazione , come una violenza . Non c ' è comunicabilità perché non c ' è quasi niente da dire . La cultura cattolica e laica , che ha voluto l ' università di massa per sistemarvi in funzioni docenti i suoi figli e nipoti , ha poco o niente da offrire a questi che fanno i neoleninisti o gli helleriani tanto per fare qualcosa , ma vogliono posti , vogliono soldi , vogliono ciò che gli altri non possono dare o non sono capaci di dare . Così la violenza serpeggia imprevedibile , ambigua , indefinibile . In vicolo Ognissanti viene bruciata una sede di Lotta continua e , poco più in là , una agenzia immobiliare . Perché Lotta continua inclina al riformismo ? Perché l ' agenzia immobiliare è uno strumento della speculazione ? Sì , ma come pretesto , come scusa per sentirsi presenti , potenti , minacciosi , vivi . Un giorno irrompono nel negozietto di un verduraio : qualche cesto di frutta , un po ' di insalata , due contadini inurbati , povera gente ; bastonati a sangue , il negozio incendiato « perché era aperto durante una delle festività infrasettimanali rubate al popolo » . Ma non sono popolo due contadini inurbati , due poveri cristi ? Sì , ma i casi personali non contano , conta l ' esempio , l ' azione , la presenza , l ' attivismo . Era così anche il fascismo nascente , ma non cadiamo nella falsa consolazione dei paragoni troppo facili : l ' esercito degli « spostati » è di nuovo in marcia , non si sa dove andrà a parare ; e imprecare , maledire in nome della santa democrazia serve a poco ; anche accorgersi adesso , marzo del 1979 , che alla facoltà di Psicologia di Padova è stato ripetuto lo stesso errore di Trento e di Milano , da cui , si poteva almeno ricordarlo , sono nati Potere Operaio e le Brigate Rosse . La facoltà di Psicologia di Padova viene immaginata , come quella di Trento , come una università di élite : per i nuovi tecnocrati , al servizio del sistema . E di nuovo l ' esercito degli spostati , che attende in ogni provincia italiana , lancia il suo ballali e parte alla conquista del vuoto ; una facoltà che doveva avere mille studenti se ne trova , in breve , novemila . Gli autonomi non sono di aspetto gradevole , come di solito non lo sono í poveri ; i loro metodi sono violenti , spesso il privato si traduce in ferocia stupida , in cinismo da quattro soldi ; il gioco del potere che si fa sulla loro pelle può anche assomigliare a una triste parodia del leninismo . Ma anche vedere la palazzina dove ha sede la facoltà di Psicologia non è un bel vedere , anche vedere degli uffici , dei locali , delle attrezzature che andrebbero in frantumi se gli studenti compissero il loro dovere di venirci a studiare non è un bel vedere . Sono accorsi a migliaia a Psicologia per le stesse ragioni per cui erano andati a Trento : l ' illusione di impadronirsi in qualche modo della chiave per capire gli altri e per comandarli ; ancora il desiderio di onnipotenza pessimamente collocato in una macchina della frustrazione e della impotenza . Che altro era nella vecchia Italia la corsa generale a Giurisprudenza ? La speranza di entrare a far parte di quelli che conoscono le machiavelliche procedure dei dottori . Qui a Psicologia anche la voglia della scorciatoia , di lauree facili con bibliografia ridotta ; e poi di posti di prestigio , in una categoria di moda : gli psicologi , dopo i sociologi , gli urbanisti , gli architetti e le altre onde delle ricorrenti mode sociali . Dicono bene i francesi : un raz de marée , una marea che sale , d ' improvviso ; in una di quelle professioni che fanno saltare i nervi , le professioni - dice Pizzorno - che mettono di fronte i mille che avranno un buon posto e un alto stipendio , agli ottomila che non avranno niente e lo prevedono , lo sanno e si incazzano in anticipo . Certo , le aggressioni a Petter e a Longo sono state ignobili , cretine , al punto che fra gli stessi autonomi ci sarebbero critiche , dissensi aperti se non intervenisse la disciplina neoleninista - carbonara - mafiosa che li tiene assieme . Ma è anche stato mediocre , prima , lasciar gonfiare la facoltà per piazzarci figli e nipoti di professori . Adesso il rettorato cerca una soluzione pratica : arrivare in qualche modo al numero chiuso senza proclamarlo formalmente . Per potere , si può , all ' italiana . Si chiudono gli uffici per le iscrizioni , si mettono a tacere per il primo anno i corsi più importanti , si inizia il decentramento : in Francia è riuscito , in America funziona . Ma sì , a parole si può fare tutto , dire tutto ; ma solo con le parole non si cambia niente e qui , da dieci anni a questa parte , pochissimo è cambiato , salvo il numero degli incazzati e degli emarginati che è in continuo aumento , salvo il numero delle pistole e delle molotov che è in continua moltiplicazione , salvo la prospettiva di una guerriglia diffusa , già in atto e magari capace di allargarsi a guerra civile con conseguenti repressioni di tipo argentino . Perché questa è la contrapposizione tragica : un potere immobile , incapace di uscire dai suoi vizi , e una opposizione che si affida solo alla rabbia , troppo poco per essere l ' alternativa in un paese industriale avanzato .
StampaQuotidiana ,
Milano . Questa storia di miliardi e di sangue matura nella Milano degli ultimi anni Sessanta . In quella Milano che vede i metalmeccanici in tuta blu scendere in piazza per migliori salari e i titoli metalmeccanici salire in Borsa sotto la spinta della speculazione . In quella Milano che vede í primi cortei dei ragazzi di Mario Capanna sfilare al grido di « Fascisti , borghesi , ancora pochi mesi » , ma che assiste anche alle prime gesta dei futuri assaltatori della Borsa , ai primi vorticosi scambi di pacchetti azionari , alle prime colossali e inspiegabili fortune finanziarie . I protagonisti della storia sono tre : Michele Sindona , Carlo Bordoni , Giorgio Ambrosoli . Sono passati appena dieci anni e quest ' ultimo già è morto ammazzato l ' altra sera a Milano sotto casa sua . Bordoni si sta lentamente spegnendo nel Correctional Center di Manhattan , il più grande carcere di New York , colpito da una grave malattia . Michele Sindona , invece , vive tranquillo e apparentemente spensierato in una comodissima suite dell ' Hotel Pierre , forse il più bell ' albergo di tutta New York . Prima di cadere sotto i colpi di una P38 , Ambrosoli aveva fatto in tempo a sporgere denuncia contro ignoti perché sapeva che stavano cercando di farlo fuori . Bordoni , benché rinchiuso in carcere e sorvegliato quasi a vista , riesce a far filtrare continuamente messaggi nei quali accusa Sindona di voler attentare alla sua vita . Ma nel 1968 questi tre uomini quasi ancora non si conoscevano . Michele Sindona era allora poco più di un grande esperto in questioni finanziarie e immobiliari . In città non lo frequentava nessuno , se si escludono alcuni ristretti circoli finanziari e alcuni personaggi importanti del mondo dell ' industria e delle banche . Quando un giornalista dell ' « Espresso » gli chiese il permesso per farlo fotografare , rispose secco : « Se vedo arrivare un fotografo , gli faccio sparare dall ' autista » . Il primo ad accorgersi delle grandi qualità di questo ambizioso avvocato siciliano era stato il Marinotti della Snia Viscosa , che si era rivolto a lui per certe storie relative ai danni di guerra e che ne aveva tratto un giovamento preziosissimo . Ma la vera pista di lancio di Sindona è stato l ' avvocato Carnelutti : insieme hanno fatto i primi affari , insieme hanno messo piede nella prima banca , la Moizzi , destinata a diventare poi la Privata Finanziaria e la fonte di tutte le disgrazie future , compresa la morte di Ambrosoli e il terrore di Carlo Bordoni . Nel 1968 Michele Sindona , che è già il padrone assoluto della Banca Privata Finanziaria , sta per mettere le mani sulla Banca Unione e sta per lanciarsi nel mondo della Borsa e della speculazione sui cambi in grande stile . Carlo Bordoni , che proprio in quegli anni inizia la sua collaborazione con l ' avvocato siciliano , ha una storia diversa , tutta segnata dalla carriera in banca . La sua professione , il suo vero destino , è quello del cambista : ogni giorno Bordoni arriva in ufficio alle sei della mattina , tiene fra le labbra un grosso sigaro cubano , si mette personalmente al telex e comincia a imbastire le sue speculazioni . Marchi contro yen , dollari contro franchi svizzeri , sterline contro fiorini . E , quando proprio c ' è troppa calma sui mercati valutari , anche platino contro oro , oppure , nei momenti di magra assoluta , patate contro cipolle . Per Bordoni tutto va bene . Purché si tratti di comprare e vendere sulla carta , Bordoni non ha magazzini , non ha camions , non ha niente ; gli bastano un telex e qualche telefono con le linee dirette per tutto il mondo . Nel giro dei cambisti ha una fama enorme : si dice che sia il più bravo in Europa e , forse , addirittura nel mondo . Ma sul suo conto circolano storie inquietanti . Si racconta di guadagni favolosi , ma anche di perdite tremende . Si ricorda , ad esempio , come il consiglio di amministrazione di una delle più importanti banche italiane lo abbia licenziato sui due piedi perché colto dal terrore davanti all ' enormità delle sue operazioni in cambi , tali da mettere in pericolo la stessa solidità dell ' azienda . E si racconta ancora , ma forse è leggenda , di una sua colossale speculazione al ribasso contro il fiorino che provocò addirittura l ' intervento della diplomazia olandese . Giorgio Ambrosoli , invece , entra in questa storia solo più tardi , nell ' autunno del 1974 , e nel ruolo del riparatore di torti . Nel 1968 è ancora chino sui libri contabili della Sfi , un imbroglio finanziario che all ' inizio degli anni Sessanta aveva fatto tremare mezza pianura padana , una ventina di industriali di primo piano e grossi esponenti della DC lombarda . Quei libri gli erano stati affidati nel 1964 e la sua opera di liquidatore della Sfi avrà termine solo nel 1972 : giusto il tempo per prendere fiato un paio d ' anni , prima di ripiegare la testa su un nuovo scandalo , ben più grosso e inquietante , quello di Michele Sindona , di Carlo Bordoni e di tanti altri i cui nomi forse non conosceremo mai . Ambrosoli , cioè , è l ' esatto contrario dei due personaggi con i quali la sua vita si incrocerà e si perderà . È un avvocato , come Sindona , ma non ama le avventure , è prudente , è di ghiaccio , è implacabile . Quasi sempre chiuso dentro un blazer blu e anonimi pantaloni grigio scuro , instancabile fumatore di sigarette , pignolo al punto da controllare anche le bollette della luce di Michele Sindona , dopo il 1974 si rivelerà come il più tenace avversario che l ' avvocato siciliano abbia incontrato . Alla fine , pur non avendolo mai visto in faccia saprà tutto di lui , più di ogni altro al mondo . Ma nel 1968 , si diceva , Ambrosoli lavora a riparare antiche ingiustizie . Sindona e Bordoni , invece , stanno preparando la loro scalata nella finanza internazionale . Lo schema concettuale da cui partono è talmente semplice da lasciare sbalorditi . Attraverso le loro banche e le loro moltissime società rastrellano denaro in Italia e nel mondo offrendo qualche punto percentuale in più sugli interessi . Questi soldi , poi , vengono utilizzati per le più straordinarie speculazioni rialziste che si siano mai viste in piazza degli Affari e per le più temerarie speculazioni in cambi che siano mai state condotte sui mercati internazionali . Montagne di dollari attraversano l ' Oceano manovrate dai cavi telex e telefonici di Bordoni , magari più volte nello stesso giorno e nei due sensi . Il denaro sembra moltiplicarsi solo nell ' andare avanti e indietro . In realtà sta fermo : a muoversi è solo Bordoni con i suoi messaggi in codice e le sue brucianti telefonate sulle principali piazze finanziarie del mondo . La Borsa di Milano è invece il regno di Sindona . I titoli della sua scuderia sembrano conoscere solo il movimento verso l ' alto . La voce si sparge e questo siciliano che nessuno conosce ancora diventa una specie di lotteria nella quale tutti sanno di poter vincere sempre . I guadagni vengono investiti in nuove imprese , sempre più grandi . Ma la passione di Sindona rimangono le banche . Dopo la Privata Finanziaria e la Unione , vengono la Amincor e la Fina in Svizzera , la Wolff in Germania e , ecco la scalata al cielo , la Franklin di New York , uno dei più grandi istituti di credito degli Stati Uniti . Il sogno di una vita sbagliata è realizzato : Sindona è un finanziere con interessi sulle due sponde dell ' Atlantico . Comincia a frequentare non solo gli uomini che contano a Milano , ma anche quelli che contano a Roma , soprattutto democristiani . Conosciutissima è la sua amicizia con Andreotti . Ma è anche la fine . All ' inizio del 1974 Bordoni e Sindona si accorgono che i conti non tornano , mancano 100 miliardi , forse 200 , forse 1000 . Ormai nessuno di loro due può dirlo . Sono persi dentro le loro stesse trame finanziarie . Bordoni è il primo a scappare , si rifugia a Caracas , dove verrà ripescato dalla polizia americana per certe illegalità commesse alla Franklin . Sindona lancia con la Finambro un ' operazione destinata a procurargli almeno 150 miliardi di lire fresche e pulite , ma viene giustamente bloccato dall ' allora ministro del Tesoro Ugo La Malfa . Alla fine , in giugno , troverà i 100 miliardi presso il Banco di Roma cedendo la proprietà del suo impero . Ma è troppo tardi . Tanto in Italia quanto in America ci sono ispettori in tutte le sue banche . Saltano fuori speculazioni sui cambi per 3 o 4 miliardi di dollari , truffe e pasticci di ogni sorta . Anche Sindona abbandona il campo e fugge a New York appena in tempo per evitare il mandato di cattura . E tutta la storia passa nelle mani di Giorgio Ambrosoli , nominato liquidatore della Banca Privata Italiana . In mano a un altro quell ' enorme mucchio di carte false , di contratti mai onorati e di miliardi a volte mai esistiti che fu l ' impero Sindona sarebbe ancora avvolto nel mistero e quindi innocuo . Ma Ambrosoli , come una brava talpa lombarda , scava fino nei più segreti angolini e consegna , proprio pochi giorni fa , una monumentale relazione alla magistratura : la verità , dopo cinque anni di indagini . Una verità , evidentemente , scomoda . Tanto scomoda da essere ripagata a colpi di pistola .