StampaQuotidiana ,
Pensiero
debole
e
conquista
illiberale
del
Potere
.
Sono
questi
i
due
capisaldi
che
presiedono
,
da
qualche
anno
,
la
vita
politica
italiana
.
La
fine
delle
ideologie
totalizzanti
,
comunismo
e
fascismo
,
sembra
aver
messo
in
soffitta
anche
le
ragioni
di
quanti
hanno
costruito
per
l
'
Italia
un
futuro
di
libertà
e
di
giustizia
collocandola
nel
solco
delle
grandi
democrazie
occidentali
.
Dal
cattolicesimo
democratico
al
socialismo
liberale
per
finire
al
liberalismo
.
Le
azioni
del
Pool
di
Milano
e
di
alcune
altre
Procure
,
anche
se
dirette
unilateralmente
contro
i
moderati
di
ieri
e
di
oggi
,
han
finito
col
sortire
un
effetto
generalizzato
e
cioè
il
rifiuto
della
politica
e
dei
partiti
.
Da
cui
la
rincorsa
alle
più
disperate
ed
emozionali
presunte
scelte
della
gente
.
In
Italia
,
contrariamente
a
quello
che
avviene
in
tutti
i
Paesi
a
democrazia
matura
,
i
partiti
,
con
qualche
rara
eccezione
,
non
offrono
più
obiettivi
politici
fondati
su
alcune
idee
forza
,
ma
tutt
'
al
più
si
limitano
a
stendere
programmi
privi
di
un
'
anima
che
potrebbero
essere
adottati
indifferentemente
dalla
destra
,
dal
centro
e
dalla
sinistra
.
Tutto
ciò
è
reso
possibile
da
un
dibattito
che
si
incentra
quasi
sempre
sugli
obiettivi
e
quasi
mai
sugli
strumenti
e
sulle
loro
motivazioni
culturali
e
sociali
.
Il
lavoro
,
il
Mezzogiorno
,
l
'
euro
,
una
pubblica
amministrazione
efficiente
e
un
fisco
più
leggero
sono
tutti
obiettivi
naturalmente
condivisibili
,
ma
le
strade
per
arrivarci
non
sono
mai
oggetto
di
un
confronto
politico
talmente
forte
,
da
investire
l
'
intera
pubblica
opinione
.
Questo
sfarinamento
politico
vero
e
proprio
mette
i
singoli
partiti
alla
caccia
disperata
degli
umori
più
turbolenti
del
Paese
nel
tentativo
di
cavalcarli
.
E
la
conclusione
è
sotto
gli
occhi
di
tutti
.
La
scelta
federalista
,
come
ha
giustamente
fatto
notare
Ernesto
Galli
della
Loggia
,
è
più
frutto
del
tentativo
di
catturare
l
'
elettorato
di
una
Lega
che
,
però
,
a
ogni
passaggio
alza
sempre
più
la
posta
,
che
non
esito
di
una
meditata
scelta
culturale
.
Si
finisce
così
col
mescolare
cose
diversissime
:
le
esigenze
di
un
forte
decentramento
politico
e
amministrativo
con
impulsi
secessionisti
largamente
minoritari
in
un
'
Italia
che
solo
da
pochi
decenni
ha
recuperato
il
senso
dell
'
unità
nazionale
.
Un
cocktail
che
è
polvere
da
sparo
,
e
finisce
,
col
piazzare
una
vera
e
propria
bomba
sotto
l
'
unità
del
Paese
reale
e
aprire
l
'
orizzonte
alla
fine
dei
partiti
nazionali
.
Tutto
ciò
è
naturale
che
accada
quando
gli
eredi
del
fascismo
e
del
comunismo
,
dopo
il
proprio
fallimento
,
non
hanno
più
la
forza
di
rielaborare
una
propria
originale
posizione
politica
mentre
il
centro
si
frantuma
in
mille
rivoli
.
E
su
questo
magma
politico
confuso
,
fioriscono
i
tentativi
,
in
larga
parte
già
riusciti
,
della
brutale
conquista
del
potere
.
L
'
ideologo
di
questa
strada
,
quello
,
cioè
,
che
non
solo
teorizza
schemi
illiberali
di
conquista
del
potere
ma
,
da
molti
anni
ne
garantisce
la
realizzazione
,
è
Luciano
Violante
,
presidente
della
Camera
dei
deputati
.
Lo
può
forse
in
virtù
dei
suoi
archivi
e
delle
sue
tutele
.
Dopo
aver
sbriciolato
il
centro
moderato
con
le
teste
di
cuoio
delle
Procure
di
Milano
,
Napoli
e
Palermo
,
Luciano
Violante
nell
'
anniversario
del
25
aprile
ha
indicato
la
strada
per
consolidare
in
eterno
l
'
egemonia
comunista
.
Sia
il
popolo
sovrano
a
decidere
,
ha
tuonato
la
sciarpa
littoria
delle
toghe
rosse
di
questo
Paese
,
e
voti
direttamente
e
contestualmente
il
presidente
della
Repubblica
e
la
coalizione
di
governo
con
il
divieto
ai
parlamentari
di
mutare
orientamento
nel
corso
della
legislatura
.
Una
motivazione
,
quest
'
ultima
,
generica
e
populista
che
rischia
di
incontrare
il
consenso
anche
del
centrodestra
che
ricorda
il
ribaltone
di
Bossi
.
E
sarebbe
un
errore
.
Se
il
nostro
governo
fosse
presidenziale
,
come
hanno
la
Francia
e
gli
Usa
,
i
postcomunisti
perderebbero
,
così
come
perderebbero
se
facessero
votare
direttamente
il
primo
ministro
.
L
'
unica
possibilità
di
vittoria
e
di
portare
a
Palazzo
Chigi
un
comunista
doc
è
se
si
vota
direttamente
,
insieme
col
capo
dello
Stato
,
la
coalizione
di
governo
,
per
il
forte
potere
egemonico
che
un
partito
del
20-22
per
cento
esercita
su
Rifondazione
e
sui
Popolari
in
un
sistema
maggioritario
uninominale
.
E
così
il
Pds
,
con
poco
più
del
20
per
cento
,
controlla
l'80
per
cento
del
potere
.
Ma
tutto
ciò
non
sembra
bastare
a
Luciano
Violante
.
Deve
andare
in
soffitta
anche
quella
garanzia
democratica
che
vuole
il
parlamentare
eletto
senza
vincoli
di
mandato
.
In
parole
semplici
non
solo
va
consolidata
l
'
elezione
diretta
della
coalizione
di
governo
che
ottimizza
il
ruolo
del
Pds
di
D
'
Alema
e
Violante
,
ma
anche
una
sua
blindatura
pena
lo
scioglimento
delle
Camere
.
Tutto
ciò
non
trova
riscontro
in
nessun
altro
Paese
democratico
ed
è
la
prima
evidente
mordacchia
a
un
Parlamento
già
messo
,
in
questi
anni
,
in
ginocchio
dal
governo
delle
deleghe
e
della
blindata
concertazione
sociale
.
Come
si
vede
,
tutto
è
cominciare
.
StampaQuotidiana ,
C
'
è
un
vecchio
detto
popolare
che
suona
più
o
meno
così
:
se
mi
imbrogli
una
prima
volta
,
la
colpa
è
tua
,
se
riesci
a
farlo
una
seconda
volta
la
colpa
è
mia
.
È
questa
la
prima
reazione
a
caldo
alla
iniziativa
del
governo
sul
nuovo
patto
sociale
che
dovrebbe
rappresentare
il
regalo
natalizio
per
gli
italiani
.
Questa
maggioranza
è
la
stessa
che
da
alcuni
anni
ci
ha
promesso
una
lenta
ma
progressiva
crescita
della
nostra
economia
e
un
'
altrettanta
progressiva
riduzione
della
disoccupazione
e
del
divario
Nord
-
Sud
.
Da
tre
anni
,
come
è
noto
,
cresciamo
meno
di
tutti
,
il
divario
tra
Nord
e
Sud
è
paurosamente
aumentato
e
siamo
l
'
unico
Paese
europeo
in
cui
il
tasso
di
disoccupazione
è
aumentato
(
dal
12,1
al
12,3
per
cento
)
mentre
la
media
europea
è
scesa
al
di
sotto
del
10
per
cento
.
É
questa
e
non
altra
la
credibilità
conquistata
sul
campo
dalla
maggioranza
di
centrosinistra
.
Ma
veniamo
a
oggi
.
I
capisaldi
di
questo
nuovo
patto
sociale
,
secondo
le
dichiarazioni
di
D
'
Alema
e
Bassolino
,
dovrebbero
essere
:
il
rilancio
delle
infrastrutture
nel
Sud
,
l
'
alleggerimento
della
fiscalità
sul
reddito
d
'
impresa
e
sul
costo
del
lavoro
,
la
formazione
professionale
e
nuove
regole
della
contrattazione
.
Per
quanto
riguarda
le
infrastrutture
siamo
all
'
ennesimo
libro
bianco
.
Si
è
scomodato
un
maxi
-
convegno
tenuto
a
Catania
per
scoprire
,
nientepopodimeno
che
il
Sud
ha
bisogno
di
potenziare
le
reti
nel
settore
del
trasporto
su
ferro
(
Ferrovie
)
e
nel
settore
idrico
.
Poco
meno
dell
'
acqua
calda
dal
momento
che
queste
due
linee
di
intervento
sono
note
da
almeno
50
anni
.
In
verità
il
nodo
sulle
infrastrutture
è
prevalentemente
finanziario
.
Ciampi
ha
da
tempo
bloccato
gli
investimenti
pubblici
perché
non
potendo
contare
su
una
effettiva
riforma
del
welfare
,
a
cominciare
dalla
previdenza
,
ha
tentato
di
quadrare
i
conti
riducendo
la
spesa
in
conto
capitale
e
aumentando
la
pressione
fiscale
.
Fino
a
quando
non
sarà
risolto
questo
nodo
tra
spesa
corrente
e
investimenti
pubblici
non
si
caverà
quindi
un
ragno
dal
buco
e
i
convegni
come
quello
di
Catania
serviranno
solo
a
far
propaganda
e
a
discutere
come
si
spenderanno
i
soldi
europei
dopo
il
Duemila
.
Insomma
campa
cavallo
che
l
'
erba
cresce
.
Sul
terreno
del
fisco
,
poi
,
rischiamo
una
colossale
comica
.
La
politica
di
bilancio
del
governo
è
già
stata
fissata
con
la
legge
finanziaria
in
corso
di
approvazione
al
Senato
.
Essa
prevede
,
per
il
1999
,
una
pressione
fiscale
sostanzialmente
invariata
rispetto
all
'
anno
che
si
chiude
se
si
eccettua
la
scomparsa
di
qualche
"
una
tantum
"
del
passato
come
,
per
esempio
,
l
'
eurotassa
.
Ciampi
e
Visco
,
infatti
,
hanno
fatto
muro
contro
la
pressione
delle
opposizioni
parlamentari
,
dei
sindacati
e
della
stessa
Banca
d
'
Italia
,
che
hanno
chiesto
insistentemente
la
riduzione
del
prelievo
tributario
su
imprese
e
famiglie
,
per
rilanciare
investimenti
e
occupazione
.
Purtroppo
,
non
ci
sembra
che
il
governo
voglia
cambiare
questa
impostazione
,
anche
perché
i
conti
pubblici
incominciano
a
scricchiolare
vista
la
caduta
del
gettito
Irap
(
mancherebbero
a
fine
d
'
anno
sei
-
ottomila
miliardi
)
e
di
quello
in
relazione
alla
minore
crescita
del
Pil
.
Non
a
caso
,
infatti
,
Massimo
D
'
Alema
proprio
ieri
ha
parlato
di
una
redristibuzione
del
carico
fiscale
sui
vari
fattori
della
produzione
.
Diminuire
il
costo
del
lavoro
a
parità
di
salario
vuol
dire
ridurre
gli
oneri
propri
e
impropri
che
gravano
sull
'
occupazione
.
Ma
se
il
tutto
non
si
ricollega
a
una
riduzione
generale
della
pressione
fiscale
,
ciò
che
si
toglie
dal
costo
del
lavoro
propriamente
detto
verrà
messo
sul
costo
degli
altri
fattori
di
produzione
(
D
'
Alema
ha
parlato
a
esempio
dell
'
energia
elettrica
)
o
compensato
con
altre
tasse
.
Insomma
,
come
la
si
volta
e
la
si
gira
,
l
'
oppressione
tributaria
su
imprese
e
famiglie
secondo
il
governo
non
può
mutare
nonostante
le
continue
dichiarazioni
del
nostro
Visco
sempre
più
ministro
-
Pinocchio
.
Tutt
'
al
più
può
cambiare
la
distribuzione
sul
carico
fiscale
ma
niente
di
più
.
Sulla
formazione
,
dopo
la
reprimenda
della
commissione
europea
,
siamo
ancora
all
'
anno
zero
.
Oltre
a
un
generico
annuncio
di
voler
rilanciare
l
'
apprendistato
(
strumento
che
già
esiste
dal
1991
e
che
in
questi
7
anni
si
è
ridotto
per
la
bassa
crescita
di
ben
150mila
unità
)
,
l
'
unica
novità
sarebbe
quella
di
attivare
un
contatto
telefonico
con
almeno
il
20%
degli
iscritti
negli
uffici
di
collocamento
per
orientarli
sul
terreno
formativo
e
lavorativo
.
Insomma
una
sorta
di
telefono
amico
per
chi
è
disperato
.
La
mistica
della
concertazione
,
con
tutti
i
suoi
riti
e
le
sue
liturgie
,
in
realtà
,
nasconde
una
incapacità
a
governare
.
Il
confronto
con
le
parti
sociale
è
,
naturalmente
,
indispensabile
per
costruire
una
politica
di
governo
in
una
società
postindustriale
,
ma
pensare
che
il
complessivo
governo
del
Paese
si
identifichi
nella
concertazione
,
vuol
dire
battere
una
pista
illiberale
,
emarginando
il
Parlamento
,
e
povero
di
risultati
,
come
dimostrano
gli
ultimi
tre
anni
durante
i
quali
siamo
diventati
la
cenerentola
d
'
Europa
per
sviluppo
,
occupazione
e
competitività
.
StampaQuotidiana ,
La
guerra
continua
e
i
rischi
di
finire
in
un
vicolo
cieco
aumentano
.
E
il
bombardamento
dell
'
ambasciata
cinese
è
benzina
sul
fuoco
e
anche
gli
accorati
appelli
per
la
pace
di
Giovanni
Paolo
II
e
del
patriarca
ortodosso
Teoctist
cadono
nel
vuoto
.
I
governi
democratici
di
sinistra
continuano
imperterriti
a
bombardare
Belgrado
dimenticando
che
chi
è
potente
potrebbe
benissimo
sospendere
per
72
ore
i
raid
aerei
per
rilanciare
alla
grande
un
vero
negoziato
di
pace
.
Chi
ha
più
forza
deve
avere
sempre
più
responsabilità
di
tutti
.
Ma
solo
a
parlarne
si
rischia
di
essere
linciati
dai
sostenitori
di
un
atlantismo
che
ogni
giorno
che
passa
è
sempre
più
diverso
da
quello
che
abbiamo
conosciutone
gli
ultimi
cinquant
'
anni
.
Sembra
strano
,
ma
chi
ieri
era
pacifista
per
pentito
preso
oggi
è
"
interventista
"
con
fierezza
e
senza
alcun
dubbio
.
Pacifismo
e
interventismo
rischiano
,
così
,
di
essere
due
facce
della
stessa
medaglia
,
quella
di
una
concezione
ideologica
della
politica
che
non
lascia
mai
intravedere
i
vantaggi
e
gli
svantaggi
,
i
rischi
e
i
terribili
costi
umani
dell
'
una
o
dell
'
altra
opzione
.
A
costo
di
essere
insultati
diciamo
subito
che
non
ci
piace
qual
pensiero
unico
a
favore
della
guerra
che
sin
qui
ha
dominato
la
scena
dei
media
italiani
.
Si
è
parlato
di
una
"
guerra
giusta
"
per
via
della
pulizia
etnica
nei
riguardi
dei
kosovari
messa
in
cantiere
da
quel
Milosevic
sulle
cui
responsabilità
nessuno
ha
dubbi
.
Ma
a
giudicare
dai
risultati
quell
'
ondata
terribile
di
pulizia
etnica
è
stata
agevolata
dall
'
inizio
dei
bombardamenti
su
Belgrado
.
Ne
è
drammatica
testimonianza
il
fiume
di
kosovari
disperati
che
,
ininterrottamente
dopo
i
primi
due
giorni
di
bombardamenti
,
hanno
varcato
le
frontiere
per
dirigersi
in
Albania
,
in
Macedonia
e
nel
Montenegro
lasciando
sul
campo
decine
di
fosse
comuni
.
Non
basta
dire
,
come
ha
fatto
Luciano
Violante
,
che
quei
morti
non
possono
che
ricadere
sulle
spalle
di
Milosevic
perché
quando
si
ha
a
che
fare
con
spietati
dittatori
,
le
grandi
potenze
democratiche
dovrebbero
saper
valutare
meglio
gli
effetti
dei
propri
comportamenti
.
La
bombe
su
Belgrado
,
al
di
là
degli
errori
che
hanno
sacrificato
centinaia
di
vite
umane
,
hanno
ridotto
a
pezzi
l
'
opposizione
democratica
a
Milosevic
e
hanno
accelerato
l
'
espulsione
di
oltre
un
milione
di
kosovari
dalla
propria
terra
.
Sono
questi
,
e
non
altri
,
i
risultati
dei
raid
aerei
della
Nato
.
Ne
valeva
la
pena
?
Noi
ne
dubitiamo
molto
anche
alla
luce
dei
fallimenti
politici
sin
qui
conseguiti
dall
'
Alleanza
atlantica
.
Tutti
i
piani
di
pace
messi
a
punto
dalla
Nato
e
ultimamente
anche
quello
del
G8
(
i
sette
Paesi
più
industrializzati
del
mondo
più
la
Russia
)
prevedono
,
infatti
,
tra
gli
altri
punti
la
permanenza
al
potere
di
Slobodan
Milosevic
.
Quale
giustizia
c
'
è
allora
in
questa
guerra
che
uccide
con
le
bombe
serbi
inermi
e
innocenti
per
salvare
poi
quel
dittatore
i
cui
gesti
criminali
hanno
sollevato
l
'
indignazione
del
mondo
occidentale
?
Quale
eticità
esiste
,
insomma
,
in
una
guerra
che
per
difendere
i
poveri
kosovari
aggrediti
non
occupa
quelle
terre
per
tutelarne
gli
abitanti
,
ma
rada
al
suolo
una
città
come
Belgrado
che
ha
la
sola
colpa
di
avere
alla
sua
guida
un
criminale
che
i
piani
di
pace
della
Nato
vogliono
comunque
mantenere
al
potere
?
E
se
Milosevic
doveva
continuare
a
governare
,
non
sarebbe
stato
,
allora
,
più
saggio
una
più
forte
offensiva
diplomatica
coinvolgendo
molto
di
più
di
quanto
non
sia
stato
fatto
la
Russia
di
Eltsin
?
Abbiamo
letto
con
molta
attenzione
ma
anche
con
molto
sgomento
ciò
che
intellettuali
e
leader
della
sinistra
hanno
scritto
in
questi
giorni
sulle
nuove
frontiere
dell
'
internazionalismo
socialista
,
incentrate
su
una
più
forte
tutela
dei
diritti
umani
capace
di
superare
anche
il
muro
della
non
ingerenza
.
Se
questa
frontiera
,
però
,
dovesse
essere
governata
dalle
armi
come
scrive
Tony
Blair
,
in
poco
tempo
il
mondo
esploderebbe
in
drammatiche
guerre
regionali
che
sarebbero
,
a
loro
volta
,
i
detonatori
di
un
possibile
conflitto
universale
.
Il
Kurdistan
,
l
'
Afghanistan
,
il
Tibet
,
il
Sud
Est
asiatico
o
l
'
inferno
del
Centro
-
Africa
,
per
citarne
solo
alcuni
,
sono
zone
del
mondo
in
cui
si
ritrovano
regimi
dispotici
che
mettono
sotto
i
piedi
ogni
diritto
umano
.
Ma
è
,
forse
,
la
guerra
la
risposta
che
il
mondo
attende
per
risolvere
i
drammi
di
quelle
popolazioni
?
Assolutamente
no
perché
essa
rinsalderebbe
parte
rilevante
del
Pianeta
contro
i
leader
democratici
occidentali
che
apparirebbero
ai
loro
occhi
solo
terribili
sacerdoti
di
una
democrazia
guerrafondaia
.
Il
mondo
democratico
occidentale
oggi
non
è
più
minacciato
,
come
lo
fu
ieri
,
dal
nazifascismo
o
dal
comunismo
ed
è
profondamente
sbagliato
paragonare
la
follia
di
Milosevic
a
quella
hitleriana
non
foss
'
altro
che
per
la
sproporzione
che
esiste
sul
terreno
economico
e
militare
tra
la
Nato
e
la
piccola
Serbia
.
Il
nostro
non
è
un
isolazionismo
indifferente
nei
riguardi
di
ciò
che
accade
intorno
a
noi
,
ma
solo
una
forte
convinzione
che
la
cultura
democratica
occidentale
può
vincere
esclusivamente
con
la
politica
e
con
lo
sviluppo
economico
delle
zone
più
povere
del
mondo
.
Il
rischio
,
invece
,
di
questa
vicenda
è
che
si
consolidi
nelle
grandi
democrazie
dell
'
Occidente
una
sorta
di
militarismo
etico
.
E
il
fatto
che
ben
13
Paesi
dell
'
Europa
siano
governati
da
leader
socialisti
le
cui
vocazioni
internazionaliste
,
nel
passato
,
hanno
procurato
non
pochi
guaii
,
sono
un
'
ulteriore
preoccupazione
.
Così
come
preoccupa
come
Ezio
Mauro
dica
e
scriva
sulla
Repubblica
che
"
la
coerenza
tenuta
da
D
'
Alema
sdogana
definitivamente
la
sinistra
italiana
che
,
con
questa
guerra
,
approda
definitivamente
a
un
moderno
riformismo
europeo
e
occidentale
"
.
Se
per
qualcuno
può
pesare
il
nostro
passato
democristiano
,
spiace
dirlo
ma
il
passato
comunista
di
Mauro
e
di
tanti
altri
interventisti
ideologici
ci
terrorizza
StampaQuotidiana ,
Il
28
febbraio
1996
un
giornalista
chiese
a
Romano
Prodi
:
"
Che
cosa
farà
appena
nominato
presidente
del
Consiglio
?
"
.
E
lui
:
"
Convocherò
una
grande
conferenza
nazionale
sul
lavoro
"
.
Il
14
aprile
,
sentendo
aria
di
vittoria
elettorale
,
Prodi
ribadì
:
"
La
sera
del
21
aprile
cominceremo
a
organizzare
la
conferenza
per
il
lavoro
"
.
La
conferenza
per
il
lavoro
non
si
è
mai
svolta
.
Fu
convocata
per
settembre
'96
,
ma
il
governo
vi
giunse
impreparato
.
"
Rimandiamola
a
ottobre
"
,
dissero
.
E
così
avvenne
,
ma
a
ottobre
il
governo
era
di
nuovo
impreparato
.
La
conferenza
,
allora
,
fu
rinviata
a
febbraio
,
poi
a
marzo
,
poi
a
Fregene
,
perché
arrivò
aria
di
vacanza
e
le
conferenze
non
sono
per
nulla
balneari
.
Il
governo
,
comune
,
era
impreparato
.
Con
l
'
arrivo
dell
'
autunno
si
ricominciò
a
parlare
del
Grande
Appuntamento
.
Ma
il
governo
era
impreparato
e
così
si
decise
di
rimandare
a
febbraio
.
Poi
si
disse
:
"
Meglio
marzo
"
.
Ora
Antonio
Bassolino
,
mente
pensante
dell
'
Ulivo
al
Sud
e
sindaco
di
Napoli
,
la
città
che
dovrebbe
ospitare
la
conferenza
,
manda
un
messaggio
al
governo
:
"
Per
cortesia
rimandate
ancora
la
conferenza
.
È
inutile
farla
a
marzo
perché
non
sarebbe
ben
preparata
"
.
Se
ne
parla
da
due
anni
,
il
governo
continua
a
essere
non
preparato
,
la
disoccupazione
continua
a
crescere
.
Noi
non
crediamo
alle
conferenze
sul
lavoro
.
Anzi
,
siamo
convinti
che
le
conferenze
diano
lavoro
soltanto
a
chi
le
organizza
.
Per
cui
non
abbiamo
nessun
interesse
che
il
Grande
Appuntamento
veda
la
luce
.
Saremmo
più
lieti
se
vedesse
la
luce
una
sensibile
riduzione
della
pressione
fiscale
,
che
è
l
'
unico
modo
per
far
saltare
fuori
occupazione
sana
e
vera
,
altro
che
i
pacchi
di
Treu
.
Però
se
davvero
il
governo
ha
scelto
come
linea
politica
quella
di
uccellare
gli
italiani
,
almeno
la
sappia
perseguire
con
coraggio
fino
in
fondo
.
Chiami
a
raccolta
le
truppe
cammellate
,
convochi
tre
o
quattro
relatori
ammanicati
,
dieci
sindacalisti
,
l
'
imprenditore
da
far
da
contraltare
,
il
ministro
,
la
passerella
per
Prodi
,
Sant
'
Antonio
Abbassolino
,
e
via
,
il
gioco
,
pardon
,
la
conferenza
è
fatta
.
Magari
arriva
anche
un
illuminante
messaggio
di
Scalfaro
:
"
La
disoccupazione
è
un
male
per
il
Paese
"
.
Suvvia
,
è
il
vostro
mestiere
.
Dobbiamo
insegnarvelo
noi
?
I
Tg
sono
già
schierati
,
c
'
è
l
'
inviato
di
Repubblica
con
i
polpastrelli
già
sbrodolanti
,
gli
atti
del
convegno
si
possono
far
pubblicare
ad
un
editore
amico
,
forse
ci
sarà
anche
una
relazione
di
Norberto
Bobbio
che
,
da
quando
ha
spiegato
perché
non
parla
più
,
non
perde
occasione
di
parlare
ancora
.
Fra
le
tante
carnevalate
che
si
vedono
in
giro
non
sarebbe
nemmeno
la
peggiore
.
Certo
,
non
servirebbe
a
nulla
.
Ma
sono
abituati
ai
fiumi
di
parole
,
che
non
servono
a
nulla
.
E
se
non
c
'
erano
abituati
,
due
anni
di
Ulivo
sono
stati
una
specie
di
training
intensivo
.
Vogliamo
ricordare
?
Il
ministro
Treu
:
"
Nel
'96
creeremo
400mila
posti
di
lavoro
al
Sud
"
(
1
gennaio
'96
)
.
Il
vicepremier
Veltroni
:
"
Nei
primi
cento
giorni
del
governo
prenderemo
tre
provvedimenti
.
Primo
:
lavoro
per
i
giovani
nel
Sud
"
(
1
maggio
'96
)
.
Il
ministro
Bersani
:
"
Già
nelle
prossime
settimane
daremo
forti
segnali
di
cambiamento
nel
settore
dell
'
occupazione
"
(
11
luglio
'96
)
.
Ancora
Veltroni
:
"
Il
nostro
vero
nemico
è
la
disoccupazione
"
(
18
luglio
)
.
Ancora
Treu
:
"
Nel
'97
tutti
gli
sforzi
sanno
concentrati
sulla
disoccupazione
"
(
3
genaio
'97
)
.
E
ci
fermiamo
qui
soltanto
per
non
sprecare
,
carta
,
inchiostro
assai
più
utili
di
queste
dichiarazioni
.
Del
resto
,
che
il
vero
nemico
di
Veltroni
sia
la
disoccupazione
è
una
realtà
seppur
in
senso
più
privato
che
pubblico
:
il
vicepresidente
non
si
capacita
del
fatto
che
qualcuno
gli
abbia
dato
un
lavoro
.
Nemmeno
noi
,
se
per
questo
Ma
,
appunto
,
alle
promesse
mancate
gli
italiani
si
sono
abituati
,
Ciò
che
non
si
aspettavano
è
questo
:
qui
si
manca
addirittura
l
'
appuntamento
con
le
promesse
.
Che
il
governo
sia
impreparato
per
la
lotta
contro
la
disoccupazione
purtroppo
ormai
non
è
più
un
'
opinione
,
ma
una
statistica
Istat
:
ora
scopriamo
anche
che
è
impreparato
a
organizzare
una
conferenza
per
parlare
della
lotta
alla
disoccupazione
.
A
loro
mancano
persino
le
parole
.
Figurarsi
a
noi
.
Il
continuo
rinvio
della
conferenza
per
l
'
occupazione
è
,
di
per
sé
irrilevante
negli
effetti
pratici
,
assume
perciò
un
significato
storico
nel
grande
processo
di
gabellamento
del
popolo
italiano
.
Siamo
arretrati
a
questo
:
non
arriviamo
più
nemmeno
più
alle
vecchie
e
bugiarde
promesse
.
Ora
si
promette
che
un
giorno
si
prometterà
.
E
poi
non
si
mantiene
.
È
una
specie
di
scatola
cinese
della
fanfaronata
,
l
'
ingegneria
finanziaria
applicata
alla
burla
,
la
holding
della
patacca
.
Che
farebbe
anche
ridere
se
non
fosse
per
un
particolare
:
siamo
tutti
costretti
a
esserne
azionisti
.
StampaQuotidiana ,
Non
creiamoci
soverchie
illusioni
:
l
'
Enel
non
sta
per
essere
privatizzata
e
al
suo
posto
non
sta
per
subentrare
un
sistema
competitivo
di
mercato
.
Quanto
sta
accadendo
è
in
larga
misura
un
cosmetico
rimescolamento
delle
carte
,
non
la
fine
del
monopolio
pubblico
.
Tuttavia
,
pur
trattandosi
soltanto
di
un
primo
,
timido
e
contraddittorio
passo
verso
una
restituzione
del
settore
al
mercato
e
alla
disciplina
della
concorrenza
,
non
sarebbe
male
che
guardassimo
indietro
e
valutassimo
l
'
enorme
significato
simbolico
dell
'
operazione
.
Si
tratta
dell
'
ennesima
conferma
della
fine
di
un
mondo
,
di
una
ideologia
,
di
una
impostazione
politica
.
Per
comprenderlo
,
è
necessario
rifarsi
al
dibattito
che
contrassegnò
la
nascita
dell
'
Enel
.
Gli
anni
Cinquanta
,
com
'
è
noto
,
furono
anni
di
grandi
successi
economici
.
In
quel
decennio
venne
riconquistata
la
stabilità
del
potere
d
'
acquisto
della
moneta
:
l
'
inflazione
,
che
nel
decennio
1940-49
era
stata
in
media
pari
a
quasi
il
65
per
cento
l
'
anno
,
venne
sconfitta
.
Fra
il
1950
e
il
1959
il
tasso
medio
annuo
d
'
inflazione
scese
a
circa
il
3%
e
la
nostra
lira
andò
consolidandosi
fino
a
ottenere
il
premio
per
la
moneta
più
stabile
in
Europa
.
Il
disavanzo
pubblico
,
che
nel
1950
era
stato
pari
a
quasi
500
miliardi
(
oltre
il
4,5%
del
prodotto
interno
lordo
)
,
andò
rapidamente
diminuendo
:
nel
1961
fu
di
357
miliardi
,
l'1,4%
del
Pil
.
Il
debito
complessivo
scese
dai
4.800
miliardi
del
1950
,
pari
al
52%
del
Pil
,
ai
9.286
del
1960
,
pari
al
37,4%
del
Pil
.
Furono
cioè
anni
di
rigore
finanziario
e
di
politica
monetaria
prudente
e
,
smentendo
il
coro
unanime
degli
economisti
di
sinistra
,
quella
politica
di
rigore
non
solo
non
produsse
ristagno
e
disoccupazione
ma
si
tradusse
al
contrario
in
un
fattore
di
poderosa
crescita
economica
:
la
disoccupazione
diminuì
sensibilmente
(
nel
1960
il
tasso
di
disoccupazione
diminuì
sensibilmente
(
nel
1960
il
tasso
di
disoccupazione
era
inferiore
al
4%
)
e
il
tasso
di
sviluppo
fu
talmente
elevato
(
in
media
quasi
il
7%
reale
l
'
anno
)
che
da
più
parti
si
gridò
al
miracolo
.
Quelli
sono
,
infatti
,
ancora
indicati
come
gli
anni
del
"
miracolo
economico
"
.
Ma
non
c
'
era
nulla
di
miracoloso
in
quel
successo
:
si
trattava
semplicemente
delle
conseguenze
previste
di
una
politica
liberale
di
rilancio
del
mercato
,
di
incoraggiamento
al
risparmio
,
di
stabilità
monetaria
,
di
bassa
fiscalità
,
di
assenza
di
sprechi
pubblici
,
di
limitatissima
ingerenza
della
politica
nell
'
economia
.
Tutti
i
Paesi
che
hanno
seguito
quell
'
impostazione
hanno
ottenuto
,
sia
pure
in
diversa
misura
,
gli
stessi
positivi
risultati
.
La
verità
è
che
il
successo
degli
anni
Cinquanta
irritò
,
e
non
poco
,
le
sinistre
:
come
mai
,
si
chiedevano
i
più
onesti
fra
loro
,
una
politica
diametralmente
opposta
a
quella
da
noi
proposta
ottiene
risultati
così
positivi
?
Nacque
allora
negli
ambienti
delle
sinistre
comuniste
,
socialiste
e
cattocomuniste
un
nuovo
slogan
:
i
Cinquanta
saranno
magari
stati
gli
anni
del
"
miracolo
economico
"
ma
ora
è
necessario
un
"
miracolo
sociale
"
,
è
necessaria
un
'
"
apertura
a
sinistra
"
,
una
svolta
nella
politica
economica
,
con
l
'
abbandono
delle
"
vecchie
e
superate
"
ricette
dell
'
economia
liberale
e
l
'
adozione
di
formule
economiche
"
moderne
"
,
più
consone
ai
tempi
.
Fu
in
questo
clima
che
nacque
il
centrosinistra
,
l
'
alleanza
fra
marxisti
e
democristiani
che
da
quasi
40
anni
malgoverna
l
'
Italia
.
La
svolta
politica
significò
l
'
abbandono
della
prudenza
finanziaria
e
del
contenimento
dell
'
invadenza
pubblica
,
ma
il
simbolo
maggiore
del
cambiamento
fu
proprio
la
nazionalizzazione
dell
'
energia
elettrica
,
la
creazione
dell
'
Enel
.
Quella
infausta
operazione
fu
fortemente
voluta
,
specie
dai
socialisti
,
sia
per
sottolineare
il
passaggio
da
un
'
economia
di
mercato
a
un
'
economia
statalista
e
pianificata
,
come
venne
apertamente
dichiarato
,
come
"
strumento
per
scardinare
la
struttura
della
società
capitalistica
"
.
Può
apparire
incredibile
oggi
,
a
distanza
di
oltre
35
anni
,
che
circolassero
allora
e
fossero
popolari
idiozie
del
genere
,
ma
è
così
.
Raccomanderei
a
chi
oggi
trova
deprimente
la
mancanza
di
idee
sensate
a
sinistra
di
leggersi
i
discorsi
di
allora
:
sono
un
autentico
stupidario
.
Dilapidammo
3.000
miliardi
di
allora
(
circa
55.000
di
adesso
)
per
soddisfare
i
pruriti
ideologici
delle
sinistre
,
elevando
un
carrozzone
inefficiente
,
burocratico
,
costoso
e
corrotto
a
simbolo
di
una
nuova
era
,
più
saggia
,
progressiva
,
moderna
.
Per
questo
,
lo
smantellamento
dell
'
Enel
,
anche
se
non
costituisce
affatto
una
vera
privatizzazione
né
un
'
autentica
liberalizzazione
,
ha
per
me
liberista
lo
stesso
,
gratificante
significato
della
caduta
del
muro
di
Berlino
o
della
demolizione
delle
statue
di
Lenin
:
un
mostruoso
totem
del
fanatismo
statalista
viene
finalmente
demolito
.
Il
resto
,
speriamo
,
verrà
dopo
.
StampaQuotidiana ,
La
frode
del
4
per
mille
è
stata
bloccata
:
ma
,
frattanto
,
ha
riportato
l
'
attenzione
del
pubblico
sul
problema
del
finanziamento
ai
partiti
.
I
contribuenti
non
sembrano
entusiasti
di
devolvere
una
parte
di
quanto
versato
in
imposte
a
questo
scopo
(
gestito
con
criteri
automatici
)
,
anche
se
non
ci
rimettono
nulla
.
Ancor
meno
entusiasti
forse
sarebbero
,
se
si
rendessero
conto
che
c
'
è
un
'
altra
via
,
più
subdola
,
attraverso
cui
finanziano
i
partiti
:
la
retribuzione
ai
parlamentari
di
ogni
ordine
e
grado
.
Di
fatto
,
consiglieri
regionali
,
deputati
e
senatori
,
parlamentari
europei
sono
pagati
dall
'
erario
,
ma
svolgono
per
i
partiti
compiti
che
costerebbero
moltissimo
se
dovessero
essere
retribuiti
a
professionisti
ad
hoc
.
Un
po
'
di
lavoro
dei
membri
dei
corpi
elettivi
è
svolto
nelle
commissioni
(
a
parte
chi
lavora
a
tempo
pieno
per
il
governo
o
la
giunta
)
;
ma
l
'
attività
più
intensa
è
svolta
a
favore
del
partito
,
e
vale
assai
più
della
modesta
percentuale
sugli
emolumenti
,
che
l
'
eletto
versa
in
denaro
.
Difficilmente
uno
impegna
una
sua
specifica
competenza
nell
'
elaborare
le
leggi
:
quasi
sempre
si
limita
a
votarle
,
seguendo
le
indicazioni
del
capogruppo
.
Quando
non
lo
fa
,
è
perché
c
'
è
stato
un
equivoco
:
o
,
peggio
,
perché
è
indisciplinato
e
segue
le
indicazioni
di
qualcun
altro
.
Sotto
questo
riguardo
,
la
pratica
dei
"
pianisti
"
si
potrebbe
generalizzare
:
ad
ogni
elezione
basterebbe
assegnare
a
ciascun
partito
un
peso
proporzionale
ai
voti
ricevuti
,
e
poi
far
premere
il
tasto
da
un
solo
incaricato
.
L
'
eloquenza
parlamentare
ne
soffrirebbe
,
ma
si
otterrebbe
un
'
economia
e
si
avrebbe
,
fra
l
'
altro
,
il
vantaggio
di
evitare
ribaltoni
.
I
partiti
,
tuttavia
,
ci
perderebbero
:
verrebbe
loro
mancare
la
collaborazione
di
persone
preziose
per
l
'
elaborazione
della
linea
politica
.
Infatti
,
mentre
le
aule
sono
spesso
deserte
o
quasi
,
i
parlamentari
si
lamentano
di
condurre
una
vita
faticosa
,
impegnati
dal
mattino
alla
sera
in
riunioni
interminabili
,
al
cui
risultato
non
hanno
interesse
.
Peggio
:
se
lo
hanno
,
non
riescono
a
farlo
prevalere
.
Per
questo
la
maggioranza
di
loro
-
di
cui
il
pubblico
non
conosce
neppure
il
nome
-
viene
qualificata
con
la
qualifica
di
"
peones
"
.
Ma
lo
Stato
spende
per
loro
e
per
chi
li
aiuta
somme
ingenti
,
e
dà
l
'
impressione
che
siano
dei
privilegiati
sociali
.
Con
ciò
non
voglio
esprimere
alcun
giudizio
morale
o
tecnico
negativo
:
dico
soltanto
che
buona
parte
di
ciò
che
lo
Stato
o
le
regioni
spendono
per
i
parlamentari
va
considerata
come
una
forma
di
finanziamento
ai
partiti
.
Del
resto
,
in
certo
senso
dovuta
,
se
la
politica
si
elabora
in
sede
di
partito
e
non
di
assemblea
.
I
propositi
di
ridurre
il
numero
di
parlamentari
sono
accolti
,
perciò
,
con
sfavore
,
non
solo
da
chi
ambisce
a
quelle
funzioni
,
ma
soprattutto
da
chi
ha
la
responsabilità
di
un
partito
e
si
domanda
(
con
angoscia
crescente
dopo
tangentopoli
)
con
quali
mezzi
e
con
quali
aiuti
vi
farà
fronte
.
L
'
obiettivo
dei
partiti
tocca
il
tema
cruciale
del
loro
rapporto
con
la
democrazia
,
la
cui
degenerazione
è
espressa
con
una
crasi
linguisticamente
scorretta
,
ma
appunto
perciò
appropriata
:
partitocrazia
.
Se
la
politica
è
elaborata
all
'
interno
dei
partiti
,
anziché
nelle
sue
sedi
istituzionali
,
è
naturale
che
i
partiti
la
trattino
come
cosa
loro
e
pretendano
di
esserne
pagati
.
Però
,
visto
che
la
Costituzione
tratta
i
partiti
come
enti
privati
,
meglio
sarebbe
se
li
gestissero
i
privati
con
fondi
privati
,
e
con
quella
"
trasparenza
"
che
è
bene
tener
ferma
,
ma
su
cui
è
il
caso
di
non
far
troppo
conto
,
viste
le
stravaganze
cui
dà
luogo
(
pur
in
società
così
diverse
tra
loro
come
l
'
americana
e
la
russa
)
quando
la
si
pretende
perfetta
.
Basta
che
non
si
esageri
:
ossia
che
gli
eletti
non
credano
che
i
loro
doveri
pubblici
siano
sostituibili
del
tutto
con
compiti
privati
.
Ora
,
tra
sei
mesi
,
i
partiti
avranno
una
ghiotta
occasione
per
concorrere
a
questa
forma
di
finanziamento
:
le
elezioni
europee
.
Strasburgo
è
meno
assorbente
di
Roma
,
e
non
ha
la
facoltà
neppur
formale
di
prendere
decisioni
operative
.
Perciò
è
giusto
che
i
parlamentari
europei
lavorino
più
degli
altri
per
il
partito
,
senza
il
quale
,
tra
l
'
altro
,
avrebbero
molta
più
difficoltà
a
farsi
eleggere
.
Ma
appunto
perciò
è
convenienza
dei
partiti
scegliere
candidati
affidabili
e
forniti
di
prestigio
.
Evitando
,
inoltre
,
di
accollare
più
mansioni
parlamentari
a
uno
stesso
soggetto
:
sia
perché
il
titolare
di
più
mandati
contemporanei
non
avrebbe
modo
di
dedicarsi
al
partito
senza
trascurare
del
tutto
i
suoi
doveri
pubblici
,
sia
perché
,
in
quel
caso
,
in
luogo
di
due
parlamentari
da
utilizzare
il
partito
ne
avrebbe
uno
solo
.
StampaQuotidiana ,
Wim
Wenders
compie
nel
1995
cinquant
'
anni
.
S
'
è
sposato
nel
1993
per
la
terza
volta
con
Donata
Schmidt
,
assistente
operatore
che
in
Lisbon
Story
ha
fatto
la
segretaria
di
edizione
,
ragazza
cattolica
religiosissima
.
Va
diventando
sempre
più
religioso
.
La
bellezza
,
le
emozioni
,
lo
spaesamento
e
la
malinconia
dei
suoi
film
,
il
suo
stile
cristallizzato
e
seducente
,
la
sua
capacità
di
fondere
romanticismo
tedesco
e
road
movie
americano
,
di
mescolare
poesia
,
umorismo
e
profondità
,
di
guardare
il
mondo
con
il
distacco
dell
'
investigatore
e
l
'
avidità
dell
'
innamorato
,
gli
hanno
conquistato
un
gran
pubblico
internazionale
soprattutto
di
ragazzi
.
Adesso
è
un
poco
cambiato
:
resta
uno
dei
rari
registi
che
rifletta
e
teorizzi
sul
proprio
mestiere
e
sull
'
arte
del
vedere
,
sulle
immagini
e
su
come
esse
vengano
create
e
consumate
nelle
società
contemporanee
,
ma
questi
pensieri
assumono
spesso
il
tono
didattico
,
ansioso
e
sentenzioso
,
d
'
una
crisi
espressiva
.
A
questo
punto
il
produttore
portoghese
Paulo
Branco
propone
a
Wenders
un
film
su
Lisbona
,
finanziato
anche
dall
'
amministrazione
della
città
meravigliosa
.
Lui
accetta
.
Anziché
un
documentario
,
fa
una
parabola
autoindulgente
di
quasi
due
ore
,
in
parte
bella
,
in
parte
lambiccata
,
sfilacciata
e
pesante
:
sulla
situazione
del
cinema
che
compie
cent
'
anni
e
sulla
nostalgia
per
la
cine
-
innocenza
perduta
;
sullo
stato
delle
immagini
tanto
amate
ma
adesso
tanto
spesso
prostituite
e
orribili
;
sui
generi
della
narrazione
per
immagini
(
road
movie
,
documentario
,
poliziesco
,
musicale
,
farsesco
,
diaristico
)
e
sui
suoi
linguaggi
(
muto
,
sonoro
,
bianco
e
nero
,
colore
,
video
)
;
sulle
nuove
generazioni
e
sull
'
elettronica
che
trasforma
anche
i
bambini
in
cineasti
.
Non
è
un
film
difficile
:
si
può
conoscerlo
meglio
anche
leggendone
la
sceneggiatura
pubblicata
da
Ubulibri
a
cura
di
Mario
Sesti
.
I
concetti
danno
corpo
a
una
storia
.
Richiamato
con
urgenza
dall
'
amico
regista
Friedrich
Monroe
(
stesso
nome
e
stesso
interprete
,
Patrick
Bauchau
,
di
Lo
stato
delle
cose
)
,
il
tecnico
del
suono
Philip
Winter
(
stesso
nome
e
stesso
interprete
,
Rúdiger
Vogler
,
di
Fino
alla
fine
del
mondo
e
Così
lontano
,
così
vicino
)
si
mette
in
macchina
,
arriva
a
Lisbona
;
l
'
amico
è
scomparso
,
restano
la
città
bellissima
e
i
suoi
suoni
da
vedere
e
registrare
,
gangsters
e
bambini
da
incontrare
,
una
cantante
affascinante
da
amare
sinché
il
regista
non
riappare
.
Citazioni
di
Pessoa
,
epifania
aggraziata
e
spiritosa
di
Manoel
de
Oliveira
.
Lisbon
Story
si
apre
e
si
chiude
con
un
saluto
a
Fellini
che
se
n
'
è
andato
,
«
Ciao
Federico
»
:
può
essere
l
'
espressione
d
'
un
rimpianto
o
un
'
allusione
al
protofilm
di
crisi
d
'
un
regista
,
8
e
1/2
.
Speriamo
che
non
sia
un
addio
al
cinema
.
StampaQuotidiana ,
Prêt
-
à
-
porter
,
scritto
,
prodotto
e
diretto
da
Robert
Altman
,
non
è
bello
né
brutto
:
è
glamour
.
È
divertente
.
È
il
sogno
dei
Vip
-
maniaci
e
dei
giornali
fatto
film
.
È
due
ore
e
dieci
minuti
di
sfilate
di
moda
e
di
modelle
a
Parigi
,
di
facce
famose
,
abiti
importabili
,
isterismi
eleganti
,
amori
comici
,
modesti
cinismi
,
chiacchiere
,
atrocità
,
rivalità
lussuose
,
chiasso
,
cretinate
,
gioielli
,
shopping
compulsivo
,
odii
stupidi
.
Dolce
vita
anni
Novanta
,
Beautiful
a
Parigi
,
commedia
umana
,
irrisione
del
consumismo
,
analisi
dell
'
apparenza
scambiata
per
sostanza
,
condanna
dei
media
frenetici
,
esaltazione
del
corpo
,
parodia
del
vuoto
contemporaneo
,
voyeurismo
critico
?
Non
esageriamo
.
I
significati
sono
pochi
e
ovvii
:
non
s
'
aspettava
certo
Altman
per
deplorare
la
vanità
delle
vanità
né
per
predicare
un
ritorno
alla
sobrietà
ragionevole
.
Le
macchiette
sono
molte
.
I
momenti
pubblicitari
sono
più
che
un
sospetto
.
La
satira
è
impossibile
,
o
zoppa
:
come
prendere
in
giro
lo
spettacolo
parigino
,
già
in
sé
volutamente
autocaricaturale
,
delle
sfilate
di
moda
?
Ma
il
film
un
po
'
stancante
nell
'
insieme
è
ricco
,
brillante
:
una
farsa
con
mille
cose
da
guardare
e
tanti
visi
da
riconoscere
,
un
divertimento
,
una
vacanza
.
Lo
stile
di
Altman
è
come
sempre
frammentato
(
a
volte
sfilacciato
)
.
La
narrazione
orizzontale
destrutturata
,
complessa
e
sinuosa
,
segue
coralmente
numerosi
personaggi
in
varie
storie
intrecciate
:
niente
psicologie
,
soltanto
comportamenti
.
All
'
inizio
Marcello
Mastroianni
in
colbacco
contempla
il
profumo
Poison
(
Veleno
)
nella
vetrina
d
'
un
negozio
Dior
,
entra
,
compra
due
bruttissime
cravatte
identiche
:
ma
siamo
a
Mosca
,
sulla
Piazza
Rossa
.
Dal
Cremlino
alla
Tour
Eiffel
:
Mastroianni
,
italiano
divenuto
sarto
in
Russia
,
misterioso
ladro
di
valige
e
di
vestiti
altrui
,
è
un
personaggio
-
guida
attraverso
l
'
ambiente
tossico
delle
sfilate
parigine
.
Lui
siede
nella
limousine
nera
accanto
a
Jean
-
Pierre
Cassel
,
autorità
della
moda
che
si
strozza
mangiando
un
tramezzino
,
che
viene
creduto
vittima
d
'
assassinio
dai
poliziotti
Michel
Blanc
e
Jean
Rochefort
,
che
non
viene
pianto
dalla
moglie
Sophia
Loren
e
viene
rimpianto
dall
'
amante
stilista
Anouk
Aimée
:
quest
'
ultima
ha
i
suoi
guai
,
senza
dirle
nulla
il
figlio
Rupert
Everett
(
sposato
con
una
modella
nera
e
amante
della
sorella
gemella
della
moglie
)
ha
venduto
l
'
azienda
al
miliardario
texano
fabbricante
di
stivali
Lyle
Lovett
.
È
Mastroianni
a
rincontrare
Sophia
Loren
,
che
trentacinque
anni
prima
era
sua
moglie
e
che
gli
ripete
un
antico
spogliarello
(
alla
seconda
calza
nera
,
lui
s
'
addormenta
russando
)
.
È
Chiara
Mastroianni
l
'
assistente
del
secondo
personaggio
-
guida
,
la
giornalista
televisiva
Kim
Basinger
,
bionda
,
scema
e
bella
,
le
cui
interviste
permettono
d
'
incontrare
Cher
e
Belafonte
,
Lauren
Bacall
e
Stephen
Rea
,
tanti
stilisti
.
Intanto
il
compratore
di
Chicago
Danny
Aiello
e
la
sua
donna
Teri
Garr
s
'
abbandonano
alle
proprie
perversioni
:
lei
acquista
intere
boutiques
,
lui
si
veste
da
donna
in
tailleur
Chanel
rosa
.
Intanto
i
giornalisti
Julia
Roberts
e
Tim
Robbins
,
rimasti
senza
valigie
,
si
chiudono
nell
'
unica
camera
d
'
albergo
disponibile
e
fanno
l
'
amore
,
sospendendo
brevemente
solo
per
scrivere
articoli
copiati
dal
telegiornale
.
Nel
frattempo
...
La
storia
infinita
termina
con
una
sfilata
di
modelle
nude
.
Se
l
'
immagine
volesse
simboleggiare
una
condanna
degli
orpelli
,
una
scelta
di
rigore
,
sarebbe
tardiva
,
illusoria
:
da
un
pezzo
a
Parigi
le
modelle
sfilano
nude
,
e
nessuno
rinuncia
a
nulla
.
StampaQuotidiana ,
Un
film
inconsueto
,
bello
e
strano
,
sulla
faccia
triste
dell
'
America
e
sulla
fatica
di
vivere
.
Con
le
due
giovani
star
hollywoodiane
più
inquietanti
ed
eleganti
:
Johnny
Depp
,
Juliette
Lewis
.
Con
due
presenze
impressionanti
:
una
donna
enormemente
obesa
,
250
chili
,
che
da
sette
anni
non
esce
di
casa
,
che
dal
giorno
in
cui
suo
marito
scese
in
cantina
e
senza
dire
una
parola
s
'
impiccò
,
siede
immobile
su
un
divano
sfondato
mangiando
come
un
orco
,
fumando
,
guardando
la
tv
,
e
che
alla
fine
s
'
uccide
nel
modo
più
semplice
,
salendo
le
scale
e
facendosi
scoppiare
il
cuore
per
la
fatica
di
trascinare
l
'
immenso
corpo
;
un
diciottenne
ritardato
mentale
,
vivace
,
spericolato
e
ciarliero
come
un
bambino
piccolo
,
al
quale
bisogna
sempre
star
dietro
perché
non
combini
guai
.
Insieme
con
due
ragazze
pazienti
,
sono
questi
la
madre
e
i
fratelli
,
è
questa
la
famiglia
a
capo
della
quale
si
ritrova
Johnny
Depp
,
commesso
in
un
negozio
d
'
alimentari
d
'
un
paese
della
grande
America
rurale
piatta
(
«
descriverla
è
come
ballare
senza
musica
»
)
dove
le
uniche
fortunate
sono
le
automobili
sulla
strada
provinciale
:
«
Fanno
la
sola
cosa
che
c
'
è
da
fare
:
passano
e
se
ne
vanno
»
.
Il
film
magnificamente
recitato
,
tratto
da
un
romanzo
di
Peter
Hedges
,
racconta
benissimo
la
vita
aspra
del
giovane
uomo
:
doveri
,
pensieri
,
affanni
(
«
Devo
andare
»
è
il
suo
slogan
)
,
desolazione
,
esasperazione
,
mutilazione
dell
'
esistenza
,
fatica
,
obblighi
,
sogni
spezzati
,
ma
anche
affetti
autentici
,
momenti
d
'
allegria
e
di
festa
,
baci
d
'
amore
scambiati
in
fretta
(
«
Devo
andare
,
adesso
»
)
.
Alla
morte
della
madre
,
per
evitare
la
volgare
curiosità
altrui
verso
«
il
fenomeno
da
baraccone
»
,
i
figli
ne
inceneriscono
lo
sterminato
cadavere
dando
fuoco
alla
casa
,
bruciando
anche
tutto
il
passato
,
concedendosi
forse
una
possibilità
di
ricominciare
.
Lo
stile
,
il
sentimento
della
realtà
non
avvelenato
dall
'
assenza
di
speranza
,
la
sottigliezza
psicologica
unita
alla
semplicità
ironica
sono
le
caratteristiche
rare
di
Lasse
Hallström
.
Il
regista
svedese
cinquantenne
di
La
mia
vita
a
quattro
zampe
(
1985
)
,
trasferitosi
negli
Stati
Uniti
dopo
il
successo
mondiale
di
quel
film
,
autore
d
'
un
primo
film
americano
mai
uscito
in
Italia
,
Ancora
una
volta
con
Richard
Dreyfuss
e
Holly
Hunter
,
ha
molta
originalità
,
una
gran
qualità
di
narratore
realista
,
affettuoso
,
profondo
e
divertito
.
StampaQuotidiana ,
«
Sostiene
Pereira
»
è
l
'
intercalare
-
chiave
del
romanzo
di
Antonio
Tabucchi
pubblicato
da
Feltrinelli
dal
quale
il
film
è
tratto
:
il
narratore
riferisce
,
prendendo
un
poco
le
distanze
,
quanto
si
suppone
gli
sia
stato
raccontato
dal
protagonista
dottor
Pereira
,
anziano
redattore
della
pagina
culturale
del
quotidiano
portoghese
«
Lisboa
»
nel
1938
.
«
Sostiene
Pereira
»
è
l
'
espressione
che
ritma
i
capitoli
,
scandendo
la
vicenda
del
giornalista
cattolico
invecchiato
,
vedovo
e
solo
,
assediato
dal
pensiero
della
morte
,
amoroso
traduttore
di
narrativa
francese
e
amante
della
cultura
(
«
IO
credevo
che
la
letteratura
fosse
la
cosa
più
importante
»
)
,
uomo
onesto
ma
atono
che
rimane
estraneo
al
dramma
collettivo
dei
fascismi
europei
anni
Trenta
.
L
'
incontro
con
due
giovani
militanti
antifascisti
quasi
costringe
Pereira
a
guardare
la
realtà
di
violenza
,
di
repressione
e
di
censura
dello
«
Stato
nuovo
»
,
senza
più
Costituzione
né
libertà
,
del
dittatore
portoghese
Salazar
;
dapprima
resiste
(
«
Io
non
parteggio
,
non
voglio
guai
,
non
sono
dei
vostri
né
dei
loro
»
)
,
poi
acquista
coscienza
e
approda
concretamente
alla
consapevolezza
del
dovere
di
ciascuno
di
reagire
,
di
combattere
.
Più
che
un
dovere
,
una
necessità
di
sopravvivenza
.
Che
il
conflitto
riguardi
in
realtà
la
vita
della
libertà
contro
la
morte
dell
'
oppressione
è
testimoniato
da
una
mutazione
anche
fisica
del
protagonista
Marcello
Mastroianni
:
se
nella
passività
distratta
Pereira
risultava
vecchio
,
grasso
,
ansimante
,
assente
,
torpido
,
spaventato
dall
'
idea
della
fine
come
dalla
prospettiva
della
resurrezione
della
sua
troppa
carne
,
nella
reattività
fattiva
dimagrisce
,
smette
di
portare
giacca
e
cappello
,
con
passo
elastico
s
'
incammina
tra
la
gente
verso
un
'
altra
vita
.
Facile
?
Facile
.
Il
film
fedele
al
romanzo
,
dai
contenuti
alti
e
nobili
,
con
un
bravo
attore
,
benissimo
prodotto
(
ambientazione
,
costumi
,
luoghi
sono
impeccabili
)
non
arriva
a
darsi
uno
stile
cinematografico
equivalente
allo
stile
romanzesco
di
Tabucchi
,
ricorre
a
caratterizzazioni
o
a
espedienti
narrativi
primari
,
rimane
a
volte
inerte
.
Se
si
ricorda
Umberto
D
.
di
De
Sica
,
protofilm
sulla
presa
di
coscienza
d
'
un
vecchio
intellettuale
solitario
,
l
'
interpretazione
a
tratti
imbarazzata
di
Mastroianni
non
regge
il
confronto
.
Se
Sostiene
Pereira
è
illustrativo
,
didattico
,
scolastico
,
insegna
cose
essenziali
:
come
riconoscere
un
regime
dittatoriale
che
non
s
'
instaura
con
colpi
di
Stato
violenti
ma
s
'
insinua
sotto
l
'
apparenza
della
normalità
,
come
identificare
certi
meccanismi
autoritari
di
cui
i
cittadini
distratti
possono
non
accorgersi
e
una
autocensura
peggiore
della
censura
,
come
accettare
le
responsabilità
che
ognuno
porta
nella
perdita
della
libertà
.