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> anno_i:[1970 TO 2000}
La lezione dei profughi ( Rossella Carlo , 1999 )
StampaPeriodica ,
Quando Lata Krishnan incontrò Ajav Shah , a Londra nel 1986 , si accorse di avere con lui qualcosa in comune . Le loro famiglie avevano lasciato l ' Africa orientale fra la fine degli anni Sessanta e la metà degli anni Settanta , quando si scatenò un ' ondata di razzismo contro gli immigrati di origine indiana . Il dittatore ugandese Idi Amin Dada , infatti , aveva cacciato dal suo paese chiunque avesse nelle vene anche una sola goccia di sangue asiatico . Krishnan e Shah si sposarono e decisero subito di andarsene dall ' Inghilterra e raggiungere la California . Approdarono a Fremont , nella Silicon valley . Col loro amico Mukesh Patel , anche lui profugo dell ' Uganda , fondarono la Smart Modular , un ' azienda che produce moduli per la memoria dei computer . La ' new economy ' ha portato fortuna ai tre . Nel 1998 la Smart Modular Technologies ha guadagnato 51,48 milioni di dollari . Oltre al quartier generale di Fremont , la compagnia ha costruito un centro di design a Bangalore in India , e altri laboratori a Portorico , in Scozia e in Malesia . Quando Tau Dang scappò dal Vietnam nella seconda metà degli anni Ottanta pensava di fare fortuna in America . Approdò con la famiglia nella zona est di San José in California . Fece tanti lavori . Alla fine si dedicò all ' assemblaggio , a domicilio , di componenti per i computer . Oggi la sua abitazione è un piccolo laboratorio . I figli , la moglie , la nuora e i nipoti lavorano almeno 12 ore al giorno . Con notevoli sacrifici non hanno raggiunto la grande ricchezza , ma si sono garantiti il benessere e la sicurezza . Un figlio di Tau Dang frequenta l ' università a Palo Alto e fra poco , se avrà fortuna , potrà diventare uno dei nuovi miliardari dei computer . Lata Krishnan , Ajav Shah , Mukesh Patel , Tau Dang sono alcuni di quei profughi che anni fa vedemmo in tv fuggire , coi loro fagotti e le facce impaurite , dalle guerre e dalle persecuzioni . Accade anche oggi , è appena successo in Kosovo , di guardare le scene dell ' esodo e di immaginare soltanto sventure e destini crudeli per quelli che sono costretti a lasciare la loro casa e il loro paese . Centinaia di migliaia di uomini , donne e bambini ogni anno , al mondo , diventano profughi . Piangono , soffrono , a volte muoiono di stenti o di malattie . Ma dentro chi sopravvive al disastro si sviluppa la forza della speranza , la voglia di farcela , di resistere , di trovare a tutti i costi una nuova vita . E ' sempre stato così . Per questa ragione i profughi vanno accolti con generosità , aiutati a migliorare , inseriti nella comunità . L ' America è un paese forte perché costruito da immigrati , da disperati , da gente fuggita da tutti i razzismi e da tutte le persecuzioni di questo e dell ' altro secolo . L ' era della globalizzazione è fatta di aperture e non di chiusure . La società multietnica e multirazziale è più produttiva e creativa dei mondi chiusi e provinciali . Pensare di non poter convivere con gli ' altri ' , che hanno diverse abitudini , religioni e culture , è assurdo , ingiusto e antieconomico . Gli asiatici , scappati dall ' Uganda e sparsi fra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti , hanno fatto in gran parte fortuna , si sono arricchiti e hanno arricchito i paesi che li hanno ospitati . All ' inizio sono finiti nelle terribili periferie urbane della Londra anni Settanta . Ma poi , piano piano , hanno risalito la china . Grazie alla loro forza e a quella del libero mercato .
Nella gabbia di Mirafiori ( Pansa Giampaolo , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Torino , 10 . Torino , la violenza , il terrorismo . Sulla pelle di questa città ci siamo esercitati tutti per anni . Adesso proviamo ad ascoltare qualche voce di chi sta dentro Torino e dentro le sue paure . Oggi parla un caposquadra della FIAT Mirafiori . « Dei sessantuno operai licenziati non voglio dir niente . Dopo , lei capirà la mia ragione . Su tutto il resto , invece , sono disposto a parlare perché penso sia utile conoscere come vanno le faccende in FIAT . In cambio le chiedo una cosa sola : non dia i miei dati personali e non mi descriva . Dica soltanto che ho una quarantina di anni e che sono uno dei duemila capisquadra di Mirafiori . Lei conosce la fabbrica ? No ? Allora le spiego la piramide gerarchica . C ' è l ' operaio , poi l ' intermediario , il caposquadra , il caporeparto , il capofficina , su su sino al direttore . Come vede , io sto al primo gradino dei capi , guadagno sulle seicentomila lire al mese e ho vent ' anni di FIAT sulle spalle . In FIAT ho imparato tutto e la FIAT è stata la mia prima famiglia . Oggi per me non è più niente . Oggi io sto in fabbrica dalle nove alle undici ore al giorno . E ogni giorno mi domando : a fare che cosa ? Lei avrà sentito parlare di programmi produttivi , di qualità della produzione . Bene , nell ' ambito della mia squadra dovrei occuparmi di questo . Arrivo all ' inizio del mio turno , conto gli operai che lavorano con me , so che per fare un certo prodotto occorrono tot operai , so che , per essere venduto , il prodotto dev ' essere affidabile , ossia avere una certa qualità . Insomma , faccio l ' interesse dell ' azienda che mi paga . Non è una mia pretesa : è una necessità . In un ' altra epoca avrei detto : è il mio dovere . Le aziende stanno in piedi solo se il lavoro è fatto bene , e tutta la baracca , sì , il paese , si regge se le aziende funzionano . Questo ho imparato in venti anni di lavoro . E questo ho fatto per molto tempo . Adesso non lo faccio più . Lei mi chiede : è colpa degli operai ? Io le rispondo così . Prendiamo cento operai di Mirafiori . Trenta non vogliono saperne né di sindacato né di niente : la fabbrica è un posto dove purtroppo bisogna faticare e basta . Altri trenta vogliono una politica sindacale democratica e giusta . Venti - venticinque sono in balia della prima aria che tira e non sanno da che parte stare . E su questi premono gli ultimi quindici che sono estremisti e cercano ogni occasione per rompere i coglioni , per non lavorare e per non far lavorare . Quindici sono pochi , ma bastano per far casino se gli altri non reagiscono . È una minoranza che però fa quello che vuole . Il loro nemico è il primo capo che hanno sottomano , il caposquadra . È lui il centro del bersaglio , quasi fosse la controfigura dell ' Agnelli . Tu insisti per fare andare avanti il lavoro , per ottenere la quantità e la qualità necessarie . E loro , soprattutto quelli giovani , gli ultimi assunti , goccia dopo goccia , riempiono il tuo vaso . Capo , non rompere , o ti facciamo sciopero . Capo , vaffanculo . Capo , sei un bastardo , guarda che ti conosco , so dove stai e ti prendo fuori di qui . Capo sei un fascista , ti faremo camminare in carrozzella . Capo , non fare rapporto in direzione , altrimenti ... Bisogna subire . C ' è chi subisce piegandosi a gesti meschini . Qualche volta è capitato anche a me . In certi momenti , poi , c ' è la caccia al capo . Le giunge nuovo ? Io me la sono sempre cavata , non mi hanno mai buttato fuori . E sa perché ? Quando arrivava il corteo interno , ho sempre tagliato la corda . Ma ho vissuto momenti neri , a vedere gli amici sballottati qua e là con la bandiera rossa in mano , e io dovevo rimanere nascosto e inerte per non essere costretto a fare come loro . Infine ci sono le gocce che cadono fuori dalla fabbrica , a casa . Le telefonate mafiose : cerca di contenerti , sta dalla parte degli operai ... oppure le minacce alla moglie : guardi che quel porco di suo marito prima o poi glielo facciamo fuori . A me è sempre andata bene , non mi hanno nemmeno bruciata la macchina , anche perché cambio sempre posteggio e strada . Però gomme tagliate e auto incendiate sono all ' ordine del giorno . Per non parlare del resto : i colleghi feriti , voi scrivete azzoppati come se si trattasse di vitelli e invece sono uomini condannati per tutta la loro restante vita . E poi i dirigenti ammazzati dalle bande , l ' ultimo Ghiglieno . Così , mese dopo mese , la mia vita è cambiata . Una volta tornavo a casa e mi riposavo o stavo coi figli o facevo dell ' altro lavoro . Adesso penso soltanto a ricaricarmi di energia per affrontare la battaglia del giorno dopo in FIAT . Anche di dentro sono cambiato . Si metta al mio posto , al posto di uno che sul lavoro se fa una cosa gli dicono : bastardo , sbagli ; e se ne fa un ' altra gli dicono sempre : bastardo , sbagli . Dai e dai , come fa a non sorgerti il dubbio che forse davvero c ' è qualcosa in te che non va , che non sei più la persona di prima ? E soprattutto in fabbrica che ti accorgi del tuo cambiamento . Lo abbiamo visto quando hanno assassinato Ghiglieno . Ci siamo trovati in un gruppo di capi e ci siamo chiesti : che facciamo ? fino a quando durerà ? dobbiamo adoperarci ancora per tenere in piedi quest ' azienda ? Abbiamo risposto di sì , ma era chiaro che in tutti c ' era la voglia contraria , la voglia di mollare . Anzi , per dire le cose come stanno , non si tratta più di voglia . Noi capi abbiamo mollato . Manca solo che ci mettiamo in mutua , ma è come se lo fossimo . Lo so che se poi il cliente ha il freno che non gli funziona o il pistone rigato , la colpa è anche nostra ma ormai è difficile comportarci secondo le regole . Non ci crede ? Venga in fabbrica . Se vedo un operaio che prende a calci un pezzo , sono in grado di fare una cosa sola : aspettare un po ' e poi raccoglierlo io . E se mi accorgo che uno il pezzo se lo ruba via ? Mi giro dall ' altra parte per non vedere . La denuncia ? Ma in che mondo vive lei ? Possiamo solo ingoiare . Questa sta diventando una fabbrica di merda . Le sembra un ' espressione troppo forte ? Guardi , se lei mi chiedesse di definire la FIAT oggi , non troverei un termine dispregiativo sufficiente . Lo scriva pure chiaro . Ma lo sa che nelle vetture e nei cassoni troviamo i preservativi usati ? Dire che è un casino è dire poco . E voi dei giornali non avete mai raccontato la verità . Come si può resistere ? Mi scusi se uso una parola difficile : a volte mi sento spersonalizzato , completamente . Anche fuori dalla FIAT mi sento così . Quando qualcuno mi domanda chi sono e che lavoro faccio , non so come rispondere . Sono un capo ? No , non lo sono più . Non sono più niente . Sono soltanto uno che fa male il proprio lavoro , anzi , uno che non sa più qual è il suo lavoro . Decisioni ne posso prendere quasi zero . Punire non posso , perché se punisco corro il rischio di farmi sparare . Premiare nemmeno . A volte un operaio mi dice : d ' accordo , non puoi prendere provvedimenti contro quel lavativo che non fa niente ; dà almeno un premio a me che lavoro . Ma nemmeno questo posso più farlo . In fabbrica ormai siamo tutti uguali , tutti appiattiti . Lama in televisione parla di premiare la professionalità . Io vorrei che Lama venisse qui in FIAT e stesse a Mirafiori una settimana per vedere qual è la realtà . Le colpe del sindacato sono grandi . Si è servito degli elementi più accesi per prendere un certo potere dieci anni fa . Mi va bene . Avrei fatto così anch ' io . Ma poi il sindacato avrebbe dovuto liberarci di questi elementi e non c ' è riuscito . Anzi , gli è corso dietro . No , non sono più iscritto al sindacato . E se in fabbrica non lo critico apertamente , è solo per paura . Ho degli estremisti in squadra e non voglio finire al traumatologico . Però non pensi che io sia di destra . Tutt ' altro . Sono ancora giovane . Ho un diploma . Cerco di ragionare e ogni giorno leggo due giornali , la « Stampa » e 1'«Unità» , per fare il confronto . Capisco che al pugno duro di una volta non si torna più , era ingiusto e comunque oggi sarebbe impossibile . E la parola « intimidire » mi fa paura . Per troppi anni , in FIAT , l ' operaio è stato intimidito . Ma adesso quelli che vogliono lavorare , e sono ancora tanti , non respirano più . A volte c ' è da esser disperati . E io mi domando : come mai nessuno interviene ? Poi , se guardo fuori dalla FIAT , mi do la risposta da solo : ma chi mai potrebbe avere l ' autorità per intervenire ? Mio nonno diceva : il pesce puzza sempre dalla testa . E la testa del paese è marcia . Il nostro sistema politico fa spavento . Per spiegarmi , le faccio un confronto con la fabbrica . Se devo rimproverare un operaio che arriva in ritardo , dopo le sei , bisogna che io stia in fabbrica prima delle sei . Ma se mi alzo alle sette , non ho più i titoli per richiamare uno al suo dovere . Così è per Roma . Se la testa del Paese non si mette a posto , non ridiventa pulita e non fa il suo dovere , che cosa si può pretendere dalla base ? A questo punto , devo chiudere lo sfogo parlando ancora di me . Per prima cosa , le dico che Torino ormai mi fa paura . Non voglio più abitare a Torino . Appena potrò , me ne andrò a stare via . La seconda cosa è che anche continuare nel lavoro di oggi mi fa paura . Ma perché lo chiamo ancora lavoro ? Ogni giorno , quando entro a Mirafiori , mi sembra di andare ad un posto di combattimento . Chiederò di essere trasferito in un ufficio . Lo hanno già fatto altri miei colleghi , lo farò anch ' io . Non voglio più avere responsabilità . Non voglio più fare il capo . Voglio solo ubbidire e basta . Così potrò vivere senza rischiare l ' attentato o l ' esaurimento nervoso . Scriva pure che ho rifiutato una promozione . E scriva che sono prontissimo a rinunciare ad una parte della paga per essere più sicuro in fabbrica e fuori . Subito . Da domani mattina . Mia moglie , anzi , mi spinge a lasciare la FIAT . Mi dice sempre : licenziati , io lavoro e un posto poi lo troverai . Sono quasi pronto a fare anche questo e non è detto che non lo faccia presto . Del resto , che gusto c ' è a rimanere ? La FIAT è un ammalato che può morire da un giorno all ' altro . E noi stiamo qui a guardarla , dirigenti e capi , tutti impotenti allo stesso modo . In FIAT non comanda più nessuno , mentre fuori le pistole sparano . Detto questo , è detto tutto . Mi costa confessarlo . Quando sono entrato in FIAT vent ' anni fa , immaginavo tutto diverso . Oggi credo di avere ancora molto equilibrio , ma mi sento un uomo colpito da un ' umiliazione continua . Sì , umiliato è la parola giusta . Umiliato e quasi prigioniero in una gabbia , la gabbia di Mirafiori . Lei penserà che sono un vigliacco . Ma l ' unico desiderio che in questo momento ho è quello di sottrarmi all ' umiliazione e di uscire dalla gabbia . Uscire e poter dire , finalmente : adesso respiro » .
Orrore dalla Cambogia ( Macciocchi Maria Antonietta , 1980 )
StampaQuotidiana ,
Dalla frontiera cambogiana , febbraio . Testimonio , dopo aver attraversato i campi dei rifugiati cambogiani , con i « medici senza frontiere » , nella « Marcia perché sopravviva la Cambogia » , del più grande orrore umano , dopo Treblinka e Auschwitz . Il genocidio del popolo khmero : da sette milioni , recensiti nel '71 , i khmeri superstiti sono tra i due e i tre milioni . L ' olocausto è avvenuto in tre ondate successive . Nella prima fase , durante la guerra che aveva opposto gli americani e i « lon nol » ai khmeri rossi , ne era stato massacrato un milione . Poi lo sterminio è avvenuto in altre due fasi successive . Sotto il regime di Pol Pot , tra il 1975 e il 1979 , allorché un terzo della popolazione è scomparso nelle esecuzioni sommarie , i lavori forzati , la carestia . E infine , la terza fase succeduta alla follia sanguinaria dei polpottiani : l ' esercito vietnamita , che entra a Pnom Penh , i17 gennaio '79 , dopo una guerra lampo , cominciata il 25 dicembre '78 , salutato in un primo momento come liberatore dal popolo martirizzato , diventa subito l ' occupante : preda , uccide , affama , requisisce . Il Vietnam vuole la terra cambogiana , una volta detta « la risaia dell ' Asia » , e non sa che farsene dei cambogiani da nutrire . Questa è anche una guerra alimentare . Comincia il grande esodo dei contadini , la marcia per sfuggire alla morte , attraverso le foreste , sotto gli spari dell ' artiglieria che l ' insegue . Adesso , al confine della Cambogia , in terra thailandese , si ammassano 500 mila khmeri . C ' è chi dice che siano 700 mila . Percorrono una sorta di Stato cuscinetto , fatto di membra umane , di avanzi del popolo khmero , su alcune decine di ettari di fango nauseabondo . Visito i campi di Sa - Kaeo ( trentamila khmeri rossi ) e di Khao I Dang ( centoventimila khmeri serei ) . Questi fuggiaschi non appartengono politicamente a nessuno . Non hanno lo statuto dei profughi , perché il governo thailandese non riconosce la Convenzione di Ginevra . Sono letame umano . Al di fuori dei campi ufficiali , è ancora peggio . Una folla di morti - vivi che fuggono , o sono evacuati dalle truppe vietnamite , quando il cibo manca . Allora , la folla delirante degli affamati è definita dai viet « anticomunista » , e cacciata . Gli « anticomunisti » mi raccontano che tutte le strade della Cambogia sono minate dall ' esercito , e che per loro « il sentiero più sicuro è quello dei cadaveri » . Non capisco . Mi spiegano allora che spesso marciano su chilometri di corpi in putrefazione uccisi durante l ' avanzata dei vietnamiti , per non saltare sulle mine . Si salvano corrompendo con pezzetti d ' oro gli sbarramenti dei viet e poi quelli dei thailandesi . Chi ha un po ' di oro , anche solo un dente da strapparsi , sopravvive . Sono venduti due volte , dai soldati del Vietnam e da quelli della Thailandia , alla frontiera . Adesso la più grande città cambogiana non è più Pnom Penh , ma Khao I Dang , il campo dove si ammassano 120 mila profughi . Mi apro la strada fra i detriti del popolo khmero . Questi sono tutti khmeri serei , ovvero cambogiani che non stanno né coi vietnamiti né con i khmeri rossi . Invece , a Sa - Kaeo ( che vuoi dire lago di vetro ) sono rinchiusi solo i khmeri rossi - 27 mila esattamente - dietro il filo spinato dei recinti . All ' ingresso , una scritta campeggia : « Ci scusiamo per il vostro disagio , ma l ' ordine e la disciplina sono segni di civiltà » . È un campo prigione . I profughi khmeri rossi stanno accosciati o ritti , come bestiame , con gli occhi vuoti ci osservano da dietro il recinto . Mi rifugio con Joan Baez , che fa parte della Marcia , dentro una capanna dell ' UNICEF , mentre crepitano le cineprese dei fotoreporters , delle TV dell ' Occidente . Filmano , fotografano il più grande spettacolo del mondo : la cantante Baez e l ' attrice Liv Ullman , idoli della società dello spettacolo , a fianco della puzzolente melma cambogiana . Sembra una consegna di Oscar . I fotoreporter chiedono alle dive di prendere in braccio i bambini profughi per il coltivatore dell ' Oklahoma o l ' intellettuale di Manhattan , sembra lo spettacolo con le girls di Apocalypse Now . Dico a Joan Baez : « Come sopportare questa contaminazione tra show e morte ? » . Lei risponde : « È necessario , perché il mondo sappia » . Forse , ha ragione lei . Ma poi ci separiamo . Fuggo via , lontano dall ' occhio implacabile delle televisioni e del mondo civilizzato . Trovo un interprete del campo , un thailandese , lo scongiuro di aiutarmi , e mi spingo ai bordi di Sa - Kaeo . Attraverso cunicoli infetti che sono strade , budelli neri su cui si affacciano bicocche costruite con i legni delle casse degli aiuti . Le mosche e le zanzare formano cortine brune . All ' ombra , stanno larve di donne , immote , incrostate di polvere , le sopravvissute alla lunga marcia . Non si occupano dei figli , come le madri normali . O forse non ne hanno più . Le famiglie sono state smembrate da Pol Pot prima , e poi durante la fuga . È un popolo che si cerca senza posa . Le madri cercano i figli , i figli le madri o i padri . In una baracca più ampia trovo una folla agitata , in coda , che reca piccole foto all ' ufficio « Ricerca » . Ve ne sono decine nei campi di questi uffici . Le foto vengono affisse al muro . Sono vecchie foto di gente sorridente , davanti a un tempio , una famiglia , due bambini , una donna fotografata in una strada di Pnom Penh . Con un megafono , gli organizzatori girano il campo : conoscete una famiglia con questo nome , riconoscete un bambino di otto anni capitato qui senza madre ? Sbuco , di colpo , davanti a una pagoda buddista , costruita dieci giorni orsono con tavolacci , in fondo al campo . I bonzi dalle teste rasate sono giunti dai dintorni , e pregano in silenzio , vestiti di giallo , sola macchia di colore nel grigio - nero implacabile . I khmeri rossi convertiti al buddismo indossano una maglia gialla . Un centinaio di fedeli gremisce il tempio . Molti giovani . Magari sono stati torturatori , assassini agli ordini di Pol Pot , artefici sanguinari delle fosse comuni . Ora subiscono una crisi mistica , mi dice un medico . Mi accettano fra loro . Il tempio diventa una platea che interrogo . Viene designato per rispondere , o trasmettere le risposte del pubblico , l ' uomo più rispettato , perché più vecchio , 51 anni . Si chiama Ne Tai , è un operaio di Takeo , che ha lasciato la Cambogia nel gennaio del '96 , dopo l ' invasione vietnamita . « Avete cambiato opinione su Pol Pot ? » . Rispondono : « Non siamo mai stati per Pol Pot » , e Ne Tai : « Pol Pot voleva farmi uccidere perché ero religioso » . « Allora , siete fuggiti dai khmeri rossi o dai vietnamiti ? » . « Gli uni e gli altri » . « Chi è più feroce ? » . « Lo sono allo stesso modo ambedue » . « Chi ha ucciso di più ? » . Uno dice : « I vietnamiti ammazzano più dei polpottiani » . Un altro : « No , sono tali e quali » . « In Europa , si dice che i vietnamiti vi hanno liberati » . « Noo ! Il Vietnam ha invaso la Cambogia , non abbiamo più terra » . « Come siete arrivati qui ? » . « Abbiamo traversato le montagne , le foreste , i fiumi . A piedi , cercando l ' acqua , incalzati dalle truppe . Eravamo a decine di migliaia sulle strade . Quando non morivamo per carestia , morivamo di malaria » . « Avevate armi ? » . « No , noi siamo il popolo . Da un lato c ' è il popolo , dall ' altro la forza » . « Siete comunisti ? » . « Nooo ! » . « Chi tra voi è del Partito comunista può alzare la mano ? » . Nessuno alza la mano . « Ma allora Pol Pot non è mai esistito ? » . « Sì , ma non sappiamo chi è comunista ancora e chi khmer rosso , anche se ce ne sono » . « Avete un messaggio da affidarmi per gli europei ? » . « Vogliamo che la Cambogia sia pacificata , vogliamo rientrare . I vietnamiti devono andarsene , sono l ' invasore » . « Fareste la guerra per avere la pace ? » . Quattro o cinque dicono : « Sì , vogliamo riprendere le armi » . Altri : « Siamo pronti ad andare , se ci aiutano però gli altri paesi » . « Ma i cinesi non sono vostri amici ? » . « Per il passato sì , ma ora non abbiamo visto i cinesi muoversi per cacciare i vietnamiti » . Ne Tai dice solennemente : « Il popolo cambogiano deve sopravvivere malgrado le sue sciagure » . Per la prima volta , applaudono tutti , adesso . Un frastuono che somiglia alla speranza . « Crediamo solo negli organismi internazionali , perché soltanto essi potranno regolare íl problema . La Cambogia è troppo piccola , è morente » . « A quale leader dareste la fiducia ? » . « Sihanouk » . « La pace verrà se ci sarà Sihanouk » . « Sihanouk , Sihanouk » ritmano l ' uno dopo l ' altro , con uniformità appassionata . Ne Tai mi segue , mentre mi allontano . Ora , scoppia a piangere . Ha perduto la sua dignità di capo . « Che Sihanouk torni al più presto » implora . « È un ' opinione personale ? » . « No , di tutti » . Qualche ora dopo , mi ritrovano . Si sono consultati : chiedono , con coraggio , una cassetta con un messaggio di Sihanouk al campo di Sa - Kaeo . E le lacrime del vecchio continuano a scorrere . Mi affidano altre lettere , da imbucare a Parigi . A quanto pare , si sono assunti gravi responsabilità politiche , parlandomi a questo modo . Melo spiega un ' infermiera francese , Manaiek Lanternier . A Sa - Kaeo , la disciplina interna è dura , l ' inquadramento politico dei khmeri rossi esiste , ma clandestino . Esso è guidato da Lim , uno dei cavalieri dell ' apocalisse polpottiana . Per un caso , sono la sola a scovare Lim . Egli risponde al nome di Ta ( zio ) Khiang On Thiang , è stato capo di distretto e capo di divisione sotto Pol Pot . Ha 32 anni , parla francese , ma a me dice di non conoscerlo . Parla come un dirigente politico , anche nel suo negare tutto . Non respinge la realtà dei massacri compiuti , ma ne offre la versione ufficiale : « Chi ha ucciso , sotto Pol Pot , l ' ha fatto per ordine dei vietnamiti , restati in Cambogia , fin dall ' epoca della sconfitta dei francesi , nel 1954 . Essi continuavano a lavorare per il Vietnam . I ragazzi di 15 anni ammazzavano , è vero , ma gli ordini venivano da queste spie infiltrate » . Chiedo quanti sono i khmeri rossi ancora in guerriglia . Alcuni affermano che essi stanno subendo una rotta definitiva , altri che ve ne sono ancora , 30 mila , armati dai cinesi . Alle 5.30 di colpo , sul campo il sole si spegne , come una candela su cui si soffi . Mi accorgo che tutto il personale , medici , infermieri , insegnanti , abbandonano questo girone infernale , per ragioni di sicurezza . A Sa - Kaeo , comincia un ' altra vita . Avvengono le riunioni notturne . I rifugiati litigano fra loro sulla distribuzione del cibo . Con me , nel tempio , hanno affermato : « Vi sono discriminazioni nelle razioni . A seconda di chi distribuisce , si ricevono razioni più abbondanti , per le amicizie politiche , per i favoritismi » . Un inglese , Bondy , che fa il medico , mi narra che nella notte donne e bambini vengono violentati in tutti i campi . Un ' infermiera francese mi ha fatto conoscere una piccola guerrigliera khmera rossa di 18 anni , a cui Lim ingiunge di riprendere le armi per rientrare in Cambogia e combattere i vietnamiti . Lei ha rifiutato , traumatizzata per il sangue versato . Piange , negli incubi notturni . Alcune partigiane khmere rosse raccontano di essere state violentate dai compagni d ' arme . Ora ci lasciamo alle spalle la notte di Sa - Kaeo , di Khao I Dang , e dei campi di Khao Larn , di Kamput . Rientriamo a Aranya Prateth , la città di frontiera , e ci buttiamo a dormire in un locale detto « il garage » , su un materasso per terra , sotto una zanzariera . Ad Aranya Prateth ci incontriamo con la febbre dell ' oro . Un esercito di contadini thailandesi , di cinesi , di cambogiani , si sono improvvisati commercianti , furiosamente avidi . Campano sui profughi , vendono gli aiuti occidentali , e le frutta , gli abiti , l ' acqua , il ghiaccio , biciclette . È il più immenso mercato libero del mondo , la corte dei miracoli , che spunta dovunque , magari su una risaia disseccata . Le pattuglie thailandesi confiscano tutto , oppure vogliono mille bath ( un bath corrisponde a 50 lire ) . L ' indomani nel campo di Khao I Dang , arrivando a quel che si chiama con pompa l ' orfanotrofio , capisco che vuol dire un viaggio in fondo all ' inferno . Vi sono 2300 orfanelli , nel campo . A Sa - Kaeo , se ne contano 500 . In tutto , si parla di 11 mila orfani , che vanno da pochi mesi a 12 anni , disseminati lungo la frontiera . Dal mondo esterno arrivano le richieste di adozione , ma l ' Alto commissariato per i rifugiati presso l ' ONU dice che spetta a questa infanzia di ripopolare il paese , essa non va sradicata . Mi sembra del tutto assurdo perché sono questi bambini i più traumatizzati , mortalmente malati . Non piangono e non ridono , per mesi . Mi mostrano Lo , il ragazzo dodicenne che ha portato sulle spalle il padre moribondo , fino al campo , per seppellirlo . Ma i ragazzi qui sono stati anche i tremendi protagonisti del male . Quest ' apocalisse , per la prima volta nella storia ha avuto come attori i ragazzi , forse i fratelli di questi orfani . Pol Pot aveva issato i bambini al vertice della gerarchia , perché rappresentavano una « pagina bianca » nella storia . Voleva capi senza passato , quindi fanciulli , che dirigessero con potere assoluto le Comuni , in cui egli aveva spartito il paese , cancellando villaggi e città . Anche Pnom Penh era stata svuotata , come simbolo di corruzione le Comuni andavano da 400 a 4 mila persone . A Qhao I Dang , tra i khmeri serei , uno studente mi racconta che il kanak della sua Comune , ovvero il capo , il duce , aveva solo 12 anni . Cominciò ad ammazzare allorché gli regalarono un orologio e gli dissero : uccidine tre , di nemici , prova . E lui colpì , preciso , alla nuca . Gli diedero tutti i poteri . Infatti il kanak non aveva al di sopra di sé nessuno : i suoi rapporti erano solo con Pol Pot , al quale egli poteva anche telefonare . Gli adulti , i vecchi , gli intellettuali tremavano davanti ai bambini . Un ' inversione paradossale delle generazioni . Agli intellettuali , i ragazzi cucivano le dita col filo : se lo spezzavano , erano condannati a morte . Con un colpo di vanga sul cervelletto , per non sprecare munizioni . Khin Shkun , ex studente di medicina di Kampong Preach , è il superstite di undici persone , una famiglia di commercianti . Mi racconta che non tutti i kanak erano cattivi , e che vi erano anche giovani capi buoni , che non uccidevano . Il suo kanak aveva 14 anni . Egli ha scavato per suo ordine le fosse per i condannati , due metri di larghezza e sessanta di lunghezza . Colpivano con una mazza di bambù alla nuca il condannato , poi gli squarciavano il petto col coltello , e gli estraevano la bile per curare la febbre gialla , ne asportavano il fegato per mangiarlo . « Dicono che ora Pol Pot è diventato gentile , che non uccide più » commenta . « Ma forse è là , dietro le montagne di Phnom Chkat » e fa segno col dito all ' orizzonte . « Ora è solo capo dell ' esercito , e non più del partito . » Prum Saklon , che era maestra , afferma che Pol Pot odiava le intellettuali , e le aveva eliminate da ogni ufficio , gettandole nei campi , dove lavoravano nelle risaie17 ore al giorno . Dopo il parto avevano una settimana di riposo e poi di nuovo al lavoro nelle dighe e nei campi . Nessuna doveva dire di saper leggere e scrivere . Pol Pot prediligeva solo le guerrigliere . I kanak avevano in odio in primo luogo i maestri di scuola . « Ma allora , le truppe vietnamite » chiedo « vi hanno liberato ? » . « Lo credevamo anche noi , quando sono arrivati . Poi ci siamo accorti che loro uccidono meno con le armi ma uccidono ancora di più con la fame . Fanno una scatola di riso per 20-30 persone . Oppure mettono un bacile di riso in mezzo a una folla , e ci massacriamo tra noi per strapparne un boccone . Vogliono distruggere l ' esistenza stessa del popolo khmero . E popolare la Cambogia di vietnamiti » . Che avverrà di quel che sopravvive del popolo khmero ? Tra due mesi , quando sarà finito il magro raccolto di gennaio , quel che resta di uomini nella Cambogia è destinato a morire di fame . Qui son tutti d ' accordo . L ' artiglieria vietnamita avanza , bombardando le ultime postazioni dei khmeri rossi . E sembra pronta a prendere in una tenaglia i campi dei profughi , con le sue nove divisioni , accampate a tre chilometri dalla frontiera . Le superpotenze - USA , URSS , Cina - non alzeranno un dito per salvare i 500 mila relitti , alloggiati in questi campi , tutto sommato , bocche in meno da sfamare . Al mattino del 6 febbraio , la nostra pacifica « marcia perché la Cambogia sopravviva » prende la strada del ponte Aranya Prateth , che segna la frontiera con la Cambogia , seguita da camion con 200 tonnellate di riso , e carichi di medicinali . Siamo 150 persone , in fila indiana , scrittori , parlamentari , sindaci , intellettuali , attori , venuti dall ' America e dall ' Europa . Bernard - Henry Lévy inalbera su una lunga asta una bandiera bianca che vuole essere più un segno di pace che di resa . In testa al corteo avanzano i generosi « medici senza frontiere » , gli organizzatori della marcia , che chiedono di entrare per soccorrere gli ammalati , i morenti in Cambogia . ( Nella Cambogia occupata si dice che restino solo 40 medici ) . « Iniziativa funesta , incitamento alla rivolta » ha detto la radio di Hanoi per stigmatizzare la marcia . « Provocatori , operazione ignobile » ha scritto « l ' Humanité » . Oltre il ponte , una decina di piccoli soldati vietnamiti in uniforme verde ci scrutano con i cannocchiali , da dietro la trincea . Tre delegati della marcia avanzano fino a metà del ponte : un medico francese , il presidente americano del « Comitato internazionale per i rifugiati » , una donna cambogiana che ha perduto i figli e il marito . Il messaggio è gridato , oltre la frontiera , con un megafono , e pronunciato in tre lingue , francese , inglese e cambogiano : « Soldati viet che state dall ' altra parte , davanti al lamento degli agonizzanti , al cinismo dei potenti , siamo venuti a portarvi solidarietà e aiuti » . Dall ' altra parte , risponde un silenzio massiccio , assoluto . Consegniamo , allibiti e impotenti , i camion con gli aiuti alla Croce Rossa internazionale . Anche se la marcia non salverà certo i khmeri dalla morte , anche se noi sembriamo degli ingenui umanitari , tuttavia , almeno , attraverso questa testimonianza nessuno potrà dire , come avvenne ai tempi del nazismo : « Noi non ne sapevamo nulla » .
Questo è il Salvador ( Chierici Maurizio , 1982 )
StampaQuotidiana ,
San Salvador . Com ' è diversa la città che oggi attraverso , dai racconti arrivati nelle nostre case . I morti , la paura ... Invece questa capitale di fiori e di baracche continua a mostrare la solita pelle tropicale , che il carnevale ricopre di altri colori . Stasera , la strada che porta al mare è una fila di macchine che si sfiorano con la pazienza di ogni week end . Le scuole riaprono dopo le vacanze d ' inverno e grandi manifesti fanno sapere ai genitori quali professori certi ginnasi ( naturalmente privati ) sono riusciti ad ingaggiare . « Fidatevi di noi ! » Fidarsi nella scelta dell ' insegnante di latino ha l ' aria di essere l ' unico problema del Paese . Nel mio albergo i leones ( sono i lions ) fanno festa : regalano qualcosa ad un ospedale . Sfogliando i giornali , sembra che tutte le ragazze della città si siano messe d ' accordo per compiere 16 anni durante questo fine settimana . Nei giardini delle belle case , sotto il vulcano , si ballerà , aspettando il mattino . La gente riempie ogni negozio ; nei ristoranti non c ' è posto fino a notte . Si discute della partita che il Salvador ( finalista ai Mondiali ) gioca contro la squadra venuta dal Guatemala . Davvero mi trovo nella capitale del massacro ? La notizia in prima pagina è scelta con gusto diverso dalle nostre di questi giorni . Racconta di un contrabbandiere fermato alla frontiera , con una merce proibita . Nelle sue casse c ' erano 800 serpenti . Fuori dall ' aeroporto gli operai stanno montando un cartello infinito e verde : « Vieni a visitare le cascate del bosco » . Per muoversi senza problemi ho bisogno di una lettera che spieghi quale curiosità mi spinge a cercare la gente . Deve firmare questo permesso il colonnello Gonzales , direttore del « Comitato de Prensa de la Fuerza Militar » . Così entro nella cittadella dello stato maggiore . Torrette , mitraglie . Il pomeriggio si consuma , ma Gonzales non arriva . Dal meticcio che fa la guardia voglio sapere : come mai non arriva ? « Forse non riesce a svegliarsi ... » Lo dice in uno sbadiglio di pace . Spunta una macchina piena di musica . La guida una bella signora dalle trecce raccolte . Ride con qualcuno in divisa . Fa il pieno dalla pompa dell ' esercito e subito corre felice oltre la sbarra delle sentinelle , verso il traffico che non dà respiro . C ' è sempre la musica nella sua macchina . Devo dire la verità : non mi sembra di essere chiuso dentro l ' inferno di Fort Apache . Ma è proprio questa la città dei morti ? Wallace Nuting , generale a tre stellette , che da Panama comanda le forze americane dell ' America Latina , ieri è partito da qui , ripetendo : « Non ho elementi sicuri , ma mi pare che il governo riuscirà a piegare la guerriglia . La situazione , per ora , sembra salda nelle sue mani . Basta vedere come si vive in città ... » . Sembrano le parole giuste per la serenità che questa realtà vuoi far trasparire , ma è un gioco di specchi , di piccoli specchi , perché le realtà sono due , e molti segni fanno capire come siano inquietanti le cose , nascoste dietro i gesti della normalità . Già all ' aeroporto i poliziotti sfilano il giubbone militare ad un fotografo . « Perché ? » si arrabbia , « è la moda ... » Gli rispondono : « Fa confusione ! » . È un tipo di confusione che le cronache raccontano : al chilometro 33 della Panamericana , guerriglieri con casacca verde oliva hanno bloccato il traffico . Giù la gente dalle corriere , che la dinamite brucia in un minuto . Danno economico . Disagio al potere . « Giubbotti verde oliva , come questo ... » Il poliziotto non vuole essere preso per matto . I giornali insegnano in poche righe come si vive dietro il carnevale della capitale , da vendere a chi passa . Una fila di fotografie ripropone vecchi dolori . « Chi ha visto questo ragazzo di 18 anni , catechista dei padri Saveriani , scomparso venti giorni fa , mentre tornava a casa ?...» « Chi ha sentito parlare del professor Alvaro Dubon ?...» « Manca di casa il signor Ramon García ... » Nelle invocazioni si coglie il pudore di una rassegnazione strana . Gli scomparsi non tornano mai ... Fra un giorno , fra un mese , in un cimitero clandestino , un corpo stremato dalla tortura potrà forse ricordare il ragazzo che la madre sta cercando . Ed è questa doppia immagine di vita e di paura a rendere schizofrenica , ancora prima che tremenda , la dimensione del Salvador . L ' albergo dove sono arrivato , per esempio , ricorda tutti gli alberghi di una realtà violenta : Beirut , Amman , Saigon . Gli ospiti sono soltanto giornalisti . Un commerciante dall ' ironia esagerata ha venduto magliette traversate da una scritta : « Non sparate , sono giornalista ! » . Nell ' abitudine , il dramma degli altri diventa un gioco per chi ne è testimone . Tutti le indossano , le comprano : da portare a casa . Per non sparire , si ricoprono le automobili di scritte che avvertono chi è nascosto fra le piante : « Aiutateci nel nostro lavoro ... » . Tutti aiutano . Quando si prende la strada della guerriglia , i posti di blocco dell ' esercito si aprono con la lettera del colonnello Gonzales , ma anche le ombre che più avanti saltano fuori dietro un ponte non piantano grane . Le fotografie , le interviste . Di qua e di là ripetono : « Vinceremo » . La guerriglia sta vincendo la battaglia dei nervi . Vuol dimostrare che si muove come vuole . Occupa un villaggio . Si appropria delle carte ufficiali , anche economiche . Processa i funzionari corrotti . Fucila í crudeli . Poi , se ne va . Quando torna l ' esercito , la liturgia si rovescia . Tocca a chi è stato conciliante con i ribelli . Ecco i massacri . Si ammucchiano i figli piccoli ai padri . Una domanda non trova risposta : perché questo andare e venire , se tutti sanno che chi paga con la vita è sempre la stessa gente ? Forse l ' orrore della crudeltà del nemico viene considerato arma vincente . C ' è chi sicuramente perde . Sempre gli stessi . Se questa è la guerra - spettacolo che si racconta nel brontolio di un ' indifferenza internazionale finalmente finita , i massacri , dunque , continuano . Muoiono contadini che hanno vissuto nella miseria di 650 dollari all ' anno , loro e i loro figli . E qui i figli sono tanti . Crescono come bestie , e come bestie vengono spulciati . Stasera , il ministro della Sanità è apparso in TV : inaugura l ' operazione disinfezione dei tugurios , che sono baracche mescolate all ' immondizia . Mezza città . Un ' operazione sfarzosa , ripresa dalla TV . Gli elicotteri bombardano le lamiere dei derelitti con una pioggia di DDT , come d ' estate , quando si uccidono le zanzare . È questo il Paese che si sforza di vivere , continuando a morire ? Per i russi ? Per gli americani ? I campesinos ridono amaro . Non sanno nemmeno perché vengono uccisi : nell ' antica storia della ferocia politica , 30 mila morti in due anni hanno spento ogni orrore del passato . La voce di Duarte , presidente civile della giunta militare , torna ogni ora alla radio . « Non possiamo negoziare il potere con nessun terrorista , perché il potere è del popolo , e il popolo non vuole cederlo a gente di cui non si fida ... » La polemica brucia le prossime elezioni , annunciate in un clima da repubblica di Salò . Per le elezioni si spara . Per le elezioni crescono i massacri . Farle o non farle ? La giunta non ha dubbi : si voterà . È la condizione che Reagan pretende rispettata , per far piovere aiuti . Nei caroselli TV lo si fa capire . « Vota e tutto andrà bene » dice una voce . L ' immagine mostra pacchi di dollari , che mani affettuose contano , per la gioia di chi guarda . Ecco la legge elettorale , che per la prima volta impegna l ' ipotetica democrazia del Paese . Regolamenti strani per le abitudini del nostro mondo . Nessun registro con i nomi di chi va a votare . Ognuno deve presentarsi con la carta d ' identità , lascia l ' impronta dell ' indice su un foglio , ed entra in cabina . Tutto qui . Non è nemmeno obbligatorio votare nella città dove si risiede . Basta il posto più comodo ; quel certo giorno ... « Così c ' è chi vota non so quante volte ! Facile cambiare seggio ... » protestano gli oppositori , che invitano alla diserzione . « L ' inchiostro è indelebile . Impossibile fare trucchi . » Lo slogan « il dito non si smacchia » è la sola garanzia concessa da questa macchina elettorale . Una parte degli oppositori ( clandestini e armati ) avrebbe voluto entrare nella battaglia delle preferenze . Kean Bleakeley , consigliere americano , li aveva invitati ad inventare qualcosa . « Usate gli audiovisivi . Registrate e mandateli per posta . » Invece hanno deciso di astenersi . La regola è boicottare , eppure , non è sempre andata così . Una voce qui racconta la storia di una mediazione italiana . La voce è bene informata . Ecco come sarebbero andate le cose . Lo scorso autunno , mediatori italiani , vicini alla DC , sarebbero arrivati in Salvador con una proposta che sembrava l ' uovo di Colombo . Per accordi tra Paesi industrializzati , l ' Italia dovrebbe dedicare una quota del prodotto nazionale lordo al Terzo Mondo . Il Salvador lo è : per disperazione e per fame . Washington fa oggi sospirare un appannaggio di 50 milioni di dollari , gli italiani pare ne abbiano offerti addirittura 500 . Cinquecento milioni di dollari disponibili nel momento in cui la giunta e la guerriglia si accordino per elezioni oneste , con tutti , contro tutti , ma solo a parole . Anche i socialisti di casa nostra sembravano contenti . A questo punto il ministro degli Esteri Chavez Mina vola in Messico per discutere con gli strateghi della guerriglia , stabilendo un contatto che í militari intransigenti ritengono ancora sacrilego . I massacri finiscono con i soldi italiani ? Avrebbero dovuto finire con elezioni sensate , ma íl Fronte di Liberazione pone una condizione per la futura società : la rifondazione dell ' esercito . Rifondare significa cambiare colonnelli spietati ed intransigenti , i duri e i faccendieri ; e i colonnelli , fiutando il pericolo , bruciano l ' ipotesi . Si aggrappano al dogma : « Con la guerriglia non si tratta » . Così , non succede niente . Il Salvador continua a battere cassa per le armi , mentre il contributo italiano resta dov ' era : poteva servire , in una dimensione straordinaria , a rimettere in moto il lavoro e le attenzioni sociali , non a far crescere il massacro . Sono due anni che il massacro è cominciato . Nel '79 , per protestare contro l ' arresto dei dirigenti del Blocco Popolare , cattolici e marxisti ( assieme ) occupano la cattedrale . Polizia e guardia nazionale , sotto í riflettori TV , fanno massacro . Sparano a zero sulla grande folla . Una follia voluta dal colonnello Romero , superstite dell ' amministrazione Nixon . Una follia che scatena altre follie : rapimenti , vendette . C ' è un Romero diverso , in Salvador : ormai tutti lo sanno . Un vescovo eletto primate , perché topo indifferente di biblioteca . Ma un giorno , ad Aguilares , che è una delle capitali della fame , un gesuita , compagno di scuola delvescovo , viene ucciso perché ha difeso i tagliatori di canna dall ' ingiustizia del latifondo . Romero vuole capire : esce dai libri e si mette a leggere la realtà . Difende i deboli , denuncia i delitti . « Non sono un rivoluzionario , sono un conservatore » mi disse molti mesi prima di morire : « Sto adoperando l ' intelligenza per salvare il mondo che amo contro la follia . » L ' hanno ucciso in chiesa : in questi giorni il delitto è stato archiviato . « Casi non risolti . » Mi fa impressione vedere nel mondo dei poveri la sua immagine confusa con quella dei Guevara . Carter è stato , qui , un buon presidente . Ha imposto la riforma agraria ( massimo di proprietà 500 ettari ; finiti gli imperi sopra i 100 mila ) , ma i latifondisti emarginati sono scappati a Miami , per sostenere la campagna elettorale di Reagan . Da lì hanno ordinato ai militari , ancora oggi nella giunta , di annullare la riforma . La riforma prometteva la terra ai contadini , e uno stipendio dignitoso ai braccianti . Ma i militari che di giorno giuravano queste cose , la notte sgozzavano i contadini colpevoli di lavorare per guadagnare finalmente qualcosa , quindi non far saltare la riforma . Ho visto attorno a Chalatenango famiglie dormire la notte nei campi . A casa non volevano tornare . Avevano disobbedito . Avevano accettato di lavorare . Sapevano che durante la notte , con scarpe militari , scendendo da camion dell ' esercito , ufficiali e soldati dell ' esercito andavano a punirli . Al confine con l ' Honduras ho raccolto la testimonianza su persone fatte fuori nella gola di un fiume . Chi le inseguiva era guidato da elicotteri . Nella periferia delle città , all ' alba passano i camion degli spazzini , ma non sono spazzini coloro che ordinano ai curiosi di chiudere le finestre . Sui camion si ammucchiano i corpi dei morti di notte . Noi , di fuori , possiamo immaginare tante teorie : massacro rosso , massacro bianco . Ma questo è un Paese piccolo e la gente si conosce . I nomi degli assassini fanno trasparire quello dei mandanti ; ecco perché Romero è stato ucciso ; ecco perché la maggior parte dei deputati democristiani che difendevano i diritti dell ' uomo hanno voltato le spalle alla giunta e vivono profughi in Messico . Il simbolo di questo orrore , un po ' ingiustamente , è diventato Duarte . Un ingegnere che i suoi attuali amici hanno reso profugo per anni . Hanno truccato le elezioni del '72 per impedirgli di raggiungere il potere . Il potere è legittimo . Due anni fa si è illuso di poter dominare i militari . Oggi ha l ' aria di un piccolo Pétain che sperava di salvare la grandeur della Francia , accettando dai tedeschi le terme di Vichy . Duarte spera ancora , prigioniero di un sogno , di dominare un mondo di soldati che uccidono e sparano nel suo nome . Per chi torna in Salvador tante volte resta la malinconia degli amici spariti e mai tornati , degli amici perseguitati , degli amici che hanno paura a farsi vedere assieme a un giornalista . « Tu parti , noi restiamo : abbi pazienza ... » E nella tristezza profonda di questa umanità umiliata , vien da ridere ripassando le nostre teorie . Le armi da Cuba , le armi dall ' America . La Polonia che bilancia il Salvador ... Ma a questa gente non pensa nessuno ?
Coen Leonardo ( Le BR uccidono Walter Tobagi , 1980 )
StampaQuotidiana ,
Milano . Due colpi alla spalla sinistra . Uno alla gamba destra , un quarto che gli sfiora la spalla destra e si conficca sotto una finestra . Walter Tobagi , 33 anni , presidente dell ' Associazione lombarda dei giornalisti , inviato di punta del « Corriere della Sera » , si accascia sul marciapiede , l ' ombrello sbatte per terra al suo fianco , la Parker schizza fuori dal taschino , una macchia rossa si allarga sulla giacca nera . Forse è già incosciente mentre si piega , faccia in avanti , quando lo finiscono con un quinto colpo : sotto l ' orecchio sinistro , il colpo di grazia . Un ' esecuzione spietata , velocissima . Chi ha sparato con una calibro 9 corta è un giovane , 17-18 anni , secondo i testimoni , con un baschetto blu alla Nicholson calato fin sugli occhi . Sono le 11 e un quarto , minuto più minuto meno , in via Andrea Salaino , una piccola traversa della via Solari che porta alla via Valparaiso . Negozi , una fabbrica , un ristorante , una scuola , palazzi signorili e vecchie case popolari . All ' altezza della Trattoria dai gemelli , davanti al portone numero 12 , un commando della Brigata 28 marzo ha eliminato con quei cinque colpi secchi di pistola « il terrorista di Stato Walter Tobagi » . Questi i termini con i quali viene rivendicato l ' attentato mortale al centralino della nostra redazione milanese un ' ora e mezzo dopo , alle 12 e 54 : « Continua la campagna contro la stampa di regime . Seguirà al più presto un comunicato » . Quattro sono i componenti del commando assassino . Il giornalista sapeva da tempo di essere nel mirino dei terroristi : il suo nome era comparso in un elenco trovato dai carabinieri nella notte fra il 10 e 1'11 gennaio del '79 in una valigetta «24 ore » sotto una FIAT 500 parcheggiata all ' angolo fra piazza Durante e viale Lombardia . Nella valigetta c ' erano documenti dei « Reparti comunisti d ' attacco » e di « Prima linea » , fra cui quell ' elenco di 46 nomi di magistrati , di avvocati e di tre giornalisti . Uno era proprio lui , Walter Tobagi . Venne convocato dal procuratore capo Mauro Gresti , gli fu suggerito di cambiar città , abitudini , di farsi scortare . Tobagi prese atto , con rassegnazione , della sua situazione , ma rifiutò la scorta e continuò la sua attività di giornalista e di sindacalista . Certo , aveva coscienza del rischio e non lo nascondeva , anzi lo confidava agli amici , ma con pudore . Anche la DIGOS , tempo fa , gli aveva fatto capire che era il caso di « cambiar aria » , ma nemmeno quest ' ultimo avvertimento lo convinse a mutar parere . Un mese fa la SIP gli modificò il numero di telefono . In realtà l ' unico accorgimento che adottò fu quello di variare i propri orari , uscendo di casa alle ore più impensate . Ma non gli è servito a nulla . Ieri mattina la porta del suo appartamento al pianterreno di via Solari 2 , accanto quasi alla portineria , si è aperta alle 11 . Uno sguardo alla posta , un saluto al custode . La moglie Stella Olivieri e la piccola Benedetta di tre anni ( Luca , l ' altro figlio di 7 anni , è a scuola ) lo salutano , sono appena rientrate dalla spesa . Tobagi deve andare al giornale , nel pomeriggio ha in programma un viaggio a Venezia , c ' è un convegno sulla « qualità della vita » , lo ha seguito martedì e mercoledì . Ma la sera di mercoledì era ritornato a Milano per un dibattito al Circolo della Stampa sui segreti professionali e istruttorie , il caso Isman e i verbali di Peci . È lui che riassume , all ' una di notte , i vari interventi . Forse , uscendo di casa , Tobagi pensa al dibattito della sera prima . Fuori pioviggina come d ' autunno e siamo quasi a giugno , una primavera grigia e fredda . La sua Mini Morris è posteggiata oltre l ' isolato , dentro il garage « del Parco » di via Valparaiso 7/a . Duecento metri a piedi , una passeggiata che era rituale per lui , costretto dal lavoro a ore e ore di scrivania , lo diceva spesso agli amici , « col nostro lavoro non si fa mai moto » . Walter , un po ' corpulento lo era , un viso pacioso , l ' aria sempre seria anche quando scherzava , quel suo serrare le labbra e farle a fessura , uno che da giovane , fin dai tempi del liceo Parini sezione « A » , era ritenuto il più maturo e il più autorevole , nonostante in pieno Sessantotto la sua militanza cattolica . Tobagi arriva all ' incrocio fra la via Salaino e la via Solari , incerto se rimanere sul marciapiede dei numeri pari o dirigersi su quello opposto . Attraversa la strada , si avvia verso la via Valparaiso . È in questo momento che scatta il meccanismo mortale dell ' agguato . Probabilmente è dal portone di casa che il giornalista viene seguito da un giovane , pare . Ma a quell ' ora e in quella zona la gente per strada è tanta , e non si può essere sospettosi fino alla paranoia . Tobagi non si accorge d ' essere pedinato . E nemmeno si accorge di una Peugeot 204 grigiometallizzata con altre tre persone a bordo che lo supera a metà della via Salaino . O forse no , l ' auto la vede , osserva che rallenta fino a fermarsi poco più avanti , di fronte al numero 14 . Ma non realizza l ' idea del pericolo . L ' auto scarica due persone . Una si dirige verso il marciapiede dei numeri dispari , a sinistra , lo stesso del giornalista . L ' altra va sul marciapiede di destra . È un giovane , anzi un giovanissimo , quello che cammina dalla stessa parte di Tobagi , che si acquatta dietro una finta siepe , di quelle un poco squallide che delimitano l ' area « estiva » dei ristoranti . Tobagi cammina , l ' ombrello sulla sinistra usato come bastone da passeggio , sovrappensiero . Passa davanti alle prime « siepi » della Trattoria dai gemelli , con la coda dell ' occhio si accorge improvvisamente di un ' ombra . Non fa in tempo a fuggire , l ' ombra si materializza , un ragazzo con la pistola e un sacchetto di plastica , come nei film delle spie , il sacchetto di plastica per raccogliere i bossoli e rendere più difficili le ricerche balistiche . La pistola spara cinque volte , Tobagi muore . Una pozzanghera raccoglie il suo sangue . Dalle finestre si urla , il proprietario della trattoria corre fuori , in tempo per vedere Tobagi ancora sussultare . Il killer intanto è balzato sulla Peugeot , così come il compagno che sorvegliava il marciapiede di destra e il « pedinatore » . L ' auto fa stridere le gomme , la fuga dei terroristi sembra finire contro una 127 arancione : all ' angolo con la via Valparaiso , le due auto si urtano , il guidatore della 127 impreca , apre la porta , i quattro della Peugeot tirano diritti verso la piazza Bazzi , verso il Lorenteggio , verso chissà dove . L ' auto della fuga alle sei del pomeriggio non è ancora stata ritrovata , la polizia ha cinque numeri della targa , si sa che è rubata , ma niente più . Di corsa dalla via Solari arriva Stella Olivieri , che si trascina la piccola Benedetta : da casa ha sentito sparare , ha avuto come un presentimento , poi le sirene . Arriva urlando di dolore , Walter è a faccia in giù , sul marciapiede bagnato , immobile , una striscia di sangue che cola . Arriva dalla vicina parrocchia di Santa Maria del Rosario un sacerdote , conosce da anni i Tobagi , è lui che un mese fa ha dato la prima comunione a Luca . Arriva l ' anziano papà di Walter , si china sul cadavere , piccolo , l ' impermeabile grigio ancora più grigio , un ' occhiata perduta al corpo immobile : « Figlio , figlio mio , che ti hanno fatto , perché ? » urla . La moglie vuole anche lei vedere , ma glielo impediscono . Comincia il rituale pellegrinaggio di autorità : ecco il generale Ferrara dei carabinieri ; ecco il sindaco Tognoli , socialista come socialista era Tobagi ; ecco gli occhi rossi di pianto di Bruno Pellegrino , segretario del club Turati , amico di Walter ; ecco Ugo Finetti , segretario provinciale del PSI . Arriva il procuratore capo Gresti . « Allucinante , ieri sera ero anch ' io al dibattito sul segreto istruttorio » dice . A quel dibattito , c ' erano un centinaio di giornalisti milanesi , eccoli tutti qui davanti alla Trattoria dai gemelli , chi con la faccia stravolta , chi incapace di parlare , per molti più che un collega Tobagi era anche un amico . Arrivano il direttore del « Corriere » , Franco Di Bella e l ' editore Rizzoli : assieme agli amici più cari di Tobagi si recano a casa , dalla moglie . L ' auto nera dei becchini arriva alle 12 e 45 , Gaspare Barbiellini Amidei , il vicedirettore del « Corriere » , scoppia in un pianto dirotto , nel pomeriggio arriverà all ' obitorio anche il ministro Rognoni . La mobilitazione democratica della città comincia a funzionare , purtroppo , come tante altre volte , sette quest ' anno , per i morti e altrettante per i feriti . Più in là , nella casa di Walter , il mesto pellegrinaggio , il padre e la madre disperati , « mio figlio così buono che non faceva male a una mosca » , lo studio così vuoto eppure pieno di gente impietrita .
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Napoli , 28 . La prima traccia , un pezzo di fusoliera che affiorava sul pelo dell ' acqua , è stata avvistata da un elicottero alle sette di mattina , circa 60 chilometri a nord dell ' isola di Ustica . « Posizione 39°49' latitudine nord , 12°55' longitudine est » , aveva segnalato il pilota . Da quel momento , dopo una notte di ricerche affannose e inutili , il mare ha cominciato a restituire i brandelli del DC9 IH 870 dell ' Itavia partito l ' altra sera alle ore 20 da Bologna con 81 persone a bordo e mai arrivato a Palermo : un breve troncone di coda , un altro pezzo di fusoliera , qualche solitario salvagente , i primi cadaveri sbattuti avanti e indietro dalle onde forza 4 . Le operazioni di ricerca sono andate avanti per tutta la giornata . Continueranno anche domenica . Ma le speranze di trovare qualcuno in vita sono praticamente nulle . Il compito delle unità navali ed aeree è realisticamente solo quello di recuperare il recuperabile , che è poca cosa . Tutto il resto giace su un fondale irraggiungibile , percorso da fortissime correnti , a una profondità che varia tra i 3000 e i 3600 metri . A sera le salme avvistate e issate a bordo delle motolance erano 35 . All ' appello manca più della metà dei passeggeri . Soprattutto manca la scatola nera , l ' unica che allo stato attuale potrebbe stabilire con la sua memoria elettronica le cause del disastro . Che cosa sia accaduto venerdì sera tra il cielo stellato illuminato dalla luna piena e il mare agitato del basso Tirreno , nessuno è ancora in grado di dirlo . Il DC 9 dell ' Itavia era partito da Bologna verso le 20 , con due ore di ritardo sull ' orario previsto . Settantasette i passeggeri , quattro gli uomini dell ' equipaggio . Ai comandi Domenico Gatti , 44 anni , 7255 ore di volo alle spalle . L ' ultimo contatto con la torre di controllo di Ciampino c ' è stato alle 20.55 . Il comandante , a causa dei venti contrari , aveva chiesto di poter scendere di quota , dagli undici mila metri di crociera ai settemila . Dalla torre di controllo era arrivato 1'OK e l ' aereo si era abbassato . Da quel momento , il silenzio assoluto . L ' IH 870 era poco più in là dell ' isola di Ponza . Nessuno aveva comunicato avarie o difficoltà tecniche . Nessuno aveva lanciato 1'SOS . A Palermo si è aspettato . Invano . Il DC 9 partito da Bologna non ha dato segni di vita . Quando è scattato l ' allarme , le speranze erano ormai ridotte all ' osso . E ogni minuto che passava portava la certezza della tragedia . L ' autonomia del velivolo , hanno fatto sapere i tecnici , arrivava fino alle 22.34 . A quell ' ora c ' è stata , anche nei meno pessimisti , la certezza della disgrazia . Ma si sperava ancora . Magari che il pilota fosse riuscito ad ammarare : le 81 persone che erano a bordo potevano essersi salvate con i salvagenti . Soltanto un sottile filo a cui appendersi , ma un filo che è durato fino all ' alba quando , dall ' alto , è arrivata la prima prova tangibile che la tragedia si era consumata fino in fondo . A Napoli l ' allarme alla Capitaneria di porto è arrivato poco dopo le dieci di sera . Nel tratto di mare compreso tra Ponza e Ustica , un ' area d ' acqua grande come una regione , erano arrivate le navi della Marina militare coordinate dall ' incrociatore Doria , quelle della Capitaneria di porto , i mercantili e i traghetti che a quell ' ora si trovavano in viaggio tra Palermo e Napoli . Dagli aeroporti della zona erano partiti gli elicotteri , gli Atlantic e i caccia attrezzati per compiti anti - sommergibili , capaci di individuare una massa metallica a grandi profondità . Ore e ore di ricerche . Ma il DC 9 non si trovava . Verso le cinque di mattina è arrivata la prima segnalazione . Dalla nave traghetto Carducci era stata avvistata una macchia di carburante . La chiazza , però , non proveniva dal velivolo . Alle sette , finalmente il primo segno . Da un elicottero è stato comunicato al Doria , e da questo alla Capitaneria di porto , l ' avvistamento di un pezzo di fusoliera . La speranza , a quel punto , era di aver delimitato , dopo ore di ricerca alla cieca , una zona su cui concentrare navi ed aerei . Ma è stata una nuova illusione . Un ' altra parte del velivolo è stata infatti identificata poco dopo da una motonave a venticinque miglia di distanza dalla prima . Un ' altra , ancora più distante , è stata incrociata dal Carducci che si stava allontanando in direzione della Sicilia . È la conferma indiretta che il DC 9 è esploso in volo , spandendo a raggiera dall ' alto , per miglia e miglia lamiere e cadaveri . Sabotaggio ? Incidente tecnico ? Errore umano ? Sono le domande a cui dovranno rispondere le due commissioni di inchiesta nominate rispettivamente dall ' Itavia e dai ministeri della Marina e dei Trasporti . Le uniche tracce sono , al momento , le parti del velivolo recuperate dai mezzi di soccorso e la registrazione dell ' ultimo rilevamento radar effettuato dall ' aeroporto di Capodichino , pochi minuti dopo il contatto radio tra il comandante Gatti e la torre di controllo di Ciampino . Le ricerche , come si è detto , continueranno anche nella giornata di domenica . Le salme recuperate , 42 , trasbordate sul Doria , sono già partite in elicottero per Palermo . Anche il centro di coordinamento delle operazioni , sinora guidate da Napoli , dovrebbe spostarsi nelle prossime ore nella città siciliana . La lotta per strappare al mare almeno i corpi da restituire ai parenti in attesa , è , ora , anche contro il tempo . In serata una motovedetta si è imbattuta in quello che molti temevano : un branco di squali .
StampaQuotidiana ,
Bologna , 2 . È la guerra . Un pezzo di guerra dentro una città ordinata , civile e tranquilla . Un pezzo di guerra che si è abbattuto su questa vecchia stazione attraverso la quale tutti siamo passati , decine di volte , nella nostra vita . E rivederla oggi così sconvolta , invasa dai vigili del fuoco , da infermieri , dai militari , tutti con le mascherine sulla bocca e gli occhi allucinati , faceva male al cuore . « È come in guerra » diceva un poliziotto giovane . E lui che la guerra finora l ' aveva vista solo al cinema , ne viveva imprevedibilmente un atto , e quale atto ! , in questo primo sabato d ' agosto riservato tutt ' al più a qualche incidente stradale dovuto al Grande Esodo . « Trent ' anni di stazione ho fatto » mi sussurra un ferroviere con gli occhiali , alto , anziano , offrendomi una sigaretta con la mano che trema « ma non ho mai visto una cosa simile . Nemmeno in guerra . » Torna sulla bocca di tutti la parola che evoca la strage inutile , incomprensibile . E come in guerra a chi tocca tocca . Tra le vittime ci sono sempre , come nei bollettini dei bombardamenti , tante donne e bambini , perché sono loro i più goffi , impacciati , lenti nel cercare e trovare una via di fuga . Ma poi che via di fuga potevano immaginar di cercare , questi viaggiatori , che nei sottopassaggi e sulla banchina aspettavano un treno che doveva condurli al sole , alle vacanze al mare ? Avevano zaini , pacchi , borse di plastica , valigie zeppe di sandali , costumi da bagno , magliette e jeans , riempite ieri sera in allegria . Ora queste loro povere cose colorate si ammucchiano contro le pareti nell ' atrio della stazione , e questi bagagli sventrati serviranno forse soltanto a facilitare un riconoscimento . E ne viene una pena , un ' amarezza , un dolore acuto , come se ognuno di quegli oggetti ci appartenesse , come se ognuna di quelle vittime sconosciute facesse un po ' parte anche della nostra famiglia . Tutti gli orologi della stazione sono fermi alle 10.25 . È fermo l ' orologio dell ' atrio sopra il tabellone degli arrivi e partenze , oggi inutile , sopra l ' edicola dei giornali chiusa . È fermo l ' orologio esterno sul frontone della stazione dove si fermavano i taxi per scaricare i viaggiatori in partenza . Il piazzale è tenuto sgombro dalla polizia e dall ' esercito . C ' è molta gente dietro le transenne . Ma non c ' è un grido : né un ' invettiva , né una protesta . E ciò che stupisce , e dà una sensazione di irrealtà , è proprio questo silenzio appena rotto dall ' ordine di un medico che chiama una barella per l ' ultimo cadavere estratto dalle macerie . E in silenzio le infermiere corrono chiuse nel loro camice bianco , la mascherina allacciata sul volto , le mani nei guanti gialli di gomma a raccogliere un altro corpo massacrato . Ci gettano sopra rapidamente un lenzuolo , con gesti accorti . Ed è tutto . Qualcuno segna un numero . L ' identificazione avverrà , se sarà possibile , più tardi . Tutt ' intorno , davanti alla stazione , ci sono le ambulanze , è la Croce Viola di Bologna , la Croce Rossa di Modena , ci sono i furgoni bianchi dell ' Associazione Maria Buturini di Barberino di Mugello , del Centro di rianimazione di Parma . Decine di mezzi di soccorso , da tutta la regione e dalle province vicine , si sono concentrati qui , in questo pezzo di guerra , in questo spezzone di trincea , a curare la ferita che si è aperta come una voragine a fianco del binario numero 1 , dove transitano i rapidi Roma - Milano e Milano - Roma . Un ' ala intera della stazione , quella che dall ' ingresso porta a sinistra ai binari 3 , 4 e 5 attraverso i relativi sottopassaggi , è crollata sotto la violenta , inspiegabile esplosione . I pompieri sui loro ponteggi verniciati di rosso si muovono rapidi , sgombrando travi e macerie . Di tanto in tanto , un nuovo crollo solleva polvere e calcinacci . Fa caldo , ormai c ' è un sole a picco . Appoggiate alle biciclette , ragazze in vestiti leggeri , giovani in canottiera , uomini anziani , osservano senza parlare il trasporto dei cadaveri sulle barelle . Di una donna si vedono solo i piedi nelle scarpe di gomma e le caviglie gonfie . « Doveva essere vecchia » mormora qualcuno al mio fianco . E lo dice con tenerezza . I cadaveri vengono caricati su un autobus che ha ancora la sua brava targa in vista . È il numero 37 . Ai finestrini sono stati stesi teli bianchi . Un domenicano sta fermo davanti al predellino e , mano a mano che arrivano , dà l ' assoluzione « sotto condizione » a quelle povere salme . Il tempo passa rapido ma interminabile . Sulla città è scesa un ' afa pesante . Però la gente non si allontana dal piazzale della stazione . Anzi , altra gente arriva e si ferma senza parlare . E , sotto i loro occhi , continua a svolgersi il rito delle barelle chiamate di corsa , caricate di un corpo avvolto in un lenzuolo , depositate nell ' autobus numero 37 . « Forse adesso arriva Pertini » dice qualcuno . Un altro commenta : « La guerra civile è la peggiore di tutte le guerre » . Il cielo è quasi grigio . La città è come ferma , attonita , silenziosa . Per arrivare alla stazione ho attraversato lunghe strade vuote . Dai muri , un manifesto annuncia per domani uno show di Renato Zero . Bar e negozi chiusi . Forse soltanto perché è sabato pomeriggio , ma forse anche perché la città è già naturalmente in lutto . Comunque , appare così a chi arriva . Mentre le ore passano , una disperata stanchezza sembra scendere sulle ragazze vestite di bianco , i pompieri , i poliziotti , i soldati , i ferrovieri che hanno occupato da stamattina la stazione . Il piccolo domenicano che assolve si asciuga il sudore della fronte e non vuol dire il suo nome . Ma c ' è su queste facce stanche anche una straordinaria compostezza , il rifiuto ad abbandonarsi a gesti di nervosismo e di isteria . La stessa compostezza si legge sui volti della gente che continua ad ammassarsi contro le transenne senza premere , senza protestare , senza gridare . Questa compostezza , quest ' ordine , questa severità , questa stanchezza controllata , sembrano il connotato essenziale della città . È come se tutti camminassero un po ' in punta di piedi , come se tutti parlassero a bassa voce . Non solo e non tanto perché ci sono questi morti da estrarre e seppellire , ma come per voler riflettere su se stessi , sulla propria storia , sul proprio particolare di essere . E questi morti forniscono all ' esame di coscienza un ulteriore elemento di riflessione . « Dio , quante cose son successe in questi anni » confessa , quasi a se stessa , una donna anziana . Nessuno crede all ' incidente . La tragedia viene vissuta fino in fondo come una tragedia politica , come un ulteriore prezzo che la città paga a un ' aggressione di cui non sono chiari né l ' origine e né il fine . E questa oscurità genera nuova sofferenza . « Una volta » dice uno « sapevamo chi era il nemico » . Una volta . Quando c ' era la guerra vera . Si combatteva e si moriva anche allora , ma era un ' altra cosa , faccia a faccia , ognuno lealmente sotto la sua bandiera . Ora la città ha l ' impressione di essere obiettivo di un nemico invisibile e imprendibile , come in un ' allucinazione . E per difendersi , la gente non sa che fare se non stringersi l ' uno con l ' altro , come dietro quelle transenne , aspettando che arrivi Pertini , in silenzio e in dignità . Così è Bologna in queste ore . Da un muro , un manifesto che ricorda la strage dell ' Italicus sembra l ' unico grido di protesta . E se anche la tragedia di oggi avesse quel segno ? Ma che segno aveva esattamente la tragedia dell ' Italicus ?
Polonia, hanno vinto gli operai ( Benetazzo Piero , 1980 )
StampaQuotidiana ,
Danzica , 30 . Quando Walesa e Jagielski firmano il protocollo dell ' accordo la forza della solennità assume inevitabilmente i tratti del freddo formalismo : i volti sono tesi e commossi , ma l ' applauso di tutti esprime grande emozione . Così - come si conviene ad un patto tra due potenze eguali e sovrane - è nato il primo sindacato libero di un paese socialista : e per la prima volta un partito comunista al potere ha dovuto rinegoziare il suo accordo con una classe operaia di cui l ' ortodossia ufficiale gli dava una delega assiomatica fino al dogma . Sono le 11 e 20 di una giornata calda e nuvolosa e ai cantieri Lenin tensione e nervosismo si esprimono in una insolita riservatezza e nel silenzioso affollamento di familiari , amici e simpatizzanti davanti all ' emblematico cancello numero 2 . Poche ore prima era giunta la notizia dell ' accordo siglato a Stettino : libere e segrete elezioni nei sindacati ufficiali il cui svolgimento sarà controllato dal Comitato unitario . La richiesta di un sindacato autonomo - su cui Danzica non mollava - era stata dunque aggirata , mentre in tutta la zona facevano la loro ostentata ricomparsa polizia ed esercito . Così quando Jagielski è comparso alle 11 pochi lo aspettavano nella grande sala per le conferenze dei cantieri Lenin . Aveva già mancato tre appuntamenti senza fornire giustificazioni . E intanto , da Varsavia giungevano insistenti voci di un improvviso e decisivo irrigidimento dell ' ufficio politico . Il violento fondo di « Trybuna Ludu » - rispolverava la vecchia formula delle forze antisocialiste - e l ' apparire di esercito e polizia indicavano la scelta di una prova di forza annunciata con discrezione e ufficialità a giornalisti e funzionari dei partiti « amici » ( fornendo persino la data di lunedì ) . Che cosa sia poi successo in queste riunioni convulse da ritmo continuo dell ' ufficio politico è presto per poterlo dire . Ma quando ieri sera alle 8 Stephan Olsowskj non è comparso alla televisione si cominciava a capire che l ' accordo poteva ancora essere saltato : una decisione così drammatica vuole infatti un rituale di formale unità a cui evidentemente Olsowskj - diventato il portabandiera di un rinnovamento profondo del partito - non ha voluto sottostare . Al suo posto è comparso Barcikoski - l ' uomo che ha trattato a Stettino - in un discorso in cui le minacce hanno prevalso sulle aperture : lo stato d ' emergenza era dunque già scattato quando Jagielski ha fatto il suo inaspettato ingresso nella sala a vetri della trattativa . Pallido e teso era seguito da una delegazione insolitamente folta - una decina di persone - a sottolineare l ' imminenza di una decisione solenne . Quando ha cominciato a parlare molti dei suoi interlocutori - e fra essi il presidente della commissione di esperti Mazowieczi - non hanno nemmeno pensato a sedersi . Ma la forte tensione accumulata nelle ultime ore si è sciolta alle prime parole : Jagielski rendeva omaggio al senso di responsabilità degli scioperanti , ringraziava gli esperti « per l ' enorme contributo » , parlava di « piattaforma valida » in un crescendo di concessioni e riconoscimenti che anticipavano lo sblocco della situazione : a nome del partito Jagielski dichiarava infine di accettare i primi due punti - sindacato indipendente e diritto di sciopero - della piattaforma del Baltico . Sono le richieste fondamentali e irrinunciabili uscite da questa lunga agitazione che ha costretto il partito a rassegnarsi ad un ridimensionamento dei suoi poteri . « Ora sono pronto a firmare » ha dichiarato sbrigativamente Jagielski « e a portare il documento al Plenum del Comitato Centrale che si riunisce alle 3 , poi sarò di nuovo qui da voi stasera per concludere il negoziato » . A questo punto nella grande sala dei delegati operai e nei cortili dei cantieri collegati con gli altoparlanti , è scoppiato l ' applauso : il segno del rompersi di una lunga incomunicabilità che ha portato la Polonia sull ' orlo del dramma . Poi è cominciato un dialogo secco e asciutto che - nella sua rapidità - ha riproposto le diffidenze dei due poteri così a lungo contrapposti ma ha anche consumato le ultime fiammate di ostilità . « Ma la sua decisione sarà condivisa dal Plenum ? » ha insistito Walesa . « Penso proprio di potervelo quasi garantire » . « Ma noi vogliamo piena garanzia non solo per quelli che hanno scioperato ma anche per quelli che li hanno aiutati » ( egualmente puniti dalla legge attuale ) . « Le avrete » ha risposto Jagielski « la nuova legge sancirà il diritto di sciopero » . « E i prigionieri politici ? » . « Non esistono in questo paese » . « Forse è vero » ha replicato Walesa « però c ' è troppa gente che va e viene dal carcere » . « Ci metteremo d ' accordo » ha tagliato corto Jagielski . « Allora lunedì tornerete al lavoro ? » ha insistito il vice primo ministro . « Sì , ma solo se tutto sarà messo sulla carta in modo molto chiaro e definitivo » . « Ma dobbiamo far presto , il tempo lo abbiamo : di qui a lunedì ci sono quasi due giorni . Poi » ha riso Jagielski « oggi è il giorno della Madonna e le cose non potevano che andar bene » . Il riferimento - sul cancello dei cantieri campeggia l ' immagine della Madonna Nera e di papa Wojtyla - ha il sapore di un ' importante concessione psicologica , ma esprime anche la promessa di una minore rigidità ideologica : è dunque l ' accenno più esplicito e sentito alla necessità di un recupero del consenso sociale . Nelle sale dei cantieri la tensione si rilassa definitivamente e scoppia una grande risata , la prima sentita e irrefrenabile in questi ventun giorni di occupazione che promettono di cambiare il volto della Polonia moderna . Quindi tutto si irrigidisce in un protocollo solenne e formale : Jagielski e Walesa firmano il documento ( e tutti gli esperti sono in piedi ) ; si approva una risoluzione comune - a saldare un rapporto ritrovato - in cui governo e Comitato unitario ufficializzano la commissione mista per proseguire i lavori ; quindi una veloce stretta di mano e Jagielski si infila rapido e impaziente nel solito tunnel operaio , a cui riesce persino a strappare qualche applauso . Walesa - circondato dagli operai - raggiunge invece tra le ovazioni il cancello numero 2 a calmare l ' impazienza dei familiari . È finalmente il momento delle emozioni : molti pregano , tutti gridano « Vittoria » , dalle finestre dell ' astanteria le infermiere gettano fiori . Sono da poco passate le 12 e la radio nazionale interrompe le trasmissioni per annunciare l ' accordo : in poco meno di un ' ora il panorama politico e sociale polacco sembra già profondamente cambiato . Nella sala delle trattative gli intellettuali scelti dagli operai per condurre una trattativa che sembrava impossibile sono i più eccitati e a tratti increduli . « Sono commosso » ripete con nervosa insistenza lo scrittore cattolico Mazowiecki « tanto commosso , e finalmente mi sento stanco . » Il sociologo Jan Stephanski mi mostra la « tessera da esperto » . « È la laurea più ambita e bella della mia vita » afferma « questa classe operaia è stata magnifica , si è mossa a nome di tutta la nazione . Lei si stupisce ? Ma io li ho trovati preparatissimi : hanno una storia sconosciuta , fatta di continue e profonde delusioni attraverso cui hanno raggiunto una notevole maturità . Per loro è diventato un punto d ' onore ridefinire il ruolo della classe operaia , nel cui nome ha parlato per tanti anni una burocrazia autocratica e spesso imbecille . Mi creda : non abbiamo mai avuto un grande successo coi nostri patetici appelli ad un superato realismo . Sono decisi a conquistare una dignità di interlocutori a qualunque costo . Se si governa in loro nome bisogna anche consultarli » . Ma forse si rischiava la catastrofe ? domandiamo . « Vivendo con loro ho capito che non c ' erano alternative : il distacco con il potere è troppo profondo . Se avessero ceduto ci sarebbe stata una prossima volta e senza quel minimo di possibilità di mediazione che oggi ancora sembra esistere . E la prossima volta sarebbe stata davvero una catastrofe » . Ma in molti l ' improvvisa vittoria suscita incredulità : « C ' è ancora molta gente in prigione » afferma Mazowiecki indicandomi la moglie di Kuron , il leader del Kor arrestato nei giorni scorsi . « Ma ci sono anche molte ambiguità di fondo che attendono un chiarimento » interviene un giurista « vedremo come si metterà la trattativa sulla stesura dell ' accordo » . Sono le perplessità inevitabili di una svolta che tratteggia un esperimento senza precedenti e i cui limiti interni ed esterni sono praticamente sconosciuti . La stessa repentina svolta delle ultime ore sta ad indicare le profonde resistenze verso una decisione che ridimensiona , come detto , il partito per inserire tratti di pluralismo sconosciuti in questi paesi . Si sa che la Chiesa - da sempre cerniera del consenso in Polonia - ha giocato un ruolo fondamentale nel fare da potente contrappeso alle tentazioni ortodosse : ha visto sacrificato il cardinale Wyszynski su quella che sembrava l ' ultima linea di difesa - l ' appello al realismo e alla patria di Gierek - e poi ha certamente fatto sentire il suo peso nell ' evitare quella soluzione di forza che si stava profilando . Ma quale ruolo ha giocato l ' Unione Sovietica ? Ha accettato una soluzione in una zona inquieta , dove i paesi sono da sempre legati come vasi comunicanti , che introduce certamente un elemento di notevole turbativa ? E quali limiti ha posto ? Nell ' eccitata Polonia di oggi si parla molto di Afghanistan - che legherebbe le mani a Mosca - di situazioni sociali ed economiche insostenibili e che possono essere rimosse senza compromettere una stabilità interna a cui anche Breznev dovrebbe avere interesse . Di alleanze su cui i problemi interni non possono incidere . « Il problema di fondo » afferma Stephanski « è che questa volta una intera classe operaia ha rifiutato la burocrazia di partito . Uno scontro avrebbe lasciato del tutto nuda l ' ortodossia ufficiale . Ma ora il problema è di sapere realizzare un esperimento che certamente metterà a dura prova la nostra capacità di gestire le necessità interne senza incidere nelle esigenze esterne » . Un equilibrio da cui dipende quello che potrebbe essere il primo serio tentativo sovietico di una « democratizzazione pilotata » nelle sue zone di influenza .
Fidia o non Fidia questo è il problema ( Bignardi Irene , 1981 )
StampaQuotidiana ,
Firenze . Sono bellissimi . Non ci vuole l ' occhio dell ' esperto per capirlo . Sono bellissimi , e nella sala angusta e male illuminata che li ospita al Museo Archeologico di Firenze , in mezzo al cicaleccio festoso delle scolaresche portate in visita e subito conquistate , in mezzo alle signore impressionate , alle comitive di giapponesi che commentano tiepidamente « They ' re nice » , belli , ma escono un po ' più silenziosi , in mezzo a chi li disegna ( fotografarli è proibito ) , in mezzo al discutere degli esperti e , sostiene qualcuno , in mezzo ai tedeschi e agli americani coi baffi finti e le microcamere nascoste intenti a valutarli , soppesarli , dargli un prezzo , sono anche più inquietanti : con la loro serenità antica , la loro straordinaria maestà , la loro perfetta armonia . Con buona pace di Rudolf Otto , l ' aggettivo , per loro , è « numinoso » : dall ' antichità , si sono portati dietro qualcosa di sacro . Siamo davanti ai due grandi bronzi rinvenuti casualmente a Riace , in Calabria , otto anni fa . Tutto comincia come in un film di Spielberg , un bel mattino d ' agosto . Due subacquei si stanno immergendo tranquilli al largo di Riace Marina , vicino a Reggio Calabria , a circa trecento metri dalla riva , in un punto dove la profondità del mare non supera gli otto metri . Quando uno dei due vede un braccio umano . Il primo pensiero è : un cadavere . E vengono subito chiamati i carabinieri . I « cadaveri » sono due e sono in realtà due grandi bronzi ( due metri uno , un metro e novantotto l ' altro ) complessivamente in buone condizioni , nonostante il soggiorno di venticinque secoli in quel fondale : con una gran chioma ricciuta e trattenuta da un nastro uno , l ' altro con una bizzarra testa tronca che sicuramente era coperta da un elmo , perduto , come le lance e gli scudi delle due statue . Dopo il recupero ordinato dal sovrintendente Giuseppe Foti e dopo le prime cure , i due guerrieri vengono portati per un restauro conservativo più completo a Firenze . E qui , per cinque anni , una équipe di esperti porta avanti il classico miracolo d ' ingegno all ' italiana , liberando le statue delle incrostazioni marine , proteggendo il bronzo dalle conseguenze dell ' azione corrosiva della salsedine e stabilizzandolo . Le fotografie che documentano la « cura » , esposte alla mostra , sono impressionanti : quasi che sul lettino operatorio dei tecnici se ne stessero sdraiati , con tutta la loro maestà , due dèi . Poi , a restauro ultimato , la mostra quasi clandestina ( senza pubblicità , senza battage di uffici stampa , con pochi o niente manifesti murali , in una sala del Museo Archeologico di Firenze , sotto il titolo pudico I grandi bronzi di Riace . Un restauro archeologico ) , che si è chiusa domenica scorsa . Clandestina forse nelle intenzioni . Perché mai , come in questa occasione , la gente ha parlato , la voce è corsa da amico ad amico ; finché , a furor di popolo , la chiusura della mostra è stata rinviata una prima volta . Poi è venuto il presidente Pertini , esprimendo l ' opinione che la mostra dovesse restare aperta . Poi si è diffusa la voce di una riapertura il 14 febbraio . Poi è arrivato il ministro dei Beni Culturali , e ha promesso un decreto che lascerebbe per qualche tempo ancora le due statue a Firenze ; dove il soprintendente si riprometterebbe , in tal caso , di trasformare l ' avvenimento in una grancassa per il successivo trasferimento a Reggio Calabria ... In realtà , da domenica la sala del Museo Archeologico si è chiusa , forse per sempre . E i due guerrieri di Riace si preparano ad essere imballati e trasportati a Reggio Calabria , alla cui giurisdizione appartengono per legge . E a Reggio Calabria non si sa quando saranno di nuovo visibili : perché bisogna aspettare che attorno a questi due bronzi ( tra i pochi superstiti dell ' antichità greca , insieme al Poseidon del Museo Archeologico di Atene e all ' Auriga di Delfi ) venga creata una struttura adeguata , uno spazio adatto , sistemi antifurto , le indispensabili basi antisismiche . E bisogna soprattutto dare inizio una buona volta agli indispensabili lavori di ricerca . Perché , come per tutte le grandi bellezze greche , anche per gli indubitabilmente greci bronzi di Riace corre il rischio di scoppiare una guerra . In questo caso , la guerra delle attribuzioni e delle identificazioni . Il primo a dire la sua , anche se di fronte al ristretto pubblico di un congresso archeologico a Delfi , è stato l ' illustre studioso tedesco Werner Fuchs . Per lui non ci sono dubbi : si tratta di due eroi del donario di Maratona a Delfi . E cioè del donario che gli Ateniesi offrirono al santuario di Delfi dopo la vittoria contro i Persiani del 490 a.C. E cioè , si tratterebbe di due opere di Fidia , lo scultore del Partenone , il massimo artista della Grecia classica . Della stessa idea è Antonio Giuliano , professore di archeologia e storia dell ' arte antica all ' Università di Roma . « Sono sicuramente originali greci . E per motivi iconografici , formali , stilistici , sono databili tra il 460 e il 450 avanti Cristo . Perché ? Ma per il trattamento dell ' anatomia , delle teste , per certe annotazioni singolari come i capezzoli di rame , i denti d ' argento , gli occhi d ' avorio , che li assimilano all ' Auriga di Delfi . E quanto all ' autore , non ci possono essere dubbi . O siamo davanti a due bronzi di Onatas , lo scultore di Egina , o siamo davanti a due bronzi di Fidia . Io penso a Fidia . Anzi l ' ho anche scritto , più di un anno fa » . Basta leggere Pausania , spiega . Dove ( X . 10.1 ) l ' autore parla del donario , fatto dagli Ateniesi a Delfi con la « decima » della vittoria di Maratona , e « formato da tredici figure , da un ' Atena , da un Apollo , da un Milziade e da dieci eroi attici » , probabilmente gli eroi eponimi delle tribù . « Statue di questa importanza non possono essere state ignorate dalle fonti . Non c ' è che da leggerle , e allora non è necessario essere Sherlock Holmes per scoprire da dove vengono . Si prendono le impronte dei piedi dei due bronzi , e si va in Grecia , dove si ritiene che le statue fossero collocate , e si accerta se aderiscono alle basi » . Elementare . Eppure , a otto anni di distanza dal ritrovamento , questo non è ancora stato fatto , se non altro per mettere un freno alle fantasie . Ma c ' è anche chi getta acqua sul fuoco . Per esempio Enrico Paribeni , professore di archeologia all ' Università di Firenze . Il quale pensa addirittura che i due bronzi non siano coevi ( quello ricciuto sarebbe effettivamente del quinto secolo a.C. , cioè dell ' età di Fidia , ma il secondo sarebbe più recente , e precisamente dell ' inizio del quarto secolo ) . Quanto a Fidia , a Paribeni l ' attribuzione proprio non piace . Perché ? « Per ragioni formali , stilistiche . Perché Fidia non lavorava spesso nel bronzo . Perché in definitiva le cose sono molto più complesse » . Molto pacati e prudenti sono anche a Reggio Calabria , che grazie ai due guerrieri , Fidia o non Fidia , grancassa di Firenze o meno , potrà - se lo saprà - diventare uno dei quattro o cinque centri archeologici più importanti della Magna Grecia , accanto a Paestum , Agrigento , Siracusa . « L ' attribuzione a un autore è molto difficile , ma non è questo il problema principale » minimizzano alla Soprintendenza . Ma intanto le due più straordinarie statue greche rinvenute in Italia fino ad oggi ( e rimasteci , per ora , anziché seguire la brillante carriera californiana del Lisippo acquistato dal Getty Museum di Malibu ) sono ancora oggi « sciaguratamente inedite » come dice Antonio Giuliano . Non sarebbe male se , in questo dramma delle gelosie tra soprintendenze e grandi esperti , il pubblico potesse intanto continuare ad ammirare i due capolavori .
Quella voce dall'America ( Rossella Carlo , 1999 )
StampaPeriodica ,
Prima che la Cnn americana diventasse la tv globale , vista simultaneamente in tutto il mondo , l ' unico strumento di comunicazione ' worldwide ' era la britannica Bbc . Ancora oggi , in ogni angolo della Terra , ci sono milioni di persone che ogni giorno ascoltano via radio il World service La Bbc , che ora dispone anche di un canale televisivo come quello della Cnn ( ma molto migliore ) , era la voce dell ' impero ma anche della democrazia . Gli appassionati della Bbc , che da anni la stanno a sentire , conoscono un personaggio molto popolare della radio britannica : Alistair Cooke . Da 53 anni , da più di mezzo secolo , Cooke , che oggi ha 91 anni e vive in 5th . avenue a New York , legge una volta alla settimana la sua Letter from America . Dal 1946 ne ha scritte 2.600 . Sono il migliore strumento per capire l ' evolversi della storia e della vita americana , dal dopoguerra alla globalizzazione , alla formazione della superpotenza solitaria . Tutte le missive di Cooke sono state pubblicate e si trovano nelle librerie inglesi . Per molti sudditi di Sua maestà i volumetti di Cooke sono gli unici libri mai letti sui ' cugini ' d ' oltreoceano . Cooke ha toccato ogni aspetto della vita americana , dai principali eventi politici alla cronaca di ogni giorno , dal movimento per i diritti civili alla guerra in Vietnam , dalle mode alle manie , dai gossip ai piccoli , insignificanti avvenimenti personali che però spiegano bene il mondo in cui si vive . Cooke ha parlato di tutti , da Douglas Fairbanks a Monica Lewinsky , dalla sconfitta elettorale del suo amico Adlai Stevenson alla caduta del pugile Sugar Ray Robinson al Madison Square Garden nel 1962 ( ' Una delle più straordinarie descrizioni di quell ' avvenimento ' hanno affermato i critici ) . L ' ultimo libro di Cooke , Memories of the great and good , una raccolta di 23 profili americani , è stato pubblicato in ottobre ed è in testa alle classifiche inglesi , proprio al di sopra delle memorie dell ' ex primo ministro John Major . Lo stile di Cooke è elegante , spiritoso , chiarissimo . I maestri del giornalista britannico sono , a suo dire , Mark Twain , H.L. Menken , E.B. Wite , e due suoi professori a Cambridge , negli anni Venti , D.W. Brogan e Artur Quiller - Couch . Liberale autentico , Cooke , nel periodo della ' caccia alle streghe ' , scrisse un saggio indimenticabile sul processo ad Alger Hiss , una presunta spia sovietica : Generation on trial : Usa vs . Alger Hiss ( Knopf , 1950 ) . L ' esperienza di Cooke dimostra che per raccontare i paesi , soprattutto nell ' epoca della globalizzazione , dove sembra di sapere tutto attraverso la tv , bisogna viverci a lungo , parlare bene la lingua , avere tanti amici , conoscerne la storia , la letteratura , il teatro , il cinema , la musica , gli ambienti accademici e scientifici , l ' economia e le piccolezze della vita . I corrispondenti dei giornali , delle radio , delle tv , ma ora anche delle catene di Internet , debbono vivere a lungo nei posti per poterne scrivere con semplicità e assoluta competenza . Il giornalismo della globalizzazione non può permettersi di essere frettoloso e superficiale . L ' Italia , per esempio , ha avuto dagli Stati Uniti due corrispondenti molto simili a Cooke : Ruggero Orlando e Ugo Stille , più newyorkesi dei newyorkesi . Oggi i pochi columnist fortunati e bravi che vivono da lungo tempo nei posti sui quali scrivono sono Vittorio Zucconi , Tiziano Terzani , Bernardo Valli , Barbara Spinelli . Per loro fortuna e per fortuna dei loro giornali e dei loro lettori conoscono le minime sfaccettature della società americana ( Zucconi ) , asiatica ( Terzani ) , francese ed europea ( Spinelli e Valli ) . L ' esempio mirabile di Alistair Cooke dovrebbe insegnare qualcosa agli editori italiani , sempre così restii a investire sull ' estero . La loro parsimonia colpisce nell ' era della globalizzazione , quando tutto il mondo va raccontato con competenza e con stile .