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> anno_i:[1970 TO 2000}
Gli Indi boliviani ( Moravia Alberto , 1970 )
StampaQuotidiana ,
La Paz . La Paz è una città in gran parte india , costruita , però , dai bianchi per i bianchi . In altri termini la divisione sociale a La Paz si raddoppia di una divisione razziale o se si preferisce culturale . La classe dirigente è bianca o meticcia ; il popolo è indio . Questa divisione che riflette la più vasta divisione del paese ( quattro milioni di abitanti di cui soltanto quattrocentomila bianchi e meticci ) è l ' eredità più vistosa del colonialismo spagnolo . La Paz è una bellissima e strana città costruita in una specie di crepaccio dell ' altipiano . Monti scoscesi ed erosi simili alle pareti interne di un cratere circondano e si innalzano da ogni parte intorno la città . La parte bassa dell ' angusta vallata è occupata dalla città bianca ; sui fianchi dei monti si arrampicano invece i quartieri popolari , cioè indi , composti di case di fango seccato . Gli Indi , naturalmente , si vedono dappertutto , gli uomini coi ponci infilati nel collo e drappeggiati davanti e dietro come ferraioli ; le donne con la bombetta nera o marrone , la gonnella succinta e sospesa su una crinolina , lo scialle intorno le spalle che il più delle volte avvolge un bambino portato a cavalcioni sulle reni . Dire che gli Indi sono attraenti sarebbe deformare la verità . Mentre esiste certamente una bellezza africana , non esiste una bellezza india . E colpisce , nel confronto con gli africani ( il paragone è inevitabile , se non altro per la somiglianza delle situazioni economiche e sociali ) l ' eleganza dei vestiti dei primi rispetto alla goffaggine dei costumi " nazionali " dei secondi . Con gli Indi si ha continuamente l ' impressione del " già visto " , corretto però , in maniera ambigua e il più delle volte non troppo estetica , da modificazioni che si è tentati di attribuire al clima e all ' isolamento . Si pensa , vedendoli , subito , a dei mongoli ; poi , in un secondo momento si notano differenze curiose che , però , non riescono a scacciare l ' idea dell ' origine asiatica : un colore bruno che tira al rosso ; una lunghezza insolita del volto che congiunta alla larghezza mongolica fa sì che le facce risultino sproporzionatamente grandi : una specie di caduta dei tratti l ' uno sull ' altro , la fronte sul naso , il naso sulla bocca e la bocca sul mento . Invincibilmente , non si può fare a meno di pensare ad un ' emigrazione asiatica preistorica abbastanza numerosa da permettere gli insediamenti americani ; ma troppo scarsa per fomentare sviluppi decisivi , somatici e altri . Bruciati dal sole e dal vento degli altipiani , senza rapporti con altri popoli , si direbbe che gli Indi siano rimasti a metà strada , non più mongoli , non ancora americani . Così che , a ben guardare , il termine " indio " coniato per sbaglio dagli spagnoli , si rivela , nella sua ambiguità , assai espressivo della ambiguità fisica delle popolazioni indigene dell ' America . Per osservare gli Indi bisogna recarsi al mercato , su su , nella parte alta di La Paz . Nelle straducce che portano al mercato , le donne stanno accovacciate sui marciapiedi , le une contro le altre , come galline infreddolite e torpide . Davanti a loro , sui lastroni , è esposta la merce : minimi mucchietti di peperoncini , pochi sacchetti di foglie verdi di coca , qualche frittella fatta in casa . Guardano a questa misera roba con indifferenza , come se non gli appartenesse . Più su , tra le bancarelle del mercato , l ' atmosfera è in apparenza quella dei mercati di tutto il mondo : compratori che circolano lentamente guardando ed esaminando ; venditori che se ne stanno immobili dietro i banchi . Ma ad un esame più attento , ci si rende conto che in quella folla mancano l ' allegria , la confusione e anche la promiscuità e la sporcizia proprie dei mercati . Il mercato boliviano è grave , poco rumoroso , pulito e senza contatti e spintoni . Certo , si potrebbe attribuire questo carattere al temperamento poco vivace della gente di montagna . Ma forse la ragione è più profonda . Forse , in maniera inconscia , fra venditori e compratori c ' è una tacita intesa per non dare importanza al mercato in quanto occasione sociale , luogo di comunicazione e di incontro . In altri termini , bisognerebbe ravvisare nella riserva e compostezza degli Indi un aspetto tra i tanti del " rifiuto sociale " che in tutta l ' America Latina gli indigeni hanno opposto , fin dai tempi della conquista , al sistema colonialista . Questo rifiuto sociale degli Indi , cioè rifiuto di comunicare , di partecipare , di integrarsi , è una delle cose che colpisce di più in Bolivia . Certo per gli Indi , come per gli africani , è difficile passare da un ' economia autarchica e di mera sussistenza al produttivismo e al consumismo del mondo moderno . Ma al contrario degli africani che mostrano un vivo e manifesto desiderio di partecipare alla civiltà industriale , gli Indi oppongono a questa stessa civiltà una resistenza passiva fatta di cocciuta fedeltà alla tradizione e di assoluta mancanza di ambizione . Negli Indi si avverte se non proprio ostilità , cattiva volontà ; non tanto forse per diffidenza verso la novità quanto per nostalgia inconscia e rancorosa di un passato defunto e migliore . Insomma , mentre dietro l ' africano si sente un ' antica simbiosi con la natura rispetto alla quale neppure la schiavitù può considerarsi una soluzione di continuità , nell ' indio invece si intuisce il trauma di una civiltà originale bruscamente e spietatamente distrutta . La sensazione di un ripiegamento , di un rifiuto , di una rinunzia non soltanto imposta ma anche voluta , è del resto confermata dall ' archeologia . A cento chilometri da La Paz , le rovine stupende del tempio di Tiahuanaco con le loro muraglie fatte di enormi blocchi incastrati a secco fanno guardare con stupore alle figure goffe degli Indi , mascherati secondo il rozzo folklore dell ' oppressione europea . Si stenta a credere che quei contadini in costume appartengano allo stesso popolo che ha costruito il tempio . E vien fatto di pensare che nessun gruppo umano può impunemente retrocedere ad uno stato primitivo , dopo aver creato una civiltà . Esso apparirà non già tornato alla natura ma regredito , umiliato , decaduto . La civiltà , a quanto pare , è un ' esperienza incancellabile . Naturalmente i responsabili della situazione odierna degli Indi , cioè gli spagnoli , sono oggi acutamente consapevoli del problema costituito da questa massa inerte e frustrata di cittadini di secondo grado che oltre tutto incide per l ' ottanta per cento sulla popolazione della Bolivia . Si distinguono diverse maniere di affrontare il problema indio . Prima di tutto i colonialisti tradizionali . Per loro l ' indio refrattario all ' educazione , privo di ambizioni consumistiche e sociali , attaccato alle sue tradizioni , dedito alla coca e all ' alcool , sarebbe irrecuperabile . Non c ' è bisogno di molto acume , tuttavia , per capire che i colonialisti trasformano in caratteri razziali gli effetti della catastrofe storica dell ' indio . In secondo luogo vengono coloro che basandosi su una certa letteratura di rivalutazione degli Indi , il cui massimo rappresentante è stato D.H. Lawrence , si sono costruiti il mito di una civiltà india di gran lunga superiore a quella occidentale in quanto tuttora attaccata ai valori del sangue e della terra . D.H. Lawrence si era servito di queste idee per polemizzare con la civiltà industriale dell ' Occidente . Ma in Bolivia , paese agrario , simili teorie sembrano nient ' altro che l ' altra faccia del colonialismo con il quale , infatti , condividono , sia pure per motivi diversi , la convinzione che l ' indio sta bene come sta e che di conseguenza niente va cambiato . Infine i socialisti di vario genere , sia i gruppi socialnazionalisti oggi al potere sia i castristi all ' opposizione , considerano l ' indio come il risultato di un processo storico di degenerazione dovuta a quattro secoli di spietato e imprevidente sfruttamento . I rimedi proposti dai socialisti variano secondo che pongono l ' accento piuttosto sul dato culturale e nazionale o sull ' economico . Ma tutti sono d ' accordo in fondo nel considerare l ' integrazione dell ' indio nella vita sociale , economica e culturale del paese come il problema massimo della Bolivia . Abbiamo visto gli Indi in due occasioni , l ' una , diciamo così , privata , l ' altra pubblica . La prima è stata durante una gita al lago Titicaca , l ' immenso lago sacro alla cultura india , ai confini col Perù . In un villaggio sulla strada , in un grande spazio terroso , in pendio , limitato , in fondo , da un muro bianco sul quale a grandi lettere nere si leggeva scritto : " Cristo unica esperanza " , aveva luogo un ballonzolo rusticano . Un gruppo di suonatori girava di qua e di là saltellando e intonando certe ariette discordi e agre con pifferi di canne , bidoni di benzina e tamburelli . Gli Indi gravi , goffi , malsicuri e rozzi entravano nella danza tenendosi per mano , in una lunga fila che pian piano si trasformava in una specie di pesante e orsino girotondo . Veniva fatto di ricordare il quadro celebre della festa contadina di Breughel , ma senza allegria , senza prosperità , senza slancio , in un ' aria triste , frustrata e misera anche se certamente autentica . L ' occasione pubblica è stata durante uno spettacolo di balli folcloristici al palazzo del governo , davanti al miglior pubblico della capitale e il più ufficiale . In prima fila sedevano tutti i ministri e il presidente della repubblica Ovando . Danzatori indi di diverse tribù , nei costumi tradizionali , hanno eseguito danze tradizionali assai pittoresche , al suono dei soliti striduli pifferi e dei soliti cupi tamburi . Finito lo spettacolo il presidente si è alzato e i danzatori , uno per uno , sono sfilati e hanno stretto la mano al presidente ricevendone in cambio una specie di fraterno abbraccio . C ' era un ' aria strana come di riconciliazione difficile e comunque non del tutto sincera tra due gruppi nemici . Si avvertiva l ' impaccio di una distanza sociale e culturale che permaneva nonostante la buona volontà di ambedue le parti . La Bolivia non è un paese unitario ma dualistico . E per molto tempo ancora sarà difficile che cambi .
L'altipiano dei fallimenti ( Moravia Alberto , 1970 )
StampaQuotidiana ,
La Paz . Da La Paz al lago Titicaca si va in macchina in meno di due ore . Si corre per una pista di pietrisco attraverso la steppa che ha un colore uniforme fra il marrone e il bruno , con striature gialle e grigie : il colore dei cespugli bassi e spinosi che riescono a resistere ai venti , al freddo , all ' aridità , alla rarefazione dell ' aria dell ' altipiano . Poiché è la stagione delle piogge , un ' immobile nuvolaglia nera pende a mezz ' aria , simile ad una catena di montagne capovolte , con la base in su e le punte in giù , lasciando sereno l ' azzurro scuro e gelato degli orizzonti . L ' altipiano non è così piatto come sembra : ogni tanto file di colline pietrose e sgretolate si sollevano di poco sulla steppa . Valichiamo una di queste collinette ed ecco , sotto di noi , allargarsi la distesa diafana del lago Titicaca . Ha un ' estensione di novemila chilometri quadrati ; ma le numerose isole e promontori che ne emergono e l ' aspetto paludoso , incerto , informe delle rive lo fanno parere un ' immensa pozzanghera sparsa di pietre , che si stia prosciugando al sole . Quest ' impressione è esatta , del resto . Il lago sta morendo ; perde per assorbimento del terreno e per evaporazione più acqua di quanto ne riceva . Eppure il lago Titicaca così informe , così deserto , così privo di tracce umane , è stato il centro di una delle due sole culture originali ( l ' altra è quella del Messico ) dell ' America precolombiana . Al lago Titicaca sono collegati i miti delle origini del mondo secondo la religione india ; e gli inizi della dinastia imperiale degli Incas . In una delle sue trentasei isole , chiamata , per il culto a cui era votata , l ' Isola del Sole , è apparso per la prima volta , secondo il mito , Viracocha , creatore dell ' uomo , della donna , degli animali , del cielo e della terra . In quella stessa isola sono nati í figli del Sole , Manco Capac e sua sorella nonché coniuge alla maniera faraonica Mama Ocllo , capostipiti della dinastia che in linea diretta , attraverso quindici monarchi , arriva fino ad Atahualpa , l ' ultimo imperatore , ucciso a tradimento da Francisco Pizarro . Di queste leggende e di questi eventi il lago Titicaca , naturalmente , non conserva nulla . La memoria atavica degli indi e le ricerche archeologiche degli europei qui si scontrano con il vuoto assoluto e maestoso di una natura forse originariamente abitata dalla storia ma che la storia ha abbandonato per sempre . Poco lontano dal lago Titicaca , in un immenso anfiteatro naturale formato da basse colline nude ed erose , si trovano le rovine del santuario di Tiahuanaco , il centro religioso più importante della civiltà india prima degli Incas . A Tiahuanaco si esasperano i caratteri dell ' altipiano : solitudine , luminosità , vastità , vuoto , silenzio . Il tempio affondato per metà sottoterra , ha muraglie costruite con enormi blocchi di pietra grigia incastrati a secco con grande ingegnosità e perfezione . La celebre Porta del Sole , con la sua divinità dalla testa felina e la stele chiamata dagli Spagnoli el fraile ( il frate ) , in realtà un dio anch ' esso , in forma umana , con caratteri tipici indi ( busto lungo , gambe corte , testone , facciona ) sono le parti del tempio in cui , oltre alle capacità tecniche ed architettoniche , si rivela il talento propriamente artistico degli indi . È ammirevole , attraente , bella quest ' arte ? Diremmo piuttosto che è strana e che ispira un curioso senso di malessere , diciamo così , estetico . Paragonata ai prodotti artistici dei veri primitivi ( arte negra , polinesiana , greca arcaica ecc. ecc . ) rivela una stilizzazione , una cifra per niente ingenue , di tipo tardo e decadente che dà un ' impressione sgradevole come di frutto per metà acerbo e per metà già putrefatto . Che c ' è in fondo a quest ' impressione ? Il senso di una civiltà isolata , senza possibilità di prestiti , di confronti , di apporti , che arriva alla decadenza direttamente dalla primitività senza passare per la fase della maturità . Quel non so che di crudele e di tetro che emana da quest ' arte sembra alludere al destino proprio delle cose predestinate al fallimento in quanto fin dagli inizi avviate per la strada sbagliata . L ' individuo può correggere i propri errori attraverso una presa di coscienza ; ma le nazioni , le società , le collettività , poiché non vivono a livello morale ma storico , non si accorgono di sbagliare e in realtà non " possono " sbagliare . Possono soltanto fallire , ossia avere una storia breve , una storia catastrofica , una storia in forma di vicolo cieco . Nell ' erba , presso la muraglia del santuario , giacciono alla rinfusa molti blocchi di pietra . Si pensa che siano caduti giù per opera del tempo o delle devastazioni degli spagnoli . Ma non è così . Il santuario di Tiahuanaco , a quanto sembra , è stato abbandonato prima di essere finito . Quei blocchi semi - lavorati erano già interrati nell ' erba prima della conquista . Chissà , forse gli indi si erano accorti di aver " sbagliato " ; di essere stati traditi dai propri dei ; ossia di aver creato una civiltà predestinata al fallimento . Sull ' altipiano , però , non sono stati soltanto gli indi a fallire ; ma anche i loro oppressori , gli spagnoli . La croce cristiana è graffita sulla spalla del / rade ; e dietro la collina spunta la cupola di una chiesa fabbricata , a quanto ci dicono , con materiale portato via dal santuario del Sole ; ma il fallimento spagnolo è visibile dappertutto nell ' abbandono in cui giacciono gli antichi palazzi viceregali , le monumentali chiese barocche , e ancor più nella miseria , nell ' ignoranza , nell ' arretratezza della popolazione india , dopo quattro secoli di cultura europea . Dalla chiesa , adesso , giungono suoni agri e discordi di musiche , tonfi cupi di tamburo , scoppi secchi di petardi . È la fiesta india , rozzamente e poveramente folcloristica la quale , tra la morte del santuario pagano e lo squallore della chiesa cristiana , dà il senso acuto e straziante del fallimento congiunto delle due culture . La civiltà india originaria ( chiamata collas dal nome della tribù più importante ) era di tipo comunitario , libera e democratica . Ma all ' arrivo degli spagnoli , questa civiltà già da quattro secoli è stata trasformata dagli Incas in impero schiavistico . D ' altra parte , gli spagnoli conquistano l ' America in piena fase controriformistica , quando tutto ciò che c ' è di vivo e di nuovo in Europa si trova schierato contro la Spagna . Così la conquista si potrebbe definire la fusione di due fallimenti , quello indio e quello spagnolo , l ' innesto mostruoso della decadenza europea sul tronco della decadenza india . Ma qual è il motivo profondo del momentaneo successo di questa operazione teratologica ? Come mai un centinaio di avventurieri si sono impadroniti di un impero di dieci milioni di indi ? Forse l ' evoluzione singolare dell ' istituzione della mita può fornire , in maniera simbolica , la chiave del mistero . Originariamente , ai tempi della civiltà comunitaria preincaica , la mita era un servizio pubblico al quale le comunità indie si assoggettavano volontariamente e gratuitamente . Si trattava di coltivare le terre della comunità , di irrigarle , di imbrigliare í corsi d ' acqua , di mantenere i sentieri ecc. ecc. La mita era insomma un lavoro collettivo in cui si manifestava l ' alto grado di senso " associativo " degli indi . Poi con l ' impero degli Incas , la libera organizzazione comunitaria , si trasforma in struttura rigidamente centralizzata e statale ossia , in sostanza , in servitù della gleba inquadrata e diretta da una burocrazia di tipo religioso . Si trattava , però , di una servitù della gleba di un genere particolare , non tanto basata sullo sfruttamento a scopo di lucro , quanto sulle necessità reali di un ' agricoltura estensiva che dipendeva in gran parte dai vasti e complessi sistemi di irrigazione . Il passaggio dalla servitù della gleba degli Incas alla franca e orrenda schiavitù mineraria imposta dagli spagnoli , sembra dovuto alla forza . In realtà , è reso possibile dal senso sociale degli indi , che già a suo tempo aveva consentito la trasformazione dell ' economia comunitaria in economia statale . Intendiamoci : il senso sociale non è un difetto ma una qualità . Sempre , però , che non distrugga l ' istinto individuale , come sembra essere avvenuto nella civiltà india . La mancanza di individualismo fa sì che la mita da servizio pubblico libero e spontaneo si trasformi con gli Incas e poi con gli spagnoli in corvée . Gli indi erano soprattutto e soltanto " sociali " ossia docili , sottomessi alle leggi , disciplinati e ligi . Gli Incas si sono serviti di questa socialità per avviare gli indi allo statalismo teocratico ; gli spagnoli per farne degli schiavi . In un secolo la popolazione india cade da dieci milioni ad un solo milione . La mita diventa una condanna a morte . Tanto è vero che quando un indio veniva reclutato per la mita mineraria , i compagni gli facevano i funerali in anticipo . Il mitayo era sinonimo di indio morto . All ' atrofia del sentimento di individualità degli indi fa riscontro l ' ipertrofia dell ' individualismo degli spagnoli . I conquistadores sono avventurieri intrepidi ma senza neppure l ' ombra di quel cristianesimo di cui tuttavia alzano il vessillo . Spietati , fedifraghi , sanguinari , insaziabili , dicono di rappresentare la società spagnola ; ma in realtà rappresentano soltanto se stessi , anche perché la società spagnola individualista e feudale , è stata lei a farli così come sono . Anche a giudicarli col metro morale molto particolare del Rinascimento , difficilmente possono essere giustificati e tanto meno assolti . Sterminano gli indi , si sterminano tra di loro ; e questo pur sempre per motivi di potere e di bottino . È vero che la Corona di Spagna e la Chiesa cercano di proteggere le disgraziate popolazioni indigene ; ma sono lontane mentre i feudatari sono presenti sul luogo . Il fallimento spagnolo è già in germe in questo individualismo efferato e imprevidente . Come , d ' altra parte , il fallimento indio era già in germe nell ' eccessivo senso comunitario , nella mancanza di spirito individuale degli indi .
L'Africa ha il suo Marx ( Moravia Alberto , 1974 )
StampaQuotidiana ,
Libreville . Un nuovo Machiavelli , oggi , certo abbandonerebbe la figura del Principe , nutrito di letture umanistiche , da Tito Livio a Plutarco e a Tacito e disegnerebbe invece quella del rivoluzionario moderno , assurto o no al potere . Questo rivoluzionario , naturalmente , sarebbe anche lui un uomo di cultura ; ma la sua cultura non sarebbe più quella dell ' umanesimo rinascimentale bensì una mescolanza di ideologia e di scienza . Come Marx , come Lenin , come Trotzki , come Stalin , come Mao , il rivoluzionario moderno sarebbe , oltre che un uomo politico portatore di una determinata ideologia , un cultore di quelle scienze che si occupano del fatto sociale . Frantz Fanon , il medico martinicano creatore del " fanonismo " ossia della sintesi più potente , più complessa e più vasta elaborata finora da tutti i motivi della rivoluzione anticolonialista nel Terzo Mondo , non costituisce un ' eccezione alla regola che oggi vuole l ' uomo politico anche uomo di scienza . Frantz Fanon era , infatti , un sociologo acuto e lucido , oltre che un uomo d ' azione e un poeta della palingenesi del Terzo Mondo . Ma quello che rende Fanon diverso dagli altri rivoluzionari e probabilmente unico nel suo genere , è il fatto che fosse anche uno psichiatra . Quanto a dire che egli si interessava attivamente non soltanto all ' uomo come animale politico e sociale ma anche alla persona umana vista nella sua inconfondibile e singolare interiorità . Immaginiamo un Marx che non solo ci descriva , nei suoi effetti sociali ed economici , il lavoro infantile nelle fabbriche inglesi del suo tempo ma anche esamini i riflessi di questo lavoro nell ' animo di una particolare bambina o di un particolare ragazzo ; e avremo il senso preciso della situazione centrale rispetto alla cultura moderna di Frantz Fanon ideologo della lotta anticolonialista e della " negritudine " , personaggio di primo piano della rivoluzione africana , medico psichiatrico , scrittore ormai classico . La sua originalità , come sempre avviene , va soprattutto ravvisata nella sua capacità di conciliare senza sopprimerle le contraddizioni estreme . Frantz Fanon è fautore a oltranza del nazionalismo come l ' arma più efficace contro il colonialismo e il mezzo migliore per creare o recuperare le culture nazionali ; ma al tempo stesso sembra rendersi conto che il nazionalismo europeo è stato il padre del colonialismo e del razzismo e che , invece di creare o recuperare le culture nazionali , il nazionalismo , strumentalizzandole , ne arresta lo sviluppo e ne uccide i germi più fecondi . È sostenitore del ricorso alla violenza sistematica e spietata nella lotta contro il colonialismo ; ma al tempo stesso , ne I dannati della Terra , nel capitolo " Guerra coloniale e disturbi mentali " studia con lucidità e delicatezza gli effetti distruttivi di questa stessa violenza nell ' intimità dell ' animo umano ( a proposito , cosa avrebbe detto Fanon dei killers di Fiumicino che si sono dichiarati " fieri " di aver bruciato vivi trenta innocenti , lui che , tra i casi clinici della guerra totale in Algeria , include quello dei due ragazzi arabi , assassini alienati e automatici di un loro amichetto francese ? Avrebbe riscontrato in quella " fierezza " un tratto psicopatico oppure l ' avrebbe approvata ? ) . Infine egli odia le cosiddette borghesie nazionali africane ( " la fase borghese nei paesi sottosviluppati è una fase inutile " ) ; ma al tempo stesso si palesa estimatore della borghesia europea anche se colonialista e imperialista ( " questa borghesia dinamica , colta , laica è riuscita pienamente nella sua impresa di accumulazione del capitale e ha dato alla nazione un minimo di prosperità " ) . Frantz Fanon è morto nel 1961 . L ' Algeria , alla cui rivoluzione ha partecipato in qualità di militante , la maggior parte delle colonie africane alla cui liberazione ha contribuito potentemente con la sua opera scritta , sono Stati indipendenti . Ora , cosa direbbe Frantz Fanon oggi del Terzo Mondo e in particolare dell ' Africa nera come si è venuta assestando a livello politico negli ultimi anni ? Nell ' opera di Frantz Fanon , vorrei distinguere due parti . La prima è quella in cui Fanon definisce la situazione del negro nel mondo creato dai bianchi e , conseguentemente , incita gli africani alla violenza per distruggere il colonialismo razzista . La seconda , che chiamerei testamentaria e profetica , è quella in cui Fanon critica le nuove società africane e i loro sistemi politici e suggerisce i modi , " per l ' Europa , per noi stessi e per l ' umanità " coi quali sarà possibile " rinnovarsi , sviluppare un pensiero nuovo , tentare di metter su un uomo nuovo " . La prima parte contiene una requisitoria folgorante contro il colonialismo e il razzismo e va considerata fondamentale per tutto quanto riguarda il Terzo Mondo : ma occorre dirlo , essa ormai " data " senza per questo perdere il suo valore ideologico e letterario , come è proprio in genere dei classici , appunto perché ha determinato in maniera irreversibile e definitiva la presa di coscienza da parte degli africani e degli europei nei riguardi del colonialismo . Il quale , è vero , è ancora attivo in Africa , ma appare , ormai , anche per merito di Fanon , del tutto anacronistico e svuotato di contenuto . La seconda parte , quella che ho chiamato testamentaria e profetica , è e sarà invece per lungo tempo di attualità non soltanto nel Terzo Mondo . È chiaro infatti che quando Fanon , nella conclusione dei Dannati della Terra , dice : " Cerchiamo di inventare l ' uomo totale che l ' Europa è stata incapace di far trionfare " egli si rivolge indistintamente a tutti gli uomini . Ma accanto a questa attualità , diciamo così , universale , ce n ' è un ' altra che riguarda direttamente e unicamente la nuova Africa . Vediamo adesso perché e in che modo . Come ho già accennato , Frantz Fanon è prima di tutto , per le esigenze della lotta anticolonialista , un nazionalista convinto . Ma egli non crede alla possibilità e tanto meno alla necessità di una borghesia nazionale in Africa . Logicamente , quindi , Fanon finisce per orientarsi verso il socialismo cioè verso quella democrazia " dal basso » che si esprima nell ' istituzione del partito unico , depositario dell ' ideologia " progressista " ( per distinguerlo , come si vedrà , dal partito unico " reazionario " ) . Il pluripartitismo di specie parlamentare è , infatti , inconcepibile senza una borghesia forte e colta e abbiamo già visto che per Fanon questa borghesia in Africa non è né possibile né desiderabile . Non c ' è dubbio , insomma , che se Fanon non fosse morto nel 1961 , avrebbe accolto , pochi anni dopo , molte delle istanze sociali e politiche della contestazione . Adesso guardiamo all ' Africa , oggi . Il fenomeno politico che colpisce a prima vista è il trionfo del partito unico e del suo indispensabile complemento , quello cioè che Fanon chiama il leader . Quasi dappertutto , insomma , il pluripartitismo parlamentare , con le sue appendici indispensabili di libertà individuali e di diritti dell ' uomo , è stato annullato da rivoluzioni , colpi di Stato militari e no , dissoluzioni delle opposizioni . Forse nessuno è più idoneo , oggi , a spiegarci i motivi , diciamo così , " interni " di questa crisi del pluripartitismo in Africa , di un uomo come Kenneth Kaunda , attuale presidente dello Zambia . Questo paese per dieci anni dopo l ' indipendenza è stato governato da Kaunda col sistema pluripartitico . L ' anno scorso , Kaunda ha proclamato lo Zambia paese a partito unico . In una intervista a " Newsweek " , alla domanda di come sono andate le elezioni basate per la prima volta sul partito unico , Kaunda risponde con una certa quale ingenuità : " Sono state le elezioni più tranquille che abbiamo mai avuto in questo paese . In passato , tutte le volte che scioglievo il parlamento , letteralmente mi aspettavo la morte di molti dei miei concittadini . La burocrazia , l ' esercito , la polizia , tutte le istituzioni della nazione erano spaccate dalle linee politiche dei partiti . D ' altronde questi partiti erano a loro volta basati sulle tribù e così , qualsiasi cosa si facesse , portava alla divisione . " A questo quadro desolante degli effetti del pluripartitismo , il giornalista americano fa seguire la logica domanda : " Ma il partito unico può realmente essere democratico ? " . Al che Kaunda risponde : " In Occidente , quando si parla di partito unico , i più pensano immediatamente a tirannie , repressioni , dittature ... Io non accetto questo punto di vista . Noi abbiamo tentato il pluripartitismo qui nello Zambia . Sinceramente , abbiamo cercato di farlo funzionare . Ma ci siamo trovati sommersi dai risentimenti tribali , religiosi , razziali e così via . Questo sistema qui non funziona ; avrebbe distrutto la nazione ... allora alla fine abbiamo deciso di creare un sistema nuovo " . Non c ' è molto da aggiungere a queste parole così illuminanti sulla crisi del pluripartitismo e sul passaggio alla " democrazia " del partito unico . Naturalmente il carattere politico e sociale di questi partiti unici varia grandemente . Una prima suddivisione sarebbe quella tra partiti unici legati alle borghesie nazionali e partiti unici socialisti dalle varie sfumature , dal " socialismo africano " al marxismo di stretta osservanza . Una seconda , quella tra leaders militari e leaders civili . Una terza potrebbe essere basata sulle tendenze politiche di questi leaders : vi sono militari che si proclamano socialisti , e civili che si appoggiano alle borghesie nazionali , e viceversa . Ma c ' è un tratto comune che sovrasta a tutte queste differenze ; ed è la personalizzazione del potere o , se si preferisce , il culto della personalità . Quest ' ultima definizione è diventata ormai un luogo comune il cui significato , appunto perché ovvio , quasi sfugge all ' attenzione . Ma in Africa il culto della personalità è proprio il culto della personalità , né più né meno . Nei nuovi Stati africani tutto sembra contribuire al culto della personalità : la dittatura del proletariato come la dittatura militare , il partito unico socialista come il partito unico borghese nazionale , il centralismo urbano e industriale come il decentramento tribale e contadino . Ciò che si vede , nella sua ingenuità e autenticità , ha un valore altrettanto probante di ciò che si potrebbe scoprire con indagine approfondita . Per esempio i perizomi vivaci in cui si avvolgono le donne africane , dovunque e coi più diversi partiti unici , mostrano spesso sul dorso e sul ventre il ritratto in grandezza naturale del leader con il titolo che gli compete ( quasi sempre " presidente " , in alcuni casi " presidente a vita " ) circondato di slogan e motti di propaganda . D ' altra parte , bisognerebbe essere ciechi e sordi per non accorgersi , viaggiando in Africa , dell ' atmosfera di timore reverenziale , di devozione intransigente , di rispetto protocollare che circonda la personalità del leader , nonché dei modi più o meno autoritari del suo predominio . Accanto a questi caratteri che si possono ancora chiamare positivi , ve ne sono altri che difficilmente potrebbero essere considerati tali . Il culto della personalità , come abbiamo visto , si basa sul partito unico , e dunque sulla assenza dei partiti di opposizione . Da questo , all ' intolleranza verso gli oppositori esterni e interni , il passo non è lungo . È un fatto accertato che in alcuni Stati africani retti a partito unico , secondo l ' ultimo rapporto dell ' Amnesty International molti oppositori di varie tendenze politiche si trovano in carcere senz ' altro motivo che il loro dissenso dal leader . L ' imprigionamento degli oppositori dimostra , secondo me , più di qualsiasi acritico fanatismo popolare , il prevalere del culto della personalità . Allo stesso modo che l ' esistenza legale di un ' opposizione è l ' indizio più sicuro di segno contrario . Insomma , il leader africano militare o civile , borghese - nazionale o socialista - si ammanta spesso di un potere che bisogna pur chiamare carismatico . Al carattere sacrale del potere politico contribuisce probabilmente anche la particolare religiosità delle masse . Le religioni , tutte le religioni , sia quelle autoctone e tribali sia quelle a sfondo universalistico , non sembrano spesso avere in Africa limiti sociali e psicologici precisi . Come i grandi fiumi africani che alla stagione delle piogge escono dai loro alvei e inondano immensi territori , la religiosità africana , pur di fronte a novità sconvolgenti come il socialismo e il nazionalismo , non tanto scompare quanto trapassa dalle vecchie alle nuove istituzioni tutte sommergendole nella sua irresistibile onda mitica . Il leader africano prim ' ancora che un militare o un civile , che un borghese nazionale o un socialista , è spesso un padre spirituale , una guida morale , un maestro di saggezza , un capo religioso , un tutore ideologico , un messia politico . I leaders si chiamano " Osagyefo " ( redentore ) e " Mwalimu " ( maestro ) ; parlano di " Ujamaa " ( spirito della famiglia ) e di " Harambee " ( cooperazione ) oppure informano il partito ad " un umanismo cristiano " affinché " il servizio incondizionato dei nostri compagni sia la più pura forma del servizio di Dio " . Sugli autobus in gran parte dell ' Africa nera , al di sopra della scritta che ne indica il percorso , si leggono frasi edificanti di questo genere : " Dio è la mia guida " ; " L ' onestà è il migliore sistema " ; " Con Dio mi sento sicuro " ; " Onora tuo padre e tua madre " , ecc. ecc. L ' idea soggiacente al potere carismatico sembra essere che la società è tutta una grande famiglia affettuosa in cui si viene istruiti , educati , assistiti , guidati e , alla fine , premiati o puniti . Naturalmente tutto questo non impedisce al potere di essere il potere , alla politica di essere la politica , alle classi di essere le classi . Si tratta , insomma , soprattutto di una questione di linguaggio connessa a sua volta con la civiltà contadina che è propria di tutto il Terzo Mondo ma che in Africa ha caratteri originali diversi dall ' Asia e dall ' America Latina . D ' altra parte bisogna avvertire che il carisma non impedisce affatto una consapevolezza del tutto realistica dei limiti e dei lati negativi sia del leader che del sistema a partito unico . Ma la personalizzazione del potere sembra essere alla fine la condizione essenziale affinché il carisma si verifichi .
IL PAESE E LA PALUDE ( VERTONE SAVERIO , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Può darsi che il rinvio a giudizio di Berlusconi rafforzi in Parlamento la convergenza verso Dini ormai in atto presso alcune schegge della destra e della sinistra . Ma è sicuro che nel Paese questa convergenza verso la palude centrale genera una divergenza eguale e contraria , e cioè divarica le posizioni . D ' altronde il Parlamento sembra aver dimenticato assai più degli elettori il voto del 18 aprile , che ha sicuramente condannato il centrismo pur senza scegliere fra destra e sinistra . Da allora il dilemma della politica italiana è " avanti o indietro " sulla strada della trasformazione , assai più che " di qua o di là " rispetto ai punti cardinali della tradizione . Purtroppo questo trapasso risulta illeggibile se si seguono soltanto le intenzioni e il destino degli eletti . Infatti : Berlusconi non si accorge che una stessa ondata porta lui al successo del 27 marzo e Andreotti all ' umiliazione di un processo ; mentre la stampa sembra ignorare che il medesimo sommovimento consente a Berlusconi di insediarsi a Palazzo Chigi e a Mani pulite di rinviarlo a giudizio . E , anche prima : Segni non capisce che il plebiscito sul maggioritario , da lui così appassionatamente voluto , è destinato a travolgere il bastione centrista sul quale si arrocca ; Occhetto non vede nell ' esplosione di Tangentopoli la premessa di un ' alternativa radicale al sistema dei partiti anziché una semplice alternanza della sinistra al Caf ; Buttiglione provoca la crisi di dicembre per strappare a Forza Italia la direzione del Polo , ma perde per strada il suo esercito ; D ' Alema entra alla cieca nel ribaltone e constata , alla fine , di aver lavorato per Dini ; e Dini rinuncia andreottianamente a governare per stare al governo , trascurando la perdita dello strumento ( l ' erario ) con il quale Andreotti aveva tacitato le innumerevoli clientele in cui era stata scomposta la cittadinanza . A intenzioni così imprecise non possono che corrispondere destini incompiuti : Berlusconi azzoppato , Prodi abbandonato , Dini sospeso a una presidenza fondata su un Parlamento screditato e sprofondato nello Stige ; la transizione ferma , il vortice bloccato . Da tre anni gli eletti interpretano balbettando le spinte che vengono dagli elettori senza riuscire a comporre un ' offerta politica che corrisponda alla domanda civile . Ed è ormai inutile ribadire l ' equazione che mette sullo stesso piano governanti e governati , perché nel movimento a tentoni dei primi si esprime un istinto di conservazione collettivo che nei secondi si sminuzza nel respiro corto della sopravvivenza propria , personale o di parte . Certo , l ' elettorato non ha soluzioni , ma sente sia pure confusamente i problemi . Ha capito che i favori accordati nel presente dal centrismo precludono il futuro ; che la crisi delle città , dei servizi , dell ' ordine pubblico , della legalità e dello Stato è una conseguenza della paralisi amministrativa , la quale discende dall ' incapacità di decidere , a sua volta dovuta all ' impossibilità di scegliere tra opzioni chiare e responsabili . Insomma , il pubblico sa che il labirinto delle clientele , delle mediazioni e degli interessi corporativi ha prodotto una situazione paradossale in cui la crescita economica è contraddetta dal regresso civile ; e sa che è ormai impossibile conservare il benessere se continua il regresso . Per questo ha scelto plebiscitariamente il maggioritario e cioè il rifiuto dell ' imbuto centrale nel quale spariscono , si sovrappongono o si neutralizzano le scelte e si accampa la dissoluzione inarrestabile dello Stato e dei princì pi stessi della convivenza . Invece , almeno fino a oggi , Parlamento e governi hanno offerto soluzioni che scavalcano i problemi , o li ignorano , e sembrano orientati adesso a rifugiarsi nel gorgo della Prima Repubblica , dal quale li ha fatti uscire il sommovimento elettorale . La superiorità degli elettori sugli eletti è tutta in questo divario . Per il resto non bisogna dimenticare che è in crisi una democrazia fondata sul consenso , e che il consenso coinvolge , anche quando è comprato e venduto . In un Paese deragliato , forse non restava che la ramazza del Codice per farla tornare in sé . Ma non esiste un Codice che preveda l ' incriminazione , la punizione e il riscatto di una società intera , anche se accanto alla centralità del Parlamento si è istituita una anomala centralità della Magistratura . In ogni caso il nostro linguaggio politico è troppo abituato ad attribuire centri geometrici a figure sociali che non hanno circonferenza . Per il momento l ' Italia resta come pizzicata nella chiusura lampo della legge , che si apre e si chiude tra garanzie costituzionali e avvisi di garanzia . E questa sensazione di impotenza prelude a una rabbia cupa e insaziabile . Cupa perché afflitta da un oscuro senso di colpa . Insaziabile perché la rabbia non sfama , se non al modo di Filippo Argenti , che " in sé medesmo si volgea co ' denti " . Il mondo assiste incredulo all ' annaspare di un Paese che per liberarsi di un esiziale sistema politico non sa e non può fare altro che incriminare , dal primo all ' ultimo , i suoi rappresentanti vecchi e nuovi , tornando però indietro alla vecchia ammucchiata centrista che ha prodotto la corruzione . La Magistratura applica le leggi e dunque arresta i timonieri . E la nave entra nella mareggiata europea con la plancia di comando vuota e le sentine piene dei suoi ex capitani . Un Paese economicamente importante come l ' Italia non può restare a lungo politicamente inconsistente senza diventare un pericolo per sé e per gli altri , perché nel divario tra la ricchezza dell ' economia e la povertà della politica si insinuano fatalmente appetiti e timori molteplici , e dunque rischi di lacerazioni sempre più gravi . Per ridurre questo scompenso è però necessario eliminarne un altro : quello tra la domanda civile del popolo e l ' offerta politica del Parlamento . La crisi italiana è illeggibile se si seguono solo le intenzioni degli eletti e le soluzioni che ci offrono . Ma è leggibilissima se si guarda agli elettori e alla lunga marcia che hanno intrapreso per uscire dal labirinto in cui il corso impazzito della politica li ha chiusi insieme ai problemi del Paese . Nella grande confusione resta un punto fermo che non si può ribaltare : il 18 aprile .
L'addio a Mao ( Terzani Tiziano , 1976 )
StampaQuotidiana ,
Hong Kong , 18 . La Cina si è fermata . Per tre commoventi minuti , ottocento milioni di cinesi , un quarto dell ' umanità , sono rimasti immobili , sull ' attenti , la testa china , moltissimi in lacrime , a rendere l ' ultimo omaggio a Mao Tse tung . Il lavoro , il traffico e tutte le attività si sono bloccate in ogni città , in ogni villaggio del paese . L ' immenso silenzio caduto sulla Cina , unita nel ricordo del suo Presidente , è stato rotto dall ' unisono , funereo ululare delle sirene dei treni , delle fabbriche , delle navi . A Pechino un milione di persone , scelte dalle varie organizzazioni rivoluzionarie , hanno assistito sulla piazza della Pace celeste alla cerimonia che ha concluso i dieci giorni di lutto . Sulla spianata di cemento nel centro della capitale , coperta da uno sterminato tappeto di teste immobili , spalla a spalla , soldati dell ' esercito popolare nelle loro uniformi verdi , lavoratori nelle tute blu , operaie con le cuffie bianche , studenti coi fazzoletti rossi attorno al collo , hanno seguito le istruzioni di tacere ed inchinarsi date dal giovane vicepresidente del Partito comunista Wang Hung - wen che presiedeva il rito ed hanno ascoltato il discorso commemorativo pronunciato dal primo ministro e primo vicepresidente del PCC , Hua Kuo - feng . Al loro fianco , su un rostro costruito significativamente un piano più basso di quello dal quale era solito parlare Mao , stavano allineati gli altri capi del partito e dello Stato . In sesta posizione , uniforme e sciarpa in testa , stava la vedova Ciang Cing . Dal pennone sul quale Mao nell ' ottobre 1949 issò per la prima volta i colori della Repubblica popolare sventolava a mezz ' asta la bandiera rossa a cinque stelle , mentre gli altoparlanti spandevano sull ' intero paese le note della marcia funebre , dell ' inno nazionale ed infine quelle dell ' Internazionale . Nelle ore precedenti la cerimonia il partito , l ' esercito e la milizia popolare - incaricata del servizio d ' ordine - avevano messo in guardia contro eventuali provocazioni o incidenti . Non ce ne sono stati . Nella accoppiata Wang Hung - wen , il giovane « radicale » di Shangai , e Hua Kuofeng , primo ministro non identificato con nessuna delle due correnti in cui si dividerebbe il partito , la leadership del paese ha mostrato per il momento la sua unità . È stato questo un tema che Hua ha ripetuto nel suo discorso durato venti minuti . Citando una vecchia frase di Mao l ' attuale primo ministro e numero uno del paese ha detto : « Dobbiamo praticare il marxismo e non il revisionismo , dobbiamo unirci e non dividerci . Non dobbiamo perderci in complotti o congiure » . Hua Kuo - feng ha concluso il suo discorso con quello che pur in termini generali sembra essere il programma politico della Cina dopo Mao . Questi i punti principali : sul piano interno : - continuare la lotta di classe e la rivoluzione sotto la dittatura del proletariato ; - approfondire la critica di Teng Hsiao - ping , respingere i tentativi di deviazionismo di destra e combattere il revisionismo ; - lavorare per fare del paese un forte Stato socialista ; - liberare Taiwan . Sul piano esterno : - perseguire l ' internazionalismo proletario senza cercare l ' egemonia ; - rafforzare l ' unione coi popoli del Terzo mondo e le nazioni oppresse ; - formare il più vasto « fronte unito » possibile contro l ' imperialismo , in particolare contro l ' egemonia delle due superpotenze , Unione Sovietica e Stati Uniti . Hua Kuo - feng ha concluso dicendo « dobbiamo unirci con tutti i partiti genuinamente marxisti - leninisti ed altre organizzazioni nel mondo per condurre una lotta comune per l ' abolizione del sistema di sfruttamento dell ' uomo sull ' uomo , la realizzazione del comunismo nel mondo , e per la liberazione di tutta l ' umanità » . Pur in questa fraseologia standard di ogni leader cinese sembra emergere una nota di moderazione ed una indicazione di eventuali novità nei rapporti con l ' URSS ed i partiti « revisionisti » occidentali . Gli osservatori di cose cinesi fanno notare che Unione Sovietica e Stati Uniti vengono di nuovo citati come nemici dello stesso livello ( e non più l ' URSS « nemico numero uno » come avveniva in passato ) ; inoltre il riferimento ad altre « organizzazioni » potrebbe indicare l ' inizio di un ripensamento sul ruolo che possono svolgere nel mondo occidentale i partiti che non sono , almeno nella valutazione cinese , « genuinamente marxisti - leninisti » . Ed è presto per tirare delle conclusioni . Dal discorso di Hua - che certo è stato preventivamente approvato dall ' intero Politburo nelle sue componenti « radicale » e « moderata » - per il momento neppure il destino della salma di Mao è chiaro . Sembra che il Presidente avesse espresso il desiderio di essere cremato , come è stato fatto con tutti gli altri leaders storici del paese che lo hanno preceduto nella morte , compreso Ciu En - lai . L ' urna delle sue ceneri però non era oggi ( come avvenne nel caso degli altri ) sul rostro della piazza della Pace celeste , e ciò potrebbe indicare che ci sono stati ripensamenti sull ' esecuzione della volontà di Mao su questo punto . Con una decisione che potrebbe venir giustificata con « la volontà del popolo » , la sua salma potrebbe essere conservata così come l ' abbiamo vista nei giorni scorsi in una urna di vetro e potrebbe divenire la meta di future generazioni in un mausoleo eretto in suo nome , come è avvenuto per Lenin a Mosca e per Ho Ci - min ad Hanoi .
Sadat a Gerusalemme ( Valli Bernardo , 1977 )
StampaQuotidiana ,
Gerusalemme , 19 . L ' incontro impossibile è avvenuto . L ' egiziano Sadat ha lasciato per davvero le sponde del Nilo per stringere la mano all ' israeliano Begin . Il capo di una nazione araba ha messo piede per la prima volta sul territorio dello Stato ebraico . È accaduto alle 18.59 ( ora italiana ) di stasera all ' aeroporto di Tel Aviv presidiato dall ' esercito , illuminato dai riflettori , tra i suoni delle fanfare e le salve di cannone . Affiancati l ' uno all ' altro , quasi a sfiorarsi , il volto color cuoio del presidente egiziano , figlio di un arabo e d ' una nubiana , e quello asciutto , leggermente abbronzato , del primo ministro israeliano , nato in una famiglia askenazi di Brest - Litwosk , sono rimbalzati in milioni di case arabe e musulmane , sui teleschermi , accendendo speranze e timori . Perché da quest ' appuntamento precipitoso e al tempo stesso solenne può infatti nascere una pace inedita , o una nuova tragedia . Ai piedi della scaletta dell ' aereo presidenziale , Sadat è stato accolto dal capo dello Stato Ephraim Katzir e da Begin . I tre si sono stretti la mano , quindi - mentre la banda intonava gli inni dei due paesi - hanno passato in rassegna la guardia d ' onore . Sadat aveva il viso grave , ma subito dopo l ' atmosfera s ' è fatta più distesa . Il Rais ha chiesto di Ariel Sharon ( il generale che nel '73 circondò la Terza armata egiziana ) , e quando questi s ' è fatto avanti gli ha stretto la mano . Altre strette di mano con Dayan , con Golda Meir , con Eban , quindi Sadat e Begin hanno preso posto nell ' automobile che li ha condotti a Gerusalemme . Il dialogo era cominciato . Il cronista stenta a distinguere tra gli appunti , le dichiarazioni e le emozioni , le incertezze e i miraggi degli uni e degli altri . L ' impazienza è unanime , mentre viene annunciato il decollo dell ' aereo dal territorio egiziano . I minuti scanditi sulla pista d ' arrivo a Tel Aviv nell ' attesa che il jet di Sadat giunga a portata dei riflettori . I dubbi e i trionfalismi . I sorprendenti discorsi sulla « tradizionale fraternità giudeo - araba » . L ' amico egiziano euforico e poi smarrito che dice : « La pace è a portata di mano . Ma come raggiungerla ? » . L ' amico israeliano che sogna già « un ' alleanza Egitto - Israele , capace di colmare il vuoto lasciato dal crollo dell ' impero ottomano settant ' anni fa » . È la tristezza , le perplessità degli arabi dei territori occupati che denunciano il tradimento e al tempo stesso sognano , come gli altri , la pace . Infine lo sportello che si spalanca . La sfida di Sadat comincia . Prima di ritirarsi nell ' appartamento reale dell ' hotel King David , dove dormì Richard Nixon , il presidente egiziano ha già avuto un primo colloquio con Begin . Essi tentano con impazienza , senza aspettare , le prime analisi . Non vi è alcun dubbio che Sadat , domani , davanti al Parlamento d ' Israele , chiederà il ritiro totale degli israeliani dai territori occupati nel 1967 , durante la Guerra dei sei giorni . Cosa potrà promettere Begin in cambio per non ferire irrimediabilmente l ' insperato interlocutore arabo ? Lasciarlo partire a mani vuote sarebbe condannarlo politicamente a morte . Forse negoziati per il Sinai o per il Golan . Ma la Cisgiordania , necessaria per risolvere il dramma palestinese , sembra irrinunciabile per Gerusalemme . Carter ha telefonato più volte in questi giorni a Sadat e a Begin per raccomandare la prudenza . E non ha risparmiato i consigli : niente intese separate , non escludere del tutto i sovietici senza i quali nulla può essere risolto stabilmente , attenzione ai palestinesi che costituiscono una carica esplosiva impossibile da disinnescare . La natura dei due uomini , Sadat e Begin , e le trasformazioni che essi hanno attuato nei rispettivi paesi hanno contribuito a rendere possibile quest ' incontro . I loro predecessori rappresentavano quasi religiosamente storie inconciliabili . Erano appesantiti da carismi diversi per origine e specie . Gamal Nasser era prigioniero di un socialismo panarabo puritano , era ingabbiato in un dogmatismo al quale non sfuggivano neppure Golda Meir , sionista vincolata ai principi socialdemocratici mitteleuropei , e chi poi occupò la sua poltrona di primo ministro a Gerusalemme . Hanno molti più punti in comune i nazionalismi meno sofisticati e quindi più pragmatisti di Menahem Begin , ex terrorista dell ' Irgun e sostenitore del « grande Israele » , e di Anuar Sadat , ufficiale musulmano e repubblicano che quasi svenne per l ' emozione nel 1952 , accompagnando il destituito monarca Faruk sulla nave dell ' esilio . Anzitutto Sadat e Begin hanno demolito in gran fretta le istituzioni o i sogni socialisti che ancora sopravvivevano nelle loro capitali . Il nazionalismo grezzo che li anima rende possibile un dialogo su basi irrazionali , che i loro predecessori respingevano a priori . Nella storia contemporanea non era mai accaduto che il capo di una nazione , senza aver posto fine allo stato di guerra , visitasse ufficialmente il nemico tra suoni di fanfare e discorsi fraterni . E questo è già paradossale . È un gesto riassunto in un ' ingenua scritta araba ben visibile su un muro della vecchia Gerusalemme : « Evviva Sadat messaggero di pace e dio della guerra » . È un gesto al tempo stesso drammatico e disperato . Israele in queste ore esulta ma trattiene anche il respiro non riuscendo a capire quel che accadrà nell ' immediato futuro , una volta partito Sadat . Sente il brontolio del mondo arabo in preda a convulsioni , forse meno gravi del previsto ma suscettibili di deflagrazioni delle quali è difficile oggi immaginare le dimensioni . Questi sentimenti contraddittori sono palpabili nei territori occupati , nella Cisgiordania che il primo ministro Begin chiama Giudea e Samaria , considerandole biblicamente province dello Stato ebraico . Anche là , come a Tripoli e a Damasco , ma sottovoce , Sadat viene accusato di spezzare il fronte arabo e molti sindaci cristiani e musulmani si asterranno domani dal rendere omaggio al presidente egiziano , davanti alla moschea di Al Aqsa , dove si recherà per la preghiera di primo mattino . I sindaci musulmani o cristiano - progressisti festeggeranno la ricorrenza del « sacrificio » di Abramo nelle loro città con ufficiale mestizia . Ma l ' ordine di sciopero , lanciato dalle massime organizzazioni palestinesi è rimasto inascoltato , le botteghe si sono aperte stamane come al solito e non soltanto perché le autorità di Gerusalemme avevano minacciato le abituali sanzioni contro i commercianti insubordinati . Mi ha detto con severa tristezza un esponente palestinese : « Anche noi vogliamo la pace come Sadat , ma non al prezzo richiesto dai suoi amici israeliani » . E dalle sue parole trapelava un ' emozione in cui non c ' era soltanto lo sdegno dei manifesti clandestini . Affiorava anche una certa speranza . « Sadat osa molto . Chissà dove vuole arrivare » .
StampaQuotidiana ,
L ' attesa spasmodica di un nuovo comunicato delle BR e le concitate discussioni su come ci si sarebbe comportati in quel caso hanno portato la stampa a reagire in modo contraddittorio . C ' è stato chi non ha riportato il comunicato , ma non ha potuto evitare di pubblicizzarlo con titoli a piena pagina ; chi l ' ha riportato , ma in caratteri così piccoli da privilegiare solo i lettori con dieci decimi di vista ( discriminazione inaccettabile ) . Quanto al contenuto anche qui la reazione è stata imbarazzata , perché tutti si attendevano inconsciamente un testo disseminato di « ach so ! » o di parole con cinque consonanti di seguito , così da tradire subito la mano del terrorista tedesco o dell ' agente cecoslovacco , e invece ci si è trovati di fronte a una lunga argomentazione politica . Che di argomentazione si trattasse non è sfuggito a nessuno e ai più acuti è apparso anche che era una argomentazione diretta non al « nemico » , ma agli amici potenziali , per dimostrare che le BR non sono un manipolo di disperati che menano colpi a vuoto , ma vanno viste come l ' avanguardia di un movimento che si giustifica proprio sullo sfondo della situazione internazionale . Se così stanno le cose , non si reagisce affermando soltanto che il comunicato è farneticante , delirante , fumoso , folle . Esso va analizzato con calma e attenzione ; solo così si potrà chiarire dove il comunicato , che parte da premesse abbastanza lucide , manifesta la fatale debolezza teorica e pratica delle BR . Dobbiamo avere il coraggio di dire che questo « delirante » messaggio contiene una premessa molto accettabile e traduce , sia pure in modo un po ' abborracciato , una tesi che tutta la cultura europea e americana , dagli studenti del '68 ai teorici della « Monthly Review » , sino ai partiti di sinistra ripetono da tempo . E dunque se « paranoia » c ' è , non è nelle premesse ma , come vedremo , nelle conclusioni pratiche che se ne traggono . Non mi pare il caso di sorridere sul delirio del cosiddetto SIM ovvero Stato Imperialistico delle Multinazionali . Magari il modo in cui è rappresentato è un po ' folkloristico , ma nessuno si nasconde che la politica internazionale planetaria non è più determinata dai singoli governi ma appunto da una rete d ' interessi produttivi ( e chiamiamola pure la rete delle Multinazionali ) la quale decide delle politiche locali , delle guerre e delle paci e - essa - stabilisce í rapporti tra mondo capitalistico , Cina , Russia e Terzo Mondo . Caso mai è interessante che le BR abbiano abbandonato la loro mitologia alla Walt Disney , per cui da una parte c ' era un capitalista cattivo individuale chiamato Paperon de ' Paperoni e dall ' altra la Banda Bassotti , canagliesca e truffaldina è vero , ma con una sua carica estrosa di simpatia perché svaligiava a suono di espropri proletari il capitalista avaraccio ed egoista . Il gioco della Banda Bassotti l ' avevano giocato i tupamaros uruguayani , convinti che i Paperoni del Brasile e dell ' Argentina si sarebbero seccati e avrebbero trasformato l ' Uruguay in un secondo Viet Nam , mentre i cittadini , condotti a simpatizzare coi Bassotti , si sarebbero trasformati in tanti vietcong . Il gioco non è riuscito perché il Brasile non si è mosso e le Multinazionali , che avevano da produrre e da vendere nel Cono Sur , hanno lasciato tornare Perón in Argentina , hanno diviso le forze rivoluzionarie o guerrigliere , hanno permesso che Perón e i suoi discendenti sprofondassero nella merda fino al collo , e a quel punto i montoneros più svelti se ne sono fuggiti in Spagna e i più idealisti ci hanno rimesso la pelle . È proprio perché esiste il potere delle Multinazionali ( ci siamo dimenticati del Cile ? ) che l ' idea di rivoluzione alla Che Guevara è diventata impossibile . Si fa la rivoluzione in Russia mentre tutti gli Stati europei sono impegnati in una guerra mondiale ; si organizza la lunga marcia in Cina quando tutto il resto del mondo ha altro a cui pensare ... Ma quando si vive in un universo in cui un sistema d ' interessi produttivi si avvale dell ' equilibrio atomico per imporre una pace che fa comodo a tutti e manda per il cielo satelliti che si sorvegliano a vicenda , a questo punto la rivoluzione nazionale non la si fa più , perché tutto è deciso altrove . Il compromesso storico da una parte e il terrorismo dall ' altra rappresentano due risposte ( ovviamente antitetiche ) a questa situazione . L ' idea confusa che muove il terrorismo è un principio molto moderno e molto capitalistico ( rispetto a cui il marxismo classico si è trovato impreparato ) di Teoria dei Sistemi . I grandi sistemi non hanno testa , non hanno protagonisti e non vivono neppure sull ' egoismo individuale . Quindi non si colpiscono uccidendone il Re , ma rendendoli instabili attraverso gesti di disturbo che si avvalgono proprio della loro logica : se esiste una fabbrica interamente automatizzata , essa non sarà disturbata dalla morte del padrone ma solo da una serie d ' informazioni aberranti inserite qua e là , che rendano difficile il lavoro dei computers che la reggono . Il terrorismo moderno finge ( o crede ) di avere meditato Marx , ma in effetti , anche per vie indirette , ha meditato Norbert Wiener da un lato e la letteratura di fantascienza dall ' altro . Il problema è che non l ' ha meditata abbastanza - né ha studiato a sufficienza cibernetica . Prova ne sia che in tutta la loro propaganda precedente le BR parlavano ancora di « colpire il cuore dello Stato » , coltivando da un lato la nozione ancora ottocentesca di Stato e dall ' altro l ' idea che l ' avversario avesse un cuore o una testa , così come nelle battaglie di un tempo , se si riusciva a colpire il Re , che cavalcava davanti alle truppe , l ' esercito nemico era demoralizzato e distrutto . Nell ' ultimo volantino le BR abbandonano l ' idea di cuore , di Stato , di capitalista cattivo , di ministro « boia » . Adesso l ' avversario è il sistema delle Multinazionali , di cui Moro è un commesso , al massimo un depositario di informazioni . Qual è allora l ' errore di ragionamento ( teorico e pratico ) che a questo punto commettono le BR , specie quando si appellano , contro la multinazionale del capitale , alla multinazionale del terrorismo ? Prima ingenuità . Una volta colta l ' idea dei grandi sistemi , li si mitologizza di nuovo ritenendo che essi abbiano « piani segreti » di cui Moro sarebbe uno dei depositari . In realtà i grandi sistemi non hanno nulla di segreto e si sa benissimo come funzionano . Se l ' equilibrio multinazionale sconsiglia la formazione di un governo di sinistra in Italia , è puerile pensare che si invii a Moro una velina in cui gli si insegna come sconfiggere la classe operaia . Basta ( si fa per dire ) provocare qualcosa in Sudafrica , sconvolgere il mercato dei diamanti a Amsterdam , influenzare il corso del dollaro , ed ecco che la lira entra in crisi . Seconda ingenuità . Il terrorismo non è il nemico dei grandi sistemi , ne è al contrario la contropartita naturale , accettata , prevista . Il sistema delle Multinazionali non può vivere in una economia di guerra mondiale ( e atomica per giunta ) , ma sa che non può nemmeno ridurre le spinte naturali dell ' aggressività biologica o l ' insofferenza di popoli o di gruppi . Per questo accetta piccole guerre locali , che verranno di volta in volta disciplinate e ridotte da oculati interventi internazionali , e dall ' altro lato accetta appunto il terrorismo . Una fabbrica qua , una fabbrica là , sconvolte da qualche sabotaggio , ma il sistema può andare avanti . Un aereo dirottato ogni tanto , ci perdono per una settimana le compagnie aeree , ma in compenso ci guadagnano le catene giornalistiche e televisive . Inoltre il terrorismo serve a dare una ragion d ' essere alle polizie e agli eserciti , che a lasciarli inoperosi chiedono poi di realizzarsi in qualche conflitto più allargato . Infine il terrorismo serve a favorire interventi disciplinanti là dove un eccesso di democrazia rende la situazione poco governabile . Il capitalista « nazionale » alla Paperon de ' Paperoni teme la rivolta , il furto e la rivoluzione che gli sottraggono i mezzi di produzione . Il capitalismo moderno , che investe in paesi diversi , ha sempre uno spazio di manovra abbastanza ampio per poter sopportare l ' attacco terroristico in un punto , due punti , tre punti isolati . Poiché è senza testa e senza cuore , il sistema manifesta un ' incredibile capacità di rimarginazione e di riequilibrio . Dovunque venga colpito , sarà sempre alla sua periferia . Se poi il presidente degli industriali tedeschi ci rimette la pelle , sono incidenti statisticamente accettabili , come la mortalità sulle autostrade . Per il resto ( e lo si era descritto da tempo ) si procede a una medievalizzazione del territorio , con castelli fortificati e grandi apparati residenziali con guardie private e cellule fotoelettriche . L ' unico incidente serio sarebbe un ' insorgenza terroristica diffusa su tutto il territorio mondiale , un terrorismo di massa ( come le BR paiono invocare ) : ma il sistema delle multinazionali « sa » ( per quanto un sistema possa « sapere » ) che questa ipotesi è da escludersi . Il sistema delle multinazionali non manda i bambini in miniera : il terrorista è colui che non ha più nulla da perdere se non le proprie catene , ma il sistema gestisce le cose in modo che , salvo gli emarginati inevitabili , tutti gli altri abbiano qualcosa da perdere in una situazione di terrorismo generalizzato . Sa che quando il terrorismo , al di là di qualche azione pittoresca , comincerà a rendere troppo inquieta la giornata quotidiana delle masse , le masse faranno barriera contro il terrorismo . Che cos ' è che il sistema delle multinazionali vede invece di malocchio , come si è dimostrato negli ultimi tempi ? Che di colpo , ad esempio , in Spagna , in Italia e in Francia , vadano al potere partiti che hanno dietro di sé le organizzazioni operaie . Per « corrompibili » che siano questi partiti , il giorno che le organizzazioni di massa metteranno il naso nella gestione internazionale del capitale , potrebbero sorgerne dei disturbi . Non è che le multinazionali morirebbero se Marchais andasse al posto di Giscard , ma tutto diventerebbe più difficile . È pretestuosa la preoccupazione per cui i comunisti al potere conoscerebbero i segreti della NATO ( segreti di Pulcinella ) : la vera preoccupazione del sistema delle Multinazionali ( e lo dico con molta freddezza , non simpatizzando col compromesso storico così come ci viene oggi proposto ) è che il controllo dei partiti popolari disturbi una gestione del potere che non può permettersi i tempi morti delle verifiche alla base . Il terrorismo invece preoccupa molto meno , perché delle multinazionali è conseguenza biologica , così come un giorno di febbre è il prezzo ragionevole per un vaccino efficiente . Se le BR hanno ragione nella loro analisi di un governo mondiale delle multinazionali , allora devono riconoscere che esse , le BR , ne sono la controparte naturale e prevista . Esse devono riconoscere che stanno recitando un copione già scritto dai loro presunti nemici . Invece , dopo di aver scoperto , sia pure rozzamente , un importante principio di logica dei sistemi , le BR rispondono con un romanzo d ' appendice ottocentesco fatto di vendicatori e giustizieri bravi e efficienti come il conte di Montecristo . Ci sarebbe da ridere , se questo romanzo non fosse scritto col sangue . La lotta è tra grandi forze , non tra demoni ed eroi . Sfortunato allora quel popolo che si trova tra i piedi gli « eroi » , specie se costoro pensano ancora in termini religiosi e coinvolgono il popolo nella loro sanguinosa scalata ad un paradiso disabitato .
Il titoismo senza Tito ( Ronchey Alberto , 1980 )
StampaQuotidiana ,
Fra i capi storici del comunismo , il presidente a vita o « re proletario » della Jugoslavia è stato il più longevo e resistente al potere . È sopravvissuto a Stalin , Mao Tse - tung , Ho Chi Minh . Ha tutelato con la sua patriarcale autorità la coesione del federalismo jugoslavo , quel mosaico etnico - economico che unisce regioni già governate dall ' impero austro - ungarico e regioni già tributarie dell ' impero ottomano . Ha garantito la resistenza dell ' eresia jugosocialista , che aprì la serie delle insubordinazioni alla legge del blocco sovietico . Lo scisma titoista , nel 1948 , coincise con la prima guerra fredda . Ora Josip Broz Tito , che osò ribellarsi a Stalin e al Cominform , abbandona la scena mentre comincia forse la seconda guerra fredda . Potrà reggersi il titoismo senza Tito ? La successione sarà collegiale . Tito ha predisposto una specie di « legge salica » dello jugosocialismo , per cui la presidenza del Presidium eletto dall ' assemblea federale dovrebbe ruotare ogni anno tra i suoi nove membri , un rappresentante per ogni repubblica ( Bosnia - Erzegovina , Croazia , Macedonia , Montenegro , Slovenia , Serbia ) o provincia autonoma ( Kosovo , Vojvodina ) e il presidente della Lega dei comunisti jugoslavi . Ma rimane affidata al corso degli eventi la distribuzione del potere reale tra personaggi d ' influenza variabile come Bakaric , Dolanc , Stambolic , Minic , Grlichov , Zarkovic , Ljubicic , Vrhonic , Kolisevski . E se il Presidium fosse discorde , fra contrasti d ' interessi e spinte centrifughe , non si sa con quali mezzi potrebbe presiederlo per esempio il rappresentante di Kosovo , « un albanese » . Il parziale benessere della Jugoslavia , almeno al confronto con le nazioni del Comecon o SEV , è oggi minacciato dall ' iperinflazione cronica . Negli ultimi decenni un rapido sviluppo industriale ha scavato « un tunnel nel Medioevo balcanico » , ma l ' assetto dell ' economia è ancora fragile . Tra pianificazione e meccanismi di mercato , miti e delusioni dell ' autogestione socialista , deficit della bilancia valutaria e arretratezze tecnologiche , migrazioni di massa e disoccupazione , il divario tra il Nord « austro - ungarico » e il Sud « ottomano » aumenta anziché ridursi . Rimane l ' egemonia industriale sloveno - croata sulle regioni che hanno appena sostituito il cavallo - elettricità al cavallo - cavallo , anche se per esempio i croati lamentano che il 6 per cento del loro reddito di trent ' anni è stato requisito a vantaggio del Sud . Qui può innescarsi la reviviscenza dei nazionalismi come forze centrifughe . Sulle frontiere orientali , la sola nazione amica è la Romania , oltre le Porte di Ferro . Se le antiche ostilità tra le etnie oggi federate dovessero un giorno riemergere , con l ' additivo delle nuove contraddizioni economiche , aprirebbero un varco sicuro alle pressioni del blocco sovietico . Già l ' URSS , attraverso gli scambi economici , tenta di guadagnare influenza nelle Repubbliche del Sud . Già la Bulgaria ritorna a periodi alterni sulla questione macedone , mentre il quindicesimo volume dell ' enciclopedia sovietica non menziona in alcun modo l ' esistenza della Repubblica jugoslava di Macedonia . Già nel '74 fu inquietante l ' episodio di quei gruppi filosovietici , che nel Sud serbo - montenegrino avevano costituito un partito clandestino con diramazioni nell ' URSS e materiali stampati in Ungheria . Come appare da un documento essenziale qual è il diario di Veljko Miciunovich , per lungo tempo ambasciatore a Mosca , lo scisma del '48 non è stato mai assolto veramente dai sovietici . Allo stesso modo , nei tempi delle guerre di religione in Europa , nessun compromesso poteva far dimenticare i dissidi originari che avevano suscitato decenni di conflitti e stragi . Tuttora non si sa quanti furono , da Sofia a Praga e da Budapest a Varsavia , i sospetti di titoismo fucilati negli ultimi anni di Stalin , o i seguaci del Cominform fucilati in Jugoslavia . I sovietici non hanno mai rinunciato a immaginare che senza lo scisma e l ' asilo eretico della Jugoslavia non avrebbero dovuto fronteggiare i moti polacchi , la rivolta ungherese , il revisionismo cecoslovacco , il separatismo romeno . E così oggi , mentre comincia la seconda guerra fredda , non rinunciano a pensare che la condanna dell ' intervento in Afghanistan non sarebbe stata votata da 104 nazioni dell ' ONU senza il pronunciamento della Jugoslavia e la sua influenza nel Terzo Mondo . Prima o poi , nessuno a Belgrado ne dubita , l ' URSS tenterà il recupero della Jugoslavia , focolaio d ' ogni dissidenza per il mondo sovietico e base di transito d ' un possibile sbocco nel Mediterraneo . La riconquista non avverrà necessariamente secondo lo scenario della Cecoslovacchia , poiché un ' invasione potrebbe rinsaldare la coesione anziché far leva sulle discordie . Questo teatro naturale di guerriglia fra le montagne di Serbia e Croazia non è la Cecoslovacchia , né lo sperduto Afghanistan . « I nostri otto milioni di guerriglieri territoriali » ricordava il generale Stev Ilic , dirigente della scuola di guerra « possono equivalere a una bomba atomica . » L ' intervento potrebbe passare « sotto » le frontiere più facilmente che « sopra » , utilizzando le contraddizioni fra le sei repubbliche e le due province autonome della Serbia . Come programma minimo , la destabilizzazione del federalismo jugoslavo sarebbe rivolta a instaurare due sfere d ' interessi , il Sud fino al Basso Adriatico quale zona d ' influenza sovietica e il Nord quale zona d ' influenza occidentale , il resto dello scenario sarebbe affidato alle svalutazioni del dinaro , alle manovre del KGB di Jurij Andropov , alla « crisi epocale » dell ' Occidente . Insomma sono passati gli Zar , Lenin , Stalin , Kruscev , Breznev , e ancora una volta i « grandi russi » premono sulla Serbia . Continuità o stabilità ? Finora il confine tra l ' Ovest e l ' Est non è a Muggia , ma sul Danubio . Mentre in massima parte le importazioni jugoslave di macchinari industriali provengono dalla CEE e un milione sui ventidue milioni di jugoslavi sono emigrati nella CEE , la Repubblica federativa gravita verso l ' Europa occidentale . I successori di Tito affermano che niente potrà cambiare . Ma da vent ' anni a Belgrado ricorre anche il detto : « Solo un ingenuo può fare domande sul " dopo Tito " , e solo un pazzo potrebbe rispondere » . Quanto maggiori sono le pubbliche rassicurazioni , tanto più numerose le incognite . È certo solo che se l ' ipotesi della destabilizzazione dovesse prevalere , in Italia avremmo ciò che si chiama « una poltrona di prima fila per il prossimo dramma della storia » .
Tragico 18 aprile a piazza del Gesù ( Pansa Giampaolo , 1978 )
StampaQuotidiana ,
Roma . Doveva arrivare , questo 18 aprile a piazza del Gesù , ma nessuno lo immaginava così carico d ' angoscia , così straziato fra notizie vere e notizie incerte , così crudele nell ' alternarsi dei messaggi di morte e dei lampi di speranza . La prima telefonata , alle 10.30 , è di Lettieri , sottosegretario all ' Interno : c ' è l ' ultimo comunicato delle Brigate Rosse , Moro è stato assassinato . Zaccagnini ascolta , con lui c ' è soltanto Pisanu , il capo della sua segreteria politica . E noi , adesso , siamo tutti qui col taccuino in mano , a torchiare Pisanu , per sapere le solite cose inutili e un po ' feroci . Com ' era Zac ? Che cosa ha fatto Zac ? Che cosa ha mormorato Zac ? Pisanu ci fissa senza vederci , poi replica : « Zaccagnini non ha detto niente » . Subito dopo , il segretario della DC chiama gli amici che in quel momento stanno a piazza del Gesù : Bodrato , Galloni , Belci , Cavina . Ed è su di loro che cade la prima mezza conferma del Viminale : gli esperti dicono che quel foglio ricevuto dal « Messaggero » può essere autentico . È la notizia che apprendono anche Salvi e il ministro della Sanità , Tina Anselmi , accorsi dopo le prime voci . Si mette in moto un frenetico meccanismo di accertamento , e intanto l ' Anselmi corre dalla famiglia Moro . La vediamo uscire stravolta , non vuoi dir nulla , sale in silenzio su di un tassì che parte per via di Forte Trionfale . Alle 12.30 anche Zaccagnini lascia piazza del Gesù per la casa dell ' amico . E terreo , entra nell ' Alfetta e si abbandona sullo schienale , ad occhi chiusi . Con lui ci sono Salvi e il medico personale di Moro , il professor Mario Giacovazzo . Qualcuno di noi dice : « Forse il corpo è stato trovato , oppure il Viminale ha una prova che l ' assassinio è avvenuto » . In realtà , non esistono né prove né conferme . I capi democristiani che in questo tragico 18 aprile accorrono alla sede del partito , ne sanno quanto noi . Arriva Emilio Colombo e allarga le braccia in un gesto disperato : « Ho saputo soltanto che esiste un volantino » . Forlani : « Non so niente » . Rumor : « Ho ascoltato la radio e mi sono precipitato qui » . Dall ' ufficio del segretario scende Mario Segni , deputato sardo : « Non ci sono prove , ma la tendenza è di credere a quel messaggio » . Poco dopo l ' una , esce anche Evangelisti , cupo come mai l ' avevamo visto : « Abbiamo questa drammatica certezza nel cuore . Ma fino a quando i sommozzatori non saranno scesi sul fondo di quel lago , la certezza matematica non ci sarà » . Passano Andreatta e Grassini , e non domandano nulla . Trascorre un ' ora vuota . Poi Pisanu dice : « Vi ripeto che quel volantino sembra autentico . Aspettiamo un riscontro certo di questa sciagurata notizia e viviamo tutti nell ' angoscia » . Il centralino è sovraccarico di telefonate , la periferia del partito ha saputo e da tutta Italia chiamano Roma . Ma Roma non è in grado di dire nulla . E nulla dice Zaccagnini al suo ritorno da casa Moro : una visita brevissima , non più di dieci minuti . Lo vediamo uscire dall ' auto un po ' barcollante e vien freddo a pensare che cosa íl segretario deve aver visto e sentito in quella casa . Come in un brutto giallo , il bianco e il nero s ' intrecciano , si sovrappongono , si annullano . Evangelisti , di ritorno da Palazzo Chigi , dice : « Il luogo indicato dal messaggio è impervio . Ci vorranno ore per raggiungerlo » . Bartolomei , il presidente dei senatori , s ' aggrappa ad una speranza : « Alla procura della Repubblica hanno dei dubbi . E se fosse soltanto una beffa crudele ? » . Evangelisti : « Dubbi ? Magari , magari » . Piccoli : « Il volantino sembra autentico . Gli elicotteri sono sul posto , ma c ' è molta neve e non possono atterrare accanto al lago » . La stessa notizia ci dà alle 14.30 , Andreotti : « Sarà un lavoro di ricerca piuttosto lungo » . Si rifiuta di rispondere ad altre domande e sale nell ' ufficio di Zac . Due minuti dopo , entrano a piazza del Gesù Berlinguer e Chiaromonte . Al secondo piano , c ' è un incontro fra gli esponenti comunisti e Andreotti , Galloni e il segretario democristiano . Il colloquio dura una ventina di minuti , poi il segretario del PCI ridiscende . Dice : « Siamo venuti qui a portare la nostra solidarietà a Zaccagnini e alla DC » . Poi , con Chiaromonte , si fa largo tra la gente e s ' incammina per via d ' Aracoeli , diretto alle vicinissime Botteghe Oscure . Cinque uomini del servizio d ' ordine comunista lo circondano e lo accompagnano , passo dopo passo . Inutile fare altre domande . Il viso di Berlinguer è una maschera tesa , silenziosa . Il pomeriggio si consuma senza novità . Il lago della Duchessa sembra un posto lontanissimo e irraggiungibile . Vito Napoli deputato della Calabria , mormora : « Non facciamoci illusioni . Moro è lassù ed è morto . Qui non c ' è aria di scoramento , ma dolore e rabbia , questo sì » . Evangelisti : « Mago è gelato e le ricerche sono difficili » . Da casa Moro rientra l ' Anselmi e passa tra la gente piangendo . Poco prima delle 17 , un portavoce della segreteria dice : « Sin a questo momento , piazza del Gesù non ha la certezza che Moro sia morto » . Non è possibile che il volantino sia un diversivo delle Brigate Rosse per potere « operare » con calma in un ' altra zona ? « È un ' ipotesi . Ma che cosa possiamo saperne ? » Pisanu riferisce di una telefonata del vicesegretario Gaspari , da due ore sul luogo indicato nel messaggio : « La lastra di ghiaccio che copre il lago sembra intatta , e non presenta gibbosità . Sembra da escludere che un corpo di un certo peso possa esservi stato gettato fra ieri e oggi » . Le stesse cose Zaccagnini dice a La Malfa e al segretario repubblicano Biasini che in quel momento arrivano alla sede DC . E poco dopo , questo 18 aprile ci offre una delle immagini più laceranti : il vecchio La Malfa , vestito di nero , magrissimo , sparuto , gli occhi dilatati , che piange . « Nessun commento » mormora . « Soltanto angoscia e attesa . » Poi , duro : « È un momento di estrema gravità . E a mio giudizio questa situazione , sin dal primo istante , è stata presa troppo alla leggera » . A spallate , due agenti di polizia in tuta gli fanno strada tra la folla che ormai occupa piazza del Gesù . Il traffico sembra impazzito . Paurosi ingorghi stradali bloccano il centro . Roma si avvia ad una sera fra le più tragiche . Una donna grida a Forlani : « Fate una legge forte , che noi vi appoggiamo ! » . Sul fianco del palazzo , sfilano pullman di turisti stranieri che guardano senza capire . Tutt ' intorno , nel triangolo fra piazza Venezia , il Senato e Montecitorio sono comparse pattuglie di agenti e carabinieri anche in luoghi prima d ' ora mai presidiati . Verso le 19 , entrano a palazzo del Gesù Craxi e Signorile . E mentre i due esponenti socialisti vanno a colloquio con Zaccagnini , Pisanu annuncia che tutti i comitati provinciali e le sezioni della DC sono convocati nelle loro sedi per le 21.30 . Un comunicato dice : « Nell ' assoluta incertezza sulla sorte di Moro , non verrà promossa alcuna manifestazione pubblica . La direzione della DC ritiene non del tutto esaurito il tenue filo di speranza per la vita del suo presidente » .
Aspesi Natalia ( San Patrignano alla sbarra , 1984 )
StampaQuotidiana ,
Rimini . Nel novembre del 1980 i carabinieri irruppero nella disordinata e fangosa comunità di San Patrignano e vi trovarono , come li aveva informati una ragazza appena fuggita , cinque o sei ragazzi legati e chiusi a chiave : il fondatore della prima comunità laica per tossicodipendenti , il massiccio e rumoroso Vincenzo Muccioli , fu arrestato e sui giornali , tranne « Repubblica » , fiorì la solita fremente indignazione stracolma di lager e di Pagliuca . I ragazzi , subito liberati , tornarono alle loro piazze e ai loro sballi , uno , la sera stessa , finì sotto un treno . Quattro anni dopo , da domani 12 novembre , inizia il processo contro Muccioli che allora era stato in carcere 35 giorni , e 13 suoi collaboratori , accusati , tra l ' altro , di sequestro di persona , maltrattamenti , lesioni , abuso della professione medica , truffa aggravata , abuso della credulità popolare . Il processo , presidente della corte Gino Righi , pubblico ministero Roberto Sapio , durerà almeno due mesi e chiamerà a testimoniare centinaia di persone : tossicodipendenti e loro genitori , ex drogati , magistrati , medici , psichiatri , politici ; perché in realtà il processo contro Muccioli si trasformerà nel più grande dibattito attorno all ' amaro , angoscioso , irrisolto e irrisolvibile problema della droga , dentro al profondo labirinto sotterraneo in cui vagano e si dibattono un numero sempre più irragionevole di giovani e adolescenti , i loro stremati genitori , gli incerti legislatori , i politici chiacchieroni , gli esperti generosi o esibizionisti , gli esasperati operatori sociali , la folla ancora troppo esigua di quei volontari , cattolici o laici , che , in assenza dell ' intervento pubblico , affrontano il vuoto , la disperazione , la solitudine e l ' abbandono di troppi giovani , dentro le comunità terapeutiche private . Quindi il collegio di difesa che comprende gli avvocati Accreman , Giovanetti , Cocchianella , Sorrentino di Rimini , Virga di Roma , Pisapia e Dall ' Ora di Milano , oltre al costituzionalista Barile , non si limiterà a sostenere le ragioni di Muccioli , ma affronterà la violenta assenza dello Stato davanti a un contagio che uccide più di un ragazzo al giorno , che ne dilania e annulla a centinaia di migliaia , che nella sola Italia regala 3650 miliardi alla criminalità organizzata dei trafficanti di droga . Dice l ' avvocato Alberto Dall ' Ora : « Sono entusiasta di affrontare questo processo , per puro senso morale . Ho conosciuto la comunità di San Patrignano quest ' estate , in occasione della visita del mio amico Pannella , sostenitore della droga libera , sconfitto dalla determinazione e dalla saggezza , sperimentata sulla loro pelle da quei 500 ragazzi . Le loro ragioni mi hanno conquistato . In realtà , questa sarà l ' occasione , forse ormai superata , per un processo alla comunità terapeutica accusata tra l ' altro di sostituire la dipendenza alla droga con la dipendenza alla sua organizzazione e per lo scontro di due modi di concepire la terapia di recupero : se è giusto cioè far uso anche della coercizione e della privazione della libertà , per impedire la ricaduta nella tossicodipendenza o se invece questa scelta , oltre che illegale , sia anche scientificamente inutile » . In questi quattro anni , l ' eroina ha continuato a diffondersi , come dice Piera Piatti , segretaria della Lenad , la Lega nazionale antidroga , « per un meccanismo di imitazione , consumismo , proselitismo , facilità a trovare la merce , fragilità personale . È impressionante come i nuovi dipendenti della cultura dello sballo , che hanno dai 13 ai 17 anni , siano simili a bambocci di gomma , ragazzi quasi privi di parola e di desideri , il cui mondo è composto dai biliardini , dalla televisione , dal giubbotto . Parlare con loro è una fatica improba , quasi impossibile » . È aumentato il numero dei morti e si è diffuso una specie di silenzio , di paralisi , di rimozione , di rigetto , da parte dell ' opinione pubblica . Però contemporaneamente sono nate agguerrite associazioni di genitori , come appunto la Lenad , che ha anche messo a punto una rivoluzionaria e severa proposta di legge , tutti i partiti hanno a loro volta steso una serie di emendamenti alla legge attuale , o come nel caso del PCI , redatto una nuova proposta che tra l ' altro chiede che al tossicodipendente arrestato per fatti connessi con la droga sia consentito in alternativa al carcere , il ricovero in una comunità terapeutica . Sono diminuiti i fautori del metadone , si è proposta la liberalizzazione dell ' eroina , tutti hanno concordato sul fatto che il mezzo di recupero finora più positivo è la comunità terapeutica . Il governo si è molto riunito , ha molto discusso e ha molto ipotizzato , promettendo vuoi aiuti e riconoscimenti alle comunità private , vuoi stanziamenti di miliardi , vuoi la costruzione di carceri « recuperatine » , per i 17 mila detenuti , un terzo della popolazione carceraria , in galera per reati connessi all ' uso di droga . Il presidente del Consiglio Craxi , ma anche il Papa , sono intervenuti al congresso mondiale delle comunità terapeutiche , la presidenza del Consiglio ha promosso il convegno veneziano « Comunità e droga » . Tanto rumorosa buona volontà , per ora non si è concretizzata in nulla . Per i tossicodipendenti italiani o meglio per una piccola parte di loro , la più fortunata , la meno abbandonata , la meno degradata , ci sono le comunità terapeutiche religiose e gratuite , qualche costosa comunità all ' estero , qualche dubbiosa iniziativa , a pagamento , di privati . C ' è soprattutto quel San Patrignano che da domani va alla sbarra , l ' unica comunità , assieme a quella di Mondox , che accolga ragazzi non disintossicati , anche i più disgregati . In quattro anni , anche questa comunità è cambiata : è diventata una piccola , ricca città , dove vivono 540 giovani , 50 coppie sposate , 40 bambini , 128 studenti di scuola superiore o universitari ; vi si insegnano , e si praticano , 36 mestieri , si allevano 135 cavalli da corsa , 150 mucche da latte , gatti e cani di razza , maiali per il prossimo salumificio ; si coltivano un milione e ottocentomila metri quadrati a frutteto e vigneto , si produce vino , si confezionano pellicce di lusso , carte da parati di pregio , c ' è un laboratorio di maglieria , uno di infissi , uno di fotolito . Muccioli è appena tornato dall ' America dove ha piazzato tutta la produzione di vino di quest ' anno e ha tenuto conferenze sulla comunità . Nell ' Italia dei paradossi e delle incongruenze , la vicenda di San Patrignano è tra 1c più sorprendenti . C ' è il giudice istruttore di Rimini , Vincenzo Antonucci che , in buona fede e applicando la legge , dopo un ' inchiesta durata tre anni , emette nel gennaio '83 un ' ordinanza per vietare l ' ingresso ad altri tossicodipendenti : quelli che ci sono pazienza , anche se il guru Muccioli deve essere tra l ' altro processato per maltrattamenti e sequestro di persona , non si saprebbe dove mandarli . Da quel giorno , magistrati da tutta Italia emettono contrordinanze e inviano , scortati dagli stessi carabinieri che avevano consegnato il fonogramma di divieto alla comunità , quasi un centinaio di nuovi ospiti . Questi magistrati che contraddicono il collega di Rimini avranno torto o ragione ?