StampaQuotidiana ,
La
Paz
.
La
Paz
è
una
città
in
gran
parte
india
,
costruita
,
però
,
dai
bianchi
per
i
bianchi
.
In
altri
termini
la
divisione
sociale
a
La
Paz
si
raddoppia
di
una
divisione
razziale
o
se
si
preferisce
culturale
.
La
classe
dirigente
è
bianca
o
meticcia
;
il
popolo
è
indio
.
Questa
divisione
che
riflette
la
più
vasta
divisione
del
paese
(
quattro
milioni
di
abitanti
di
cui
soltanto
quattrocentomila
bianchi
e
meticci
)
è
l
'
eredità
più
vistosa
del
colonialismo
spagnolo
.
La
Paz
è
una
bellissima
e
strana
città
costruita
in
una
specie
di
crepaccio
dell
'
altipiano
.
Monti
scoscesi
ed
erosi
simili
alle
pareti
interne
di
un
cratere
circondano
e
si
innalzano
da
ogni
parte
intorno
la
città
.
La
parte
bassa
dell
'
angusta
vallata
è
occupata
dalla
città
bianca
;
sui
fianchi
dei
monti
si
arrampicano
invece
i
quartieri
popolari
,
cioè
indi
,
composti
di
case
di
fango
seccato
.
Gli
Indi
,
naturalmente
,
si
vedono
dappertutto
,
gli
uomini
coi
ponci
infilati
nel
collo
e
drappeggiati
davanti
e
dietro
come
ferraioli
;
le
donne
con
la
bombetta
nera
o
marrone
,
la
gonnella
succinta
e
sospesa
su
una
crinolina
,
lo
scialle
intorno
le
spalle
che
il
più
delle
volte
avvolge
un
bambino
portato
a
cavalcioni
sulle
reni
.
Dire
che
gli
Indi
sono
attraenti
sarebbe
deformare
la
verità
.
Mentre
esiste
certamente
una
bellezza
africana
,
non
esiste
una
bellezza
india
.
E
colpisce
,
nel
confronto
con
gli
africani
(
il
paragone
è
inevitabile
,
se
non
altro
per
la
somiglianza
delle
situazioni
economiche
e
sociali
)
l
'
eleganza
dei
vestiti
dei
primi
rispetto
alla
goffaggine
dei
costumi
"
nazionali
"
dei
secondi
.
Con
gli
Indi
si
ha
continuamente
l
'
impressione
del
"
già
visto
"
,
corretto
però
,
in
maniera
ambigua
e
il
più
delle
volte
non
troppo
estetica
,
da
modificazioni
che
si
è
tentati
di
attribuire
al
clima
e
all
'
isolamento
.
Si
pensa
,
vedendoli
,
subito
,
a
dei
mongoli
;
poi
,
in
un
secondo
momento
si
notano
differenze
curiose
che
,
però
,
non
riescono
a
scacciare
l
'
idea
dell
'
origine
asiatica
:
un
colore
bruno
che
tira
al
rosso
;
una
lunghezza
insolita
del
volto
che
congiunta
alla
larghezza
mongolica
fa
sì
che
le
facce
risultino
sproporzionatamente
grandi
:
una
specie
di
caduta
dei
tratti
l
'
uno
sull
'
altro
,
la
fronte
sul
naso
,
il
naso
sulla
bocca
e
la
bocca
sul
mento
.
Invincibilmente
,
non
si
può
fare
a
meno
di
pensare
ad
un
'
emigrazione
asiatica
preistorica
abbastanza
numerosa
da
permettere
gli
insediamenti
americani
;
ma
troppo
scarsa
per
fomentare
sviluppi
decisivi
,
somatici
e
altri
.
Bruciati
dal
sole
e
dal
vento
degli
altipiani
,
senza
rapporti
con
altri
popoli
,
si
direbbe
che
gli
Indi
siano
rimasti
a
metà
strada
,
non
più
mongoli
,
non
ancora
americani
.
Così
che
,
a
ben
guardare
,
il
termine
"
indio
"
coniato
per
sbaglio
dagli
spagnoli
,
si
rivela
,
nella
sua
ambiguità
,
assai
espressivo
della
ambiguità
fisica
delle
popolazioni
indigene
dell
'
America
.
Per
osservare
gli
Indi
bisogna
recarsi
al
mercato
,
su
su
,
nella
parte
alta
di
La
Paz
.
Nelle
straducce
che
portano
al
mercato
,
le
donne
stanno
accovacciate
sui
marciapiedi
,
le
une
contro
le
altre
,
come
galline
infreddolite
e
torpide
.
Davanti
a
loro
,
sui
lastroni
,
è
esposta
la
merce
:
minimi
mucchietti
di
peperoncini
,
pochi
sacchetti
di
foglie
verdi
di
coca
,
qualche
frittella
fatta
in
casa
.
Guardano
a
questa
misera
roba
con
indifferenza
,
come
se
non
gli
appartenesse
.
Più
su
,
tra
le
bancarelle
del
mercato
,
l
'
atmosfera
è
in
apparenza
quella
dei
mercati
di
tutto
il
mondo
:
compratori
che
circolano
lentamente
guardando
ed
esaminando
;
venditori
che
se
ne
stanno
immobili
dietro
i
banchi
.
Ma
ad
un
esame
più
attento
,
ci
si
rende
conto
che
in
quella
folla
mancano
l
'
allegria
,
la
confusione
e
anche
la
promiscuità
e
la
sporcizia
proprie
dei
mercati
.
Il
mercato
boliviano
è
grave
,
poco
rumoroso
,
pulito
e
senza
contatti
e
spintoni
.
Certo
,
si
potrebbe
attribuire
questo
carattere
al
temperamento
poco
vivace
della
gente
di
montagna
.
Ma
forse
la
ragione
è
più
profonda
.
Forse
,
in
maniera
inconscia
,
fra
venditori
e
compratori
c
'
è
una
tacita
intesa
per
non
dare
importanza
al
mercato
in
quanto
occasione
sociale
,
luogo
di
comunicazione
e
di
incontro
.
In
altri
termini
,
bisognerebbe
ravvisare
nella
riserva
e
compostezza
degli
Indi
un
aspetto
tra
i
tanti
del
"
rifiuto
sociale
"
che
in
tutta
l
'
America
Latina
gli
indigeni
hanno
opposto
,
fin
dai
tempi
della
conquista
,
al
sistema
colonialista
.
Questo
rifiuto
sociale
degli
Indi
,
cioè
rifiuto
di
comunicare
,
di
partecipare
,
di
integrarsi
,
è
una
delle
cose
che
colpisce
di
più
in
Bolivia
.
Certo
per
gli
Indi
,
come
per
gli
africani
,
è
difficile
passare
da
un
'
economia
autarchica
e
di
mera
sussistenza
al
produttivismo
e
al
consumismo
del
mondo
moderno
.
Ma
al
contrario
degli
africani
che
mostrano
un
vivo
e
manifesto
desiderio
di
partecipare
alla
civiltà
industriale
,
gli
Indi
oppongono
a
questa
stessa
civiltà
una
resistenza
passiva
fatta
di
cocciuta
fedeltà
alla
tradizione
e
di
assoluta
mancanza
di
ambizione
.
Negli
Indi
si
avverte
se
non
proprio
ostilità
,
cattiva
volontà
;
non
tanto
forse
per
diffidenza
verso
la
novità
quanto
per
nostalgia
inconscia
e
rancorosa
di
un
passato
defunto
e
migliore
.
Insomma
,
mentre
dietro
l
'
africano
si
sente
un
'
antica
simbiosi
con
la
natura
rispetto
alla
quale
neppure
la
schiavitù
può
considerarsi
una
soluzione
di
continuità
,
nell
'
indio
invece
si
intuisce
il
trauma
di
una
civiltà
originale
bruscamente
e
spietatamente
distrutta
.
La
sensazione
di
un
ripiegamento
,
di
un
rifiuto
,
di
una
rinunzia
non
soltanto
imposta
ma
anche
voluta
,
è
del
resto
confermata
dall
'
archeologia
.
A
cento
chilometri
da
La
Paz
,
le
rovine
stupende
del
tempio
di
Tiahuanaco
con
le
loro
muraglie
fatte
di
enormi
blocchi
incastrati
a
secco
fanno
guardare
con
stupore
alle
figure
goffe
degli
Indi
,
mascherati
secondo
il
rozzo
folklore
dell
'
oppressione
europea
.
Si
stenta
a
credere
che
quei
contadini
in
costume
appartengano
allo
stesso
popolo
che
ha
costruito
il
tempio
.
E
vien
fatto
di
pensare
che
nessun
gruppo
umano
può
impunemente
retrocedere
ad
uno
stato
primitivo
,
dopo
aver
creato
una
civiltà
.
Esso
apparirà
non
già
tornato
alla
natura
ma
regredito
,
umiliato
,
decaduto
.
La
civiltà
,
a
quanto
pare
,
è
un
'
esperienza
incancellabile
.
Naturalmente
i
responsabili
della
situazione
odierna
degli
Indi
,
cioè
gli
spagnoli
,
sono
oggi
acutamente
consapevoli
del
problema
costituito
da
questa
massa
inerte
e
frustrata
di
cittadini
di
secondo
grado
che
oltre
tutto
incide
per
l
'
ottanta
per
cento
sulla
popolazione
della
Bolivia
.
Si
distinguono
diverse
maniere
di
affrontare
il
problema
indio
.
Prima
di
tutto
i
colonialisti
tradizionali
.
Per
loro
l
'
indio
refrattario
all
'
educazione
,
privo
di
ambizioni
consumistiche
e
sociali
,
attaccato
alle
sue
tradizioni
,
dedito
alla
coca
e
all
'
alcool
,
sarebbe
irrecuperabile
.
Non
c
'
è
bisogno
di
molto
acume
,
tuttavia
,
per
capire
che
i
colonialisti
trasformano
in
caratteri
razziali
gli
effetti
della
catastrofe
storica
dell
'
indio
.
In
secondo
luogo
vengono
coloro
che
basandosi
su
una
certa
letteratura
di
rivalutazione
degli
Indi
,
il
cui
massimo
rappresentante
è
stato
D.H.
Lawrence
,
si
sono
costruiti
il
mito
di
una
civiltà
india
di
gran
lunga
superiore
a
quella
occidentale
in
quanto
tuttora
attaccata
ai
valori
del
sangue
e
della
terra
.
D.H.
Lawrence
si
era
servito
di
queste
idee
per
polemizzare
con
la
civiltà
industriale
dell
'
Occidente
.
Ma
in
Bolivia
,
paese
agrario
,
simili
teorie
sembrano
nient
'
altro
che
l
'
altra
faccia
del
colonialismo
con
il
quale
,
infatti
,
condividono
,
sia
pure
per
motivi
diversi
,
la
convinzione
che
l
'
indio
sta
bene
come
sta
e
che
di
conseguenza
niente
va
cambiato
.
Infine
i
socialisti
di
vario
genere
,
sia
i
gruppi
socialnazionalisti
oggi
al
potere
sia
i
castristi
all
'
opposizione
,
considerano
l
'
indio
come
il
risultato
di
un
processo
storico
di
degenerazione
dovuta
a
quattro
secoli
di
spietato
e
imprevidente
sfruttamento
.
I
rimedi
proposti
dai
socialisti
variano
secondo
che
pongono
l
'
accento
piuttosto
sul
dato
culturale
e
nazionale
o
sull
'
economico
.
Ma
tutti
sono
d
'
accordo
in
fondo
nel
considerare
l
'
integrazione
dell
'
indio
nella
vita
sociale
,
economica
e
culturale
del
paese
come
il
problema
massimo
della
Bolivia
.
Abbiamo
visto
gli
Indi
in
due
occasioni
,
l
'
una
,
diciamo
così
,
privata
,
l
'
altra
pubblica
.
La
prima
è
stata
durante
una
gita
al
lago
Titicaca
,
l
'
immenso
lago
sacro
alla
cultura
india
,
ai
confini
col
Perù
.
In
un
villaggio
sulla
strada
,
in
un
grande
spazio
terroso
,
in
pendio
,
limitato
,
in
fondo
,
da
un
muro
bianco
sul
quale
a
grandi
lettere
nere
si
leggeva
scritto
:
"
Cristo
unica
esperanza
"
,
aveva
luogo
un
ballonzolo
rusticano
.
Un
gruppo
di
suonatori
girava
di
qua
e
di
là
saltellando
e
intonando
certe
ariette
discordi
e
agre
con
pifferi
di
canne
,
bidoni
di
benzina
e
tamburelli
.
Gli
Indi
gravi
,
goffi
,
malsicuri
e
rozzi
entravano
nella
danza
tenendosi
per
mano
,
in
una
lunga
fila
che
pian
piano
si
trasformava
in
una
specie
di
pesante
e
orsino
girotondo
.
Veniva
fatto
di
ricordare
il
quadro
celebre
della
festa
contadina
di
Breughel
,
ma
senza
allegria
,
senza
prosperità
,
senza
slancio
,
in
un
'
aria
triste
,
frustrata
e
misera
anche
se
certamente
autentica
.
L
'
occasione
pubblica
è
stata
durante
uno
spettacolo
di
balli
folcloristici
al
palazzo
del
governo
,
davanti
al
miglior
pubblico
della
capitale
e
il
più
ufficiale
.
In
prima
fila
sedevano
tutti
i
ministri
e
il
presidente
della
repubblica
Ovando
.
Danzatori
indi
di
diverse
tribù
,
nei
costumi
tradizionali
,
hanno
eseguito
danze
tradizionali
assai
pittoresche
,
al
suono
dei
soliti
striduli
pifferi
e
dei
soliti
cupi
tamburi
.
Finito
lo
spettacolo
il
presidente
si
è
alzato
e
i
danzatori
,
uno
per
uno
,
sono
sfilati
e
hanno
stretto
la
mano
al
presidente
ricevendone
in
cambio
una
specie
di
fraterno
abbraccio
.
C
'
era
un
'
aria
strana
come
di
riconciliazione
difficile
e
comunque
non
del
tutto
sincera
tra
due
gruppi
nemici
.
Si
avvertiva
l
'
impaccio
di
una
distanza
sociale
e
culturale
che
permaneva
nonostante
la
buona
volontà
di
ambedue
le
parti
.
La
Bolivia
non
è
un
paese
unitario
ma
dualistico
.
E
per
molto
tempo
ancora
sarà
difficile
che
cambi
.
StampaQuotidiana ,
La
Paz
.
Da
La
Paz
al
lago
Titicaca
si
va
in
macchina
in
meno
di
due
ore
.
Si
corre
per
una
pista
di
pietrisco
attraverso
la
steppa
che
ha
un
colore
uniforme
fra
il
marrone
e
il
bruno
,
con
striature
gialle
e
grigie
:
il
colore
dei
cespugli
bassi
e
spinosi
che
riescono
a
resistere
ai
venti
,
al
freddo
,
all
'
aridità
,
alla
rarefazione
dell
'
aria
dell
'
altipiano
.
Poiché
è
la
stagione
delle
piogge
,
un
'
immobile
nuvolaglia
nera
pende
a
mezz
'
aria
,
simile
ad
una
catena
di
montagne
capovolte
,
con
la
base
in
su
e
le
punte
in
giù
,
lasciando
sereno
l
'
azzurro
scuro
e
gelato
degli
orizzonti
.
L
'
altipiano
non
è
così
piatto
come
sembra
:
ogni
tanto
file
di
colline
pietrose
e
sgretolate
si
sollevano
di
poco
sulla
steppa
.
Valichiamo
una
di
queste
collinette
ed
ecco
,
sotto
di
noi
,
allargarsi
la
distesa
diafana
del
lago
Titicaca
.
Ha
un
'
estensione
di
novemila
chilometri
quadrati
;
ma
le
numerose
isole
e
promontori
che
ne
emergono
e
l
'
aspetto
paludoso
,
incerto
,
informe
delle
rive
lo
fanno
parere
un
'
immensa
pozzanghera
sparsa
di
pietre
,
che
si
stia
prosciugando
al
sole
.
Quest
'
impressione
è
esatta
,
del
resto
.
Il
lago
sta
morendo
;
perde
per
assorbimento
del
terreno
e
per
evaporazione
più
acqua
di
quanto
ne
riceva
.
Eppure
il
lago
Titicaca
così
informe
,
così
deserto
,
così
privo
di
tracce
umane
,
è
stato
il
centro
di
una
delle
due
sole
culture
originali
(
l
'
altra
è
quella
del
Messico
)
dell
'
America
precolombiana
.
Al
lago
Titicaca
sono
collegati
i
miti
delle
origini
del
mondo
secondo
la
religione
india
;
e
gli
inizi
della
dinastia
imperiale
degli
Incas
.
In
una
delle
sue
trentasei
isole
,
chiamata
,
per
il
culto
a
cui
era
votata
,
l
'
Isola
del
Sole
,
è
apparso
per
la
prima
volta
,
secondo
il
mito
,
Viracocha
,
creatore
dell
'
uomo
,
della
donna
,
degli
animali
,
del
cielo
e
della
terra
.
In
quella
stessa
isola
sono
nati
í
figli
del
Sole
,
Manco
Capac
e
sua
sorella
nonché
coniuge
alla
maniera
faraonica
Mama
Ocllo
,
capostipiti
della
dinastia
che
in
linea
diretta
,
attraverso
quindici
monarchi
,
arriva
fino
ad
Atahualpa
,
l
'
ultimo
imperatore
,
ucciso
a
tradimento
da
Francisco
Pizarro
.
Di
queste
leggende
e
di
questi
eventi
il
lago
Titicaca
,
naturalmente
,
non
conserva
nulla
.
La
memoria
atavica
degli
indi
e
le
ricerche
archeologiche
degli
europei
qui
si
scontrano
con
il
vuoto
assoluto
e
maestoso
di
una
natura
forse
originariamente
abitata
dalla
storia
ma
che
la
storia
ha
abbandonato
per
sempre
.
Poco
lontano
dal
lago
Titicaca
,
in
un
immenso
anfiteatro
naturale
formato
da
basse
colline
nude
ed
erose
,
si
trovano
le
rovine
del
santuario
di
Tiahuanaco
,
il
centro
religioso
più
importante
della
civiltà
india
prima
degli
Incas
.
A
Tiahuanaco
si
esasperano
i
caratteri
dell
'
altipiano
:
solitudine
,
luminosità
,
vastità
,
vuoto
,
silenzio
.
Il
tempio
affondato
per
metà
sottoterra
,
ha
muraglie
costruite
con
enormi
blocchi
di
pietra
grigia
incastrati
a
secco
con
grande
ingegnosità
e
perfezione
.
La
celebre
Porta
del
Sole
,
con
la
sua
divinità
dalla
testa
felina
e
la
stele
chiamata
dagli
Spagnoli
el
fraile
(
il
frate
)
,
in
realtà
un
dio
anch
'
esso
,
in
forma
umana
,
con
caratteri
tipici
indi
(
busto
lungo
,
gambe
corte
,
testone
,
facciona
)
sono
le
parti
del
tempio
in
cui
,
oltre
alle
capacità
tecniche
ed
architettoniche
,
si
rivela
il
talento
propriamente
artistico
degli
indi
.
È
ammirevole
,
attraente
,
bella
quest
'
arte
?
Diremmo
piuttosto
che
è
strana
e
che
ispira
un
curioso
senso
di
malessere
,
diciamo
così
,
estetico
.
Paragonata
ai
prodotti
artistici
dei
veri
primitivi
(
arte
negra
,
polinesiana
,
greca
arcaica
ecc.
ecc
.
)
rivela
una
stilizzazione
,
una
cifra
per
niente
ingenue
,
di
tipo
tardo
e
decadente
che
dà
un
'
impressione
sgradevole
come
di
frutto
per
metà
acerbo
e
per
metà
già
putrefatto
.
Che
c
'
è
in
fondo
a
quest
'
impressione
?
Il
senso
di
una
civiltà
isolata
,
senza
possibilità
di
prestiti
,
di
confronti
,
di
apporti
,
che
arriva
alla
decadenza
direttamente
dalla
primitività
senza
passare
per
la
fase
della
maturità
.
Quel
non
so
che
di
crudele
e
di
tetro
che
emana
da
quest
'
arte
sembra
alludere
al
destino
proprio
delle
cose
predestinate
al
fallimento
in
quanto
fin
dagli
inizi
avviate
per
la
strada
sbagliata
.
L
'
individuo
può
correggere
i
propri
errori
attraverso
una
presa
di
coscienza
;
ma
le
nazioni
,
le
società
,
le
collettività
,
poiché
non
vivono
a
livello
morale
ma
storico
,
non
si
accorgono
di
sbagliare
e
in
realtà
non
"
possono
"
sbagliare
.
Possono
soltanto
fallire
,
ossia
avere
una
storia
breve
,
una
storia
catastrofica
,
una
storia
in
forma
di
vicolo
cieco
.
Nell
'
erba
,
presso
la
muraglia
del
santuario
,
giacciono
alla
rinfusa
molti
blocchi
di
pietra
.
Si
pensa
che
siano
caduti
giù
per
opera
del
tempo
o
delle
devastazioni
degli
spagnoli
.
Ma
non
è
così
.
Il
santuario
di
Tiahuanaco
,
a
quanto
sembra
,
è
stato
abbandonato
prima
di
essere
finito
.
Quei
blocchi
semi
-
lavorati
erano
già
interrati
nell
'
erba
prima
della
conquista
.
Chissà
,
forse
gli
indi
si
erano
accorti
di
aver
"
sbagliato
"
;
di
essere
stati
traditi
dai
propri
dei
;
ossia
di
aver
creato
una
civiltà
predestinata
al
fallimento
.
Sull
'
altipiano
,
però
,
non
sono
stati
soltanto
gli
indi
a
fallire
;
ma
anche
i
loro
oppressori
,
gli
spagnoli
.
La
croce
cristiana
è
graffita
sulla
spalla
del
/
rade
;
e
dietro
la
collina
spunta
la
cupola
di
una
chiesa
fabbricata
,
a
quanto
ci
dicono
,
con
materiale
portato
via
dal
santuario
del
Sole
;
ma
il
fallimento
spagnolo
è
visibile
dappertutto
nell
'
abbandono
in
cui
giacciono
gli
antichi
palazzi
viceregali
,
le
monumentali
chiese
barocche
,
e
ancor
più
nella
miseria
,
nell
'
ignoranza
,
nell
'
arretratezza
della
popolazione
india
,
dopo
quattro
secoli
di
cultura
europea
.
Dalla
chiesa
,
adesso
,
giungono
suoni
agri
e
discordi
di
musiche
,
tonfi
cupi
di
tamburo
,
scoppi
secchi
di
petardi
.
È
la
fiesta
india
,
rozzamente
e
poveramente
folcloristica
la
quale
,
tra
la
morte
del
santuario
pagano
e
lo
squallore
della
chiesa
cristiana
,
dà
il
senso
acuto
e
straziante
del
fallimento
congiunto
delle
due
culture
.
La
civiltà
india
originaria
(
chiamata
collas
dal
nome
della
tribù
più
importante
)
era
di
tipo
comunitario
,
libera
e
democratica
.
Ma
all
'
arrivo
degli
spagnoli
,
questa
civiltà
già
da
quattro
secoli
è
stata
trasformata
dagli
Incas
in
impero
schiavistico
.
D
'
altra
parte
,
gli
spagnoli
conquistano
l
'
America
in
piena
fase
controriformistica
,
quando
tutto
ciò
che
c
'
è
di
vivo
e
di
nuovo
in
Europa
si
trova
schierato
contro
la
Spagna
.
Così
la
conquista
si
potrebbe
definire
la
fusione
di
due
fallimenti
,
quello
indio
e
quello
spagnolo
,
l
'
innesto
mostruoso
della
decadenza
europea
sul
tronco
della
decadenza
india
.
Ma
qual
è
il
motivo
profondo
del
momentaneo
successo
di
questa
operazione
teratologica
?
Come
mai
un
centinaio
di
avventurieri
si
sono
impadroniti
di
un
impero
di
dieci
milioni
di
indi
?
Forse
l
'
evoluzione
singolare
dell
'
istituzione
della
mita
può
fornire
,
in
maniera
simbolica
,
la
chiave
del
mistero
.
Originariamente
,
ai
tempi
della
civiltà
comunitaria
preincaica
,
la
mita
era
un
servizio
pubblico
al
quale
le
comunità
indie
si
assoggettavano
volontariamente
e
gratuitamente
.
Si
trattava
di
coltivare
le
terre
della
comunità
,
di
irrigarle
,
di
imbrigliare
í
corsi
d
'
acqua
,
di
mantenere
i
sentieri
ecc.
ecc.
La
mita
era
insomma
un
lavoro
collettivo
in
cui
si
manifestava
l
'
alto
grado
di
senso
"
associativo
"
degli
indi
.
Poi
con
l
'
impero
degli
Incas
,
la
libera
organizzazione
comunitaria
,
si
trasforma
in
struttura
rigidamente
centralizzata
e
statale
ossia
,
in
sostanza
,
in
servitù
della
gleba
inquadrata
e
diretta
da
una
burocrazia
di
tipo
religioso
.
Si
trattava
,
però
,
di
una
servitù
della
gleba
di
un
genere
particolare
,
non
tanto
basata
sullo
sfruttamento
a
scopo
di
lucro
,
quanto
sulle
necessità
reali
di
un
'
agricoltura
estensiva
che
dipendeva
in
gran
parte
dai
vasti
e
complessi
sistemi
di
irrigazione
.
Il
passaggio
dalla
servitù
della
gleba
degli
Incas
alla
franca
e
orrenda
schiavitù
mineraria
imposta
dagli
spagnoli
,
sembra
dovuto
alla
forza
.
In
realtà
,
è
reso
possibile
dal
senso
sociale
degli
indi
,
che
già
a
suo
tempo
aveva
consentito
la
trasformazione
dell
'
economia
comunitaria
in
economia
statale
.
Intendiamoci
:
il
senso
sociale
non
è
un
difetto
ma
una
qualità
.
Sempre
,
però
,
che
non
distrugga
l
'
istinto
individuale
,
come
sembra
essere
avvenuto
nella
civiltà
india
.
La
mancanza
di
individualismo
fa
sì
che
la
mita
da
servizio
pubblico
libero
e
spontaneo
si
trasformi
con
gli
Incas
e
poi
con
gli
spagnoli
in
corvée
.
Gli
indi
erano
soprattutto
e
soltanto
"
sociali
"
ossia
docili
,
sottomessi
alle
leggi
,
disciplinati
e
ligi
.
Gli
Incas
si
sono
serviti
di
questa
socialità
per
avviare
gli
indi
allo
statalismo
teocratico
;
gli
spagnoli
per
farne
degli
schiavi
.
In
un
secolo
la
popolazione
india
cade
da
dieci
milioni
ad
un
solo
milione
.
La
mita
diventa
una
condanna
a
morte
.
Tanto
è
vero
che
quando
un
indio
veniva
reclutato
per
la
mita
mineraria
,
i
compagni
gli
facevano
i
funerali
in
anticipo
.
Il
mitayo
era
sinonimo
di
indio
morto
.
All
'
atrofia
del
sentimento
di
individualità
degli
indi
fa
riscontro
l
'
ipertrofia
dell
'
individualismo
degli
spagnoli
.
I
conquistadores
sono
avventurieri
intrepidi
ma
senza
neppure
l
'
ombra
di
quel
cristianesimo
di
cui
tuttavia
alzano
il
vessillo
.
Spietati
,
fedifraghi
,
sanguinari
,
insaziabili
,
dicono
di
rappresentare
la
società
spagnola
;
ma
in
realtà
rappresentano
soltanto
se
stessi
,
anche
perché
la
società
spagnola
individualista
e
feudale
,
è
stata
lei
a
farli
così
come
sono
.
Anche
a
giudicarli
col
metro
morale
molto
particolare
del
Rinascimento
,
difficilmente
possono
essere
giustificati
e
tanto
meno
assolti
.
Sterminano
gli
indi
,
si
sterminano
tra
di
loro
;
e
questo
pur
sempre
per
motivi
di
potere
e
di
bottino
.
È
vero
che
la
Corona
di
Spagna
e
la
Chiesa
cercano
di
proteggere
le
disgraziate
popolazioni
indigene
;
ma
sono
lontane
mentre
i
feudatari
sono
presenti
sul
luogo
.
Il
fallimento
spagnolo
è
già
in
germe
in
questo
individualismo
efferato
e
imprevidente
.
Come
,
d
'
altra
parte
,
il
fallimento
indio
era
già
in
germe
nell
'
eccessivo
senso
comunitario
,
nella
mancanza
di
spirito
individuale
degli
indi
.
StampaQuotidiana ,
Libreville
.
Un
nuovo
Machiavelli
,
oggi
,
certo
abbandonerebbe
la
figura
del
Principe
,
nutrito
di
letture
umanistiche
,
da
Tito
Livio
a
Plutarco
e
a
Tacito
e
disegnerebbe
invece
quella
del
rivoluzionario
moderno
,
assurto
o
no
al
potere
.
Questo
rivoluzionario
,
naturalmente
,
sarebbe
anche
lui
un
uomo
di
cultura
;
ma
la
sua
cultura
non
sarebbe
più
quella
dell
'
umanesimo
rinascimentale
bensì
una
mescolanza
di
ideologia
e
di
scienza
.
Come
Marx
,
come
Lenin
,
come
Trotzki
,
come
Stalin
,
come
Mao
,
il
rivoluzionario
moderno
sarebbe
,
oltre
che
un
uomo
politico
portatore
di
una
determinata
ideologia
,
un
cultore
di
quelle
scienze
che
si
occupano
del
fatto
sociale
.
Frantz
Fanon
,
il
medico
martinicano
creatore
del
"
fanonismo
"
ossia
della
sintesi
più
potente
,
più
complessa
e
più
vasta
elaborata
finora
da
tutti
i
motivi
della
rivoluzione
anticolonialista
nel
Terzo
Mondo
,
non
costituisce
un
'
eccezione
alla
regola
che
oggi
vuole
l
'
uomo
politico
anche
uomo
di
scienza
.
Frantz
Fanon
era
,
infatti
,
un
sociologo
acuto
e
lucido
,
oltre
che
un
uomo
d
'
azione
e
un
poeta
della
palingenesi
del
Terzo
Mondo
.
Ma
quello
che
rende
Fanon
diverso
dagli
altri
rivoluzionari
e
probabilmente
unico
nel
suo
genere
,
è
il
fatto
che
fosse
anche
uno
psichiatra
.
Quanto
a
dire
che
egli
si
interessava
attivamente
non
soltanto
all
'
uomo
come
animale
politico
e
sociale
ma
anche
alla
persona
umana
vista
nella
sua
inconfondibile
e
singolare
interiorità
.
Immaginiamo
un
Marx
che
non
solo
ci
descriva
,
nei
suoi
effetti
sociali
ed
economici
,
il
lavoro
infantile
nelle
fabbriche
inglesi
del
suo
tempo
ma
anche
esamini
i
riflessi
di
questo
lavoro
nell
'
animo
di
una
particolare
bambina
o
di
un
particolare
ragazzo
;
e
avremo
il
senso
preciso
della
situazione
centrale
rispetto
alla
cultura
moderna
di
Frantz
Fanon
ideologo
della
lotta
anticolonialista
e
della
"
negritudine
"
,
personaggio
di
primo
piano
della
rivoluzione
africana
,
medico
psichiatrico
,
scrittore
ormai
classico
.
La
sua
originalità
,
come
sempre
avviene
,
va
soprattutto
ravvisata
nella
sua
capacità
di
conciliare
senza
sopprimerle
le
contraddizioni
estreme
.
Frantz
Fanon
è
fautore
a
oltranza
del
nazionalismo
come
l
'
arma
più
efficace
contro
il
colonialismo
e
il
mezzo
migliore
per
creare
o
recuperare
le
culture
nazionali
;
ma
al
tempo
stesso
sembra
rendersi
conto
che
il
nazionalismo
europeo
è
stato
il
padre
del
colonialismo
e
del
razzismo
e
che
,
invece
di
creare
o
recuperare
le
culture
nazionali
,
il
nazionalismo
,
strumentalizzandole
,
ne
arresta
lo
sviluppo
e
ne
uccide
i
germi
più
fecondi
.
È
sostenitore
del
ricorso
alla
violenza
sistematica
e
spietata
nella
lotta
contro
il
colonialismo
;
ma
al
tempo
stesso
,
ne
I
dannati
della
Terra
,
nel
capitolo
"
Guerra
coloniale
e
disturbi
mentali
"
studia
con
lucidità
e
delicatezza
gli
effetti
distruttivi
di
questa
stessa
violenza
nell
'
intimità
dell
'
animo
umano
(
a
proposito
,
cosa
avrebbe
detto
Fanon
dei
killers
di
Fiumicino
che
si
sono
dichiarati
"
fieri
"
di
aver
bruciato
vivi
trenta
innocenti
,
lui
che
,
tra
i
casi
clinici
della
guerra
totale
in
Algeria
,
include
quello
dei
due
ragazzi
arabi
,
assassini
alienati
e
automatici
di
un
loro
amichetto
francese
?
Avrebbe
riscontrato
in
quella
"
fierezza
"
un
tratto
psicopatico
oppure
l
'
avrebbe
approvata
?
)
.
Infine
egli
odia
le
cosiddette
borghesie
nazionali
africane
(
"
la
fase
borghese
nei
paesi
sottosviluppati
è
una
fase
inutile
"
)
;
ma
al
tempo
stesso
si
palesa
estimatore
della
borghesia
europea
anche
se
colonialista
e
imperialista
(
"
questa
borghesia
dinamica
,
colta
,
laica
è
riuscita
pienamente
nella
sua
impresa
di
accumulazione
del
capitale
e
ha
dato
alla
nazione
un
minimo
di
prosperità
"
)
.
Frantz
Fanon
è
morto
nel
1961
.
L
'
Algeria
,
alla
cui
rivoluzione
ha
partecipato
in
qualità
di
militante
,
la
maggior
parte
delle
colonie
africane
alla
cui
liberazione
ha
contribuito
potentemente
con
la
sua
opera
scritta
,
sono
Stati
indipendenti
.
Ora
,
cosa
direbbe
Frantz
Fanon
oggi
del
Terzo
Mondo
e
in
particolare
dell
'
Africa
nera
come
si
è
venuta
assestando
a
livello
politico
negli
ultimi
anni
?
Nell
'
opera
di
Frantz
Fanon
,
vorrei
distinguere
due
parti
.
La
prima
è
quella
in
cui
Fanon
definisce
la
situazione
del
negro
nel
mondo
creato
dai
bianchi
e
,
conseguentemente
,
incita
gli
africani
alla
violenza
per
distruggere
il
colonialismo
razzista
.
La
seconda
,
che
chiamerei
testamentaria
e
profetica
,
è
quella
in
cui
Fanon
critica
le
nuove
società
africane
e
i
loro
sistemi
politici
e
suggerisce
i
modi
,
"
per
l
'
Europa
,
per
noi
stessi
e
per
l
'
umanità
"
coi
quali
sarà
possibile
"
rinnovarsi
,
sviluppare
un
pensiero
nuovo
,
tentare
di
metter
su
un
uomo
nuovo
"
.
La
prima
parte
contiene
una
requisitoria
folgorante
contro
il
colonialismo
e
il
razzismo
e
va
considerata
fondamentale
per
tutto
quanto
riguarda
il
Terzo
Mondo
:
ma
occorre
dirlo
,
essa
ormai
"
data
"
senza
per
questo
perdere
il
suo
valore
ideologico
e
letterario
,
come
è
proprio
in
genere
dei
classici
,
appunto
perché
ha
determinato
in
maniera
irreversibile
e
definitiva
la
presa
di
coscienza
da
parte
degli
africani
e
degli
europei
nei
riguardi
del
colonialismo
.
Il
quale
,
è
vero
,
è
ancora
attivo
in
Africa
,
ma
appare
,
ormai
,
anche
per
merito
di
Fanon
,
del
tutto
anacronistico
e
svuotato
di
contenuto
.
La
seconda
parte
,
quella
che
ho
chiamato
testamentaria
e
profetica
,
è
e
sarà
invece
per
lungo
tempo
di
attualità
non
soltanto
nel
Terzo
Mondo
.
È
chiaro
infatti
che
quando
Fanon
,
nella
conclusione
dei
Dannati
della
Terra
,
dice
:
"
Cerchiamo
di
inventare
l
'
uomo
totale
che
l
'
Europa
è
stata
incapace
di
far
trionfare
"
egli
si
rivolge
indistintamente
a
tutti
gli
uomini
.
Ma
accanto
a
questa
attualità
,
diciamo
così
,
universale
,
ce
n
'
è
un
'
altra
che
riguarda
direttamente
e
unicamente
la
nuova
Africa
.
Vediamo
adesso
perché
e
in
che
modo
.
Come
ho
già
accennato
,
Frantz
Fanon
è
prima
di
tutto
,
per
le
esigenze
della
lotta
anticolonialista
,
un
nazionalista
convinto
.
Ma
egli
non
crede
alla
possibilità
e
tanto
meno
alla
necessità
di
una
borghesia
nazionale
in
Africa
.
Logicamente
,
quindi
,
Fanon
finisce
per
orientarsi
verso
il
socialismo
cioè
verso
quella
democrazia
"
dal
basso
»
che
si
esprima
nell
'
istituzione
del
partito
unico
,
depositario
dell
'
ideologia
"
progressista
"
(
per
distinguerlo
,
come
si
vedrà
,
dal
partito
unico
"
reazionario
"
)
.
Il
pluripartitismo
di
specie
parlamentare
è
,
infatti
,
inconcepibile
senza
una
borghesia
forte
e
colta
e
abbiamo
già
visto
che
per
Fanon
questa
borghesia
in
Africa
non
è
né
possibile
né
desiderabile
.
Non
c
'
è
dubbio
,
insomma
,
che
se
Fanon
non
fosse
morto
nel
1961
,
avrebbe
accolto
,
pochi
anni
dopo
,
molte
delle
istanze
sociali
e
politiche
della
contestazione
.
Adesso
guardiamo
all
'
Africa
,
oggi
.
Il
fenomeno
politico
che
colpisce
a
prima
vista
è
il
trionfo
del
partito
unico
e
del
suo
indispensabile
complemento
,
quello
cioè
che
Fanon
chiama
il
leader
.
Quasi
dappertutto
,
insomma
,
il
pluripartitismo
parlamentare
,
con
le
sue
appendici
indispensabili
di
libertà
individuali
e
di
diritti
dell
'
uomo
,
è
stato
annullato
da
rivoluzioni
,
colpi
di
Stato
militari
e
no
,
dissoluzioni
delle
opposizioni
.
Forse
nessuno
è
più
idoneo
,
oggi
,
a
spiegarci
i
motivi
,
diciamo
così
,
"
interni
"
di
questa
crisi
del
pluripartitismo
in
Africa
,
di
un
uomo
come
Kenneth
Kaunda
,
attuale
presidente
dello
Zambia
.
Questo
paese
per
dieci
anni
dopo
l
'
indipendenza
è
stato
governato
da
Kaunda
col
sistema
pluripartitico
.
L
'
anno
scorso
,
Kaunda
ha
proclamato
lo
Zambia
paese
a
partito
unico
.
In
una
intervista
a
"
Newsweek
"
,
alla
domanda
di
come
sono
andate
le
elezioni
basate
per
la
prima
volta
sul
partito
unico
,
Kaunda
risponde
con
una
certa
quale
ingenuità
:
"
Sono
state
le
elezioni
più
tranquille
che
abbiamo
mai
avuto
in
questo
paese
.
In
passato
,
tutte
le
volte
che
scioglievo
il
parlamento
,
letteralmente
mi
aspettavo
la
morte
di
molti
dei
miei
concittadini
.
La
burocrazia
,
l
'
esercito
,
la
polizia
,
tutte
le
istituzioni
della
nazione
erano
spaccate
dalle
linee
politiche
dei
partiti
.
D
'
altronde
questi
partiti
erano
a
loro
volta
basati
sulle
tribù
e
così
,
qualsiasi
cosa
si
facesse
,
portava
alla
divisione
.
"
A
questo
quadro
desolante
degli
effetti
del
pluripartitismo
,
il
giornalista
americano
fa
seguire
la
logica
domanda
:
"
Ma
il
partito
unico
può
realmente
essere
democratico
?
"
.
Al
che
Kaunda
risponde
:
"
In
Occidente
,
quando
si
parla
di
partito
unico
,
i
più
pensano
immediatamente
a
tirannie
,
repressioni
,
dittature
...
Io
non
accetto
questo
punto
di
vista
.
Noi
abbiamo
tentato
il
pluripartitismo
qui
nello
Zambia
.
Sinceramente
,
abbiamo
cercato
di
farlo
funzionare
.
Ma
ci
siamo
trovati
sommersi
dai
risentimenti
tribali
,
religiosi
,
razziali
e
così
via
.
Questo
sistema
qui
non
funziona
;
avrebbe
distrutto
la
nazione
...
allora
alla
fine
abbiamo
deciso
di
creare
un
sistema
nuovo
"
.
Non
c
'
è
molto
da
aggiungere
a
queste
parole
così
illuminanti
sulla
crisi
del
pluripartitismo
e
sul
passaggio
alla
"
democrazia
"
del
partito
unico
.
Naturalmente
il
carattere
politico
e
sociale
di
questi
partiti
unici
varia
grandemente
.
Una
prima
suddivisione
sarebbe
quella
tra
partiti
unici
legati
alle
borghesie
nazionali
e
partiti
unici
socialisti
dalle
varie
sfumature
,
dal
"
socialismo
africano
"
al
marxismo
di
stretta
osservanza
.
Una
seconda
,
quella
tra
leaders
militari
e
leaders
civili
.
Una
terza
potrebbe
essere
basata
sulle
tendenze
politiche
di
questi
leaders
:
vi
sono
militari
che
si
proclamano
socialisti
,
e
civili
che
si
appoggiano
alle
borghesie
nazionali
,
e
viceversa
.
Ma
c
'
è
un
tratto
comune
che
sovrasta
a
tutte
queste
differenze
;
ed
è
la
personalizzazione
del
potere
o
,
se
si
preferisce
,
il
culto
della
personalità
.
Quest
'
ultima
definizione
è
diventata
ormai
un
luogo
comune
il
cui
significato
,
appunto
perché
ovvio
,
quasi
sfugge
all
'
attenzione
.
Ma
in
Africa
il
culto
della
personalità
è
proprio
il
culto
della
personalità
,
né
più
né
meno
.
Nei
nuovi
Stati
africani
tutto
sembra
contribuire
al
culto
della
personalità
:
la
dittatura
del
proletariato
come
la
dittatura
militare
,
il
partito
unico
socialista
come
il
partito
unico
borghese
nazionale
,
il
centralismo
urbano
e
industriale
come
il
decentramento
tribale
e
contadino
.
Ciò
che
si
vede
,
nella
sua
ingenuità
e
autenticità
,
ha
un
valore
altrettanto
probante
di
ciò
che
si
potrebbe
scoprire
con
indagine
approfondita
.
Per
esempio
i
perizomi
vivaci
in
cui
si
avvolgono
le
donne
africane
,
dovunque
e
coi
più
diversi
partiti
unici
,
mostrano
spesso
sul
dorso
e
sul
ventre
il
ritratto
in
grandezza
naturale
del
leader
con
il
titolo
che
gli
compete
(
quasi
sempre
"
presidente
"
,
in
alcuni
casi
"
presidente
a
vita
"
)
circondato
di
slogan
e
motti
di
propaganda
.
D
'
altra
parte
,
bisognerebbe
essere
ciechi
e
sordi
per
non
accorgersi
,
viaggiando
in
Africa
,
dell
'
atmosfera
di
timore
reverenziale
,
di
devozione
intransigente
,
di
rispetto
protocollare
che
circonda
la
personalità
del
leader
,
nonché
dei
modi
più
o
meno
autoritari
del
suo
predominio
.
Accanto
a
questi
caratteri
che
si
possono
ancora
chiamare
positivi
,
ve
ne
sono
altri
che
difficilmente
potrebbero
essere
considerati
tali
.
Il
culto
della
personalità
,
come
abbiamo
visto
,
si
basa
sul
partito
unico
,
e
dunque
sulla
assenza
dei
partiti
di
opposizione
.
Da
questo
,
all
'
intolleranza
verso
gli
oppositori
esterni
e
interni
,
il
passo
non
è
lungo
.
È
un
fatto
accertato
che
in
alcuni
Stati
africani
retti
a
partito
unico
,
secondo
l
'
ultimo
rapporto
dell
'
Amnesty
International
molti
oppositori
di
varie
tendenze
politiche
si
trovano
in
carcere
senz
'
altro
motivo
che
il
loro
dissenso
dal
leader
.
L
'
imprigionamento
degli
oppositori
dimostra
,
secondo
me
,
più
di
qualsiasi
acritico
fanatismo
popolare
,
il
prevalere
del
culto
della
personalità
.
Allo
stesso
modo
che
l
'
esistenza
legale
di
un
'
opposizione
è
l
'
indizio
più
sicuro
di
segno
contrario
.
Insomma
,
il
leader
africano
militare
o
civile
,
borghese
-
nazionale
o
socialista
-
si
ammanta
spesso
di
un
potere
che
bisogna
pur
chiamare
carismatico
.
Al
carattere
sacrale
del
potere
politico
contribuisce
probabilmente
anche
la
particolare
religiosità
delle
masse
.
Le
religioni
,
tutte
le
religioni
,
sia
quelle
autoctone
e
tribali
sia
quelle
a
sfondo
universalistico
,
non
sembrano
spesso
avere
in
Africa
limiti
sociali
e
psicologici
precisi
.
Come
i
grandi
fiumi
africani
che
alla
stagione
delle
piogge
escono
dai
loro
alvei
e
inondano
immensi
territori
,
la
religiosità
africana
,
pur
di
fronte
a
novità
sconvolgenti
come
il
socialismo
e
il
nazionalismo
,
non
tanto
scompare
quanto
trapassa
dalle
vecchie
alle
nuove
istituzioni
tutte
sommergendole
nella
sua
irresistibile
onda
mitica
.
Il
leader
africano
prim
'
ancora
che
un
militare
o
un
civile
,
che
un
borghese
nazionale
o
un
socialista
,
è
spesso
un
padre
spirituale
,
una
guida
morale
,
un
maestro
di
saggezza
,
un
capo
religioso
,
un
tutore
ideologico
,
un
messia
politico
.
I
leaders
si
chiamano
"
Osagyefo
"
(
redentore
)
e
"
Mwalimu
"
(
maestro
)
;
parlano
di
"
Ujamaa
"
(
spirito
della
famiglia
)
e
di
"
Harambee
"
(
cooperazione
)
oppure
informano
il
partito
ad
"
un
umanismo
cristiano
"
affinché
"
il
servizio
incondizionato
dei
nostri
compagni
sia
la
più
pura
forma
del
servizio
di
Dio
"
.
Sugli
autobus
in
gran
parte
dell
'
Africa
nera
,
al
di
sopra
della
scritta
che
ne
indica
il
percorso
,
si
leggono
frasi
edificanti
di
questo
genere
:
"
Dio
è
la
mia
guida
"
;
"
L
'
onestà
è
il
migliore
sistema
"
;
"
Con
Dio
mi
sento
sicuro
"
;
"
Onora
tuo
padre
e
tua
madre
"
,
ecc.
ecc.
L
'
idea
soggiacente
al
potere
carismatico
sembra
essere
che
la
società
è
tutta
una
grande
famiglia
affettuosa
in
cui
si
viene
istruiti
,
educati
,
assistiti
,
guidati
e
,
alla
fine
,
premiati
o
puniti
.
Naturalmente
tutto
questo
non
impedisce
al
potere
di
essere
il
potere
,
alla
politica
di
essere
la
politica
,
alle
classi
di
essere
le
classi
.
Si
tratta
,
insomma
,
soprattutto
di
una
questione
di
linguaggio
connessa
a
sua
volta
con
la
civiltà
contadina
che
è
propria
di
tutto
il
Terzo
Mondo
ma
che
in
Africa
ha
caratteri
originali
diversi
dall
'
Asia
e
dall
'
America
Latina
.
D
'
altra
parte
bisogna
avvertire
che
il
carisma
non
impedisce
affatto
una
consapevolezza
del
tutto
realistica
dei
limiti
e
dei
lati
negativi
sia
del
leader
che
del
sistema
a
partito
unico
.
Ma
la
personalizzazione
del
potere
sembra
essere
alla
fine
la
condizione
essenziale
affinché
il
carisma
si
verifichi
.
StampaQuotidiana ,
Può
darsi
che
il
rinvio
a
giudizio
di
Berlusconi
rafforzi
in
Parlamento
la
convergenza
verso
Dini
ormai
in
atto
presso
alcune
schegge
della
destra
e
della
sinistra
.
Ma
è
sicuro
che
nel
Paese
questa
convergenza
verso
la
palude
centrale
genera
una
divergenza
eguale
e
contraria
,
e
cioè
divarica
le
posizioni
.
D
'
altronde
il
Parlamento
sembra
aver
dimenticato
assai
più
degli
elettori
il
voto
del
18
aprile
,
che
ha
sicuramente
condannato
il
centrismo
pur
senza
scegliere
fra
destra
e
sinistra
.
Da
allora
il
dilemma
della
politica
italiana
è
"
avanti
o
indietro
"
sulla
strada
della
trasformazione
,
assai
più
che
"
di
qua
o
di
là
"
rispetto
ai
punti
cardinali
della
tradizione
.
Purtroppo
questo
trapasso
risulta
illeggibile
se
si
seguono
soltanto
le
intenzioni
e
il
destino
degli
eletti
.
Infatti
:
Berlusconi
non
si
accorge
che
una
stessa
ondata
porta
lui
al
successo
del
27
marzo
e
Andreotti
all
'
umiliazione
di
un
processo
;
mentre
la
stampa
sembra
ignorare
che
il
medesimo
sommovimento
consente
a
Berlusconi
di
insediarsi
a
Palazzo
Chigi
e
a
Mani
pulite
di
rinviarlo
a
giudizio
.
E
,
anche
prima
:
Segni
non
capisce
che
il
plebiscito
sul
maggioritario
,
da
lui
così
appassionatamente
voluto
,
è
destinato
a
travolgere
il
bastione
centrista
sul
quale
si
arrocca
;
Occhetto
non
vede
nell
'
esplosione
di
Tangentopoli
la
premessa
di
un
'
alternativa
radicale
al
sistema
dei
partiti
anziché
una
semplice
alternanza
della
sinistra
al
Caf
;
Buttiglione
provoca
la
crisi
di
dicembre
per
strappare
a
Forza
Italia
la
direzione
del
Polo
,
ma
perde
per
strada
il
suo
esercito
;
D
'
Alema
entra
alla
cieca
nel
ribaltone
e
constata
,
alla
fine
,
di
aver
lavorato
per
Dini
;
e
Dini
rinuncia
andreottianamente
a
governare
per
stare
al
governo
,
trascurando
la
perdita
dello
strumento
(
l
'
erario
)
con
il
quale
Andreotti
aveva
tacitato
le
innumerevoli
clientele
in
cui
era
stata
scomposta
la
cittadinanza
.
A
intenzioni
così
imprecise
non
possono
che
corrispondere
destini
incompiuti
:
Berlusconi
azzoppato
,
Prodi
abbandonato
,
Dini
sospeso
a
una
presidenza
fondata
su
un
Parlamento
screditato
e
sprofondato
nello
Stige
;
la
transizione
ferma
,
il
vortice
bloccato
.
Da
tre
anni
gli
eletti
interpretano
balbettando
le
spinte
che
vengono
dagli
elettori
senza
riuscire
a
comporre
un
'
offerta
politica
che
corrisponda
alla
domanda
civile
.
Ed
è
ormai
inutile
ribadire
l
'
equazione
che
mette
sullo
stesso
piano
governanti
e
governati
,
perché
nel
movimento
a
tentoni
dei
primi
si
esprime
un
istinto
di
conservazione
collettivo
che
nei
secondi
si
sminuzza
nel
respiro
corto
della
sopravvivenza
propria
,
personale
o
di
parte
.
Certo
,
l
'
elettorato
non
ha
soluzioni
,
ma
sente
sia
pure
confusamente
i
problemi
.
Ha
capito
che
i
favori
accordati
nel
presente
dal
centrismo
precludono
il
futuro
;
che
la
crisi
delle
città
,
dei
servizi
,
dell
'
ordine
pubblico
,
della
legalità
e
dello
Stato
è
una
conseguenza
della
paralisi
amministrativa
,
la
quale
discende
dall
'
incapacità
di
decidere
,
a
sua
volta
dovuta
all
'
impossibilità
di
scegliere
tra
opzioni
chiare
e
responsabili
.
Insomma
,
il
pubblico
sa
che
il
labirinto
delle
clientele
,
delle
mediazioni
e
degli
interessi
corporativi
ha
prodotto
una
situazione
paradossale
in
cui
la
crescita
economica
è
contraddetta
dal
regresso
civile
;
e
sa
che
è
ormai
impossibile
conservare
il
benessere
se
continua
il
regresso
.
Per
questo
ha
scelto
plebiscitariamente
il
maggioritario
e
cioè
il
rifiuto
dell
'
imbuto
centrale
nel
quale
spariscono
,
si
sovrappongono
o
si
neutralizzano
le
scelte
e
si
accampa
la
dissoluzione
inarrestabile
dello
Stato
e
dei
princì
pi
stessi
della
convivenza
.
Invece
,
almeno
fino
a
oggi
,
Parlamento
e
governi
hanno
offerto
soluzioni
che
scavalcano
i
problemi
,
o
li
ignorano
,
e
sembrano
orientati
adesso
a
rifugiarsi
nel
gorgo
della
Prima
Repubblica
,
dal
quale
li
ha
fatti
uscire
il
sommovimento
elettorale
.
La
superiorità
degli
elettori
sugli
eletti
è
tutta
in
questo
divario
.
Per
il
resto
non
bisogna
dimenticare
che
è
in
crisi
una
democrazia
fondata
sul
consenso
,
e
che
il
consenso
coinvolge
,
anche
quando
è
comprato
e
venduto
.
In
un
Paese
deragliato
,
forse
non
restava
che
la
ramazza
del
Codice
per
farla
tornare
in
sé
.
Ma
non
esiste
un
Codice
che
preveda
l
'
incriminazione
,
la
punizione
e
il
riscatto
di
una
società
intera
,
anche
se
accanto
alla
centralità
del
Parlamento
si
è
istituita
una
anomala
centralità
della
Magistratura
.
In
ogni
caso
il
nostro
linguaggio
politico
è
troppo
abituato
ad
attribuire
centri
geometrici
a
figure
sociali
che
non
hanno
circonferenza
.
Per
il
momento
l
'
Italia
resta
come
pizzicata
nella
chiusura
lampo
della
legge
,
che
si
apre
e
si
chiude
tra
garanzie
costituzionali
e
avvisi
di
garanzia
.
E
questa
sensazione
di
impotenza
prelude
a
una
rabbia
cupa
e
insaziabile
.
Cupa
perché
afflitta
da
un
oscuro
senso
di
colpa
.
Insaziabile
perché
la
rabbia
non
sfama
,
se
non
al
modo
di
Filippo
Argenti
,
che
"
in
sé
medesmo
si
volgea
co
'
denti
"
.
Il
mondo
assiste
incredulo
all
'
annaspare
di
un
Paese
che
per
liberarsi
di
un
esiziale
sistema
politico
non
sa
e
non
può
fare
altro
che
incriminare
,
dal
primo
all
'
ultimo
,
i
suoi
rappresentanti
vecchi
e
nuovi
,
tornando
però
indietro
alla
vecchia
ammucchiata
centrista
che
ha
prodotto
la
corruzione
.
La
Magistratura
applica
le
leggi
e
dunque
arresta
i
timonieri
.
E
la
nave
entra
nella
mareggiata
europea
con
la
plancia
di
comando
vuota
e
le
sentine
piene
dei
suoi
ex
capitani
.
Un
Paese
economicamente
importante
come
l
'
Italia
non
può
restare
a
lungo
politicamente
inconsistente
senza
diventare
un
pericolo
per
sé
e
per
gli
altri
,
perché
nel
divario
tra
la
ricchezza
dell
'
economia
e
la
povertà
della
politica
si
insinuano
fatalmente
appetiti
e
timori
molteplici
,
e
dunque
rischi
di
lacerazioni
sempre
più
gravi
.
Per
ridurre
questo
scompenso
è
però
necessario
eliminarne
un
altro
:
quello
tra
la
domanda
civile
del
popolo
e
l
'
offerta
politica
del
Parlamento
.
La
crisi
italiana
è
illeggibile
se
si
seguono
solo
le
intenzioni
degli
eletti
e
le
soluzioni
che
ci
offrono
.
Ma
è
leggibilissima
se
si
guarda
agli
elettori
e
alla
lunga
marcia
che
hanno
intrapreso
per
uscire
dal
labirinto
in
cui
il
corso
impazzito
della
politica
li
ha
chiusi
insieme
ai
problemi
del
Paese
.
Nella
grande
confusione
resta
un
punto
fermo
che
non
si
può
ribaltare
:
il
18
aprile
.
StampaQuotidiana ,
Hong
Kong
,
18
.
La
Cina
si
è
fermata
.
Per
tre
commoventi
minuti
,
ottocento
milioni
di
cinesi
,
un
quarto
dell
'
umanità
,
sono
rimasti
immobili
,
sull
'
attenti
,
la
testa
china
,
moltissimi
in
lacrime
,
a
rendere
l
'
ultimo
omaggio
a
Mao
Tse
tung
.
Il
lavoro
,
il
traffico
e
tutte
le
attività
si
sono
bloccate
in
ogni
città
,
in
ogni
villaggio
del
paese
.
L
'
immenso
silenzio
caduto
sulla
Cina
,
unita
nel
ricordo
del
suo
Presidente
,
è
stato
rotto
dall
'
unisono
,
funereo
ululare
delle
sirene
dei
treni
,
delle
fabbriche
,
delle
navi
.
A
Pechino
un
milione
di
persone
,
scelte
dalle
varie
organizzazioni
rivoluzionarie
,
hanno
assistito
sulla
piazza
della
Pace
celeste
alla
cerimonia
che
ha
concluso
i
dieci
giorni
di
lutto
.
Sulla
spianata
di
cemento
nel
centro
della
capitale
,
coperta
da
uno
sterminato
tappeto
di
teste
immobili
,
spalla
a
spalla
,
soldati
dell
'
esercito
popolare
nelle
loro
uniformi
verdi
,
lavoratori
nelle
tute
blu
,
operaie
con
le
cuffie
bianche
,
studenti
coi
fazzoletti
rossi
attorno
al
collo
,
hanno
seguito
le
istruzioni
di
tacere
ed
inchinarsi
date
dal
giovane
vicepresidente
del
Partito
comunista
Wang
Hung
-
wen
che
presiedeva
il
rito
ed
hanno
ascoltato
il
discorso
commemorativo
pronunciato
dal
primo
ministro
e
primo
vicepresidente
del
PCC
,
Hua
Kuo
-
feng
.
Al
loro
fianco
,
su
un
rostro
costruito
significativamente
un
piano
più
basso
di
quello
dal
quale
era
solito
parlare
Mao
,
stavano
allineati
gli
altri
capi
del
partito
e
dello
Stato
.
In
sesta
posizione
,
uniforme
e
sciarpa
in
testa
,
stava
la
vedova
Ciang
Cing
.
Dal
pennone
sul
quale
Mao
nell
'
ottobre
1949
issò
per
la
prima
volta
i
colori
della
Repubblica
popolare
sventolava
a
mezz
'
asta
la
bandiera
rossa
a
cinque
stelle
,
mentre
gli
altoparlanti
spandevano
sull
'
intero
paese
le
note
della
marcia
funebre
,
dell
'
inno
nazionale
ed
infine
quelle
dell
'
Internazionale
.
Nelle
ore
precedenti
la
cerimonia
il
partito
,
l
'
esercito
e
la
milizia
popolare
-
incaricata
del
servizio
d
'
ordine
-
avevano
messo
in
guardia
contro
eventuali
provocazioni
o
incidenti
.
Non
ce
ne
sono
stati
.
Nella
accoppiata
Wang
Hung
-
wen
,
il
giovane
«
radicale
»
di
Shangai
,
e
Hua
Kuofeng
,
primo
ministro
non
identificato
con
nessuna
delle
due
correnti
in
cui
si
dividerebbe
il
partito
,
la
leadership
del
paese
ha
mostrato
per
il
momento
la
sua
unità
.
È
stato
questo
un
tema
che
Hua
ha
ripetuto
nel
suo
discorso
durato
venti
minuti
.
Citando
una
vecchia
frase
di
Mao
l
'
attuale
primo
ministro
e
numero
uno
del
paese
ha
detto
:
«
Dobbiamo
praticare
il
marxismo
e
non
il
revisionismo
,
dobbiamo
unirci
e
non
dividerci
.
Non
dobbiamo
perderci
in
complotti
o
congiure
»
.
Hua
Kuo
-
feng
ha
concluso
il
suo
discorso
con
quello
che
pur
in
termini
generali
sembra
essere
il
programma
politico
della
Cina
dopo
Mao
.
Questi
i
punti
principali
:
sul
piano
interno
:
-
continuare
la
lotta
di
classe
e
la
rivoluzione
sotto
la
dittatura
del
proletariato
;
-
approfondire
la
critica
di
Teng
Hsiao
-
ping
,
respingere
i
tentativi
di
deviazionismo
di
destra
e
combattere
il
revisionismo
;
-
lavorare
per
fare
del
paese
un
forte
Stato
socialista
;
-
liberare
Taiwan
.
Sul
piano
esterno
:
-
perseguire
l
'
internazionalismo
proletario
senza
cercare
l
'
egemonia
;
-
rafforzare
l
'
unione
coi
popoli
del
Terzo
mondo
e
le
nazioni
oppresse
;
-
formare
il
più
vasto
«
fronte
unito
»
possibile
contro
l
'
imperialismo
,
in
particolare
contro
l
'
egemonia
delle
due
superpotenze
,
Unione
Sovietica
e
Stati
Uniti
.
Hua
Kuo
-
feng
ha
concluso
dicendo
«
dobbiamo
unirci
con
tutti
i
partiti
genuinamente
marxisti
-
leninisti
ed
altre
organizzazioni
nel
mondo
per
condurre
una
lotta
comune
per
l
'
abolizione
del
sistema
di
sfruttamento
dell
'
uomo
sull
'
uomo
,
la
realizzazione
del
comunismo
nel
mondo
,
e
per
la
liberazione
di
tutta
l
'
umanità
»
.
Pur
in
questa
fraseologia
standard
di
ogni
leader
cinese
sembra
emergere
una
nota
di
moderazione
ed
una
indicazione
di
eventuali
novità
nei
rapporti
con
l
'
URSS
ed
i
partiti
«
revisionisti
»
occidentali
.
Gli
osservatori
di
cose
cinesi
fanno
notare
che
Unione
Sovietica
e
Stati
Uniti
vengono
di
nuovo
citati
come
nemici
dello
stesso
livello
(
e
non
più
l
'
URSS
«
nemico
numero
uno
»
come
avveniva
in
passato
)
;
inoltre
il
riferimento
ad
altre
«
organizzazioni
»
potrebbe
indicare
l
'
inizio
di
un
ripensamento
sul
ruolo
che
possono
svolgere
nel
mondo
occidentale
i
partiti
che
non
sono
,
almeno
nella
valutazione
cinese
,
«
genuinamente
marxisti
-
leninisti
»
.
Ed
è
presto
per
tirare
delle
conclusioni
.
Dal
discorso
di
Hua
-
che
certo
è
stato
preventivamente
approvato
dall
'
intero
Politburo
nelle
sue
componenti
«
radicale
»
e
«
moderata
»
-
per
il
momento
neppure
il
destino
della
salma
di
Mao
è
chiaro
.
Sembra
che
il
Presidente
avesse
espresso
il
desiderio
di
essere
cremato
,
come
è
stato
fatto
con
tutti
gli
altri
leaders
storici
del
paese
che
lo
hanno
preceduto
nella
morte
,
compreso
Ciu
En
-
lai
.
L
'
urna
delle
sue
ceneri
però
non
era
oggi
(
come
avvenne
nel
caso
degli
altri
)
sul
rostro
della
piazza
della
Pace
celeste
,
e
ciò
potrebbe
indicare
che
ci
sono
stati
ripensamenti
sull
'
esecuzione
della
volontà
di
Mao
su
questo
punto
.
Con
una
decisione
che
potrebbe
venir
giustificata
con
«
la
volontà
del
popolo
»
,
la
sua
salma
potrebbe
essere
conservata
così
come
l
'
abbiamo
vista
nei
giorni
scorsi
in
una
urna
di
vetro
e
potrebbe
divenire
la
meta
di
future
generazioni
in
un
mausoleo
eretto
in
suo
nome
,
come
è
avvenuto
per
Lenin
a
Mosca
e
per
Ho
Ci
-
min
ad
Hanoi
.
StampaQuotidiana ,
Gerusalemme
,
19
.
L
'
incontro
impossibile
è
avvenuto
.
L
'
egiziano
Sadat
ha
lasciato
per
davvero
le
sponde
del
Nilo
per
stringere
la
mano
all
'
israeliano
Begin
.
Il
capo
di
una
nazione
araba
ha
messo
piede
per
la
prima
volta
sul
territorio
dello
Stato
ebraico
.
È
accaduto
alle
18.59
(
ora
italiana
)
di
stasera
all
'
aeroporto
di
Tel
Aviv
presidiato
dall
'
esercito
,
illuminato
dai
riflettori
,
tra
i
suoni
delle
fanfare
e
le
salve
di
cannone
.
Affiancati
l
'
uno
all
'
altro
,
quasi
a
sfiorarsi
,
il
volto
color
cuoio
del
presidente
egiziano
,
figlio
di
un
arabo
e
d
'
una
nubiana
,
e
quello
asciutto
,
leggermente
abbronzato
,
del
primo
ministro
israeliano
,
nato
in
una
famiglia
askenazi
di
Brest
-
Litwosk
,
sono
rimbalzati
in
milioni
di
case
arabe
e
musulmane
,
sui
teleschermi
,
accendendo
speranze
e
timori
.
Perché
da
quest
'
appuntamento
precipitoso
e
al
tempo
stesso
solenne
può
infatti
nascere
una
pace
inedita
,
o
una
nuova
tragedia
.
Ai
piedi
della
scaletta
dell
'
aereo
presidenziale
,
Sadat
è
stato
accolto
dal
capo
dello
Stato
Ephraim
Katzir
e
da
Begin
.
I
tre
si
sono
stretti
la
mano
,
quindi
-
mentre
la
banda
intonava
gli
inni
dei
due
paesi
-
hanno
passato
in
rassegna
la
guardia
d
'
onore
.
Sadat
aveva
il
viso
grave
,
ma
subito
dopo
l
'
atmosfera
s
'
è
fatta
più
distesa
.
Il
Rais
ha
chiesto
di
Ariel
Sharon
(
il
generale
che
nel
'73
circondò
la
Terza
armata
egiziana
)
,
e
quando
questi
s
'
è
fatto
avanti
gli
ha
stretto
la
mano
.
Altre
strette
di
mano
con
Dayan
,
con
Golda
Meir
,
con
Eban
,
quindi
Sadat
e
Begin
hanno
preso
posto
nell
'
automobile
che
li
ha
condotti
a
Gerusalemme
.
Il
dialogo
era
cominciato
.
Il
cronista
stenta
a
distinguere
tra
gli
appunti
,
le
dichiarazioni
e
le
emozioni
,
le
incertezze
e
i
miraggi
degli
uni
e
degli
altri
.
L
'
impazienza
è
unanime
,
mentre
viene
annunciato
il
decollo
dell
'
aereo
dal
territorio
egiziano
.
I
minuti
scanditi
sulla
pista
d
'
arrivo
a
Tel
Aviv
nell
'
attesa
che
il
jet
di
Sadat
giunga
a
portata
dei
riflettori
.
I
dubbi
e
i
trionfalismi
.
I
sorprendenti
discorsi
sulla
«
tradizionale
fraternità
giudeo
-
araba
»
.
L
'
amico
egiziano
euforico
e
poi
smarrito
che
dice
:
«
La
pace
è
a
portata
di
mano
.
Ma
come
raggiungerla
?
»
.
L
'
amico
israeliano
che
sogna
già
«
un
'
alleanza
Egitto
-
Israele
,
capace
di
colmare
il
vuoto
lasciato
dal
crollo
dell
'
impero
ottomano
settant
'
anni
fa
»
.
È
la
tristezza
,
le
perplessità
degli
arabi
dei
territori
occupati
che
denunciano
il
tradimento
e
al
tempo
stesso
sognano
,
come
gli
altri
,
la
pace
.
Infine
lo
sportello
che
si
spalanca
.
La
sfida
di
Sadat
comincia
.
Prima
di
ritirarsi
nell
'
appartamento
reale
dell
'
hotel
King
David
,
dove
dormì
Richard
Nixon
,
il
presidente
egiziano
ha
già
avuto
un
primo
colloquio
con
Begin
.
Essi
tentano
con
impazienza
,
senza
aspettare
,
le
prime
analisi
.
Non
vi
è
alcun
dubbio
che
Sadat
,
domani
,
davanti
al
Parlamento
d
'
Israele
,
chiederà
il
ritiro
totale
degli
israeliani
dai
territori
occupati
nel
1967
,
durante
la
Guerra
dei
sei
giorni
.
Cosa
potrà
promettere
Begin
in
cambio
per
non
ferire
irrimediabilmente
l
'
insperato
interlocutore
arabo
?
Lasciarlo
partire
a
mani
vuote
sarebbe
condannarlo
politicamente
a
morte
.
Forse
negoziati
per
il
Sinai
o
per
il
Golan
.
Ma
la
Cisgiordania
,
necessaria
per
risolvere
il
dramma
palestinese
,
sembra
irrinunciabile
per
Gerusalemme
.
Carter
ha
telefonato
più
volte
in
questi
giorni
a
Sadat
e
a
Begin
per
raccomandare
la
prudenza
.
E
non
ha
risparmiato
i
consigli
:
niente
intese
separate
,
non
escludere
del
tutto
i
sovietici
senza
i
quali
nulla
può
essere
risolto
stabilmente
,
attenzione
ai
palestinesi
che
costituiscono
una
carica
esplosiva
impossibile
da
disinnescare
.
La
natura
dei
due
uomini
,
Sadat
e
Begin
,
e
le
trasformazioni
che
essi
hanno
attuato
nei
rispettivi
paesi
hanno
contribuito
a
rendere
possibile
quest
'
incontro
.
I
loro
predecessori
rappresentavano
quasi
religiosamente
storie
inconciliabili
.
Erano
appesantiti
da
carismi
diversi
per
origine
e
specie
.
Gamal
Nasser
era
prigioniero
di
un
socialismo
panarabo
puritano
,
era
ingabbiato
in
un
dogmatismo
al
quale
non
sfuggivano
neppure
Golda
Meir
,
sionista
vincolata
ai
principi
socialdemocratici
mitteleuropei
,
e
chi
poi
occupò
la
sua
poltrona
di
primo
ministro
a
Gerusalemme
.
Hanno
molti
più
punti
in
comune
i
nazionalismi
meno
sofisticati
e
quindi
più
pragmatisti
di
Menahem
Begin
,
ex
terrorista
dell
'
Irgun
e
sostenitore
del
«
grande
Israele
»
,
e
di
Anuar
Sadat
,
ufficiale
musulmano
e
repubblicano
che
quasi
svenne
per
l
'
emozione
nel
1952
,
accompagnando
il
destituito
monarca
Faruk
sulla
nave
dell
'
esilio
.
Anzitutto
Sadat
e
Begin
hanno
demolito
in
gran
fretta
le
istituzioni
o
i
sogni
socialisti
che
ancora
sopravvivevano
nelle
loro
capitali
.
Il
nazionalismo
grezzo
che
li
anima
rende
possibile
un
dialogo
su
basi
irrazionali
,
che
i
loro
predecessori
respingevano
a
priori
.
Nella
storia
contemporanea
non
era
mai
accaduto
che
il
capo
di
una
nazione
,
senza
aver
posto
fine
allo
stato
di
guerra
,
visitasse
ufficialmente
il
nemico
tra
suoni
di
fanfare
e
discorsi
fraterni
.
E
questo
è
già
paradossale
.
È
un
gesto
riassunto
in
un
'
ingenua
scritta
araba
ben
visibile
su
un
muro
della
vecchia
Gerusalemme
:
«
Evviva
Sadat
messaggero
di
pace
e
dio
della
guerra
»
.
È
un
gesto
al
tempo
stesso
drammatico
e
disperato
.
Israele
in
queste
ore
esulta
ma
trattiene
anche
il
respiro
non
riuscendo
a
capire
quel
che
accadrà
nell
'
immediato
futuro
,
una
volta
partito
Sadat
.
Sente
il
brontolio
del
mondo
arabo
in
preda
a
convulsioni
,
forse
meno
gravi
del
previsto
ma
suscettibili
di
deflagrazioni
delle
quali
è
difficile
oggi
immaginare
le
dimensioni
.
Questi
sentimenti
contraddittori
sono
palpabili
nei
territori
occupati
,
nella
Cisgiordania
che
il
primo
ministro
Begin
chiama
Giudea
e
Samaria
,
considerandole
biblicamente
province
dello
Stato
ebraico
.
Anche
là
,
come
a
Tripoli
e
a
Damasco
,
ma
sottovoce
,
Sadat
viene
accusato
di
spezzare
il
fronte
arabo
e
molti
sindaci
cristiani
e
musulmani
si
asterranno
domani
dal
rendere
omaggio
al
presidente
egiziano
,
davanti
alla
moschea
di
Al
Aqsa
,
dove
si
recherà
per
la
preghiera
di
primo
mattino
.
I
sindaci
musulmani
o
cristiano
-
progressisti
festeggeranno
la
ricorrenza
del
«
sacrificio
»
di
Abramo
nelle
loro
città
con
ufficiale
mestizia
.
Ma
l
'
ordine
di
sciopero
,
lanciato
dalle
massime
organizzazioni
palestinesi
è
rimasto
inascoltato
,
le
botteghe
si
sono
aperte
stamane
come
al
solito
e
non
soltanto
perché
le
autorità
di
Gerusalemme
avevano
minacciato
le
abituali
sanzioni
contro
i
commercianti
insubordinati
.
Mi
ha
detto
con
severa
tristezza
un
esponente
palestinese
:
«
Anche
noi
vogliamo
la
pace
come
Sadat
,
ma
non
al
prezzo
richiesto
dai
suoi
amici
israeliani
»
.
E
dalle
sue
parole
trapelava
un
'
emozione
in
cui
non
c
'
era
soltanto
lo
sdegno
dei
manifesti
clandestini
.
Affiorava
anche
una
certa
speranza
.
«
Sadat
osa
molto
.
Chissà
dove
vuole
arrivare
»
.
StampaQuotidiana ,
L
'
attesa
spasmodica
di
un
nuovo
comunicato
delle
BR
e
le
concitate
discussioni
su
come
ci
si
sarebbe
comportati
in
quel
caso
hanno
portato
la
stampa
a
reagire
in
modo
contraddittorio
.
C
'
è
stato
chi
non
ha
riportato
il
comunicato
,
ma
non
ha
potuto
evitare
di
pubblicizzarlo
con
titoli
a
piena
pagina
;
chi
l
'
ha
riportato
,
ma
in
caratteri
così
piccoli
da
privilegiare
solo
i
lettori
con
dieci
decimi
di
vista
(
discriminazione
inaccettabile
)
.
Quanto
al
contenuto
anche
qui
la
reazione
è
stata
imbarazzata
,
perché
tutti
si
attendevano
inconsciamente
un
testo
disseminato
di
«
ach
so
!
»
o
di
parole
con
cinque
consonanti
di
seguito
,
così
da
tradire
subito
la
mano
del
terrorista
tedesco
o
dell
'
agente
cecoslovacco
,
e
invece
ci
si
è
trovati
di
fronte
a
una
lunga
argomentazione
politica
.
Che
di
argomentazione
si
trattasse
non
è
sfuggito
a
nessuno
e
ai
più
acuti
è
apparso
anche
che
era
una
argomentazione
diretta
non
al
«
nemico
»
,
ma
agli
amici
potenziali
,
per
dimostrare
che
le
BR
non
sono
un
manipolo
di
disperati
che
menano
colpi
a
vuoto
,
ma
vanno
viste
come
l
'
avanguardia
di
un
movimento
che
si
giustifica
proprio
sullo
sfondo
della
situazione
internazionale
.
Se
così
stanno
le
cose
,
non
si
reagisce
affermando
soltanto
che
il
comunicato
è
farneticante
,
delirante
,
fumoso
,
folle
.
Esso
va
analizzato
con
calma
e
attenzione
;
solo
così
si
potrà
chiarire
dove
il
comunicato
,
che
parte
da
premesse
abbastanza
lucide
,
manifesta
la
fatale
debolezza
teorica
e
pratica
delle
BR
.
Dobbiamo
avere
il
coraggio
di
dire
che
questo
«
delirante
»
messaggio
contiene
una
premessa
molto
accettabile
e
traduce
,
sia
pure
in
modo
un
po
'
abborracciato
,
una
tesi
che
tutta
la
cultura
europea
e
americana
,
dagli
studenti
del
'68
ai
teorici
della
«
Monthly
Review
»
,
sino
ai
partiti
di
sinistra
ripetono
da
tempo
.
E
dunque
se
«
paranoia
»
c
'
è
,
non
è
nelle
premesse
ma
,
come
vedremo
,
nelle
conclusioni
pratiche
che
se
ne
traggono
.
Non
mi
pare
il
caso
di
sorridere
sul
delirio
del
cosiddetto
SIM
ovvero
Stato
Imperialistico
delle
Multinazionali
.
Magari
il
modo
in
cui
è
rappresentato
è
un
po
'
folkloristico
,
ma
nessuno
si
nasconde
che
la
politica
internazionale
planetaria
non
è
più
determinata
dai
singoli
governi
ma
appunto
da
una
rete
d
'
interessi
produttivi
(
e
chiamiamola
pure
la
rete
delle
Multinazionali
)
la
quale
decide
delle
politiche
locali
,
delle
guerre
e
delle
paci
e
-
essa
-
stabilisce
í
rapporti
tra
mondo
capitalistico
,
Cina
,
Russia
e
Terzo
Mondo
.
Caso
mai
è
interessante
che
le
BR
abbiano
abbandonato
la
loro
mitologia
alla
Walt
Disney
,
per
cui
da
una
parte
c
'
era
un
capitalista
cattivo
individuale
chiamato
Paperon
de
'
Paperoni
e
dall
'
altra
la
Banda
Bassotti
,
canagliesca
e
truffaldina
è
vero
,
ma
con
una
sua
carica
estrosa
di
simpatia
perché
svaligiava
a
suono
di
espropri
proletari
il
capitalista
avaraccio
ed
egoista
.
Il
gioco
della
Banda
Bassotti
l
'
avevano
giocato
i
tupamaros
uruguayani
,
convinti
che
i
Paperoni
del
Brasile
e
dell
'
Argentina
si
sarebbero
seccati
e
avrebbero
trasformato
l
'
Uruguay
in
un
secondo
Viet
Nam
,
mentre
i
cittadini
,
condotti
a
simpatizzare
coi
Bassotti
,
si
sarebbero
trasformati
in
tanti
vietcong
.
Il
gioco
non
è
riuscito
perché
il
Brasile
non
si
è
mosso
e
le
Multinazionali
,
che
avevano
da
produrre
e
da
vendere
nel
Cono
Sur
,
hanno
lasciato
tornare
Perón
in
Argentina
,
hanno
diviso
le
forze
rivoluzionarie
o
guerrigliere
,
hanno
permesso
che
Perón
e
i
suoi
discendenti
sprofondassero
nella
merda
fino
al
collo
,
e
a
quel
punto
i
montoneros
più
svelti
se
ne
sono
fuggiti
in
Spagna
e
i
più
idealisti
ci
hanno
rimesso
la
pelle
.
È
proprio
perché
esiste
il
potere
delle
Multinazionali
(
ci
siamo
dimenticati
del
Cile
?
)
che
l
'
idea
di
rivoluzione
alla
Che
Guevara
è
diventata
impossibile
.
Si
fa
la
rivoluzione
in
Russia
mentre
tutti
gli
Stati
europei
sono
impegnati
in
una
guerra
mondiale
;
si
organizza
la
lunga
marcia
in
Cina
quando
tutto
il
resto
del
mondo
ha
altro
a
cui
pensare
...
Ma
quando
si
vive
in
un
universo
in
cui
un
sistema
d
'
interessi
produttivi
si
avvale
dell
'
equilibrio
atomico
per
imporre
una
pace
che
fa
comodo
a
tutti
e
manda
per
il
cielo
satelliti
che
si
sorvegliano
a
vicenda
,
a
questo
punto
la
rivoluzione
nazionale
non
la
si
fa
più
,
perché
tutto
è
deciso
altrove
.
Il
compromesso
storico
da
una
parte
e
il
terrorismo
dall
'
altra
rappresentano
due
risposte
(
ovviamente
antitetiche
)
a
questa
situazione
.
L
'
idea
confusa
che
muove
il
terrorismo
è
un
principio
molto
moderno
e
molto
capitalistico
(
rispetto
a
cui
il
marxismo
classico
si
è
trovato
impreparato
)
di
Teoria
dei
Sistemi
.
I
grandi
sistemi
non
hanno
testa
,
non
hanno
protagonisti
e
non
vivono
neppure
sull
'
egoismo
individuale
.
Quindi
non
si
colpiscono
uccidendone
il
Re
,
ma
rendendoli
instabili
attraverso
gesti
di
disturbo
che
si
avvalgono
proprio
della
loro
logica
:
se
esiste
una
fabbrica
interamente
automatizzata
,
essa
non
sarà
disturbata
dalla
morte
del
padrone
ma
solo
da
una
serie
d
'
informazioni
aberranti
inserite
qua
e
là
,
che
rendano
difficile
il
lavoro
dei
computers
che
la
reggono
.
Il
terrorismo
moderno
finge
(
o
crede
)
di
avere
meditato
Marx
,
ma
in
effetti
,
anche
per
vie
indirette
,
ha
meditato
Norbert
Wiener
da
un
lato
e
la
letteratura
di
fantascienza
dall
'
altro
.
Il
problema
è
che
non
l
'
ha
meditata
abbastanza
-
né
ha
studiato
a
sufficienza
cibernetica
.
Prova
ne
sia
che
in
tutta
la
loro
propaganda
precedente
le
BR
parlavano
ancora
di
«
colpire
il
cuore
dello
Stato
»
,
coltivando
da
un
lato
la
nozione
ancora
ottocentesca
di
Stato
e
dall
'
altro
l
'
idea
che
l
'
avversario
avesse
un
cuore
o
una
testa
,
così
come
nelle
battaglie
di
un
tempo
,
se
si
riusciva
a
colpire
il
Re
,
che
cavalcava
davanti
alle
truppe
,
l
'
esercito
nemico
era
demoralizzato
e
distrutto
.
Nell
'
ultimo
volantino
le
BR
abbandonano
l
'
idea
di
cuore
,
di
Stato
,
di
capitalista
cattivo
,
di
ministro
«
boia
»
.
Adesso
l
'
avversario
è
il
sistema
delle
Multinazionali
,
di
cui
Moro
è
un
commesso
,
al
massimo
un
depositario
di
informazioni
.
Qual
è
allora
l
'
errore
di
ragionamento
(
teorico
e
pratico
)
che
a
questo
punto
commettono
le
BR
,
specie
quando
si
appellano
,
contro
la
multinazionale
del
capitale
,
alla
multinazionale
del
terrorismo
?
Prima
ingenuità
.
Una
volta
colta
l
'
idea
dei
grandi
sistemi
,
li
si
mitologizza
di
nuovo
ritenendo
che
essi
abbiano
«
piani
segreti
»
di
cui
Moro
sarebbe
uno
dei
depositari
.
In
realtà
i
grandi
sistemi
non
hanno
nulla
di
segreto
e
si
sa
benissimo
come
funzionano
.
Se
l
'
equilibrio
multinazionale
sconsiglia
la
formazione
di
un
governo
di
sinistra
in
Italia
,
è
puerile
pensare
che
si
invii
a
Moro
una
velina
in
cui
gli
si
insegna
come
sconfiggere
la
classe
operaia
.
Basta
(
si
fa
per
dire
)
provocare
qualcosa
in
Sudafrica
,
sconvolgere
il
mercato
dei
diamanti
a
Amsterdam
,
influenzare
il
corso
del
dollaro
,
ed
ecco
che
la
lira
entra
in
crisi
.
Seconda
ingenuità
.
Il
terrorismo
non
è
il
nemico
dei
grandi
sistemi
,
ne
è
al
contrario
la
contropartita
naturale
,
accettata
,
prevista
.
Il
sistema
delle
Multinazionali
non
può
vivere
in
una
economia
di
guerra
mondiale
(
e
atomica
per
giunta
)
,
ma
sa
che
non
può
nemmeno
ridurre
le
spinte
naturali
dell
'
aggressività
biologica
o
l
'
insofferenza
di
popoli
o
di
gruppi
.
Per
questo
accetta
piccole
guerre
locali
,
che
verranno
di
volta
in
volta
disciplinate
e
ridotte
da
oculati
interventi
internazionali
,
e
dall
'
altro
lato
accetta
appunto
il
terrorismo
.
Una
fabbrica
qua
,
una
fabbrica
là
,
sconvolte
da
qualche
sabotaggio
,
ma
il
sistema
può
andare
avanti
.
Un
aereo
dirottato
ogni
tanto
,
ci
perdono
per
una
settimana
le
compagnie
aeree
,
ma
in
compenso
ci
guadagnano
le
catene
giornalistiche
e
televisive
.
Inoltre
il
terrorismo
serve
a
dare
una
ragion
d
'
essere
alle
polizie
e
agli
eserciti
,
che
a
lasciarli
inoperosi
chiedono
poi
di
realizzarsi
in
qualche
conflitto
più
allargato
.
Infine
il
terrorismo
serve
a
favorire
interventi
disciplinanti
là
dove
un
eccesso
di
democrazia
rende
la
situazione
poco
governabile
.
Il
capitalista
«
nazionale
»
alla
Paperon
de
'
Paperoni
teme
la
rivolta
,
il
furto
e
la
rivoluzione
che
gli
sottraggono
i
mezzi
di
produzione
.
Il
capitalismo
moderno
,
che
investe
in
paesi
diversi
,
ha
sempre
uno
spazio
di
manovra
abbastanza
ampio
per
poter
sopportare
l
'
attacco
terroristico
in
un
punto
,
due
punti
,
tre
punti
isolati
.
Poiché
è
senza
testa
e
senza
cuore
,
il
sistema
manifesta
un
'
incredibile
capacità
di
rimarginazione
e
di
riequilibrio
.
Dovunque
venga
colpito
,
sarà
sempre
alla
sua
periferia
.
Se
poi
il
presidente
degli
industriali
tedeschi
ci
rimette
la
pelle
,
sono
incidenti
statisticamente
accettabili
,
come
la
mortalità
sulle
autostrade
.
Per
il
resto
(
e
lo
si
era
descritto
da
tempo
)
si
procede
a
una
medievalizzazione
del
territorio
,
con
castelli
fortificati
e
grandi
apparati
residenziali
con
guardie
private
e
cellule
fotoelettriche
.
L
'
unico
incidente
serio
sarebbe
un
'
insorgenza
terroristica
diffusa
su
tutto
il
territorio
mondiale
,
un
terrorismo
di
massa
(
come
le
BR
paiono
invocare
)
:
ma
il
sistema
delle
multinazionali
«
sa
»
(
per
quanto
un
sistema
possa
«
sapere
»
)
che
questa
ipotesi
è
da
escludersi
.
Il
sistema
delle
multinazionali
non
manda
i
bambini
in
miniera
:
il
terrorista
è
colui
che
non
ha
più
nulla
da
perdere
se
non
le
proprie
catene
,
ma
il
sistema
gestisce
le
cose
in
modo
che
,
salvo
gli
emarginati
inevitabili
,
tutti
gli
altri
abbiano
qualcosa
da
perdere
in
una
situazione
di
terrorismo
generalizzato
.
Sa
che
quando
il
terrorismo
,
al
di
là
di
qualche
azione
pittoresca
,
comincerà
a
rendere
troppo
inquieta
la
giornata
quotidiana
delle
masse
,
le
masse
faranno
barriera
contro
il
terrorismo
.
Che
cos
'
è
che
il
sistema
delle
multinazionali
vede
invece
di
malocchio
,
come
si
è
dimostrato
negli
ultimi
tempi
?
Che
di
colpo
,
ad
esempio
,
in
Spagna
,
in
Italia
e
in
Francia
,
vadano
al
potere
partiti
che
hanno
dietro
di
sé
le
organizzazioni
operaie
.
Per
«
corrompibili
»
che
siano
questi
partiti
,
il
giorno
che
le
organizzazioni
di
massa
metteranno
il
naso
nella
gestione
internazionale
del
capitale
,
potrebbero
sorgerne
dei
disturbi
.
Non
è
che
le
multinazionali
morirebbero
se
Marchais
andasse
al
posto
di
Giscard
,
ma
tutto
diventerebbe
più
difficile
.
È
pretestuosa
la
preoccupazione
per
cui
i
comunisti
al
potere
conoscerebbero
i
segreti
della
NATO
(
segreti
di
Pulcinella
)
:
la
vera
preoccupazione
del
sistema
delle
Multinazionali
(
e
lo
dico
con
molta
freddezza
,
non
simpatizzando
col
compromesso
storico
così
come
ci
viene
oggi
proposto
)
è
che
il
controllo
dei
partiti
popolari
disturbi
una
gestione
del
potere
che
non
può
permettersi
i
tempi
morti
delle
verifiche
alla
base
.
Il
terrorismo
invece
preoccupa
molto
meno
,
perché
delle
multinazionali
è
conseguenza
biologica
,
così
come
un
giorno
di
febbre
è
il
prezzo
ragionevole
per
un
vaccino
efficiente
.
Se
le
BR
hanno
ragione
nella
loro
analisi
di
un
governo
mondiale
delle
multinazionali
,
allora
devono
riconoscere
che
esse
,
le
BR
,
ne
sono
la
controparte
naturale
e
prevista
.
Esse
devono
riconoscere
che
stanno
recitando
un
copione
già
scritto
dai
loro
presunti
nemici
.
Invece
,
dopo
di
aver
scoperto
,
sia
pure
rozzamente
,
un
importante
principio
di
logica
dei
sistemi
,
le
BR
rispondono
con
un
romanzo
d
'
appendice
ottocentesco
fatto
di
vendicatori
e
giustizieri
bravi
e
efficienti
come
il
conte
di
Montecristo
.
Ci
sarebbe
da
ridere
,
se
questo
romanzo
non
fosse
scritto
col
sangue
.
La
lotta
è
tra
grandi
forze
,
non
tra
demoni
ed
eroi
.
Sfortunato
allora
quel
popolo
che
si
trova
tra
i
piedi
gli
«
eroi
»
,
specie
se
costoro
pensano
ancora
in
termini
religiosi
e
coinvolgono
il
popolo
nella
loro
sanguinosa
scalata
ad
un
paradiso
disabitato
.
StampaQuotidiana ,
Fra
i
capi
storici
del
comunismo
,
il
presidente
a
vita
o
«
re
proletario
»
della
Jugoslavia
è
stato
il
più
longevo
e
resistente
al
potere
.
È
sopravvissuto
a
Stalin
,
Mao
Tse
-
tung
,
Ho
Chi
Minh
.
Ha
tutelato
con
la
sua
patriarcale
autorità
la
coesione
del
federalismo
jugoslavo
,
quel
mosaico
etnico
-
economico
che
unisce
regioni
già
governate
dall
'
impero
austro
-
ungarico
e
regioni
già
tributarie
dell
'
impero
ottomano
.
Ha
garantito
la
resistenza
dell
'
eresia
jugosocialista
,
che
aprì
la
serie
delle
insubordinazioni
alla
legge
del
blocco
sovietico
.
Lo
scisma
titoista
,
nel
1948
,
coincise
con
la
prima
guerra
fredda
.
Ora
Josip
Broz
Tito
,
che
osò
ribellarsi
a
Stalin
e
al
Cominform
,
abbandona
la
scena
mentre
comincia
forse
la
seconda
guerra
fredda
.
Potrà
reggersi
il
titoismo
senza
Tito
?
La
successione
sarà
collegiale
.
Tito
ha
predisposto
una
specie
di
«
legge
salica
»
dello
jugosocialismo
,
per
cui
la
presidenza
del
Presidium
eletto
dall
'
assemblea
federale
dovrebbe
ruotare
ogni
anno
tra
i
suoi
nove
membri
,
un
rappresentante
per
ogni
repubblica
(
Bosnia
-
Erzegovina
,
Croazia
,
Macedonia
,
Montenegro
,
Slovenia
,
Serbia
)
o
provincia
autonoma
(
Kosovo
,
Vojvodina
)
e
il
presidente
della
Lega
dei
comunisti
jugoslavi
.
Ma
rimane
affidata
al
corso
degli
eventi
la
distribuzione
del
potere
reale
tra
personaggi
d
'
influenza
variabile
come
Bakaric
,
Dolanc
,
Stambolic
,
Minic
,
Grlichov
,
Zarkovic
,
Ljubicic
,
Vrhonic
,
Kolisevski
.
E
se
il
Presidium
fosse
discorde
,
fra
contrasti
d
'
interessi
e
spinte
centrifughe
,
non
si
sa
con
quali
mezzi
potrebbe
presiederlo
per
esempio
il
rappresentante
di
Kosovo
,
«
un
albanese
»
.
Il
parziale
benessere
della
Jugoslavia
,
almeno
al
confronto
con
le
nazioni
del
Comecon
o
SEV
,
è
oggi
minacciato
dall
'
iperinflazione
cronica
.
Negli
ultimi
decenni
un
rapido
sviluppo
industriale
ha
scavato
«
un
tunnel
nel
Medioevo
balcanico
»
,
ma
l
'
assetto
dell
'
economia
è
ancora
fragile
.
Tra
pianificazione
e
meccanismi
di
mercato
,
miti
e
delusioni
dell
'
autogestione
socialista
,
deficit
della
bilancia
valutaria
e
arretratezze
tecnologiche
,
migrazioni
di
massa
e
disoccupazione
,
il
divario
tra
il
Nord
«
austro
-
ungarico
»
e
il
Sud
«
ottomano
»
aumenta
anziché
ridursi
.
Rimane
l
'
egemonia
industriale
sloveno
-
croata
sulle
regioni
che
hanno
appena
sostituito
il
cavallo
-
elettricità
al
cavallo
-
cavallo
,
anche
se
per
esempio
i
croati
lamentano
che
il
6
per
cento
del
loro
reddito
di
trent
'
anni
è
stato
requisito
a
vantaggio
del
Sud
.
Qui
può
innescarsi
la
reviviscenza
dei
nazionalismi
come
forze
centrifughe
.
Sulle
frontiere
orientali
,
la
sola
nazione
amica
è
la
Romania
,
oltre
le
Porte
di
Ferro
.
Se
le
antiche
ostilità
tra
le
etnie
oggi
federate
dovessero
un
giorno
riemergere
,
con
l
'
additivo
delle
nuove
contraddizioni
economiche
,
aprirebbero
un
varco
sicuro
alle
pressioni
del
blocco
sovietico
.
Già
l
'
URSS
,
attraverso
gli
scambi
economici
,
tenta
di
guadagnare
influenza
nelle
Repubbliche
del
Sud
.
Già
la
Bulgaria
ritorna
a
periodi
alterni
sulla
questione
macedone
,
mentre
il
quindicesimo
volume
dell
'
enciclopedia
sovietica
non
menziona
in
alcun
modo
l
'
esistenza
della
Repubblica
jugoslava
di
Macedonia
.
Già
nel
'74
fu
inquietante
l
'
episodio
di
quei
gruppi
filosovietici
,
che
nel
Sud
serbo
-
montenegrino
avevano
costituito
un
partito
clandestino
con
diramazioni
nell
'
URSS
e
materiali
stampati
in
Ungheria
.
Come
appare
da
un
documento
essenziale
qual
è
il
diario
di
Veljko
Miciunovich
,
per
lungo
tempo
ambasciatore
a
Mosca
,
lo
scisma
del
'48
non
è
stato
mai
assolto
veramente
dai
sovietici
.
Allo
stesso
modo
,
nei
tempi
delle
guerre
di
religione
in
Europa
,
nessun
compromesso
poteva
far
dimenticare
i
dissidi
originari
che
avevano
suscitato
decenni
di
conflitti
e
stragi
.
Tuttora
non
si
sa
quanti
furono
,
da
Sofia
a
Praga
e
da
Budapest
a
Varsavia
,
i
sospetti
di
titoismo
fucilati
negli
ultimi
anni
di
Stalin
,
o
i
seguaci
del
Cominform
fucilati
in
Jugoslavia
.
I
sovietici
non
hanno
mai
rinunciato
a
immaginare
che
senza
lo
scisma
e
l
'
asilo
eretico
della
Jugoslavia
non
avrebbero
dovuto
fronteggiare
i
moti
polacchi
,
la
rivolta
ungherese
,
il
revisionismo
cecoslovacco
,
il
separatismo
romeno
.
E
così
oggi
,
mentre
comincia
la
seconda
guerra
fredda
,
non
rinunciano
a
pensare
che
la
condanna
dell
'
intervento
in
Afghanistan
non
sarebbe
stata
votata
da
104
nazioni
dell
'
ONU
senza
il
pronunciamento
della
Jugoslavia
e
la
sua
influenza
nel
Terzo
Mondo
.
Prima
o
poi
,
nessuno
a
Belgrado
ne
dubita
,
l
'
URSS
tenterà
il
recupero
della
Jugoslavia
,
focolaio
d
'
ogni
dissidenza
per
il
mondo
sovietico
e
base
di
transito
d
'
un
possibile
sbocco
nel
Mediterraneo
.
La
riconquista
non
avverrà
necessariamente
secondo
lo
scenario
della
Cecoslovacchia
,
poiché
un
'
invasione
potrebbe
rinsaldare
la
coesione
anziché
far
leva
sulle
discordie
.
Questo
teatro
naturale
di
guerriglia
fra
le
montagne
di
Serbia
e
Croazia
non
è
la
Cecoslovacchia
,
né
lo
sperduto
Afghanistan
.
«
I
nostri
otto
milioni
di
guerriglieri
territoriali
»
ricordava
il
generale
Stev
Ilic
,
dirigente
della
scuola
di
guerra
«
possono
equivalere
a
una
bomba
atomica
.
»
L
'
intervento
potrebbe
passare
«
sotto
»
le
frontiere
più
facilmente
che
«
sopra
»
,
utilizzando
le
contraddizioni
fra
le
sei
repubbliche
e
le
due
province
autonome
della
Serbia
.
Come
programma
minimo
,
la
destabilizzazione
del
federalismo
jugoslavo
sarebbe
rivolta
a
instaurare
due
sfere
d
'
interessi
,
il
Sud
fino
al
Basso
Adriatico
quale
zona
d
'
influenza
sovietica
e
il
Nord
quale
zona
d
'
influenza
occidentale
,
il
resto
dello
scenario
sarebbe
affidato
alle
svalutazioni
del
dinaro
,
alle
manovre
del
KGB
di
Jurij
Andropov
,
alla
«
crisi
epocale
»
dell
'
Occidente
.
Insomma
sono
passati
gli
Zar
,
Lenin
,
Stalin
,
Kruscev
,
Breznev
,
e
ancora
una
volta
i
«
grandi
russi
»
premono
sulla
Serbia
.
Continuità
o
stabilità
?
Finora
il
confine
tra
l
'
Ovest
e
l
'
Est
non
è
a
Muggia
,
ma
sul
Danubio
.
Mentre
in
massima
parte
le
importazioni
jugoslave
di
macchinari
industriali
provengono
dalla
CEE
e
un
milione
sui
ventidue
milioni
di
jugoslavi
sono
emigrati
nella
CEE
,
la
Repubblica
federativa
gravita
verso
l
'
Europa
occidentale
.
I
successori
di
Tito
affermano
che
niente
potrà
cambiare
.
Ma
da
vent
'
anni
a
Belgrado
ricorre
anche
il
detto
:
«
Solo
un
ingenuo
può
fare
domande
sul
"
dopo
Tito
"
,
e
solo
un
pazzo
potrebbe
rispondere
»
.
Quanto
maggiori
sono
le
pubbliche
rassicurazioni
,
tanto
più
numerose
le
incognite
.
È
certo
solo
che
se
l
'
ipotesi
della
destabilizzazione
dovesse
prevalere
,
in
Italia
avremmo
ciò
che
si
chiama
«
una
poltrona
di
prima
fila
per
il
prossimo
dramma
della
storia
»
.
StampaQuotidiana ,
Roma
.
Doveva
arrivare
,
questo
18
aprile
a
piazza
del
Gesù
,
ma
nessuno
lo
immaginava
così
carico
d
'
angoscia
,
così
straziato
fra
notizie
vere
e
notizie
incerte
,
così
crudele
nell
'
alternarsi
dei
messaggi
di
morte
e
dei
lampi
di
speranza
.
La
prima
telefonata
,
alle
10.30
,
è
di
Lettieri
,
sottosegretario
all
'
Interno
:
c
'
è
l
'
ultimo
comunicato
delle
Brigate
Rosse
,
Moro
è
stato
assassinato
.
Zaccagnini
ascolta
,
con
lui
c
'
è
soltanto
Pisanu
,
il
capo
della
sua
segreteria
politica
.
E
noi
,
adesso
,
siamo
tutti
qui
col
taccuino
in
mano
,
a
torchiare
Pisanu
,
per
sapere
le
solite
cose
inutili
e
un
po
'
feroci
.
Com
'
era
Zac
?
Che
cosa
ha
fatto
Zac
?
Che
cosa
ha
mormorato
Zac
?
Pisanu
ci
fissa
senza
vederci
,
poi
replica
:
«
Zaccagnini
non
ha
detto
niente
»
.
Subito
dopo
,
il
segretario
della
DC
chiama
gli
amici
che
in
quel
momento
stanno
a
piazza
del
Gesù
:
Bodrato
,
Galloni
,
Belci
,
Cavina
.
Ed
è
su
di
loro
che
cade
la
prima
mezza
conferma
del
Viminale
:
gli
esperti
dicono
che
quel
foglio
ricevuto
dal
«
Messaggero
»
può
essere
autentico
.
È
la
notizia
che
apprendono
anche
Salvi
e
il
ministro
della
Sanità
,
Tina
Anselmi
,
accorsi
dopo
le
prime
voci
.
Si
mette
in
moto
un
frenetico
meccanismo
di
accertamento
,
e
intanto
l
'
Anselmi
corre
dalla
famiglia
Moro
.
La
vediamo
uscire
stravolta
,
non
vuoi
dir
nulla
,
sale
in
silenzio
su
di
un
tassì
che
parte
per
via
di
Forte
Trionfale
.
Alle
12.30
anche
Zaccagnini
lascia
piazza
del
Gesù
per
la
casa
dell
'
amico
.
E
terreo
,
entra
nell
'
Alfetta
e
si
abbandona
sullo
schienale
,
ad
occhi
chiusi
.
Con
lui
ci
sono
Salvi
e
il
medico
personale
di
Moro
,
il
professor
Mario
Giacovazzo
.
Qualcuno
di
noi
dice
:
«
Forse
il
corpo
è
stato
trovato
,
oppure
il
Viminale
ha
una
prova
che
l
'
assassinio
è
avvenuto
»
.
In
realtà
,
non
esistono
né
prove
né
conferme
.
I
capi
democristiani
che
in
questo
tragico
18
aprile
accorrono
alla
sede
del
partito
,
ne
sanno
quanto
noi
.
Arriva
Emilio
Colombo
e
allarga
le
braccia
in
un
gesto
disperato
:
«
Ho
saputo
soltanto
che
esiste
un
volantino
»
.
Forlani
:
«
Non
so
niente
»
.
Rumor
:
«
Ho
ascoltato
la
radio
e
mi
sono
precipitato
qui
»
.
Dall
'
ufficio
del
segretario
scende
Mario
Segni
,
deputato
sardo
:
«
Non
ci
sono
prove
,
ma
la
tendenza
è
di
credere
a
quel
messaggio
»
.
Poco
dopo
l
'
una
,
esce
anche
Evangelisti
,
cupo
come
mai
l
'
avevamo
visto
:
«
Abbiamo
questa
drammatica
certezza
nel
cuore
.
Ma
fino
a
quando
i
sommozzatori
non
saranno
scesi
sul
fondo
di
quel
lago
,
la
certezza
matematica
non
ci
sarà
»
.
Passano
Andreatta
e
Grassini
,
e
non
domandano
nulla
.
Trascorre
un
'
ora
vuota
.
Poi
Pisanu
dice
:
«
Vi
ripeto
che
quel
volantino
sembra
autentico
.
Aspettiamo
un
riscontro
certo
di
questa
sciagurata
notizia
e
viviamo
tutti
nell
'
angoscia
»
.
Il
centralino
è
sovraccarico
di
telefonate
,
la
periferia
del
partito
ha
saputo
e
da
tutta
Italia
chiamano
Roma
.
Ma
Roma
non
è
in
grado
di
dire
nulla
.
E
nulla
dice
Zaccagnini
al
suo
ritorno
da
casa
Moro
:
una
visita
brevissima
,
non
più
di
dieci
minuti
.
Lo
vediamo
uscire
dall
'
auto
un
po
'
barcollante
e
vien
freddo
a
pensare
che
cosa
íl
segretario
deve
aver
visto
e
sentito
in
quella
casa
.
Come
in
un
brutto
giallo
,
il
bianco
e
il
nero
s
'
intrecciano
,
si
sovrappongono
,
si
annullano
.
Evangelisti
,
di
ritorno
da
Palazzo
Chigi
,
dice
:
«
Il
luogo
indicato
dal
messaggio
è
impervio
.
Ci
vorranno
ore
per
raggiungerlo
»
.
Bartolomei
,
il
presidente
dei
senatori
,
s
'
aggrappa
ad
una
speranza
:
«
Alla
procura
della
Repubblica
hanno
dei
dubbi
.
E
se
fosse
soltanto
una
beffa
crudele
?
»
.
Evangelisti
:
«
Dubbi
?
Magari
,
magari
»
.
Piccoli
:
«
Il
volantino
sembra
autentico
.
Gli
elicotteri
sono
sul
posto
,
ma
c
'
è
molta
neve
e
non
possono
atterrare
accanto
al
lago
»
.
La
stessa
notizia
ci
dà
alle
14.30
,
Andreotti
:
«
Sarà
un
lavoro
di
ricerca
piuttosto
lungo
»
.
Si
rifiuta
di
rispondere
ad
altre
domande
e
sale
nell
'
ufficio
di
Zac
.
Due
minuti
dopo
,
entrano
a
piazza
del
Gesù
Berlinguer
e
Chiaromonte
.
Al
secondo
piano
,
c
'
è
un
incontro
fra
gli
esponenti
comunisti
e
Andreotti
,
Galloni
e
il
segretario
democristiano
.
Il
colloquio
dura
una
ventina
di
minuti
,
poi
il
segretario
del
PCI
ridiscende
.
Dice
:
«
Siamo
venuti
qui
a
portare
la
nostra
solidarietà
a
Zaccagnini
e
alla
DC
»
.
Poi
,
con
Chiaromonte
,
si
fa
largo
tra
la
gente
e
s
'
incammina
per
via
d
'
Aracoeli
,
diretto
alle
vicinissime
Botteghe
Oscure
.
Cinque
uomini
del
servizio
d
'
ordine
comunista
lo
circondano
e
lo
accompagnano
,
passo
dopo
passo
.
Inutile
fare
altre
domande
.
Il
viso
di
Berlinguer
è
una
maschera
tesa
,
silenziosa
.
Il
pomeriggio
si
consuma
senza
novità
.
Il
lago
della
Duchessa
sembra
un
posto
lontanissimo
e
irraggiungibile
.
Vito
Napoli
deputato
della
Calabria
,
mormora
:
«
Non
facciamoci
illusioni
.
Moro
è
lassù
ed
è
morto
.
Qui
non
c
'
è
aria
di
scoramento
,
ma
dolore
e
rabbia
,
questo
sì
»
.
Evangelisti
:
«
Mago
è
gelato
e
le
ricerche
sono
difficili
»
.
Da
casa
Moro
rientra
l
'
Anselmi
e
passa
tra
la
gente
piangendo
.
Poco
prima
delle
17
,
un
portavoce
della
segreteria
dice
:
«
Sin
a
questo
momento
,
piazza
del
Gesù
non
ha
la
certezza
che
Moro
sia
morto
»
.
Non
è
possibile
che
il
volantino
sia
un
diversivo
delle
Brigate
Rosse
per
potere
«
operare
»
con
calma
in
un
'
altra
zona
?
«
È
un
'
ipotesi
.
Ma
che
cosa
possiamo
saperne
?
»
Pisanu
riferisce
di
una
telefonata
del
vicesegretario
Gaspari
,
da
due
ore
sul
luogo
indicato
nel
messaggio
:
«
La
lastra
di
ghiaccio
che
copre
il
lago
sembra
intatta
,
e
non
presenta
gibbosità
.
Sembra
da
escludere
che
un
corpo
di
un
certo
peso
possa
esservi
stato
gettato
fra
ieri
e
oggi
»
.
Le
stesse
cose
Zaccagnini
dice
a
La
Malfa
e
al
segretario
repubblicano
Biasini
che
in
quel
momento
arrivano
alla
sede
DC
.
E
poco
dopo
,
questo
18
aprile
ci
offre
una
delle
immagini
più
laceranti
:
il
vecchio
La
Malfa
,
vestito
di
nero
,
magrissimo
,
sparuto
,
gli
occhi
dilatati
,
che
piange
.
«
Nessun
commento
»
mormora
.
«
Soltanto
angoscia
e
attesa
.
»
Poi
,
duro
:
«
È
un
momento
di
estrema
gravità
.
E
a
mio
giudizio
questa
situazione
,
sin
dal
primo
istante
,
è
stata
presa
troppo
alla
leggera
»
.
A
spallate
,
due
agenti
di
polizia
in
tuta
gli
fanno
strada
tra
la
folla
che
ormai
occupa
piazza
del
Gesù
.
Il
traffico
sembra
impazzito
.
Paurosi
ingorghi
stradali
bloccano
il
centro
.
Roma
si
avvia
ad
una
sera
fra
le
più
tragiche
.
Una
donna
grida
a
Forlani
:
«
Fate
una
legge
forte
,
che
noi
vi
appoggiamo
!
»
.
Sul
fianco
del
palazzo
,
sfilano
pullman
di
turisti
stranieri
che
guardano
senza
capire
.
Tutt
'
intorno
,
nel
triangolo
fra
piazza
Venezia
,
il
Senato
e
Montecitorio
sono
comparse
pattuglie
di
agenti
e
carabinieri
anche
in
luoghi
prima
d
'
ora
mai
presidiati
.
Verso
le
19
,
entrano
a
palazzo
del
Gesù
Craxi
e
Signorile
.
E
mentre
i
due
esponenti
socialisti
vanno
a
colloquio
con
Zaccagnini
,
Pisanu
annuncia
che
tutti
i
comitati
provinciali
e
le
sezioni
della
DC
sono
convocati
nelle
loro
sedi
per
le
21.30
.
Un
comunicato
dice
:
«
Nell
'
assoluta
incertezza
sulla
sorte
di
Moro
,
non
verrà
promossa
alcuna
manifestazione
pubblica
.
La
direzione
della
DC
ritiene
non
del
tutto
esaurito
il
tenue
filo
di
speranza
per
la
vita
del
suo
presidente
»
.
StampaQuotidiana ,
Rimini
.
Nel
novembre
del
1980
i
carabinieri
irruppero
nella
disordinata
e
fangosa
comunità
di
San
Patrignano
e
vi
trovarono
,
come
li
aveva
informati
una
ragazza
appena
fuggita
,
cinque
o
sei
ragazzi
legati
e
chiusi
a
chiave
:
il
fondatore
della
prima
comunità
laica
per
tossicodipendenti
,
il
massiccio
e
rumoroso
Vincenzo
Muccioli
,
fu
arrestato
e
sui
giornali
,
tranne
«
Repubblica
»
,
fiorì
la
solita
fremente
indignazione
stracolma
di
lager
e
di
Pagliuca
.
I
ragazzi
,
subito
liberati
,
tornarono
alle
loro
piazze
e
ai
loro
sballi
,
uno
,
la
sera
stessa
,
finì
sotto
un
treno
.
Quattro
anni
dopo
,
da
domani
12
novembre
,
inizia
il
processo
contro
Muccioli
che
allora
era
stato
in
carcere
35
giorni
,
e
13
suoi
collaboratori
,
accusati
,
tra
l
'
altro
,
di
sequestro
di
persona
,
maltrattamenti
,
lesioni
,
abuso
della
professione
medica
,
truffa
aggravata
,
abuso
della
credulità
popolare
.
Il
processo
,
presidente
della
corte
Gino
Righi
,
pubblico
ministero
Roberto
Sapio
,
durerà
almeno
due
mesi
e
chiamerà
a
testimoniare
centinaia
di
persone
:
tossicodipendenti
e
loro
genitori
,
ex
drogati
,
magistrati
,
medici
,
psichiatri
,
politici
;
perché
in
realtà
il
processo
contro
Muccioli
si
trasformerà
nel
più
grande
dibattito
attorno
all
'
amaro
,
angoscioso
,
irrisolto
e
irrisolvibile
problema
della
droga
,
dentro
al
profondo
labirinto
sotterraneo
in
cui
vagano
e
si
dibattono
un
numero
sempre
più
irragionevole
di
giovani
e
adolescenti
,
i
loro
stremati
genitori
,
gli
incerti
legislatori
,
i
politici
chiacchieroni
,
gli
esperti
generosi
o
esibizionisti
,
gli
esasperati
operatori
sociali
,
la
folla
ancora
troppo
esigua
di
quei
volontari
,
cattolici
o
laici
,
che
,
in
assenza
dell
'
intervento
pubblico
,
affrontano
il
vuoto
,
la
disperazione
,
la
solitudine
e
l
'
abbandono
di
troppi
giovani
,
dentro
le
comunità
terapeutiche
private
.
Quindi
il
collegio
di
difesa
che
comprende
gli
avvocati
Accreman
,
Giovanetti
,
Cocchianella
,
Sorrentino
di
Rimini
,
Virga
di
Roma
,
Pisapia
e
Dall
'
Ora
di
Milano
,
oltre
al
costituzionalista
Barile
,
non
si
limiterà
a
sostenere
le
ragioni
di
Muccioli
,
ma
affronterà
la
violenta
assenza
dello
Stato
davanti
a
un
contagio
che
uccide
più
di
un
ragazzo
al
giorno
,
che
ne
dilania
e
annulla
a
centinaia
di
migliaia
,
che
nella
sola
Italia
regala
3650
miliardi
alla
criminalità
organizzata
dei
trafficanti
di
droga
.
Dice
l
'
avvocato
Alberto
Dall
'
Ora
:
«
Sono
entusiasta
di
affrontare
questo
processo
,
per
puro
senso
morale
.
Ho
conosciuto
la
comunità
di
San
Patrignano
quest
'
estate
,
in
occasione
della
visita
del
mio
amico
Pannella
,
sostenitore
della
droga
libera
,
sconfitto
dalla
determinazione
e
dalla
saggezza
,
sperimentata
sulla
loro
pelle
da
quei
500
ragazzi
.
Le
loro
ragioni
mi
hanno
conquistato
.
In
realtà
,
questa
sarà
l
'
occasione
,
forse
ormai
superata
,
per
un
processo
alla
comunità
terapeutica
accusata
tra
l
'
altro
di
sostituire
la
dipendenza
alla
droga
con
la
dipendenza
alla
sua
organizzazione
e
per
lo
scontro
di
due
modi
di
concepire
la
terapia
di
recupero
:
se
è
giusto
cioè
far
uso
anche
della
coercizione
e
della
privazione
della
libertà
,
per
impedire
la
ricaduta
nella
tossicodipendenza
o
se
invece
questa
scelta
,
oltre
che
illegale
,
sia
anche
scientificamente
inutile
»
.
In
questi
quattro
anni
,
l
'
eroina
ha
continuato
a
diffondersi
,
come
dice
Piera
Piatti
,
segretaria
della
Lenad
,
la
Lega
nazionale
antidroga
,
«
per
un
meccanismo
di
imitazione
,
consumismo
,
proselitismo
,
facilità
a
trovare
la
merce
,
fragilità
personale
.
È
impressionante
come
i
nuovi
dipendenti
della
cultura
dello
sballo
,
che
hanno
dai
13
ai
17
anni
,
siano
simili
a
bambocci
di
gomma
,
ragazzi
quasi
privi
di
parola
e
di
desideri
,
il
cui
mondo
è
composto
dai
biliardini
,
dalla
televisione
,
dal
giubbotto
.
Parlare
con
loro
è
una
fatica
improba
,
quasi
impossibile
»
.
È
aumentato
il
numero
dei
morti
e
si
è
diffuso
una
specie
di
silenzio
,
di
paralisi
,
di
rimozione
,
di
rigetto
,
da
parte
dell
'
opinione
pubblica
.
Però
contemporaneamente
sono
nate
agguerrite
associazioni
di
genitori
,
come
appunto
la
Lenad
,
che
ha
anche
messo
a
punto
una
rivoluzionaria
e
severa
proposta
di
legge
,
tutti
i
partiti
hanno
a
loro
volta
steso
una
serie
di
emendamenti
alla
legge
attuale
,
o
come
nel
caso
del
PCI
,
redatto
una
nuova
proposta
che
tra
l
'
altro
chiede
che
al
tossicodipendente
arrestato
per
fatti
connessi
con
la
droga
sia
consentito
in
alternativa
al
carcere
,
il
ricovero
in
una
comunità
terapeutica
.
Sono
diminuiti
i
fautori
del
metadone
,
si
è
proposta
la
liberalizzazione
dell
'
eroina
,
tutti
hanno
concordato
sul
fatto
che
il
mezzo
di
recupero
finora
più
positivo
è
la
comunità
terapeutica
.
Il
governo
si
è
molto
riunito
,
ha
molto
discusso
e
ha
molto
ipotizzato
,
promettendo
vuoi
aiuti
e
riconoscimenti
alle
comunità
private
,
vuoi
stanziamenti
di
miliardi
,
vuoi
la
costruzione
di
carceri
«
recuperatine
»
,
per
i
17
mila
detenuti
,
un
terzo
della
popolazione
carceraria
,
in
galera
per
reati
connessi
all
'
uso
di
droga
.
Il
presidente
del
Consiglio
Craxi
,
ma
anche
il
Papa
,
sono
intervenuti
al
congresso
mondiale
delle
comunità
terapeutiche
,
la
presidenza
del
Consiglio
ha
promosso
il
convegno
veneziano
«
Comunità
e
droga
»
.
Tanto
rumorosa
buona
volontà
,
per
ora
non
si
è
concretizzata
in
nulla
.
Per
i
tossicodipendenti
italiani
o
meglio
per
una
piccola
parte
di
loro
,
la
più
fortunata
,
la
meno
abbandonata
,
la
meno
degradata
,
ci
sono
le
comunità
terapeutiche
religiose
e
gratuite
,
qualche
costosa
comunità
all
'
estero
,
qualche
dubbiosa
iniziativa
,
a
pagamento
,
di
privati
.
C
'
è
soprattutto
quel
San
Patrignano
che
da
domani
va
alla
sbarra
,
l
'
unica
comunità
,
assieme
a
quella
di
Mondox
,
che
accolga
ragazzi
non
disintossicati
,
anche
i
più
disgregati
.
In
quattro
anni
,
anche
questa
comunità
è
cambiata
:
è
diventata
una
piccola
,
ricca
città
,
dove
vivono
540
giovani
,
50
coppie
sposate
,
40
bambini
,
128
studenti
di
scuola
superiore
o
universitari
;
vi
si
insegnano
,
e
si
praticano
,
36
mestieri
,
si
allevano
135
cavalli
da
corsa
,
150
mucche
da
latte
,
gatti
e
cani
di
razza
,
maiali
per
il
prossimo
salumificio
;
si
coltivano
un
milione
e
ottocentomila
metri
quadrati
a
frutteto
e
vigneto
,
si
produce
vino
,
si
confezionano
pellicce
di
lusso
,
carte
da
parati
di
pregio
,
c
'
è
un
laboratorio
di
maglieria
,
uno
di
infissi
,
uno
di
fotolito
.
Muccioli
è
appena
tornato
dall
'
America
dove
ha
piazzato
tutta
la
produzione
di
vino
di
quest
'
anno
e
ha
tenuto
conferenze
sulla
comunità
.
Nell
'
Italia
dei
paradossi
e
delle
incongruenze
,
la
vicenda
di
San
Patrignano
è
tra
1c
più
sorprendenti
.
C
'
è
il
giudice
istruttore
di
Rimini
,
Vincenzo
Antonucci
che
,
in
buona
fede
e
applicando
la
legge
,
dopo
un
'
inchiesta
durata
tre
anni
,
emette
nel
gennaio
'83
un
'
ordinanza
per
vietare
l
'
ingresso
ad
altri
tossicodipendenti
:
quelli
che
ci
sono
pazienza
,
anche
se
il
guru
Muccioli
deve
essere
tra
l
'
altro
processato
per
maltrattamenti
e
sequestro
di
persona
,
non
si
saprebbe
dove
mandarli
.
Da
quel
giorno
,
magistrati
da
tutta
Italia
emettono
contrordinanze
e
inviano
,
scortati
dagli
stessi
carabinieri
che
avevano
consegnato
il
fonogramma
di
divieto
alla
comunità
,
quasi
un
centinaio
di
nuovi
ospiti
.
Questi
magistrati
che
contraddicono
il
collega
di
Rimini
avranno
torto
o
ragione
?