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> anno_i:[1970 TO 2000}
Undici colpi al cuore ( Mafai Miriam , 1978 )
StampaQuotidiana ,
Questo fagotto gettato dietro il sedile posteriore della Renault color amaranto parcheggiata in via Caetani è il corpo di Aldo Moro . È un fagotto informe , avvolto in una coperta di lana color cammello , con un bordo di raso , una coperta come ce ne sono in tutte le nostre case . Il sedile è leggermente inclinato verso l ' avanti . La macchina ha gli sportelli aperti . A pochi metri ci sono il ministro Cossiga , i sottosegretari Darida e Lettieri , il procuratore capo Giovanni Di Matteo , il capo della polizia , Parlato , il generale Comini comandante dei carabinieri . Sono le 14.15 . Giancarlo Pajetta passa attraverso il cordone di carabinieri , rivolge uno sguardo interrogativo a Cossiga : « Sì , è Moro » risponde il ministro dell ' Interno a voce bassissima . La Renault è parcheggiata , contromano il muso rivolto verso via dei Funari , sotto una impalcatura metallica che protegge i lavori di restauro della chiesa di S . Caterina . È una vecchia macchina , impolverata , maltenuta , la vernice della carrozzeria in qualche punto è scrostata . Contro le transenne controllate dalla polizia , che isolano via Caetani dalla parte di via dei Funari e dalla parte delle Botteghe Oscure preme , silenziosa e cupa , la folla di abitanti del quartiere , giovani soprattutto . Alcune donne si allontanano , correndo . Una , prendendo in collo un bambino , grida : « C ' è una bomba , c ' è una bomba ! » . Non è vero . Ma attorno alla macchina abbandonata c ' è il vuoto . « È meglio non avvicinarsi » avverte Cossiga , « aspettiamo gli artificieri . Ci sono molti bossoli . » C ' è qualche istante d ' irreale silenzio attorno a quella bara di metallo dentro la quale è rinchiuso Moro . Poi qualcuno si avvicina alla porta posteriore della macchina . Oltre a Cossiga , ci sono Bonifacio , Pecchioli . Un ufficiale di polizia alza un lembo della coperta di lana giallino : s ' intravvede la faccia di Moro , gli occhi semichiusi , la barba lunga , bianchissimo il collo della camicia . Da via delle Botteghe Oscure , chiusa al traffico , giunge un rumore di grida e imprecazioni . C ' è gente arrampicata sulle macchine in sosta , abbarbicata alle inferriate dell ' Istituto Pontificio di S . Lucia . C ' è gente che arriva correndo , chiedendo notizie , premendo contro i cordoni dei reparti della guardia di finanza , della polizia e dei carabinieri . Arriva Gonnella , e sembra piccolissimo , con le labbra tremanti . Arriva un vecchio sacerdote , la stola violetta gettata di traverso su una tonaca consunta , l ' ampolla dell ' olio santo tra le mani . Si chiama padre Damiani , è stato avvertito da due agenti di polizia , pochi minuti fa arrivati a prelevarlo nella sua chiesa di piazza del Gesù . Sono le 14.45 . Padre Damiani traccia un segno di croce sulla fronte ghiaccia di Moro e gli impartisce l ' assoluzione . Alle 15 , a sirene spiegate arriva un ' ambulanza dei vigili del fuoco mentre la folla ondeggia , preme pericolosamente e scoppia qualche piccolo incidente . Bastano pochi minuti , poi l ' ambulanza scortata dai mezzi della polizia parte in direzione dell ' Istituto di medicina legale dove avrà luogo l ' autopsia . La folla adesso rompe i cordoni : sotto la palizzata dove era parcheggiata la Renault color amaranto , trasportata in questura , viene posata una bandiera bianca della DC , tre rose , e alcuni cartelli scritti a mano : « Moro siamo tutti con te » . Una telefonata anonima pervenuta al centralino della questura poco dopo le 13.30 aveva segnalato la presenza di una bomba in via Caetani , una traversa di via delle Botteghe Oscure , a poche centinaia di metri dalla direzione del PCI e della Democrazia cristiana . Era la prima , inesatta notizia , che gettava l ' allarme nella zona , immediatamente isolata da cordoni di polizia . Questa è una versione . Ma ce n ' è anche un ' altra , secondo la quale alle 13 sarebbe arrivata una telefonata , sempre anonima , alla segreteria di Moro con l ' annuncio : « In via Caetani c ' è un ' auto rossa con il corpo » . La telefonata sarebbe stata intercettata dalla questura e immediatamente sarebbe scattato l ' allarme nella zona . Il ritrovamento del cadavere è avvenuto poco dopo . Qualche minuto prima delle due i segretari di tutti i partiti politici sapevano che il cadavere gettato nel portabagagli della Renault targata Roma N 57686 era quello di Aldo Moro . Via Michelangelo Caetani costeggia il palazzo Mattei e il palazzo Caetani dove ha sede la Biblioteca di Storia Moderna , la Discoteca di Stato e un Istituto di Studi americani . È una strada molto frequentata , dove è difficile trovare posto per parcheggiare . È possibile quindi che la macchina con gli assassini di Moro sia giunta sul posto nella primissima mattinata : il portiere del Palazzo Mattei afferma di non aver notato la macchina quando alle 7.40 ha aperto il portone . La segretaria della discoteca l ' avrebbe invece notata quando , poco dopo le otto , si è recata al vicino bar dei Funari . Le prime testimonianze sono contraddittorie , la polizia non esclude nemmeno che la macchina possa essere stata portata in via Caetani nella tarda mattinata . In un angolo del bagagliaio , dalla parte dov ' è sistemata la ruota di scorta sulla quale poggiava la testa di Moro , c ' erano anche le catene da neve , e qualche ciuffo di capelli grigi . Questo particolare può far pensare che la macchina con il cadavere abbia percorso un tragitto accidentato , durante il quale il corpo avrebbe subito dei sobbalzi . Ai piedi del cadavere c ' era una busta di plastica contenente un bracciale e l ' orologio . Il corpo di Moro , quando è stato estratto dagli artificieri , era ripiegato e irrigidito . Indossava lo stesso abito scuro che aveva il giorno del rapimento , un abito blu , con la camicia bianca a righine , e la cravatta ben annodata . L ' abito era macchiato di sangue ; sul petto di Moro erano stati premuti alcuni fazzoletti per impedire che il sangue sgorgasse dalle ferite . Nei risvolti dei pantaloni è stata trovata una notevole quantità di sabbia o terriccio . La morte risaliva certamente a molte ore prima , forse all ' alba di ieri martedì , forse addirittura al pomeriggio del giorno precedente . Sotto il corpo e sul tappetino della Renault c ' erano alcuni bossoli di proiettile 7,65 o 9 corto . La presenza dei bossoli faceva pensare , in un primo momento che l ' esecuzione fosse avvenuta all ' interno stesso della macchina , ma i primi rilievi effettuati in serata all ' Istituto di medicina legale sembrano suggerire una sequenza se possibile ancora più spietata e agghiacciante . Moro sarebbe stato ucciso con una raffica di pistola mitragliatrice , calibro 7,65 o 9 corto . Almeno undici sono i fori che hanno squarciato il petto del prigioniero inerme . Visto che l ' abito appariva intatto , la camicia stirata , è inevitabile immaginare la macabra rivestizione del cadavere , e poi il suo trasporto dal luogo della prigionia e dell ' esecuzione fino al centro di Roma , fino al quartiere non scelto a caso , al confine con la sede della direzione comunista e di quella democristiana , quasi un macabro avvertimento e insieme un ' ultima sfida alle forze di polizia . La Renault pare avesse la targa che corrisponde a una delle FIAT 128 usate dai terroristi in via Fani e ritrovata poi abbandonata in via Licinio Calvo . Si tratterebbe cioè di un ' auto rubata che i terroristi hanno usato dopo averle sostituito la targa . La Renault risulta in regola col pagamento della tassa di circolazione e con il contrassegno dell ' assicurazione , che sono scritti con una macchina che ha gli stessi caratteri della Ibm a testina rotante usata per i comunicati delle BR .
Dilaniato da una bomba sui binari ( Stabile Alberto , 1978 )
StampaQuotidiana ,
Palermo , 9 . Ai compagni aveva detto di aspettarlo : giusto il tempo di fare un salto a casa , prendere un boccone e tornare in sede per continuare la riunione . Non si è più visto . Lo hanno trovato all ' alba di ieri , orrendamente dilaniato da un ' esplosione , sulla linea ferroviaria Palermo - Trapani , all ' altezza del chilometro 38 . Giuseppe Impastato , Peppino per i compagni , trent ' anni , militante della nuova sinistra e candidato nelle liste di Democrazia proletaria alle prossime elezioni amministrative che si terranno anche nel comune di Cinisi ( quindici chilometri da Palermo ) secondo gli investigatori ha voluto dunque uccidersi « in modo eclatante » . Ovvero , è la tesi subordinata , è rimasto vittima di un « incidente » durante un attentato . A sostegno della prima ipotesi c ' è una lettera , trovata in casa della zia , dove il giovane si recava a dormire : un estemporaneo , fallimentare bilancio della sua vita con la preghiera agli amici che il suo corpo venga cremato . La seconda ipotesi si regge invece sul semplice dato di fatto : un cadavere a pezzi , lungo la ferrovia . Tutto il resto , la cosiddetta « dinamica » , i movimenti della vittima nella serata precedente all ' esplosione , le testimonianze dei compagni sulla sua vita e sulla sua attività politica , non solo non coincide con il quadro di ipotetiche soluzioni tracciato dagli investigatori , ma semmai legittima una terza ben più sconcertante , ma non meno plausibile , verità : quella del delitto di mafia . Peppino Impastato ed il suo gruppo , negli ultimi anni non avevano dato tregua alla mafia della zona , denunciando , attraverso i microfoni di una radio e i volantini , lo strapotere di personaggi come Tanino Badalamenti - boss indiscusso della Sicilia occidentale , compare di Luciano Liggio - e del suo clan . Peppino Impastato andava denunciando da tempo , con tanto di nomi e cognomi , le speculazioni e i ricatti della mafia locale . Domenica scorsa aveva tenuto un comizio a cui avevano assistito quattrocento persone , rimaste lì ad ascoltarlo , dicono i compagni , nonostante la pioggia insistente . Che la sua azione avesse finito col disturbare l ' establishment politico mafioso locale , lo stanno a dimostrare i numerosi avvertimenti e le minacce telefoniche che periodicamente riceveva a Radio - out . Peppino Impastato , per di più , non aveva mai manifestato propositi suicidi . Anzi , proprio in ragione del piccolo successo che ogni giorno di più e particolarmente in questa fase di campagna elettorale , riscuoteva la sua azione , cominciava - dicono i compagni - a sentirsi « realizzato » . E contro la tesi del suicidio , seguita dagli investigatori assieme a quella di un fallito attentato , depongono i movimenti del giovane la sera precedente l ' esplosione . Per tutto il pomeriggio fino alle 20.15 è in radio . Poi , come ogni sera , esce per andare a cenare e dà un appuntamento a tutti per le 21 . Non si farà mai più vedere . I compagni lo aspettano fino ad una certa ora , poi lo vanno a cercare . Fanno il giro del paese , dei parenti , cercano almeno di rintracciare la macchina . Tra mezzanotte e mezza e l ' una scoppia la bomba che lo uccide . Che senso ha tutto questo ? Ammesso che Impastato avesse in effetti intenzione di collocare l ' ordigno , perché dare un appuntamento ai compagni , farsi aspettare , farsi cercare ? La tecnica dell ' attentato , infine , giustifica solo in parte l ' ipotesi della disgrazia imprevista . Accanto alla ferrovia , su una trazzera distante venti metri , è stata infatti trovata l ' auto - una 850 - con cui Peppino ha raggiunto il luogo dell ' esplosione . Si suppone che l ' ordigno fosse ad innesco elettronico e che dovesse essere collegato , attraverso una deviazione , alla batteria dell ' automobile . Ma allora , la posizione della vittima dovrebbe essere accanto alla macchina , da dove avrebbe potuto azionare il congegno , e non nei pressi della bomba .
In diciotto pagine le accuse a Craxi ( Brambilla Michele , 1992 )
StampaQuotidiana ,
L ' una di notte : si sblocca il timer di Tangentopoli . I telegiornali stanno snocciolando da qualche ora i risultati elettorali che disegnano il tracollo del Psi , quando un ufficiale dei carabinieri parte dalla caserma di via Moscova . E diretto a Roma . Ha in tasca una busta ingombrante . E nella busta ha una bomba , l ' ultimo colpo dei giudici milanesi , l ' ultimo calice , il piu ' amaro , per Bettino Craxi : un avviso di garanzia . In 18 pagine Antonio Di Pietro e i suoi colleghi contestano al segretario del Psi 41 episodi di malaffare , calcolano 36 miliardi di bustarelle , lo accusano di concorso in corruzione , ricettazione e violazione delle norme sul finanziamento pubblico ai partiti . Tutto questo si porta nella giacca il capitano Paolo La Forgia quando arriva a Roma . Tutto questo , quando , stanco e forse emozionato , entra qualche ora piu ' tardi all ' hotel Raphael , nel quartier generale di Craxi . Alle undici e mezzo , il leader socialista ha in mano le diciotto paginette : " Procedimento numero 8655.92...Craxi Benedetto ... " . Legge con attenzione i passaggi dove i giudici dell ' inchiesta " Mani Pulite " spiegano in sostanza come , in quel sistema feudale popolato di boiardi della mazzetta che e ' stata Milano fino a oggi , sia lui lo zar . Proprio lui . Ma non batte ciglio . Resta freddissimo anche quando capisce che su di lui sembrano essere addossate quasi tutte le colpe dei socialisti finiti finora sotto indagine : la metropolitana , le tangenti pagate da imprenditori come Paolo Pizzarotti , Vincenzo Romagnoli e Mario Lodigiani , i flussi di quattrini in nero che per anni sono serviti ad alimentare la macchina del suo partito . Vincenzo Balzamo , il segretario amministrativo , il fidatissimo tesoriere nazionale che il 2 novembre e ' stato stroncato da un infarto , e ' indicato come il " percettore materiale " dei finanziamenti illegali . Lui , Craxi , come il capo dei capi , l ' uomo che ha gestito e disegnato le grandi strategie . La notizia circola gia ' da qualche ora al Palazzo di giustizia di Milano . In breve , una dopo l ' altra , le conferme piovono come napalm . Giustizia a orologeria ? " Fosse davvero cosi ' , vorrebbe dire che l ' orologio era in ritardo " , si lascia scappare un magistrato in corridoio . La Procura , infatti , prima di sparare l ' ultimo colpo , ha atteso che le urne fossero chiuse . Come aveva fatto ad aprile , aspettando il dopo.elezioni per sferrare la prima offensiva giudiziaria . La decisione e ' maturata in un vertice del pool al completo . L ' altro ieri , per tutta la giornata , sono rimasti nell ' ufficio del procuratore Saverio Borrelli i pm Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo e il procuratore aggiunto Gerardo D ' Ambrosio . Antonio Di Pietro ha partecipato solo per pochi minuti all ' incontro , poi e ' volato a Roma per raccogliere l ' ultimo tassello , le dichiarazioni di Nevol Querci , ex deputato socialista , che avrebbe descritto ancora una volta la gestione verticistica di certe decisioni nel partito . Ma Querci e ' davvero solo una piccola tessera . Il mosaico composto attorno a Craxi e ' enorme ed e ' fatto di molte voci . La piu ' pesante e ' quella di un vecchio nemico , l ' ex segretario socialista Giacomo Mancini , che il 18 novembre conferma in pieno ai magistrati un ' intervista concessa al Corriere dieci giorni prima : " Balzamo era il segretario amministrativo , ma la parte delle entrate che conosceva era quella che riguardava i grandi progetti dell ' edilizia , i lavori pubblici . Degli altri quattrini non sapeva proprio nulla . Craxi ha preferito dire " muoia Sansone con tutti i filistei , siamo tutti complici e nessuno puo ' parlare " . Nessuno puo ' forse fare il Pm nei confronti degli altri , ma la vastita ' del fenomeno , i flussi di finanzamento che hanno avuto come destinatario il Psi non sono certamente passati da Balzamo , non sono stati registrati . Li conosceva solo Craxi " . " A Balzamo . avrebbe spiegato Mancini ai giudici . sfuggiva tutta la parte che non trattava direttamente , quella relativa ai rapporti tra partito e banche , partito e Iri , partito e grandi imprese , partito e finanza . Una parte che faceva capo direttamente alla segreteria del partito " . Poi , via via , ecco gli altri ragazzi del coro . L ' imprenditore Mario Lodigiani , il 5 ottobre , racconta dei suoi contributi alla Dc e al Psi , spara su Balzamo e sul cassiere nazionale scudocrociato Severino Citaristi , che in questi giorni ha avuto un nuovo avviso di garanzia che sara ' seguito entro la settimana dalla richiesta d ' autorizzazione a procedere . Per Citaristi , il pool antimazzette chiede anche l ' arresto . Su lui e su Balzamo , sul sistema messo in piedi dai due partiti , Lodigiani e ' prodigo di particolari : " Abbiamo versato circa un miliardo all ' anno a ciascuno dei due partiti senza isciverli nei relativi bilanci ... Questi versamenti sono avvenuti in contanti , direttamente nelle mani di Citaristi e Balzamo " . Suo fratello Vincenzo e ' altrettanto specifico : " Nel febbraio ' 92 ho consegnato a Balzamo l ' ultima somma , 400 milioni in contanti che mi ha espressamente richiesto di versargli in nero perche ' aveva urgenti scadenze elettorali e aveva bisogno di liquidi " . Sullo stesso tono le dichiarazioni di altri manager , come Vincenzo Romagnoli , Paolo Pizzarotti , Angelo Simontacchi : i miliardi , dalla meta ' degli anni Ottanta in poi , scorrevano senza sosta nelle casse segrete della Dc e del Psi . E ora i giudici sembrano da un lato far coincidere le responsabilita ' di Balzamo con quelle di Craxi e , dall ' altro , paiono attribuirne di ulteriori al leader del Psi . Le deposizioni si susseguono come un rosario nell ' atto d ' accusa . Ecco Bruno Binasco , manager del gruppo Gavio . Ecco Luciano Betti , amministratore delegato della Premafin di Salvatore Ligresti , e Nerio Nesi , ex presidente della Banca Nazionale del Lavoro . Ed ecco lo stesso Ligresti , che parla di elargizioni al Psi . Luigi Carnevale , ex vicepresidente della Metropolitana milanese , tira in ballo Silvano Larini , architetto socialista , amico di Craxi da trent ' anni e tuttora latitante . Carnevale racconta che l ' architetto portava le mazzette della metropolitana direttamente al segretario . E anche l ' ex deputato psi Gianstefano Milani fa il nome di Larini . Interrogato la scorsa settimana , Milani , da sempre anticraxiano , spiega e commenta con i giudici una sua frase intercettata dai carabinieri : " Stanno cercando Larini perche ' pigliava i soldi per Craxi " . E l ' ultima bordata . Per il leader dai troppi nemici comincia il conto alla rovescia .
L'assedio cominciò da Chiesa ( Buccini Goffredo , 1992 )
StampaQuotidiana ,
Tutto cominciò con un mariuolo . " Questo Chiesa , sbottò Craxi con i compagni , rischia di rovinarci le elezioni " . In effetti , nell ' armadio del Psi milanese quel presidente di vecchi e orfani beccato con le mani nel sacco . e con dieci miliardi in banca . era davvero uno scheletro imbarazzante . Il 5 aprile era alle porte , e l ' arresto di Mario Chiesa ( 17 febbraio ) pesava come un macigno sulla campagna elettorale : anche perche ' veniva a dar corpo a sussurri che , sul Garofano di Milano , circolavano da tempo . Ma temendo un semplice calo di voti , Bettino Craxi peccava di ottimismo . Si preparava ben altro . Si preparava un assedio che la magistratura stava studiando con cura , con la strategia d ' un von Clausewitz e con l ' accanimento d ' un Robespierre . Prima i boiardi e poi lo zar , per usare le parole del giudice Ghitti . L ' obiettivo era scardinare il sistema della corruzione . E , come tutti i buoni strateghi , i magistrati hanno cominciato attaccando i soldati semplici , per poi arrivare agli ufficiali e quindi a quello che secondo loro è il capo supremo . Sarà forse un caso , ma da mesi la Procura milanese faceva terra bruciata intorno a Bettino Craxi , faceva cadere a uno a uno tutti i suoi fedelissimi . Il primo , appunto , è stato Chiesa . Un pesce che sembra piccolo , ma che tanto piccolo non era . Come lui stesso ha fatto mettere a verbale , aveva diritto d ' accesso alla real casa e nei suoi sogni ( neanche tanto proibiti , allora ) c ' era la poltrona di sindaco . Proprio lui si era esposto per sostenere la candidatura di Bobo Craxi alle ultime amministrative . Il 2 maggio , il secondo passo di avvicinamento . Arrivano informazioni di garanzia agli ultimi due sindaci socialisti di Milano , Carlo Tognoli e Paolo Pillitteri . Il primo non è proprio un uomo di Craxi ; ma il secondo del segretario socialista è addirittura il cognato . E toccare Pillitteri vuol dire , perlomeno , sfiorare Craxi . Mai la Procura aveva osato tanto . Ma non basta . Il 6 maggio finisce in galera Sergio Radaelli , consigliere della Cariplo . Al grosso pubblico il suo nome non dice niente : ma alla federazione socialista di corso Magenta , quando arriva la notizia delle manette a Radaelli , sono in molti a tremare . Radaelli è uno dei cassieri del partito , molte mazzette passano dalle sue mani . Ha l ' ufficio insieme con Pillitteri in piazza Duomo 19 : al piano di sopra c ' è lo studio di Craxi . Si rivela una mina vagante : parla subito , svela un conto plurimiliardario in Svizzera , accusa Tognoli e Pillitteri . Ormai è una valanga , che il 9 giugno porta in carcere un altro uomo di Craxi : Claudio Dini , per cinque anni presidente della Metropolitana Milanese . Dini nega tutto e , dopo due mesi a San Vittore , torna in libertà . Almeno lui non ha disseminato verbali che scottano . Questa volta ai giudici non è andata bene . Ma la manovra di accerchiamento continua : c ' è un ordine di cattura anche contro l ' architetto Silvano Larini , amico di Bettino Craxi da un trentennio . Gli si contestano le stesse mazzette che avrebbe preso Dini . Ma anche Larini non dà soddisfazione a Di Pietro e ai suoi soci : è all ' estero , e si guarda bene dal tornare . Non è l ' unico ad avere scelto la strada della fuga : suo compagno d ' avventura è Giovanni Manzi , presidente della società che gestisce gli aeroporti milanesi . Anche lui , uomo vicinissimo a Craxi . E il 26 giugno quando crollano i vertici regionali del Psi . In carcere finiscono Andrea Parini , segretario politico , e Oreste Lodigiani , segretario amministrativo . Lo stesso giorno viene firmato un avviso di garanzia per il deputato Sergio Moroni , predecessore di Parini , che poi si suiciderà . Il 30 luglio a San Vittore finisce Loris Zaffra , capogruppo a palazzo Marino , ex segretario regionale del partito , anche lui craxiano di ferro . Ma al momento dell ' arresto di Zaffra , il " botto " c ' era già stato . E del 16 luglio , infatti , la cattura dell ' ingegner Salvatore Ligresti , big della finanza italiana , padrone di imprese edili , società di assicurazioni , cliniche , alberghi , autostrade . Sono in molti a pensare che Ligresti debba la sua fortuna a Craxi e che Craxi debba almeno una parte della sua a Ligresti . " Bettino mi telefonò chiedendomi di dare un finanziamento di 300 miliardi a Ligresti " , ha detto ai giudici l ' ex presidente della Banca Nazionale del Lavoro Nerio Nesi . E solo una testimonianza dei rapporti fra l ' ingegnere e il segretario . E forse è proprio il 16 luglio che Craxi ha cominciato a sentirsi terribilmente solo .
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" Buongiorno , sono Craxi Benedetto ... eccovi il mio passaporto " . Si ' , prima o poi Bettino finira ' per trovarsi di fronte ai poliziotti , a recitare questa pie ' ce amarissima . A loro dovra ' consegnare quel documento glorioso e un po ' spiegazzato , che gli ricorda certo tanti viaggi da mattatore e che adesso e ' diventato quasi carta straccia . Prima o poi dovra ' farlo . Meglio prima . Perche ' se tardasse troppo , i giudici di Milano potrebbero decidere di rilanciare e di firmare per lui addirittura un ordine di cattura . Per l ' ex segretario socialista sono tempi duri e malinconici . Due magistrati , ieri , hanno deciso di togliergli il passaporto . Il gip Italo Ghitti , vecchio regista degli arresti di Mani pulite , per le mazzette dell ' Enimont e dell ' Enel . E il gip Maurizio Grigo , per la spintarella che Craxi e compagni avrebbero dato alle gia ' traballanti casse del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi . Secondo il codice , quella " spintarella " si chiama concorso in bancarotta fraudolenta , visto che il Banco falli ' dopo essere stato spogliato dalle dissennate iniziative di Calvi e dall ' assalto di politici , massoni e faccendieri . Per questa storiaccia , secondo Grigo , il ritiro del passaporto e ' solo un contorno . I guai non arrivano mai soli e dunque il giudice , proprio per il crac dell ' Ambrosiano , ha deciso di rinviare a giudizio Bettino . Con Craxi dovranno presentarsi sul banco degli imputati , il 16 giugno , l ' ex delfino socialista Claudio Martelli , il capo piduista Licio Gelli , l ' ex vicepresidente dell ' Eni Leonardo Di Donna e l ' architetto Silvano Larini . In ballo ci sono i sette milioni di dollari versati da Calvi , attraverso il solito schermo di societa ' panamensi , sul conto Protezione , numero 633369 della banca Ubs di Lugano . Quel conto era intestato a Larini , amico di Craxi sin dai tempi della giovinezza . E proprio Bettino , durante un ' ormai storica passeggiata a tre ( quel giorno c ' era pure Martelli ) ne aveva chiesto la disponibilita ' al vecchio compagno per fare " una certa operazione " . Silvano , sempre gentile , aveva snocciolato il numero di conto , Claudio aveva preso nota . Tutti a giudizio , adesso : perche ' , gira gira , i quattrini uscivano dalle casse dell ' Ambrosiano ed erano diretti al Psi . Per tutti gli imputati c ' e ' il divieto d ' espatrio . Craxi reagisce . Gia ' aveva proclamato la sua innocenza nell ' intrigo del conto Protezione . Cosi ' , ora , il rospo del passaporto non ha nessuna voglia di ingoiarlo . E , attraverso i suoi portavoce di Roma , fa diffondere una nota : " Tutti sapevano benissimo dove sono , dove vado e dove abito " . Certo . Ma adesso dov ' e ' ? Ieri pomeriggio non e ' stato possibile rintracciarlo per notificargli il provvedimento . I toni di Bettino sono , prima , amari : " Di fronte all ' autorita ' giudiziaria , al Parlamento e al Paese ho sempre usato il linguaggio della verita ' . Cosa che non hanno fatto altri , cui non e ' stato certo riservato lo speciale trattamento che e ' toccato a me " . Poi , piu ' duri : " E una condotta discriminatoria , politicamente strumentale e moralmente odiosa ... Non c ' era nessuna ragione nuovamente insorta che potesse portare a richiedere la misura che e ' stata richiesta , addirittura in modo ripetuto , in un concerto persecutorio del tutto evidente . Nessuna ragione e nessuna giustificazione convincenti . Contro ogni azione che ha solo un carattere persecutorio io intendo continuare a difendermi " . Infine , ecco il richiamo ai princi ' pi : " Lo faccio e lo faro ' non solo per me , ma anche perche ' l ' uso equilibrato e giusto del potere giudiziario rappresenta una barriera di civilta ' per tutti " . Fin qui Bettino . Ma le amarezze per lui continuano , in questa giornata nera . Cosi ' , dall ' ordinanza del gip Ghitti , filtra qualche particolare . Il ritiro del passaporto e ' motivato con il pericolo di fuga . E il gip ricorda le case e i conti all ' estero dell ' ex leader . Conti all ' estero ? Quali ? Il riferimento , indiretto , e ' all ' ormai famoso conto Hambest . Si ' , il conto lussemburghese al centro di un animato siparietto al processo Cusani . A manovrare i quattrini di Hambest era Mauro Giallombardo , gia ' segretario personale di Craxi .
Fiero requiem dell'Italia per Moro ( Cavallari Alberto , 1978 )
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Dato che i Papi non partecipano da secoli a funerali di Stato , e soprattutto a Roma dopo l ' Unità d ' Italia , cercammo di guardare bene Paolo VI , ieri , mentre entrava in San Giovanni in Laterano per la cerimonia in suffragio di Moro . Il pomeriggio romano , fuori , era freddo e livido . La polizia coi nervi tesi , gli uomini in tuta coi mitra spianati , avevano creato il vuoto intorno alla chiesa , salvo sulla piazza principale chiusa in un reticolato di sbarramenti . Dentro la basilica protetti da decine di poliziotti , sedevano immobili , pietrificati intorno all ' altare , gli uomini che rappresentano lo Stato italiano , il governo , i partiti , e i « legati » e gli ambasciatori degli altri Stati . Lo sfondo di un avvenimento unico nella storia moderna non ripeteva affatto le riunioni di folla che a Nuova York , a Gerusalemme , a Calcutta , a Manila , hanno accompagnato le altre tappe inconsuete di questo pontificato . Deve aver fatto un ' immensa pena a questo Papa italiano , lombardo , uscire dal Vaticano e vedere questa povera Roma , questo povero quartiere di San Giovanni , e questa povera basilica , precipitati in un silenzio agghiacciante , difesi come una zona di guerra . Nel livido pomeriggio si guardò intorno , raggiunse la sacrestia , vesti i paramenti rossi delle Pentecoste , e il suo pallore di vecchio Papa ottantenne divenne ancor più visibile . Quando tutto fu pronto , congiunse le mani ( e si vide che tremavano ) facendo il suo ingresso nella chiesa illuminata sulla sedia gestatoria . Tra gli uomini di Stato , immobili , pietrificati , apparve un pontefice a sua volta pietrificato dalla tragedia italiana . Seduto sul trono avviò la Messa cosi , fino al Vangelo , con voce affaticata , senza un movimento , salvo quelli voluti dal rito . La sua tensione cresceva , il suo viso scavato , un po ' gotico , amaro , era ancora più pallido . Dal settore dello Stato italiano , lo guardavano - per la prima volta riuniti per una sua Messa - Berlinguer , Pajetta , Ingrao , e gli altri comunisti della delegazione . Dal settore degli Stati stranieri , cinesi , russi , romeni , fissavano questo pontefice drammatico , diventato simbolo del dramma italiano , forse pensando al tempo in cui Stalin chiese « quante divisioni ha il Papa ? » . Esile , la voce a tratti spezzata nella preghiera , Papa Montini era un vecchio stanco , in uno dei pomeriggi più angosciosi della storia italiana . Poi venne il momento della preghiera e il Papa disse : « Ci siamo riuniti per pregare e testimoniare in un mondo di odio e di sangue » . Poi un lettore disse per lui : « Preghiamo per coloro che governano i popoli , specialmente per i responsabili della cosa pubblica del nostro Paese , e per le autorità di questa nostra città di Roma : perché al di sopra delle lotte e delle divisioni sappiano unirsi in uno sforzo fraterno al servizio della giustizia , del bene comune , e della vera libertà » . Ancora disse il lettore : « Preghiamo per il nostro fratello e amico Aldo Moro , per i membri della sua scorta , che lo hanno preceduto nella morte , per tutte le vittime della violenza e dell ' odio » . Di nuovo disse il lettore : « Preghiamo per tutti noi qui presenti , perché lo spirito di Dio rianimi la nostra debolezza e doni la forza di progredire nella riconciliazione » . Infine riprese direttamente il Papa : « Signore , Dio , ascolta con bontà la supplica del tuo popolo » . Per lo sforzo , un lieve rossore gli copri quel volto pietrificato . Da tre punti di vista , come si sa , può essere considerata questa partecipazione di un Papa a un funerale di Stato , che si è sommata a un memorabile passaggio oltre il Tevere per lanciare all ' Italia un messaggio di riconciliazione . Esiste una motivazione privata e religiosa , emersa dal comunicato vaticano di venerdì e dalla preghiera scritta dal Papa per la Messa di ieri , che dipinge Paolo VI spinto alla decisione solo in base a un impulso del cuore : « Per onorare la memoria dello statista scomparso , unito a lui da vincoli di antica amicizia » e definito appunto « fratello e amico » . Esiste quindi una motivazione per cosi dire pubblica e pastorale , che si riassume nell ' appello lanciato all ' Italia , nel « dare un segno del suo particolare affetto alla nazione » , nell ' invito alla riconciliazione generale « al di sopra delle lotte e delle divisioni » . Ma non mancano poi gli osservatori che segnalano ( almeno come ipotesi ) una motivazione politica . Il Papa , si dice , avrebbe voluto testimoniare anche il suo appoggio alla formula politica ispirata da Moro , all ' attuale quadro politico , suggellando con la manifestazione d ' unità intorno alla sua persona una scelta vaticana . Non è un mistero che gli esperti romani parlano di un « cambiamento » del Papa , dopo l ' allontanamento di monsignor Benelli , e di un suo orientamento diverso rispetto alla politica iniziata da Moro . Si dice poi che vi sarebbe conferma di ciò nel fatto che i messaggi vaticani di cordoglio hanno avallato questa tesi , dato che il Papa ha scritto a Leone , il cardinale di stato Villot ad Andreotti , ma poi Papa Montini ha inviato un suo biglietto a Zaccagnini . Infine , nel mondo stesso dei vaticanisti , s ' insiste nel descrivere un Vaticano montiniano avviato verso la « seconda conciliazione » : e quindi incline ad elevare al massimo grado la figura di Moro « statista » per rendere meno reversibile l ' esperienza iniziata a Roma . Fino a che punto può essere vera questa ipotesi ? Non c ' è dubbio che ieri essa circolasse tra i giornalisti italiani e stranieri , inclini a farla circolare , almeno come tale . Ma resta il fatto che il Papa non ha parlato dopo la cerimonia , come si annunciava , limitandosi alle parole della preghiera scritta di suo pugno , che non sono certo un segnale politico , che trascendono la politica contingente con un messaggio accorato e pieno di pena . Stanco , oppresso da una angoscia crescente , lasciò la basilica con un frettoloso saluto al presidente della Repubblica e ai parenti di Moro . Si chiuse nella macchina affranto lasciando dietro di sé nel fosco pomeriggio romano un appello tra i più caldi ricevuti dall ' Italia durante il suo pontificato . Non è difficile immaginare , del resto , che il Papa deve aver valutato per primo il pericolo che dal suo breve viaggio oltre il Tevere , e dalla sua decisione di compiere un gesto senza precedenti , nascessero « ipotesi politiche » . Anni fa , quando rilasciò a chi scrive la prima intervista della storia della Chiesa , Papa Montini non nascose il dramma che rappresenta « parlare dell ' Italia » per un Papa « che ami il paese dov ' è nato » .
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MANILA . Imelda Imelda Imelda for president . Lo gridano per le strade , lo hanno scritto sui muri e sui cartelli . È questa la truce fiaba postnatalizia che è dilagata i giorni scorsi sull ' arcipelago delle Filippine . Ma non è favola , è realtà . Con ottanta capi d ' accusa sulla testa che . se provati . potrebbero costarle da un minimo di 400 anni di carcere a un massimo di 900 , la signora Marcos si è ufficialmente candidata per le elezioni presidenziali dal maggio prossimo . È stata scelta all ' unanimità e lanciata nella mischia dai leader del Kilusan Bagong Lipunan ( K B L ) , il partito del defunto presidente Ferdinando Marcos . Sotto la bandiera dell ' ex First Lady potrebbero schierarsi , oltre ai nostalgici del regime , tutti coloro che sono stati delusi dall ' inefficiente amministrazione di Corazon Aquino . L ' ipotesi di un ritorno di Imelda Marcos all ' attività politica ha preso consistenza subito dopo il rientro nelle Filippine in novembre : ma non sorprende che molti , allora , lo ritenessero improbabile . Perche ' si trattava di riaffidare le redini del potere ad una donna che , per venti anni , insieme al marito , aveva dissanguato il Paese e il cui rimpatrio . dopo quasi sei anni di esilio . era stato consentito alla sola condizione che rispondesse alla giustizia di un cumulo di reati infamanti come evasione fiscale , appropriazione indebita , esportazione di capitali all ' estero e chi più ne ha più ne metta . Una gran Ladra , insomma . Proprio così , con la L maiuscola . Cominciata in sordina col rientro di Ferdinando Jr . ( figlio del defunto dittatore ) il 30 ottobre , la rimpatriata dei Marcos nelle Filippine ha avuto il suo vertice folgorante il 4 novembre scorso , quando l ' ex First Lady è apparsa all ' aeroporto Ninoy Aquino e si è inginocchiata e ha baciato la terra . Il processo L ' umiliazione della fuga ignominiosa nel febbraio dell'86 e la vergogna di dover subire ora un processo pesante non parevano aver incrinato la solare arroganza di Imelda Marcos ( anni 62 ) o inserito nella sua personalità di " farfalla d ' acciaio " il fluido corrosivo del dubbio e del rimorso . Il procuratore generale della Repubblica , Francisco Chavez , ha presentato contro di lei ottanta capi d ' accusa : nella speranza di ricuperare parte delle sostanze ( denaro e immobili ) che l ' ex famiglia reale ha sparso nel mondo , come i 350 milioni di dollari custoditi nelle banche svizzere . Ma quando si presenta al tribunale regionale di Quezon City per ascoltare la lettura delle incriminazioni che la riguardano e che l ' avvocato Chavez elenca imperterrito , Imelda sembra appena uscita da un bagno di schiuma . Il bianco luminoso del vestito che indossa è appena ravvivato da un foulard rosso.blu e le dita delle mani che minuti prima hanno disinvoltamente accettato il rito delle impronte stanno ora avvinghiate ai grani del rosario . Regalmente , Imelda respinge ogni accusa col solo movimento della testa . Poi , ai giornalisti che le chiedono se abbia paura del carcere , risponde cortesemente : " Non c ' è un posto in tutte le Filippine dove mi possano incarcerare . Non ho paura . Credo nella giustizia divina " . Però anche Dio dovrà essere molto paziente e misericordioso con la signora Marcos , col suo defunto marito e coi figli , pure incriminati . Tuttavia , il cospicuo deposito in Svizzera potrà rimanere congelato ed eventualmente restituito ai legittimi proprietari . i filippini . soltanto se Manila riuscirà a provare che è stato illegalmente accumulato . E qui tutti temono la lentezza del locale meccanismo processuale . Certo , l ' elenco circostanziato dei capi d ' accusa lascia sbigottiti e mette a nudo il cinismo e la totale mancanza di scrupoli con cui Marcos e la moglie hanno agito per vent ' anni grazie alla copertura della presidenza , spinti solo da un ' insaziabile ingordigia e dall ' ambizione personale : una diabolica " coppia reale " che incamera milioni di pesos destinati agli scolari poveri delle piantagioni di coconut ; che gioca sul dollaro creando uno " shortage " artificiale , che le frutta in un lampo 75 milioni di dollari ; che induce la Banca Centrale a concedere prestiti favolosi a ditte private , " amiche " del Presidente ; che deposita 25 milioni di dollari nella succursale di New York della Philippine National Bank perche ' la First Lady non sia a corto di liquido quando va a fare lo shopping nella Quinta Strada ; e che infine , dopo aver tanto rubato , fugge dal Paese di notte caricando sull ' elicottero 22 casse di valuta straniera e locale : sfortunatamente , non c ' è posto per le tremila paia di scarpe che Imelda abbandona nel palazzo di Malacanang , affrontando scalza l ' esilio . Dietro l ' aberrante immagine di questa coppia predatrice e sanguisuga , c ' è un altro aspetto , dei Marcos , di cui i tribunali non si stanno ora occupando : ed è l ' invereconda manipolazione del potere politico che ha consentito al dittatore di sopravvivere per tanti anni . Su questo la Storia ha già espresso il suo giudizio , che è pesante . Delitti Ma il ritorno di Imelda nelle Filippine non poteva non evocare lo spettro degli anni di piombo e della legge marziale ; e tuttavia nessuno si meraviglia se , sbarcando all ' aeroporto di Manila dove nell'83 venne trucidato Benigno " Ninoy " Aquino , marito di Corazon e irriducibile avversario di Marcos , l ' ex First Lady non abbia provato alcuna emozione . La " farfalla d ' acciaio " recitava ancora una volta i misteri gaudiosi . Nessuno dubitava che l ' assassinio di Ninoy era stato deciso e " preparato " nei meandri di Malacanang , anche se fu impossibile accertarlo : ma quel momento coincise col risveglio della coscienza popolare e con l ' ascesa di Cory e del " people ' s power " , che avrebbero invaso le Filippine coi vessilli gialli e spazzato via Marcos . Al suo rientro , Imelda , si presenta come la vittima di Corazon e della sua perfidia umano.politica . È povera . È Cenerentola . All ' aeroporto confessa : " Non ho più un soldo , sopravvivo grazie agli oboli degli amici " . Però è appena sbarcata da un Boeing , noleggiato alle Hawaii per 600 mila dollari , e il suo seguito è quello di un capo di Stato . Va ad abitare al Philippine Plaza Hotel , dove requisisce l ' undicesimo piano per sistemare , in 60 stanze , il suo entourage : lei si contenta della Suite Imperiale . Da questo fortino di lusso , pacchianamente superaddobbato per le feste , Imelda dirige la sua campagna elettorale . Blas F . Ople , editoralista di un quotidiano popolare ed ex ministro di Marcos , sostiene che Imelda è la sola persona in grado di mettere insieme l ' Opposizione . Occorrono , tra l ' altro , 37 milioni di dollari per la campagna elettorale , che l ' ex Fist Lady ha nelle preziose borse di pelle , firmate dai migliori stilisti . Nella sua scia , sono in molti adesso . I politici del voltafaccia che , nell'86 , rinnegarono Marcos e si buttarono nel campo dell ' Aquino . Uno squallido personaggio come Salvador Laureal , che divenne vice presidente dell ' attuale governo e poi diede il bacio di Giuda a Cory , andando all ' aeroporto per congratularsi con l ' ex First Lady che tornava ; o come l ' estremo rettile delle Filippine , Juan Ponce Enrile , ex ministro della difesa , che fu uno degli artefici della rivoluzione di febbraio e che vidi arrivare , il mitra in mano , nel campo Aguilaldo dei rivoltosi e che ora ha calato le brache e continua ad agitarsi sui banchi dell ' Opposizione , piccolo e isterico . Enrile sostiene che Imelda ha grosse chances a Manila , nelle regioni settentrionali e nelle Visnayas orientali , sua patria d ' origine . Nessuno sa come andrà a finire . Imelda , che definisce Enrile con le iniziali J.E. ( Judas Escariot ) per il suo tradimento nell'86 , basa le sue speranze sull ' accoglienza che i disperati di baraccopoli immonde e letamai umani come Tondo . delusi dall ' inefficienza dell ' attuale governo . le hanno riservato . La gestione di Corazon Aquino ha certamente deluso , ma il comportamento della signora Marcos rasenta , raggiunge e supera il marchio dell ' infamia . Il suo regno d ' influenza e di vita era vastissimo , ma ne erano esclusi i tagliatori delle canne di zucchero delle Negros o i peones di Mindanao . Era pure escluso il sindaco di Zamboanga , Cesar Climaco , che aveva deciso di non farsi tagliare i capelli fino a quando Marcos non avesse rimosso la legge marziale . Aveva scritto al dittatore , di cui un tempo era amico : " La sola cosa onesta in queste isole sono questo paio di coglioni che mi porto intorno " . Lo uccisero sparandogli nella nuca , mentre stava avviando il motorino . Cosa poteva importare , a Imelda , di Climaco ? Lei andava per shopping allo Harrods di Londra , al Bloomingdal ' s di New York , al Takashimaya di Tokio , alla Liberty House di Honolulu . E poi Bond Street , Fauburg St . Honore ' , via Condotti . Le scarpe da Ferragamo , i gioielli da Bulgari . E aveva il diamante più grosso del mondo ( lo Idol ' s Eye ) , pagato con 5 milioni e 500 mila dollari di puro sangue e sudori filippini . La gente muore per le strade e lei fa costruire a Manila 14 alberghi di lusso . Il suo mito era Hollywood , la sua molla erotica gli eroi dello schermo , come George Hamilton . Ed ecco , dentro questo vuoto immane che è la sua vita , germinare il progetto di un festival cinematografico che oscurasse la gloria di Cannes e di Venezia . Ma occorre costruire . e in fretta . un palazzo del cinema degno dell ' occasione . Ottomila operai ( era l'82 ) lavorano 24 ore su 24 . Ma a un certo punto le impalcature crollano e crollano i muri . Sotto le macerie e il cemento ancora caldo c ' è un cimitero . Nessuno saprà mai quanti sono i morti . Imelda ordina di continuare i lavori , la scadenza va rispettata . E a queste mani , così gentili e rapaci che una parte dei filippini affida ora il proprio destino . E allora buon anno e buona fortuna .
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Peshawar ( di ritorno dall ' Afghanistan ) . Mawli Bismilha passava per uno dalla mira infallibile , dicevano che avrebbe fulminato un passero a trecento metri : ma i tre soldati russi che montavano di sentinella , quella sera , sul ponte di Jalalabad , non lo sapevano e quando son risuonati i tre colpi sono andati giù come birilli , dietro il parapetto . Di Bismilha si diceva anche che avesse un gran fegato e un ' allergia acuta per i carri armati sovietici che gli aravano la terra quando non era più tempo di semina : e così quella mattina , appena il T-62 è sbucato con chiasso tremendo sull ' argine del fiume Sorkhroad , Mawli non ci ha visto più e ha cominciato a sparargli addosso col suo Enfield 303 . È stato l ' inizio di una battaglia che è durata tutta la giornata : entro sera , un carro armato e una APC ( un ' autoblindo per il trasporto truppe ) erano stati messi fuori uso . Ma Bismilha era morto . Il giorno dopo lo han portato nel suo villaggio a tre ore di cammino e lo hanno sepolto nel cimitero in collina con una gran festa funebre di canti , preghiere e bandiere bianche , come si conviene agli eroi . La commozione era grande e ha colpito anche noi « estranei » , venuti qui a curiosare nel cuore della tragedia afghana . La sepoltura di Bismilha è una ( l ' ultima , la più vivida ) delle tante dolorose immagini che ho potuto raccogliere durante un ' escursione ( chiamiamola così ) clandestina nella provincia di Ningrahar , fino alla periferia di Jalalabad , che ne è il capoluogo . Quel che segue è la cronaca di questo viaggio : un viaggio di pochi giorni dentro una specie di esaltazione collettiva , dove la logica non ha più posto . Ti chiedi che senso abbia il colpo di fucile sparato contro il MI-24 che vola basso : tanto vale il tirasassi . Ma per i mujaidin questa è la Jihad , la guerra santa , e niente - neanche la spaventosa inferiorità sul piano dell ' efficienza bellica - li può far desistere . La vita di Bismilha per un carro armato era un ordine di Allah . È una guerra che puoi vedere solo a spizzichi : e , per vederla , puoi solo aggregarti a questo o quel partito - islamico - che hanno i loro uomini su questo o su quel fronte : a Khunar o Paktia o Herat o nelle zone centrali o settentrionali . La base di partenza è Peshawar , in Pakistan , dove i fuorusciti afghani hanno le loro « carbonerie » : e da qui , con un minimo d ' insistenza e di preghiere , ti fai accompagnare over the border , oltre confine , nelle zone calde , dove la terra è ormai seminata di polvere da sparo . Conosco il paesaggio . È stupendo . L ' ho visto d ' estate , l ' ho visto d ' inverno : ora che è primavera è anche più bello , hai intorno una luce soffice che non acceca , afghano è l ' abito , afghano il cappello , afghano lo scialle ed è con questa esotica bardatura che cominci a scarpinare in montagna dopo aver attraversato il Khunar sulla piana di Cama . La marcia nella notte sembra non finire mai , forse hanno sbagliato strada , le otto - nove ore promesse diventano tredici - quattordici e alla fine tutte le tue ossa sono rotte e fracassate . Sono in buona compagnia . All ' escursione , in provincia di Ningrahar , partecipano una cinquantina di mujaidin che vanno a rafforzare í fronti islamici nell ' area calda intorno a Jalalabad . Alcuni hanno in spalla cassette di munizioni e dinamite . Fatico a tenere í1 passo e il capo della spedizione si arrabbia : dice che bisogna arrivare a destinazione in mattinata perché dopo la zona è sorvolata dagli elicotteri russi e non c ' è modo di nascondersi nella calvizie dell ' altopiano . Gli uomini fanno parte dello Hezb - i - Islami di Mawli Khalés , un partito di modesta consistenza numerica che qualche mese fa si è staccato dal massiccio Hezb - i - Islami di Gulbuddin Hekmatyar , troppo « politicizzato » , per dedicarsi esclusivamente alla lotta armata . F . Khalés , infatti , è il solo leader di partito che vive in Afghanistan , in prossimità del fronte , mentre gli altri fanno la politica da seduti , lontani dalle pallottole , nell ' esilio di Peshawar . Khalés ha 60 anni , la barba autorevole che gli ondeggia sul petto , il fucile a portata di mano . Lo incontro di sera , nella sua casa di Kaja , dopo una giornata di camminate . Viene dalla campagna , è un leader molto amato , a differenza dell ' ingegnere Gulbuddin non mantiene le distanze . I suoi uomini lo chiamano Mawli , gli sono sempre attorno , lo abbracciano . Mi dice : « Lo so cosa pensate voi stranieri : che í russi sono troppo forti , che hanno armi sofisticate e potenti e noi fucili del '19 e tirasassi , che siamo destinati a uscire sconfitti da questa guerra e a diventare satelliti di Mosca . Ma voi stranieri vi sbagliate . Voi non vi rendete conto che la popolazione è con noi al 99 per cento , che se io scendo in strada e incontro il più vecchio del villaggio e gli caccio in mano un fucile , quello mi segue fino a Jalalabad cantando e ringiovanisce di trent ' anni sognando di stendere un russo . Qui nella provincia di Ningrahar i mujaidin armati , cioè veramente impegnati nella guerriglia , sono 25 mila » . Gli chiedo qual è il suo principale obiettivo : « Lei è mai stato a Jalalabad ? » mi dice . « È una gran bella città , tutta fiori e giardini . Adesso è in mano ai russi , ce ne saranno migliaia . E all ' aeroporto ci sono centinaia di jet ed elicotteri militari sovietici . Ma i russi si renderanno presto conto che non gli basteranno perché Jalalabad tornerà in mano nostra . Lei vuoi vedere un po ' d ' azione ? Vuol toccare con mano se noi mujaidin facciamo sul serio o ci battiamo solo a parole ? Bene , si faccia quattro passi fino a Jalalabad : vedrà che ogni sera i miei ragazzi aprono il fuoco su tutta la cintura periferica della città e in particolare contro l ' aeroporto . È un ballo che dura tutta la notte e quando finisce , all ' alba , qualche dozzina di soldati russi o afghani ci ha lasciato la pelle » . Sto per fargli un ' altra domanda ma Khalés l ' indovina e mi precede : « Lo so cosa lei vuol sapere , altri giornalisti me l ' hanno chiesto . Ebbene , sì . Questo Enfield qui non lo tengo per bellezza o per farmi fotografare . Sì , vado anch ' io al fronte e credo d ' aver contribuito la mia parte allo sfoltimento della presenza militare sovietica in Afghanistan . Capisce cosa voglio dire ? Duecento miei ragazzi sono morti e sono sparpagliati nei cimiteri di villaggio di Ningrahar . Può capitare anche a me dall ' oggi al domani e non sarà niente di speciale . La nostra religione comanda che un leader debba essere in prima linea , sempre » . È l ' ora di cena e stendono la tovaglia sul tappeto . È una buona cena , con pane , brodo , riso , spinaci , pezzi di pollo , latte cagliato . Le mani , qui , sostituiscono le posate ma la mia tecnica manducatoria è ancora - dopo qualche giorno di pratica - a un livello tale che suscita sorrisi di divertita compassione in Khalés e nei commensali afghani . Peter e Steve ( i colleghi fotografi che mi hanno accompagnato nell ' escursione ) fanno le cose con maggior disinvoltura . Khalés è loquace e sereno , ma a un certo punto si rabbuia . Qualcuno lo ha informato che un paio di sere prima , nel villaggio di Cheperhar , il giornalista amico è stato derubato del portafoglio . « Sono veramente mortificato » mi dice , « lei era un ospite , lei è venuto per raccontare al mondo la nostra tragedia , per darci una mano . Sono pieno di rabbia , d ' amarezza . Non mi sarei mai aspettato che tra i miei ragazzi , i miei mujaidin , ce ne fosse uno capace di tanta bassezza . Ma lo troveremo , lo troveremo . Intanto , lei domattina riavrà i suoi soldi : purtroppo non abbiamo dollari , dovrà contentarsi di moneta afghana . » Spero non abbiano trovato il ladro . Mi auguro che non lo trovino mai : pagherebbe troppo cara la sua ribalderia . Dopo cena chiedo ai mujaidin quale punizione potrebbero infliggergli . C ' è una breve consultazione , poi : « Gli tagliamo la mano » . Ma uno del gruppo , che ha tutto soppesato e ponderato , è più tetro e drastico : « Siamo in guerra » dice « e pertanto vanno applicate le leggi di guerra . Un reato simile va considerato alla stregua del saccheggio e della violenza carnale . Non credo che Khalés la pensi diversamente : a parte il fatto che ha gettato discredito sul nostro partito . Mister Mo , se lo scopriamo lo fuciliamo . È OK ? Le sta bene ? » . I mujaidin di Khalés sono sistemati in una quindicina di villaggi nel distretto di Sorkhroad , che è una bella , verde , ariosa campagna circondata da montagne calve color caffelatte . La marcia è lunga e ogni tanto devi fermarti perché gli elicotteri ti arrivano improvvisamente in testa . La gente , ormai , non ci fa più caso : « Se è destino morire per questi infedeli » senti dire , « va bene ma lo stesso non avranno la nostra terra » . È sera fonda quando arriviamo nel villaggio di Diwalid , bianco nella luce della luna . Jalalabad è a neanche tre chilometri , difesa - da questa parte - dal « fossato » del fiume Sorkhroad , quasi completamente asciutto . I mujaidin sono in azione e puoi sentire qualche colpo di fucile . « Non c ' è gran che stasera » dice il comandante Awskhan Mokhlis , « i nostri uomini rientreranno dopo la mezzanotte . Vi consiglio di riposare , siete stanchi : e domani sera vi organizzo un bello spettacolo , okay ? » Okay okay . Finora abbiamo visto i mujaidin delle retrovie che di eroico hanno solo la nomenclatura . Parlano incessantemente di eventuali attacchi coi russi , abbattono verbalmente elicotteri e jet e non c ' è tank sovietico che possa fare la sua passeggiata vespertina nei campi di grano di Ningrahar senza essere impallinato , bloccato e bruciato dalle cartucce dei 303 . A sentirli , hanno già vinto la guerra . Sono i mujaidin del tè permanente . Pregano cinque volte al giorno e quindici volte prendono il tè , cominciando al mattino presto , quando il sole non è ancora sbucato . Poi li vedi sempre seduti o sdraiati - sui letti o sul pavimento - a parlare dell ' Islam o di guerra . L ' occupazione più frequente è scaricare o ricaricare il fucile o diramare omericamente i bollettini di guerra che vengono rigonfiati di bocca in bocca : perciò non ti devi meravigliare se i soldati russi morti nella tale operazione da dieci diventano cento e carri armati ed elicotteri sono , nel giro di poche ore , triplicati o quintuplicati . Le distanze sono enormi , non c ' è radio e non c ' è telefono , è praticamente impossibile restare aggiornati sulle vicende militari : eppure trovi sempre qualche arcano , alato messaggero che ha fatto trenta chilometri in cinque minuti e ti scarica sul tavolo la bisaccia delle « ultimissime » . « Allora hanno preso Jalalabad ? » « Non ancora , ma è questione di giorni . » « E Kabul ? » « Questione di settimane . » A Diwalid la guerra ce l ' hanno in casa e non si fanno illusioni . Qui la conta è precisa , puntigliosa . Quando uno esce dalla caserma ( chiamiamola così ) col fucile , non sa mai se torna . Ma anche qui trovi i millantatori . Il nostro miles gloriosus è un sellerone alto quasi due metri , la faccia segata imperiosamente dal baffo , il kalashnikov a tracolla . Entra e dice : « Ho fatto fuori tre russi , sul ponte . Un ' ora fa » . Il comandante Moklis non dice niente , anche gli altri tacciono . Ma Peter e Steve vogliono scattare foto dell ' eroe . Com ' è avvenuto ? Hagi racconta , con pacatezza , l ' impresa . Sembra il De bello Gallico , tanto è asciutto . Mi sono appostato , ho visto i tre , mi son detto questa è roba mia , vai . Ho premuto il grilletto . Si accarezza il baffo e guarda giù sulla nostra miseria d ' uomini con aria sovrumana . Gli chiediamo di tornare sul ponte , le tre sentinelle saranno state rimpiazzate . Ma Hagi rifiuta , la sua dose è tre russi al giorno , Allah è d ' accordo . Però domani , se vogliamo , lui ci porta nei campi e ci improvvisa uno show : « Volete un carro armato ? » dice . « Bene . Esco fuori col mio " rocket launcher " e il primo T-62 che si mette in marcia da Jalalabad ve lo schianto in un colpo . Ma dovete esser pronti ragazzi , clic clic . Io lo spacco e voi clic clic . » Il giorno dopo Peter e Steve non hanno fatto clic clic : o lo hanno fatto , ma non per Hagi . Durante la notte il miles gloriosus è stato selvaggiamente ridimensionato : fuori della stanza c ' è una bagarre in piena regola , volano parole e cazzotti ed è veramente un peccato non capire il pushtu ribaltato di bocca in bocca con tanta sonora violenza . Capiremo il mattino seguente che Hagi s ' era abusivamente attribuito il merito dello sterminio sul ponte e che la scarica micidiale era partita da tutt ' altro cecchino : il cecchino Mawli Bismilha . Mawli e l ' ingegnere Mahammood sono rientrati di notte , all ' una , dopo aver a lungo sparacchiato . Adesso hanno già detto la prima preghiera ed è l ' ora del breakfast , mi offrono il tè e il pane e vogliono sapere se a Roma è primavera come qui , con l ' aria dolce e azzurra . L ' ingegnere avrà trent ' anni , parla un inglese soffice e antico , è molto cauto e prudente e tende sempre ( a differenza dei mujaidin del tè ) a minimizzare . Ma tra poche ore vedremo di che scorza è fatto . L ' ingegnere dice che è stato Bismilha a stendere i russi : non ha sprecato un colpo . Mawli è minuto e gracile , ha occhi grandi di un marrone dorato e un naso da boxeur , schiacciato : quando ride - e lo fa spesso - scopre una dentatura aggressiva , una palizzata bianca che si infigge nel labbro inferiore . Non sono riuscito a scoprire la sua età . L ' inglese approssimativo delle nostre guide non fa testo : chi dice venticinque , chi ventisei , chi ventotto . Non importa . Non aveva l ' età per morire . L ' ingegnere cerca di spiegarmi la situazione e mi traccia una « mappa » sul quaderno : qui c ' è la dronta dam , la diga , qui l ' università , qui il ponte Khab , qui la dorasaka , qui qui ... eccetera . « Ogni sera » dice « noi attacchiamo . Jalalabad è difesa da tre , quattromila militari , tra russi e afghani . Avranno da 50 a 60 elicotteri e una decina di jet . I carri armati potrebbero essere da 400 a 600.» « Ma qual è il vostro obiettivo ? » « Prendere l ' aeroporto » dice « e ammazzare più russi possibile . » « Ingegnere , ma che speranze ci sono ? Non avete armi . » Mi guarda con un ' espressione tranquilla , rassegnata . Non riuscirò a scordarmi quello sguardo . Ordina di farci vedere l ' arsenale , che è modesto . Ci mettono davanti agli occhi , oltre agli Enfield 303 , i kalashnikov AK-47 , un rocket projector RPG-7 , una mitragliatrice Guru , una LMG cecoslovacca , dei fucili G 3 tedeschi , un fucile russo della Seconda guerra mondiale . « È molto poco » ammette l ' ingegnere , « abbiamo bisogno di missili per abbattere gli elicotteri , i gunships MI-24 . Ma per il resto , andiamo bene . Sul piano della guerriglia , i russi non ci possono battere . Noi conosciamo il terreno , sappiamo da dove sparare . Ieri , Bismilha ha stecchito tre russi ma quelli non sono neanche riusciti a scoprire da dove venivano i colpi . È solo questo il nostro vantaggio . Ogni sera attacchiamo Jalalabad da un punto diverso . La sola cosa certa , da parte loro , è che noi , a una certa ora , apriamo il fuoco . I russi mettono davanti i soldati afghani e sono quelli i primi a crepare . Quanti siamo ? Non è possibile fare un conto . Varia da sera a sera . Ma ti posso dire che non gli diamo requie . I mujaidin calano giù da tutte le parti , da Mirzayan , da Charbagh , da Saidane - Poladi e da Haji Sahiban , da Koshkak e da Balabagh , solo per parlare del distretto di Sorkhroad : e poi , naturalmente , da Cherperhar e da Cama . » È un bel cielo d ' aprile , quello che vedo sopra Jalalabad . Sono molto vicino al ponte dove , la sera prima , sono stati falciati i russi . Gli elicotteri sovietici passano e ripassano sopra la campagna e scompaiono oltre , nella valle di Khunar . L ' ingegnere dice : « È troppo pericoloso attaccare adesso : aspettiamo stasera . Di giorno , se spari , ti vengono addosso jet ed elicotteri e non hai scampo » . Ma poi qualcosa cambia . Ed è l ' ingegnere che arriva trafelato e dice : « Attacchiamo adesso : ma vi prego andate via , non vogliamo che vi succeda qualcosa » . Peter ed io siamo in un campo di frumento e vedo l ' ingegnere e Bismilha correre piegati in due lungo l ' argine e poi farsi inghiottire dal verde . Subito dopo , un carro armato russo appare sulla sponda del fiume , dalla parte dei mujaidin : e poi un altro , con la stessa minacciosa musica , e poi tre Carriers . Peter inquadra il primo carro armato , un T 62 : « Cristo » dice , « che bella bestia » . Dal verde alla nostra destra partono i primi colpi . Bismilha è allergico ai tank sovietici e così l ' ingegnere . Sono passate da poco le undici e i mujaidin hanno deciso che l ' Armata Rossa non debba profanare oltre , coi cingoli , la terra sacra di Ningrahar . Né l ' ingegnere né Bismilha hanno avuto il tempo di chiedere l ' autorizzazione a Mawli Khalés , ma sanno molto bene che Mawli Khalés farebbe la stessa cosa . E dai cespugli dove sono rintanati partono altre scariche . Ora , lungo l ' argine del Sorkhroad , procedono lentamente - forse con l ' obiettivo d ' un accerchiamento - due T-62 e tre APC : che cominciano a rispondere al fuoco coi cannoni di 75 mm. Non è ancora l ' inferno , ma questa media temperatura bellica non impedisce a una donna di continuare a sciacquare e risciacquare i suoi panni nel torrente e ai contadini di zappare la terra . Cannonate e raffiche di mitraglia passano sopra questi bellissimi campi di frumento e cipolle e papaveri bianchi e ciclamini da cui esce , distillata , la felicità dell ' oppio . È passato da poco mezzogiorno quando Bismilha e un ragazzotto di neanche diciott ' anni spingono fuori dalla macchia , sull ' argine , tre uomini , percuotendoli coi calci dei fucili . Uno avrà trent ' anni , l ' altro quaranta , il terzo , molto vecchio e fragile , è sulla settantina . Gli sono molto vicino e credo di poter dire da che strana luce sono attraversati gli occhi , quando sei preso dal terrore . Il mujaidin di scorta continua a picchiarli e altri , che li incrociano sul cammino , aggiungono la loro dose di percosse , calciandoli in faccia , alle gambe , ai testicoli . Il vecchio è il più pestato . Uno lo fa stramazzare vibrandogli il fucile sulla schiena con un fendente che avrebbe ucciso un mulo , ma lui riemerge dalla caduta senza un lamento , senza gemiti , la faccia di un antico gufo che è da tempo morto e non appartiene più a questa terra . I tre afghani erano su un bulldozer che i carri armati russi scortavano da qualche parte per lavori di sterramento : sorpresi e terrorizzati dalla sparatoria , si son dati alla fuga scegliendo - nella paura - l ' itinerario sbagliato : ed eccoteli capitare , in pochi minuti , davanti ai fucili dell ' ingegnere e di Bismilha . Li hanno portati dal giudice . Il giudice è un tipo robusto con una faccia larga e una barba coranica , ha occhi color mandorla , vivaci , ironici e crudeli , lo chiamano anche Kissinger per via di una sua certa avventurosa politica estera e sostiene di dovermi proteggere a tutti i costi « perché » dice « tu hai faccia da russo ( " rusj rusj " ) e se capiti in mezzo proprio non darei una lira per i tuoi coglioni » . « Rusj rusj » mi dice il giudice , « tu non vuoi morire a Jalalabad . » Io gli dico di no , anche se è bella , c ' ero stato in gennaio e il collega Bernardo Valli , che pure ha tanto peregrinato , sosteneva che un profumo simile non lo aveva mai respirato da nessun ' altra parte . Quando i tre gli arrivano davanti , il giudice li abbraccia : miei cari fratelli islamici , dice . Ma poi il mujaidin di scorta lo informa che sono « collaborazionisti » , grandi figli di troia fottuti e venduti , e il giudice allora fa scendere dall ' alto la sua mano non più benedicente , un colpo di maglio che quasi gli stacca la testa . Li mettono in una specie di stalla . Nessuno dei tre parla . Forse gli hanno già detto che devono morire . Guardo il vecchio . Ha due crateri secchi nelle guance , la bocca senza labbra cucita sulle gengive amare . L ' uomo di mezza età getta un ' occhiata indifferente - certo senza astio - ai fotoreporters che stanno indagando nella sua disperazione . Il più giovane sembra assente . Il comandante gli dice : « Hai dei bei sandali , sono molto più belli dei miei . Sai che ti dico ? Facciamo un cambio : a te non servono più » . Il comandante Mokhlis butta lontano le sue ciabatte sdrucite e calza i sandali del condannato a morte . Fa due o tre passi per provarle . « Belle calzature eh ? » L ' uomo si guarda i piedi nudi . Nei campi , i mujaidin combattono fin a tarda sera . Il giudice si fa passare sotto le narici dei fiori di campo e poi dice : « Domani finito » . Fa anche capire , con un gesto , che i tre non hanno scampo . Alle quattro del pomeriggio arriva la notizia che Mawli Bismilha è morto . Il ragazzo che porta la notizia ha del sangue sulla camicia . Non piange , ma gli costa fatica . « A che ora è morto ? » gli chiedono . « Un ' ora fa » è la risposta . « L ' hai visto ? » « L ' ho visto . » Vai a capirli , questi mujaidin . Bismilha è morto , l ' ingegnere continua a sparare sui carri armati col cadavere vicino e dai campi di frumento che sono lì a cento metri senti i guerriglieri che tra una fucilata e l ' altra invocano Allah , mentre i carri armati sovietici , non ancora annichiliti , vomitano sui campi il fuoco della 75 mm. È un grido di disperati , un grido che fa paura . Allah Akbar , Allah è grande . La battaglia di Jalalabad è finita senza vinti né vincitori . Ma il giorno dopo i russi son passati alle punizioni e l ' artiglieria di terra e gli elicotteri hanno martoriato per ore Sorkhroad . È sera , ormai , quando il giudice decide di trasferire i prigionieri in zona più tranquilla . Una trasferta di oltre quattro ore . La battaglia continua sulla piana mentre noi scappiamo . Mi dicono che i russi stanno tentando una manovra di accerchiamento e non sarebbe prudente farsi trovare . Quando arriviamo sul fiume , è l ' ora della preghiera . Una luce violetta avvolge le montagne . I tre chiedono di poter pregare e gli viene concesso . Li slegano , quelli si inginocchiano e forse non vedrai più mai nella tua vita una preghiera così fervida , così disperata e così intensa . Viene da piangere . Ma forse - pensiamo - c ' è speranza : li hanno lasciati pregare , potrebbero salvarli . Invece no . Li hanno portati in una cava di ghiaia , a Fathiabad , tre buone ore di marcia da Diwalid . Ed è qui che li rivediamo , sempre legati e pronti a morire . Nessuno è in grado di venirci incontro . Nessun interprete che sappia tradurre . Dei tre non sappiamo né il nome né l ' età né perché si son messi coi russi . Ma non ha importanza . Una cosa ci sembra di aver capito . Ed è che erano tre poveri diavoli di contadini , senza la minima possibilità di traviamento da parte di una filosofia estranea e ( per loro ) lunare come il marxismo e che se erano capitati sui bulldozer « russi » lo avevano fatto soltanto per sbarcare il lunario e per quell ' antica irresistibile ragione che è la fame . Sono le dieci del mattino quando entriamo nella cava di Fathiabad . I due più giovani sono ammanettati insieme da una striscia di stoffa celeste ; il vecchio è solo . Li spingono dietro , dove c ' è una specie di cunetta che sarà la loro fossa . L ' intero villaggio s ' è radunato per la cerimonia ma il giudice li tiene lontano . Non c ' è plotone d ' esecuzione vero e proprio , i tre non vengono messi al muro . Due mujaidin hanno l ' incombenza . Il primo colpo è per il vecchio che cade sulle ginocchia , schiantato , e poi si rovescia sul fianco , cadendo nella cunetta , la bocca e gli occhi pieni di sangue . Poi vanno giù gli altri due : il più giovane ha la schiena sfasciata e da un buco esce della materia . L ' uomo di mezzo ha molto pregato prima di morire . Gli ero molto vicino e ho sentito che ripeteva continuamente Allah , Allah , Allah . Il secondo e ultimo colpo gli ha traforato il cranio . Ma non è tutto finito qui . Qualcuno non è soddisfatto , l ' esecuzione non gli è bastata . Ed ecco che tira fuori dai cenci un coltello e comincia a infierire contro i cadaveri , aprendo altri squarci . Il vecchio ha la gola recisa . Mi vedo attorno bambini di nove , dieci anni colti da macabra esultanza che sputano sui morti , giocando a chi centra meglio . Fathiabad era il villaggio di Mawlí Bismilha . Lo hanno portato al cimitero sul suo letto di paglia , sotto una coperta verde . Hanno rimosso la coperta per farmelo vedere . Ha quei suoi dentoni appoggiati sul labbro inferiore e un buchetto nero in mezzo alla fronte . Sua madre non piange , suo fratello non piange . C ' è solo un ragazzo che piange . Se ho ben capito , dice che Mawli gli ha insegnato a sparare .
StampaQuotidiana ,
HAMMAMET ( Tunisia ) . Bettino sta male , Bettino soffre per i postumi di un infarto , Bettino e ' in clinica a Tunisi : tornera ' , forse ; parlera ' , forse . Dopo una settimana di inutile caccia al fantasma , dopo un certificato medico spedito via fax dalla sua villa tra aranceti e fichi d ' India , dopo le voci , i sospetti e il tam tam di Radio Medina che lo voleva nascosto e sicuro nel rifugio dalla " porta celeste " di una casa anonima tra i vicoli della citta ' vecchia , eccolo di nuovo Bettino : non e ' fuggito ne ' sembra intenzionato a farlo . Sta solo male , deve curarsi , anzi si sta gia ' curando . E il passaporto da riconsegnare ? Tempo , la salute prima di tutto . Poi si vedra ' . La Land Cruiser accosta a destra sulla Rue de la Gare . L ' autista frena . In una nuvola di polvere lo sportello si apre . Anna Craxi , in camicia di seta a fiori arancioni e rossi e fuso ' neri ci viene incontro , sorride . Cortese , come sempre : " Io sono cosi ' , e ' il mio carattere ... " . Abbiamo saputo che suo marito non sta bene . " Eh , infatti . Non sta proprio bene . Non ve lo volevo dire , sapete , ma e ' in clinica a Tunisi . Deve fare dei controlli " . Perche ' , che cos ' ha ? " Beh , aveva gia ' avuto un infarto di cui non s ' era accorto " . Quando era stato male , qualche anno fa ? " No , prima . Un po ' di tempo prima " . Infarto asintomatico ? " Si ' " . E i medici l ' hanno scoperto quando e ' stato male , dopo . " Si ' . Poi da due anni , con tutto quello che gli e ' successo , capirete lo stato d ' animo , lo stress . Anzi , devo dire che io temevo si deprimesse . Invece , per fortuna , e ' sempre un leone " . Signora Craxi , vede , il fatto e ' che i magistrati italiani aspettavano suo marito e sembra che si stiano innervosendo . " Beh , pero ' io non capisco questa cosa . Allora e ' proprio vero che e ' una persecuzione . E insomma , dico : o tutti dentro o tutti fuori ... E comunque , non e ' detto che non ritorni . Certo , fosse per me , io non tornerei . Io gli direi di non tornare . Pero ' lui deve ancora decidere . Non e ' detto " . Dove si fa curare ? " Questa mattina e ' andato in clinica a fare delle analisi . Ne aveva gia ' fatte a Parigi ma sapete com ' e ' lui : non e ' uno che , uno che sta a dieta , segue i consigli . E allora gli hanno rifatto i controlli e hanno trovato valori alti : la glicemia e il resto . Le cartelle e le analisi non sono buone . Anche se , per fortuna , lui e ' sempre di buon umore " . Se ne occupano dei medici del posto ? " Si ' , a Tunisi Bettino ha un sacco di amici medici . Sono di scuola francese , ottimi specialisti " . Dunque , il Leone e ' riapparso . E con lui , i segni distintivi del potere e del rispetto che da vent ' anni e piu ' ne confermano la presenza in terra d ' Africa . Intanto c ' e ' il soldato alla porta della villa . Anzi , due . Il primo ha la tuta verde oliva e la faccia da bravo ragazzo di campagna . Ti viene incontro , chiede i documenti , li porta dentro . Il secondo e ' in divisa , la pistola al cinturone e i documenti te li rimette in mano : " Vous ne revien pas ici , capito ? Mai piu ' " . Il piccoletto che fa la guardia a casa Craxi e invece della divisa sfoggia i rayban e un ghigno alla tonton macoute , se la gode soddisfatto : " E se tornate ici , nous vous agrediron ... " . Ma intanto Radio Medina , la radio delle voci di Hammamet , si e ' tutta sintonizzata occhi e orecchie sul ritorno del Leone : del Rais italiano amico personale del Rais tunisino , il presidente Ben Ali ' . E ne protegge con discrezione spostamenti , abitudini , capricci . Non si tratta pur sempre di un vecchio , fedele amico del popolo arabo , ancora potente anche se un po ' acciaccato in salute e nel prestigio ? Poi questi giornalisti che vogliono ? Dare la caccia a Craxi , nel suo stesso territorio , e ' cosa a volte anche rischiosa . Ti si avvicinano una quantita ' di nemici ( falsi ) e amici ( falsi ) . Ti soffiano le piste piu ' improbabili . Sanno dell ' amicizia tra il Leone e Berlusconi . Ti giurano che si ' , lui ( Berlusconi ) era venuto a trovarlo anche l ' estate scorsa e che Hammamet gli era piaciuta tanto da comprarci quasi una villa . Ti spiegano che l ' amicizia con Ben Ali ' e ' tale da allontanare ogni possibilita ' concreta di estradizione . Poi tu gli chiedi : va bene , ma Craxi dov ' e ' ? E loro , a mezza bocca , ti fanno il nome di questo Karim , che ha un negozio di fiori e fa anche l ' ingegnere . Abita sulla strada per Sousse , dopo il semaforo , dove parte una pista che passa sotto l ' autostrada per Tunisi . Ed e ' vero , Karim abita li ' e si fa pure trovare . Jeans e camicia , barba incolta , l ' occhio astuto di chi annusa e pesa la gente a distanza . Quando gli domandi di Craxi risponde : " E allora ? Rivolgetevi a lui " . Ma lei forse ci puo ' aiutare . " Forse . Mi dia il suo nome . Se lo vedo glielo dico " . Karim Ben Sheida vive circondato dai fiori . Per una settimana Radio Medina ha fatto rimbalzare la voce che Craxi si fosse rifugiato nella sua villa . Tu gli parli e lui ascolta in silenzio , come un confessore , sgranando quel rosario che gli arabi passano tra pollice e indice da Tangeri all ' Eufrate . Sull ' amico Bettino non sgancia una notizia . E quando lo saluti , monta sulla sua Mercedes e ritorna in citta ' . Amici . Come Manken , che in una viuzza davanti al distributore della Mobil ha messo su una pensione e un ristorante di pesce . La pensione l ' ha chiamata " Milano " , il ristorante " La Scala " . Sui muri ha appeso le foto ( piccoline ) di Pavarotti e Giuseppe Verdi , una litografia di Bettino col garofano ( " notre ami italien " ) , una litografia di Garibaldi , una gigantografia di Ben Ali ' ( " notre ami president " ) . Bettino viene qui a mangiare gli spaghetti alle vongole e la spigola . " Uomo semplice , come tutti gli italiani semplici " , fa Manken . E da quanto non si fa vedere ? " Tre settimane ? Due ? Mah " . Gli amici . Le voci . Poi anche i fatti . Il consigliere De Luca , al telefono dall ' ambasciata di Tunisi , spiega che sulla faccenda sa poco : " L ' ambasciatore rientra stasera e ha detto che se ne vuole occupare lui personalmente " . L ' ambasciatore si chiama Caruso , era il consigliere diplomatico di Claudio Martelli . De Luca e ' cortese ma non ha molto da aggiungere . Una curiosita ' : ci sono gia ' in circolazione gli agenti dell ' Interpol ? " Non qui in ambasciata . E comunque , se fossero gia ' qui a Tunisi dovrebbero passare da noi . Fuori dall ' Europa , questa e ' la prassi " . Cosi ' , non resta che attendere le prossime mosse di Bettino , il Leone . Nel certificato firmato dal medico tunisino c ' e ' scritto che rientrera ' in Italia " compatibilmente con le sue condizioni di salute " . Inchallah , dicono gli arabi . Intanto da Milano l ' avvocato Lo Giudice . facendo riferimento a gravi problemi di salute . assicura che " non appena sara ' in grado di farlo , Craxi si presentera ' " . Grigo e Ghitti , che finora non hanno ricevuto richieste dal pool per ulteriori provvedimenti restrittivi , esaminano le convenzioni con la Tunisia nel caso dovesse rendersi necessaria l ' estradizione .
Buscetta, la piuma e il piombo ( Sciascia Leonardo , 1986 )
StampaQuotidiana ,
Buscetta parla con voce ferma , pacata . Quale che sia la domanda che gli si rivolge , non si innervosisce , a momenti sembra anzi divertirsene . Come quando l ' avvocato di Greco gli domanda se ricorda di essere stato arrestato dalla Guardia di finanza , il tale anno , il tale giorno , nelle acque di Crotone . Che cosa vuol dire « nelle acque » ? domanda Buscetta : a mollo , sul bagnasciuga , su una barca ? E poi - chiarito il senso della domanda - risponde che non nelle acque di Crotone era stato quel giorno arrestato , ma sulla terraferma di Taranto . Si sarà benissimo accorto , in questi giorni , di aver perduto la benevolenza della stampa : ma non sembra darsene pensiero . E ' presumibile che sia soltanto impaziente di liberarsi dell ' incombenza che il processo di Palermo gli assegna e di tornarsene negli Stati Uniti dove , esaurito il suo ruolo di testimone d ' accusa , spera di avere - con altro nome e altro volto - una sicura cittadinanza . Benissimo sa pure che gli basterebbe fare il nome di un uomo politico , magari di un solo uomo politico , e preferibilmente democristiano , per riguadagnare al doppio il favore della stampa . Ma non lo fa . Anzi : se , quando il giudice gli domanda il nome dell ' uomo politico che lui aveva detto di avere incontrato nell ' atrio di un albergo romano insieme a Nino Salvo , risponde di non ricordare , alla stessa domanda fatta da un avvocato di parte civile risponde di non ricordare nemmeno l ' incontro . E così la parte civile contribuisce a destituire di credibilità la testimonianza di Buscetta , che è l ' operazione cui prevalentemente si dedicano gli avvocati della difesa . Dovrebbe esser chiaro a tutti coloro che agiscono in questo processo che tutto quello che era possibile spremere da Buscetta si trova negli atti istruttori : e per ragioni comprensibilissime , considerando la situazione ambientale e psicologica di un imputato o testimonio di fronte a un solo giudice ; del tutto diversa da quella in cui viene a trovarsi nel processo dibattimentale . E non parliamo poi di quel che è sempre accaduto nei processi dibattimentali che hanno a che fare con la mafia , in cui regolarmente , tipicamente , le dichiarazioni rese in istruttoria subiscono una riduzione o negazione . Sperare che Buscetta dica qualcosa di più è alquanto insensato . Se mai , qualcosa di meno : come di fatto accade . Invece di ironizzare sul « cantare » di Buscetta e sulle sue « stecche » la stampa dovrebbe fare un po ' di autocritica sul fatto di aver creduto e di aver fatto credere che Buscetta fosse l ' angelo sterminatore incombente sull ' intera mafia siciliana e internazionale . Buscetta è semplicemente un uomo che ha visto intorno a sé cadere familiari ed amici , che sente in pericolo la sua vita , e vuole dalla parte della legge trovare vendetta e riparo . Con tutto quel che la stessa stampa gli propina sui letali pericoli che chi parla o è sul punto di parlare corre in Italia , e persino nelle carceri di massima sicurezza , è umanamente spiegabile che Buscetta tenda a non moltiplicare il numero dei suoi nemici , e specialmente di quei nemici che ancora « possono » . Che poi dai suoi ospiti americani abbia avuto ammonizione a non far nomi di politici italiani , ipotesi che si sente aleggiare tra coloro che seguono attivamente questo processo , è anche possibile : benché viene da pensare che almeno un nome , uno solo , in questo momento avrebbe fatto gioco a certa insofferenza della polizia americana nei riguardi dell ' Italia . Peraltro , la mentalità di Buscetta è perfettamente mafiosa : la sua alleanza con la legge non l ' ha per nulla scalfita . Dalla parte della legge continua a fare quel che avrebbe fatto dentro una « famiglia » ancora capace di far qualcosa : restituisce i colpi ricevuti , si vendica . Ed è appunto perciò credibile in quel che rivela . Nella misura , insomma , per cui è incredibile non sappia certe altre cose è credibile conosca bene e colpisca giusto nelle cose che afferma . Giustamente si dice « dissociato » e non « pentito » . Non è pentito di aver fatto parte della mafia , ne coltiva anzi l ' ideologia , la nobiltà : della mafia , s ' intende , di una volta . Che cosa poi fosse la mafia di una volta , non si capisce bene . Non ammazzava giudici e carabinieri , non produceva e commerciava droga : va bene . Ma omicidi , taglieggiamenti , usurpazioni e soprusi indubbiamente ne faceva . E c ' è una impagabile battuta di Buscetta , in risposta all ' avvocato che gli domanda di Sindona e di quel che era venuto a fare in Sicilia . Vale la pena trascrivere l ' intera sequenza : Avvocato Maffei : « Si ricorda per quali canali avvenne l ' incontro tra Sindona e i suoi amici Bontade e Inzerillo ? » . Buscetta : « Non ne parlammo mai ... Bontade mi disse che Sindona era solo un pazzo ... Non c ' era niente da parlare » . Avvocato Maffei : « Ma Sindona parlò di una rivoluzione . Bontade non era preoccupato di essere custode di simili segreti ? » . Buscetta ( ridendo ) : « I segreti di Sindona ! Erano una piuma , in confronto ai segreti che aveva Bontade » . Una piuma , i segreti di Sindona . Si può immaginare dì qual piombo fossero i segreti della vecchia , buona , nobile mafia , che Bontade custodiva .