StampaQuotidiana ,
Questo
fagotto
gettato
dietro
il
sedile
posteriore
della
Renault
color
amaranto
parcheggiata
in
via
Caetani
è
il
corpo
di
Aldo
Moro
.
È
un
fagotto
informe
,
avvolto
in
una
coperta
di
lana
color
cammello
,
con
un
bordo
di
raso
,
una
coperta
come
ce
ne
sono
in
tutte
le
nostre
case
.
Il
sedile
è
leggermente
inclinato
verso
l
'
avanti
.
La
macchina
ha
gli
sportelli
aperti
.
A
pochi
metri
ci
sono
il
ministro
Cossiga
,
i
sottosegretari
Darida
e
Lettieri
,
il
procuratore
capo
Giovanni
Di
Matteo
,
il
capo
della
polizia
,
Parlato
,
il
generale
Comini
comandante
dei
carabinieri
.
Sono
le
14.15
.
Giancarlo
Pajetta
passa
attraverso
il
cordone
di
carabinieri
,
rivolge
uno
sguardo
interrogativo
a
Cossiga
:
«
Sì
,
è
Moro
»
risponde
il
ministro
dell
'
Interno
a
voce
bassissima
.
La
Renault
è
parcheggiata
,
contromano
il
muso
rivolto
verso
via
dei
Funari
,
sotto
una
impalcatura
metallica
che
protegge
i
lavori
di
restauro
della
chiesa
di
S
.
Caterina
.
È
una
vecchia
macchina
,
impolverata
,
maltenuta
,
la
vernice
della
carrozzeria
in
qualche
punto
è
scrostata
.
Contro
le
transenne
controllate
dalla
polizia
,
che
isolano
via
Caetani
dalla
parte
di
via
dei
Funari
e
dalla
parte
delle
Botteghe
Oscure
preme
,
silenziosa
e
cupa
,
la
folla
di
abitanti
del
quartiere
,
giovani
soprattutto
.
Alcune
donne
si
allontanano
,
correndo
.
Una
,
prendendo
in
collo
un
bambino
,
grida
:
«
C
'
è
una
bomba
,
c
'
è
una
bomba
!
»
.
Non
è
vero
.
Ma
attorno
alla
macchina
abbandonata
c
'
è
il
vuoto
.
«
È
meglio
non
avvicinarsi
»
avverte
Cossiga
,
«
aspettiamo
gli
artificieri
.
Ci
sono
molti
bossoli
.
»
C
'
è
qualche
istante
d
'
irreale
silenzio
attorno
a
quella
bara
di
metallo
dentro
la
quale
è
rinchiuso
Moro
.
Poi
qualcuno
si
avvicina
alla
porta
posteriore
della
macchina
.
Oltre
a
Cossiga
,
ci
sono
Bonifacio
,
Pecchioli
.
Un
ufficiale
di
polizia
alza
un
lembo
della
coperta
di
lana
giallino
:
s
'
intravvede
la
faccia
di
Moro
,
gli
occhi
semichiusi
,
la
barba
lunga
,
bianchissimo
il
collo
della
camicia
.
Da
via
delle
Botteghe
Oscure
,
chiusa
al
traffico
,
giunge
un
rumore
di
grida
e
imprecazioni
.
C
'
è
gente
arrampicata
sulle
macchine
in
sosta
,
abbarbicata
alle
inferriate
dell
'
Istituto
Pontificio
di
S
.
Lucia
.
C
'
è
gente
che
arriva
correndo
,
chiedendo
notizie
,
premendo
contro
i
cordoni
dei
reparti
della
guardia
di
finanza
,
della
polizia
e
dei
carabinieri
.
Arriva
Gonnella
,
e
sembra
piccolissimo
,
con
le
labbra
tremanti
.
Arriva
un
vecchio
sacerdote
,
la
stola
violetta
gettata
di
traverso
su
una
tonaca
consunta
,
l
'
ampolla
dell
'
olio
santo
tra
le
mani
.
Si
chiama
padre
Damiani
,
è
stato
avvertito
da
due
agenti
di
polizia
,
pochi
minuti
fa
arrivati
a
prelevarlo
nella
sua
chiesa
di
piazza
del
Gesù
.
Sono
le
14.45
.
Padre
Damiani
traccia
un
segno
di
croce
sulla
fronte
ghiaccia
di
Moro
e
gli
impartisce
l
'
assoluzione
.
Alle
15
,
a
sirene
spiegate
arriva
un
'
ambulanza
dei
vigili
del
fuoco
mentre
la
folla
ondeggia
,
preme
pericolosamente
e
scoppia
qualche
piccolo
incidente
.
Bastano
pochi
minuti
,
poi
l
'
ambulanza
scortata
dai
mezzi
della
polizia
parte
in
direzione
dell
'
Istituto
di
medicina
legale
dove
avrà
luogo
l
'
autopsia
.
La
folla
adesso
rompe
i
cordoni
:
sotto
la
palizzata
dove
era
parcheggiata
la
Renault
color
amaranto
,
trasportata
in
questura
,
viene
posata
una
bandiera
bianca
della
DC
,
tre
rose
,
e
alcuni
cartelli
scritti
a
mano
:
«
Moro
siamo
tutti
con
te
»
.
Una
telefonata
anonima
pervenuta
al
centralino
della
questura
poco
dopo
le
13.30
aveva
segnalato
la
presenza
di
una
bomba
in
via
Caetani
,
una
traversa
di
via
delle
Botteghe
Oscure
,
a
poche
centinaia
di
metri
dalla
direzione
del
PCI
e
della
Democrazia
cristiana
.
Era
la
prima
,
inesatta
notizia
,
che
gettava
l
'
allarme
nella
zona
,
immediatamente
isolata
da
cordoni
di
polizia
.
Questa
è
una
versione
.
Ma
ce
n
'
è
anche
un
'
altra
,
secondo
la
quale
alle
13
sarebbe
arrivata
una
telefonata
,
sempre
anonima
,
alla
segreteria
di
Moro
con
l
'
annuncio
:
«
In
via
Caetani
c
'
è
un
'
auto
rossa
con
il
corpo
»
.
La
telefonata
sarebbe
stata
intercettata
dalla
questura
e
immediatamente
sarebbe
scattato
l
'
allarme
nella
zona
.
Il
ritrovamento
del
cadavere
è
avvenuto
poco
dopo
.
Qualche
minuto
prima
delle
due
i
segretari
di
tutti
i
partiti
politici
sapevano
che
il
cadavere
gettato
nel
portabagagli
della
Renault
targata
Roma
N
57686
era
quello
di
Aldo
Moro
.
Via
Michelangelo
Caetani
costeggia
il
palazzo
Mattei
e
il
palazzo
Caetani
dove
ha
sede
la
Biblioteca
di
Storia
Moderna
,
la
Discoteca
di
Stato
e
un
Istituto
di
Studi
americani
.
È
una
strada
molto
frequentata
,
dove
è
difficile
trovare
posto
per
parcheggiare
.
È
possibile
quindi
che
la
macchina
con
gli
assassini
di
Moro
sia
giunta
sul
posto
nella
primissima
mattinata
:
il
portiere
del
Palazzo
Mattei
afferma
di
non
aver
notato
la
macchina
quando
alle
7.40
ha
aperto
il
portone
.
La
segretaria
della
discoteca
l
'
avrebbe
invece
notata
quando
,
poco
dopo
le
otto
,
si
è
recata
al
vicino
bar
dei
Funari
.
Le
prime
testimonianze
sono
contraddittorie
,
la
polizia
non
esclude
nemmeno
che
la
macchina
possa
essere
stata
portata
in
via
Caetani
nella
tarda
mattinata
.
In
un
angolo
del
bagagliaio
,
dalla
parte
dov
'
è
sistemata
la
ruota
di
scorta
sulla
quale
poggiava
la
testa
di
Moro
,
c
'
erano
anche
le
catene
da
neve
,
e
qualche
ciuffo
di
capelli
grigi
.
Questo
particolare
può
far
pensare
che
la
macchina
con
il
cadavere
abbia
percorso
un
tragitto
accidentato
,
durante
il
quale
il
corpo
avrebbe
subito
dei
sobbalzi
.
Ai
piedi
del
cadavere
c
'
era
una
busta
di
plastica
contenente
un
bracciale
e
l
'
orologio
.
Il
corpo
di
Moro
,
quando
è
stato
estratto
dagli
artificieri
,
era
ripiegato
e
irrigidito
.
Indossava
lo
stesso
abito
scuro
che
aveva
il
giorno
del
rapimento
,
un
abito
blu
,
con
la
camicia
bianca
a
righine
,
e
la
cravatta
ben
annodata
.
L
'
abito
era
macchiato
di
sangue
;
sul
petto
di
Moro
erano
stati
premuti
alcuni
fazzoletti
per
impedire
che
il
sangue
sgorgasse
dalle
ferite
.
Nei
risvolti
dei
pantaloni
è
stata
trovata
una
notevole
quantità
di
sabbia
o
terriccio
.
La
morte
risaliva
certamente
a
molte
ore
prima
,
forse
all
'
alba
di
ieri
martedì
,
forse
addirittura
al
pomeriggio
del
giorno
precedente
.
Sotto
il
corpo
e
sul
tappetino
della
Renault
c
'
erano
alcuni
bossoli
di
proiettile
7,65
o
9
corto
.
La
presenza
dei
bossoli
faceva
pensare
,
in
un
primo
momento
che
l
'
esecuzione
fosse
avvenuta
all
'
interno
stesso
della
macchina
,
ma
i
primi
rilievi
effettuati
in
serata
all
'
Istituto
di
medicina
legale
sembrano
suggerire
una
sequenza
se
possibile
ancora
più
spietata
e
agghiacciante
.
Moro
sarebbe
stato
ucciso
con
una
raffica
di
pistola
mitragliatrice
,
calibro
7,65
o
9
corto
.
Almeno
undici
sono
i
fori
che
hanno
squarciato
il
petto
del
prigioniero
inerme
.
Visto
che
l
'
abito
appariva
intatto
,
la
camicia
stirata
,
è
inevitabile
immaginare
la
macabra
rivestizione
del
cadavere
,
e
poi
il
suo
trasporto
dal
luogo
della
prigionia
e
dell
'
esecuzione
fino
al
centro
di
Roma
,
fino
al
quartiere
non
scelto
a
caso
,
al
confine
con
la
sede
della
direzione
comunista
e
di
quella
democristiana
,
quasi
un
macabro
avvertimento
e
insieme
un
'
ultima
sfida
alle
forze
di
polizia
.
La
Renault
pare
avesse
la
targa
che
corrisponde
a
una
delle
FIAT
128
usate
dai
terroristi
in
via
Fani
e
ritrovata
poi
abbandonata
in
via
Licinio
Calvo
.
Si
tratterebbe
cioè
di
un
'
auto
rubata
che
i
terroristi
hanno
usato
dopo
averle
sostituito
la
targa
.
La
Renault
risulta
in
regola
col
pagamento
della
tassa
di
circolazione
e
con
il
contrassegno
dell
'
assicurazione
,
che
sono
scritti
con
una
macchina
che
ha
gli
stessi
caratteri
della
Ibm
a
testina
rotante
usata
per
i
comunicati
delle
BR
.
StampaQuotidiana ,
Palermo
,
9
.
Ai
compagni
aveva
detto
di
aspettarlo
:
giusto
il
tempo
di
fare
un
salto
a
casa
,
prendere
un
boccone
e
tornare
in
sede
per
continuare
la
riunione
.
Non
si
è
più
visto
.
Lo
hanno
trovato
all
'
alba
di
ieri
,
orrendamente
dilaniato
da
un
'
esplosione
,
sulla
linea
ferroviaria
Palermo
-
Trapani
,
all
'
altezza
del
chilometro
38
.
Giuseppe
Impastato
,
Peppino
per
i
compagni
,
trent
'
anni
,
militante
della
nuova
sinistra
e
candidato
nelle
liste
di
Democrazia
proletaria
alle
prossime
elezioni
amministrative
che
si
terranno
anche
nel
comune
di
Cinisi
(
quindici
chilometri
da
Palermo
)
secondo
gli
investigatori
ha
voluto
dunque
uccidersi
«
in
modo
eclatante
»
.
Ovvero
,
è
la
tesi
subordinata
,
è
rimasto
vittima
di
un
«
incidente
»
durante
un
attentato
.
A
sostegno
della
prima
ipotesi
c
'
è
una
lettera
,
trovata
in
casa
della
zia
,
dove
il
giovane
si
recava
a
dormire
:
un
estemporaneo
,
fallimentare
bilancio
della
sua
vita
con
la
preghiera
agli
amici
che
il
suo
corpo
venga
cremato
.
La
seconda
ipotesi
si
regge
invece
sul
semplice
dato
di
fatto
:
un
cadavere
a
pezzi
,
lungo
la
ferrovia
.
Tutto
il
resto
,
la
cosiddetta
«
dinamica
»
,
i
movimenti
della
vittima
nella
serata
precedente
all
'
esplosione
,
le
testimonianze
dei
compagni
sulla
sua
vita
e
sulla
sua
attività
politica
,
non
solo
non
coincide
con
il
quadro
di
ipotetiche
soluzioni
tracciato
dagli
investigatori
,
ma
semmai
legittima
una
terza
ben
più
sconcertante
,
ma
non
meno
plausibile
,
verità
:
quella
del
delitto
di
mafia
.
Peppino
Impastato
ed
il
suo
gruppo
,
negli
ultimi
anni
non
avevano
dato
tregua
alla
mafia
della
zona
,
denunciando
,
attraverso
i
microfoni
di
una
radio
e
i
volantini
,
lo
strapotere
di
personaggi
come
Tanino
Badalamenti
-
boss
indiscusso
della
Sicilia
occidentale
,
compare
di
Luciano
Liggio
-
e
del
suo
clan
.
Peppino
Impastato
andava
denunciando
da
tempo
,
con
tanto
di
nomi
e
cognomi
,
le
speculazioni
e
i
ricatti
della
mafia
locale
.
Domenica
scorsa
aveva
tenuto
un
comizio
a
cui
avevano
assistito
quattrocento
persone
,
rimaste
lì
ad
ascoltarlo
,
dicono
i
compagni
,
nonostante
la
pioggia
insistente
.
Che
la
sua
azione
avesse
finito
col
disturbare
l
'
establishment
politico
mafioso
locale
,
lo
stanno
a
dimostrare
i
numerosi
avvertimenti
e
le
minacce
telefoniche
che
periodicamente
riceveva
a
Radio
-
out
.
Peppino
Impastato
,
per
di
più
,
non
aveva
mai
manifestato
propositi
suicidi
.
Anzi
,
proprio
in
ragione
del
piccolo
successo
che
ogni
giorno
di
più
e
particolarmente
in
questa
fase
di
campagna
elettorale
,
riscuoteva
la
sua
azione
,
cominciava
-
dicono
i
compagni
-
a
sentirsi
«
realizzato
»
.
E
contro
la
tesi
del
suicidio
,
seguita
dagli
investigatori
assieme
a
quella
di
un
fallito
attentato
,
depongono
i
movimenti
del
giovane
la
sera
precedente
l
'
esplosione
.
Per
tutto
il
pomeriggio
fino
alle
20.15
è
in
radio
.
Poi
,
come
ogni
sera
,
esce
per
andare
a
cenare
e
dà
un
appuntamento
a
tutti
per
le
21
.
Non
si
farà
mai
più
vedere
.
I
compagni
lo
aspettano
fino
ad
una
certa
ora
,
poi
lo
vanno
a
cercare
.
Fanno
il
giro
del
paese
,
dei
parenti
,
cercano
almeno
di
rintracciare
la
macchina
.
Tra
mezzanotte
e
mezza
e
l
'
una
scoppia
la
bomba
che
lo
uccide
.
Che
senso
ha
tutto
questo
?
Ammesso
che
Impastato
avesse
in
effetti
intenzione
di
collocare
l
'
ordigno
,
perché
dare
un
appuntamento
ai
compagni
,
farsi
aspettare
,
farsi
cercare
?
La
tecnica
dell
'
attentato
,
infine
,
giustifica
solo
in
parte
l
'
ipotesi
della
disgrazia
imprevista
.
Accanto
alla
ferrovia
,
su
una
trazzera
distante
venti
metri
,
è
stata
infatti
trovata
l
'
auto
-
una
850
-
con
cui
Peppino
ha
raggiunto
il
luogo
dell
'
esplosione
.
Si
suppone
che
l
'
ordigno
fosse
ad
innesco
elettronico
e
che
dovesse
essere
collegato
,
attraverso
una
deviazione
,
alla
batteria
dell
'
automobile
.
Ma
allora
,
la
posizione
della
vittima
dovrebbe
essere
accanto
alla
macchina
,
da
dove
avrebbe
potuto
azionare
il
congegno
,
e
non
nei
pressi
della
bomba
.
StampaQuotidiana ,
L
'
una
di
notte
:
si
sblocca
il
timer
di
Tangentopoli
.
I
telegiornali
stanno
snocciolando
da
qualche
ora
i
risultati
elettorali
che
disegnano
il
tracollo
del
Psi
,
quando
un
ufficiale
dei
carabinieri
parte
dalla
caserma
di
via
Moscova
.
E
diretto
a
Roma
.
Ha
in
tasca
una
busta
ingombrante
.
E
nella
busta
ha
una
bomba
,
l
'
ultimo
colpo
dei
giudici
milanesi
,
l
'
ultimo
calice
,
il
piu
'
amaro
,
per
Bettino
Craxi
:
un
avviso
di
garanzia
.
In
18
pagine
Antonio
Di
Pietro
e
i
suoi
colleghi
contestano
al
segretario
del
Psi
41
episodi
di
malaffare
,
calcolano
36
miliardi
di
bustarelle
,
lo
accusano
di
concorso
in
corruzione
,
ricettazione
e
violazione
delle
norme
sul
finanziamento
pubblico
ai
partiti
.
Tutto
questo
si
porta
nella
giacca
il
capitano
Paolo
La
Forgia
quando
arriva
a
Roma
.
Tutto
questo
,
quando
,
stanco
e
forse
emozionato
,
entra
qualche
ora
piu
'
tardi
all
'
hotel
Raphael
,
nel
quartier
generale
di
Craxi
.
Alle
undici
e
mezzo
,
il
leader
socialista
ha
in
mano
le
diciotto
paginette
:
"
Procedimento
numero
8655.92...Craxi
Benedetto
...
"
.
Legge
con
attenzione
i
passaggi
dove
i
giudici
dell
'
inchiesta
"
Mani
Pulite
"
spiegano
in
sostanza
come
,
in
quel
sistema
feudale
popolato
di
boiardi
della
mazzetta
che
e
'
stata
Milano
fino
a
oggi
,
sia
lui
lo
zar
.
Proprio
lui
.
Ma
non
batte
ciglio
.
Resta
freddissimo
anche
quando
capisce
che
su
di
lui
sembrano
essere
addossate
quasi
tutte
le
colpe
dei
socialisti
finiti
finora
sotto
indagine
:
la
metropolitana
,
le
tangenti
pagate
da
imprenditori
come
Paolo
Pizzarotti
,
Vincenzo
Romagnoli
e
Mario
Lodigiani
,
i
flussi
di
quattrini
in
nero
che
per
anni
sono
serviti
ad
alimentare
la
macchina
del
suo
partito
.
Vincenzo
Balzamo
,
il
segretario
amministrativo
,
il
fidatissimo
tesoriere
nazionale
che
il
2
novembre
e
'
stato
stroncato
da
un
infarto
,
e
'
indicato
come
il
"
percettore
materiale
"
dei
finanziamenti
illegali
.
Lui
,
Craxi
,
come
il
capo
dei
capi
,
l
'
uomo
che
ha
gestito
e
disegnato
le
grandi
strategie
.
La
notizia
circola
gia
'
da
qualche
ora
al
Palazzo
di
giustizia
di
Milano
.
In
breve
,
una
dopo
l
'
altra
,
le
conferme
piovono
come
napalm
.
Giustizia
a
orologeria
?
"
Fosse
davvero
cosi
'
,
vorrebbe
dire
che
l
'
orologio
era
in
ritardo
"
,
si
lascia
scappare
un
magistrato
in
corridoio
.
La
Procura
,
infatti
,
prima
di
sparare
l
'
ultimo
colpo
,
ha
atteso
che
le
urne
fossero
chiuse
.
Come
aveva
fatto
ad
aprile
,
aspettando
il
dopo.elezioni
per
sferrare
la
prima
offensiva
giudiziaria
.
La
decisione
e
'
maturata
in
un
vertice
del
pool
al
completo
.
L
'
altro
ieri
,
per
tutta
la
giornata
,
sono
rimasti
nell
'
ufficio
del
procuratore
Saverio
Borrelli
i
pm
Gherardo
Colombo
e
Piercamillo
Davigo
e
il
procuratore
aggiunto
Gerardo
D
'
Ambrosio
.
Antonio
Di
Pietro
ha
partecipato
solo
per
pochi
minuti
all
'
incontro
,
poi
e
'
volato
a
Roma
per
raccogliere
l
'
ultimo
tassello
,
le
dichiarazioni
di
Nevol
Querci
,
ex
deputato
socialista
,
che
avrebbe
descritto
ancora
una
volta
la
gestione
verticistica
di
certe
decisioni
nel
partito
.
Ma
Querci
e
'
davvero
solo
una
piccola
tessera
.
Il
mosaico
composto
attorno
a
Craxi
e
'
enorme
ed
e
'
fatto
di
molte
voci
.
La
piu
'
pesante
e
'
quella
di
un
vecchio
nemico
,
l
'
ex
segretario
socialista
Giacomo
Mancini
,
che
il
18
novembre
conferma
in
pieno
ai
magistrati
un
'
intervista
concessa
al
Corriere
dieci
giorni
prima
:
"
Balzamo
era
il
segretario
amministrativo
,
ma
la
parte
delle
entrate
che
conosceva
era
quella
che
riguardava
i
grandi
progetti
dell
'
edilizia
,
i
lavori
pubblici
.
Degli
altri
quattrini
non
sapeva
proprio
nulla
.
Craxi
ha
preferito
dire
"
muoia
Sansone
con
tutti
i
filistei
,
siamo
tutti
complici
e
nessuno
puo
'
parlare
"
.
Nessuno
puo
'
forse
fare
il
Pm
nei
confronti
degli
altri
,
ma
la
vastita
'
del
fenomeno
,
i
flussi
di
finanzamento
che
hanno
avuto
come
destinatario
il
Psi
non
sono
certamente
passati
da
Balzamo
,
non
sono
stati
registrati
.
Li
conosceva
solo
Craxi
"
.
"
A
Balzamo
.
avrebbe
spiegato
Mancini
ai
giudici
.
sfuggiva
tutta
la
parte
che
non
trattava
direttamente
,
quella
relativa
ai
rapporti
tra
partito
e
banche
,
partito
e
Iri
,
partito
e
grandi
imprese
,
partito
e
finanza
.
Una
parte
che
faceva
capo
direttamente
alla
segreteria
del
partito
"
.
Poi
,
via
via
,
ecco
gli
altri
ragazzi
del
coro
.
L
'
imprenditore
Mario
Lodigiani
,
il
5
ottobre
,
racconta
dei
suoi
contributi
alla
Dc
e
al
Psi
,
spara
su
Balzamo
e
sul
cassiere
nazionale
scudocrociato
Severino
Citaristi
,
che
in
questi
giorni
ha
avuto
un
nuovo
avviso
di
garanzia
che
sara
'
seguito
entro
la
settimana
dalla
richiesta
d
'
autorizzazione
a
procedere
.
Per
Citaristi
,
il
pool
antimazzette
chiede
anche
l
'
arresto
.
Su
lui
e
su
Balzamo
,
sul
sistema
messo
in
piedi
dai
due
partiti
,
Lodigiani
e
'
prodigo
di
particolari
:
"
Abbiamo
versato
circa
un
miliardo
all
'
anno
a
ciascuno
dei
due
partiti
senza
isciverli
nei
relativi
bilanci
...
Questi
versamenti
sono
avvenuti
in
contanti
,
direttamente
nelle
mani
di
Citaristi
e
Balzamo
"
.
Suo
fratello
Vincenzo
e
'
altrettanto
specifico
:
"
Nel
febbraio
'
92
ho
consegnato
a
Balzamo
l
'
ultima
somma
,
400
milioni
in
contanti
che
mi
ha
espressamente
richiesto
di
versargli
in
nero
perche
'
aveva
urgenti
scadenze
elettorali
e
aveva
bisogno
di
liquidi
"
.
Sullo
stesso
tono
le
dichiarazioni
di
altri
manager
,
come
Vincenzo
Romagnoli
,
Paolo
Pizzarotti
,
Angelo
Simontacchi
:
i
miliardi
,
dalla
meta
'
degli
anni
Ottanta
in
poi
,
scorrevano
senza
sosta
nelle
casse
segrete
della
Dc
e
del
Psi
.
E
ora
i
giudici
sembrano
da
un
lato
far
coincidere
le
responsabilita
'
di
Balzamo
con
quelle
di
Craxi
e
,
dall
'
altro
,
paiono
attribuirne
di
ulteriori
al
leader
del
Psi
.
Le
deposizioni
si
susseguono
come
un
rosario
nell
'
atto
d
'
accusa
.
Ecco
Bruno
Binasco
,
manager
del
gruppo
Gavio
.
Ecco
Luciano
Betti
,
amministratore
delegato
della
Premafin
di
Salvatore
Ligresti
,
e
Nerio
Nesi
,
ex
presidente
della
Banca
Nazionale
del
Lavoro
.
Ed
ecco
lo
stesso
Ligresti
,
che
parla
di
elargizioni
al
Psi
.
Luigi
Carnevale
,
ex
vicepresidente
della
Metropolitana
milanese
,
tira
in
ballo
Silvano
Larini
,
architetto
socialista
,
amico
di
Craxi
da
trent
'
anni
e
tuttora
latitante
.
Carnevale
racconta
che
l
'
architetto
portava
le
mazzette
della
metropolitana
direttamente
al
segretario
.
E
anche
l
'
ex
deputato
psi
Gianstefano
Milani
fa
il
nome
di
Larini
.
Interrogato
la
scorsa
settimana
,
Milani
,
da
sempre
anticraxiano
,
spiega
e
commenta
con
i
giudici
una
sua
frase
intercettata
dai
carabinieri
:
"
Stanno
cercando
Larini
perche
'
pigliava
i
soldi
per
Craxi
"
.
E
l
'
ultima
bordata
.
Per
il
leader
dai
troppi
nemici
comincia
il
conto
alla
rovescia
.
StampaQuotidiana ,
Tutto
cominciò
con
un
mariuolo
.
"
Questo
Chiesa
,
sbottò
Craxi
con
i
compagni
,
rischia
di
rovinarci
le
elezioni
"
.
In
effetti
,
nell
'
armadio
del
Psi
milanese
quel
presidente
di
vecchi
e
orfani
beccato
con
le
mani
nel
sacco
.
e
con
dieci
miliardi
in
banca
.
era
davvero
uno
scheletro
imbarazzante
.
Il
5
aprile
era
alle
porte
,
e
l
'
arresto
di
Mario
Chiesa
(
17
febbraio
)
pesava
come
un
macigno
sulla
campagna
elettorale
:
anche
perche
'
veniva
a
dar
corpo
a
sussurri
che
,
sul
Garofano
di
Milano
,
circolavano
da
tempo
.
Ma
temendo
un
semplice
calo
di
voti
,
Bettino
Craxi
peccava
di
ottimismo
.
Si
preparava
ben
altro
.
Si
preparava
un
assedio
che
la
magistratura
stava
studiando
con
cura
,
con
la
strategia
d
'
un
von
Clausewitz
e
con
l
'
accanimento
d
'
un
Robespierre
.
Prima
i
boiardi
e
poi
lo
zar
,
per
usare
le
parole
del
giudice
Ghitti
.
L
'
obiettivo
era
scardinare
il
sistema
della
corruzione
.
E
,
come
tutti
i
buoni
strateghi
,
i
magistrati
hanno
cominciato
attaccando
i
soldati
semplici
,
per
poi
arrivare
agli
ufficiali
e
quindi
a
quello
che
secondo
loro
è
il
capo
supremo
.
Sarà
forse
un
caso
,
ma
da
mesi
la
Procura
milanese
faceva
terra
bruciata
intorno
a
Bettino
Craxi
,
faceva
cadere
a
uno
a
uno
tutti
i
suoi
fedelissimi
.
Il
primo
,
appunto
,
è
stato
Chiesa
.
Un
pesce
che
sembra
piccolo
,
ma
che
tanto
piccolo
non
era
.
Come
lui
stesso
ha
fatto
mettere
a
verbale
,
aveva
diritto
d
'
accesso
alla
real
casa
e
nei
suoi
sogni
(
neanche
tanto
proibiti
,
allora
)
c
'
era
la
poltrona
di
sindaco
.
Proprio
lui
si
era
esposto
per
sostenere
la
candidatura
di
Bobo
Craxi
alle
ultime
amministrative
.
Il
2
maggio
,
il
secondo
passo
di
avvicinamento
.
Arrivano
informazioni
di
garanzia
agli
ultimi
due
sindaci
socialisti
di
Milano
,
Carlo
Tognoli
e
Paolo
Pillitteri
.
Il
primo
non
è
proprio
un
uomo
di
Craxi
;
ma
il
secondo
del
segretario
socialista
è
addirittura
il
cognato
.
E
toccare
Pillitteri
vuol
dire
,
perlomeno
,
sfiorare
Craxi
.
Mai
la
Procura
aveva
osato
tanto
.
Ma
non
basta
.
Il
6
maggio
finisce
in
galera
Sergio
Radaelli
,
consigliere
della
Cariplo
.
Al
grosso
pubblico
il
suo
nome
non
dice
niente
:
ma
alla
federazione
socialista
di
corso
Magenta
,
quando
arriva
la
notizia
delle
manette
a
Radaelli
,
sono
in
molti
a
tremare
.
Radaelli
è
uno
dei
cassieri
del
partito
,
molte
mazzette
passano
dalle
sue
mani
.
Ha
l
'
ufficio
insieme
con
Pillitteri
in
piazza
Duomo
19
:
al
piano
di
sopra
c
'
è
lo
studio
di
Craxi
.
Si
rivela
una
mina
vagante
:
parla
subito
,
svela
un
conto
plurimiliardario
in
Svizzera
,
accusa
Tognoli
e
Pillitteri
.
Ormai
è
una
valanga
,
che
il
9
giugno
porta
in
carcere
un
altro
uomo
di
Craxi
:
Claudio
Dini
,
per
cinque
anni
presidente
della
Metropolitana
Milanese
.
Dini
nega
tutto
e
,
dopo
due
mesi
a
San
Vittore
,
torna
in
libertà
.
Almeno
lui
non
ha
disseminato
verbali
che
scottano
.
Questa
volta
ai
giudici
non
è
andata
bene
.
Ma
la
manovra
di
accerchiamento
continua
:
c
'
è
un
ordine
di
cattura
anche
contro
l
'
architetto
Silvano
Larini
,
amico
di
Bettino
Craxi
da
un
trentennio
.
Gli
si
contestano
le
stesse
mazzette
che
avrebbe
preso
Dini
.
Ma
anche
Larini
non
dà
soddisfazione
a
Di
Pietro
e
ai
suoi
soci
:
è
all
'
estero
,
e
si
guarda
bene
dal
tornare
.
Non
è
l
'
unico
ad
avere
scelto
la
strada
della
fuga
:
suo
compagno
d
'
avventura
è
Giovanni
Manzi
,
presidente
della
società
che
gestisce
gli
aeroporti
milanesi
.
Anche
lui
,
uomo
vicinissimo
a
Craxi
.
E
il
26
giugno
quando
crollano
i
vertici
regionali
del
Psi
.
In
carcere
finiscono
Andrea
Parini
,
segretario
politico
,
e
Oreste
Lodigiani
,
segretario
amministrativo
.
Lo
stesso
giorno
viene
firmato
un
avviso
di
garanzia
per
il
deputato
Sergio
Moroni
,
predecessore
di
Parini
,
che
poi
si
suiciderà
.
Il
30
luglio
a
San
Vittore
finisce
Loris
Zaffra
,
capogruppo
a
palazzo
Marino
,
ex
segretario
regionale
del
partito
,
anche
lui
craxiano
di
ferro
.
Ma
al
momento
dell
'
arresto
di
Zaffra
,
il
"
botto
"
c
'
era
già
stato
.
E
del
16
luglio
,
infatti
,
la
cattura
dell
'
ingegner
Salvatore
Ligresti
,
big
della
finanza
italiana
,
padrone
di
imprese
edili
,
società
di
assicurazioni
,
cliniche
,
alberghi
,
autostrade
.
Sono
in
molti
a
pensare
che
Ligresti
debba
la
sua
fortuna
a
Craxi
e
che
Craxi
debba
almeno
una
parte
della
sua
a
Ligresti
.
"
Bettino
mi
telefonò
chiedendomi
di
dare
un
finanziamento
di
300
miliardi
a
Ligresti
"
,
ha
detto
ai
giudici
l
'
ex
presidente
della
Banca
Nazionale
del
Lavoro
Nerio
Nesi
.
E
solo
una
testimonianza
dei
rapporti
fra
l
'
ingegnere
e
il
segretario
.
E
forse
è
proprio
il
16
luglio
che
Craxi
ha
cominciato
a
sentirsi
terribilmente
solo
.
StampaQuotidiana ,
"
Buongiorno
,
sono
Craxi
Benedetto
...
eccovi
il
mio
passaporto
"
.
Si
'
,
prima
o
poi
Bettino
finira
'
per
trovarsi
di
fronte
ai
poliziotti
,
a
recitare
questa
pie
'
ce
amarissima
.
A
loro
dovra
'
consegnare
quel
documento
glorioso
e
un
po
'
spiegazzato
,
che
gli
ricorda
certo
tanti
viaggi
da
mattatore
e
che
adesso
e
'
diventato
quasi
carta
straccia
.
Prima
o
poi
dovra
'
farlo
.
Meglio
prima
.
Perche
'
se
tardasse
troppo
,
i
giudici
di
Milano
potrebbero
decidere
di
rilanciare
e
di
firmare
per
lui
addirittura
un
ordine
di
cattura
.
Per
l
'
ex
segretario
socialista
sono
tempi
duri
e
malinconici
.
Due
magistrati
,
ieri
,
hanno
deciso
di
togliergli
il
passaporto
.
Il
gip
Italo
Ghitti
,
vecchio
regista
degli
arresti
di
Mani
pulite
,
per
le
mazzette
dell
'
Enimont
e
dell
'
Enel
.
E
il
gip
Maurizio
Grigo
,
per
la
spintarella
che
Craxi
e
compagni
avrebbero
dato
alle
gia
'
traballanti
casse
del
Banco
Ambrosiano
di
Roberto
Calvi
.
Secondo
il
codice
,
quella
"
spintarella
"
si
chiama
concorso
in
bancarotta
fraudolenta
,
visto
che
il
Banco
falli
'
dopo
essere
stato
spogliato
dalle
dissennate
iniziative
di
Calvi
e
dall
'
assalto
di
politici
,
massoni
e
faccendieri
.
Per
questa
storiaccia
,
secondo
Grigo
,
il
ritiro
del
passaporto
e
'
solo
un
contorno
.
I
guai
non
arrivano
mai
soli
e
dunque
il
giudice
,
proprio
per
il
crac
dell
'
Ambrosiano
,
ha
deciso
di
rinviare
a
giudizio
Bettino
.
Con
Craxi
dovranno
presentarsi
sul
banco
degli
imputati
,
il
16
giugno
,
l
'
ex
delfino
socialista
Claudio
Martelli
,
il
capo
piduista
Licio
Gelli
,
l
'
ex
vicepresidente
dell
'
Eni
Leonardo
Di
Donna
e
l
'
architetto
Silvano
Larini
.
In
ballo
ci
sono
i
sette
milioni
di
dollari
versati
da
Calvi
,
attraverso
il
solito
schermo
di
societa
'
panamensi
,
sul
conto
Protezione
,
numero
633369
della
banca
Ubs
di
Lugano
.
Quel
conto
era
intestato
a
Larini
,
amico
di
Craxi
sin
dai
tempi
della
giovinezza
.
E
proprio
Bettino
,
durante
un
'
ormai
storica
passeggiata
a
tre
(
quel
giorno
c
'
era
pure
Martelli
)
ne
aveva
chiesto
la
disponibilita
'
al
vecchio
compagno
per
fare
"
una
certa
operazione
"
.
Silvano
,
sempre
gentile
,
aveva
snocciolato
il
numero
di
conto
,
Claudio
aveva
preso
nota
.
Tutti
a
giudizio
,
adesso
:
perche
'
,
gira
gira
,
i
quattrini
uscivano
dalle
casse
dell
'
Ambrosiano
ed
erano
diretti
al
Psi
.
Per
tutti
gli
imputati
c
'
e
'
il
divieto
d
'
espatrio
.
Craxi
reagisce
.
Gia
'
aveva
proclamato
la
sua
innocenza
nell
'
intrigo
del
conto
Protezione
.
Cosi
'
,
ora
,
il
rospo
del
passaporto
non
ha
nessuna
voglia
di
ingoiarlo
.
E
,
attraverso
i
suoi
portavoce
di
Roma
,
fa
diffondere
una
nota
:
"
Tutti
sapevano
benissimo
dove
sono
,
dove
vado
e
dove
abito
"
.
Certo
.
Ma
adesso
dov
'
e
'
?
Ieri
pomeriggio
non
e
'
stato
possibile
rintracciarlo
per
notificargli
il
provvedimento
.
I
toni
di
Bettino
sono
,
prima
,
amari
:
"
Di
fronte
all
'
autorita
'
giudiziaria
,
al
Parlamento
e
al
Paese
ho
sempre
usato
il
linguaggio
della
verita
'
.
Cosa
che
non
hanno
fatto
altri
,
cui
non
e
'
stato
certo
riservato
lo
speciale
trattamento
che
e
'
toccato
a
me
"
.
Poi
,
piu
'
duri
:
"
E
una
condotta
discriminatoria
,
politicamente
strumentale
e
moralmente
odiosa
...
Non
c
'
era
nessuna
ragione
nuovamente
insorta
che
potesse
portare
a
richiedere
la
misura
che
e
'
stata
richiesta
,
addirittura
in
modo
ripetuto
,
in
un
concerto
persecutorio
del
tutto
evidente
.
Nessuna
ragione
e
nessuna
giustificazione
convincenti
.
Contro
ogni
azione
che
ha
solo
un
carattere
persecutorio
io
intendo
continuare
a
difendermi
"
.
Infine
,
ecco
il
richiamo
ai
princi
'
pi
:
"
Lo
faccio
e
lo
faro
'
non
solo
per
me
,
ma
anche
perche
'
l
'
uso
equilibrato
e
giusto
del
potere
giudiziario
rappresenta
una
barriera
di
civilta
'
per
tutti
"
.
Fin
qui
Bettino
.
Ma
le
amarezze
per
lui
continuano
,
in
questa
giornata
nera
.
Cosi
'
,
dall
'
ordinanza
del
gip
Ghitti
,
filtra
qualche
particolare
.
Il
ritiro
del
passaporto
e
'
motivato
con
il
pericolo
di
fuga
.
E
il
gip
ricorda
le
case
e
i
conti
all
'
estero
dell
'
ex
leader
.
Conti
all
'
estero
?
Quali
?
Il
riferimento
,
indiretto
,
e
'
all
'
ormai
famoso
conto
Hambest
.
Si
'
,
il
conto
lussemburghese
al
centro
di
un
animato
siparietto
al
processo
Cusani
.
A
manovrare
i
quattrini
di
Hambest
era
Mauro
Giallombardo
,
gia
'
segretario
personale
di
Craxi
.
StampaQuotidiana ,
Dato
che
i
Papi
non
partecipano
da
secoli
a
funerali
di
Stato
,
e
soprattutto
a
Roma
dopo
l
'
Unità
d
'
Italia
,
cercammo
di
guardare
bene
Paolo
VI
,
ieri
,
mentre
entrava
in
San
Giovanni
in
Laterano
per
la
cerimonia
in
suffragio
di
Moro
.
Il
pomeriggio
romano
,
fuori
,
era
freddo
e
livido
.
La
polizia
coi
nervi
tesi
,
gli
uomini
in
tuta
coi
mitra
spianati
,
avevano
creato
il
vuoto
intorno
alla
chiesa
,
salvo
sulla
piazza
principale
chiusa
in
un
reticolato
di
sbarramenti
.
Dentro
la
basilica
protetti
da
decine
di
poliziotti
,
sedevano
immobili
,
pietrificati
intorno
all
'
altare
,
gli
uomini
che
rappresentano
lo
Stato
italiano
,
il
governo
,
i
partiti
,
e
i
«
legati
»
e
gli
ambasciatori
degli
altri
Stati
.
Lo
sfondo
di
un
avvenimento
unico
nella
storia
moderna
non
ripeteva
affatto
le
riunioni
di
folla
che
a
Nuova
York
,
a
Gerusalemme
,
a
Calcutta
,
a
Manila
,
hanno
accompagnato
le
altre
tappe
inconsuete
di
questo
pontificato
.
Deve
aver
fatto
un
'
immensa
pena
a
questo
Papa
italiano
,
lombardo
,
uscire
dal
Vaticano
e
vedere
questa
povera
Roma
,
questo
povero
quartiere
di
San
Giovanni
,
e
questa
povera
basilica
,
precipitati
in
un
silenzio
agghiacciante
,
difesi
come
una
zona
di
guerra
.
Nel
livido
pomeriggio
si
guardò
intorno
,
raggiunse
la
sacrestia
,
vesti
i
paramenti
rossi
delle
Pentecoste
,
e
il
suo
pallore
di
vecchio
Papa
ottantenne
divenne
ancor
più
visibile
.
Quando
tutto
fu
pronto
,
congiunse
le
mani
(
e
si
vide
che
tremavano
)
facendo
il
suo
ingresso
nella
chiesa
illuminata
sulla
sedia
gestatoria
.
Tra
gli
uomini
di
Stato
,
immobili
,
pietrificati
,
apparve
un
pontefice
a
sua
volta
pietrificato
dalla
tragedia
italiana
.
Seduto
sul
trono
avviò
la
Messa
cosi
,
fino
al
Vangelo
,
con
voce
affaticata
,
senza
un
movimento
,
salvo
quelli
voluti
dal
rito
.
La
sua
tensione
cresceva
,
il
suo
viso
scavato
,
un
po
'
gotico
,
amaro
,
era
ancora
più
pallido
.
Dal
settore
dello
Stato
italiano
,
lo
guardavano
-
per
la
prima
volta
riuniti
per
una
sua
Messa
-
Berlinguer
,
Pajetta
,
Ingrao
,
e
gli
altri
comunisti
della
delegazione
.
Dal
settore
degli
Stati
stranieri
,
cinesi
,
russi
,
romeni
,
fissavano
questo
pontefice
drammatico
,
diventato
simbolo
del
dramma
italiano
,
forse
pensando
al
tempo
in
cui
Stalin
chiese
«
quante
divisioni
ha
il
Papa
?
»
.
Esile
,
la
voce
a
tratti
spezzata
nella
preghiera
,
Papa
Montini
era
un
vecchio
stanco
,
in
uno
dei
pomeriggi
più
angosciosi
della
storia
italiana
.
Poi
venne
il
momento
della
preghiera
e
il
Papa
disse
:
«
Ci
siamo
riuniti
per
pregare
e
testimoniare
in
un
mondo
di
odio
e
di
sangue
»
.
Poi
un
lettore
disse
per
lui
:
«
Preghiamo
per
coloro
che
governano
i
popoli
,
specialmente
per
i
responsabili
della
cosa
pubblica
del
nostro
Paese
,
e
per
le
autorità
di
questa
nostra
città
di
Roma
:
perché
al
di
sopra
delle
lotte
e
delle
divisioni
sappiano
unirsi
in
uno
sforzo
fraterno
al
servizio
della
giustizia
,
del
bene
comune
,
e
della
vera
libertà
»
.
Ancora
disse
il
lettore
:
«
Preghiamo
per
il
nostro
fratello
e
amico
Aldo
Moro
,
per
i
membri
della
sua
scorta
,
che
lo
hanno
preceduto
nella
morte
,
per
tutte
le
vittime
della
violenza
e
dell
'
odio
»
.
Di
nuovo
disse
il
lettore
:
«
Preghiamo
per
tutti
noi
qui
presenti
,
perché
lo
spirito
di
Dio
rianimi
la
nostra
debolezza
e
doni
la
forza
di
progredire
nella
riconciliazione
»
.
Infine
riprese
direttamente
il
Papa
:
«
Signore
,
Dio
,
ascolta
con
bontà
la
supplica
del
tuo
popolo
»
.
Per
lo
sforzo
,
un
lieve
rossore
gli
copri
quel
volto
pietrificato
.
Da
tre
punti
di
vista
,
come
si
sa
,
può
essere
considerata
questa
partecipazione
di
un
Papa
a
un
funerale
di
Stato
,
che
si
è
sommata
a
un
memorabile
passaggio
oltre
il
Tevere
per
lanciare
all
'
Italia
un
messaggio
di
riconciliazione
.
Esiste
una
motivazione
privata
e
religiosa
,
emersa
dal
comunicato
vaticano
di
venerdì
e
dalla
preghiera
scritta
dal
Papa
per
la
Messa
di
ieri
,
che
dipinge
Paolo
VI
spinto
alla
decisione
solo
in
base
a
un
impulso
del
cuore
:
«
Per
onorare
la
memoria
dello
statista
scomparso
,
unito
a
lui
da
vincoli
di
antica
amicizia
»
e
definito
appunto
«
fratello
e
amico
»
.
Esiste
quindi
una
motivazione
per
cosi
dire
pubblica
e
pastorale
,
che
si
riassume
nell
'
appello
lanciato
all
'
Italia
,
nel
«
dare
un
segno
del
suo
particolare
affetto
alla
nazione
»
,
nell
'
invito
alla
riconciliazione
generale
«
al
di
sopra
delle
lotte
e
delle
divisioni
»
.
Ma
non
mancano
poi
gli
osservatori
che
segnalano
(
almeno
come
ipotesi
)
una
motivazione
politica
.
Il
Papa
,
si
dice
,
avrebbe
voluto
testimoniare
anche
il
suo
appoggio
alla
formula
politica
ispirata
da
Moro
,
all
'
attuale
quadro
politico
,
suggellando
con
la
manifestazione
d
'
unità
intorno
alla
sua
persona
una
scelta
vaticana
.
Non
è
un
mistero
che
gli
esperti
romani
parlano
di
un
«
cambiamento
»
del
Papa
,
dopo
l
'
allontanamento
di
monsignor
Benelli
,
e
di
un
suo
orientamento
diverso
rispetto
alla
politica
iniziata
da
Moro
.
Si
dice
poi
che
vi
sarebbe
conferma
di
ciò
nel
fatto
che
i
messaggi
vaticani
di
cordoglio
hanno
avallato
questa
tesi
,
dato
che
il
Papa
ha
scritto
a
Leone
,
il
cardinale
di
stato
Villot
ad
Andreotti
,
ma
poi
Papa
Montini
ha
inviato
un
suo
biglietto
a
Zaccagnini
.
Infine
,
nel
mondo
stesso
dei
vaticanisti
,
s
'
insiste
nel
descrivere
un
Vaticano
montiniano
avviato
verso
la
«
seconda
conciliazione
»
:
e
quindi
incline
ad
elevare
al
massimo
grado
la
figura
di
Moro
«
statista
»
per
rendere
meno
reversibile
l
'
esperienza
iniziata
a
Roma
.
Fino
a
che
punto
può
essere
vera
questa
ipotesi
?
Non
c
'
è
dubbio
che
ieri
essa
circolasse
tra
i
giornalisti
italiani
e
stranieri
,
inclini
a
farla
circolare
,
almeno
come
tale
.
Ma
resta
il
fatto
che
il
Papa
non
ha
parlato
dopo
la
cerimonia
,
come
si
annunciava
,
limitandosi
alle
parole
della
preghiera
scritta
di
suo
pugno
,
che
non
sono
certo
un
segnale
politico
,
che
trascendono
la
politica
contingente
con
un
messaggio
accorato
e
pieno
di
pena
.
Stanco
,
oppresso
da
una
angoscia
crescente
,
lasciò
la
basilica
con
un
frettoloso
saluto
al
presidente
della
Repubblica
e
ai
parenti
di
Moro
.
Si
chiuse
nella
macchina
affranto
lasciando
dietro
di
sé
nel
fosco
pomeriggio
romano
un
appello
tra
i
più
caldi
ricevuti
dall
'
Italia
durante
il
suo
pontificato
.
Non
è
difficile
immaginare
,
del
resto
,
che
il
Papa
deve
aver
valutato
per
primo
il
pericolo
che
dal
suo
breve
viaggio
oltre
il
Tevere
,
e
dalla
sua
decisione
di
compiere
un
gesto
senza
precedenti
,
nascessero
«
ipotesi
politiche
»
.
Anni
fa
,
quando
rilasciò
a
chi
scrive
la
prima
intervista
della
storia
della
Chiesa
,
Papa
Montini
non
nascose
il
dramma
che
rappresenta
«
parlare
dell
'
Italia
»
per
un
Papa
«
che
ami
il
paese
dov
'
è
nato
»
.
StampaQuotidiana ,
MANILA
.
Imelda
Imelda
Imelda
for
president
.
Lo
gridano
per
le
strade
,
lo
hanno
scritto
sui
muri
e
sui
cartelli
.
È
questa
la
truce
fiaba
postnatalizia
che
è
dilagata
i
giorni
scorsi
sull
'
arcipelago
delle
Filippine
.
Ma
non
è
favola
,
è
realtà
.
Con
ottanta
capi
d
'
accusa
sulla
testa
che
.
se
provati
.
potrebbero
costarle
da
un
minimo
di
400
anni
di
carcere
a
un
massimo
di
900
,
la
signora
Marcos
si
è
ufficialmente
candidata
per
le
elezioni
presidenziali
dal
maggio
prossimo
.
È
stata
scelta
all
'
unanimità
e
lanciata
nella
mischia
dai
leader
del
Kilusan
Bagong
Lipunan
(
K
B
L
)
,
il
partito
del
defunto
presidente
Ferdinando
Marcos
.
Sotto
la
bandiera
dell
'
ex
First
Lady
potrebbero
schierarsi
,
oltre
ai
nostalgici
del
regime
,
tutti
coloro
che
sono
stati
delusi
dall
'
inefficiente
amministrazione
di
Corazon
Aquino
.
L
'
ipotesi
di
un
ritorno
di
Imelda
Marcos
all
'
attività
politica
ha
preso
consistenza
subito
dopo
il
rientro
nelle
Filippine
in
novembre
:
ma
non
sorprende
che
molti
,
allora
,
lo
ritenessero
improbabile
.
Perche
'
si
trattava
di
riaffidare
le
redini
del
potere
ad
una
donna
che
,
per
venti
anni
,
insieme
al
marito
,
aveva
dissanguato
il
Paese
e
il
cui
rimpatrio
.
dopo
quasi
sei
anni
di
esilio
.
era
stato
consentito
alla
sola
condizione
che
rispondesse
alla
giustizia
di
un
cumulo
di
reati
infamanti
come
evasione
fiscale
,
appropriazione
indebita
,
esportazione
di
capitali
all
'
estero
e
chi
più
ne
ha
più
ne
metta
.
Una
gran
Ladra
,
insomma
.
Proprio
così
,
con
la
L
maiuscola
.
Cominciata
in
sordina
col
rientro
di
Ferdinando
Jr
.
(
figlio
del
defunto
dittatore
)
il
30
ottobre
,
la
rimpatriata
dei
Marcos
nelle
Filippine
ha
avuto
il
suo
vertice
folgorante
il
4
novembre
scorso
,
quando
l
'
ex
First
Lady
è
apparsa
all
'
aeroporto
Ninoy
Aquino
e
si
è
inginocchiata
e
ha
baciato
la
terra
.
Il
processo
L
'
umiliazione
della
fuga
ignominiosa
nel
febbraio
dell'86
e
la
vergogna
di
dover
subire
ora
un
processo
pesante
non
parevano
aver
incrinato
la
solare
arroganza
di
Imelda
Marcos
(
anni
62
)
o
inserito
nella
sua
personalità
di
"
farfalla
d
'
acciaio
"
il
fluido
corrosivo
del
dubbio
e
del
rimorso
.
Il
procuratore
generale
della
Repubblica
,
Francisco
Chavez
,
ha
presentato
contro
di
lei
ottanta
capi
d
'
accusa
:
nella
speranza
di
ricuperare
parte
delle
sostanze
(
denaro
e
immobili
)
che
l
'
ex
famiglia
reale
ha
sparso
nel
mondo
,
come
i
350
milioni
di
dollari
custoditi
nelle
banche
svizzere
.
Ma
quando
si
presenta
al
tribunale
regionale
di
Quezon
City
per
ascoltare
la
lettura
delle
incriminazioni
che
la
riguardano
e
che
l
'
avvocato
Chavez
elenca
imperterrito
,
Imelda
sembra
appena
uscita
da
un
bagno
di
schiuma
.
Il
bianco
luminoso
del
vestito
che
indossa
è
appena
ravvivato
da
un
foulard
rosso.blu
e
le
dita
delle
mani
che
minuti
prima
hanno
disinvoltamente
accettato
il
rito
delle
impronte
stanno
ora
avvinghiate
ai
grani
del
rosario
.
Regalmente
,
Imelda
respinge
ogni
accusa
col
solo
movimento
della
testa
.
Poi
,
ai
giornalisti
che
le
chiedono
se
abbia
paura
del
carcere
,
risponde
cortesemente
:
"
Non
c
'
è
un
posto
in
tutte
le
Filippine
dove
mi
possano
incarcerare
.
Non
ho
paura
.
Credo
nella
giustizia
divina
"
.
Però
anche
Dio
dovrà
essere
molto
paziente
e
misericordioso
con
la
signora
Marcos
,
col
suo
defunto
marito
e
coi
figli
,
pure
incriminati
.
Tuttavia
,
il
cospicuo
deposito
in
Svizzera
potrà
rimanere
congelato
ed
eventualmente
restituito
ai
legittimi
proprietari
.
i
filippini
.
soltanto
se
Manila
riuscirà
a
provare
che
è
stato
illegalmente
accumulato
.
E
qui
tutti
temono
la
lentezza
del
locale
meccanismo
processuale
.
Certo
,
l
'
elenco
circostanziato
dei
capi
d
'
accusa
lascia
sbigottiti
e
mette
a
nudo
il
cinismo
e
la
totale
mancanza
di
scrupoli
con
cui
Marcos
e
la
moglie
hanno
agito
per
vent
'
anni
grazie
alla
copertura
della
presidenza
,
spinti
solo
da
un
'
insaziabile
ingordigia
e
dall
'
ambizione
personale
:
una
diabolica
"
coppia
reale
"
che
incamera
milioni
di
pesos
destinati
agli
scolari
poveri
delle
piantagioni
di
coconut
;
che
gioca
sul
dollaro
creando
uno
"
shortage
"
artificiale
,
che
le
frutta
in
un
lampo
75
milioni
di
dollari
;
che
induce
la
Banca
Centrale
a
concedere
prestiti
favolosi
a
ditte
private
,
"
amiche
"
del
Presidente
;
che
deposita
25
milioni
di
dollari
nella
succursale
di
New
York
della
Philippine
National
Bank
perche
'
la
First
Lady
non
sia
a
corto
di
liquido
quando
va
a
fare
lo
shopping
nella
Quinta
Strada
;
e
che
infine
,
dopo
aver
tanto
rubato
,
fugge
dal
Paese
di
notte
caricando
sull
'
elicottero
22
casse
di
valuta
straniera
e
locale
:
sfortunatamente
,
non
c
'
è
posto
per
le
tremila
paia
di
scarpe
che
Imelda
abbandona
nel
palazzo
di
Malacanang
,
affrontando
scalza
l
'
esilio
.
Dietro
l
'
aberrante
immagine
di
questa
coppia
predatrice
e
sanguisuga
,
c
'
è
un
altro
aspetto
,
dei
Marcos
,
di
cui
i
tribunali
non
si
stanno
ora
occupando
:
ed
è
l
'
invereconda
manipolazione
del
potere
politico
che
ha
consentito
al
dittatore
di
sopravvivere
per
tanti
anni
.
Su
questo
la
Storia
ha
già
espresso
il
suo
giudizio
,
che
è
pesante
.
Delitti
Ma
il
ritorno
di
Imelda
nelle
Filippine
non
poteva
non
evocare
lo
spettro
degli
anni
di
piombo
e
della
legge
marziale
;
e
tuttavia
nessuno
si
meraviglia
se
,
sbarcando
all
'
aeroporto
di
Manila
dove
nell'83
venne
trucidato
Benigno
"
Ninoy
"
Aquino
,
marito
di
Corazon
e
irriducibile
avversario
di
Marcos
,
l
'
ex
First
Lady
non
abbia
provato
alcuna
emozione
.
La
"
farfalla
d
'
acciaio
"
recitava
ancora
una
volta
i
misteri
gaudiosi
.
Nessuno
dubitava
che
l
'
assassinio
di
Ninoy
era
stato
deciso
e
"
preparato
"
nei
meandri
di
Malacanang
,
anche
se
fu
impossibile
accertarlo
:
ma
quel
momento
coincise
col
risveglio
della
coscienza
popolare
e
con
l
'
ascesa
di
Cory
e
del
"
people
'
s
power
"
,
che
avrebbero
invaso
le
Filippine
coi
vessilli
gialli
e
spazzato
via
Marcos
.
Al
suo
rientro
,
Imelda
,
si
presenta
come
la
vittima
di
Corazon
e
della
sua
perfidia
umano.politica
.
È
povera
.
È
Cenerentola
.
All
'
aeroporto
confessa
:
"
Non
ho
più
un
soldo
,
sopravvivo
grazie
agli
oboli
degli
amici
"
.
Però
è
appena
sbarcata
da
un
Boeing
,
noleggiato
alle
Hawaii
per
600
mila
dollari
,
e
il
suo
seguito
è
quello
di
un
capo
di
Stato
.
Va
ad
abitare
al
Philippine
Plaza
Hotel
,
dove
requisisce
l
'
undicesimo
piano
per
sistemare
,
in
60
stanze
,
il
suo
entourage
:
lei
si
contenta
della
Suite
Imperiale
.
Da
questo
fortino
di
lusso
,
pacchianamente
superaddobbato
per
le
feste
,
Imelda
dirige
la
sua
campagna
elettorale
.
Blas
F
.
Ople
,
editoralista
di
un
quotidiano
popolare
ed
ex
ministro
di
Marcos
,
sostiene
che
Imelda
è
la
sola
persona
in
grado
di
mettere
insieme
l
'
Opposizione
.
Occorrono
,
tra
l
'
altro
,
37
milioni
di
dollari
per
la
campagna
elettorale
,
che
l
'
ex
Fist
Lady
ha
nelle
preziose
borse
di
pelle
,
firmate
dai
migliori
stilisti
.
Nella
sua
scia
,
sono
in
molti
adesso
.
I
politici
del
voltafaccia
che
,
nell'86
,
rinnegarono
Marcos
e
si
buttarono
nel
campo
dell
'
Aquino
.
Uno
squallido
personaggio
come
Salvador
Laureal
,
che
divenne
vice
presidente
dell
'
attuale
governo
e
poi
diede
il
bacio
di
Giuda
a
Cory
,
andando
all
'
aeroporto
per
congratularsi
con
l
'
ex
First
Lady
che
tornava
;
o
come
l
'
estremo
rettile
delle
Filippine
,
Juan
Ponce
Enrile
,
ex
ministro
della
difesa
,
che
fu
uno
degli
artefici
della
rivoluzione
di
febbraio
e
che
vidi
arrivare
,
il
mitra
in
mano
,
nel
campo
Aguilaldo
dei
rivoltosi
e
che
ora
ha
calato
le
brache
e
continua
ad
agitarsi
sui
banchi
dell
'
Opposizione
,
piccolo
e
isterico
.
Enrile
sostiene
che
Imelda
ha
grosse
chances
a
Manila
,
nelle
regioni
settentrionali
e
nelle
Visnayas
orientali
,
sua
patria
d
'
origine
.
Nessuno
sa
come
andrà
a
finire
.
Imelda
,
che
definisce
Enrile
con
le
iniziali
J.E.
(
Judas
Escariot
)
per
il
suo
tradimento
nell'86
,
basa
le
sue
speranze
sull
'
accoglienza
che
i
disperati
di
baraccopoli
immonde
e
letamai
umani
come
Tondo
.
delusi
dall
'
inefficienza
dell
'
attuale
governo
.
le
hanno
riservato
.
La
gestione
di
Corazon
Aquino
ha
certamente
deluso
,
ma
il
comportamento
della
signora
Marcos
rasenta
,
raggiunge
e
supera
il
marchio
dell
'
infamia
.
Il
suo
regno
d
'
influenza
e
di
vita
era
vastissimo
,
ma
ne
erano
esclusi
i
tagliatori
delle
canne
di
zucchero
delle
Negros
o
i
peones
di
Mindanao
.
Era
pure
escluso
il
sindaco
di
Zamboanga
,
Cesar
Climaco
,
che
aveva
deciso
di
non
farsi
tagliare
i
capelli
fino
a
quando
Marcos
non
avesse
rimosso
la
legge
marziale
.
Aveva
scritto
al
dittatore
,
di
cui
un
tempo
era
amico
:
"
La
sola
cosa
onesta
in
queste
isole
sono
questo
paio
di
coglioni
che
mi
porto
intorno
"
.
Lo
uccisero
sparandogli
nella
nuca
,
mentre
stava
avviando
il
motorino
.
Cosa
poteva
importare
,
a
Imelda
,
di
Climaco
?
Lei
andava
per
shopping
allo
Harrods
di
Londra
,
al
Bloomingdal
'
s
di
New
York
,
al
Takashimaya
di
Tokio
,
alla
Liberty
House
di
Honolulu
.
E
poi
Bond
Street
,
Fauburg
St
.
Honore
'
,
via
Condotti
.
Le
scarpe
da
Ferragamo
,
i
gioielli
da
Bulgari
.
E
aveva
il
diamante
più
grosso
del
mondo
(
lo
Idol
'
s
Eye
)
,
pagato
con
5
milioni
e
500
mila
dollari
di
puro
sangue
e
sudori
filippini
.
La
gente
muore
per
le
strade
e
lei
fa
costruire
a
Manila
14
alberghi
di
lusso
.
Il
suo
mito
era
Hollywood
,
la
sua
molla
erotica
gli
eroi
dello
schermo
,
come
George
Hamilton
.
Ed
ecco
,
dentro
questo
vuoto
immane
che
è
la
sua
vita
,
germinare
il
progetto
di
un
festival
cinematografico
che
oscurasse
la
gloria
di
Cannes
e
di
Venezia
.
Ma
occorre
costruire
.
e
in
fretta
.
un
palazzo
del
cinema
degno
dell
'
occasione
.
Ottomila
operai
(
era
l'82
)
lavorano
24
ore
su
24
.
Ma
a
un
certo
punto
le
impalcature
crollano
e
crollano
i
muri
.
Sotto
le
macerie
e
il
cemento
ancora
caldo
c
'
è
un
cimitero
.
Nessuno
saprà
mai
quanti
sono
i
morti
.
Imelda
ordina
di
continuare
i
lavori
,
la
scadenza
va
rispettata
.
E
a
queste
mani
,
così
gentili
e
rapaci
che
una
parte
dei
filippini
affida
ora
il
proprio
destino
.
E
allora
buon
anno
e
buona
fortuna
.
StampaQuotidiana ,
Peshawar
(
di
ritorno
dall
'
Afghanistan
)
.
Mawli
Bismilha
passava
per
uno
dalla
mira
infallibile
,
dicevano
che
avrebbe
fulminato
un
passero
a
trecento
metri
:
ma
i
tre
soldati
russi
che
montavano
di
sentinella
,
quella
sera
,
sul
ponte
di
Jalalabad
,
non
lo
sapevano
e
quando
son
risuonati
i
tre
colpi
sono
andati
giù
come
birilli
,
dietro
il
parapetto
.
Di
Bismilha
si
diceva
anche
che
avesse
un
gran
fegato
e
un
'
allergia
acuta
per
i
carri
armati
sovietici
che
gli
aravano
la
terra
quando
non
era
più
tempo
di
semina
:
e
così
quella
mattina
,
appena
il
T-62
è
sbucato
con
chiasso
tremendo
sull
'
argine
del
fiume
Sorkhroad
,
Mawli
non
ci
ha
visto
più
e
ha
cominciato
a
sparargli
addosso
col
suo
Enfield
303
.
È
stato
l
'
inizio
di
una
battaglia
che
è
durata
tutta
la
giornata
:
entro
sera
,
un
carro
armato
e
una
APC
(
un
'
autoblindo
per
il
trasporto
truppe
)
erano
stati
messi
fuori
uso
.
Ma
Bismilha
era
morto
.
Il
giorno
dopo
lo
han
portato
nel
suo
villaggio
a
tre
ore
di
cammino
e
lo
hanno
sepolto
nel
cimitero
in
collina
con
una
gran
festa
funebre
di
canti
,
preghiere
e
bandiere
bianche
,
come
si
conviene
agli
eroi
.
La
commozione
era
grande
e
ha
colpito
anche
noi
«
estranei
»
,
venuti
qui
a
curiosare
nel
cuore
della
tragedia
afghana
.
La
sepoltura
di
Bismilha
è
una
(
l
'
ultima
,
la
più
vivida
)
delle
tante
dolorose
immagini
che
ho
potuto
raccogliere
durante
un
'
escursione
(
chiamiamola
così
)
clandestina
nella
provincia
di
Ningrahar
,
fino
alla
periferia
di
Jalalabad
,
che
ne
è
il
capoluogo
.
Quel
che
segue
è
la
cronaca
di
questo
viaggio
:
un
viaggio
di
pochi
giorni
dentro
una
specie
di
esaltazione
collettiva
,
dove
la
logica
non
ha
più
posto
.
Ti
chiedi
che
senso
abbia
il
colpo
di
fucile
sparato
contro
il
MI-24
che
vola
basso
:
tanto
vale
il
tirasassi
.
Ma
per
i
mujaidin
questa
è
la
Jihad
,
la
guerra
santa
,
e
niente
-
neanche
la
spaventosa
inferiorità
sul
piano
dell
'
efficienza
bellica
-
li
può
far
desistere
.
La
vita
di
Bismilha
per
un
carro
armato
era
un
ordine
di
Allah
.
È
una
guerra
che
puoi
vedere
solo
a
spizzichi
:
e
,
per
vederla
,
puoi
solo
aggregarti
a
questo
o
quel
partito
-
islamico
-
che
hanno
i
loro
uomini
su
questo
o
su
quel
fronte
:
a
Khunar
o
Paktia
o
Herat
o
nelle
zone
centrali
o
settentrionali
.
La
base
di
partenza
è
Peshawar
,
in
Pakistan
,
dove
i
fuorusciti
afghani
hanno
le
loro
«
carbonerie
»
:
e
da
qui
,
con
un
minimo
d
'
insistenza
e
di
preghiere
,
ti
fai
accompagnare
over
the
border
,
oltre
confine
,
nelle
zone
calde
,
dove
la
terra
è
ormai
seminata
di
polvere
da
sparo
.
Conosco
il
paesaggio
.
È
stupendo
.
L
'
ho
visto
d
'
estate
,
l
'
ho
visto
d
'
inverno
:
ora
che
è
primavera
è
anche
più
bello
,
hai
intorno
una
luce
soffice
che
non
acceca
,
afghano
è
l
'
abito
,
afghano
il
cappello
,
afghano
lo
scialle
ed
è
con
questa
esotica
bardatura
che
cominci
a
scarpinare
in
montagna
dopo
aver
attraversato
il
Khunar
sulla
piana
di
Cama
.
La
marcia
nella
notte
sembra
non
finire
mai
,
forse
hanno
sbagliato
strada
,
le
otto
-
nove
ore
promesse
diventano
tredici
-
quattordici
e
alla
fine
tutte
le
tue
ossa
sono
rotte
e
fracassate
.
Sono
in
buona
compagnia
.
All
'
escursione
,
in
provincia
di
Ningrahar
,
partecipano
una
cinquantina
di
mujaidin
che
vanno
a
rafforzare
í
fronti
islamici
nell
'
area
calda
intorno
a
Jalalabad
.
Alcuni
hanno
in
spalla
cassette
di
munizioni
e
dinamite
.
Fatico
a
tenere
í1
passo
e
il
capo
della
spedizione
si
arrabbia
:
dice
che
bisogna
arrivare
a
destinazione
in
mattinata
perché
dopo
la
zona
è
sorvolata
dagli
elicotteri
russi
e
non
c
'
è
modo
di
nascondersi
nella
calvizie
dell
'
altopiano
.
Gli
uomini
fanno
parte
dello
Hezb
-
i
-
Islami
di
Mawli
Khalés
,
un
partito
di
modesta
consistenza
numerica
che
qualche
mese
fa
si
è
staccato
dal
massiccio
Hezb
-
i
-
Islami
di
Gulbuddin
Hekmatyar
,
troppo
«
politicizzato
»
,
per
dedicarsi
esclusivamente
alla
lotta
armata
.
F
.
Khalés
,
infatti
,
è
il
solo
leader
di
partito
che
vive
in
Afghanistan
,
in
prossimità
del
fronte
,
mentre
gli
altri
fanno
la
politica
da
seduti
,
lontani
dalle
pallottole
,
nell
'
esilio
di
Peshawar
.
Khalés
ha
60
anni
,
la
barba
autorevole
che
gli
ondeggia
sul
petto
,
il
fucile
a
portata
di
mano
.
Lo
incontro
di
sera
,
nella
sua
casa
di
Kaja
,
dopo
una
giornata
di
camminate
.
Viene
dalla
campagna
,
è
un
leader
molto
amato
,
a
differenza
dell
'
ingegnere
Gulbuddin
non
mantiene
le
distanze
.
I
suoi
uomini
lo
chiamano
Mawli
,
gli
sono
sempre
attorno
,
lo
abbracciano
.
Mi
dice
:
«
Lo
so
cosa
pensate
voi
stranieri
:
che
í
russi
sono
troppo
forti
,
che
hanno
armi
sofisticate
e
potenti
e
noi
fucili
del
'19
e
tirasassi
,
che
siamo
destinati
a
uscire
sconfitti
da
questa
guerra
e
a
diventare
satelliti
di
Mosca
.
Ma
voi
stranieri
vi
sbagliate
.
Voi
non
vi
rendete
conto
che
la
popolazione
è
con
noi
al
99
per
cento
,
che
se
io
scendo
in
strada
e
incontro
il
più
vecchio
del
villaggio
e
gli
caccio
in
mano
un
fucile
,
quello
mi
segue
fino
a
Jalalabad
cantando
e
ringiovanisce
di
trent
'
anni
sognando
di
stendere
un
russo
.
Qui
nella
provincia
di
Ningrahar
i
mujaidin
armati
,
cioè
veramente
impegnati
nella
guerriglia
,
sono
25
mila
»
.
Gli
chiedo
qual
è
il
suo
principale
obiettivo
:
«
Lei
è
mai
stato
a
Jalalabad
?
»
mi
dice
.
«
È
una
gran
bella
città
,
tutta
fiori
e
giardini
.
Adesso
è
in
mano
ai
russi
,
ce
ne
saranno
migliaia
.
E
all
'
aeroporto
ci
sono
centinaia
di
jet
ed
elicotteri
militari
sovietici
.
Ma
i
russi
si
renderanno
presto
conto
che
non
gli
basteranno
perché
Jalalabad
tornerà
in
mano
nostra
.
Lei
vuoi
vedere
un
po
'
d
'
azione
?
Vuol
toccare
con
mano
se
noi
mujaidin
facciamo
sul
serio
o
ci
battiamo
solo
a
parole
?
Bene
,
si
faccia
quattro
passi
fino
a
Jalalabad
:
vedrà
che
ogni
sera
i
miei
ragazzi
aprono
il
fuoco
su
tutta
la
cintura
periferica
della
città
e
in
particolare
contro
l
'
aeroporto
.
È
un
ballo
che
dura
tutta
la
notte
e
quando
finisce
,
all
'
alba
,
qualche
dozzina
di
soldati
russi
o
afghani
ci
ha
lasciato
la
pelle
»
.
Sto
per
fargli
un
'
altra
domanda
ma
Khalés
l
'
indovina
e
mi
precede
:
«
Lo
so
cosa
lei
vuol
sapere
,
altri
giornalisti
me
l
'
hanno
chiesto
.
Ebbene
,
sì
.
Questo
Enfield
qui
non
lo
tengo
per
bellezza
o
per
farmi
fotografare
.
Sì
,
vado
anch
'
io
al
fronte
e
credo
d
'
aver
contribuito
la
mia
parte
allo
sfoltimento
della
presenza
militare
sovietica
in
Afghanistan
.
Capisce
cosa
voglio
dire
?
Duecento
miei
ragazzi
sono
morti
e
sono
sparpagliati
nei
cimiteri
di
villaggio
di
Ningrahar
.
Può
capitare
anche
a
me
dall
'
oggi
al
domani
e
non
sarà
niente
di
speciale
.
La
nostra
religione
comanda
che
un
leader
debba
essere
in
prima
linea
,
sempre
»
.
È
l
'
ora
di
cena
e
stendono
la
tovaglia
sul
tappeto
.
È
una
buona
cena
,
con
pane
,
brodo
,
riso
,
spinaci
,
pezzi
di
pollo
,
latte
cagliato
.
Le
mani
,
qui
,
sostituiscono
le
posate
ma
la
mia
tecnica
manducatoria
è
ancora
-
dopo
qualche
giorno
di
pratica
-
a
un
livello
tale
che
suscita
sorrisi
di
divertita
compassione
in
Khalés
e
nei
commensali
afghani
.
Peter
e
Steve
(
i
colleghi
fotografi
che
mi
hanno
accompagnato
nell
'
escursione
)
fanno
le
cose
con
maggior
disinvoltura
.
Khalés
è
loquace
e
sereno
,
ma
a
un
certo
punto
si
rabbuia
.
Qualcuno
lo
ha
informato
che
un
paio
di
sere
prima
,
nel
villaggio
di
Cheperhar
,
il
giornalista
amico
è
stato
derubato
del
portafoglio
.
«
Sono
veramente
mortificato
»
mi
dice
,
«
lei
era
un
ospite
,
lei
è
venuto
per
raccontare
al
mondo
la
nostra
tragedia
,
per
darci
una
mano
.
Sono
pieno
di
rabbia
,
d
'
amarezza
.
Non
mi
sarei
mai
aspettato
che
tra
i
miei
ragazzi
,
i
miei
mujaidin
,
ce
ne
fosse
uno
capace
di
tanta
bassezza
.
Ma
lo
troveremo
,
lo
troveremo
.
Intanto
,
lei
domattina
riavrà
i
suoi
soldi
:
purtroppo
non
abbiamo
dollari
,
dovrà
contentarsi
di
moneta
afghana
.
»
Spero
non
abbiano
trovato
il
ladro
.
Mi
auguro
che
non
lo
trovino
mai
:
pagherebbe
troppo
cara
la
sua
ribalderia
.
Dopo
cena
chiedo
ai
mujaidin
quale
punizione
potrebbero
infliggergli
.
C
'
è
una
breve
consultazione
,
poi
:
«
Gli
tagliamo
la
mano
»
.
Ma
uno
del
gruppo
,
che
ha
tutto
soppesato
e
ponderato
,
è
più
tetro
e
drastico
:
«
Siamo
in
guerra
»
dice
«
e
pertanto
vanno
applicate
le
leggi
di
guerra
.
Un
reato
simile
va
considerato
alla
stregua
del
saccheggio
e
della
violenza
carnale
.
Non
credo
che
Khalés
la
pensi
diversamente
:
a
parte
il
fatto
che
ha
gettato
discredito
sul
nostro
partito
.
Mister
Mo
,
se
lo
scopriamo
lo
fuciliamo
.
È
OK
?
Le
sta
bene
?
»
.
I
mujaidin
di
Khalés
sono
sistemati
in
una
quindicina
di
villaggi
nel
distretto
di
Sorkhroad
,
che
è
una
bella
,
verde
,
ariosa
campagna
circondata
da
montagne
calve
color
caffelatte
.
La
marcia
è
lunga
e
ogni
tanto
devi
fermarti
perché
gli
elicotteri
ti
arrivano
improvvisamente
in
testa
.
La
gente
,
ormai
,
non
ci
fa
più
caso
:
«
Se
è
destino
morire
per
questi
infedeli
»
senti
dire
,
«
va
bene
ma
lo
stesso
non
avranno
la
nostra
terra
»
.
È
sera
fonda
quando
arriviamo
nel
villaggio
di
Diwalid
,
bianco
nella
luce
della
luna
.
Jalalabad
è
a
neanche
tre
chilometri
,
difesa
-
da
questa
parte
-
dal
«
fossato
»
del
fiume
Sorkhroad
,
quasi
completamente
asciutto
.
I
mujaidin
sono
in
azione
e
puoi
sentire
qualche
colpo
di
fucile
.
«
Non
c
'
è
gran
che
stasera
»
dice
il
comandante
Awskhan
Mokhlis
,
«
i
nostri
uomini
rientreranno
dopo
la
mezzanotte
.
Vi
consiglio
di
riposare
,
siete
stanchi
:
e
domani
sera
vi
organizzo
un
bello
spettacolo
,
okay
?
»
Okay
okay
.
Finora
abbiamo
visto
i
mujaidin
delle
retrovie
che
di
eroico
hanno
solo
la
nomenclatura
.
Parlano
incessantemente
di
eventuali
attacchi
coi
russi
,
abbattono
verbalmente
elicotteri
e
jet
e
non
c
'
è
tank
sovietico
che
possa
fare
la
sua
passeggiata
vespertina
nei
campi
di
grano
di
Ningrahar
senza
essere
impallinato
,
bloccato
e
bruciato
dalle
cartucce
dei
303
.
A
sentirli
,
hanno
già
vinto
la
guerra
.
Sono
i
mujaidin
del
tè
permanente
.
Pregano
cinque
volte
al
giorno
e
quindici
volte
prendono
il
tè
,
cominciando
al
mattino
presto
,
quando
il
sole
non
è
ancora
sbucato
.
Poi
li
vedi
sempre
seduti
o
sdraiati
-
sui
letti
o
sul
pavimento
-
a
parlare
dell
'
Islam
o
di
guerra
.
L
'
occupazione
più
frequente
è
scaricare
o
ricaricare
il
fucile
o
diramare
omericamente
i
bollettini
di
guerra
che
vengono
rigonfiati
di
bocca
in
bocca
:
perciò
non
ti
devi
meravigliare
se
i
soldati
russi
morti
nella
tale
operazione
da
dieci
diventano
cento
e
carri
armati
ed
elicotteri
sono
,
nel
giro
di
poche
ore
,
triplicati
o
quintuplicati
.
Le
distanze
sono
enormi
,
non
c
'
è
radio
e
non
c
'
è
telefono
,
è
praticamente
impossibile
restare
aggiornati
sulle
vicende
militari
:
eppure
trovi
sempre
qualche
arcano
,
alato
messaggero
che
ha
fatto
trenta
chilometri
in
cinque
minuti
e
ti
scarica
sul
tavolo
la
bisaccia
delle
«
ultimissime
»
.
«
Allora
hanno
preso
Jalalabad
?
»
«
Non
ancora
,
ma
è
questione
di
giorni
.
»
«
E
Kabul
?
»
«
Questione
di
settimane
.
»
A
Diwalid
la
guerra
ce
l
'
hanno
in
casa
e
non
si
fanno
illusioni
.
Qui
la
conta
è
precisa
,
puntigliosa
.
Quando
uno
esce
dalla
caserma
(
chiamiamola
così
)
col
fucile
,
non
sa
mai
se
torna
.
Ma
anche
qui
trovi
i
millantatori
.
Il
nostro
miles
gloriosus
è
un
sellerone
alto
quasi
due
metri
,
la
faccia
segata
imperiosamente
dal
baffo
,
il
kalashnikov
a
tracolla
.
Entra
e
dice
:
«
Ho
fatto
fuori
tre
russi
,
sul
ponte
.
Un
'
ora
fa
»
.
Il
comandante
Moklis
non
dice
niente
,
anche
gli
altri
tacciono
.
Ma
Peter
e
Steve
vogliono
scattare
foto
dell
'
eroe
.
Com
'
è
avvenuto
?
Hagi
racconta
,
con
pacatezza
,
l
'
impresa
.
Sembra
il
De
bello
Gallico
,
tanto
è
asciutto
.
Mi
sono
appostato
,
ho
visto
i
tre
,
mi
son
detto
questa
è
roba
mia
,
vai
.
Ho
premuto
il
grilletto
.
Si
accarezza
il
baffo
e
guarda
giù
sulla
nostra
miseria
d
'
uomini
con
aria
sovrumana
.
Gli
chiediamo
di
tornare
sul
ponte
,
le
tre
sentinelle
saranno
state
rimpiazzate
.
Ma
Hagi
rifiuta
,
la
sua
dose
è
tre
russi
al
giorno
,
Allah
è
d
'
accordo
.
Però
domani
,
se
vogliamo
,
lui
ci
porta
nei
campi
e
ci
improvvisa
uno
show
:
«
Volete
un
carro
armato
?
»
dice
.
«
Bene
.
Esco
fuori
col
mio
"
rocket
launcher
"
e
il
primo
T-62
che
si
mette
in
marcia
da
Jalalabad
ve
lo
schianto
in
un
colpo
.
Ma
dovete
esser
pronti
ragazzi
,
clic
clic
.
Io
lo
spacco
e
voi
clic
clic
.
»
Il
giorno
dopo
Peter
e
Steve
non
hanno
fatto
clic
clic
:
o
lo
hanno
fatto
,
ma
non
per
Hagi
.
Durante
la
notte
il
miles
gloriosus
è
stato
selvaggiamente
ridimensionato
:
fuori
della
stanza
c
'
è
una
bagarre
in
piena
regola
,
volano
parole
e
cazzotti
ed
è
veramente
un
peccato
non
capire
il
pushtu
ribaltato
di
bocca
in
bocca
con
tanta
sonora
violenza
.
Capiremo
il
mattino
seguente
che
Hagi
s
'
era
abusivamente
attribuito
il
merito
dello
sterminio
sul
ponte
e
che
la
scarica
micidiale
era
partita
da
tutt
'
altro
cecchino
:
il
cecchino
Mawli
Bismilha
.
Mawli
e
l
'
ingegnere
Mahammood
sono
rientrati
di
notte
,
all
'
una
,
dopo
aver
a
lungo
sparacchiato
.
Adesso
hanno
già
detto
la
prima
preghiera
ed
è
l
'
ora
del
breakfast
,
mi
offrono
il
tè
e
il
pane
e
vogliono
sapere
se
a
Roma
è
primavera
come
qui
,
con
l
'
aria
dolce
e
azzurra
.
L
'
ingegnere
avrà
trent
'
anni
,
parla
un
inglese
soffice
e
antico
,
è
molto
cauto
e
prudente
e
tende
sempre
(
a
differenza
dei
mujaidin
del
tè
)
a
minimizzare
.
Ma
tra
poche
ore
vedremo
di
che
scorza
è
fatto
.
L
'
ingegnere
dice
che
è
stato
Bismilha
a
stendere
i
russi
:
non
ha
sprecato
un
colpo
.
Mawli
è
minuto
e
gracile
,
ha
occhi
grandi
di
un
marrone
dorato
e
un
naso
da
boxeur
,
schiacciato
:
quando
ride
-
e
lo
fa
spesso
-
scopre
una
dentatura
aggressiva
,
una
palizzata
bianca
che
si
infigge
nel
labbro
inferiore
.
Non
sono
riuscito
a
scoprire
la
sua
età
.
L
'
inglese
approssimativo
delle
nostre
guide
non
fa
testo
:
chi
dice
venticinque
,
chi
ventisei
,
chi
ventotto
.
Non
importa
.
Non
aveva
l
'
età
per
morire
.
L
'
ingegnere
cerca
di
spiegarmi
la
situazione
e
mi
traccia
una
«
mappa
»
sul
quaderno
:
qui
c
'
è
la
dronta
dam
,
la
diga
,
qui
l
'
università
,
qui
il
ponte
Khab
,
qui
la
dorasaka
,
qui
qui
...
eccetera
.
«
Ogni
sera
»
dice
«
noi
attacchiamo
.
Jalalabad
è
difesa
da
tre
,
quattromila
militari
,
tra
russi
e
afghani
.
Avranno
da
50
a
60
elicotteri
e
una
decina
di
jet
.
I
carri
armati
potrebbero
essere
da
400
a
600.»
«
Ma
qual
è
il
vostro
obiettivo
?
»
«
Prendere
l
'
aeroporto
»
dice
«
e
ammazzare
più
russi
possibile
.
»
«
Ingegnere
,
ma
che
speranze
ci
sono
?
Non
avete
armi
.
»
Mi
guarda
con
un
'
espressione
tranquilla
,
rassegnata
.
Non
riuscirò
a
scordarmi
quello
sguardo
.
Ordina
di
farci
vedere
l
'
arsenale
,
che
è
modesto
.
Ci
mettono
davanti
agli
occhi
,
oltre
agli
Enfield
303
,
i
kalashnikov
AK-47
,
un
rocket
projector
RPG-7
,
una
mitragliatrice
Guru
,
una
LMG
cecoslovacca
,
dei
fucili
G
3
tedeschi
,
un
fucile
russo
della
Seconda
guerra
mondiale
.
«
È
molto
poco
»
ammette
l
'
ingegnere
,
«
abbiamo
bisogno
di
missili
per
abbattere
gli
elicotteri
,
i
gunships
MI-24
.
Ma
per
il
resto
,
andiamo
bene
.
Sul
piano
della
guerriglia
,
i
russi
non
ci
possono
battere
.
Noi
conosciamo
il
terreno
,
sappiamo
da
dove
sparare
.
Ieri
,
Bismilha
ha
stecchito
tre
russi
ma
quelli
non
sono
neanche
riusciti
a
scoprire
da
dove
venivano
i
colpi
.
È
solo
questo
il
nostro
vantaggio
.
Ogni
sera
attacchiamo
Jalalabad
da
un
punto
diverso
.
La
sola
cosa
certa
,
da
parte
loro
,
è
che
noi
,
a
una
certa
ora
,
apriamo
il
fuoco
.
I
russi
mettono
davanti
i
soldati
afghani
e
sono
quelli
i
primi
a
crepare
.
Quanti
siamo
?
Non
è
possibile
fare
un
conto
.
Varia
da
sera
a
sera
.
Ma
ti
posso
dire
che
non
gli
diamo
requie
.
I
mujaidin
calano
giù
da
tutte
le
parti
,
da
Mirzayan
,
da
Charbagh
,
da
Saidane
-
Poladi
e
da
Haji
Sahiban
,
da
Koshkak
e
da
Balabagh
,
solo
per
parlare
del
distretto
di
Sorkhroad
:
e
poi
,
naturalmente
,
da
Cherperhar
e
da
Cama
.
»
È
un
bel
cielo
d
'
aprile
,
quello
che
vedo
sopra
Jalalabad
.
Sono
molto
vicino
al
ponte
dove
,
la
sera
prima
,
sono
stati
falciati
i
russi
.
Gli
elicotteri
sovietici
passano
e
ripassano
sopra
la
campagna
e
scompaiono
oltre
,
nella
valle
di
Khunar
.
L
'
ingegnere
dice
:
«
È
troppo
pericoloso
attaccare
adesso
:
aspettiamo
stasera
.
Di
giorno
,
se
spari
,
ti
vengono
addosso
jet
ed
elicotteri
e
non
hai
scampo
»
.
Ma
poi
qualcosa
cambia
.
Ed
è
l
'
ingegnere
che
arriva
trafelato
e
dice
:
«
Attacchiamo
adesso
:
ma
vi
prego
andate
via
,
non
vogliamo
che
vi
succeda
qualcosa
»
.
Peter
ed
io
siamo
in
un
campo
di
frumento
e
vedo
l
'
ingegnere
e
Bismilha
correre
piegati
in
due
lungo
l
'
argine
e
poi
farsi
inghiottire
dal
verde
.
Subito
dopo
,
un
carro
armato
russo
appare
sulla
sponda
del
fiume
,
dalla
parte
dei
mujaidin
:
e
poi
un
altro
,
con
la
stessa
minacciosa
musica
,
e
poi
tre
Carriers
.
Peter
inquadra
il
primo
carro
armato
,
un
T
62
:
«
Cristo
»
dice
,
«
che
bella
bestia
»
.
Dal
verde
alla
nostra
destra
partono
i
primi
colpi
.
Bismilha
è
allergico
ai
tank
sovietici
e
così
l
'
ingegnere
.
Sono
passate
da
poco
le
undici
e
i
mujaidin
hanno
deciso
che
l
'
Armata
Rossa
non
debba
profanare
oltre
,
coi
cingoli
,
la
terra
sacra
di
Ningrahar
.
Né
l
'
ingegnere
né
Bismilha
hanno
avuto
il
tempo
di
chiedere
l
'
autorizzazione
a
Mawli
Khalés
,
ma
sanno
molto
bene
che
Mawli
Khalés
farebbe
la
stessa
cosa
.
E
dai
cespugli
dove
sono
rintanati
partono
altre
scariche
.
Ora
,
lungo
l
'
argine
del
Sorkhroad
,
procedono
lentamente
-
forse
con
l
'
obiettivo
d
'
un
accerchiamento
-
due
T-62
e
tre
APC
:
che
cominciano
a
rispondere
al
fuoco
coi
cannoni
di
75
mm.
Non
è
ancora
l
'
inferno
,
ma
questa
media
temperatura
bellica
non
impedisce
a
una
donna
di
continuare
a
sciacquare
e
risciacquare
i
suoi
panni
nel
torrente
e
ai
contadini
di
zappare
la
terra
.
Cannonate
e
raffiche
di
mitraglia
passano
sopra
questi
bellissimi
campi
di
frumento
e
cipolle
e
papaveri
bianchi
e
ciclamini
da
cui
esce
,
distillata
,
la
felicità
dell
'
oppio
.
È
passato
da
poco
mezzogiorno
quando
Bismilha
e
un
ragazzotto
di
neanche
diciott
'
anni
spingono
fuori
dalla
macchia
,
sull
'
argine
,
tre
uomini
,
percuotendoli
coi
calci
dei
fucili
.
Uno
avrà
trent
'
anni
,
l
'
altro
quaranta
,
il
terzo
,
molto
vecchio
e
fragile
,
è
sulla
settantina
.
Gli
sono
molto
vicino
e
credo
di
poter
dire
da
che
strana
luce
sono
attraversati
gli
occhi
,
quando
sei
preso
dal
terrore
.
Il
mujaidin
di
scorta
continua
a
picchiarli
e
altri
,
che
li
incrociano
sul
cammino
,
aggiungono
la
loro
dose
di
percosse
,
calciandoli
in
faccia
,
alle
gambe
,
ai
testicoli
.
Il
vecchio
è
il
più
pestato
.
Uno
lo
fa
stramazzare
vibrandogli
il
fucile
sulla
schiena
con
un
fendente
che
avrebbe
ucciso
un
mulo
,
ma
lui
riemerge
dalla
caduta
senza
un
lamento
,
senza
gemiti
,
la
faccia
di
un
antico
gufo
che
è
da
tempo
morto
e
non
appartiene
più
a
questa
terra
.
I
tre
afghani
erano
su
un
bulldozer
che
i
carri
armati
russi
scortavano
da
qualche
parte
per
lavori
di
sterramento
:
sorpresi
e
terrorizzati
dalla
sparatoria
,
si
son
dati
alla
fuga
scegliendo
-
nella
paura
-
l
'
itinerario
sbagliato
:
ed
eccoteli
capitare
,
in
pochi
minuti
,
davanti
ai
fucili
dell
'
ingegnere
e
di
Bismilha
.
Li
hanno
portati
dal
giudice
.
Il
giudice
è
un
tipo
robusto
con
una
faccia
larga
e
una
barba
coranica
,
ha
occhi
color
mandorla
,
vivaci
,
ironici
e
crudeli
,
lo
chiamano
anche
Kissinger
per
via
di
una
sua
certa
avventurosa
politica
estera
e
sostiene
di
dovermi
proteggere
a
tutti
i
costi
«
perché
»
dice
«
tu
hai
faccia
da
russo
(
"
rusj
rusj
"
)
e
se
capiti
in
mezzo
proprio
non
darei
una
lira
per
i
tuoi
coglioni
»
.
«
Rusj
rusj
»
mi
dice
il
giudice
,
«
tu
non
vuoi
morire
a
Jalalabad
.
»
Io
gli
dico
di
no
,
anche
se
è
bella
,
c
'
ero
stato
in
gennaio
e
il
collega
Bernardo
Valli
,
che
pure
ha
tanto
peregrinato
,
sosteneva
che
un
profumo
simile
non
lo
aveva
mai
respirato
da
nessun
'
altra
parte
.
Quando
i
tre
gli
arrivano
davanti
,
il
giudice
li
abbraccia
:
miei
cari
fratelli
islamici
,
dice
.
Ma
poi
il
mujaidin
di
scorta
lo
informa
che
sono
«
collaborazionisti
»
,
grandi
figli
di
troia
fottuti
e
venduti
,
e
il
giudice
allora
fa
scendere
dall
'
alto
la
sua
mano
non
più
benedicente
,
un
colpo
di
maglio
che
quasi
gli
stacca
la
testa
.
Li
mettono
in
una
specie
di
stalla
.
Nessuno
dei
tre
parla
.
Forse
gli
hanno
già
detto
che
devono
morire
.
Guardo
il
vecchio
.
Ha
due
crateri
secchi
nelle
guance
,
la
bocca
senza
labbra
cucita
sulle
gengive
amare
.
L
'
uomo
di
mezza
età
getta
un
'
occhiata
indifferente
-
certo
senza
astio
-
ai
fotoreporters
che
stanno
indagando
nella
sua
disperazione
.
Il
più
giovane
sembra
assente
.
Il
comandante
gli
dice
:
«
Hai
dei
bei
sandali
,
sono
molto
più
belli
dei
miei
.
Sai
che
ti
dico
?
Facciamo
un
cambio
:
a
te
non
servono
più
»
.
Il
comandante
Mokhlis
butta
lontano
le
sue
ciabatte
sdrucite
e
calza
i
sandali
del
condannato
a
morte
.
Fa
due
o
tre
passi
per
provarle
.
«
Belle
calzature
eh
?
»
L
'
uomo
si
guarda
i
piedi
nudi
.
Nei
campi
,
i
mujaidin
combattono
fin
a
tarda
sera
.
Il
giudice
si
fa
passare
sotto
le
narici
dei
fiori
di
campo
e
poi
dice
:
«
Domani
finito
»
.
Fa
anche
capire
,
con
un
gesto
,
che
i
tre
non
hanno
scampo
.
Alle
quattro
del
pomeriggio
arriva
la
notizia
che
Mawli
Bismilha
è
morto
.
Il
ragazzo
che
porta
la
notizia
ha
del
sangue
sulla
camicia
.
Non
piange
,
ma
gli
costa
fatica
.
«
A
che
ora
è
morto
?
»
gli
chiedono
.
«
Un
'
ora
fa
»
è
la
risposta
.
«
L
'
hai
visto
?
»
«
L
'
ho
visto
.
»
Vai
a
capirli
,
questi
mujaidin
.
Bismilha
è
morto
,
l
'
ingegnere
continua
a
sparare
sui
carri
armati
col
cadavere
vicino
e
dai
campi
di
frumento
che
sono
lì
a
cento
metri
senti
i
guerriglieri
che
tra
una
fucilata
e
l
'
altra
invocano
Allah
,
mentre
i
carri
armati
sovietici
,
non
ancora
annichiliti
,
vomitano
sui
campi
il
fuoco
della
75
mm.
È
un
grido
di
disperati
,
un
grido
che
fa
paura
.
Allah
Akbar
,
Allah
è
grande
.
La
battaglia
di
Jalalabad
è
finita
senza
vinti
né
vincitori
.
Ma
il
giorno
dopo
i
russi
son
passati
alle
punizioni
e
l
'
artiglieria
di
terra
e
gli
elicotteri
hanno
martoriato
per
ore
Sorkhroad
.
È
sera
,
ormai
,
quando
il
giudice
decide
di
trasferire
i
prigionieri
in
zona
più
tranquilla
.
Una
trasferta
di
oltre
quattro
ore
.
La
battaglia
continua
sulla
piana
mentre
noi
scappiamo
.
Mi
dicono
che
i
russi
stanno
tentando
una
manovra
di
accerchiamento
e
non
sarebbe
prudente
farsi
trovare
.
Quando
arriviamo
sul
fiume
,
è
l
'
ora
della
preghiera
.
Una
luce
violetta
avvolge
le
montagne
.
I
tre
chiedono
di
poter
pregare
e
gli
viene
concesso
.
Li
slegano
,
quelli
si
inginocchiano
e
forse
non
vedrai
più
mai
nella
tua
vita
una
preghiera
così
fervida
,
così
disperata
e
così
intensa
.
Viene
da
piangere
.
Ma
forse
-
pensiamo
-
c
'
è
speranza
:
li
hanno
lasciati
pregare
,
potrebbero
salvarli
.
Invece
no
.
Li
hanno
portati
in
una
cava
di
ghiaia
,
a
Fathiabad
,
tre
buone
ore
di
marcia
da
Diwalid
.
Ed
è
qui
che
li
rivediamo
,
sempre
legati
e
pronti
a
morire
.
Nessuno
è
in
grado
di
venirci
incontro
.
Nessun
interprete
che
sappia
tradurre
.
Dei
tre
non
sappiamo
né
il
nome
né
l
'
età
né
perché
si
son
messi
coi
russi
.
Ma
non
ha
importanza
.
Una
cosa
ci
sembra
di
aver
capito
.
Ed
è
che
erano
tre
poveri
diavoli
di
contadini
,
senza
la
minima
possibilità
di
traviamento
da
parte
di
una
filosofia
estranea
e
(
per
loro
)
lunare
come
il
marxismo
e
che
se
erano
capitati
sui
bulldozer
«
russi
»
lo
avevano
fatto
soltanto
per
sbarcare
il
lunario
e
per
quell
'
antica
irresistibile
ragione
che
è
la
fame
.
Sono
le
dieci
del
mattino
quando
entriamo
nella
cava
di
Fathiabad
.
I
due
più
giovani
sono
ammanettati
insieme
da
una
striscia
di
stoffa
celeste
;
il
vecchio
è
solo
.
Li
spingono
dietro
,
dove
c
'
è
una
specie
di
cunetta
che
sarà
la
loro
fossa
.
L
'
intero
villaggio
s
'
è
radunato
per
la
cerimonia
ma
il
giudice
li
tiene
lontano
.
Non
c
'
è
plotone
d
'
esecuzione
vero
e
proprio
,
i
tre
non
vengono
messi
al
muro
.
Due
mujaidin
hanno
l
'
incombenza
.
Il
primo
colpo
è
per
il
vecchio
che
cade
sulle
ginocchia
,
schiantato
,
e
poi
si
rovescia
sul
fianco
,
cadendo
nella
cunetta
,
la
bocca
e
gli
occhi
pieni
di
sangue
.
Poi
vanno
giù
gli
altri
due
:
il
più
giovane
ha
la
schiena
sfasciata
e
da
un
buco
esce
della
materia
.
L
'
uomo
di
mezzo
ha
molto
pregato
prima
di
morire
.
Gli
ero
molto
vicino
e
ho
sentito
che
ripeteva
continuamente
Allah
,
Allah
,
Allah
.
Il
secondo
e
ultimo
colpo
gli
ha
traforato
il
cranio
.
Ma
non
è
tutto
finito
qui
.
Qualcuno
non
è
soddisfatto
,
l
'
esecuzione
non
gli
è
bastata
.
Ed
ecco
che
tira
fuori
dai
cenci
un
coltello
e
comincia
a
infierire
contro
i
cadaveri
,
aprendo
altri
squarci
.
Il
vecchio
ha
la
gola
recisa
.
Mi
vedo
attorno
bambini
di
nove
,
dieci
anni
colti
da
macabra
esultanza
che
sputano
sui
morti
,
giocando
a
chi
centra
meglio
.
Fathiabad
era
il
villaggio
di
Mawlí
Bismilha
.
Lo
hanno
portato
al
cimitero
sul
suo
letto
di
paglia
,
sotto
una
coperta
verde
.
Hanno
rimosso
la
coperta
per
farmelo
vedere
.
Ha
quei
suoi
dentoni
appoggiati
sul
labbro
inferiore
e
un
buchetto
nero
in
mezzo
alla
fronte
.
Sua
madre
non
piange
,
suo
fratello
non
piange
.
C
'
è
solo
un
ragazzo
che
piange
.
Se
ho
ben
capito
,
dice
che
Mawli
gli
ha
insegnato
a
sparare
.
StampaQuotidiana ,
HAMMAMET
(
Tunisia
)
.
Bettino
sta
male
,
Bettino
soffre
per
i
postumi
di
un
infarto
,
Bettino
e
'
in
clinica
a
Tunisi
:
tornera
'
,
forse
;
parlera
'
,
forse
.
Dopo
una
settimana
di
inutile
caccia
al
fantasma
,
dopo
un
certificato
medico
spedito
via
fax
dalla
sua
villa
tra
aranceti
e
fichi
d
'
India
,
dopo
le
voci
,
i
sospetti
e
il
tam
tam
di
Radio
Medina
che
lo
voleva
nascosto
e
sicuro
nel
rifugio
dalla
"
porta
celeste
"
di
una
casa
anonima
tra
i
vicoli
della
citta
'
vecchia
,
eccolo
di
nuovo
Bettino
:
non
e
'
fuggito
ne
'
sembra
intenzionato
a
farlo
.
Sta
solo
male
,
deve
curarsi
,
anzi
si
sta
gia
'
curando
.
E
il
passaporto
da
riconsegnare
?
Tempo
,
la
salute
prima
di
tutto
.
Poi
si
vedra
'
.
La
Land
Cruiser
accosta
a
destra
sulla
Rue
de
la
Gare
.
L
'
autista
frena
.
In
una
nuvola
di
polvere
lo
sportello
si
apre
.
Anna
Craxi
,
in
camicia
di
seta
a
fiori
arancioni
e
rossi
e
fuso
'
neri
ci
viene
incontro
,
sorride
.
Cortese
,
come
sempre
:
"
Io
sono
cosi
'
,
e
'
il
mio
carattere
...
"
.
Abbiamo
saputo
che
suo
marito
non
sta
bene
.
"
Eh
,
infatti
.
Non
sta
proprio
bene
.
Non
ve
lo
volevo
dire
,
sapete
,
ma
e
'
in
clinica
a
Tunisi
.
Deve
fare
dei
controlli
"
.
Perche
'
,
che
cos
'
ha
?
"
Beh
,
aveva
gia
'
avuto
un
infarto
di
cui
non
s
'
era
accorto
"
.
Quando
era
stato
male
,
qualche
anno
fa
?
"
No
,
prima
.
Un
po
'
di
tempo
prima
"
.
Infarto
asintomatico
?
"
Si
'
"
.
E
i
medici
l
'
hanno
scoperto
quando
e
'
stato
male
,
dopo
.
"
Si
'
.
Poi
da
due
anni
,
con
tutto
quello
che
gli
e
'
successo
,
capirete
lo
stato
d
'
animo
,
lo
stress
.
Anzi
,
devo
dire
che
io
temevo
si
deprimesse
.
Invece
,
per
fortuna
,
e
'
sempre
un
leone
"
.
Signora
Craxi
,
vede
,
il
fatto
e
'
che
i
magistrati
italiani
aspettavano
suo
marito
e
sembra
che
si
stiano
innervosendo
.
"
Beh
,
pero
'
io
non
capisco
questa
cosa
.
Allora
e
'
proprio
vero
che
e
'
una
persecuzione
.
E
insomma
,
dico
:
o
tutti
dentro
o
tutti
fuori
...
E
comunque
,
non
e
'
detto
che
non
ritorni
.
Certo
,
fosse
per
me
,
io
non
tornerei
.
Io
gli
direi
di
non
tornare
.
Pero
'
lui
deve
ancora
decidere
.
Non
e
'
detto
"
.
Dove
si
fa
curare
?
"
Questa
mattina
e
'
andato
in
clinica
a
fare
delle
analisi
.
Ne
aveva
gia
'
fatte
a
Parigi
ma
sapete
com
'
e
'
lui
:
non
e
'
uno
che
,
uno
che
sta
a
dieta
,
segue
i
consigli
.
E
allora
gli
hanno
rifatto
i
controlli
e
hanno
trovato
valori
alti
:
la
glicemia
e
il
resto
.
Le
cartelle
e
le
analisi
non
sono
buone
.
Anche
se
,
per
fortuna
,
lui
e
'
sempre
di
buon
umore
"
.
Se
ne
occupano
dei
medici
del
posto
?
"
Si
'
,
a
Tunisi
Bettino
ha
un
sacco
di
amici
medici
.
Sono
di
scuola
francese
,
ottimi
specialisti
"
.
Dunque
,
il
Leone
e
'
riapparso
.
E
con
lui
,
i
segni
distintivi
del
potere
e
del
rispetto
che
da
vent
'
anni
e
piu
'
ne
confermano
la
presenza
in
terra
d
'
Africa
.
Intanto
c
'
e
'
il
soldato
alla
porta
della
villa
.
Anzi
,
due
.
Il
primo
ha
la
tuta
verde
oliva
e
la
faccia
da
bravo
ragazzo
di
campagna
.
Ti
viene
incontro
,
chiede
i
documenti
,
li
porta
dentro
.
Il
secondo
e
'
in
divisa
,
la
pistola
al
cinturone
e
i
documenti
te
li
rimette
in
mano
:
"
Vous
ne
revien
pas
ici
,
capito
?
Mai
piu
'
"
.
Il
piccoletto
che
fa
la
guardia
a
casa
Craxi
e
invece
della
divisa
sfoggia
i
rayban
e
un
ghigno
alla
tonton
macoute
,
se
la
gode
soddisfatto
:
"
E
se
tornate
ici
,
nous
vous
agrediron
...
"
.
Ma
intanto
Radio
Medina
,
la
radio
delle
voci
di
Hammamet
,
si
e
'
tutta
sintonizzata
occhi
e
orecchie
sul
ritorno
del
Leone
:
del
Rais
italiano
amico
personale
del
Rais
tunisino
,
il
presidente
Ben
Ali
'
.
E
ne
protegge
con
discrezione
spostamenti
,
abitudini
,
capricci
.
Non
si
tratta
pur
sempre
di
un
vecchio
,
fedele
amico
del
popolo
arabo
,
ancora
potente
anche
se
un
po
'
acciaccato
in
salute
e
nel
prestigio
?
Poi
questi
giornalisti
che
vogliono
?
Dare
la
caccia
a
Craxi
,
nel
suo
stesso
territorio
,
e
'
cosa
a
volte
anche
rischiosa
.
Ti
si
avvicinano
una
quantita
'
di
nemici
(
falsi
)
e
amici
(
falsi
)
.
Ti
soffiano
le
piste
piu
'
improbabili
.
Sanno
dell
'
amicizia
tra
il
Leone
e
Berlusconi
.
Ti
giurano
che
si
'
,
lui
(
Berlusconi
)
era
venuto
a
trovarlo
anche
l
'
estate
scorsa
e
che
Hammamet
gli
era
piaciuta
tanto
da
comprarci
quasi
una
villa
.
Ti
spiegano
che
l
'
amicizia
con
Ben
Ali
'
e
'
tale
da
allontanare
ogni
possibilita
'
concreta
di
estradizione
.
Poi
tu
gli
chiedi
:
va
bene
,
ma
Craxi
dov
'
e
'
?
E
loro
,
a
mezza
bocca
,
ti
fanno
il
nome
di
questo
Karim
,
che
ha
un
negozio
di
fiori
e
fa
anche
l
'
ingegnere
.
Abita
sulla
strada
per
Sousse
,
dopo
il
semaforo
,
dove
parte
una
pista
che
passa
sotto
l
'
autostrada
per
Tunisi
.
Ed
e
'
vero
,
Karim
abita
li
'
e
si
fa
pure
trovare
.
Jeans
e
camicia
,
barba
incolta
,
l
'
occhio
astuto
di
chi
annusa
e
pesa
la
gente
a
distanza
.
Quando
gli
domandi
di
Craxi
risponde
:
"
E
allora
?
Rivolgetevi
a
lui
"
.
Ma
lei
forse
ci
puo
'
aiutare
.
"
Forse
.
Mi
dia
il
suo
nome
.
Se
lo
vedo
glielo
dico
"
.
Karim
Ben
Sheida
vive
circondato
dai
fiori
.
Per
una
settimana
Radio
Medina
ha
fatto
rimbalzare
la
voce
che
Craxi
si
fosse
rifugiato
nella
sua
villa
.
Tu
gli
parli
e
lui
ascolta
in
silenzio
,
come
un
confessore
,
sgranando
quel
rosario
che
gli
arabi
passano
tra
pollice
e
indice
da
Tangeri
all
'
Eufrate
.
Sull
'
amico
Bettino
non
sgancia
una
notizia
.
E
quando
lo
saluti
,
monta
sulla
sua
Mercedes
e
ritorna
in
citta
'
.
Amici
.
Come
Manken
,
che
in
una
viuzza
davanti
al
distributore
della
Mobil
ha
messo
su
una
pensione
e
un
ristorante
di
pesce
.
La
pensione
l
'
ha
chiamata
"
Milano
"
,
il
ristorante
"
La
Scala
"
.
Sui
muri
ha
appeso
le
foto
(
piccoline
)
di
Pavarotti
e
Giuseppe
Verdi
,
una
litografia
di
Bettino
col
garofano
(
"
notre
ami
italien
"
)
,
una
litografia
di
Garibaldi
,
una
gigantografia
di
Ben
Ali
'
(
"
notre
ami
president
"
)
.
Bettino
viene
qui
a
mangiare
gli
spaghetti
alle
vongole
e
la
spigola
.
"
Uomo
semplice
,
come
tutti
gli
italiani
semplici
"
,
fa
Manken
.
E
da
quanto
non
si
fa
vedere
?
"
Tre
settimane
?
Due
?
Mah
"
.
Gli
amici
.
Le
voci
.
Poi
anche
i
fatti
.
Il
consigliere
De
Luca
,
al
telefono
dall
'
ambasciata
di
Tunisi
,
spiega
che
sulla
faccenda
sa
poco
:
"
L
'
ambasciatore
rientra
stasera
e
ha
detto
che
se
ne
vuole
occupare
lui
personalmente
"
.
L
'
ambasciatore
si
chiama
Caruso
,
era
il
consigliere
diplomatico
di
Claudio
Martelli
.
De
Luca
e
'
cortese
ma
non
ha
molto
da
aggiungere
.
Una
curiosita
'
:
ci
sono
gia
'
in
circolazione
gli
agenti
dell
'
Interpol
?
"
Non
qui
in
ambasciata
.
E
comunque
,
se
fossero
gia
'
qui
a
Tunisi
dovrebbero
passare
da
noi
.
Fuori
dall
'
Europa
,
questa
e
'
la
prassi
"
.
Cosi
'
,
non
resta
che
attendere
le
prossime
mosse
di
Bettino
,
il
Leone
.
Nel
certificato
firmato
dal
medico
tunisino
c
'
e
'
scritto
che
rientrera
'
in
Italia
"
compatibilmente
con
le
sue
condizioni
di
salute
"
.
Inchallah
,
dicono
gli
arabi
.
Intanto
da
Milano
l
'
avvocato
Lo
Giudice
.
facendo
riferimento
a
gravi
problemi
di
salute
.
assicura
che
"
non
appena
sara
'
in
grado
di
farlo
,
Craxi
si
presentera
'
"
.
Grigo
e
Ghitti
,
che
finora
non
hanno
ricevuto
richieste
dal
pool
per
ulteriori
provvedimenti
restrittivi
,
esaminano
le
convenzioni
con
la
Tunisia
nel
caso
dovesse
rendersi
necessaria
l
'
estradizione
.
StampaQuotidiana ,
Buscetta
parla
con
voce
ferma
,
pacata
.
Quale
che
sia
la
domanda
che
gli
si
rivolge
,
non
si
innervosisce
,
a
momenti
sembra
anzi
divertirsene
.
Come
quando
l
'
avvocato
di
Greco
gli
domanda
se
ricorda
di
essere
stato
arrestato
dalla
Guardia
di
finanza
,
il
tale
anno
,
il
tale
giorno
,
nelle
acque
di
Crotone
.
Che
cosa
vuol
dire
«
nelle
acque
»
?
domanda
Buscetta
:
a
mollo
,
sul
bagnasciuga
,
su
una
barca
?
E
poi
-
chiarito
il
senso
della
domanda
-
risponde
che
non
nelle
acque
di
Crotone
era
stato
quel
giorno
arrestato
,
ma
sulla
terraferma
di
Taranto
.
Si
sarà
benissimo
accorto
,
in
questi
giorni
,
di
aver
perduto
la
benevolenza
della
stampa
:
ma
non
sembra
darsene
pensiero
.
E
'
presumibile
che
sia
soltanto
impaziente
di
liberarsi
dell
'
incombenza
che
il
processo
di
Palermo
gli
assegna
e
di
tornarsene
negli
Stati
Uniti
dove
,
esaurito
il
suo
ruolo
di
testimone
d
'
accusa
,
spera
di
avere
-
con
altro
nome
e
altro
volto
-
una
sicura
cittadinanza
.
Benissimo
sa
pure
che
gli
basterebbe
fare
il
nome
di
un
uomo
politico
,
magari
di
un
solo
uomo
politico
,
e
preferibilmente
democristiano
,
per
riguadagnare
al
doppio
il
favore
della
stampa
.
Ma
non
lo
fa
.
Anzi
:
se
,
quando
il
giudice
gli
domanda
il
nome
dell
'
uomo
politico
che
lui
aveva
detto
di
avere
incontrato
nell
'
atrio
di
un
albergo
romano
insieme
a
Nino
Salvo
,
risponde
di
non
ricordare
,
alla
stessa
domanda
fatta
da
un
avvocato
di
parte
civile
risponde
di
non
ricordare
nemmeno
l
'
incontro
.
E
così
la
parte
civile
contribuisce
a
destituire
di
credibilità
la
testimonianza
di
Buscetta
,
che
è
l
'
operazione
cui
prevalentemente
si
dedicano
gli
avvocati
della
difesa
.
Dovrebbe
esser
chiaro
a
tutti
coloro
che
agiscono
in
questo
processo
che
tutto
quello
che
era
possibile
spremere
da
Buscetta
si
trova
negli
atti
istruttori
:
e
per
ragioni
comprensibilissime
,
considerando
la
situazione
ambientale
e
psicologica
di
un
imputato
o
testimonio
di
fronte
a
un
solo
giudice
;
del
tutto
diversa
da
quella
in
cui
viene
a
trovarsi
nel
processo
dibattimentale
.
E
non
parliamo
poi
di
quel
che
è
sempre
accaduto
nei
processi
dibattimentali
che
hanno
a
che
fare
con
la
mafia
,
in
cui
regolarmente
,
tipicamente
,
le
dichiarazioni
rese
in
istruttoria
subiscono
una
riduzione
o
negazione
.
Sperare
che
Buscetta
dica
qualcosa
di
più
è
alquanto
insensato
.
Se
mai
,
qualcosa
di
meno
:
come
di
fatto
accade
.
Invece
di
ironizzare
sul
«
cantare
»
di
Buscetta
e
sulle
sue
«
stecche
»
la
stampa
dovrebbe
fare
un
po
'
di
autocritica
sul
fatto
di
aver
creduto
e
di
aver
fatto
credere
che
Buscetta
fosse
l
'
angelo
sterminatore
incombente
sull
'
intera
mafia
siciliana
e
internazionale
.
Buscetta
è
semplicemente
un
uomo
che
ha
visto
intorno
a
sé
cadere
familiari
ed
amici
,
che
sente
in
pericolo
la
sua
vita
,
e
vuole
dalla
parte
della
legge
trovare
vendetta
e
riparo
.
Con
tutto
quel
che
la
stessa
stampa
gli
propina
sui
letali
pericoli
che
chi
parla
o
è
sul
punto
di
parlare
corre
in
Italia
,
e
persino
nelle
carceri
di
massima
sicurezza
,
è
umanamente
spiegabile
che
Buscetta
tenda
a
non
moltiplicare
il
numero
dei
suoi
nemici
,
e
specialmente
di
quei
nemici
che
ancora
«
possono
»
.
Che
poi
dai
suoi
ospiti
americani
abbia
avuto
ammonizione
a
non
far
nomi
di
politici
italiani
,
ipotesi
che
si
sente
aleggiare
tra
coloro
che
seguono
attivamente
questo
processo
,
è
anche
possibile
:
benché
viene
da
pensare
che
almeno
un
nome
,
uno
solo
,
in
questo
momento
avrebbe
fatto
gioco
a
certa
insofferenza
della
polizia
americana
nei
riguardi
dell
'
Italia
.
Peraltro
,
la
mentalità
di
Buscetta
è
perfettamente
mafiosa
:
la
sua
alleanza
con
la
legge
non
l
'
ha
per
nulla
scalfita
.
Dalla
parte
della
legge
continua
a
fare
quel
che
avrebbe
fatto
dentro
una
«
famiglia
»
ancora
capace
di
far
qualcosa
:
restituisce
i
colpi
ricevuti
,
si
vendica
.
Ed
è
appunto
perciò
credibile
in
quel
che
rivela
.
Nella
misura
,
insomma
,
per
cui
è
incredibile
non
sappia
certe
altre
cose
è
credibile
conosca
bene
e
colpisca
giusto
nelle
cose
che
afferma
.
Giustamente
si
dice
«
dissociato
»
e
non
«
pentito
»
.
Non
è
pentito
di
aver
fatto
parte
della
mafia
,
ne
coltiva
anzi
l
'
ideologia
,
la
nobiltà
:
della
mafia
,
s
'
intende
,
di
una
volta
.
Che
cosa
poi
fosse
la
mafia
di
una
volta
,
non
si
capisce
bene
.
Non
ammazzava
giudici
e
carabinieri
,
non
produceva
e
commerciava
droga
:
va
bene
.
Ma
omicidi
,
taglieggiamenti
,
usurpazioni
e
soprusi
indubbiamente
ne
faceva
.
E
c
'
è
una
impagabile
battuta
di
Buscetta
,
in
risposta
all
'
avvocato
che
gli
domanda
di
Sindona
e
di
quel
che
era
venuto
a
fare
in
Sicilia
.
Vale
la
pena
trascrivere
l
'
intera
sequenza
:
Avvocato
Maffei
:
«
Si
ricorda
per
quali
canali
avvenne
l
'
incontro
tra
Sindona
e
i
suoi
amici
Bontade
e
Inzerillo
?
»
.
Buscetta
:
«
Non
ne
parlammo
mai
...
Bontade
mi
disse
che
Sindona
era
solo
un
pazzo
...
Non
c
'
era
niente
da
parlare
»
.
Avvocato
Maffei
:
«
Ma
Sindona
parlò
di
una
rivoluzione
.
Bontade
non
era
preoccupato
di
essere
custode
di
simili
segreti
?
»
.
Buscetta
(
ridendo
)
:
«
I
segreti
di
Sindona
!
Erano
una
piuma
,
in
confronto
ai
segreti
che
aveva
Bontade
»
.
Una
piuma
,
i
segreti
di
Sindona
.
Si
può
immaginare
dì
qual
piombo
fossero
i
segreti
della
vecchia
,
buona
,
nobile
mafia
,
che
Bontade
custodiva
.