StampaPeriodica ,
Giuliano
Ferrara
ingrassa
(
di
felicità
)
quanto
più
fa
il
malandrino
.
Dopo
il
fallimento
della
sua
malandrinata
in
Mugello
,
è
tornato
a
me
.
Tornato
perché
è
da
parecchio
che
ingrassa
punzecchiandomi
.
Quando
era
direttore
di
«
Panorama
»
,
il
suo
settimanale
non
perdeva
occasione
per
sfruculiarmi
.
Ora
che
la
sua
ammiraglia
è
diventata
«
Il
Foglio
»
,
Giulianone
(
o
il
suo
elefantino
)
provvede
da
sé
,
a
viso
aperto
.
A
fine
anno
è
partito
lancia
in
resta
contro
un
mio
libriccino
,
Homo
videns
,
dandomi
di
«
editorialista
supercilioso
»
,
scagliandomi
contro
dotti
richiami
a
Parmenide
,
Platone
e
Aristotele
,
e
addirittura
chiedendosi
:
«
Leggono
questi
professori
?
»
.
Stavo
ancora
contando
le
mie
letture
,
quand
'
ecco
che
mi
arriva
addosso
un
'
altra
bordata
.
E
finalmente
ho
capito
che
Ferrara
stava
ingrassando
troppo
(
di
felicità
)
,
e
che
per
il
suo
bene
era
bene
farlo
soffrire
.
Anche
se
mi
rendo
conto
che
l
'
impresa
è
titanica
.
L
'
ultima
bordata
si
intitola
:
«
Nel
'93
Sartori
e
Panebianco
dicevano
peste
e
corna
del
Mattarellum
.
Si
sbagliavano
(
la
legge
ha
funzionato
)
.
Ora
ce
l
'
hanno
con
le
riforme
»
.
Sottotitolo
:
«
Due
maestri
di
politologia
non
fanno
i
conti
con
le
previsioni
sbagliate
»
(
«
Il
Foglio
»
del
13
febbraio
)
.
Non
posso
rispondere
per
Angelo
Panebianco
;
ma
,
visto
che
sono
d
'
accordo
con
lui
,
sono
prontissimo
a
prendere
in
carico
anche
le
sue
colpe
.
Il
Mattarellum
,
cioè
la
legge
elettorale
attualmente
in
vigore
,
ha
funzionato
?
Le
previsioni
sono
state
sbagliate
?
Vediamo
.
A
una
mente
di
aristotelica
possanza
non
dovrebbe
essere
spiegato
che
il
successo
,
qualsiasi
successo
,
si
misura
su
un
obiettivo
,
si
commisura
a
uno
scopo
.
Ma
tant
'
è
.
Quindi
a
Ferrara
spiego
che
anche
lui
è
tenuto
,
come
gli
altri
comuni
mortali
,
a
partire
da
questo
quesito
:
qual
è
,
o
quale
dovrebbe
essere
,
l
'
intento
di
una
riforma
elettorale
oggi
in
Italia
?
Al
quesito
gli
esperti
e
le
persone
sensate
rispondono
che
noi
soffriamo
di
troppi
partiti
,
di
troppa
frammentazione
,
e
quindi
che
il
nostro
obiettivo
prioritario
è
adottare
un
sistema
elettorale
che
riduca
il
numero
dei
partiti
e
che
li
costringa
ad
aggregarsi
.
Stranamente
il
Nostro
nemmeno
dà
mostra
di
essersi
mai
imbattuto
in
questa
tesi
(
ma
cosa
legge
Giulianone
sapiens
?
)
,
e
quindi
non
la
mette
in
conto
.
Per
lui
il
Mattarellum
ha
funzionato
a
questo
titolo
:
perché
i
partiti
si
sono
tutti
salvati
,
e
sono
addirittura
aumentati
.
Ma
questa
era
,
appunto
,
la
previsione
mia
,
di
Panebianco
e
dei
politologi
in
generale
.
La
previsione
era
dunque
esattissima
.
Mentre
resta
da
dimostrare
perché
mai
un
risultato
di
accresciuta
frammentazione
sia
utile
al
paese
e
serva
l
'
interesse
generale
.
Hic
Rhodus
,
hic
salta
.
Ma
il
nostro
Giulianone
salta
via
,
salta
da
un
'
altra
parte
.
Difatti
Ferrara
devia
il
discorso
sul
fatto
che
il
Mattarellum
ha
funzionato
nel
produrre
due
coalizioni
vincenti
,
prima
quella
di
Berlusconi
e
poi
quella
dell
'
Ulivo
.
E
Pierino
(
pardon
:
Ferrara
)
racconta
la
vicenda
così
.
«
Alle
elezioni
politiche
del
marzo
1994
la
nuova
legge
elettorale
[...]
produsse
per
la
prima
volta
una
maggioranza
definita
,
quella
del
Polo
[...]
scelta
dai
cittadini
(
l
'
incidente
della
maggioranza
debole
al
Senato
non
ebbe
conseguenze
sul
voto
di
fiducia
)
.
E
il
nuovo
Parlamento
,
anziché
rischiare
la
paralisi
come
paventavano
i
politologi
,
portò
alla
formazione
del
governo
Berlusconi
,
il
quale
cadde
[...]
non
perché
la
legge
elettorale
fosse
un
'
pasticcio
'
[...]
come
volevano
i
professori
ma
perché
la
coalizione
esplose
sotto
i
colpi
di
mortaio
di
Bossi
e
si
rivelò
un
'
alleanza
politicamente
impossibile
»
.
Mi
scuso
per
la
lunga
citazione
,
troppo
bella
per
lasciarsela
scappare
,
che
compenserò
con
chiose
brevi
.
Primo
.
Anche
in
passato
abbiamo
avuto
maggioranze
definite
,
in
genere
pentapartitiche
o
quadripartitiche
come
oggi
.
Quale
sarebbe
la
differenza
?
Che
non
erano
scelte
dai
cittadini
?
Che
erano
meno
obbligate
di
quelle
prodotte
dal
Mattarellum
?
Detto
o
mal
detto
così
,
il
punto
mi
sfugge
.
Secondo
.
È
inesatto
che
Berlusconi
avesse
una
maggioranza
debole
al
Senato
:
non
l
'
aveva
proprio
.
E
poi
il
problema
di
avere
una
maggioranza
si
pone
per
tutto
il
tempo
della
legislatura
,
non
soltanto
al
voto
di
fiducia
.
Terzo
.
La
paralisi
paventata
dai
politologi
non
,
è
del
Parlamento
ma
della
governabilità
,
ed
è
prodotta
,
appunto
,
da
alleanze
impossibili
.
Come
il
nostro
avverte
,
senza
però
avvertire
di
contraddirsi
.
Quarto
.
Se
la
coalizione
di
Silvio
Berlusconi
esplose
per
colpa
di
Umberto
Bossi
è
ovviamente
perché
Bossi
era
un
partner
indispensabile
di
quella
coalizione
.
Chi
lo
aveva
reso
tale
?
Sì
,
gli
elettori
.
Ma
anche
una
pessima
legge
elettorale
.
Dunque
il
nesso
con
il
sistema
elettorale
c
'
è
,
anche
se
Ferrara
non
lo
vede
o
fa
finta
di
non
vederlo
.
Ripartiamo
dalla
domanda
:
qual
è
lo
scopo
di
un
sistema
elettorale
?
In
attesa
che
Ferrara
dimostri
perché
dovrebbe
essere
la
frantumazione
di
un
sistema
partitico
,
debbo
tornare
a
rispondere
che
in
Italia
occorre
oggi
un
sistema
che
riduca
e
aggreghi
i
partiti
.
Quando
si
passa
a
considerare
la
governabilità
,
lo
scopo
primario
diventa
prefigurare
coalizioni
di
governo
quanto
più
possibile
omogenee
.
Come
?
Facendo
ricorso
,
appunto
,
a
un
sistema
elettorale
aggregativo
.
Il
Mattarellum
non
lo
è
(
e
nemmeno
lo
sarà
il
Mattarellum
Due
prefigurato
nella
famosa
cena
a
casa
di
Gianni
Letta
)
.
Difatti
ha
prodotto
per
due
volte
consecutive
coalizioni
eterogenee
,
scollate
e
intrinsecamente
conflittuali
.
Come
era
stato
esattamente
previsto
e
come
volevasi
dimostrare
.
Anche
su
questo
punto
,
la
natura
delle
coalizioni
,
Ferrara
fa
lo
gnorri
e
sposta
il
discorso
dalla
governabilità
alla
stabilità
.
Ma
,
intanto
,
una
volta
su
due
la
stabilità
non
c
'
è
stata
:
il
governo
Berlusconi
è
stato
instabilissimo
,
sette
mesi
in
tutto
.
Inoltre
l
'
instabilità
del
nostro
passato
viene
largamente
esagerata
.
Giulio
Andreotti
a
modo
suo
è
stato
stabilissimo
,
ben
sette
volte
presidente
del
Consiglio
(
seguito
da
Amintore
Fanfani
con
sei
volte
e
Aldo
Moro
con
cinque
)
;
e
Bettino
Craxi
è
durato
,
con
due
consecutivi
governi
pentapartitici
,
dal
4
agosto
1983
al
3
marzo
1987
,
quindi
per
quasi
l
'
intero
corso
della
IX
legislatura
,
quattro
anni
.
Anche
se
Romano
Prodi
resterà
in
sella
per
tutta
la
XIII
legislatura
,
anche
così
Ferrara
si
eccita
troppo
quando
scrive
che
il
governo
Prodi
sarà
«
il
primo
governo
di
legislatura
nella
storia
italiana
»
.
Visto
che
durare
con
la
proporzionale
dovrebbe
essere
più
difficile
che
con
il
maggioritario
,
Craxi
regge
il
confronto
.
Comunque
sia
,
a
che
cosa
serve
una
stabilità
senza
vera
forza
di
governo
?
Questo
è
il
problema
che
il
Nostro
elude
.
Eppure
,
visto
che
Ferrara
va
alla
caccia
dei
politologi
,
dovrebbe
essere
informato
di
cosa
dicono
.
Dunque
dovrebbe
sapere
che
per
il
sottoscritto
(
e
altri
)
la
stabilità
dei
governi
è
un
falso
scopo
.
Un
governo
può
durare
ed
essere
inefficiente
.
Il
che
vuol
dire
che
la
stabilità
è
soltanto
una
condizione
di
governabilità
.
Quattro
anni
di
un
Prodi
sempre
bloccato
da
Fausto
Bertinotti
non
risolvono
i
nostri
guai
.
Ripeto
:
di
per
sé
la
stabilità
è
un
falso
scopo
,
agitato
per
i
gonzi
e
per
far
perdere
di
vista
che
lo
scopo
vero
è
la
governabilità
.
Vengo
ora
a
due
critiche
specifiche
.
La
prima
è
questa
:
che
nel
1993
,
all
'
indomani
del
referendum
che
aprì
le
porte
alla
riforma
elettorale
in
senso
maggioritario
,
«
i
due
eccellenti
politologi
[
Panebianco
e
io
]
,
prigionieri
della
teoria
,
esercitarono
in
modo
scombiccherato
[...]
la
loro
funzione
di
critica
e
di
analisi
.
Non
vollero
tracciare
una
rotta
[...]
ma
si
limitarono
a
demolire
[...]
il
progetto
Mattarella
»
.
Ma
il
mio
eccellente
demolitore
qui
asserisce
il
falso
.
È
vero
tutto
il
contrario
,
e
cioè
che
sin
da
prima
del
referendum
Segni
-
Pannella
combattei
una
battaglia
per
spiegare
che
quel
referendum
lasciava
aperta
la
via
a
una
duplice
interpretazione
-
maggioritario
a
un
turno
,
o
anche
maggioritario
a
due
turni
-
e
che
la
seconda
era
da
preferire
.
Dopo
di
che
ho
insistito
per
cinque
anni
,
e
quasi
al
di
là
del
sopportabile
,
nel
raccomandare
la
rotta
del
doppio
turno
.
Ammesso
che
Giulianone
sapiens
legga
davvero
,
mi
sa
che
legge
alla
rovescia
.
L
'
altra
critica
è
che
«
il
27
novembre
1993
il
professore
interviene
sulla
dissoluzione
del
centro
asserendo
che
il
maggioritario
è
una
macchina
trita
-
centro
[...]
fatta
apposta
per
stritolare
il
centro
»
.
Dal
che
,
scrive
il
Nostro
,
il
professore
ricava
«
col
suo
stile
sapido
e
rubicondo
una
prognosi
infausta
sulla
definitiva
scomparsa
della
Dc
»
.
Embè
?
A
me
in
effetti
risulta
che
la
Dc
si
è
disintegrata
e
centrifugata
tra
sinistra
e
destra
.
Al
nostro
risulta
invece
che
«
la
smentita
sarà
clamorosa
»
.
Smentita
che
Ferrara
illustra
così
:
«
Il
partito
di
centro
,
i
popolari
di
Martinazzoli
,
riesce
a
salvarsi
proprio
per
effetto
del
maggioritario
corretto
dalla
proporzionale
»
,
mentre
i
«
centristi
cattolici
che
già
avevano
avuto
una
prima
scissione
con
la
nascita
del
Ccd
si
divideranno
poi
per
schiette
ragioni
politiche
»
.
Questa
sarebbe
una
smentita
?
Una
frantumazione
in
tre
pezzi
che
poi
perdono
complessivamente
un
20
per
cento
del
loro
vecchio
voto
?
Concedo
che
qui
il
nostro
scombicchera
al
suo
meglio
.
Ma
non
concedo
che
dal
suo
polverone
emerga
una
smentita
.
Allora
,
quali
sarebbero
le
previsioni
sbagliate
con
le
quali
i
politologi
dovrebbero
fare
i
conti
?
Ci
saranno
,
non
dico
di
no
;
ma
certo
Ferrara
non
le
ha
scoperte
.
Forse
perché
la
sua
vista
è
impedita
dai
suoi
egregi
errori
di
fatto
e
di
logica
.
StampaPeriodica ,
Beati
i
giovani
.
Io
non
li
invidio
più
di
tanto
perché
crescere
è
faticoso
.
Ma
ormai
abbondano
i
giovani
che
non
crescono
mai
.
E
il
giovane
beato
a
vita
,
che
non
cresce
faticando
,
comincia
a
fare
storia
nel
1968
.
La
generazione
che
maturava
negli
anni
Sessanta
è
stata
una
generazione
benedetta
da
tutte
le
fortune
.
Non
ha
conosciuto
guerre
in
casa
,
è
stata
coccolata
dal
boom
del
benessere
e
ha
visto
sparire
la
tirannide
dei
genitori
.
Quei
giovani
si
affacciavano
a
una
vita
che
non
era
più
,
ai
loro
occhi
,
labor
e
cioè
pena
,
sforzo
,
affanno
.
La
durezza
del
vivere
a
loro
era
ignota
.
A
tanta
maggior
ragione
le
energie
da
scaricare
erano
tante
.
Erano
anche
pronti
gli
strumenti
del
contagio
,
del
fare
massa
,
e
cioè
adeguatissime
comunicazioni
di
massa
.
E
dunque
tutto
era
pronto
per
una
rivoluzione
dei
giovani
.
L
'
evento
ci
prese
di
sorpresa
,
anche
perché
le
rivoluzioni
del
passato
avvenivano
per
fame
(
le
rivoluzioni
contadine
)
oppure
erano
rivoluzioni
contro
il
tiranno
.
Nel
1968
non
c
'
era
né
fame
né
tiranno
.
Così
la
rivoluzione
dei
giovani
divenne
universitaria
.
Scese
anche
per
strada
,
è
vero
.
Ma
il
suo
bersaglio
concreto
era
,
per
la
prima
volta
nella
storia
,
la
cultura
.
I
sessantottini
volevano
disfare
e
rifare
ab
imis
il
sapere
,
l
'
insegnamento
e
chi
insegnava
.
È
un
peccato
che
la
dizione
«
rivoluzione
culturale
»
sia
stata
accaparrata
da
Mao
.
In
Cina
quella
di
Mao
fu
una
spietata
purga
di
stampo
staliniano
.
La
vera
rivoluzione
culturale
è
stata
la
nostra
.
E
ha
prodotto
,
ahimè
,
una
riuscitissima
distruzione
culturale
.
Il
giovane
,
proprio
perché
è
giovane
,
scopre
.
E
la
grande
scoperta
dei
sessantottini
era
che
il
passato
era
da
azzerare
(
perché
marcio
o
comunque
perché
inutile
e
dannosa
zavorra
)
,
e
che
la
storia
ricominciava
da
loro
.
In
politica
i
problemi
sarebbero
stati
risolti
dalla
«
immaginazione
al
potere
»
,
e
nella
cultura
dalla
«
matematica
rossa
»
.
Erano
bambinate
.
In
passato
si
aspettava
che
la
fase
bambinesca
passasse
.
Sunt
pueri
et
puerilia
tractant
.
Liberi
i
fanciulli
di
fanciulleggiare
.
Ma
oggi
sunt
pueri
,
tamen
seria
tractant
.
Sono
fanciulli
e
tuttavia
trattano
di
cose
serie
.
Veniamo
,
allora
,
al
discorso
serio
.
Questo
:
che
la
scienza
infusa
,
la
scienza
innata
,
non
esiste
.
Ogni
neonato
parte
da
zero
.
Nasce
non
sapendo
niente
.
Gli
deve
essere
tutto
insegnato
facendolo
studiare
.
Può
saperne
di
più
-
nel
corso
della
sua
educazione
-
dei
suoi
educatori
,
e
cioè
di
chi
ha
già
studiato
?
Può
essere
(
esistono
autodidatti
prodigiosi
)
,
ma
è
molto
raro
.
Certo
,
ci
sono
educatori
pessimi
.
Ma
se
il
cattivo
maestro
è
da
sostituire
,
il
maestro
deve
pur
sempre
restare
.
E
se
i
maestri
sono
aboliti
(
perché
sostituiti
dai
loro
studenti
)
,
allora
le
scuole
vanno
abolite
.
Eppure
i
rivoluzionari
ancora
imberbi
(
ancorché
barbuti
)
del
Sessantotto
erano
convinti
di
sapere
e
di
essere
portatori
di
nuovo
sapere
.
In
realtà
il
sapere
(
pochissimo
e
soltanto
settario
)
dei
sessantottini
era
anch
'
esso
un
retaggio
del
passato
e
non
nasceva
per
nulla
dal
loro
cervello
.
Nella
sua
parte
rispettabile
(
e
quindi
prescindendo
dalle
puerili
Bibbie
di
Mao
,
del
Che
e
di
Gheddafi
)
quei
giovani
ripetevano
,
con
Marx
,
Marcuse
e
la
Scuola
di
Francoforte
,
il
percorso
della
dissoluzione
della
filosofia
hegeliana
.
Raymond
Aron
(
a
proposito
,
chi
era
?
)
scrisse
del
Sessantotto
che
si
trattava
di
una
«
rivoluzione
introvabile
»
.
Io
ho
scritto
che
era
una
«
rivoluzione
del
nulla
»
,
nel
senso
che
si
alimentava
di
vuoto
e
creava
vuoto
.
Passata
la
vampata
,
del
Sessantotto
è
restata
solo
la
pars
destruens
:
il
messaggio
anticulturale
-
il
rifiuto
della
cultura
come
patrimonio
di
millenni
di
sapere
-
e
il
messaggio
antielitista
.
Che
resta
,
ad
oggi
,
il
distintivo
del
sessantottino
.
Per
Mario
Capanna
gli
anni
della
rivoluzione
studentesca
furono
«
formidabili
»
.
Certo
,
formidabili
per
lui
e
per
i
molti
,
troppi
,
che
ne
hanno
ricavato
rendite
di
rivoluzione
.
Ma
nient
'
affatto
formidabili
per
chi
si
aggira
tra
le
rovine
della
scuola
prodotte
dalla
cultura
dell
'
anticultura
.
È
sempre
vero
,
probabilmente
,
che
in
ogni
epoca
il
numero
degli
stolti
è
infinito
.
Ma
una
cultura
dominata
da
stolti
e
intrisa
di
stoltezza
antielitista
è
un
inedito
.
Qualcuno
ha
detto
che
«
l
'
ignoranza
è
sempre
pronta
ad
ammirarsi
»
.
Difatti
mi
aspetto
,
per
il
trentennio
del
Sessantotto
,
una
travolgente
valanga
di
autoincensamenti
.
StampaPeriodica ,
Di
recente
Alberto
Ronchey
è
tornato
alla
carica
sulla
nostra
«
televisione
senza
qualità
»
.
E
anche
un
consigliere
di
amministrazione
della
Rai
,
Alberto
Contri
,
ha
criticato
in
diverse
occasioni
il
basso
livello
culturale
e
di
qualità
del
nostro
servizio
televisivo
.
Il
direttore
generale
della
Rai
,
Celli
,
risponde
con
statistiche
che
proverebbero
,
a
suo
dire
,
che
la
Rai
offre
più
«
servizio
pubblico
»
di
altre
reti
europee
.
Qualche
volta
rispondere
con
statistiche
è
rispondere
.
Ma
le
statistiche
di
Celli
appartengono
all
'
aria
fritta
.
Sapere
che
ai
tg
è
stato
dedicato
il
13
per
cento
,
alla
cultura
il
25
per
cento
e
agli
approfondimenti
il
14
per
cento
del
tempo
Rai
è
una
presa
in
giro
.
Per
esempio
,
se
il
contenuto
informativo
serio
e
di
interesse
pubblico
dei
nostri
tg
è
zero
,
1.300
ore
di
trasmissione
tg
fanno
sempre
zero
.
E
la
voce
cultura
come
viene
definita
?
Cosa
ci
viene
cacciato
dentro
?
E
a
che
ora
?
Dopo
mezzanotte
?
Per
dibattere
di
qualità
e
cultura
dobbiamo
essere
in
buona
fede
.
Acchiappare
queste
nozioni
è
un
po
'
come
acchiappare
un
'
anguilla
.
Chi
vuole
fare
il
furbo
se
la
cava
sempre
.
Ma
chi
non
cerca
di
fare
il
furbo
non
produce
statistiche
che
mettono
assieme
lucertole
e
coccodrilli
e
ammette
senza
cavilli
che
il
livello
culturale
di
un
film
di
Luchino
Visconti
fa
scomparire
il
livello
culturale
di
un
Carlo
Verdone
.
Facciamo
un
esempio
preciso
:
il
genere
dei
film
«
gialli
»
,
dei
«
mistery
»
.
Mi
si
consentirà
che
questo
genere
ha
un
buon
mercato
.
Eppure
Viale
Mazzini
ci
ha
propinato
senza
fine
il
mediocrissimo
ispettore
Derrick
e
ha
sempre
ignorato
i
bellissimi
mistery
inglesi
(
dai
Poirot
impersonati
da
David
Suchet
,
alla
serie
dell
'
ispettore
Morse
e
altre
)
.
Mi
si
risponde
che
in
Italia
il
mistery
inglese
non
va
.
Il
che
vuol
soltanto
dire
,
a
mio
avviso
,
che
la
nostra
tv
ha
diseducato
il
nostro
spettatore
a
livelli
da
quattro
soldi
,
appunto
a
livelli
Derrick
.
Comunque
,
il
punto
centrale
è
quello
del
servizio
pubblico
.
Per
Viale
Mazzini
«
pubblico
»
vuol
dire
«
acchiappare
pubblici
»
,
acchiappare
il
più
alto
numero
possibile
di
spettatori
.
Invece
no
.
Un
servizio
pubblico
è
tale
in
quanto
serve
un
interesse
pubblico
su
materie
di
pubblica
rilevanza
.
E
qui
il
fatto
è
che
i
nostri
telegiornali
ci
regalano
quasi
soltanto
una
cronaca
di
nessunissima
rilevanza
ai
fini
della
formazione
di
una
opinione
pubblica
.
Intanto
,
il
mondo
è
pressoché
sparito
(
basta
,
per
dimostrarlo
,
il
confronto
con
il
notiziario
delle
world
news
della
Bbc
)
;
e
il
resto
è
tutto
in
chiave
di
raccontino
lacrimoso
mammistico
.
Se
poi
l
'
obiezione
è
che
un
notiziario
serio
che
dà
notizie
che
ci
aiutano
a
capire
gli
eventi
otterrebbe
un
ascolto
del
5
per
cento
,
a
questa
obiezione
rispondo
che
un
5
per
cento
che
sa
qualcosa
è
pur
sempre
meglio
di
un
100
per
cento
che
non
sa
nulla
.
Rispondendo
ad
Alberto
Contri
il
presidente
della
Rai
Zaccaria
lo
rintuzza
così
:
«
sono
sorpreso
quando
un
consigliere
[...]
sventola
la
bandierina
della
qualità
.
Il
Cda
lavora
da
un
anno
e
mezzo
su
questo
»
.
Bene
.
La
Rai
cominci
a
dimostrarlo
in
sede
di
qualità
dell
'
informazione
.
La
qualità
in
generale
è
,
dicevo
,
nozione
anguillesca
.
Ma
la
qualità
dell
'
informazione
può
essere
misurata
al
paragone
ogni
giorno
.
Servizio
pubblico
o
invece
disservizio
pubblico
?
Finora
,
disservizio
.
StampaPeriodica ,
Le
obiezioni
al
disegno
di
legge
del
governo
sulla
disciplina
degli
spot
politici
sono
parecchie
.
Le
riassume
in
buona
parte
Andrea
Manzella
,
che
scrive
perentoriamente
così
:
«
L
'
iniziativa
del
governo
non
è
incostituzionale
.
È
soltanto
sbagliata
in
quattro
punti
»
.
Manzella
ha
ragione
sulla
incostituzionalità
:
non
c
'
è
.
Ma
sul
punto
principale
della
sua
critica
-
il
primo
dei
quattro
-
la
tesi
sbagliata
è
,
a
mio
vedere
,
la
tesi
di
Manzella
.
A
detta
del
Nostro
,
la
distinzione
tra
pubblicità
e
propaganda
sulla
quale
si
fonda
la
disciplina
proposta
dal
governo
è
una
«
distinzione
impossibile
»
.
Manzella
ne
è
sicuro
perché
«
gli
studiosi
che
si
sono
occupati
della
materia
(
come
Cesare
Pinelli
e
Antonella
Sciortino
)
avevano
avvertito
che
la
distinzione
non
poteva
reggere
dato
che
l
'
una
e
l
'
altra
forma
di
comunicazione
politica
utilizzano
le
stesse
tecniche
di
persuasione
e
di
semplificazione
del
linguaggio
»
.
Gli
studiosi
?
No
,
«
alcuni
»
studiosi
.
Vedi
caso
,
tra
gli
studiosi
dell
'
argomento
ci
sono
anche
io
(
me
ne
occupo
,
tra
l
'
altro
,
nella
Enciclopedia
del
Novecento
dell
'
Istituto
della
Enciclopedia
Italiana
,
e
dunque
in
una
sede
di
tutto
rispetto
)
e
la
mia
tesi
,
lì
e
altrove
,
è
che
la
distinzione
tra
pubblicità
e
propaganda
è
non
solo
possibile
ma
anche
necessaria
.
A
una
persona
esperta
di
mondo
e
smaliziata
come
Manzella
non
dovrebbe
sfuggire
,
tanto
per
cominciare
,
che
i
pubblicitari
sono
interessati
a
cancellare
la
distinzione
perché
a
loro
interessa
catturare
anche
il
mercato
della
politica
.
Per
loro
sono
tanti
quattrini
,
e
ai
pubblicitari
interessano
quasi
per
definizione
soltanto
i
quattrini
.
E
se
lei
,
senatore
Manzella
,
ha
mai
sentito
parlare
di
conflitto
di
interessi
,
allora
dovrebbe
stare
più
attento
alle
tesi
«
interessate
»
.
Tra
le
tante
differenze
tra
pubblicità
commerciale
e
propaganda
politica
mi
limito
qui
a
ricordare
che
la
prima
vende
beni
e
servizi
a
dei
consumatori
i
quali
,
consumando
,
bene
o
male
si
accorgono
se
un
bidone
è
un
bidone
.
La
propaganda
politica
vende
invece
promesse
(
parole
)
o
altrimenti
persone
.
Così
i
consumatori
della
propaganda
comunista
sono
stati
bidonati
per
settant
'
anni
,
e
chi
vota
(
compra
)
Berlusconi
non
lo
può
poi
mangiare
per
scoprire
se
è
un
buon
commestibile
.
La
stessa
cosa
,
senatore
Manzella
?
No
,
cose
diverse
.
E
ne
risulta
che
il
potenziale
di
imbroglio
e
di
dannosità
della
propaganda
politica
è
incommensurabilmente
maggiore
di
quello
della
pubblicità
commerciale
.
Pertanto
,
strabilio
nel
leggere
che
lei
raccomanda
di
«
lasciare
mano
libera
[...]
ai
pubblicitari
»
,
visto
che
questi
ultimi
sono
«
quelli
che
con
il
loro
mestiere
di
fantasia
riescono
a
leggere
e
rivelare
molta
più
politica
al
mondo
di
quanto
non
sia
più
capace
di
fare
la
politica
come
mestiere
»
.
Poveri
noi
,
e
povera
politica
.
Già
siamo
a
livelli
bassissimi
.
Con
l
'
aiuto
di
questa
raccomandazione
è
pressoché
sicuro
che
scenderà
a
livelli
ancor
più
bassi
.
Comunque
sia
,
l
'
argomento
di
Manzella
non
regge
in
punto
di
logica
.
In
buona
logica
una
distinzione
è
analiticamente
valida
se
individua
una
differenza
,
e
non
è
cancellata
dal
fatto
che
la
realtà
mescola
sempre
tutto
:
bene
e
male
,
bello
e
brutto
,
e
anche
,
appunto
,
propaganda
e
pubblicità
.
Domanda
:
se
nel
mondo
reale
bene
e
male
si
mescolano
,
ne
dobbiamo
forse
ricavare
che
sono
indistinguibili
?
Alla
stessa
stregua
,
anche
se
è
vero
che
i
pubblicitari
riducono
la
propaganda
politica
a
un
quissimile
della
vendita
di
un
dentifricio
,
è
lecito
ricavarne
che
sono
la
stessa
cosa
?
Ovviamente
no
.
Manzella
si
vanta
di
essere
«
strapaesano
»
(
vedi
«
Il
Foglio
»
del
31
luglio
)
e
sbeffeggia
i
poveretti
come
me
che
vanno
a
cercare
(
ma
nel
mio
caso
a
rifiutare
)
le
soluzioni
«
in
Australia
o
in
Israele
»
.
A
me
,
confesso
,
gli
strapaesani
fanno
paura
.
Se
Hitler
o
Mussolini
fossero
mai
stati
in
America
,
forse
si
sarebbero
fermati
.
Tornando
a
Manzella
,
non
so
se
gli
spot
statunitensi
lui
li
conosca
e
veda
.
Mi
sembra
di
no
.
Perché
se
li
vedesse
scoprirebbe
qual
è
la
china
dello
spot
politico
affidato
alla
«
fantasia
rivelatrice
»
dei
maghi
della
pubblicità
.
È
la
china
dello
spot
personale
,
puramente
negativo
ed
essenzialmente
diffamatorio
.
Un
candidato
attacca
l
'
altro
dicendo
che
ha
cornificato
la
moglie
,
che
discrimina
contro
gli
omosessuali
(
o
viceversa
)
e
che
in
gioventù
ha
sniffato
cocaina
.
A
Manzella
andrebbe
bene
così
?
Oppure
ritiene
anche
lui
che
questo
tipo
di
«
spottismo
»
non
è
solo
diverso
dalla
propaganda
politica
,
ma
che
ne
costituisce
una
degenerazione
inaccettabile
?
Il
punto
che
sfugge
in
questo
dibattito
è
che
finora
i
nostri
spot
sono
stati
decorosi
,
e
che
sono
stati
decorosi
perché
disciplinati
dalla
legge
del
1993
che
vietava
,
nei
trenta
giorni
prima
delle
elezioni
,
il
ricorso
a
messaggi
emotivi
e
spettacolari
e
consentiva
soltanto
l
'
esposizione
dei
programmi
politici
.
Ma
se
l
'
attacco
al
disegno
di
legge
del
governo
andrà
a
travolgere
,
come
Manzella
e
altri
fanno
temere
,
quei
limiti
,
allora
è
pressoché
sicuro
che
i
mercanti
della
pubblicità
di
casa
nostra
arriveranno
lestamente
agli
spot
negativi
tipo
Usa
.
Perché
nessuno
nega
che
lo
spot
negativo
sia
lo
spot
più
efficace
.
Il
punto
resta
se
vogliamo
ridurre
la
politica
a
un
bombardamento
di
escrementi
.
StampaPeriodica ,
Milano
.
La
mattina
successiva
al
grande
corteo
studentesco
-
popolare
che
ha
fatto
sfilare
cinquantamila
persone
per
il
centro
di
Milano
protestando
contro
la
repressione
,
ho
incontrato
lo
stato
maggiore
del
movimento
studentesco
,
Mario
Capanna
,
Luca
Cafiero
e
una
decina
d
'
altri
che
,
con
compiti
di
varia
natura
accuratamente
ripartiti
,
hanno
organizzato
e
diretto
la
manifestazione
del
31
gennaio
.
S
'
erano
riuniti
a
colazione
in
un
'
osteria
fuori
città
,
lungo
il
Naviglio
pavese
,
circondata
da
una
campagna
nebbiosa
solcata
da
canali
e
da
lunghi
filari
di
pioppi
Quando
sono
arrivato
all
'
osteria
dell
'
appuntamento
stavano
già
mangiando
mentre
uno
di
loro
leggeva
ad
alta
voce
l
'
articolo
domenicale
del
"
Corriere
della
Sera
"
.
«
Tocca
ai
partiti
democratici
»
,
leggeva
il
giovane
senza
mascherare
il
proprio
disaccordo
«
scongiurare
prima
che
sia
troppo
tardi
la
frattura
del
paese
su
un
tema
pretestuoso
e
inesistente
come
la
repressione
.
Esso
rischia
di
favorire
la
collusione
tra
anarchismo
filomaoista
e
forze
del
movimento
operaio
organizzato
,
proprio
la
collusione
che
occorre
a
tutti
i
costi
impedire
»
.
E
tutti
gli
altri
,
tra
un
boccone
e
l
'
altro
,
commentavano
con
ironiche
espressioni
di
dissenso
.
Avevano
ancora
davanti
agli
occhi
quell
'
immenso
corteo
di
tre
chilometri
della
sera
prima
,
con
la
testa
già
in
piazza
del
Duomo
e
la
coda
ancora
davanti
all
'
università
,
un
fiume
disciplinato
ma
imponente
e
rabbioso
,
gremito
di
striscioni
e
bandiere
rosse
,
formato
da
studenti
,
da
militanti
comunisti
e
socialisti
,
da
operai
e
da
solidi
borghesi
col
cappotto
buono
e
il
conto
in
banca
ma
con
la
memoria
ancora
fresca
-
nonostante
i
molti
anni
trascorsi
-
della
loro
resistenza
sulle
colline
dell
'
oltrepò
o
in
val
d
'
Ossola
.
Perciò
ridevano
allegri
,
Capanna
,
Cafiero
,
Toscano
e
gli
altri
loro
giovani
compagni
.
perché
erano
sicuri
che
quella
collusione
era
già
avvenuta
e
sarebbe
durata
e
,
se
non
avessero
,
commesso
errori
,
si
sarebbe
trasformala
in
una
solida
alleanza
politica
,
dalla
quale
finalmente
,
con
pazienza
e
fatica
e
tempo
ma
con
certezza
,
sarebbe
nata
la
rivoluzione
.
Questi
erano
i
loro
discorsi
di
allegri
ragazzi
affamati
e
finalmente
rilassati
dopo
tante
ore
di
tensione
quando
,
sedutomi
con
loro
,
dissi
:
«
Dovreste
fare
un
monumento
al
questore
per
le
botte
che
v
'
ha
fatto
dare
,
il
21
gennaio
e
le
settimane
precedenti
.
Senza
quelle
botte
e
senza
i
fascisti
radunati
a
Milano
,
ieri
sera
non
avreste
avuto
intorno
cinquantamila
persone
»
.
Allora
ridiventarono
seri
e
gravi
,
così
come
li
avevo
visti
il
giorno
prisma
nelle
ore
di
preparazione
del
corteo
e
poi
in
strada
in
mezzo
ai
loro
compagni
e
poi
ancora
,
sciolte
le
file
,
nell
'
aula
magna
della
statale
tra
migliaia
di
studenti
a
fare
il
bilancio
politico
di
quanto
era
accaduto
.
Seri
e
gravi
perché
sapevano
che
la
parte
più
difficile
del
lavoro
che
volevano
fare
cominciava
proprio
in
quel
momento
.
Prima
era
stata
fantasia
e
rabbia
,
allegria
e
socialismo
,
spavalderia
e
pensiero
di
Mito
;
ma
ora
,
acquisito
il
primo
grosso
successo
,
subentrava
la
politica
,
i
problemi
della
definizione
ideologica
,
la
necessità
e
la
scelta
delle
alleanze
.
Che
cosa
era
veramente
accaduto
il
giorno
prima
?
Una
festa
di
popolo
,
coane
avevo
sentito
dire
ad
un
pittore
che
marciava
accanto
a
me
entusiasta
e
felice
?
I
lna
"
kermesse
"
democratica
?
Un
soprassalto
antifascista
?
O
un
fatto
politico
?
E
quale
?
«
Noi
abbiano
)
un
grande
vantaggio
sui
compagni
delle
altre
università
.
,
dice
Mario
Capanna
perché
operiamo
a
Milano
.
Milano
è
oggi
la
capitale
dell
'
Italia
moderna
,
è
una
città
composita
,
un
calderone
dove
c
'
è
tutto
e
tutto
bolle
ad
alta
temperatura
.
C
'
è
il
capitalismo
nelle
sue
espressioni
più
avanzate
e
c
'
è
la
classe
operaia
con
le
stie
istituzioni
più
organizzate
,
c
'
è
la
borghesia
reazionaria
e
quella
progressista
,
la
programmazione
dei
tecnocrati
e
il
tumulto
degli
immigrati
meridionali
.
In
pochi
chilometri
quadrati
sono
raccolte
tutte
le
tensioni
e
i
conflitti
del
paese
.
Queste
tensioni
non
sono
più
contenibili
nel
quadro
del
sistema
.
Ciò
che
è
accaduto
ieri
sera
è
questo
:
tutte
le
tensioni
e
i
conflitti
si
sono
incontrati
e
catalizzati
in
un
'
azione
di
massa
.
Di
qui
bisogna
cominciare
per
capire
quanto
è
accaduto
e
quanto
bisogna
fare
d
'
ora
in
poi
»
.
Di
qui
dunque
bisogna
cominciar
.
Ma
e
dopo
?
Il
marxismo
-
leninismo
degli
studenti
della
statale
può
fornire
la
piattaforma
di
sintesi
per
le
tensioni
che
,
per
dirla
come
lui
,
non
sono
più
componibili
dentro
il
quadro
del
"
sistema
"
?
C
'
è
un
episodio
che
vale
la
pena
di
raccontare
perché
serve
,
almeno
in
parte
,
a
rispondere
a
queste
domande
.
La
sera
del
il
gennaio
,
quando
il
corteo
si
mise
in
moto
da
piazza
Santo
Stefano
,
il
primo
grande
striscione
rosso
che
apriva
la
sfilata
diceva
:
"
Viva
il
marxismo
-
leninismo
viva
il
pensiero
di
Mao
Tse
-
tung
"
.
All
'
altezza
di
piazza
del
Duomo
però
lo
striscione
di
testa
era
cambiato
;
diceva
:
"
II
movimento
studentesco
contro
la
repressione
per
l
'
unità
e
per
il
socialismo
"
.
Uno
slogan
che
unisce
Gli
organizzatori
s
'
erano
resi
conto
che
il
secondo
slogan
unificava
i
cinquanta
mila
dimostranti
,
consentiva
di
coinvolgere
anche
i
nuovi
,
ed
insoliti
,
compagni
di
strada
,
anzi
di
piazza
,
tutti
d
'
estrazione
professional
-
impiegatizia
,
mentre
il
primo
li
avrebbe
divisi
.
E
avevano
rinunciato
ari
rama
caratterizzazione
ideologica
che
pure
gli
stava
molto
a
cuore
(
come
spiegarono
poi
nel
corso
dell
'
assemblea
conclusiva
all
'
università
)
per
render
possibile
una
manifestazione
di
massa
che
aveva
predominanti
caratteristiche
democratiche
.
«
Va
bene
»
,
dice
Cafiero
,
«
è
giusto
,
un
movimento
di
massa
non
può
identificarsi
con
una
soltanto
delle
sue
componenti
.
Rimane
però
il
fatto
che
l
'
iniziativa
politica
,
la
guida
e
il
punto
di
raccolta
è
stata
fornita
dal
movimento
studentesco
e
che
intorno
ad
esso
s
'
è
riunita
la
coscienza
democratica
della
città
.
I
militanti
comunisti
erano
molti
,
probabilmente
diecimila
.
S
'
erano
schierati
a
metà
corteo
i
ne
costituivano
una
buona
parte
.
Ma
non
è
stato
il
partito
comunista
a
prendere
l
'
iniziativa
e
se
l
'
avesse
fatto
dubito
che
avrebbe
raccolto
una
massa
così
grande
di
persone
.
Di
operai
ce
n
'
erano
moltissimi
,
quasi
la
pietà
dei
dimostranti
erano
operai
.
anche
se
non
erano
stati
chiamati
a
raccolta
dai
sindacati
.
I
socialisti
c
'
erano
,
ma
non
per
una
chiamata
del
loro
partito
.
Come
si
spiega
tutto
questo
?
Eppure
il
movimento
studentesco
a
Milano
non
è
un
generico
punto
di
raccolta
,
si
sa
bene
a
quale
ideologia
s
'
ispira
,
quali
obiettivi
politici
indica
.
È
un
movimento
rivoluzionario
.
Dunque
il
fatto
politico
è
che
attorno
ad
un
movimento
rivoluzionario
hanno
fatto
massa
forze
organizzate
o
semplici
,
cittadini
che
rivoluzionari
non
sono
o
che
avevano
cessato
di
esserlo
»
.
«
Forse
stanno
scoprendo
di
esserlo
ancora
o
di
esserlo
di
nuovo
»
dice
Capanna
.
Difficile
stabilirlo
.
Bisogna
riflettere
,
capire
,
domandarsi
.
E
non
perché
,
un
corteo
contro
la
repressione
sia
riuscito
bene
,
ma
perché
numerosi
segni
avvertono
che
da
molti
mesi
ormai
l
'
atmosfera
,
a
sinistra
sta
cambiando
,
i
sindacati
Io
hanno
capito
e
sono
stati
i
primi
a
rinnovarsi
.
I
partiti
l
'
hanno
capito
stolto
meno
e
la
loro
presa
e
infatti
.
in
netto
declino
.
Non
ce
n
'
e
alcuno
tra
di
essi
che
riuscirebbe
oggi
a
portare
in
piazza
cinquantamila
persone
e
farle
marciare
per
due
ore
,
in
pacifico
corteo
.
E
soprattutto
:
non
ce
n
'
è
alcuno
che
susciti
entusiasmi
,
antichi
ricordi
e
fresche
speranze
.
Che
stiamo
al
governo
o
che
stiano
all
'
opposizione
,
danno
la
sensazione
di
amministrare
il
potere
non
per
conto
del
paese
ma
per
conto
delle
loro
burocrazie
.
Forse
sarà
un
giudizio
ingeneroso
,
ma
questo
pensa
la
gente
,
a
sinistra
soprattutto
.
E
cerca
altri
strumenti
per
far
politica
.
altri
punti
di
raccolta
,
un
modo
nuovo
per
partecipare
e
pesare
sulla
vita
collettiva
.
Questa
e
già
,
sia
pure
assai
confusamente
,
una
prima
maniera
di
scoprirsi
rivoluzionari
.
È
indubbio
che
l
'
insofferenza
per
le
burocrazie
,
per
la
vita
sociale
intesa
cono
un
soffocante
e
paralizzante
dominio
delle
burocrazie
,
siano
stati
gli
elementi
essenziali
che
hanno
mobilitato
in
questi
mesi
le
masse
degli
operai
,
degli
studenti
c
della
borghesia
progressista
.
La
protesta
contro
la
repressione
è
un
aspetto
di
questo
sentimento
generale
.
Non
si
possono
denunciare
,
migliaia
di
operati
per
violazione
di
domicilio
sol
perché
hanno
tenuto
la
loro
assemblea
in
fabbrica
,
senza
che
il
sentimento
generale
non
si
ribelli
.
C
'
erano
parecchie
migliaia
di
professionisti
,
d
'
impiegati
,
di
dirigenti
d
'
azienda
la
sera
del
il
gennaio
,
li
si
distingueva
a
primo
colpo
,
niente
barbe
colletto
e
cravatta
,
tutt
'
al
più
un
cappotto
sportivo
per
non
stonare
troppo
col
loro
paletot
di
cammello
in
mezzo
a
un
fiume
di
giubbotti
e
di
maglioni
.
E
faceva
una
certa
impressione
vederli
anche
loro
scandire
slogan
dissacranti
,
come
"
Giudici
,
questori
,
servi
dei
padroni
"
oppure
"
Lo
stato
borghese
si
abbatte
non
si
cambia
"
.
Erano
lì
perché
improvvisamente
folgorati
dal
pensiero
di
Mao
?
Non
credo
.
Erano
lì
perché
stavano
scoprendo
che
anche
la
loro
vita
,
quella
,
professionale
e
quella
privata
e
dominata
e
soffocata
dalla
"
cosa
"
,
come
l
'
ha
chiamata
Sartre
,
cioè
dalla
burocrazia
quella
dello
stato
,
quella
del
partito
,
quella
dell
'
associazione
professionale
,
quella
dell
'
azienda
.
Si
ribellano
contro
la
"
cosa
"
;
la
"
cosa
"
creata
e
mantenuta
dal
sistema
capitalista
come
farebbero
,
se
vivessero
altrove
,
contro
la
"
cosa
"
creata
e
mantenuta
dal
regime
comunista
.
Nel
linguaggio
tecnico
degli
iniziati
questo
atteggiamento
si
chiara
"
spontaneismo
"
e
i
miei
giovani
interlocutori
dell
'
osteria
del
Naviglio
ne
diffidano
.
Perché
con
lo
spontaneismo
non
si
va
molto
avanti
,
ci
vuole
un
approfondimento
ideologico
,
un
lavoro
organizzativo
,
uno
sbocco
politico
.
Ed
è
quanto
essi
si
propongono
infatti
di
fare
,
anzi
che
hanno
gin
cominciato
a
fare
.
«
Col
marxismo
-
leninismo
?
»
.
«
Sì
,
col
marxismo
-
leninismo
,
ma
applicato
alle
condizioni
italiane
,
cioè
di
un
paese
di
capitalismo
maturo
»
.
Chi
sono
i
suoi
alleati
«
Non
s
'
è
mai
visto
»
,
dico
,
«
il
marxismo
-
leninismo
applicato
ad
un
paese
di
capitalismo
maturo
.
Che
vuol
dire
?
Basta
quell
'
aggiunta
per
cambiare
l
'
intera
prospettiva
.
Non
vi
viene
in
mente
che
,
in
un
paese
di
capitalismo
maturo
,
il
marxismo
-
leninismo
potrebbe
significare
revisionismo
e
riformismo
,
cioè
tutte
quelle
linee
politiche
che
voi
detestate
e
condannate
?
»
»
.
No
,
non
gli
viene
in
mente
.
Sono
sempre
più
convinti
che
lo
stato
borghese
si
abbatte
ma
non
si
cambia
.
«
Chi
lo
abbatterà
?
»
.
«
La
classe
operaia
»
.
«
Da
sola
?
In
un
paese
di
"
capitalismo
avanzato
"
la
classe
operaia
è
minoranza
,
il
sistema
provvede
a
disarticolarla
ogni
giorno
,
la
diversifica
in
interessi
contrastanti
,
la
specializza
con
mestieri
»
.
«
Non
da
sola
.
Coi
suoi
alleati
»
.
«
Chi
sono
i
suoi
alleati
?
»
.
«
I
ceti
medi
proletarizzati
»
.
Cioè
,
loro
stessi
,
perché
questa
è
la
loro
condizione
sociale
.
Così
almeno
essi
la
sentono
e
l
'
hanno
anche
scritto
in
un
libretto
rosso
che
tipograficamente
ricorda
le
massime
di
Mao
e
che
è
già
stato
venduto
a
decine
di
migliaia
di
copie
.
È
intitolato
:
"
La
situazione
attuale
e
i
compiti
politici
del
movimento
studentesco
"
.
Ad
un
certo
punto
c
'
è
scritto
:
«
L
'
aspetto
principale
delle
attuali
contraddizioni
sociali
è
costituito
dalla
richiesta
-
sempre
più
di
massa
-
di
istruzione
,
di
qualificazione
e
,
conseguentemente
di
impiego
e
dall
'
impossibilità
di
ottenerli
.
Il
movimento
studentesco
non
è
il
movimento
operaio
;
esso
è
l
'
espressione
di
massa
della
presa
di
coscienza
politica
rivoluzionaria
dei
ceti
medi
»
.
In
realtà
,
forse
senza
rendersene
conto
,
questi
neorivoluzionari
fanno
appello
alla
borghesia
per
abbattere
lo
stato
borghese
.
Sembra
un
paradosso
,
ma
finisce
di
esserlo
se
lo
stato
borghese
,
diventa
soltanto
uno
stato
burocratico
.
In
fondo
borghesia
e
classe
operaia
,
tutte
le
volte
che
si
sono
trovate
di
fronte
la
"
cosa
"
,
hanno
sempre
marciato
insieme
.
StampaPeriodica ,
Vorrei
occuparmi
questa
settimana
del
ruolo
avuto
dall
'
onorevole
Emilio
Colombo
nella
storia
della
finanza
italiana
.
Credo
sia
giusto
parlare
già
di
storia
e
non
di
semplice
cronaca
a
proposito
dell
'
onorevole
Colombo
:
un
personaggio
che
emana
autorevolezza
ad
ogni
movimento
che
fa
e
ad
ogni
pensiero
che
esprime
.
Colombo
è
oggi
più
che
mai
d
'
attualità
.
Infatti
le
finanze
italiane
stanno
inesorabilmente
affondando
;
a
causa
di
molti
errori
e
di
vere
c
proprie
colpe
commesse
dai
governi
e
dai
partiti
che
si
sono
susseguiti
per
anni
ed
anni
alla
direzione
della
cosa
pubblica
.
Tra
le
varie
e
molteplici
responsabilità
sarebbe
ingiusto
addossare
a
lui
un
peso
esclusivo
,
ma
sarebbe
altrettanto
ingiusto
dar
credito
al
cliché
del
ministro
del
Tesoro
lungoveggente
,
solo
consapevole
del
pericolo
e
solo
pronto
ad
opporvisi
.
Ahimè
,
le
cose
non
stanno
così
.
Forse
Colombo
non
merita
il
titolo
di
"
affondatore
"
che
si
sarebbe
tentati
di
attribuirgli
;
ma
certo
la
sua
gestione
finanziaria
non
si
può
definir
brillante
.
L
'
onorevolc
Emilio
Colombo
appare
molto
per
tempo
all
'
orizzonte
politico
italiano
,
debutta
giovanissimo
come
sottosegretario
all
'
Agricoltura
,
si
fa
luce
quale
diletto
allievo
di
Antonio
Segni
e
,
dopo
il
piccolo
"
golpe
"
della
Donius
Mariae
che
detronizza
Fanfani
nel
1959
,
fa
già
parte
dei
cinque
o
sei
cavalli
di
razza
del
gruppo
doroteo
.
Da
allora
inizia
un
'
ascesa
ininterrotta
nell
'
olimpo
ministeriale
che
lo
porterà
anche
,
tra
il
'70
e
il
'72
,
alla
presidenza
del
Consiglio
.
In
quest
'
ultima
carica
(
a
detta
di
lutti
ed
anche
mia
che
allora
ero
deputato
)
fece
malissimo
.
Ma
in
queste
valutazioni
non
voglio
entrare
.
Qui
interessa
discutere
il
suo
ruolo
principale
,
quello
cioè
di
ministro
del
Tesoro
del
centro
-
sinistra
,
carica
che
con
brevi
intervalli
ha
ricoperto
dal
giugno
1963
ad
oggi
.
Il
suo
arrivo
al
Tesoro
coincise
con
l
'
inizio
d
'
una
grave
crisi
inflazionistica
che
fu
poi
domata
dalla
brusca
frenata
monetaria
della
Banca
d
'
Italia
tra
l
'
ottobre
del
'63
e
il
marzo
del
'64
.
Colombo
(
va
detto
)
non
aveva
alcuna
colpa
di
quella
crisi
.
Va
egualmente
detto
che
ebbe
poco
merito
per
quanto
accadde
dopo
:
se
merito
ci
fu
(
e
ancora
se
ne
discute
tra
gli
economisti
)
esso
spetta
interamente
a
Carli
e
a
Baffi
che
idearono
e
attuarono
la
strategia
di
risanamento
della
bilancia
dei
pagamenti
.
Di
Colombo
in
quell
'
occasione
va
semmai
ricordata
una
grave
scorrettezza
politica
nei
confronti
del
suo
collega
al
Bilancio
e
dei
socialisti
,
quando
,
auspice
l
'
allora
suo
capo
di
gabinetto
Ferdinando
Ventriglia
,
fu
resa
nota
ai
giornali
una
sua
lettera
riservata
che
strumentalizzava
alcuni
pareri
della
commissione
economica
di
Bruxelles
nei
quadro
d
'
una
strategia
di
terrorismo
economico
che
ben
si
adattava
all
'
atmosfera
pesante
di
quella
losca
primavera
.
Lasciamo
andare
,
acqua
passata
.
Dominata
alla
bell
'
e
meglio
la
febbre
del
'63
con
la
gelata
del
'64
,
si
apre
per
l
'
economia
italiana
una
lunga
fase
di
stasi
e
di
declino
.
Con
limitate
oscillazioni
,
quella
fase
è
durata
fino
al
1972
e
Colombo
l
'
ha
gestita
.
Otto
anni
,
sei
dei
quali
passati
al
Tesoro
e
uno
e
mezzo
alla
presidenza
del
Consiglio
.
Quando
arrivò
alla
Tesoreria
trovò
una
spesa
complessiva
di
6
mila
miliardi
e
un
disavanzo
globale
nel
bilancio
di
competenza
di
circa
700
miliardi
;
dieci
anni
dopo
(
sempre
lui
ministro
del
Tesoro
)
la
spesa
era
salita
a
quasi
24
mila
miliardi
(
quadruplicata
)
e
il
disavanzo
di
competenza
a
5300
(
otto
volte
in
più
)
.
I
dati
del
bilancio
di
cassa
sono
anche
peggiori
:
nel
'63
il
ministro
del
Tesoro
trovò
un
disavanzo
di
375
miliardi
;
dieci
anni
dopo
il
disavanzo
era
salito
a
7.400
miliardi
,
con
un
coefficiente
di
moltiplicazione
di
venti
volte
.
S
'
e
poi
venuto
a
sapere
che
la
cifra
esatta
non
è
7.400
ma
9.200
o
giù
di
lì
.
Il
coefficiente
di
moltiplicazione
sale
dunque
a
poco
meno
che
trenta
volte
.
Le
cifre
del
bilancio
statale
,
naturalmente
,
non
rappresentano
la
verità
tutta
intera
,
nel
senso
che
essa
è
ben
peggiore
se
si
prendono
in
considerazione
i
disavanzi
degli
enti
locali
,
quelli
degli
enti
di
previdenza
,
le
operazioni
di
debito
della
Cassa
Depositi
e
Prestiti
e
quant
'
altro
afferisce
all
'
attività
della
pubblica
amministrazione
.
Anche
facendo
il
dovuto
posto
alla
svalutazione
della
moneta
e
rettificando
le
cifre
in
unita
di
misura
costanti
,
s
'
arriva
sempre
a
coefficienti
d
'
aumento
da
capogiro
.
E
poiché
nel
Frattempo
le
Ferrovie
,
le
Poste
,
gli
ospedali
,
l
'
assistenza
delle
mutue
,
l
'
industrializzazione
del
Mezzogiorno
,
l
'
amministrazione
della
giustizia
,
l
'
insegnamento
nelle
scuole
hanno
continuato
a
peggiorare
in
quantità
e
qualità
,
ci
si
domanda
dove
siano
finite
quelle
migliaia
e
migliaia
di
miliardi
che
il
ministro
del
Tesoro
ha
consentito
fossero
spesi
.
La
domanda
è
pertinente
e
la
risposta
è
questa
:
quelle
somme
immense
sono
servite
a
mettere
in
piedi
la
più
gigantesca
struttura
clientelare
che
la
storia
europea
abbia
mai
registrato
dalla
rivoluzione
dell'89
in
poi
.
Le
cifre
della
spesa
corrente
e
del
disavanzo
di
gestione
dello
Stato
hanno
scandito
per
dieci
anni
l
'
avanzata
d
'
una
borghesia
di
Stato
famelica
e
corrotta
,
il
dissanguamento
dell
'
area
economicamente
sana
del
paese
.
il
declino
degli
investimenti
produttivi
.
II
Tesoro
si
sostiene
ormai
soltanto
perché
obbliga
le
banche
a
sottoscrivere
i
suoi
titoli
che
i
privati
non
accettano
più
.
E
su
questa
montagna
di
debiti
prospera
un
'
immensa
camorra
nazionale
annidata
negli
enti
,
nelle
mutue
,
nei
Comuni
,
negli
ospedali
,
nelle
opere
pie
,
nelle
industrie
decotte
,
nel
parastato
.
Di
quell
'
esercito
mantenuto
dall
'
Italia
che
lavora
e
produce
,
il
ministro
del
Tesoro
a
vita
Emilio
Colombo
è
stato
l
'
intendente
.
Della
finanza
italiana
,
spiace
doverlo
dire
,
è
stato
il
becchino
.
StampaPeriodica ,
Il
14
agosto
,
concluso
il
dibattito
parlamentare
che
ha
ridotto
i
provvedimenti
fiscali
del
governo
ad
un
mantello
d
'
Arlecchino
,
il
ministro
del
Tesoro
si
è
incontrato
col
governatore
della
Banca
d
'
Italia
ed
ha
rilasciato
un
'
intervista
al
"
Corriere
della
Sera
"
.
Compiuti
questi
due
atti
rilevanti
è
partito
,
a
quanto
ci
ha
informati
lo
stesso
"
Corriere
"
per
Madonna
di
Campiglio
per
un
breve
periodo
di
riposo
del
quale
(
ne
siamo
tutti
convinti
)
ha
urgente
bisogno
.
Auguri
.
A
settembre
verrà
il
peggio
,
su
questo
punto
sono
tutti
concordi
:
lo
dice
Carli
in
un
'
intervista
a
"
Panorama
"
nella
quale
lamenta
che
il
Tesoro
continui
a
inondare
l
'
economia
con
un
fiume
di
spese
obbligando
la
Banca
d
'
Italia
"
ad
una
rincorsa
affannosa
"
per
distruggere
almeno
una
parte
della
liquidità
così
allegramente
e
inutilmente
creata
;
lo
dice
il
ministro
del
Bilancio
Giolitti
che
prevede
mesi
terribili
;
e
lo
dice
anche
Colombo
,
sia
pure
con
quel
linguaggio
,
ch
'
è
proprio
dell
'
uomo
autorevole
,
fatto
d
'
incisi
dentro
agli
incisi
,
di
doppie
virgole
a
incastro
e
di
parole
difficili
che
finiscono
invariabilmente
in
"
one
"
e
in
"
ento
"
.
Ad
un
certo
punto
dell
'
intervista
il
giornalista
del
"
Corriere
"
chiede
al
ministro
del
Tesoro
,
alludendo
all
'
articolo
da
me
pubblicato
sull
'
"
Espresso
"
della
settimana
scorsa
:
«
Un
settimanale
le
ha
mosso
l
'
accusa
di
non
essersi
mai
opposto
con
sufficiente
fermezza
alle
richieste
della
struttura
clientelare
dello
Stato
e
d
'
essere
stato
il
becchino
della
finanza
italiana
.
Lei
ritiene
d
'
essere
l
'
uomo
giusto
al
posto
giusto
?
»
.
E
Colombo
con
bella
sicurezza
:
«
«
A
me
tocca
il
dovere
di
dire
se
sono
convinto
d
'
aver
svolto
le
pubbliche
funzioni
che
mi
sono
state
affidate
in
buona
fede
,
onestamente
e
con
il
massimo
impegno
.
La
mia
risposta
e
da
questo
punto
di
vista
fermamente
positiva
.
Altro
discorso
è
quello
delle
condizioni
in
cui
si
svolge
oggi
nel
nostro
paese
l
'
attività
del
ministro
del
Tesoro
.
In
proposito
mi
sentirei
di
aggiungere
ben
poco
al
giudizio
dell
'
onorevole
La
Malfa
.
Quanto
ai
giudizi
storici
che
l
'
autore
dell
'
articolo
sul
settimanale
cui
lei
fa
riferimento
pretende
di
formulare
,
lascerei
stare
.
Se
mai
un
giorno
la
storia
della
finanza
italiana
dovesse
occuparsi
della
mia
attività
in
questi
anni
,
credo
che
mi
toccherebbero
meno
righe
,
ma
più
serie
»
.
Perché
,
onorevole
Colombo
,
lascerebbe
stare
?
Lei
dirige
la
finanza
di
questo
paese
da
undici
anni
.
La
prese
che
era
non
dirò
florida
ma
passabile
.
Ce
la
restituisce
oggi
(
anzi
non
ce
la
restituisce
affatto
perché
continua
a
tenersela
)
ridotta
un
colabrodo
.
E
come
tutta
giustificazione
ci
viene
a
raccontare
che
lei
ha
lavorato
onestamente
e
col
massimo
impegno
.
Vuole
un
certificato
di
buona
condotta
?
E
chi
glielo
negherà
?
Ma
basta
un
certificato
di
buona
condotta
per
fare
d
'
un
deputato
di
Matera
un
ministro
del
Tesoro
?
Via
,
onorevole
Colombo
,
siamo
seri
:
si
sta
discutendo
nientemeno
che
della
bancarotta
finanziaria
dello
Stato
italiano
.
«
Lo
Stato
»
,
ha
detto
Carli
nell
'
intervista
a
"
Panorama
"
,
«
non
riesce
più
a
collocare
i
suoi
titoli
tra
il
pubblico
»
.
E
insiste
:
«
È
necessario
che
il
Tesoro
metta
ordine
nei
suoi
conti
di
cassa
.
Se
ciò
non
avverrà
è
molto
difficile
che
la
politica
monetaria
possa
orientarsi
in
una
direzione
favorevole
allo
sviluppo
»
.
Chi
fa
queste
critiche
non
è
il
collaboratore
d
'
un
settimanale
ma
il
governatore
dell
'
Istituto
d
'
emissione
.
Gli
risponderemo
dicendogli
che
il
ministro
del
Tesoro
a
vita
della
Repubblica
italiana
ha
lavorato
col
massimo
impegno
?
Che
non
poteva
fare
di
più
?
Che
«
le
condizioni
nelle
quali
ha
dovuto
operare
sono
difficili
,
anzi
impossibili
»
,
come
ha
scritto
sull
'
"
Espresso
"
l
'
onorevole
La
Malfa
?
Vede
,
onorevole
Colombo
,
La
Malfa
ha
perfettamente
ragione
;
lei
no
.
La
Malfa
appartiene
ad
un
partito
che
conta
10
deputati
su
630;
lei
è
uno
dei
leaders
storici
d
'
un
partito
di
280
deputati
,
che
da
ventisette
anni
detiene
ininterrottamente
la
presidenza
del
Consiglio
,
tutti
i
ministeri
-
chiave
,
tutti
i
grandi
enti
economici
,
le
Partecipazioni
Statali
,
l
'
intero
sistema
delle
casse
di
risparmio
,
i
grandi
Comuni
che
affondano
in
una
montagna
di
debiti
,
quasi
tutti
i
grandi
enti
mutualistici
e
,
naturalmente
,
il
Tesoro
.
Tra
la
posizione
di
La
Malfa
e
la
sua
corre
dunque
un
abisso
.
La
verità
è
che
le
impossibili
condizioni
nelle
quali
il
ministro
del
Tesoro
La
Malfa
ha
dovuto
operare
per
otto
mesi
lei
ha
contribuito
a
crearle
in
undici
anni
.
Per
chi
non
le
ricordasse
,
faccio
l
'
elenco
di
quelle
condizioni
traendolo
appunto
dalla
lettera
indirizzataci
da
La
Malfa
la
settimana
scorsa
:
1
.
Il
ministro
del
Tesoro
è
continuamente
alle
prese
con
la
schiera
famelica
di
tutti
gli
altri
ministri
che
sollecitano
spese
sempre
maggiori
.
2
.
È
alle
prese
con
22
commissioni
parlamentari
che
votano
leggi
e
leggine
di
spesa
a
getto
continuo
.
3
.
È
alle
prese
coi
disavanzi
incontrollabili
dei
Comuni
e
delle
Province
.
È
alle
prese
coi
disavanzi
delle
aziende
autonome
e
degli
enti
a
partecipazione
statale
.
5
.
Infine
è
alle
prese
con
le
consorterie
clientelari
del
pubblico
impiego
.
«
Se
il
ministro
ha
coscienza
delle
proprie
responsabilità
»
,
concludeva
La
Malfa
,
«
resisterà
una
settimana
,
un
mese
,
due
mesi
,
alcuni
mesi
,
ma
poi
o
si
abbandonerà
al
fatale
corso
delle
cose
o
si
dimetterà
»
.
Ebbene
:
lei
onorevole
Colombo
non
si
è
mai
dimesso
,
ché
anzi
sta
lì
da
undici
anni
.
Ma
a
differenza
di
altri
,
lei
aveva
il
potere
politico
per
rimuovere
quelle
condizioni
,
che
sono
nate
e
si
sono
consolidate
anche
,
se
non
soprattutto
,
a
causa
della
sua
inspiegabile
passività
e
dell
'
attivismo
famelico
del
suo
partito
.
Ha
preferito
abbandonarsi
"
al
fatale
corso
delle
cose
"
e
tutto
sommato
ci
si
deve
trovare
abbastanza
bene
visto
che
non
se
ne
tirerebbe
fuori
per
nessuna
ragione
.
Questa
essendo
la
situazione
,
noi
possiamo
anche
darle
il
certificato
chi
buona
condotta
che
lei
richiede
,
ma
riconfermiamo
che
della
finanza
italiana
lei
è
stato
il
becchino
.
Dopo
tutto
,
ci
sono
anche
dei
becchini
che
organizzano
col
massimo
impegno
bellissimi
funerali
.
StampaPeriodica ,
Roma
.
Seicento
secondi
,
tra
le
nove
e
cinque
e
le
nove
e
quindici
di
giovedì
16
marzo
.
E
il
tempo
servito
alle
Brigate
Rosse
per
uccidere
cinque
agenti
di
scorta
,
rapire
il
presidente
della
DC
Aldo
Moro
,
far
perdere
le
proprie
tracce
e
assestare
un
colpo
allo
stomaco
della
fragile
Repubblica
italiana
.
Senza
commettere
un
solo
errore
,
con
una
perfezione
tecnica
che
ha
prodotto
nell
'
opinione
pubblica
un
disorientamento
forse
maggiore
di
quello
causato
dal
sequestro
di
Moro
in
sé
.
L
'
operazione
scatta
poco
prima
dell
'
alba
,
in
via
Brunetti
,
una
piccola
strada
vicino
a
piazza
del
Popolo
.
Qui
un
gruppo
di
«
sconosciuti
»
squarcia
le
quattro
ruote
del
pulmino
appartenente
al
fioraio
Antonio
Spiriticchio
.
Scopo
dell
'
azione
impedire
al
fioraio
di
andare
,
come
ogni
mattina
,
a
vendere
tulipani
e
mimose
all
'
angolo
tra
via
Stresa
e
via
Fani
.
Al
suo
posto
ci
sarà
uno
dei
dodici
brigatisti
(
la
donna
)
,
che
farà
da
palo
ai
rapitori
del
presidente
democristiano
.
Altri
quattro
,
travestiti
da
steward
delle
linee
aeree
,
si
nasconderanno
davanti
al
bar
Olivetti
,
da
mesi
chiuso
perché
fallito
.
Gli
altri
sette
saranno
sulle
cinque
automobili
e
sulla
Honda
che
subito
dopo
il
fulmineo
attacco
porteranno
i
terroristi
lontano
dal
luogo
del
rapimento
.
Alle
nove
e
quattro
compare
in
cima
a
via
Fani
l
'
automobile
su
cui
viaggia
Moro
,
seguita
a
pochi
metri
dalla
vettura
di
scorta
.
Il
leader
democristiano
,
diretto
alla
breve
messa
mattutina
cui
assiste
ogni
giorno
,
sta
sfogliando
i
giornali
seduto
sul
sedile
posteriore
.
Il
suo
taccuino
prevede
una
giornata
molto
importante
:
alla
Camera
si
discute
il
varo
del
governo
nato
dal
suo
lento
lavorio
durato
cinquantaquattro
giorni
.
Moro
continua
a
leggere
i
giornali
.
La
scorta
è
tranquilla
in
entrambe
le
vetture
.
Dopo
qualche
attimo
le
due
vetture
sono
superate
dall
'
automobile
dei
brigatisti
,
targata
corpo
diplomatico
;
questa
,
appena
giunta
davanti
al
bar
chiuso
frena
bruscamente
provocando
un
tamponamento
tra
la
macchina
di
Moro
e
quella
della
scorta
.
Quel
che
accade
nelle
frazioni
di
secondo
successive
non
è
ancora
stato
ricostruito
con
precisione
;
di
certo
si
sa
solo
che
i
brigatisti
hanno
colpito
uno
ad
uno
gli
uomini
della
scorta
(
solo
un
agente
è
riuscito
ad
uscire
dalla
macchina
e
a
sparare
tre
colpi
di
pistola
prima
di
essere
centrato
da
un
proiettile
in
fronte
)
,
afferrano
Moro
e
si
dileguano
per
via
Stresa
e
via
Trionfale
.
Di
lì
,
almeno
una
parte
di
loro
si
dirige
in
via
Belli
,
una
stradina
privata
per
accedere
alla
quale
è
necessario
tagliare
con
un
tronchese
una
catenella
,
poi
in
via
Massimi
e
infine
in
via
Licinio
Calvo
,
un
'
altra
piccola
strada
destinata
a
passare
alla
storia
come
simbolo
dell
'
inefficienza
della
polizia
italiana
.
Qui
,
infatti
,
alle
nove
e
venticinque
del
16
marzo
i
brigatisti
lasciano
una
sola
macchina
;
qualche
ora
dopo
ne
porteranno
un
'
altra
e
due
giorni
dopo
una
terza
.
Il
tutto
sotto
lo
sguardo
di
polizia
e
autorità
inquirenti
.
Quelle
stesse
autorità
inquirenti
che
intanto
fanno
trasmettere
per
TV
20
foto
di
«
brigatisti
»
la
metà
delle
quali
non
sono
di
brigatisti
,
due
sono
della
stessa
persona
e
altre
due
di
persone
già
in
prigione
da
tempo
.
Ma
queste
non
sono
le
sole
prove
di
inadeguatezza
e
smarrimento
offerte
dagli
inquirenti
in
questa
settimana
.
La
mattina
di
quel
giovedì
di
passione
,
politici
e
sindacalisti
avevano
tenuto
i
nervi
abbastanza
saldi
.
Certo
,
l
'
emozione
aveva
provocato
qualche
sbandamento
:
Carlo
Donat
Cattin
imputava
quant
'
era
accaduto
all
'
accordo
con
i
comunisti
per
dar
vita
al
nuovo
governo
Andreotti
,
Ugo
La
Malfa
chiedeva
l
'
introduzione
della
pena
di
morte
,
il
senatore
Giuseppe
Saragat
suggeriva
di
impiegare
i
paracadutisti
nella
guerra
alle
Brigate
Rosse
,
alcuni
deputati
DC
suggerivano
al
ministro
dell
'
Interno
Francesco
Cossiga
di
dimettersi
,
altri
erano
sopraffatti
da
crisi
di
pianto
.
Ma
nel
complesso
la
reazione
politica
(
scioperi
e
manifestazioni
convocati
a
metà
mattina
,
edizioni
straordinarie
dei
giornali
di
partito
)
era
riuscita
ad
arginare
la
paura
e
gli
isterismi
che
si
manifestavano
qua
e
là
nella
popolazione
(
accaparramento
di
generi
alimentari
e
rintanamento
nelle
case
ne
erano
apparsi
i
segnali
più
vistosi
)
.
La
proclamazione
dello
sciopero
generale
,
ripopolando
le
piazze
,
contribuì
a
sbloccare
queste
psicosi
.
Inizialmente
nel
Partito
comunista
qualcuno
,
come
Giancarlo
Pajetta
,
aveva
giudicato
sbagliata
la
decisione
di
Lama
,
Benvenuto
e
Macario
di
indire
lo
sciopero
.
Ma
doveva
ricredersi
quando
alle
Botteghe
Oscure
cominciarono
ad
arrivare
le
notizie
dalle
fabbriche
:
quasi
dappertutto
gli
operai
,
spesso
prima
ancora
delle
direttive
delle
confederazioni
,
avevano
incrociato
spontaneamente
le
braccia
.
Se
lo
sciopero
non
fosse
stato
indetto
,
si
sarebbe
verificato
un
clamoroso
caso
di
scavalcamento
.
Nel
pomeriggio
però
la
classe
politica
commise
i
primi
errori
:
il
dibattito
parlamentare
per
il
precipitoso
(
anche
se
giustificato
)
varo
del
governo
fu
trasmesso
in
televisione
senza
un
'
adeguata
chiave
di
lettura
,
col
risultato
che
buona
parte
dei
telespettatori
o
si
sentivano
disorientati
,
o
sospettarono
che
si
trattasse
d
'
un
diversivo
dal
vero
,
tragico
problema
del
momento
.
Lo
stesso
presidente
del
Consiglio
Giulio
Andreotti
,
forse
stremato
dalla
tensione
(
fra
l
'
esposizione
del
programma
alla
Camera
e
quella
al
Senato
fu
costretto
a
cambiare
l
'
abito
inzuppato
dal
sudore
e
fu
paralizzato
da
conati
di
vomito
)
,
non
offrì
ai
parlamentari
e
al
pubblico
quel
che
ci
si
attendeva
da
lui
:
un
chiaro
,
esauriente
punto
sulla
situazione
.
Emozione
e
urgenza
erano
comunque
buone
attenuanti
,
in
quei
primi
errori
.
Più
tardi
,
cioè
nei
giorni
immediatamente
successivi
,
non
lo
potevano
più
essere
.
I
giorni
successivi
sono
stati
occupati
da
tutti
i
partiti
in
un
estenuante
susseguirsi
di
vertici
che
portavano
a
risultati
poco
vistosi
.
Fu
senz
'
altro
una
consolazione
veder
seduti
a
uno
stesso
tavolo
Berlinguer
,
Zaccagnini
,
Craxi
,
Biasini
e
Romita
.
Ma
la
cosa
non
produsse
effetti
di
gran
rilievo
.
Lunghe
discussioni
sull
'
eventualità
di
mettere
una
taglia
da
un
miliardo
sui
rapitori
di
Moro
(
si
è
deciso
di
no
)
,
sull
'
opportunità
di
impiegare
l
'
esercito
nella
ricerca
dei
terroristi
(
si
è
deciso
di
sì
,
dopo
due
giorni
)
,
sulla
proclamazione
dello
stato
di
pericolo
pubblico
(
si
è
deciso
di
no
)
,
sull
'
istituzione
di
un
fermo
di
polizia
di
quattro
giorni
(
si
è
deciso
di
no
)
,
sul
potenziamento
delle
tecniche
e
dei
mezzi
(
si
è
rimasti
nel
generico
)
.
E
dopo
questa
sequela
di
esclusioni
e
rinvii
quali
misure
si
sono
adottate
?
Il
governo
ha
riesumato
i
provvedimenti
previsti
dall
'
accordo
del
luglio
scorso
.
Nel
frattempo
la
mobilitazione
popolare
cominciava
a
venir
meno
,
il
transatlantico
di
Montecitorio
iniziava
a
svuotarsi
(
sabato
e
domenica
è
rimasto
come
sempre
deserto
)
e
il
sequestro
di
Moro
stava
diventando
un
affare
di
normale
amministrazione
.
Intanto
cominciavano
a
parlare
gli
«
esegeti
»
.
Qualcuno
(
il
deputato
comunista
Antonello
Trombadori
,
il
democristiano
Andrea
Borruso
,
il
neoministro
del
Lavoro
Vincenzo
Scotti
)
ha
intravisto
in
ciò
che
è
successo
alla
fine
della
scorsa
settimana
quasi
una
prova
generale
in
vista
di
un
colpo
di
Stato
,
nessuno
di
loro
si
è
avventurato
alla
ricerca
di
chi
potrebbe
tentare
oggi
un
golpe
nel
nostro
paese
,
«
ma
bisogna
stare
ugualmente
attenti
perché
quando
lo
straordinario
diventa
ordinario
»
ha
detto
Scotti
parafrasando
un
motto
di
Che
Guevara
,
«
qualcuno
può
tentare
un
colpo
di
Stato
»
.
Quasi
a
suggerire
che
tra
non
molto
tempo
anche
il
rapimento
Moro
potrà
essere
considerato
come
un
fatto
ordinario
,
uno
tra
i
tanti
segnali
della
crisi
endemica
della
società
italiana
.
Se
e
quando
accadrà
,
quello
sarà
il
segno
che
l
'
Italia
è
entrata
in
una
di
quelle
fasi
della
storia
(
come
furono
la
crisi
della
Repubblica
di
Weimar
in
Germania
,
l
'
assassinio
di
Dollfuss
nel
'34
in
Austria
,
l
'
ondata
di
terrorismo
in
Spagna
alla
metà
degli
anni
Trenta
,
per
non
parlare
di
ciò
che
è
accaduto
in
quasi
tutta
l
'
America
latina
tra
gli
anni
Sessanta
e
l
'
inizio
degli
anni
Settanta
)
che
sfociano
nella
guerra
civile
,
nel
colpo
di
Stato
o
in
tutti
e
due
.
In
questo
senso
è
altrettanto
sintomatica
e
inquietante
la
comparsa
a
Milano
di
un
primo
«
squadrone
della
morte
»
(
uccisione
a
freddo
di
due
giovani
d
'
estrema
sinistra
a
Milano
)
.
Così
come
inquietante
è
il
modo
con
cui
stampa
,
televisione
,
partiti
sembrano
sperare
che
la
soluzione
dei
problemi
venuti
alla
luce
col
rapimento
di
Moro
possa
venire
indagando
meglio
su
che
tipo
di
«
testina
Ibm
»
abbia
battuto
il
messaggio
delle
Brigate
Rosse
,
o
ispezionando
con
maggiore
accuratezza
via
Licinio
Calvo
.
Fino
a
questo
momento
,
non
sembra
probabile
che
polizia
,
o
carabinieri
,
o
guardia
di
finanza
,
o
l
'
esercito
,
o
tecnici
inviati
dalla
Germania
federale
troveranno
la
«
prigione
del
popolo
»
in
cui
l
'
onorevole
Moro
è
rinchiuso
e
«
processato
»
.
Se
anche
ci
riuscissero
-
come
tutti
sperano
-
i
problemi
posti
da
questo
parossistico
acutizzarsi
della
violenza
politica
in
forme
nuove
e
terribilmente
efficaci
non
sarebbero
risolti
.
Andrebbero
affrontati
con
un
dibattito
approfondito
,
e
un
coinvolgimento
del
paese
senza
precedenti
:
prima
che
l
'
adozione
di
leggi
super
repressive
,
imposte
dal
succedersi
degli
eventi
prima
ancora
che
dalla
scelta
del
Parlamento
,
appaia
come
l
'
unica
via
praticabile
.
Intanto
,
al
processo
di
Torino
,
Curcio
e
suoi
amici
annunciano
il
processo
ad
Aldo
Moro
,
parlando
come
se
fossero
i
presidenti
di
un
«
controtribunale
»
.
E
il
presidente
del
tribunale
vero
,
mette
a
verbale
.
StampaPeriodica ,
Roma
,
giovedì
17
febbraio
.
Passerà
alla
storia
come
«
quel
giovedì
grasso
del
'77»
in
cui
Luciano
Lama
,
segretario
del
più
grande
sindacato
comunista
d
'
Europa
,
fu
preso
a
sassate
dagli
studenti
ultras
e
costretto
a
lasciare
la
cittadella
universitaria
romana
.
Quasi
sicuramente
gli
storici
che
nei
prossimi
anni
si
occuperanno
di
questi
fatti
lasceranno
da
parte
le
polemiche
sulle
origini
materiali
degli
incidenti
(
chi
ha
dato
il
primo
spintone
,
la
prima
bastonata
,
chi
ha
tirato
il
primo
sampietrino
?
È
più
grave
lanciare
sacchetti
di
vernice
sui
sindacalisti
come
hanno
fatto
gli
«
indiani
metropolitani
»
o
innaffiare
col
getto
di
un
estintore
gli
studenti
come
ha
fatto
un
membro
del
servizio
d
'
ordine
del
PCI
?
)
e
si
dedicheranno
alla
ricerca
delle
cause
di
quello
che
quasi
all
'
unanimità
e
un
po
'
ingenerosamente
è
stato
definito
l
'
«
errore
di
Lama
»
.
E
cosa
diranno
di
questo
errore
?
Che
è
stato
generato
dalla
convinzione
di
poter
riportare
l
'
ordine
nelle
università
con
un
misto
di
forza
e
di
consenso
;
che
è
stato
reso
possibile
dalle
false
informazioni
che
il
segretario
della
federazione
comunista
romana
Paolo
Ciofi
,
alcuni
sindacalisti
della
CGIL
-
scuola
,
il
segretario
della
Federazione
giovanile
comunista
Massimo
D
'
Alema
avevano
trasmesso
per
quattordici
giorni
ai
vertici
del
PCI
(
«
Andrà
tutto
liscio
come
l
'
olio
»
aveva
detto
Ciofi
la
sera
prima
degli
incidenti
)
;
che
è
stato
favorito
dalla
mancanza
di
precauzioni
«
psicologiche
»
come
per
esempio
incontri
tra
sindacalisti
e
rappresentanti
degli
studenti
,
diretti
ad
allentare
la
tensione
:
una
tensione
che
aveva
raggiunto
l
'
apice
proprio
quel
giorno
(
alcuni
lavoratori
del
PCI
avevano
forzato
il
blocco
degli
occupanti
ai
cancelli
dell
'
ateneo
e
la
sera
la
Camera
del
Lavoro
aveva
chiesto
la
riapertura
dell
'
università
)
.
Ma
la
storia
non
ammette
recriminazioni
.
I
lamenti
(
«
Perché
noi
comunisti
eravamo
tremila
e
non
trentamila
?
»
)
,
le
tardive
esortazioni
(
«
È
una
questione
di
ordine
pubblico
:
bisognava
mandare
subito
i
carabinieri
a
sgombrare
l
'
occupazione
»
gridava
Giuliano
Ferrara
dirigente
del
PCI
torinese
)
,
i
giustificati
timori
(
«
Se
Cossiga
fa
sgombrare
adesso
l
'
università
sembrerà
però
che
noi
sindacalisti
abbiamo
bisogno
della
polizia
per
far
valere
le
nostre
ragioni
»
)
che
quel
giovedì
nero
animavano
la
discussione
davanti
alla
sede
del
PCI
di
via
dei
Frentani
,
appena
pronunciati
venivano
già
superati
dai
fatti
.
Il
ministro
dell
'
Interno
aveva
immediatamente
deciso
di
sfruttare
la
situazione
per
espugnare
l
'
università
e
rilanciare
la
campagna
sull
'
ordine
pubblico
,
accolta
con
ovazioni
di
consenso
di
tutta
la
stampa
.
I
giornali
,
anche
quelli
che
in
passato
avevano
più
strizzato
l
'
occhio
al
PCI
,
si
rivolgevano
al
«
grande
partito
della
classe
operaia
»
in
tono
brusco
e
risentito
:
«
Ma
come
?
,
vi
stavamo
spalancando
le
porte
del
governo
nella
speranza
che
riportaste
l
'
ordine
nelle
fabbriche
e
nelle
piazze
e
ora
scopriamo
che
non
ne
siete
capaci
»
.
Lentamente
si
metteva
in
moto
anche
il
fronte
di
quelli
che
sperano
nel
ritorno
a
un
governo
di
centrosinistra
:
dai
democristiani
di
osservanza
fanfaniana
(
«
Eccoli
qui
i
comunisti
di
sempre
,
illiberali
e
prevaricatori
»
)
ad
alcuni
settori
del
PSI
(
un
dirigente
della
Federazione
giovanile
socialista
ha
dichiarato
in
un
'
assemblea
ad
architettura
:
«
Avete
ragione
voi
,
la
venuta
di
Lama
nell
'
università
è
stata
una
grave
provocazione
»
)
,
erano
tutti
all
'
erta
.
Il
PCI
si
è
sentito
alle
corde
:
Lama
continuava
a
ricevere
telegrammi
di
formale
solidarietà
ma
appena
chiedeva
uno
sciopero
o
almeno
una
manifestazione
di
solidarietà
che
lo
riconfermasse
leader
prestigioso
di
un
grande
sindacato
,
riceveva
risposte
elusive
.
Nelle
sezioni
e
nei
consigli
di
fabbrica
le
spiegazioni
ufficiali
(
«
Quell
'
università
lì
è
una
Reggio
Calabria
zeppa
di
provocatori
,
fascisti
,
figli
della
borghesia
agiata
»
)
erano
accolte
con
sufficienza
e
in
molti
casi
apertamente
discusse
;
nelle
piazze
che
il
sindacato
,
per
le
sue
divisioni
interne
aveva
lasciato
deserte
,
non
riusciva
a
riempire
,
affluivano
invece
,
fin
dal
sabato
,
decine
di
migliaia
di
studenti
inscenandovi
manifestazioni
che
lasciavano
poco
spazio
al
teppismo
.
Conseguenze
.
Per
la
prima
volta
dall
'
autunno
del
'69
,
quando
fu
espulso
il
gruppo
del
Manifesto
,
il
PCI
è
stato
percorso
da
un
terremoto
interno
di
discussioni
che
continueranno
per
molte
settimane
.
E
l
'
autocritica
che
la
direzione
del
PCI
si
è
fatta
il
19
febbraio
(
«
È
mancata
da
parte
nostra
una
piena
e
immediata
comprensione
del
clima
che
si
era
creato
nell
'
ateneo
»
)
contribuirà
ad
alimentare
il
dibattito
.
I
termini
del
problema
sono
semplici
.
C
'
è
un
partito
che
si
presenta
come
«
partito
di
lotta
e
di
governo
»
e
che
una
volta
messo
alla
prova
davanti
a
un
movimento
di
massa
è
costretto
a
battere
in
ritirata
fornendo
spiegazioni
improvvisate
e
convenzionali
(
«
È
un
fenomeno
fascista
»
ha
affermato
Gianni
Cervetti
,
membro
della
direzione
del
PCI
davanti
agli
operai
milanesi
dell
'
Alfa
Romeo
riuniti
a
congresso
nella
sezione
Ho
Ci
-
Minh
)
.
C
'
è
un
sindacato
che
ha
paura
di
mobilitarsi
su
temi
estranei
alla
difesa
del
salario
perché
non
vuole
disperdere
le
sue
energie
,
ma
teme
anche
che
,
una
volta
decisa
la
ritirata
su
un
fronte
,
ci
sia
il
rischio
di
diventare
vulnerabile
anche
su
tutti
gli
altri
fronti
.
Cosa
accadrà
nei
prossimi
giorni
?
Esaminiamo
le
mosse
che
presumibilmente
faranno
i
protagonisti
di
questa
vicenda
.
Il
movimento
degli
studenti
.
Lo
scontro
con
Lama
,
per
loro
,
è
stato
provvidenziale
.
Nei
giorni
precedenti
quel
giovedì
grasso
il
movimento
degli
studenti
aveva
conosciuto
una
fase
di
stanca
tale
che
l
'
avrebbe
potuto
portare
alla
dissoluzione
.
La
visita
di
Lama
lo
ha
rilanciato
.
Nelle
ore
di
battaglia
calda
contro
il
servizio
d
'
ordine
del
PCI
e
del
sindacato
,
contro
il
senato
accademico
e
la
polizia
,
gli
studenti
ultras
hanno
ritrovato
l
'
unità
e
la
galvanizzazione
perdute
.
Ora
si
dettano
obiettivi
«
mobilitanti
»
:
«
Rioccupiamo
appena
possibile
l
'
ateneo
e
riprendiamo
a
batterci
per
gli
appelli
d
'
esame
settimanali
,
per
l
'
orario
a
cartellino
dei
professori
,
per
l
'
università
aperta
il
sabato
e
la
domenica
,
per
i
corsi
serali
,
per
la
ristrutturazione
dell
'
insegnamento
»
.
Ma
gli
obiettivi
reali
del
movimento
non
riescono
a
definirli
.
Senza
questi
è
probabile
che
gli
studenti
conosceranno
una
seconda
impasse
.
Come
fare
allora
?
Sabato
e
domenica
prossimi
gli
studenti
di
tutta
Italia
si
incontreranno
a
Roma
per
discuterne
.
Probabilmente
metteranno
a
punto
un
programma
che
le
forze
politiche
dovranno
valutare
con
grande
attenzione
perché
sarà
il
testo
base
a
cui
faranno
riferimento
i
disoccupati
intellettuali
italiani
.
Cosa
chiederanno
?
Nientemeno
che
il
salario
generalizzato
per
tutti
coloro
che
hanno
più
di
diciotto
anni
.
Poi
chiederanno
,
anche
,
la
diminuzione
delle
ore
di
lavoro
nelle
fabbriche
e
l
'
aumento
invece
di
quelle
di
studio
per
gli
operai
.
In
questo
modo
sperano
che
si
creino
nuovi
posti
di
lavoro
.
Si
tratta
in
altre
parole
di
trasformare
le
150
ore
in
500
ore
di
studio
annuali
per
ogni
operaio
.
Soluzione
,
com
'
è
facile
arguire
,
del
tutto
utopistica
.
Il
Partito
comunista
italiano
.
Cosa
farà
il
PCI
lo
ha
annunciato
con
un
articolo
sull
'
«
Unità
»
Alberto
Asor
Rosa
,
l
'
unico
intellettuale
comunista
che
abbia
capito
fin
dai
primi
giorni
cosa
stava
succedendo
nelle
università
.
«
Noi
comunisti
»
afferma
Asor
Rosa
«
abbiamo
fatto
la
scelta
di
difendere
un
tipo
di
società
in
trasformazione
al
cui
centro
sta
la
classe
operaia
organizzata
.
Gli
studenti
sono
invece
una
"
seconda
società
"
,
che
intende
scaricare
addosso
alla
società
che
noi
difendiamo
un
turbine
distruttivo
.
»
D
'
altra
parte
,
continua
Asor
Rosa
,
come
possiamo
stupircene
?
«
L
'
austerità
ha
un
senso
in
quanto
è
rivolta
ai
settori
produttivi
della
società
,
ai
lavoratori
,
i
quali
in
quanto
produttori
e
consumatori
al
tempo
stesso
possono
se
vogliono
calibrare
un
rapporto
diverso
tra
questi
due
aspetti
della
vita
.
»
Ma
chi
non
lavora
,
e
ha
la
prospettiva
di
non
lavorare
e
non
guadagnare
per
anni
,
come
fa
a
praticare
su
se
stesso
l
'
austerità
?
Come
fa
a
ridurre
i
consumi
chi
non
consuma
niente
?
Tra
le
righe
Asor
Rosa
denuncia
l
'
assenza
di
una
proposta
del
PCI
nei
confronti
dei
disoccupati
.
E
si
può
leggere
anche
un
invito
alla
chiarezza
:
se
il
PCI
ha
deciso
di
difendere
ad
oltranza
gli
occupati
lo
dica
,
e
non
si
stupisca
poi
se
i
disoccupati
reagiscono
anche
contro
di
lui
.
Oltre
a
questo
problema
generale
c
'
è
poi
la
questione
più
specifica
della
riforma
universitaria
.
Come
può
il
PCI
,
dopo
aver
appoggiato
per
dieci
anni
la
«
scuola
liberalizzata
e
di
massa
»
,
favorire
adesso
la
creazione
di
una
università
che
sforni
quadri
veramente
selezionati
da
inserire
nei
gangli
del
sistema
produttivo
per
rimetterlo
in
moto
?
Qualcuno
a
mezza
voce
suggerisce
l
'
unica
risposta
possibile
:
accordare
il
salario
minimo
ai
disoccupati
e
ricominciare
con
la
scuola
selettiva
a
partire
dalla
prossima
generazione
.
Si
chiede
,
cioè
,
alla
società
un
sacrificio
per
sostentare
la
generazione
che
ha
compiuto
gli
studi
tra
il
1968
e
oggi
,
in
vista
di
prepararne
una
culturalmente
e
professionalmente
più
attrezzata
.
Il
sindacato
.
Di
quel
che
farà
il
sindacato
si
occupa
Sandro
Magister
nell
'
articolo
che
segue
.
C
'
è
però
da
sottolineare
un
elemento
.
Se
il
PCI
decide
di
seguire
i
suggerimenti
di
Asor
Rosa
e
cioè
di
difendere
ad
oltranza
gli
operai
occupati
,
sarà
quasi
inevitabile
che
questi
entrino
in
rotta
di
collisione
con
i
giovani
disoccupati
.
Quel
giorno
il
movimento
operaio
italiano
non
si
potrà
presentare
all
'
appuntamento
con
in
tasca
soltanto
l
'
accusa
di
«
fascismo
»
da
lanciare
contro
i
senza
lavoro
arrabbiati
.
Anche
perché
può
succedere
che
,
nel
clima
incandescente
che
si
verrebbe
a
creare
,
gli
stessi
operai
occupati
si
uniscano
alla
battaglia
contro
«
l
'
aumento
della
produttività
basato
sull
'
intensificazione
dello
sfruttamento
»
.
Non
sarebbe
la
prima
volta
,
nella
storia
,
che
un
sindacato
forte
e
potente
viene
travolto
sotto
il
fuoco
concentrico
del
governo
,
degli
industriali
,
degli
operai
stanchi
e
dei
disoccupati
arrabbiati
.
StampaPeriodica ,
In
un
'
edizione
per
ogni
verso
superba
e
,
come
tutti
sanno
,
con
successo
grandissimo
,
la
Scala
ha
presentato
al
Teatro
Lirico
1'«azione
scenica
»
di
Luigi
Nono
Al
gran
sole
carico
d
'
amore
:
messa
in
scena
,
sotto
la
bacchetta
di
Claudio
Abbado
,
da
un
'
équipe
sovietica
(
Jurij
Ljubimov
primo
regista
e
David
Borovskij
primo
scenografo
del
Teatro
alla
Taganka
di
Mosca
,
Leonid
Jakobson
coreografo
del
Kirov
di
Leningrado
)
,
solisti
di
canto
Slavska
Taskova
Paoletti
,
Kristina
Goranceva
,
Franca
Fabbri
,
Luisella
Ciaffi
Ricagno
,
Eleonora
Jankovic
,
Mario
Basiola
,
Federico
Davià
,
Gianni
Socci
,
prima
ballerina
Rosalia
Kovacs
,
maestri
del
coro
Romano
Gandolfi
e
Vittorio
Rosetta
.
Forse
a
intendere
che
cosa
questo
Nono
-
Ljubimov
sia
sarà
bene
chiarire
subito
che
cosa
non
è
:
non
è
quel
messaggio
«
politico
»
,
anzi
marxista
,
che
s
'
è
preteso
.
Marxismo
salvo
errore
è
critica
,
analisi
dialettica
,
indagine
su
perché
e
percome
;
e
la
politica
in
genere
,
qualcosa
di
simile
.
Ma
da
questo
ci
estromette
,
qui
,
già
la
struttura
del
testo
.
La
quale
,
nonostante
il
sottotitolo
,
non
un
'
«
azione
»
ci
offre
ma
un
collage
d
'
interiezioni
:
un
seguito
di
detti
,
versi
,
battute
(
di
Che
Guevara
,
Brecht
,
Gramsci
,
Marx
,
Lenin
,
Tania
Bunke
eccetera
)
,
a
evocare
immagini
della
Comune
,
di
Cuba
,
Viet
Nam
,
Torino
postbellica
,
Russia
1905
(
accuratamente
esclusa
restandone
beninteso
,
«
nel
quadro
»
d
'
un
asse
Giudecca
-
Mosca
,
la
Cina
)
.
Ma
immagini
,
appunto
,
fotogrammi
:
con
oppressori
soltanto
oppressori
di
qua
,
e
oppressi
soltanto
oppressi
di
là
.
Nono
,
è
vero
,
ha
dichiarato
di
proscrivere
la
«
contrapposizione
di
personaggi
positivi
e
negativi
»
quale
«
elemento
di
schematizzazione
estremamente
superficiale
»
;
ma
in
pratica
tale
contrapposizione
si
riscontra
anche
in
questa
sua
ultima
fatica
,
che
pure
estremamente
superficiale
non
è
.
Nell
'
interesse
dunque
della
medesima
ci
permettiamo
di
correggerlo
:
non
è
necessariamente
superficiale
,
soltanto
non
è
marxista
;
piuttosto
,
riuscirà
moralistica
,
forse
sentimentale
.
Il
marxismo
non
sta
nel
ridurre
il
«
borghese
»
a
un
protervo
delinquente
bensì
nel
rivelare
la
parte
,
complicata
alquanto
,
che
la
«
borghesia
»
nel
processo
della
storia
sostiene
.
Il
che
non
vuol
dire
che
alla
scena
in
cui
la
tuba
di
Thiers
,
razzisticamente
vilipeso
come
un
disgustoso
nanerottolo
,
è
presa
a
calci
da
un
Bismarck
cavalcante
una
specie
di
tubo
Innocenti
,
ovvero
al
sarcastico
e
coreograficamente
geniale
ballet
noir
che
la
segue
,
l
'
inventore
del
marxismo
non
si
sarebbe
divertito
.
Perfino
superflue
vengono
poi
rese
queste
considerazioni
dalla
realizzazione
musicale
,
dove
novantanove
parole
su
cento
non
raggiungono
lo
spettatore
e
innumerevoli
«
voci
»
,
estrapolate
come
sono
da
personaggi
visibili
,
risultano
materialmente
irrelate
ad
alcunché
.
Come
potrebbe
Gramsci
farcisi
presente
se
non
solo
la
sua
unica
battuta
non
arriva
al
nostro
orecchio
,
ma
il
suo
fisico
personaggio
non
è
in
scena
?
Pensare
che
tra
i
capi
d
'
accusa
di
quegli
assessori
milanesi
che
volevano
interdire
il
lavoro
come
propaganda
di
partito
era
la
presenza
di
Bandiera
rossa
;
della
quale
neppure
l
'
orecchio
supersonico
di
Abbado
potrebbe
estrarre
,
dal
groviglio
della
partitura
,
le
parole
né
le
note
.
Accertare
,
all
'
inizio
,
che
siamo
ai
giorni
della
Comune
è
già
difficile
;
ma
chi
poi
,
nella
donna
che
dopo
le
prime
incomprensibili
battute
del
coro
ne
intona
un
'
altra
incomprensibile
non
meno
,
ravviserebbe
mai
quel
collegamento
tra
la
Comune
e
la
guerrigliera
caduta
in
Bolivia
un
secolo
dopo
che
l
'
autore
asserisce
di
proporci
?
Che
ora
siffatti
ermetismi
,
questo
celare
le
chiavi
d
'
un
significato
in
allusioni
e
antefatti
affidati
al
programma
di
sala
,
delle
liturgie
del
negativo
praticate
dall
'
avanguardia
d
'
oggi
siano
un
elemento
indispensabile
,
è
ben
noto
;
sta
nelle
regole
del
loro
gioco
.
Ma
con
i
fini
di
quest
'
avanguardia
la
ferma
tendenza
di
Nono
al
positivo
e
all
'
immediatezza
agitatoria
ha
ben
poco
a
che
fare
.
Diversamente
da
coloro
,
Nono
è
ciò
che
appare
:
stavolta
dunque
,
è
il
combinato
disposto
tra
ciò
che
la
musica
e
lo
spettacolo
sensibilmente
ci
esibiscono
;
ritraendosi
le
Tanie
,
i
Viet
Nam
,
gli
assalti
al
Moncada
,
in
una
nebbia
di
ipotetiche
allusioni
.
Laddove
l
'
assunto
generale
non
è
nebuloso
affatto
,
consistendo
in
una
serie
di
variazioni
su
un
tema
ben
elementare
:
la
povertà
insorge
contro
il
potere
,
ne
è
brutalmente
repressa
,
piange
la
sconfitta
,
torna
ad
insorgere
,
è
di
nuovo
conculcata
e
così
via
.
Allo
spettacolo
sono
affidate
le
variazioni
;
che
la
fantasia
e
la
scenotecnica
di
Ljubimov
centrano
come
più
icasticamente
non
si
potrebbe
.
Alla
musica
invece
il
tema
,
l
'
invariante
,
l
'
«
ostinato
»
;
ch
'
essa
fornisce
,
al
suo
modo
naif
,
benissimo
.
Conta
infatti
,
questa
musica
,
su
pochissime
corde
,
ognuna
tesa
a
una
sua
funzione
,
e
immutabile
da
cima
a
fondo
.
Così
la
«
repressione
»
è
nell
'
orchestra
,
che
a
parte
moderate
truculenze
della
percussione
si
fonda
ossessivamente
sui
clusters
(
cioè
«
grappoli
»
di
note
cromaticamente
adiacenti
)
assegnati
,
di
volta
in
volta
,
a
timbri
omogenei
;
mentre
gli
sfrigolii
dei
nastri
elettronici
(
realizzati
con
la
collaborazione
di
Marino
Zuccheri
)
suggeriscono
ovviamente
inquietudine
,
sventura
.
Alle
voci
è
affidato
invece
il
pianto
degli
oppressi
:
nello
sfondo
alle
lacrimanti
,
in
distinte
polifonie
da
ex
voto
dei
cori
,
in
primo
piano
alle
canore
volute
delle
soliste
,
sfogate
su
grandi
sbalzi
di
registro
fino
alla
stratosfera
dei
sovracuti
.
E
in
queste
appunto
è
l
'
acme
espressiva
del
tutto
:
perché
nell
'
idea
della
donna
come
verifica
«
naturale
»
dell
'
umano
,
dunque
nella
voce
femminile
,
è
l
'
ispirazione
prima
del
lavoro
;
e
perché
quei
loro
arabeschi
non
sono
melodie
compiute
ma
indeterminati
aneliti
verso
la
melodia
,
struggente
gemito
di
prefiche
che
va
lamentando
la
sua
stessa
impossibilità
di
costituirsi
in
discorso
.
Giacché
ancora
una
volta
la
differenza
fra
Nono
e
l
'
avanguardia
«
negativa
»
è
qui
;
ciò
che
in
coloro
è
strangolamento
del
canto
,
in
lui
è
ingenua
tensione
a
raggiungerlo
.
Ma
stavolta
,
collocata
come
pedale
a
quella
lanterna
magica
,
questa
tensione
significa
,
nei
suoi
limiti
,
più
che
mai
.
A
meraviglia
l
'
organica
afasia
di
Nono
,
questa
«
infanzia
»
in
cerca
della
parola
,
riflette
il
disarmante
candore
con
cui
vittime
sprovvedute
aspirano
ad
un
riscatto
del
quale
non
riescono
a
configurarsi
i
termini
.
E
quanto
ai
clusters
.
Si
pensi
all
'
abuso
che
ne
fa
un
Penderecki
.
Ma
quale
differenza
.
Senza
dubbio
la
maestria
di
Penderecki
sta
a
quella
di
Nono
come
dieci
a
uno
.
Ma
dei
suoi
arnesi
Penderecki
usa
al
modo
dell
'
industriale
che
cinicamente
sceglie
di
produrre
mitra
o
medicinali
in
base
a
pure
considerazioni
di
mercato
.
Invece
Nono
usa
i
suoi
solo
in
quanto
mezzi
adatti
ad
esprimere
quel
punto
esclamativo
che
è
l
'
alfa
e
l
'
omega
della
sua
Weltanschauung
;
dunque
perché
,
semplicemente
,
ci
crede
.
Ora
appunto
questo
crederci
,
questo
aver
qui
creduto
,
Nono
,
in
quel
che
faceva
,
si
comunica
allo
spettatore
,
lo
riscalda
e
convince
.
L
'
amore
di
cui
questo
suo
sole
è
carico
non
sarà
così
sublime
come
ci
vanno
raccontando
,
ma
è
autentico
,
una
verità
.
Mentre
i
vari
diavoli
di
Loudon
e
passioni
secondo
san
Luca
son
carichi
soltanto
di
ben
costrutte
menzogne
.