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> anno_i:[1970 TO 2000}
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Giuliano Ferrara ingrassa ( di felicità ) quanto più fa il malandrino . Dopo il fallimento della sua malandrinata in Mugello , è tornato a me . Tornato perché è da parecchio che ingrassa punzecchiandomi . Quando era direttore di « Panorama » , il suo settimanale non perdeva occasione per sfruculiarmi . Ora che la sua ammiraglia è diventata « Il Foglio » , Giulianone ( o il suo elefantino ) provvede da sé , a viso aperto . A fine anno è partito lancia in resta contro un mio libriccino , Homo videns , dandomi di « editorialista supercilioso » , scagliandomi contro dotti richiami a Parmenide , Platone e Aristotele , e addirittura chiedendosi : « Leggono questi professori ? » . Stavo ancora contando le mie letture , quand ' ecco che mi arriva addosso un ' altra bordata . E finalmente ho capito che Ferrara stava ingrassando troppo ( di felicità ) , e che per il suo bene era bene farlo soffrire . Anche se mi rendo conto che l ' impresa è titanica . L ' ultima bordata si intitola : « Nel '93 Sartori e Panebianco dicevano peste e corna del Mattarellum . Si sbagliavano ( la legge ha funzionato ) . Ora ce l ' hanno con le riforme » . Sottotitolo : « Due maestri di politologia non fanno i conti con le previsioni sbagliate » ( « Il Foglio » del 13 febbraio ) . Non posso rispondere per Angelo Panebianco ; ma , visto che sono d ' accordo con lui , sono prontissimo a prendere in carico anche le sue colpe . Il Mattarellum , cioè la legge elettorale attualmente in vigore , ha funzionato ? Le previsioni sono state sbagliate ? Vediamo . A una mente di aristotelica possanza non dovrebbe essere spiegato che il successo , qualsiasi successo , si misura su un obiettivo , si commisura a uno scopo . Ma tant ' è . Quindi a Ferrara spiego che anche lui è tenuto , come gli altri comuni mortali , a partire da questo quesito : qual è , o quale dovrebbe essere , l ' intento di una riforma elettorale oggi in Italia ? Al quesito gli esperti e le persone sensate rispondono che noi soffriamo di troppi partiti , di troppa frammentazione , e quindi che il nostro obiettivo prioritario è adottare un sistema elettorale che riduca il numero dei partiti e che li costringa ad aggregarsi . Stranamente il Nostro nemmeno dà mostra di essersi mai imbattuto in questa tesi ( ma cosa legge Giulianone sapiens ? ) , e quindi non la mette in conto . Per lui il Mattarellum ha funzionato a questo titolo : perché i partiti si sono tutti salvati , e sono addirittura aumentati . Ma questa era , appunto , la previsione mia , di Panebianco e dei politologi in generale . La previsione era dunque esattissima . Mentre resta da dimostrare perché mai un risultato di accresciuta frammentazione sia utile al paese e serva l ' interesse generale . Hic Rhodus , hic salta . Ma il nostro Giulianone salta via , salta da un ' altra parte . Difatti Ferrara devia il discorso sul fatto che il Mattarellum ha funzionato nel produrre due coalizioni vincenti , prima quella di Berlusconi e poi quella dell ' Ulivo . E Pierino ( pardon : Ferrara ) racconta la vicenda così . « Alle elezioni politiche del marzo 1994 la nuova legge elettorale [...] produsse per la prima volta una maggioranza definita , quella del Polo [...] scelta dai cittadini ( l ' incidente della maggioranza debole al Senato non ebbe conseguenze sul voto di fiducia ) . E il nuovo Parlamento , anziché rischiare la paralisi come paventavano i politologi , portò alla formazione del governo Berlusconi , il quale cadde [...] non perché la legge elettorale fosse un ' pasticcio ' [...] come volevano i professori ma perché la coalizione esplose sotto i colpi di mortaio di Bossi e si rivelò un ' alleanza politicamente impossibile » . Mi scuso per la lunga citazione , troppo bella per lasciarsela scappare , che compenserò con chiose brevi . Primo . Anche in passato abbiamo avuto maggioranze definite , in genere pentapartitiche o quadripartitiche come oggi . Quale sarebbe la differenza ? Che non erano scelte dai cittadini ? Che erano meno obbligate di quelle prodotte dal Mattarellum ? Detto o mal detto così , il punto mi sfugge . Secondo . È inesatto che Berlusconi avesse una maggioranza debole al Senato : non l ' aveva proprio . E poi il problema di avere una maggioranza si pone per tutto il tempo della legislatura , non soltanto al voto di fiducia . Terzo . La paralisi paventata dai politologi non , è del Parlamento ma della governabilità , ed è prodotta , appunto , da alleanze impossibili . Come il nostro avverte , senza però avvertire di contraddirsi . Quarto . Se la coalizione di Silvio Berlusconi esplose per colpa di Umberto Bossi è ovviamente perché Bossi era un partner indispensabile di quella coalizione . Chi lo aveva reso tale ? Sì , gli elettori . Ma anche una pessima legge elettorale . Dunque il nesso con il sistema elettorale c ' è , anche se Ferrara non lo vede o fa finta di non vederlo . Ripartiamo dalla domanda : qual è lo scopo di un sistema elettorale ? In attesa che Ferrara dimostri perché dovrebbe essere la frantumazione di un sistema partitico , debbo tornare a rispondere che in Italia occorre oggi un sistema che riduca e aggreghi i partiti . Quando si passa a considerare la governabilità , lo scopo primario diventa prefigurare coalizioni di governo quanto più possibile omogenee . Come ? Facendo ricorso , appunto , a un sistema elettorale aggregativo . Il Mattarellum non lo è ( e nemmeno lo sarà il Mattarellum Due prefigurato nella famosa cena a casa di Gianni Letta ) . Difatti ha prodotto per due volte consecutive coalizioni eterogenee , scollate e intrinsecamente conflittuali . Come era stato esattamente previsto e come volevasi dimostrare . Anche su questo punto , la natura delle coalizioni , Ferrara fa lo gnorri e sposta il discorso dalla governabilità alla stabilità . Ma , intanto , una volta su due la stabilità non c ' è stata : il governo Berlusconi è stato instabilissimo , sette mesi in tutto . Inoltre l ' instabilità del nostro passato viene largamente esagerata . Giulio Andreotti a modo suo è stato stabilissimo , ben sette volte presidente del Consiglio ( seguito da Amintore Fanfani con sei volte e Aldo Moro con cinque ) ; e Bettino Craxi è durato , con due consecutivi governi pentapartitici , dal 4 agosto 1983 al 3 marzo 1987 , quindi per quasi l ' intero corso della IX legislatura , quattro anni . Anche se Romano Prodi resterà in sella per tutta la XIII legislatura , anche così Ferrara si eccita troppo quando scrive che il governo Prodi sarà « il primo governo di legislatura nella storia italiana » . Visto che durare con la proporzionale dovrebbe essere più difficile che con il maggioritario , Craxi regge il confronto . Comunque sia , a che cosa serve una stabilità senza vera forza di governo ? Questo è il problema che il Nostro elude . Eppure , visto che Ferrara va alla caccia dei politologi , dovrebbe essere informato di cosa dicono . Dunque dovrebbe sapere che per il sottoscritto ( e altri ) la stabilità dei governi è un falso scopo . Un governo può durare ed essere inefficiente . Il che vuol dire che la stabilità è soltanto una condizione di governabilità . Quattro anni di un Prodi sempre bloccato da Fausto Bertinotti non risolvono i nostri guai . Ripeto : di per sé la stabilità è un falso scopo , agitato per i gonzi e per far perdere di vista che lo scopo vero è la governabilità . Vengo ora a due critiche specifiche . La prima è questa : che nel 1993 , all ' indomani del referendum che aprì le porte alla riforma elettorale in senso maggioritario , « i due eccellenti politologi [ Panebianco e io ] , prigionieri della teoria , esercitarono in modo scombiccherato [...] la loro funzione di critica e di analisi . Non vollero tracciare una rotta [...] ma si limitarono a demolire [...] il progetto Mattarella » . Ma il mio eccellente demolitore qui asserisce il falso . È vero tutto il contrario , e cioè che sin da prima del referendum Segni - Pannella combattei una battaglia per spiegare che quel referendum lasciava aperta la via a una duplice interpretazione - maggioritario a un turno , o anche maggioritario a due turni - e che la seconda era da preferire . Dopo di che ho insistito per cinque anni , e quasi al di là del sopportabile , nel raccomandare la rotta del doppio turno . Ammesso che Giulianone sapiens legga davvero , mi sa che legge alla rovescia . L ' altra critica è che « il 27 novembre 1993 il professore interviene sulla dissoluzione del centro asserendo che il maggioritario è una macchina trita - centro [...] fatta apposta per stritolare il centro » . Dal che , scrive il Nostro , il professore ricava « col suo stile sapido e rubicondo una prognosi infausta sulla definitiva scomparsa della Dc » . Embè ? A me in effetti risulta che la Dc si è disintegrata e centrifugata tra sinistra e destra . Al nostro risulta invece che « la smentita sarà clamorosa » . Smentita che Ferrara illustra così : « Il partito di centro , i popolari di Martinazzoli , riesce a salvarsi proprio per effetto del maggioritario corretto dalla proporzionale » , mentre i « centristi cattolici che già avevano avuto una prima scissione con la nascita del Ccd si divideranno poi per schiette ragioni politiche » . Questa sarebbe una smentita ? Una frantumazione in tre pezzi che poi perdono complessivamente un 20 per cento del loro vecchio voto ? Concedo che qui il nostro scombicchera al suo meglio . Ma non concedo che dal suo polverone emerga una smentita . Allora , quali sarebbero le previsioni sbagliate con le quali i politologi dovrebbero fare i conti ? Ci saranno , non dico di no ; ma certo Ferrara non le ha scoperte . Forse perché la sua vista è impedita dai suoi egregi errori di fatto e di logica .
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Beati i giovani . Io non li invidio più di tanto perché crescere è faticoso . Ma ormai abbondano i giovani che non crescono mai . E il giovane beato a vita , che non cresce faticando , comincia a fare storia nel 1968 . La generazione che maturava negli anni Sessanta è stata una generazione benedetta da tutte le fortune . Non ha conosciuto guerre in casa , è stata coccolata dal boom del benessere e ha visto sparire la tirannide dei genitori . Quei giovani si affacciavano a una vita che non era più , ai loro occhi , labor e cioè pena , sforzo , affanno . La durezza del vivere a loro era ignota . A tanta maggior ragione le energie da scaricare erano tante . Erano anche pronti gli strumenti del contagio , del fare massa , e cioè adeguatissime comunicazioni di massa . E dunque tutto era pronto per una rivoluzione dei giovani . L ' evento ci prese di sorpresa , anche perché le rivoluzioni del passato avvenivano per fame ( le rivoluzioni contadine ) oppure erano rivoluzioni contro il tiranno . Nel 1968 non c ' era né fame né tiranno . Così la rivoluzione dei giovani divenne universitaria . Scese anche per strada , è vero . Ma il suo bersaglio concreto era , per la prima volta nella storia , la cultura . I sessantottini volevano disfare e rifare ab imis il sapere , l ' insegnamento e chi insegnava . È un peccato che la dizione « rivoluzione culturale » sia stata accaparrata da Mao . In Cina quella di Mao fu una spietata purga di stampo staliniano . La vera rivoluzione culturale è stata la nostra . E ha prodotto , ahimè , una riuscitissima distruzione culturale . Il giovane , proprio perché è giovane , scopre . E la grande scoperta dei sessantottini era che il passato era da azzerare ( perché marcio o comunque perché inutile e dannosa zavorra ) , e che la storia ricominciava da loro . In politica i problemi sarebbero stati risolti dalla « immaginazione al potere » , e nella cultura dalla « matematica rossa » . Erano bambinate . In passato si aspettava che la fase bambinesca passasse . Sunt pueri et puerilia tractant . Liberi i fanciulli di fanciulleggiare . Ma oggi sunt pueri , tamen seria tractant . Sono fanciulli e tuttavia trattano di cose serie . Veniamo , allora , al discorso serio . Questo : che la scienza infusa , la scienza innata , non esiste . Ogni neonato parte da zero . Nasce non sapendo niente . Gli deve essere tutto insegnato facendolo studiare . Può saperne di più - nel corso della sua educazione - dei suoi educatori , e cioè di chi ha già studiato ? Può essere ( esistono autodidatti prodigiosi ) , ma è molto raro . Certo , ci sono educatori pessimi . Ma se il cattivo maestro è da sostituire , il maestro deve pur sempre restare . E se i maestri sono aboliti ( perché sostituiti dai loro studenti ) , allora le scuole vanno abolite . Eppure i rivoluzionari ancora imberbi ( ancorché barbuti ) del Sessantotto erano convinti di sapere e di essere portatori di nuovo sapere . In realtà il sapere ( pochissimo e soltanto settario ) dei sessantottini era anch ' esso un retaggio del passato e non nasceva per nulla dal loro cervello . Nella sua parte rispettabile ( e quindi prescindendo dalle puerili Bibbie di Mao , del Che e di Gheddafi ) quei giovani ripetevano , con Marx , Marcuse e la Scuola di Francoforte , il percorso della dissoluzione della filosofia hegeliana . Raymond Aron ( a proposito , chi era ? ) scrisse del Sessantotto che si trattava di una « rivoluzione introvabile » . Io ho scritto che era una « rivoluzione del nulla » , nel senso che si alimentava di vuoto e creava vuoto . Passata la vampata , del Sessantotto è restata solo la pars destruens : il messaggio anticulturale - il rifiuto della cultura come patrimonio di millenni di sapere - e il messaggio antielitista . Che resta , ad oggi , il distintivo del sessantottino . Per Mario Capanna gli anni della rivoluzione studentesca furono « formidabili » . Certo , formidabili per lui e per i molti , troppi , che ne hanno ricavato rendite di rivoluzione . Ma nient ' affatto formidabili per chi si aggira tra le rovine della scuola prodotte dalla cultura dell ' anticultura . È sempre vero , probabilmente , che in ogni epoca il numero degli stolti è infinito . Ma una cultura dominata da stolti e intrisa di stoltezza antielitista è un inedito . Qualcuno ha detto che « l ' ignoranza è sempre pronta ad ammirarsi » . Difatti mi aspetto , per il trentennio del Sessantotto , una travolgente valanga di autoincensamenti .
Ma l'ispettore Derrick è TV di qualità? ( Sartori Giovanni , 1999 )
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Di recente Alberto Ronchey è tornato alla carica sulla nostra « televisione senza qualità » . E anche un consigliere di amministrazione della Rai , Alberto Contri , ha criticato in diverse occasioni il basso livello culturale e di qualità del nostro servizio televisivo . Il direttore generale della Rai , Celli , risponde con statistiche che proverebbero , a suo dire , che la Rai offre più « servizio pubblico » di altre reti europee . Qualche volta rispondere con statistiche è rispondere . Ma le statistiche di Celli appartengono all ' aria fritta . Sapere che ai tg è stato dedicato il 13 per cento , alla cultura il 25 per cento e agli approfondimenti il 14 per cento del tempo Rai è una presa in giro . Per esempio , se il contenuto informativo serio e di interesse pubblico dei nostri tg è zero , 1.300 ore di trasmissione tg fanno sempre zero . E la voce cultura come viene definita ? Cosa ci viene cacciato dentro ? E a che ora ? Dopo mezzanotte ? Per dibattere di qualità e cultura dobbiamo essere in buona fede . Acchiappare queste nozioni è un po ' come acchiappare un ' anguilla . Chi vuole fare il furbo se la cava sempre . Ma chi non cerca di fare il furbo non produce statistiche che mettono assieme lucertole e coccodrilli e ammette senza cavilli che il livello culturale di un film di Luchino Visconti fa scomparire il livello culturale di un Carlo Verdone . Facciamo un esempio preciso : il genere dei film « gialli » , dei « mistery » . Mi si consentirà che questo genere ha un buon mercato . Eppure Viale Mazzini ci ha propinato senza fine il mediocrissimo ispettore Derrick e ha sempre ignorato i bellissimi mistery inglesi ( dai Poirot impersonati da David Suchet , alla serie dell ' ispettore Morse e altre ) . Mi si risponde che in Italia il mistery inglese non va . Il che vuol soltanto dire , a mio avviso , che la nostra tv ha diseducato il nostro spettatore a livelli da quattro soldi , appunto a livelli Derrick . Comunque , il punto centrale è quello del servizio pubblico . Per Viale Mazzini « pubblico » vuol dire « acchiappare pubblici » , acchiappare il più alto numero possibile di spettatori . Invece no . Un servizio pubblico è tale in quanto serve un interesse pubblico su materie di pubblica rilevanza . E qui il fatto è che i nostri telegiornali ci regalano quasi soltanto una cronaca di nessunissima rilevanza ai fini della formazione di una opinione pubblica . Intanto , il mondo è pressoché sparito ( basta , per dimostrarlo , il confronto con il notiziario delle world news della Bbc ) ; e il resto è tutto in chiave di raccontino lacrimoso mammistico . Se poi l ' obiezione è che un notiziario serio che dà notizie che ci aiutano a capire gli eventi otterrebbe un ascolto del 5 per cento , a questa obiezione rispondo che un 5 per cento che sa qualcosa è pur sempre meglio di un 100 per cento che non sa nulla . Rispondendo ad Alberto Contri il presidente della Rai Zaccaria lo rintuzza così : « sono sorpreso quando un consigliere [...] sventola la bandierina della qualità . Il Cda lavora da un anno e mezzo su questo » . Bene . La Rai cominci a dimostrarlo in sede di qualità dell ' informazione . La qualità in generale è , dicevo , nozione anguillesca . Ma la qualità dell ' informazione può essere misurata al paragone ogni giorno . Servizio pubblico o invece disservizio pubblico ? Finora , disservizio .
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Le obiezioni al disegno di legge del governo sulla disciplina degli spot politici sono parecchie . Le riassume in buona parte Andrea Manzella , che scrive perentoriamente così : « L ' iniziativa del governo non è incostituzionale . È soltanto sbagliata in quattro punti » . Manzella ha ragione sulla incostituzionalità : non c ' è . Ma sul punto principale della sua critica - il primo dei quattro - la tesi sbagliata è , a mio vedere , la tesi di Manzella . A detta del Nostro , la distinzione tra pubblicità e propaganda sulla quale si fonda la disciplina proposta dal governo è una « distinzione impossibile » . Manzella ne è sicuro perché « gli studiosi che si sono occupati della materia ( come Cesare Pinelli e Antonella Sciortino ) avevano avvertito che la distinzione non poteva reggere dato che l ' una e l ' altra forma di comunicazione politica utilizzano le stesse tecniche di persuasione e di semplificazione del linguaggio » . Gli studiosi ? No , « alcuni » studiosi . Vedi caso , tra gli studiosi dell ' argomento ci sono anche io ( me ne occupo , tra l ' altro , nella Enciclopedia del Novecento dell ' Istituto della Enciclopedia Italiana , e dunque in una sede di tutto rispetto ) e la mia tesi , lì e altrove , è che la distinzione tra pubblicità e propaganda è non solo possibile ma anche necessaria . A una persona esperta di mondo e smaliziata come Manzella non dovrebbe sfuggire , tanto per cominciare , che i pubblicitari sono interessati a cancellare la distinzione perché a loro interessa catturare anche il mercato della politica . Per loro sono tanti quattrini , e ai pubblicitari interessano quasi per definizione soltanto i quattrini . E se lei , senatore Manzella , ha mai sentito parlare di conflitto di interessi , allora dovrebbe stare più attento alle tesi « interessate » . Tra le tante differenze tra pubblicità commerciale e propaganda politica mi limito qui a ricordare che la prima vende beni e servizi a dei consumatori i quali , consumando , bene o male si accorgono se un bidone è un bidone . La propaganda politica vende invece promesse ( parole ) o altrimenti persone . Così i consumatori della propaganda comunista sono stati bidonati per settant ' anni , e chi vota ( compra ) Berlusconi non lo può poi mangiare per scoprire se è un buon commestibile . La stessa cosa , senatore Manzella ? No , cose diverse . E ne risulta che il potenziale di imbroglio e di dannosità della propaganda politica è incommensurabilmente maggiore di quello della pubblicità commerciale . Pertanto , strabilio nel leggere che lei raccomanda di « lasciare mano libera [...] ai pubblicitari » , visto che questi ultimi sono « quelli che con il loro mestiere di fantasia riescono a leggere e rivelare molta più politica al mondo di quanto non sia più capace di fare la politica come mestiere » . Poveri noi , e povera politica . Già siamo a livelli bassissimi . Con l ' aiuto di questa raccomandazione è pressoché sicuro che scenderà a livelli ancor più bassi . Comunque sia , l ' argomento di Manzella non regge in punto di logica . In buona logica una distinzione è analiticamente valida se individua una differenza , e non è cancellata dal fatto che la realtà mescola sempre tutto : bene e male , bello e brutto , e anche , appunto , propaganda e pubblicità . Domanda : se nel mondo reale bene e male si mescolano , ne dobbiamo forse ricavare che sono indistinguibili ? Alla stessa stregua , anche se è vero che i pubblicitari riducono la propaganda politica a un quissimile della vendita di un dentifricio , è lecito ricavarne che sono la stessa cosa ? Ovviamente no . Manzella si vanta di essere « strapaesano » ( vedi « Il Foglio » del 31 luglio ) e sbeffeggia i poveretti come me che vanno a cercare ( ma nel mio caso a rifiutare ) le soluzioni « in Australia o in Israele » . A me , confesso , gli strapaesani fanno paura . Se Hitler o Mussolini fossero mai stati in America , forse si sarebbero fermati . Tornando a Manzella , non so se gli spot statunitensi lui li conosca e veda . Mi sembra di no . Perché se li vedesse scoprirebbe qual è la china dello spot politico affidato alla « fantasia rivelatrice » dei maghi della pubblicità . È la china dello spot personale , puramente negativo ed essenzialmente diffamatorio . Un candidato attacca l ' altro dicendo che ha cornificato la moglie , che discrimina contro gli omosessuali ( o viceversa ) e che in gioventù ha sniffato cocaina . A Manzella andrebbe bene così ? Oppure ritiene anche lui che questo tipo di « spottismo » non è solo diverso dalla propaganda politica , ma che ne costituisce una degenerazione inaccettabile ? Il punto che sfugge in questo dibattito è che finora i nostri spot sono stati decorosi , e che sono stati decorosi perché disciplinati dalla legge del 1993 che vietava , nei trenta giorni prima delle elezioni , il ricorso a messaggi emotivi e spettacolari e consentiva soltanto l ' esposizione dei programmi politici . Ma se l ' attacco al disegno di legge del governo andrà a travolgere , come Manzella e altri fanno temere , quei limiti , allora è pressoché sicuro che i mercanti della pubblicità di casa nostra arriveranno lestamente agli spot negativi tipo Usa . Perché nessuno nega che lo spot negativo sia lo spot più efficace . Il punto resta se vogliamo ridurre la politica a un bombardamento di escrementi .
I compagni di piazza ( Scalfari Eugenio , 1970 )
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Milano . La mattina successiva al grande corteo studentesco - popolare che ha fatto sfilare cinquantamila persone per il centro di Milano protestando contro la repressione , ho incontrato lo stato maggiore del movimento studentesco , Mario Capanna , Luca Cafiero e una decina d ' altri che , con compiti di varia natura accuratamente ripartiti , hanno organizzato e diretto la manifestazione del 31 gennaio . S ' erano riuniti a colazione in un ' osteria fuori città , lungo il Naviglio pavese , circondata da una campagna nebbiosa solcata da canali e da lunghi filari di pioppi Quando sono arrivato all ' osteria dell ' appuntamento stavano già mangiando mentre uno di loro leggeva ad alta voce l ' articolo domenicale del " Corriere della Sera " . « Tocca ai partiti democratici » , leggeva il giovane senza mascherare il proprio disaccordo « scongiurare prima che sia troppo tardi la frattura del paese su un tema pretestuoso e inesistente come la repressione . Esso rischia di favorire la collusione tra anarchismo filomaoista e forze del movimento operaio organizzato , proprio la collusione che occorre a tutti i costi impedire » . E tutti gli altri , tra un boccone e l ' altro , commentavano con ironiche espressioni di dissenso . Avevano ancora davanti agli occhi quell ' immenso corteo di tre chilometri della sera prima , con la testa già in piazza del Duomo e la coda ancora davanti all ' università , un fiume disciplinato ma imponente e rabbioso , gremito di striscioni e bandiere rosse , formato da studenti , da militanti comunisti e socialisti , da operai e da solidi borghesi col cappotto buono e il conto in banca ma con la memoria ancora fresca - nonostante i molti anni trascorsi - della loro resistenza sulle colline dell ' oltrepò o in val d ' Ossola . Perciò ridevano allegri , Capanna , Cafiero , Toscano e gli altri loro giovani compagni . perché erano sicuri che quella collusione era già avvenuta e sarebbe durata e , se non avessero , commesso errori , si sarebbe trasformala in una solida alleanza politica , dalla quale finalmente , con pazienza e fatica e tempo ma con certezza , sarebbe nata la rivoluzione . Questi erano i loro discorsi di allegri ragazzi affamati e finalmente rilassati dopo tante ore di tensione quando , sedutomi con loro , dissi : « Dovreste fare un monumento al questore per le botte che v ' ha fatto dare , il 21 gennaio e le settimane precedenti . Senza quelle botte e senza i fascisti radunati a Milano , ieri sera non avreste avuto intorno cinquantamila persone » . Allora ridiventarono seri e gravi , così come li avevo visti il giorno prisma nelle ore di preparazione del corteo e poi in strada in mezzo ai loro compagni e poi ancora , sciolte le file , nell ' aula magna della statale tra migliaia di studenti a fare il bilancio politico di quanto era accaduto . Seri e gravi perché sapevano che la parte più difficile del lavoro che volevano fare cominciava proprio in quel momento . Prima era stata fantasia e rabbia , allegria e socialismo , spavalderia e pensiero di Mito ; ma ora , acquisito il primo grosso successo , subentrava la politica , i problemi della definizione ideologica , la necessità e la scelta delle alleanze . Che cosa era veramente accaduto il giorno prima ? Una festa di popolo , coane avevo sentito dire ad un pittore che marciava accanto a me entusiasta e felice ? I lna " kermesse " democratica ? Un soprassalto antifascista ? O un fatto politico ? E quale ? « Noi abbiano ) un grande vantaggio sui compagni delle altre università . , dice Mario Capanna perché operiamo a Milano . Milano è oggi la capitale dell ' Italia moderna , è una città composita , un calderone dove c ' è tutto e tutto bolle ad alta temperatura . C ' è il capitalismo nelle sue espressioni più avanzate e c ' è la classe operaia con le stie istituzioni più organizzate , c ' è la borghesia reazionaria e quella progressista , la programmazione dei tecnocrati e il tumulto degli immigrati meridionali . In pochi chilometri quadrati sono raccolte tutte le tensioni e i conflitti del paese . Queste tensioni non sono più contenibili nel quadro del sistema . Ciò che è accaduto ieri sera è questo : tutte le tensioni e i conflitti si sono incontrati e catalizzati in un ' azione di massa . Di qui bisogna cominciare per capire quanto è accaduto e quanto bisogna fare d ' ora in poi » . Di qui dunque bisogna cominciar . Ma e dopo ? Il marxismo - leninismo degli studenti della statale può fornire la piattaforma di sintesi per le tensioni che , per dirla come lui , non sono più componibili dentro il quadro del " sistema " ? C ' è un episodio che vale la pena di raccontare perché serve , almeno in parte , a rispondere a queste domande . La sera del il gennaio , quando il corteo si mise in moto da piazza Santo Stefano , il primo grande striscione rosso che apriva la sfilata diceva : " Viva il marxismo - leninismo viva il pensiero di Mao Tse - tung " . All ' altezza di piazza del Duomo però lo striscione di testa era cambiato ; diceva : " II movimento studentesco contro la repressione per l ' unità e per il socialismo " . Uno slogan che unisce Gli organizzatori s ' erano resi conto che il secondo slogan unificava i cinquanta mila dimostranti , consentiva di coinvolgere anche i nuovi , ed insoliti , compagni di strada , anzi di piazza , tutti d ' estrazione professional - impiegatizia , mentre il primo li avrebbe divisi . E avevano rinunciato ari rama caratterizzazione ideologica che pure gli stava molto a cuore ( come spiegarono poi nel corso dell ' assemblea conclusiva all ' università ) per render possibile una manifestazione di massa che aveva predominanti caratteristiche democratiche . « Va bene » , dice Cafiero , « è giusto , un movimento di massa non può identificarsi con una soltanto delle sue componenti . Rimane però il fatto che l ' iniziativa politica , la guida e il punto di raccolta è stata fornita dal movimento studentesco e che intorno ad esso s ' è riunita la coscienza democratica della città . I militanti comunisti erano molti , probabilmente diecimila . S ' erano schierati a metà corteo i ne costituivano una buona parte . Ma non è stato il partito comunista a prendere l ' iniziativa e se l ' avesse fatto dubito che avrebbe raccolto una massa così grande di persone . Di operai ce n ' erano moltissimi , quasi la pietà dei dimostranti erano operai . anche se non erano stati chiamati a raccolta dai sindacati . I socialisti c ' erano , ma non per una chiamata del loro partito . Come si spiega tutto questo ? Eppure il movimento studentesco a Milano non è un generico punto di raccolta , si sa bene a quale ideologia s ' ispira , quali obiettivi politici indica . È un movimento rivoluzionario . Dunque il fatto politico è che attorno ad un movimento rivoluzionario hanno fatto massa forze organizzate o semplici , cittadini che rivoluzionari non sono o che avevano cessato di esserlo » . « Forse stanno scoprendo di esserlo ancora o di esserlo di nuovo » dice Capanna . Difficile stabilirlo . Bisogna riflettere , capire , domandarsi . E non perché , un corteo contro la repressione sia riuscito bene , ma perché numerosi segni avvertono che da molti mesi ormai l ' atmosfera , a sinistra sta cambiando , i sindacati Io hanno capito e sono stati i primi a rinnovarsi . I partiti l ' hanno capito stolto meno e la loro presa e infatti . in netto declino . Non ce n ' e alcuno tra di essi che riuscirebbe oggi a portare in piazza cinquantamila persone e farle marciare per due ore , in pacifico corteo . E soprattutto : non ce n ' è alcuno che susciti entusiasmi , antichi ricordi e fresche speranze . Che stiamo al governo o che stiano all ' opposizione , danno la sensazione di amministrare il potere non per conto del paese ma per conto delle loro burocrazie . Forse sarà un giudizio ingeneroso , ma questo pensa la gente , a sinistra soprattutto . E cerca altri strumenti per far politica . altri punti di raccolta , un modo nuovo per partecipare e pesare sulla vita collettiva . Questa e già , sia pure assai confusamente , una prima maniera di scoprirsi rivoluzionari . È indubbio che l ' insofferenza per le burocrazie , per la vita sociale intesa cono un soffocante e paralizzante dominio delle burocrazie , siano stati gli elementi essenziali che hanno mobilitato in questi mesi le masse degli operai , degli studenti c della borghesia progressista . La protesta contro la repressione è un aspetto di questo sentimento generale . Non si possono denunciare , migliaia di operati per violazione di domicilio sol perché hanno tenuto la loro assemblea in fabbrica , senza che il sentimento generale non si ribelli . C ' erano parecchie migliaia di professionisti , d ' impiegati , di dirigenti d ' azienda la sera del il gennaio , li si distingueva a primo colpo , niente barbe colletto e cravatta , tutt ' al più un cappotto sportivo per non stonare troppo col loro paletot di cammello in mezzo a un fiume di giubbotti e di maglioni . E faceva una certa impressione vederli anche loro scandire slogan dissacranti , come " Giudici , questori , servi dei padroni " oppure " Lo stato borghese si abbatte non si cambia " . Erano lì perché improvvisamente folgorati dal pensiero di Mao ? Non credo . Erano lì perché stavano scoprendo che anche la loro vita , quella , professionale e quella privata e dominata e soffocata dalla " cosa " , come l ' ha chiamata Sartre , cioè dalla burocrazia quella dello stato , quella del partito , quella dell ' associazione professionale , quella dell ' azienda . Si ribellano contro la " cosa " ; la " cosa " creata e mantenuta dal sistema capitalista come farebbero , se vivessero altrove , contro la " cosa " creata e mantenuta dal regime comunista . Nel linguaggio tecnico degli iniziati questo atteggiamento si chiara " spontaneismo " e i miei giovani interlocutori dell ' osteria del Naviglio ne diffidano . Perché con lo spontaneismo non si va molto avanti , ci vuole un approfondimento ideologico , un lavoro organizzativo , uno sbocco politico . Ed è quanto essi si propongono infatti di fare , anzi che hanno gin cominciato a fare . « Col marxismo - leninismo ? » . « Sì , col marxismo - leninismo , ma applicato alle condizioni italiane , cioè di un paese di capitalismo maturo » . Chi sono i suoi alleati « Non s ' è mai visto » , dico , « il marxismo - leninismo applicato ad un paese di capitalismo maturo . Che vuol dire ? Basta quell ' aggiunta per cambiare l ' intera prospettiva . Non vi viene in mente che , in un paese di capitalismo maturo , il marxismo - leninismo potrebbe significare revisionismo e riformismo , cioè tutte quelle linee politiche che voi detestate e condannate ? » » . No , non gli viene in mente . Sono sempre più convinti che lo stato borghese si abbatte ma non si cambia . « Chi lo abbatterà ? » . « La classe operaia » . « Da sola ? In un paese di " capitalismo avanzato " la classe operaia è minoranza , il sistema provvede a disarticolarla ogni giorno , la diversifica in interessi contrastanti , la specializza con mestieri » . « Non da sola . Coi suoi alleati » . « Chi sono i suoi alleati ? » . « I ceti medi proletarizzati » . Cioè , loro stessi , perché questa è la loro condizione sociale . Così almeno essi la sentono e l ' hanno anche scritto in un libretto rosso che tipograficamente ricorda le massime di Mao e che è già stato venduto a decine di migliaia di copie . È intitolato : " La situazione attuale e i compiti politici del movimento studentesco " . Ad un certo punto c ' è scritto : « L ' aspetto principale delle attuali contraddizioni sociali è costituito dalla richiesta - sempre più di massa - di istruzione , di qualificazione e , conseguentemente di impiego e dall ' impossibilità di ottenerli . Il movimento studentesco non è il movimento operaio ; esso è l ' espressione di massa della presa di coscienza politica rivoluzionaria dei ceti medi » . In realtà , forse senza rendersene conto , questi neorivoluzionari fanno appello alla borghesia per abbattere lo stato borghese . Sembra un paradosso , ma finisce di esserlo se lo stato borghese , diventa soltanto uno stato burocratico . In fondo borghesia e classe operaia , tutte le volte che si sono trovate di fronte la " cosa " , hanno sempre marciato insieme .
Il ministro delle allegre Finanze ( Scalfari Eugenio , 1974 )
StampaPeriodica ,
Vorrei occuparmi questa settimana del ruolo avuto dall ' onorevole Emilio Colombo nella storia della finanza italiana . Credo sia giusto parlare già di storia e non di semplice cronaca a proposito dell ' onorevole Colombo : un personaggio che emana autorevolezza ad ogni movimento che fa e ad ogni pensiero che esprime . Colombo è oggi più che mai d ' attualità . Infatti le finanze italiane stanno inesorabilmente affondando ; a causa di molti errori e di vere c proprie colpe commesse dai governi e dai partiti che si sono susseguiti per anni ed anni alla direzione della cosa pubblica . Tra le varie e molteplici responsabilità sarebbe ingiusto addossare a lui un peso esclusivo , ma sarebbe altrettanto ingiusto dar credito al cliché del ministro del Tesoro lungoveggente , solo consapevole del pericolo e solo pronto ad opporvisi . Ahimè , le cose non stanno così . Forse Colombo non merita il titolo di " affondatore " che si sarebbe tentati di attribuirgli ; ma certo la sua gestione finanziaria non si può definir brillante . L ' onorevolc Emilio Colombo appare molto per tempo all ' orizzonte politico italiano , debutta giovanissimo come sottosegretario all ' Agricoltura , si fa luce quale diletto allievo di Antonio Segni e , dopo il piccolo " golpe " della Donius Mariae che detronizza Fanfani nel 1959 , fa già parte dei cinque o sei cavalli di razza del gruppo doroteo . Da allora inizia un ' ascesa ininterrotta nell ' olimpo ministeriale che lo porterà anche , tra il '70 e il '72 , alla presidenza del Consiglio . In quest ' ultima carica ( a detta di lutti ed anche mia che allora ero deputato ) fece malissimo . Ma in queste valutazioni non voglio entrare . Qui interessa discutere il suo ruolo principale , quello cioè di ministro del Tesoro del centro - sinistra , carica che con brevi intervalli ha ricoperto dal giugno 1963 ad oggi . Il suo arrivo al Tesoro coincise con l ' inizio d ' una grave crisi inflazionistica che fu poi domata dalla brusca frenata monetaria della Banca d ' Italia tra l ' ottobre del '63 e il marzo del '64 . Colombo ( va detto ) non aveva alcuna colpa di quella crisi . Va egualmente detto che ebbe poco merito per quanto accadde dopo : se merito ci fu ( e ancora se ne discute tra gli economisti ) esso spetta interamente a Carli e a Baffi che idearono e attuarono la strategia di risanamento della bilancia dei pagamenti . Di Colombo in quell ' occasione va semmai ricordata una grave scorrettezza politica nei confronti del suo collega al Bilancio e dei socialisti , quando , auspice l ' allora suo capo di gabinetto Ferdinando Ventriglia , fu resa nota ai giornali una sua lettera riservata che strumentalizzava alcuni pareri della commissione economica di Bruxelles nei quadro d ' una strategia di terrorismo economico che ben si adattava all ' atmosfera pesante di quella losca primavera . Lasciamo andare , acqua passata . Dominata alla bell ' e meglio la febbre del '63 con la gelata del '64 , si apre per l ' economia italiana una lunga fase di stasi e di declino . Con limitate oscillazioni , quella fase è durata fino al 1972 e Colombo l ' ha gestita . Otto anni , sei dei quali passati al Tesoro e uno e mezzo alla presidenza del Consiglio . Quando arrivò alla Tesoreria trovò una spesa complessiva di 6 mila miliardi e un disavanzo globale nel bilancio di competenza di circa 700 miliardi ; dieci anni dopo ( sempre lui ministro del Tesoro ) la spesa era salita a quasi 24 mila miliardi ( quadruplicata ) e il disavanzo di competenza a 5300 ( otto volte in più ) . I dati del bilancio di cassa sono anche peggiori : nel '63 il ministro del Tesoro trovò un disavanzo di 375 miliardi ; dieci anni dopo il disavanzo era salito a 7.400 miliardi , con un coefficiente di moltiplicazione di venti volte . S ' e poi venuto a sapere che la cifra esatta non è 7.400 ma 9.200 o giù di lì . Il coefficiente di moltiplicazione sale dunque a poco meno che trenta volte . Le cifre del bilancio statale , naturalmente , non rappresentano la verità tutta intera , nel senso che essa è ben peggiore se si prendono in considerazione i disavanzi degli enti locali , quelli degli enti di previdenza , le operazioni di debito della Cassa Depositi e Prestiti e quant ' altro afferisce all ' attività della pubblica amministrazione . Anche facendo il dovuto posto alla svalutazione della moneta e rettificando le cifre in unita di misura costanti , s ' arriva sempre a coefficienti d ' aumento da capogiro . E poiché nel Frattempo le Ferrovie , le Poste , gli ospedali , l ' assistenza delle mutue , l ' industrializzazione del Mezzogiorno , l ' amministrazione della giustizia , l ' insegnamento nelle scuole hanno continuato a peggiorare in quantità e qualità , ci si domanda dove siano finite quelle migliaia e migliaia di miliardi che il ministro del Tesoro ha consentito fossero spesi . La domanda è pertinente e la risposta è questa : quelle somme immense sono servite a mettere in piedi la più gigantesca struttura clientelare che la storia europea abbia mai registrato dalla rivoluzione dell'89 in poi . Le cifre della spesa corrente e del disavanzo di gestione dello Stato hanno scandito per dieci anni l ' avanzata d ' una borghesia di Stato famelica e corrotta , il dissanguamento dell ' area economicamente sana del paese . il declino degli investimenti produttivi . II Tesoro si sostiene ormai soltanto perché obbliga le banche a sottoscrivere i suoi titoli che i privati non accettano più . E su questa montagna di debiti prospera un ' immensa camorra nazionale annidata negli enti , nelle mutue , nei Comuni , negli ospedali , nelle opere pie , nelle industrie decotte , nel parastato . Di quell ' esercito mantenuto dall ' Italia che lavora e produce , il ministro del Tesoro a vita Emilio Colombo è stato l ' intendente . Della finanza italiana , spiace doverlo dire , è stato il becchino .
Mamma Dc non gli ha insegnato a dire 'no' ( Scalfari Eugenio , 1974 )
StampaPeriodica ,
Il 14 agosto , concluso il dibattito parlamentare che ha ridotto i provvedimenti fiscali del governo ad un mantello d ' Arlecchino , il ministro del Tesoro si è incontrato col governatore della Banca d ' Italia ed ha rilasciato un ' intervista al " Corriere della Sera " . Compiuti questi due atti rilevanti è partito , a quanto ci ha informati lo stesso " Corriere " per Madonna di Campiglio per un breve periodo di riposo del quale ( ne siamo tutti convinti ) ha urgente bisogno . Auguri . A settembre verrà il peggio , su questo punto sono tutti concordi : lo dice Carli in un ' intervista a " Panorama " nella quale lamenta che il Tesoro continui a inondare l ' economia con un fiume di spese obbligando la Banca d ' Italia " ad una rincorsa affannosa " per distruggere almeno una parte della liquidità così allegramente e inutilmente creata ; lo dice il ministro del Bilancio Giolitti che prevede mesi terribili ; e lo dice anche Colombo , sia pure con quel linguaggio , ch ' è proprio dell ' uomo autorevole , fatto d ' incisi dentro agli incisi , di doppie virgole a incastro e di parole difficili che finiscono invariabilmente in " one " e in " ento " . Ad un certo punto dell ' intervista il giornalista del " Corriere " chiede al ministro del Tesoro , alludendo all ' articolo da me pubblicato sull ' " Espresso " della settimana scorsa : « Un settimanale le ha mosso l ' accusa di non essersi mai opposto con sufficiente fermezza alle richieste della struttura clientelare dello Stato e d ' essere stato il becchino della finanza italiana . Lei ritiene d ' essere l ' uomo giusto al posto giusto ? » . E Colombo con bella sicurezza : « « A me tocca il dovere di dire se sono convinto d ' aver svolto le pubbliche funzioni che mi sono state affidate in buona fede , onestamente e con il massimo impegno . La mia risposta e da questo punto di vista fermamente positiva . Altro discorso è quello delle condizioni in cui si svolge oggi nel nostro paese l ' attività del ministro del Tesoro . In proposito mi sentirei di aggiungere ben poco al giudizio dell ' onorevole La Malfa . Quanto ai giudizi storici che l ' autore dell ' articolo sul settimanale cui lei fa riferimento pretende di formulare , lascerei stare . Se mai un giorno la storia della finanza italiana dovesse occuparsi della mia attività in questi anni , credo che mi toccherebbero meno righe , ma più serie » . Perché , onorevole Colombo , lascerebbe stare ? Lei dirige la finanza di questo paese da undici anni . La prese che era non dirò florida ma passabile . Ce la restituisce oggi ( anzi non ce la restituisce affatto perché continua a tenersela ) ridotta un colabrodo . E come tutta giustificazione ci viene a raccontare che lei ha lavorato onestamente e col massimo impegno . Vuole un certificato di buona condotta ? E chi glielo negherà ? Ma basta un certificato di buona condotta per fare d ' un deputato di Matera un ministro del Tesoro ? Via , onorevole Colombo , siamo seri : si sta discutendo nientemeno che della bancarotta finanziaria dello Stato italiano . « Lo Stato » , ha detto Carli nell ' intervista a " Panorama " , « non riesce più a collocare i suoi titoli tra il pubblico » . E insiste : « È necessario che il Tesoro metta ordine nei suoi conti di cassa . Se ciò non avverrà è molto difficile che la politica monetaria possa orientarsi in una direzione favorevole allo sviluppo » . Chi fa queste critiche non è il collaboratore d ' un settimanale ma il governatore dell ' Istituto d ' emissione . Gli risponderemo dicendogli che il ministro del Tesoro a vita della Repubblica italiana ha lavorato col massimo impegno ? Che non poteva fare di più ? Che « le condizioni nelle quali ha dovuto operare sono difficili , anzi impossibili » , come ha scritto sull ' " Espresso " l ' onorevole La Malfa ? Vede , onorevole Colombo , La Malfa ha perfettamente ragione ; lei no . La Malfa appartiene ad un partito che conta 10 deputati su 630; lei è uno dei leaders storici d ' un partito di 280 deputati , che da ventisette anni detiene ininterrottamente la presidenza del Consiglio , tutti i ministeri - chiave , tutti i grandi enti economici , le Partecipazioni Statali , l ' intero sistema delle casse di risparmio , i grandi Comuni che affondano in una montagna di debiti , quasi tutti i grandi enti mutualistici e , naturalmente , il Tesoro . Tra la posizione di La Malfa e la sua corre dunque un abisso . La verità è che le impossibili condizioni nelle quali il ministro del Tesoro La Malfa ha dovuto operare per otto mesi lei ha contribuito a crearle in undici anni . Per chi non le ricordasse , faccio l ' elenco di quelle condizioni traendolo appunto dalla lettera indirizzataci da La Malfa la settimana scorsa : 1 . Il ministro del Tesoro è continuamente alle prese con la schiera famelica di tutti gli altri ministri che sollecitano spese sempre maggiori . 2 . È alle prese con 22 commissioni parlamentari che votano leggi e leggine di spesa a getto continuo . 3 . È alle prese coi disavanzi incontrollabili dei Comuni e delle Province . È alle prese coi disavanzi delle aziende autonome e degli enti a partecipazione statale . 5 . Infine è alle prese con le consorterie clientelari del pubblico impiego . « Se il ministro ha coscienza delle proprie responsabilità » , concludeva La Malfa , « resisterà una settimana , un mese , due mesi , alcuni mesi , ma poi o si abbandonerà al fatale corso delle cose o si dimetterà » . Ebbene : lei onorevole Colombo non si è mai dimesso , ché anzi sta lì da undici anni . Ma a differenza di altri , lei aveva il potere politico per rimuovere quelle condizioni , che sono nate e si sono consolidate anche , se non soprattutto , a causa della sua inspiegabile passività e dell ' attivismo famelico del suo partito . Ha preferito abbandonarsi " al fatale corso delle cose " e tutto sommato ci si deve trovare abbastanza bene visto che non se ne tirerebbe fuori per nessuna ragione . Questa essendo la situazione , noi possiamo anche darle il certificato chi buona condotta che lei richiede , ma riconfermiamo che della finanza italiana lei è stato il becchino . Dopo tutto , ci sono anche dei becchini che organizzano col massimo impegno bellissimi funerali .
Sette giorni lunghi un secolo ( Mieli Paolo , 1978 )
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Roma . Seicento secondi , tra le nove e cinque e le nove e quindici di giovedì 16 marzo . E il tempo servito alle Brigate Rosse per uccidere cinque agenti di scorta , rapire il presidente della DC Aldo Moro , far perdere le proprie tracce e assestare un colpo allo stomaco della fragile Repubblica italiana . Senza commettere un solo errore , con una perfezione tecnica che ha prodotto nell ' opinione pubblica un disorientamento forse maggiore di quello causato dal sequestro di Moro in sé . L ' operazione scatta poco prima dell ' alba , in via Brunetti , una piccola strada vicino a piazza del Popolo . Qui un gruppo di « sconosciuti » squarcia le quattro ruote del pulmino appartenente al fioraio Antonio Spiriticchio . Scopo dell ' azione impedire al fioraio di andare , come ogni mattina , a vendere tulipani e mimose all ' angolo tra via Stresa e via Fani . Al suo posto ci sarà uno dei dodici brigatisti ( la donna ) , che farà da palo ai rapitori del presidente democristiano . Altri quattro , travestiti da steward delle linee aeree , si nasconderanno davanti al bar Olivetti , da mesi chiuso perché fallito . Gli altri sette saranno sulle cinque automobili e sulla Honda che subito dopo il fulmineo attacco porteranno i terroristi lontano dal luogo del rapimento . Alle nove e quattro compare in cima a via Fani l ' automobile su cui viaggia Moro , seguita a pochi metri dalla vettura di scorta . Il leader democristiano , diretto alla breve messa mattutina cui assiste ogni giorno , sta sfogliando i giornali seduto sul sedile posteriore . Il suo taccuino prevede una giornata molto importante : alla Camera si discute il varo del governo nato dal suo lento lavorio durato cinquantaquattro giorni . Moro continua a leggere i giornali . La scorta è tranquilla in entrambe le vetture . Dopo qualche attimo le due vetture sono superate dall ' automobile dei brigatisti , targata corpo diplomatico ; questa , appena giunta davanti al bar chiuso frena bruscamente provocando un tamponamento tra la macchina di Moro e quella della scorta . Quel che accade nelle frazioni di secondo successive non è ancora stato ricostruito con precisione ; di certo si sa solo che i brigatisti hanno colpito uno ad uno gli uomini della scorta ( solo un agente è riuscito ad uscire dalla macchina e a sparare tre colpi di pistola prima di essere centrato da un proiettile in fronte ) , afferrano Moro e si dileguano per via Stresa e via Trionfale . Di lì , almeno una parte di loro si dirige in via Belli , una stradina privata per accedere alla quale è necessario tagliare con un tronchese una catenella , poi in via Massimi e infine in via Licinio Calvo , un ' altra piccola strada destinata a passare alla storia come simbolo dell ' inefficienza della polizia italiana . Qui , infatti , alle nove e venticinque del 16 marzo i brigatisti lasciano una sola macchina ; qualche ora dopo ne porteranno un ' altra e due giorni dopo una terza . Il tutto sotto lo sguardo di polizia e autorità inquirenti . Quelle stesse autorità inquirenti che intanto fanno trasmettere per TV 20 foto di « brigatisti » la metà delle quali non sono di brigatisti , due sono della stessa persona e altre due di persone già in prigione da tempo . Ma queste non sono le sole prove di inadeguatezza e smarrimento offerte dagli inquirenti in questa settimana . La mattina di quel giovedì di passione , politici e sindacalisti avevano tenuto i nervi abbastanza saldi . Certo , l ' emozione aveva provocato qualche sbandamento : Carlo Donat Cattin imputava quant ' era accaduto all ' accordo con i comunisti per dar vita al nuovo governo Andreotti , Ugo La Malfa chiedeva l ' introduzione della pena di morte , il senatore Giuseppe Saragat suggeriva di impiegare i paracadutisti nella guerra alle Brigate Rosse , alcuni deputati DC suggerivano al ministro dell ' Interno Francesco Cossiga di dimettersi , altri erano sopraffatti da crisi di pianto . Ma nel complesso la reazione politica ( scioperi e manifestazioni convocati a metà mattina , edizioni straordinarie dei giornali di partito ) era riuscita ad arginare la paura e gli isterismi che si manifestavano qua e là nella popolazione ( accaparramento di generi alimentari e rintanamento nelle case ne erano apparsi i segnali più vistosi ) . La proclamazione dello sciopero generale , ripopolando le piazze , contribuì a sbloccare queste psicosi . Inizialmente nel Partito comunista qualcuno , come Giancarlo Pajetta , aveva giudicato sbagliata la decisione di Lama , Benvenuto e Macario di indire lo sciopero . Ma doveva ricredersi quando alle Botteghe Oscure cominciarono ad arrivare le notizie dalle fabbriche : quasi dappertutto gli operai , spesso prima ancora delle direttive delle confederazioni , avevano incrociato spontaneamente le braccia . Se lo sciopero non fosse stato indetto , si sarebbe verificato un clamoroso caso di scavalcamento . Nel pomeriggio però la classe politica commise i primi errori : il dibattito parlamentare per il precipitoso ( anche se giustificato ) varo del governo fu trasmesso in televisione senza un ' adeguata chiave di lettura , col risultato che buona parte dei telespettatori o si sentivano disorientati , o sospettarono che si trattasse d ' un diversivo dal vero , tragico problema del momento . Lo stesso presidente del Consiglio Giulio Andreotti , forse stremato dalla tensione ( fra l ' esposizione del programma alla Camera e quella al Senato fu costretto a cambiare l ' abito inzuppato dal sudore e fu paralizzato da conati di vomito ) , non offrì ai parlamentari e al pubblico quel che ci si attendeva da lui : un chiaro , esauriente punto sulla situazione . Emozione e urgenza erano comunque buone attenuanti , in quei primi errori . Più tardi , cioè nei giorni immediatamente successivi , non lo potevano più essere . I giorni successivi sono stati occupati da tutti i partiti in un estenuante susseguirsi di vertici che portavano a risultati poco vistosi . Fu senz ' altro una consolazione veder seduti a uno stesso tavolo Berlinguer , Zaccagnini , Craxi , Biasini e Romita . Ma la cosa non produsse effetti di gran rilievo . Lunghe discussioni sull ' eventualità di mettere una taglia da un miliardo sui rapitori di Moro ( si è deciso di no ) , sull ' opportunità di impiegare l ' esercito nella ricerca dei terroristi ( si è deciso di sì , dopo due giorni ) , sulla proclamazione dello stato di pericolo pubblico ( si è deciso di no ) , sull ' istituzione di un fermo di polizia di quattro giorni ( si è deciso di no ) , sul potenziamento delle tecniche e dei mezzi ( si è rimasti nel generico ) . E dopo questa sequela di esclusioni e rinvii quali misure si sono adottate ? Il governo ha riesumato i provvedimenti previsti dall ' accordo del luglio scorso . Nel frattempo la mobilitazione popolare cominciava a venir meno , il transatlantico di Montecitorio iniziava a svuotarsi ( sabato e domenica è rimasto come sempre deserto ) e il sequestro di Moro stava diventando un affare di normale amministrazione . Intanto cominciavano a parlare gli « esegeti » . Qualcuno ( il deputato comunista Antonello Trombadori , il democristiano Andrea Borruso , il neoministro del Lavoro Vincenzo Scotti ) ha intravisto in ciò che è successo alla fine della scorsa settimana quasi una prova generale in vista di un colpo di Stato , nessuno di loro si è avventurato alla ricerca di chi potrebbe tentare oggi un golpe nel nostro paese , « ma bisogna stare ugualmente attenti perché quando lo straordinario diventa ordinario » ha detto Scotti parafrasando un motto di Che Guevara , « qualcuno può tentare un colpo di Stato » . Quasi a suggerire che tra non molto tempo anche il rapimento Moro potrà essere considerato come un fatto ordinario , uno tra i tanti segnali della crisi endemica della società italiana . Se e quando accadrà , quello sarà il segno che l ' Italia è entrata in una di quelle fasi della storia ( come furono la crisi della Repubblica di Weimar in Germania , l ' assassinio di Dollfuss nel '34 in Austria , l ' ondata di terrorismo in Spagna alla metà degli anni Trenta , per non parlare di ciò che è accaduto in quasi tutta l ' America latina tra gli anni Sessanta e l ' inizio degli anni Settanta ) che sfociano nella guerra civile , nel colpo di Stato o in tutti e due . In questo senso è altrettanto sintomatica e inquietante la comparsa a Milano di un primo « squadrone della morte » ( uccisione a freddo di due giovani d ' estrema sinistra a Milano ) . Così come inquietante è il modo con cui stampa , televisione , partiti sembrano sperare che la soluzione dei problemi venuti alla luce col rapimento di Moro possa venire indagando meglio su che tipo di « testina Ibm » abbia battuto il messaggio delle Brigate Rosse , o ispezionando con maggiore accuratezza via Licinio Calvo . Fino a questo momento , non sembra probabile che polizia , o carabinieri , o guardia di finanza , o l ' esercito , o tecnici inviati dalla Germania federale troveranno la « prigione del popolo » in cui l ' onorevole Moro è rinchiuso e « processato » . Se anche ci riuscissero - come tutti sperano - i problemi posti da questo parossistico acutizzarsi della violenza politica in forme nuove e terribilmente efficaci non sarebbero risolti . Andrebbero affrontati con un dibattito approfondito , e un coinvolgimento del paese senza precedenti : prima che l ' adozione di leggi super repressive , imposte dal succedersi degli eventi prima ancora che dalla scelta del Parlamento , appaia come l ' unica via praticabile . Intanto , al processo di Torino , Curcio e suoi amici annunciano il processo ad Aldo Moro , parlando come se fossero i presidenti di un « controtribunale » . E il presidente del tribunale vero , mette a verbale .
Il grande Lama e i piccoli indiani ( Mieli Paolo , 1977 )
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Roma , giovedì 17 febbraio . Passerà alla storia come « quel giovedì grasso del '77» in cui Luciano Lama , segretario del più grande sindacato comunista d ' Europa , fu preso a sassate dagli studenti ultras e costretto a lasciare la cittadella universitaria romana . Quasi sicuramente gli storici che nei prossimi anni si occuperanno di questi fatti lasceranno da parte le polemiche sulle origini materiali degli incidenti ( chi ha dato il primo spintone , la prima bastonata , chi ha tirato il primo sampietrino ? È più grave lanciare sacchetti di vernice sui sindacalisti come hanno fatto gli « indiani metropolitani » o innaffiare col getto di un estintore gli studenti come ha fatto un membro del servizio d ' ordine del PCI ? ) e si dedicheranno alla ricerca delle cause di quello che quasi all ' unanimità e un po ' ingenerosamente è stato definito l ' « errore di Lama » . E cosa diranno di questo errore ? Che è stato generato dalla convinzione di poter riportare l ' ordine nelle università con un misto di forza e di consenso ; che è stato reso possibile dalle false informazioni che il segretario della federazione comunista romana Paolo Ciofi , alcuni sindacalisti della CGIL - scuola , il segretario della Federazione giovanile comunista Massimo D ' Alema avevano trasmesso per quattordici giorni ai vertici del PCI ( « Andrà tutto liscio come l ' olio » aveva detto Ciofi la sera prima degli incidenti ) ; che è stato favorito dalla mancanza di precauzioni « psicologiche » come per esempio incontri tra sindacalisti e rappresentanti degli studenti , diretti ad allentare la tensione : una tensione che aveva raggiunto l ' apice proprio quel giorno ( alcuni lavoratori del PCI avevano forzato il blocco degli occupanti ai cancelli dell ' ateneo e la sera la Camera del Lavoro aveva chiesto la riapertura dell ' università ) . Ma la storia non ammette recriminazioni . I lamenti ( « Perché noi comunisti eravamo tremila e non trentamila ? » ) , le tardive esortazioni ( « È una questione di ordine pubblico : bisognava mandare subito i carabinieri a sgombrare l ' occupazione » gridava Giuliano Ferrara dirigente del PCI torinese ) , i giustificati timori ( « Se Cossiga fa sgombrare adesso l ' università sembrerà però che noi sindacalisti abbiamo bisogno della polizia per far valere le nostre ragioni » ) che quel giovedì nero animavano la discussione davanti alla sede del PCI di via dei Frentani , appena pronunciati venivano già superati dai fatti . Il ministro dell ' Interno aveva immediatamente deciso di sfruttare la situazione per espugnare l ' università e rilanciare la campagna sull ' ordine pubblico , accolta con ovazioni di consenso di tutta la stampa . I giornali , anche quelli che in passato avevano più strizzato l ' occhio al PCI , si rivolgevano al « grande partito della classe operaia » in tono brusco e risentito : « Ma come ? , vi stavamo spalancando le porte del governo nella speranza che riportaste l ' ordine nelle fabbriche e nelle piazze e ora scopriamo che non ne siete capaci » . Lentamente si metteva in moto anche il fronte di quelli che sperano nel ritorno a un governo di centrosinistra : dai democristiani di osservanza fanfaniana ( « Eccoli qui i comunisti di sempre , illiberali e prevaricatori » ) ad alcuni settori del PSI ( un dirigente della Federazione giovanile socialista ha dichiarato in un ' assemblea ad architettura : « Avete ragione voi , la venuta di Lama nell ' università è stata una grave provocazione » ) , erano tutti all ' erta . Il PCI si è sentito alle corde : Lama continuava a ricevere telegrammi di formale solidarietà ma appena chiedeva uno sciopero o almeno una manifestazione di solidarietà che lo riconfermasse leader prestigioso di un grande sindacato , riceveva risposte elusive . Nelle sezioni e nei consigli di fabbrica le spiegazioni ufficiali ( « Quell ' università lì è una Reggio Calabria zeppa di provocatori , fascisti , figli della borghesia agiata » ) erano accolte con sufficienza e in molti casi apertamente discusse ; nelle piazze che il sindacato , per le sue divisioni interne aveva lasciato deserte , non riusciva a riempire , affluivano invece , fin dal sabato , decine di migliaia di studenti inscenandovi manifestazioni che lasciavano poco spazio al teppismo . Conseguenze . Per la prima volta dall ' autunno del '69 , quando fu espulso il gruppo del Manifesto , il PCI è stato percorso da un terremoto interno di discussioni che continueranno per molte settimane . E l ' autocritica che la direzione del PCI si è fatta il 19 febbraio ( « È mancata da parte nostra una piena e immediata comprensione del clima che si era creato nell ' ateneo » ) contribuirà ad alimentare il dibattito . I termini del problema sono semplici . C ' è un partito che si presenta come « partito di lotta e di governo » e che una volta messo alla prova davanti a un movimento di massa è costretto a battere in ritirata fornendo spiegazioni improvvisate e convenzionali ( « È un fenomeno fascista » ha affermato Gianni Cervetti , membro della direzione del PCI davanti agli operai milanesi dell ' Alfa Romeo riuniti a congresso nella sezione Ho Ci - Minh ) . C ' è un sindacato che ha paura di mobilitarsi su temi estranei alla difesa del salario perché non vuole disperdere le sue energie , ma teme anche che , una volta decisa la ritirata su un fronte , ci sia il rischio di diventare vulnerabile anche su tutti gli altri fronti . Cosa accadrà nei prossimi giorni ? Esaminiamo le mosse che presumibilmente faranno i protagonisti di questa vicenda . Il movimento degli studenti . Lo scontro con Lama , per loro , è stato provvidenziale . Nei giorni precedenti quel giovedì grasso il movimento degli studenti aveva conosciuto una fase di stanca tale che l ' avrebbe potuto portare alla dissoluzione . La visita di Lama lo ha rilanciato . Nelle ore di battaglia calda contro il servizio d ' ordine del PCI e del sindacato , contro il senato accademico e la polizia , gli studenti ultras hanno ritrovato l ' unità e la galvanizzazione perdute . Ora si dettano obiettivi « mobilitanti » : « Rioccupiamo appena possibile l ' ateneo e riprendiamo a batterci per gli appelli d ' esame settimanali , per l ' orario a cartellino dei professori , per l ' università aperta il sabato e la domenica , per i corsi serali , per la ristrutturazione dell ' insegnamento » . Ma gli obiettivi reali del movimento non riescono a definirli . Senza questi è probabile che gli studenti conosceranno una seconda impasse . Come fare allora ? Sabato e domenica prossimi gli studenti di tutta Italia si incontreranno a Roma per discuterne . Probabilmente metteranno a punto un programma che le forze politiche dovranno valutare con grande attenzione perché sarà il testo base a cui faranno riferimento i disoccupati intellettuali italiani . Cosa chiederanno ? Nientemeno che il salario generalizzato per tutti coloro che hanno più di diciotto anni . Poi chiederanno , anche , la diminuzione delle ore di lavoro nelle fabbriche e l ' aumento invece di quelle di studio per gli operai . In questo modo sperano che si creino nuovi posti di lavoro . Si tratta in altre parole di trasformare le 150 ore in 500 ore di studio annuali per ogni operaio . Soluzione , com ' è facile arguire , del tutto utopistica . Il Partito comunista italiano . Cosa farà il PCI lo ha annunciato con un articolo sull ' « Unità » Alberto Asor Rosa , l ' unico intellettuale comunista che abbia capito fin dai primi giorni cosa stava succedendo nelle università . « Noi comunisti » afferma Asor Rosa « abbiamo fatto la scelta di difendere un tipo di società in trasformazione al cui centro sta la classe operaia organizzata . Gli studenti sono invece una " seconda società " , che intende scaricare addosso alla società che noi difendiamo un turbine distruttivo . » D ' altra parte , continua Asor Rosa , come possiamo stupircene ? « L ' austerità ha un senso in quanto è rivolta ai settori produttivi della società , ai lavoratori , i quali in quanto produttori e consumatori al tempo stesso possono se vogliono calibrare un rapporto diverso tra questi due aspetti della vita . » Ma chi non lavora , e ha la prospettiva di non lavorare e non guadagnare per anni , come fa a praticare su se stesso l ' austerità ? Come fa a ridurre i consumi chi non consuma niente ? Tra le righe Asor Rosa denuncia l ' assenza di una proposta del PCI nei confronti dei disoccupati . E si può leggere anche un invito alla chiarezza : se il PCI ha deciso di difendere ad oltranza gli occupati lo dica , e non si stupisca poi se i disoccupati reagiscono anche contro di lui . Oltre a questo problema generale c ' è poi la questione più specifica della riforma universitaria . Come può il PCI , dopo aver appoggiato per dieci anni la « scuola liberalizzata e di massa » , favorire adesso la creazione di una università che sforni quadri veramente selezionati da inserire nei gangli del sistema produttivo per rimetterlo in moto ? Qualcuno a mezza voce suggerisce l ' unica risposta possibile : accordare il salario minimo ai disoccupati e ricominciare con la scuola selettiva a partire dalla prossima generazione . Si chiede , cioè , alla società un sacrificio per sostentare la generazione che ha compiuto gli studi tra il 1968 e oggi , in vista di prepararne una culturalmente e professionalmente più attrezzata . Il sindacato . Di quel che farà il sindacato si occupa Sandro Magister nell ' articolo che segue . C ' è però da sottolineare un elemento . Se il PCI decide di seguire i suggerimenti di Asor Rosa e cioè di difendere ad oltranza gli operai occupati , sarà quasi inevitabile che questi entrino in rotta di collisione con i giovani disoccupati . Quel giorno il movimento operaio italiano non si potrà presentare all ' appuntamento con in tasca soltanto l ' accusa di « fascismo » da lanciare contro i senza lavoro arrabbiati . Anche perché può succedere che , nel clima incandescente che si verrebbe a creare , gli stessi operai occupati si uniscano alla battaglia contro « l ' aumento della produttività basato sull ' intensificazione dello sfruttamento » . Non sarebbe la prima volta , nella storia , che un sindacato forte e potente viene travolto sotto il fuoco concentrico del governo , degli industriali , degli operai stanchi e dei disoccupati arrabbiati .
Un naïf in casa Marx ( D'Amico Fedele , 1975 )
StampaPeriodica ,
In un ' edizione per ogni verso superba e , come tutti sanno , con successo grandissimo , la Scala ha presentato al Teatro Lirico 1'«azione scenica » di Luigi Nono Al gran sole carico d ' amore : messa in scena , sotto la bacchetta di Claudio Abbado , da un ' équipe sovietica ( Jurij Ljubimov primo regista e David Borovskij primo scenografo del Teatro alla Taganka di Mosca , Leonid Jakobson coreografo del Kirov di Leningrado ) , solisti di canto Slavska Taskova Paoletti , Kristina Goranceva , Franca Fabbri , Luisella Ciaffi Ricagno , Eleonora Jankovic , Mario Basiola , Federico Davià , Gianni Socci , prima ballerina Rosalia Kovacs , maestri del coro Romano Gandolfi e Vittorio Rosetta . Forse a intendere che cosa questo Nono - Ljubimov sia sarà bene chiarire subito che cosa non è : non è quel messaggio « politico » , anzi marxista , che s ' è preteso . Marxismo salvo errore è critica , analisi dialettica , indagine su perché e percome ; e la politica in genere , qualcosa di simile . Ma da questo ci estromette , qui , già la struttura del testo . La quale , nonostante il sottotitolo , non un ' « azione » ci offre ma un collage d ' interiezioni : un seguito di detti , versi , battute ( di Che Guevara , Brecht , Gramsci , Marx , Lenin , Tania Bunke eccetera ) , a evocare immagini della Comune , di Cuba , Viet Nam , Torino postbellica , Russia 1905 ( accuratamente esclusa restandone beninteso , « nel quadro » d ' un asse Giudecca - Mosca , la Cina ) . Ma immagini , appunto , fotogrammi : con oppressori soltanto oppressori di qua , e oppressi soltanto oppressi di là . Nono , è vero , ha dichiarato di proscrivere la « contrapposizione di personaggi positivi e negativi » quale « elemento di schematizzazione estremamente superficiale » ; ma in pratica tale contrapposizione si riscontra anche in questa sua ultima fatica , che pure estremamente superficiale non è . Nell ' interesse dunque della medesima ci permettiamo di correggerlo : non è necessariamente superficiale , soltanto non è marxista ; piuttosto , riuscirà moralistica , forse sentimentale . Il marxismo non sta nel ridurre il « borghese » a un protervo delinquente bensì nel rivelare la parte , complicata alquanto , che la « borghesia » nel processo della storia sostiene . Il che non vuol dire che alla scena in cui la tuba di Thiers , razzisticamente vilipeso come un disgustoso nanerottolo , è presa a calci da un Bismarck cavalcante una specie di tubo Innocenti , ovvero al sarcastico e coreograficamente geniale ballet noir che la segue , l ' inventore del marxismo non si sarebbe divertito . Perfino superflue vengono poi rese queste considerazioni dalla realizzazione musicale , dove novantanove parole su cento non raggiungono lo spettatore e innumerevoli « voci » , estrapolate come sono da personaggi visibili , risultano materialmente irrelate ad alcunché . Come potrebbe Gramsci farcisi presente se non solo la sua unica battuta non arriva al nostro orecchio , ma il suo fisico personaggio non è in scena ? Pensare che tra i capi d ' accusa di quegli assessori milanesi che volevano interdire il lavoro come propaganda di partito era la presenza di Bandiera rossa ; della quale neppure l ' orecchio supersonico di Abbado potrebbe estrarre , dal groviglio della partitura , le parole né le note . Accertare , all ' inizio , che siamo ai giorni della Comune è già difficile ; ma chi poi , nella donna che dopo le prime incomprensibili battute del coro ne intona un ' altra incomprensibile non meno , ravviserebbe mai quel collegamento tra la Comune e la guerrigliera caduta in Bolivia un secolo dopo che l ' autore asserisce di proporci ? Che ora siffatti ermetismi , questo celare le chiavi d ' un significato in allusioni e antefatti affidati al programma di sala , delle liturgie del negativo praticate dall ' avanguardia d ' oggi siano un elemento indispensabile , è ben noto ; sta nelle regole del loro gioco . Ma con i fini di quest ' avanguardia la ferma tendenza di Nono al positivo e all ' immediatezza agitatoria ha ben poco a che fare . Diversamente da coloro , Nono è ciò che appare : stavolta dunque , è il combinato disposto tra ciò che la musica e lo spettacolo sensibilmente ci esibiscono ; ritraendosi le Tanie , i Viet Nam , gli assalti al Moncada , in una nebbia di ipotetiche allusioni . Laddove l ' assunto generale non è nebuloso affatto , consistendo in una serie di variazioni su un tema ben elementare : la povertà insorge contro il potere , ne è brutalmente repressa , piange la sconfitta , torna ad insorgere , è di nuovo conculcata e così via . Allo spettacolo sono affidate le variazioni ; che la fantasia e la scenotecnica di Ljubimov centrano come più icasticamente non si potrebbe . Alla musica invece il tema , l ' invariante , l ' « ostinato » ; ch ' essa fornisce , al suo modo naif , benissimo . Conta infatti , questa musica , su pochissime corde , ognuna tesa a una sua funzione , e immutabile da cima a fondo . Così la « repressione » è nell ' orchestra , che a parte moderate truculenze della percussione si fonda ossessivamente sui clusters ( cioè « grappoli » di note cromaticamente adiacenti ) assegnati , di volta in volta , a timbri omogenei ; mentre gli sfrigolii dei nastri elettronici ( realizzati con la collaborazione di Marino Zuccheri ) suggeriscono ovviamente inquietudine , sventura . Alle voci è affidato invece il pianto degli oppressi : nello sfondo alle lacrimanti , in distinte polifonie da ex voto dei cori , in primo piano alle canore volute delle soliste , sfogate su grandi sbalzi di registro fino alla stratosfera dei sovracuti . E in queste appunto è l ' acme espressiva del tutto : perché nell ' idea della donna come verifica « naturale » dell ' umano , dunque nella voce femminile , è l ' ispirazione prima del lavoro ; e perché quei loro arabeschi non sono melodie compiute ma indeterminati aneliti verso la melodia , struggente gemito di prefiche che va lamentando la sua stessa impossibilità di costituirsi in discorso . Giacché ancora una volta la differenza fra Nono e l ' avanguardia « negativa » è qui ; ciò che in coloro è strangolamento del canto , in lui è ingenua tensione a raggiungerlo . Ma stavolta , collocata come pedale a quella lanterna magica , questa tensione significa , nei suoi limiti , più che mai . A meraviglia l ' organica afasia di Nono , questa « infanzia » in cerca della parola , riflette il disarmante candore con cui vittime sprovvedute aspirano ad un riscatto del quale non riescono a configurarsi i termini . E quanto ai clusters . Si pensi all ' abuso che ne fa un Penderecki . Ma quale differenza . Senza dubbio la maestria di Penderecki sta a quella di Nono come dieci a uno . Ma dei suoi arnesi Penderecki usa al modo dell ' industriale che cinicamente sceglie di produrre mitra o medicinali in base a pure considerazioni di mercato . Invece Nono usa i suoi solo in quanto mezzi adatti ad esprimere quel punto esclamativo che è l ' alfa e l ' omega della sua Weltanschauung ; dunque perché , semplicemente , ci crede . Ora appunto questo crederci , questo aver qui creduto , Nono , in quel che faceva , si comunica allo spettatore , lo riscalda e convince . L ' amore di cui questo suo sole è carico non sarà così sublime come ci vanno raccontando , ma è autentico , una verità . Mentre i vari diavoli di Loudon e passioni secondo san Luca son carichi soltanto di ben costrutte menzogne .