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> anno_i:[1970 TO 2000}
La violenza oscura ( Bobbio Norberto , 1984 )
StampaQuotidiana ,
L ' anno finisce nel nostro paese sotto il segno della violenza più abietta . Mi vado sempre più convincendo che la violenza terroristica , specie quella rivolta non contro il personaggio rappresentativo di un potere che si vuole abbattere , ma quella che si scatena contro una folla ignara , scelta a caso , con assoluta indifferenza , sia violenza fine a se stessa . La violenza per la violenza . O per lo meno l ' enorme sproporzione tra il mezzo e il fine è tale che nessuna persona ragionevole riesce a far valere rispetto a tale atto la massima machiavellica del fine che giustifica i mezzi . Questa massima fondamentale dell ' etica politica , e non solamente dell ' etica politica ma di ogni etica che giudica l ' azione , qualsiasi azione , non in base a principi universali ma in base ai risultati , richiede per essere accettata tre condizioni . Primo : non qualsiasi fine giustifica qualsiasi mezzo . Il fine che giustifica il mezzo deve a sua volta essere giustificato . In altre parole , deve essere un fine buono . Ma in base a quale criterio si distinguono i fini buoni dai fini cattivi ? E chi giudica quali sono i fini buoni e i fini cattivi ? La massima machiavellica lascia questo problema completamente aperto . L ' etica dei risultati rinvia all ' etica dei principi in un circolo senza fine . Secondo : il fine deve essere non solo in qualche modo giustificabile ma anche con una certa probabilità raggiungibile . Nel dramma di Camus , I giusti , uno dei protagonisti , il rivoluzionario , proclama : « Noi uccidiamo per costruire un mondo ove più nessuno ucciderà » , applicando la massima secondo cui il fine giustifica i mezzi , e annunciando un fine che non può non essere universalmente riconosciuto come moralmente nobile . Ma la sua compagna lo interrompe : « E se così non fosse ? » Quante volte nella storia è stata compiuta un ' azione moralmente riprovevole con intenzione di perseguire uno scopo nobile , ma poi , « non è stato così » ? Terzo : pure ammesso che il fine sia nobile , il che vuol dire giustificabile con argomenti di carattere etico , e raggiungibile con una certa probabilità , il che vuol dire non arbitrario , non velleitario , non ingenuamente utopistico , i mezzi impiegati debbono essere tali da far presumere in base al senso comune che siano adeguati al fine , e se vengono giudicati in base allo stesso senso comune immorali , siano anche i soli mezzi capaci di ottenere quello scopo e pertanto siano non solo opportuni ma anche rigorosamente necessari . In un atto terroristico come quello compiuto la sera di domenica 23 dicembre , non si ritrova nessuna di queste tre condizioni . Anzitutto qual è il fine ? Impossibile il giudizio sulla bontà o non bontà del fine , se non si sa esattamente quale sia il fine dichiarato o presunto . Generalmente nell ' atto di terrorismo puro il fine non è dichiarato : a differenza del terrorista che colpisce un bersaglio preciso , il terrorista il cui obiettivo è unicamente quello di seminar panico in una folla inerme , può rivendicare il gesto ma non ne rivela mai lo scopo . Per dare un ' apparenza di giustificazione razionale a questa forma di terrorismo si è creduto , dalla strage di piazza Fontana in poi , che un fine più o meno preciso ma reale esistesse ( e in questo senso si può parlare di fine presunto ) e consistesse nella creazione di uno stato di cose cui è stato dato un nome : destabilizzazione . Ma che significa « destabilizzare » ? Si tratta di una delle tante parole del linguaggio politico che , essendo abitualmente usate nella conversazione quotidiana , si finisce di convincersi abbiano un significato preciso , mentre non appena si tenta di definirle ci si accorge che sono mobili , fluide , inafferrabili . Proviamo a intendere per « destabilizzare » il provocare , in una compagine sociale , uno stato di confusione tale da rendere praticamente impossibile il normale funzionamento di un sistema politico qualunque esso sia ( non è detto che solo i regimi democratici possano essere oggetto di un ' azione destabilizzante ) . Ma questo fine è raggiungibile ? Che una strage anche grandissima , in un solo punto del territorio nazionale , specie quando si tratti di un territorio vasto come quello italiano , possa avere conseguenze tali da creare le condizioni per un rivolgimento capace di mutare radicalmente lo stato di cose vigente , è poco credibile . Del resto le stragi sinora compiute non hanno avuto altro esito che quello di seminare panico , sollevare indignazione , provocare lutti le cui conseguenze private sono infinitamente superiori a quelle pubbliche e politiche . Il corso degli eventi sarebbe stato diverso nel nostro paese se le stragi non fossero avvenute ? Avremmo avuto governi più stabili , politici meno discussi , maggiore o minore inflazione , maggiore o minore disoccupazione ? Non dovrebbe essere allora altrettanto destabilizzante un terremoto ? In un naufragio non muoiono altrettante vittime innocenti ? Ma se il raggiungimento del fine , anche di quello presunto , è poco probabile , non si dovrà dedurre che i mezzi ( mi riferisco alla terza condizione ) sono di per sé palesemente inadeguati ? Le interpretazioni possibili di una simile azione sono due : o l ' attore è irrazionale oppure il mezzo si è convertito nel fine , non ha un fine perché è esso stesso il fine . Riguardo all ' azione del terrorismo puro , io propendo per questa seconda interpretazione . L ' unico fine della strage è la strage . So benissimo di correre sul filo del paradosso . Ma cerco di far capire e di capire io stesso che vi sono azioni umane di fronte alle quali si può parlare di malvagità assoluta . Se è vero , come io credo sia vero , che la moralità assoluta consista nel fare il bene con nessun altro scopo che quello di fare il bene , disinteressatamente , la immoralità assoluta dovrà consistere nel compiere un ' azione malvagia con nessun altro scopo che quello di fare il male . Il terrorista che fa esplodere la bomba in un treno è perfettamente consapevole del fatto che le vittime designate sono innocenti . Non sono neppure suoi nemici . Non sono neppure capri espiatori di un rito propiziatorio compiuto per placare un dio irato . Sono cose vili , oggetti di nessun conto ( e per questo l ' uno vale l ' altro ) , la cui distruzione egli affida al caso per mostrare la sua cieca volontà di potenza , la sua radicale indifferenza ad ogni fine che la trascenda .
La catena dei violenti ( Bobbio Norberto , 1986 )
StampaQuotidiana ,
L ' impresa militare americana contro la Libia , presentata e giustificata come una risposta legittima a un atto di terrorismo , solleva ancora una volta l ' eterno problema del rapporto fra la morale comune o il diritto , suo fratello minore , e la violenza . Eterno , perché non mai risolto e probabilmente insolubile , se è vero , e io credo sia vero , quel che diceva Machiavelli : gli uomini « hanno ed ebbero sempre le stesse passioni » , ed è quindi naturale che ne derivino gli stessi effetti . La morale comune e il diritto , suo fratello minore , condannano in linea di principio la violenza e ammettono che l ' unica violenza legittima sia quella che risponde alla violenza dell ' altro , almeno in date circostanze , quando non è possibile diversa risposta . Detto altrimenti , la violenza di un soggetto , individuo o gruppo che sia , in linea di principio illecita , diventa lecita quando in una data situazione rappresenta il solo rimedio possibile alla violenza dell ' altro . Illecita è la violenza dell ' aggressore , o originaria , lecita la violenza di chi si difende , o derivata . Ma in un sistema in cui non esiste un giudice imparziale al di sopra delle parti , o se esiste non è tenuto in alcun conto , come accade nel sistema dei rapporti internazionali , chi decide quale sia la violenza originaria e quale quella derivata ? A questa domanda non è difficile dare una risposta sulla base della lezione dei fatti : la violenza originaria è sempre , per ognuno dei due contendenti , quella dell ' altro . Anche nel caso che l ' aggressione sia venuta palesemente da una delle parti : basta considerare l ' aggressione come una reazione preventiva a una violenza minacciata . Gli americani bombardano Tripoli per ritorsione contro la bomba di Berlino attribuita a Gheddafi come mandante . In tal modo la loro violenza viene giustificata come derivata . Ma il terrorista non si trova affatto in imbarazzo a replicare ( ed è infatti un suo argomento abituale ) che il terrorismo è l ' unico atto di guerra consentito ai piccoli contro i grandi ed è quindi l ' unica reazione possibile , ancorché spietata ( ma se non fosse spietata non sarebbe una risposta efficace ) , alla prepotenza di chi esercita ingiustamente ( almeno a suo giudizio ) un enorme potere . Dunque anche la sua violenza non è , dal suo punto di vista , originaria . Provate a cercare la violenza originaria , la violenza che in quanto originaria sia da considerarsi sicuramente illecita . Non la troverete . E non la trovate , non già perché non ci possa essere , ma perché nessuno dei due contendenti ammetterà mai che originaria sia la propria , derivata l ' altrui . E un giudice esterno , e presumibilmente imparziale , nel sistema internazionale non esiste . Esiste la pubblica opinione ma , come tutti possono constatare leggendo i giornali in questi giorni , è divisa . Ed è divisa anche perché non è in grado di conoscere esattamente le cose , come potrebbe conoscerle un giudice dopo aver esaminato tutti i pro e tutti i contro , e dopo aver avuto accesso a tutte le prove addotte da una parte e dall ' altra . Pur non dubitando della correttezza del governo americano , sta di fatto che , nel nostro caso , le prove vengono da una sola delle parti in causa . Quel che è peggio , siccome ogni atto violento per giustificarsi deve rinviare a un atto violento precedente , lo stato di violenza una volta cominciato ( anche se non si sa quando e per colpa di chi sia davvero cominciato ) è destinato a continuare . E nel continuare , la violenza cresce di intensità e di estensione . Avviene quel fenomeno che si chiama « spirale » della violenza . Avviene per una ragione molto semplice : come si legge in un altro grande scrittore politico del passato , è naturale che chi è giudice nella propria causa sia indotto o dall ' « indole cattiva » o dalle « passioni » o dallo « spirito di vendetta » ad andare troppo oltre nella reazione e a commettere a sua volta , anche nel caso che la sua risposta sia legittima , un ' ingiustizia . Se la reazione contenuta nei limiti dell ' entità dell ' offesa è una violenza derivata , per quella parte in cui eccede questi limiti diventa originaria . In quanto originaria , può provocare una ritorsione che diventa a sua volta derivata e quindi legittima . Anche il diritto penale interno stabilisce che nella legittima difesa la reazione deve essere proporzionata all ' offesa . Ma nei rapporti fra due nemici che non riconoscono al di sopra di loro un potere comune , chi decide se questa proporzione vi sia stata ? Siccome ancora una volta ognuno dei due contendenti darà probabilmente un giudizio opposto , considerando proporzionata la propria difesa , sproporzionata quella dell ' altro , sorgeranno di nuovo ottime ragioni da parte di entrambi per aggiungere nuovi anelli alla catena . Generalmente questa catena termina in un solo modo : con la sconfitta definitiva di una delle parti . Con la vittoria del più forte . Poiché non si è potuto fare in modo che quel che è giusto sia forte , diceva Pascal , si è fatto in modo che quel che è forte sia giusto . Credo che non sarà diversa la conclusione dell ' attuale conflitto . Le azioni politiche si giudicano dai risultati . La legge morale non c ' entra . Il giudizio sulle azioni politiche non le appartiene . Reagan lo ha detto più volte : il suo scopo è quello di reprimere e sopprimere , alla lunga , il terrorismo medio - orientale . Rispetto a questo unico metro di giudizio della sua azione , è troppo presto per emettere un verdetto . Se vi sarà una recrudescenza del terrorismo , si dirà che ha avuto torto . Se si attenuerà o cesserà del tutto , si dirà che ha avuto ragione . Indipendentemente dal fatto che la reazione sia stata proporzionata all ' offesa , ossia da ogni considerazione di principio . Il fine giustifica i mezzi . Ancora Machiavelli : faccia un principe in modo di vincere e i mezzi « saranno sempre giudicati onorevoli e da ciascuno lodati » .
È lecito uccidere il tiranno? ( Bobbio Norberto , 1986 )
StampaQuotidiana ,
È lecito uccidere il tiranno ? Era naturale che dopo l ' attentato a Pinochet si riproponesse ancora una volta , anche in Italia , l ' eterna domanda . Se la sono posta in questi giorni , tra gli altri , Rossana Rossanda sul « Manifesto » rispondendo di sì ma sollevando i dubbi di Adriano Sofri , e di Mieli sulla « Stampa » e di Giuliano Zincone sul « Corriere della Sera » . Il problema è vecchio e le diverse possibili soluzioni altrettanto . Per fare qualche esempio , in un ' epoca in cui le guerre di religione avevano favorito la nascita di dottrine che predicavano il tirannicidio , Hobbes collocava la massima « E lecito uccidere il tiranno » fra le teorie sediziose che in uno Stato ben ordinato avrebbero dovuto essere proibite ( nella repubblica hobbesiana l ' articolo di Rossana Rossanda sarebbe stato censurato , e l ' autore forse messo in prigione ) . Nell ' età della rivoluzione francese , in cui venivano celebrati in cattedrale feste e riti in onore di Bruto , Kant affermò che chiunque avesse anche il minimo senso dei diritti dell ' umanità non poteva non essere scosso da un « brivido d ' orrore » di fronte all ' esecuzione solenne di Carlo I in Inghilterra e di Luigi XVI in Francia . Come tutti i problemi morali , anche il problema della liceità del tirannicidio non è di facile soluzione . Anzi , non ha una soluzione che possa essere data e accolta una volta per sempre , perché ogni caso è diverso da tutti gli altri . La soluzione dipende dalle circostanze di luogo e di tempo , dalla persona contro cui l ' atto si dirige , dalle persone che lo compiono , dalla gravità delle colpe e dalla impossibilità di ricorrere ad altri rimedi . Avevano ragione o torto i cospiratori del 20 luglio 1944 nel tentare di uccidere Hitler ? Aveva le stesse ragioni l ' anarchico Bresci nell ' uccidere Umberto I ? Basta porre queste due domande , e se ne potrebbero porre infinite altre analoghe , per rendersi conto che sotto il nome generico di attentato , o di atto terroristico , si celano eventi totalmente diversi , che non possono essere giudicati con lo stesso metro . Il primo aveva un intento prevalentemente liberatorio , il secondo essenzialmente punitivo . Il problema è reso più complesso dal fatto che la stessa azione può essere sempre giudicata con due criteri diversi : o in base a regole precostituite che debbono essere osservate o in base ai risultati che si ritiene debbano essere raggiunti . I due giudizi non coincidono quasi mai : osservando le buone regole spesso si ottengono cattivi risultati ; cercando di ottenere buoni risultati , molte buone regole vengono coscientemente e tranquillamente calpestate . Se si giudica l ' attentato in base alle regole precostituite , è evidente che esso contravviene alla norma « Non uccidere » , che è una delle leggi fondamentali della morale di ogni popolo e in ogni tempo . Come tale dovrebbe essere condannato . Ma non vi è regola senza eccezione . Non è lecito uccidere il nemico in una guerra giusta ? Non è sempre stata riconosciuta come guerra giusta la guerra di difesa ? Non può allora essere estesa al tiranno considerato come nemico interno l ' eccezione prevista per il nemico esterno ? Sennonché , come in guerra l ' eccezione vien meno di fronte alle popolazioni civili , così l ' attentatore dovrebbe colpire soltanto il tiranno e risparmiare le persone , la scorta o i familiari , che si trovino accanto a lui . Ma oggi questa condizione è sempre più difficile da rispettare per il tipo di armi impiegato , come ha dimostrato l ' uccisione di alcune guardie del corpo nell ' attentato a Pinochet . Ciò rende la liceità del tirannicidio , giudicandola in base agli argomenti della filosofia pubblica tradizionale , sempre più problematica . Nel dramma I giusti , di Camus , il congiurato cui è stato affidato il compito di uccidere il Gran Duca torna senza aver eseguito l ' ordine perché sulla carrozza erano seduti accanto al personaggio due piccoli nipoti . Quando uno dei compagni lo rimprovera : « L ' Organizzazione ti aveva comandato di uccidere il Gran Duca » , risponde : « E ' vero , ma non mi aveva comandato di assassinare dei bambini » . Partendo dal punto di vista dei risultati , il giudizio non diventa né più facile né più limpido . Anzitutto il risultato deve essere se non certo altamente probabile . Non c ' è dubbio che nel caso dell ' attentato al generale cileno il non raggiungimento del risultato abbia contribuito a rafforzare il potere del dittatore sia nei riguardi di tutti quei cittadini ( e sono ancora molti ) che sarebbero disposti a liberarsi dalla dittatura in cambio di una democrazia moderata ma non a cambiare il regime di Pinochet con un regime comunista , sia nei riguardi degli Stati Uniti , che abbandoneranno del tutto il generale solamente quando saranno sicuri che al suo posto invece di un governo democratico all ' americana non venga istituito un governo guidato dal partito comunista . In secondo luogo , si deve prevedere che il risultato non solo sia perseguibile con un alto grado di probabilità , ma che , se raggiunto , sia tale da non lasciar adito a dubbi sulla sua convenienza o opportunità , nel senso che , messi sui due piatti della bilancia il male necessario ( nell ' uso di certi mezzi ) e il bene possibile , il secondo prevalga . Inutile dire quanto questa soluzione sia difficile . Nel caso dell ' attentato a Giovanni Gentile ( so di toccare un tasto dolente ) la sproporzione tra la morte di un uomo e le conseguenze che questa morte poteva avere sulla condotta della guerra era tale da renderci oggi molto dubbiosi sulla saggezza di quell ' atto ( anche se devo confessare che allora non mi ero posto il problema nello stesso modo ) . Nel caso dell ' attentato a Pinochet sospendo il giudizio : mi parrebbe di commettere un atto di prevaricazione nel sostituire la mia opinione a quella di coloro che vivono dentro a quella situazione . Durante l ' occupazione tedesca , quando assistevamo alla tortura e alla morte di tanti nostri compagni , come avrei giudicato un attentato a Mussolini ? Un uomo dell ' altezza morale di Calamandrei alla notizia della morte di Mussolini trascrive sul suo diario , unico commento all ' episodio , il famoso cantico di Alceo : « Ora bisogna bere ; I ubriacarsi bisogna ; I ora che Mirsilo è morto » . Completamente diverso e più semplice il giudizio sugli atti di terrorismo indiscriminati , come le stragi alla stazione di Bologna , nella sinagoga di Istanbul , nel grande magazzino di rue de Rennes . Prova ne sia che , mentre di fronte all ' attentato al dittatore cileno c ' interroghiamo sulla sua liceità , di fronte a quelle stragi restiamo inorriditi , incapaci di dare , nonché una giustificazione , una qualsiasi plausibile spiegazione .
La logica del terrorismo ( Bobbio Norberto , 1985 )
StampaQuotidiana ,
Ogni atto terroristico suscita un acceso e quasi sempre inconcludente dibattito circa i suoi scopi e i suoi effetti . Il dibattito nasce dal fatto che di ogni atto terroristico , sia di quello indiscriminato sia di quello rivolto verso un obiettivo specifico , è estremamente difficile stabilire gli scopi . Ed è estremamente difficile stabilirne gli scopi perché non è facile prevederne gli effetti . L ' assassinio del prof. Tarantelli è stato immediatamente collegato alla campagna in corso pro e contro il referendum . Ma a guardar bene questo collegamento è stato fatto nei modi più diversi . I problemi connessi col referendum sono due : a ) se si debba svolgere , secondo l ' indicazione della Corte costituzionale , o debba essere evitato ; b ) se una volta che sia stato deciso di lasciarlo svolgere , quale delle due parti in contrasto lo vincerà . Ebbene , rispetto a entrambi i problemi , credo che nessuno sia in grado di prevedere esattamente se l ' assassinio del prof. Tarantelli avrà delle conseguenze e quali saranno . Rispetto al primo problema l ' assassinio è destinato a favorire coloro che il nodo della scala mobile preferiscono tagliarlo con il ricorso al voto popolare oppure coloro che preferiscono scioglierlo attraverso un compromesso fra le parti in cui non dovrebbero esservi né vincitori né vinti ? Rispetto al secondo , questo « sangue » è destinato a far aumentare i voti del « sì » oppure i voti contrari ? Posto il problema degli scopi e degli effetti di questo nuovo atto di terrorismo , e non si vede come possa essere posto altrimenti , si capisce subito che le risposte possibili sono molte , e anche opposte fra loro . Di fatto , a giudicare dalla polemica subito sorta fra uomini politici delle diverse parti , ognuno dà una interpretazione diversa secondo il proprio punto di vista . Ciò dimostra ancora una volta che la logica dell ' atto terroristico non può essere giudicata alla stregua della logica dell ' azione politica comune , che mette in diretta connessione il mezzo col fine , e che di fronte a un ' azione in cui non riesce a cogliere il nesso mezzo - fine è tentata di considerarla irrazionale ( o folle ) . Una delle ragioni per cui è così difficile dare un giudizio politico su un atto di terrorismo è che ci si sofferma troppo poco sul suo aspetto meramente punitivo o vendicativo . Il terrorista è o crede di essere , prima di tutto , un giustiziere . Ciò che per noi che ci mettiamo dal punto di vista dell ' ordinamento delle leggi dello Stato è un assassinio , per il terrorista che non accetta l ' ordinamento dello Stato , che considera lo Stato il principale nemico da abbattere , è una condanna a morte . Di un atto di giustizia è perfettamente inutile cercare quali siano gli scopi e gli effetti ulteriori . In un atto di giustizia lo scopo dell ' atto che è il rendere giustizia , è intrinseco all ' atto stesso . L ' atto di giustizia non pone alcuna domanda che vada al di là dell ' atto perché è esso stesso una risposta , ed è una risposta che chiude un ciclo di azioni e reazioni , e non ne apre uno nuovo . Che ogni atto di giustizia , soprattutto poi quando è così spietato , possa avere anche lo scopo di costituire un atto d ' intimidazione e di avvertimento nei riguardi di futuri colpevoli , non si può escludere , sebbene uno scopo di questo genere sia molto più evidente nella giustizia di un ' istituzione regolata da norme generali e astratte com ' è l ' ordinamento giuridico dello Stato che in quella di un gruppo terroristico la cui organizzazione è labile , discontinua , e la cui azione futura è molto più incerta . Ma in ogni caso l ' eventuale effetto rispetto ad azioni future è secondario rispetto a quello primario ed essenziale della punizione di azioni passate . Ha dunque ben poco senso cercare una giustificazione politica di un atto che essendo compiuto come un atto di giustizia trova la propria giustificazione in se stesso , cioè esclusivamente nel fatto di essere un atto di giustizia , e che in quanto tale può avere paradossalmente una giustificazione etica ( se pure di un ' etica distorta ) e non ha niente a che fare con la politica . A questa prima osservazione se ne collega una seconda , a mio parere più importante . L ' unica cosa che un atto terroristico come l ' assassinio del prof. Tarantelli vuole politicamente dimostrare è che di fronte ai grandi conflitti sociali non vi può essere che un unico modo per risolverli : il ricorso alla violenza . In quanto tale esso è una sfida alla democrazia intesa come l ' insieme delle regole che permettono di risolvere i conflitti senza ricorrere all ' uso della violenza da parte dei gruppi in conflitto fra loro . I modi per risolvere democraticamente , senza ricorrere alla violenza , i conflitti d ' interesse sono principalmente due : la trattativa che conduce a un accordo di compromesso oppure il voto calcolato in base alla regola di maggioranza . Si osservi bene : si tratta dei due metodi attualmente in contrasto per la soluzione della controversia sulla scala mobile , e sui quali è in corso , con esito incerto , la discussione fra le varie parti . Anche da questo punto di vista , a me pare sia perfettamente inutile il litigio sui presunti scopi dell ' assassinio . In quanto esso applica il metodo della violenza in antitesi al metodo democratico essenzialmente non violento , si contrappone contemporaneamente tanto alle pratiche del compromesso che vorrebbero evitare il referendum quanto all ' attuazione del referendum che pretende di risolvere con un voto di maggioranza un conflitto che secondo il terrorista , che ha una idea rivoluzionaria del cambiamento storico , non può essere risolto con nessuno dei rimedi offerti da un governo democratico che voglia rispettare le regole del gioco . Il terrorista dice no tanto al compromesso quanto al referendum , tra i quali non può fare alcuna distinzione dal suo punto di vista . Anche in questo caso il gesto ha un valore puramente dimostrativo e pertanto ha un fine in se stesso , come l ' atto di giustizia , indipendentemente dai suoi effetti . Con questo non si vuol dire che non abbia effetti che vadano ben al di là delle intenzioni degli attori , anche se non sappiamo esattamente quali potranno essere . Ma non è l ' arzigogolare sugli effetti che possa in qualche modo offrirci una ragione dell ' atto , perché l ' atto ha le sue ragioni chiarissime a chi le voglia intendere , indipendentemente da essi . Resta una domanda angosciosa : perché nel nostro paese questa sfida alla democrazia sia più forte che altrove .
La virtù dei deboli ( Bobbio Norberto , 1986 )
StampaQuotidiana ,
Le recenti vicende che stanno travolgendo la popolarità di Ronald Reagan hanno sollevato un vasto dibattito che riguarda non soltanto la persona del presidente ma anche l ' istituzione stessa della presidenza della repubblica degli Stati Uniti , come si è venuta trasformando negli ultimi decenni . Per quanto possa sembrare paradossale , si va dicendo che il presidente degli Stati Uniti è insieme forte e vulnerabile , e addirittura tanto più vulnerabile quanto più forte . Il paradosso consiste nel fatto che la vulnerabilità è di solito considerata caratteristica di un potere debole . Nell ' ultimo saggio scritto prima della morte ( Autoritarismo , fascismo e classi sociali , Il Mulino , Bologna 1975 ) Gino Germani esprimeva il dubbio che i pochi governi democratici nel mondo attuale potessero sopravvivere in un universo di Stati in gran parte non democratici . Egli fondava questo dubbio sulla convinzione che i regimi democratici fossero più vulnerabili sia per ragioni interne - la frammentazione del potere che consente a piccoli gruppi organizzati di inferire colpi mortali alla società costretta per difendersi a violare le sue stesse regole - , sia per ragioni esterne - la crescente e inarrestabile dimensione universale della politica internazionale che avrebbe favorito i regimi autoritari più di quelli democratici . Entrambe le ragioni mettevano in relazione la vulnerabilità delle democrazie con la loro debolezza . Soprattutto per quel che riguarda la politica estera , la stessa tesi è stata sostenuta col solito vigore e furore polemici da Jean - François Revel nel libro Come finiscono le democrazie ( Rizzoli , Milano 1984 ) . Le democrazie sarebbero destinate a finire , e a rappresentare un episodio di breve durata nella storia del mondo , per l ' incapacità di difendersi dal loro grande avversario , il totalitarismo . Questa incapacità sarebbe dovuta in parte ai dissensi interni , in parte all ' eccesso di arrendevolezza di fronte all ' astuto , spietato , antagonista . Anche in questo caso la vulnerabilità è interpretata come il naturale effetto della debolezza . In che senso la vulnerabilità può essere fatta derivare piuttosto dall ' eccesso di forza che dall ' eccesso di debolezza ? La risposta è stata data per secoli dai classici del pensiero politico : tanto più grande il potere dei governanti tanto più forte è la tentazione che essi hanno di abusarne , vale a dire di esercitarlo violando o aggirando le norme stabilite per regolarlo e limitarlo . Tale risposta trova piena conferma nell ' affermazione di uno dei più illustri storici contemporanei degli Stati Uniti , Arthur Schlesinger , che in un ' intervista di questi giorni ha detto : « Gli scandali come il Watergate , oggi l ' Irangate , sono la risposta patologica alla patologia dell ' onnipotenza » . Naturalmente vi sono regimi in cui il potere è forte e insieme invulnerabile . Sono gli Stati dispotici ove chi governa non ha , come diceva Montesquieu , « né leggi né freni » . Vi sono regimi in cui leggi fondamentali esistono ma mancano gli organi di controllo della loro osservanza . Sono le autocrazie preliberali in cui il rispetto delle leggi fondamentali che dovrebbero limitare il potere sovrano è demandato allo stesso detentore di quel potere ( « autocrate » è letteralmente colui che governa se stesso ) . Vi sono infine regimi in cui non solo il potere deve essere sempre esercitato entro i limiti stabiliti da una costituzione formale , e oggi , nella maggior parte dei casi , anche rigida , ma è , o dovrebbe essere , di fatto sottoposto sempre a controlli esterni . Sono gli Stati democratici . Di questi controlli due sono i principali : quello derivato dalla libertà di stampa , che permette la formazione di un ' opinione pubblica ; quello derivato dall ' istituzione della divisione dei poteri da cui nasce il controllo del potere legislativo su quello governativo . Sono due istituti caratteristici dello Stato democratico , di cui siamo debitori alla tradizione del pensiero liberale , che ha avuto negli Stati Uniti una delle sue terre d ' elezione . Secondo la brillante tesi sostenuta recentemente da Michel Walzer , professore di scienze sociali all ' Institute for Advanced Studies di Princeton , lo spirito del liberalismo consiste nell ' « arte della separazione » , a cominciare dalla separazione dello Stato dalla Chiesa , della sfera privata dalla pubblica , della società civile dal sistema politico , per finire , all ' interno del sistema politico , a quella tra l ' uno e l ' altro dei massimi poteri . Tutte queste separazioni servono , come afferma Walzer , « a prevenire e a combattere l ' uso tirannico del potere » . In base a questa tesi è lecito sostenere che tanto la crisi della presidenza Nixon quanto quella della presidenza Reagan siano nate proprio dalla violazione del principio di separazione , vale a dire dalla pratica costante , e per un certo periodo di tempo incontrollata , della confusione , in primo luogo della confusione fra potere legale e potere personale , ovvero nell ' uso personale del potere legale . Si capisce quindi perché si possa parlare di vulnerabilità a proposito tanto di un governo debole quanto di un governo forte . Ma se ne parla in due sensi diversi . Il primo è vulnerabile per sua natura ; il secondo è tale in un contesto istituzionale in cui anche il supremo potere è limitato da regole giuridiche . Nel primo caso la vulnerabilità è un fatto negativo , e induce chi la denuncia a sostenere che la democrazia è impraticabile . Nel secondo è un fatto positivo , ed è anzi la riprova che i meccanismi di controllo del potere , propri dei regimi democratici , sono entrati , se pur talora tardivamente , in azione . Nel primo caso è un difetto , nel secondo il rimedio a un difetto . Un rimedio che dimostra se mai quanto sia difficile il pieno rispetto delle regole democratiche nei rapporti internazionali , in un sistema in cui la maggior parte degli Stati non sono democratici ed è esso stesso solo apparentemente democratico , in realtà ingovernabile . Sino a che uno Stato non democratico vive in una comunità cui appartengono Stati non democratici , ed è essa stessa non democratica , anche il regime degli Stati democratici sarà una democrazia incompiuta . L ' idea del vecchio Kant , per cui la condizione preliminare di una pace perpetua , diversa da quella dei cimiteri , fosse che tutti gli Stati avessero egual forma di governo , la forma repubblicana , quella forma di governo in cui per decidere della guerra occorre l ' assenso dei cittadini , non era il « sogno di un visionario » . Era una previsione fatta nella forma del « se allora » . Purtroppo quel « se » - « se tutti gli Stati fossero repubblicani » - può essere per ora soltanto l ' oggetto di un augurio .
Tentati dalla destra ( Bobbio Norberto , 1982 )
StampaQuotidiana ,
Nel recente convegno sulla nuova destra , svoltosi a Cuneo per iniziativa dell ' Istituto storico della Resistenza , qualcuno ha messo in dubbio che « destra » e « sinistra » siano ancora concetti adeguati a rappresentare le divisioni attuali tra dottrine e movimenti politici . Siamo stati invitati a riflettere sul fatto che da sinistra si riscoprono scrittori di destra , come Cari Schmitt , da destra , in particolare dalla nuova destra reazionaria , scrittori di sinistra come Gramsci . Negli stessi giorni in un ' intervista a « Panorama » Massimo Cacciari , intellettuale di sinistra , dichiarava di rifiutare « quella concezione assiale della politica che prevede una destra e una sinistra , intese come blocchi compatti e specularmente contrapposti » . In realtà questa confusione non è nuova né è senza giustificazione : estrema sinistra ed estrema destra hanno amori diversi ma odi comuni . Uno di questi odi è la democrazia , intesa come il regime in cui le sole decisioni collettive legittime sono quelle prese in base alla regola della maggioranza . Peraltro , le ragioni di questa avversione sono , da una parte e dall ' altra , opposte . Proprio tenendo conto di queste opposte ragioni si riesce ancora a cogliere il principale carattere distintivo dei due schieramenti in cui si divide tradizionalmente l ' universo politico . L ' opposizione consiste in questo : per l ' estrema sinistra la regola di maggioranza , per cui ogni cittadino conta per uno , assicura un ' eguaglianza puramente formale ma non riesce altrettanto bene a promuovere l ' eguaglianza sostanziale ; per l ' estrema destra la stessa regola della maggioranza , pareggiando se pure solo formalmente tutti i cittadini , finisce per disconoscere che gli uomini sono sostanzialmente diseguali . Come si vede , la divisione avviene sul diverso giudizio che l ' una e l ' altra parte danno sull ' eguaglianza e rispettivamente sulla diseguaglianza come ideale da perseguire . Questo diverso giudizio permette di tener ben distinte ideologie che tendono a una maggiore eguaglianza rispetto alla democrazia formale , e che chiamerò egualitarie , e ideologie che chiedono una maggiore diseguaglianza , sempre rispetto alla democrazia formale , e che chiamerò inegualitarie . Si tratta di una distinzione vecchia come il mondo , molto più vecchia della distinzione tra sinistra e destra , che risale alla rivoluzione francese . Ma dacché i due termini di sinistra e destra sono stati introdotti nel linguaggio politico , essi sono sempre stati adoperati per coprire la distinzione tra ideologie egualitarie e inegualitarie . Perciò sinché vi saranno dottrine e movimenti che si contrappongono sulla base del diverso valore dato al principio dell ' eguaglianza , l ' uso dei due termini è non solo legittimo ma utile . Il loro rifiuto è prova o di imperdonabile ignoranza o peggio dell ' illusione di cancellare insieme coi due nomi la realtà che essi designano . La contrapposizione fra egualitari e inegualitari è vecchia quanto il mondo per la semplice ragione che gli uomini sono tanto eguali quanto diseguali : sono eguali in quanto appartengono al genere umano distinto da altri generi come quello degli animali , ma sono diseguali considerati come individui , uno per uno . Le ideologie egualitarie mettono l ' accento soprattutto sull ' appartenenza di tutti gli uomini a un genere comune , quelle inegualitarie sulle osservabili e inconfutabili differenze tra l ' uno e l ' altro individuo . In altre parole , le prime danno più importanza a ciò che ci unisce , le seconde a ciò che ci divide . Tra le tante prove storiche che si possono addurre di questa contrapposizione , mi limito a quella che si può trarre dai due autori considerati a buon diritto i principali ispiratori dei due schieramenti : Rousseau e Nietzsche . Nel suo Discorso sull ' origine delle diseguaglianze fra gli uomini , Rousseau parte dalla considerazione che gli uomini sono nati fondamentalmente eguali ma la civiltà corrotta li ha resi diseguali . Nietzsche , al contrario , parte dalla considerazione che gli uomini sono per natura diseguali e soltanto la civiltà , con la sua morale del gregge , di cui è massimamente responsabile il cristianesimo , e di cui sono manifestazioni al tempo presente la democrazia e il socialismo , li ha resi ingiustamenti eguali . L ' ideale che si può trarre dalla interpretazione rousseauiana del corso storico è quello rivoluzionario dell ' abbattimento delle società storiche fondate sulla diseguaglianza sociale e della instaurazione di una nuova società in cui tutti siano a pari diritto cittadini ; l ' ideale che si può trarre dalla interpretazione nietzscheana , è al contrario quello reazionario della restaurazione di un ordine gerarchico la cui distruzione ha reso possibile il trionfo della quantità , dei « malriusciti » , del branco . Lo stesso Nietzsche ritorna sempre a Rousseau , il suo grande nemico , ogni qualvolta sfoga il proprio furore contro il principio dell ' eguaglianza e contro quell ' avvenimento storico , la rivoluzione francese , che avrebbe cercato di attuarlo : « Quello che odio - una citazione fra mille - è la rousseauiana moralità della rivoluzione francese ... La dottrina dell ' eguaglianza . Ma non c ' è tossico più velenoso ! » Mi si può obiettare che il criterio dell ' eguaglianza non è il solo a permettere di caratterizzare due ideologie opposte . C ' è anche quello della libertà in base al quale si distinguono ideologie libertarie e autoritarie . Rispondo che questo criterio di distinzione serve a distinguere , nell ' ambito della sinistra e della destra , l ' ala estrema dall ' ala moderata . Si può sostenere infatti che le due ali estreme sono autoritarie , quelle moderate libertarie . Di conseguenza , la linea su cui si collocano le diverse ideologie partendo da sinistra e procedendo verso destra si sviluppa attraverso queste quattro aree . All ' estrema sinistra stanno i movimenti che sono insieme egualitari e autoritari : l ' esempio classico è quello dei giacobini e dei loro tardi seguaci , i bolscevichi . Alla sinistra moderata appartengono i movimenti egualitari e libertari , il cui esempio al tempo attuale sono i partiti socialdemocratici che ricoprono una vasta area che si potrebbe chiamare opportunamente di « socialismo liberale » . Seguono i movimenti della destra moderata che sono insieme inegualitari e libertari . Infine c ' è l ' estrema destra in cui si collocano i movimenti che accompagnano l ' autoritarismo alla voglia ( o nostalgia ) di una società ordinata gerarchicamente . Certamente la realtà è più ricca di qualsiasi schema . Ma è sempre meglio uno schema qualsiasi che la confusione mentale da cui possono nascere soltanto comportamenti politicamente aberranti .
La morte recita a Staglieno ( Ceronetti Guido , 1982 )
StampaQuotidiana ,
Staglieno ! Staglieno ! Necropoli senza fi ne , paradiso del necrofilo mentale , giardino accademico dell ' animista ateo ! Staglieno , porto sepolto , sotterraneo , alle spalle della città portuale ! Suo padre , il Père - Lachaise , ha più . misura , è fatto come un regolamento , un ' accademia militare , si è rinchiusa nei suoi viali una società più potente , più compatta , decisa a tenersi tutta per mano e a fare muro contro il tempo sotto il segno del due amanti del Paracleto , Abelardo ed Eloisa , la coppia di intellettuali sepolta in parole nella Patrologia del Migne e in ossa che si baciano e ribaciano sotto il tempietto neogotico di Parigi , ultima loro follia . Al Père - Lachaise , dove si è dissolta la fragilità dei vivi , tiene mirabilmente la forza , l ' energia , la fame di durare , la misteriosa volontà di patema dei morti . Aspettate a dire che la Francia è nella sua amministrazione ; cercate prima nell ' ombelico del Père - Lachaise il segreto della sua forza . Ma Staglieno è più inaspettato , più incredibile , più fantastico . La diga del progetto originario del Barabino , una sobria pianta quadrangolare dominata da un cappellone neoclassico , si rompe presto e il fiume dei morti sommerge la collina , le anime per placarsi pretendono sterminate gallerie , colonnati , boschetti sacri , ambulacri di Dedalo , templi egiziani , e un diluvio , un oceano , un ' atlantide di statue , di bassorilievi , di altorilievi , di busti , di medaglioni , di epigrafi spudorate , di gruppi statuari senza ritegno che raccontino di loro tutto . Staglieno è un ' enorme confessione collettiva , uno dei più grandi spettacoli del teatro della Morte ; si possono passare giorni ( notti , ancora meglio , nascondendosi in qualche cappella ) , settimane intere ad ascoltare quelle tirate , quei monologhi , quei battibecchi su chi ebbe più meriti , su chi ha più ammassato patrimoni celesti , e sempre ti direbbero dell ' insolito , dell ' inaudito sulla nullità , il vuoto , la miseria , la stupidità inarrivabile , l ' assurdità perfetta , la disperazione infinita che i nostri gusci d ' osso nascondono per vomitarli davanti alla faccia del cielo . Le sue voci Se le pietre romaniche cantano , le statue di Staglieno recitano : sono drammi giacosiani , ibseniani , ferrariani , scapigliateschi , verghiani , bracchiani , dannunziani , pirandelliani , labichiani , feidoiani , strindberghiani in una confusione da onde hertziane che s ' incrociano e accavallano , sovraccariche di voci e di rumori . Niente è meno silenzioso , di questo cimitero inesauribilmente sonoro . Il Père - Lachaise è maschio e occidentale . Staglieno è femmina e orientale , come Genova . Ha il disordine , la smania d ' invadere e di straripare con attiva pigrizia , di tutti gli Orienti . I suoi morti sono stati i cittadini orientali di un regno nordico ; cessati i doveri verso il re piemontese , si liberavano di ogni freno in morte . « Irraggia lo splendore orientale / Genova nelle donne dalla testa / Sibillina ... » cantava sotto l ' artiglio del Delfico , Campana . Le sue prodigiose visioni di Genova sono visioni d ' Oriente . Ma non vedremo mai più la Genova orientale campaniana , anche se qualche donna « dalla testa sibillina » , con nei capelli « un po ' d ' alga marina » si può forse incontrarla ancora , nei cortili e nei caruggi . Campana , l ' aedo di Marradi , è il sublime poeta di Genova . Montale è il metafisico del paesaggio ligure : il suo verso , proprio perché di scrittura metafisica , lo assume per disintegrarlo , se ne slega , non lo trattiene . Campana non è metafisico , è un Villon dei porti , un superbo lettore dell ' anima di un porto - Genova . Per girare nel porto , più che del lasciapassare del commissariato , è necessario munirsi dei versi campaniani sulla notte portuale , sul porto che si addormenta : « E ' la forza che dorme , è la tristezza / Inconscia delle cose che saranno / E ' la vita che cullasi nel ritmo / Affaticato » . Tutto è detto ; infelice chi non capisce . Senza marinai Ma quei versi servono soltanto al pensiero e al sogno . Il porto , com ' è oggi , è scoraggiante ... Dal mare e da terra , gli occhi che lo cercano non lo trovano più . Il porto può anche emigrare a Voltri , nel Duemila , o nei fiordi , o in Australia : il porto di Genova non è più . Dov ' è l ' Oriente ? Dov ' è il colore , spia dell ' anima delle cose ? Di notte , dall ' alto , dal largo , il porto è quella curva luminosa che si sfalda in segmenti e puntini tracciata dal compasso del golfo , niente di più banale , se non ti sostiene l ' immaginazione : « Là c ' è il porto » . Prova a cercare un marinaio , laggiù , un vero scaricatore , e balle di mercanzia , o navi piene di gente in lacrime ! Il porto è una immensa gru che nasconde il cielo , le navi sono ferraglia silenziosa , imbottite di containers , quasi mai vedi affacciarsi qualcuno , sono deretani di minerale dove non sembra agitarsi neppure un oxiuro ... Il saluto umano , l ' addio umano , spariti ... I traghetti non sono navi , sono garages ; gli ufficiali avviliti di essere alla testa di equipaggi di camion , di condurre in Sardegna , a Tunisi , a Palermo famiglie di roulottes , tribù di Fiat , di Alfa , di Peugeot , popoli di Michelin , città di Pirelli , cortei di Land Rover , generazioni di trattori , qualche volta con passeggeri sistemati nel cofano , tre o quattro nordafricani , due mezzi genovesi , un magliaro turco , una maestrina di Cagliari , un neonato abbandonato lì dalla madre , fuggita su un ' altra Citroën verso i Pirenei , in tutto così pochi che la Tirrenia non perde tempo a contarli e a fargli pagare il biglietto , né la Finanza a controllarne il bagaglio . Sul ponte , quando le navi partono , si agita una chiave inglese , un pneumatico che non ha voglia di emigrare si sporge triste dal parapetto . Ma dal molo chi gli risponde ? Il braccio di una gru , ma soltanto durante l ' orario sindacale ; mai di domenica . L ' Oriente genovese è da riinventare ... bisogna farlo risorgere dall ' invisibile , andarlo a scoprire nelle Madonnine ( tante Kalì e Annapurne ) ancora sospese ai muri che fatiscono , nelle navi di pietra cariche di balle di pietà cristiana ancora non disertate dagli equipaggi dei devoti ; farlo schizzare fuori dai libri , ascoltarlo in una cadenza dialettale . Credevo di detestare le cadenze liguri : dopo una settimana di immersione nei superstiti odori delle friggitorie di Genova mi penetrava l ' orecchio come una guzla araba , col contrappunto solare di un tamburo semita . In quell ' accento che strapiomba sul mare , dove attira e fa precipitare l ' idea la funerea sirena della u , che si ripete fino al trionfo del sonno in cui dolcemente tutto farà naufragio , c ' è come una tranquillità di contemplativi , un pessimismo ascetico e lontano . Oh perché così presto ? Perché tanto in fretta ? Sappiamo sappiamo che il Tempo mangia la vita , che il Tempo ha fame di tutto e non lascia vivo niente , ma questa metropoli mezzo sudamericana mezzo nordeuropa , sporcata dai gas siderurgici , il porto recintato da una sopraelevata , il cemento che sbaccanaleggia impaziente intorno alle ultime case di Portoria e di piazza Sarzano , luoghi di meraviglie , quadrivii magici , la vergogna dell ' anonimato verticale che soffoca e strazia la sublime distesa delle ardesie - perché tutto d ' un colpo , in pochissimi anni , ha rovesciato l ' Immagine di una città vera , di un mondo autentico , l ' ha sbrindellata , l ' ha dispersa ? Dunque a Staglieno , a Staglieno . Il caos della necropoli ci vendica dell ' Oriente laggiù perduto , dove la melopea campaniana non trova più nella sera ambigua « l ' alito salso umano » , e « nel gorgo di fremiti sordi » l ' odore di stoccafisso e il traballare delle mandòle Staglieno è intatto . La Morte non delude chi l ' ama . ( Almeno un poco : il tanatofobo , se esiste , è un amputato psichico , che non può correre sui sentieri degli elisi ) . Staglieno affascina , ma è il fascino della demenza ... Mi veniva un pensiero terrificante : se davvero dovessero risorgere , e risorgessero così come appaiono nelle sculture , coi loro angeli custodi , i loro cristi di languore , tra lo sgomento degli ultimi viventi , come la terra sopporterebbe il peso di tanto delirio ? Per lo più sono morti in pace , confortati dalla Religione , autorizzati dalla Scienza , tra le lacrime dei Congiunti , dopo vite probe , probissime - perché , in morte , sfogarsi in così scomposti deliri ? Forse perché Staglieno è femmina , un piagnone , anzi una prèfica , isteria che si scatena al contatto del sepolcro , braccia che brancicano , labbra che succhiano , e ha un ' anima di baccante , una febbre dionisiaca nelle vene , proprio lì , a due passi da un Bisagno al di sopra di ogni sospetto . Rachelina , mori a diciannove anni nel 1918 : « Il tuo vergine corpo riposa qui ma l ' anima tua gode coi beati » confessa l ' epigrafe . Su uno , Euterpe piange lacrime di coccodrillo : « Tutto amore per l ' arte che gli fu ispiratrice di elette e profonde armonie ne ritrasse splendida fama ma da quell ' ardore ebbe consunta innanzi tempo la vita » . Un Carlo Orazio « corse Europa e America lasciando ovunque desiderio di sé » , ma non è difficile quando , per correre , non si resta ospiti a lungo . « A Giuseppe Soldi negoziante » ... M ' impressiona un ' Antonietta Noceti « che alla scuola di G . C . imparò l ' eroismo che la tenne sempre serena » per via di quelle due iniziali , che sono quelle del mio povero nome , scritto sull ' acqua piovana . Davvero , alla mia scuola sarebbe possibile imparare uno speciale eroismo che mantiene sempre sereni ? Se fosse così , morrei senza dispiacere , contento della mia . giornata . Quelle porte di marmo , chiuse e semiaperte , presso a cui il Defunto sosta , esitando , incuriosito e atterrito , o è condotto di peso da angeli robusti come infermieri di vecchio manicomio - sono , del fantastico macabro , a Staglieno , uno dei motivi più misteriosi ... Fessurine sulla voragine , aperture sul precipizio , mi attirate morbosamente ... Se non foste di marmo , vi spingerei dolcemente , tentato di guardare ... Nel porticato superiore il monumento più morboso è quello di Raffaele Pienovi , 1879 , dell ' inuguagliabile scultore Villa . Una donzella , più curiosa che disperata , certamente la figlia del Pienovi , solleva leggermente il lenzuolo che copre , elegantemente sgualcito , il caro defunto fin sopra la testa , poggiata su due bei guanciali di malattia . Che cosa vede , la signorina Pienovi ? Ebbe una curiosità simile il marito di Emma Bovary , nella camera mortuaria , lei tutta velata di bianco , tra i ceri lacrimanti : « Lentamente , con la punta delle dita , palpitando , sollevò il velo . Ma gettò un grido d ' orrore … » In un romanzo ci viene detto quel che succede dopo : un grido , e poi il resto della storia ... Ma la sospensione del gruppo statuario è qualcosa d ' immenso , il mistero si chiude inesorabilmente . Il gruppo essendo un poco in alto , il visitatore non vede quel che c ' è sotto il lenzuolo ... Potrebbe non esserci niente ? Non c ' era nessuno ... Sono salito , ho guardato ... Non ho gridato . Non dirò quello che ho visto .
Così Manzoni scacciò Satana ( Ceronetti Guido , 1982 )
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E il demoniaco cominciava a invadere tutto , fino alle lettere e pitture più alte e tragiche , dalla Spagna alla Siberia , da Parigi a Pietroburgo : perché non entra , da Porta Tosa , da Porta Ticinese , per i Navigli e le cloache , o giù per i camini , in Milano ? A Milano , il più grande scrittore italiano del secolo esclude il demoniaco dal suo unico romanzo come dagli altri suoi scritti , dalla sua teologia morale , dalle sue lettere , da ogni espressione del suo pensiero . Neppure Stendhal l ' aveva messo nelle sue storie ; ma Stendhal non era scrittore religioso e teologico , e neppure un allucinato romantico ; Manzoni è scrittore religioso integrale . E ' scrittore cristianissimo , e ancora al suo tempo Satana era l ' avversario di Dio nella vita interiore del credente , viveva nelle crepe metafisiche e nelle notti dei santi ; l ' Anticristo era nel timori e nelle attese del residuo messianismo cattolico : il papa poteva permettersi di nominarlo . In un altro scrittore cristiano integrale , Dostoevskij , l ' intero problema morale è gettato nel crogiuolo del demoniaco e studiato , messo in luce mentre il regno anticristico schiuma , preme , vicino . Manzoni è muto . In Manzoni molte cose sono taciute , non per questo annullate . Avendo con lui una certa pratica quotidiana , potrei tentare uno scandaglio . Manzoni fu un uomo assediato da innumerevoli terrori , non tutti spiegabili con la sua eredità nervosa . Uno dei più sottili tra i suoi terrori era quello di non riuscire a dire , sempre , la verità tutta intera , di non servirla abbastanza ... La verità morale gli appariva sotto tanti aspetti e così complicata da rendergli ogni cosa in cui dovesse impegnarsi per lei un combattimento estenuante . Si può leggere il romanzo anche come un combattimento per la verità , condotto con uno scrupolo smisurato . E poiché tutta la verità per lui si accordava perfettamente con l ' insegnamento della Chiesa , temeva continuamente che un punto gliene sfuggisse , lasciandolo scoperto , come per castigo , sospeso nel vuoto , senza più il braccio soccorritore della religione , sentita inconsciamente più implacabile che pietosa . Non poteva vivere senza quel riparo . C ' è una forte agonia cerebrale , dietro le palpebre socchiuse della sua anima pensosa : una natura predestinata alla lotta con l ' angelo di Dio , nella forma di una correzione spietata , dolorosa , perfino raffinatamente maniacale , del proprio pensiero e di ogni dottrina che contrastasse con la regola celeste che si era imposta . Per Manzoni , quel che non è morale è irrazionale . Anche in un ' ombra leggera , poteva già condannare il crimine d ' irrazionalità . Tutto l ' immaginario manzoniano , che culmina e si esaurisce nel romanzo , non solo si dispone dentro un ordine morale : è questo stesso ordine , figlio e frutto del suo tormento nervoso , etico e spirituale . Tutte le sue creature ricevono umanità dal loro essere animali morali in movimento , frammenti di morale in cerca di verità unificatrice , promessi sposi morali che anelano al matrimonio , ad un ricongiungimento sistematico , per mezzo di prove dolorose che cancellino da loro le tracce del peccato d ' origine . E ' un miracolo che Manzoni abbia saputo farne , tra molti rischi di cadute nell ' edificante ad ogni costo , realtà umane in un respiro di poesia pura . Chiusa l ' epoca del romanzo , ripiglia la sua eterna ricerca morale senza più metafore , ma con uno stile combattente che non vacillerà che al cecidere manus dei suoi ultimi giorni di vigilia sabbatica . Se il demoniaco è assente da questo romanzo del tormento e dell ' Iniziazione morale , devo pensare lo fosse interamente dall ' orizzonte manzoniano ? Mi provo a definire il demoniaco senza disturbare angeli sprofondati né il princeps tenebrarum , lasciandoli però agitarsi al di là del velo concettuale , come enti irreali misteriosamente possibili . Demoniaco è il male che , nell ' esperienza umana , produce pena e disfacimento morale e mentale : la sua dipendenza ( o non può avere questo nome ) da un principio assoluto , pone il problema della prova da parie di Dio che si fa lui stesso l ' Avversario e il persecutore occulto , o del dualismo metafisico ( se esista un principio tenebroso contrario al Bene ) . Demoniaco è il Caos primordiale ( prima e dopo tutti i Big Bangs ) riflesso nel microcosmo umano , che ne è dal giorno di assunzione nella coscienza ( la vera uscita dalla preistoria ! ) come lacerato e minutamente stigmatizzato ; e irrompe violentemente e capillarmente nella pazzia , nel crimine , nella storia , nelle costrizioni mentali ( i mind ' s manacles di Blake ) , nella morte dell ' anima , nell ' incubo , nelle passioni , ed è un fuoco inestinguibile . Ora , dai suoi effetti sovranamente calmanti , e dal suo segreto procedere rituale , si può definire lo stile manzoniano come altissimamente ed eminentemente esorcistico . Né stola , né aspersioni , né formule ... Esorcistico , alla lettera : per cacciare via , per scongiurare ... E oltre questo : esorcistico per Intima volontà demiurgica , uno stile che si elabora per mettere ordine , nel caos morale individuale e nella storta , vissuta come specchio del caos morale , regno del fuoco maledetto . Un partigiano innocente del demoniaco - i grandi romantici lo sono tutti - come Victor Hugo , sguazza felice nel caos della storia , gli scopre addirittura un proprio ordine ( demoniaco ) perfetto , che si configura in un ideale progresso , e arriva a produrre visioni compiaciute ed entusiasmanti , molto più piacevoli delle manzoniane : la Rivoluzione , Waterloo , la Parigi di Luigi XI e di Luigi Filippo ; Manzoni applica alla storia la museruola inflessibile del suo stile esorcistico , obbliga il grande serpente a sputare il suo tossico nel recipiente , mette in guardia il lettore ( il novizio , l ' iniziando ) dalle tentazioni e dalle metamorfosi del mostro . Qualunque cosa dica , in qualunque opera In versi o in prosa , Manzoni pronuncia un preciso scongiuro contro le potenze invisibili del caos , di cui ha una profonda , eterna , non domata paura . Ha i suoi grandi momenti di prova : la guerra dei Trentanni , nello scorcio satirico del romanzo , sottoposta al trattamento magnetico manzoniano , è una gorgona di demenza placata , messa sotto chiave ; e cosi la presa della Bastiglia , nel saggio senile sulla Rivoluzione . Quanto al demoni presenti nelle storie delle unzioni , sappiamo da che parte si trovino . Più sottilmente , si misuri l ' abissalità benefica dello stile manzoniano - tanta da stare alla pari con gli abissi di male che fronteggia - sia nelle magnifiche confutazioni della morale fondata sull ' utilità , che nel giudizio di Robespierre , nel dialogo dell ' Invenzione . Non piglia mai le vie facili : per Manzoni , Robespierre non è per niente un mostro , ma un mistero . Ed ecco definito , con inuguagliabile portata di stile , un uomo che ebbe certamente una parte di demoniaco e ne introdusse nella storia : « Ma un ' astrazione filosofica , una speculazione metafisica , che dominava i pensieri e le deliberazioni di quell ' infelice , spiega , se non m ' inganno , il mistero , e concilia le contraddizioni . Aveva imparato da Giangiacomo Rousseau ... » . Così , eccoci , quasi dostoevschianamente , nel demoniaco dell ' ideologia , il rinnegamento del peccato originale imparato da Rousseau fatto causa della perversione mentale e politica di Robespierre . Sappiamo bene che Sade , Necaev , Lenin , Hitler sono tutti figli di un ' astrazione filosofica . Furet , senza di cut è impossibile decifrare a fondo il fenomeno rivoluzionarlo francese , perfeziona Manzoni : « Robespierre è un profeta ... nessun contemporaneo ha interiorizzato come lui il codice ideologico della rivoluzione » . Ma per Manzoni il demoniaco ( non nominato ) di Robespierre , e di tutta la filosofia dei lumi , è nell ' ignoranza del peccato originale , in un errore metafisico . La folla , manzonianamente , è sempre demoniaca : la esorcizza energicamente con lo stile . L ' amore ... Se non lo lava in chiesa , dove deve « venir comandato e chiamarsi santo » , resta per lui essenzialmente demoniaco . Non basta procreare , riprodurre uomo anzi non è un gran bene ... Manzoni accolse Malthus , quasi unico tra i cattolici , con estremo favore . Ma anche l ' Ordine civile ( l ' autorità , lo Stato , i magistrati ) è Caos . Anche l ' amore represso ( Gertrude ) è Caos . L ' unico personaggio in cui il demoniaco è scritto in faccia in cubitali è il miserabile padre di Gertrude , un distruttore di germogli d ' amore e causa sinistra del futuro comportamento succubamente demoniaco della figlia monacata per forza . La peste , invece , non è demoniaca . La peste , sebbene rompa tutto l ' ordine morale - razionale e spalanchi le porte della città al Caos , è demiurgica e rimedio del male : il suo trionfo introduce addirittura la giustizia provvidenziale tra le leggi umane sconvolte . Manzoni la adopera come estremo e infallibile ricorso esorcistico : i monatti , la folla che lincia untori sono demoni scatenati , ma l ' eccesso del male fa sovrabbondare paolinamente la grazia , e porta al culmine la perfezione dello stile manzoniano scongiuratore e riparatore . Il gallo del lazzaretto canta : i demoni - tutti , meno la vigliaccheria tenace di don Abbondio - spariscono . La giustizia redentrice si manifesta simbolicamente nella pioggia diluviale , che si annuncia al lazzaretto , tra la polvere e i lamenti , come una figura di salvezza , e finalmente investe e inzuppa nella sua corsa solitaria fuori Milano il promesso sposo , significandogli che la prova è superata . Il resto , non è più che il graduale e ordinato spegnersi di una musica . Non si legge Manzoni per divertirsi , ma per bisogno di guarire . Dopo ogni rilettura , si resta imbevuti di calma , come liberati da una crisi isterica , da un ' idea ossessiva , da un possesso diabolico . « Una mano ferma - dice di lui Eugenio D ' Ors in Nuevo glosario - che di tra le ombre si tende verso di noi , e a cui possiamo aggrappare la nostra , nel momento in cui stavamo per scivolare , forse a perderci irremissibilmente » . Certo , Dostoevskij è infinitamente più attuale ; perché è un profeta russo , mentre Manzoni è un poeta italiano , che vide bene la storia come Caos , senza però vedere un futuro in cui il mondo umano , in preda al demoniaco , sarebbe diventato , progressivamente , come una macchina inerte : «...in qualche secolo si può a tal punto mortificare il mondo che dalla disperazione comincerà effettivamente a desiderare di esser morto » ( Taccuini del Demoni ) . Qualcosa d ' insoluto è nella sorte del castello dell ' Innominato , quando da nido insanguinato del delitto si trasforma , in asilo sicuro di afflitti , vigilando dall ' alto ( senza neppure sparare un ' archibugiata : gli basta essere entrato nell ' ordine morale - razionale ) contro il disordine cieco della guerra , che si sfoga e passa nella pianura . La conversione del famoso brigante può avere spiegazioni psicologiche , ma quella del castellaccio e di tutta la sua valle ha ancor più del miracolo , del teatro e della fiaba : perché non è un ' anima d ' uomo , è un simbolo pietrificato del disordine e del male . Un ' insegna , un ' espressione visibile del mondo infero , può così facilmente farsi l ' insegna del Bene sulla stessa altura , la Malanotte cambiarsi nell ' osteria della Buonanotte , i cattivi agire da guardiani e da infermieri conservando le stesse facce ? La grazia della palingenesi morale si estende anche all ' inanimato , al sicari , ai pugnali ? I dubbi di don Abbondio , quando va al castello , testimoniano di una interessante esitazione di Manzoni stesso : è davvero possibile che lassù tutto sia ormai eliso e salvezza ? Se adesso lì spuntasse una amanita falloide , sarebbe commestibile ? Il Male , se veramente esiste come tale , può cambiare natura ? Dietro al povero curato , pauroso cronico , il grande indagatore interroga l ' universo morale , il più difficile del mondi , perplesso .
Tamburi di latta. Fascismo piazze, parole ( Ceronetti Guido , 1994 )
StampaQuotidiana ,
Più che mai il potere delle parole . Sono loro a fare la storia . Ma " fare la storia " anche questo non è che una parola ; se poi si stampa " Storia " con la maiuscola non afferriamo più niente , ma qualcuno rischia di essere afferrato . Il linguaggio non ha fatto vacanza , il 25 aprile 1994 : presidiava le piazze , era il superprefetto di Milano , ha fatto il cuoco e l ' albergatore , l ' infermiere , il regista ; ha avuto una delle sue grandi giornate . Sfogliando i giornali che hanno coperto brillantemente l ' evento , è una fantasmagoria di apparizioni linguistiche rivelatrici a venirti incontro . Un bel fiocco blu è " fascismo telecratico " , i cui genitori sono indubbiamente " telecrazia " e " telefascismo " , Non importa sapere che cosa e se qualcosa gli corrisponda : la parola " è la cosa " . Da uno che grida " aspettatemi , berlusconi " è messo in movimento " berluscone " come ingiuria affettuosa ( a seconda del tono e del destinatario ) . Usi possibili : " Piantala , berluscone ! , " Siete una banda di berlusconi ! " , " Ha una moglie un po ' berluscona " . Buon viaggio . Incantevoli i " collages " surrealisti operati dal caso : il gonfalone dell ' ANPI sventolato accanto a " Lesbiche contro " , gli albanesi nostalgici di Hoxha venuti a salvare dal fascismo la sventurata Italia , la cassetta da elemosine " Per sostenere il programma agroalimentare del governo cubano " che prende i mille e i diecimila dei " Cabarettisti Combattenti " , un ' insegna che da sola fa grido . Ma contro che cosa saranno le lesbiche contro ? In occasione della ricorrenza sono " contro ogni fascismo " . Dunque ci sarà , da qualche parte , oltre al fascismo telecratico , un fascismo antilesbico , col quale bisognerà pur fare i conti , se non vogliamo essere berlusconizzati . Sarebbe ancora poco . Il rischio maggiore è la " berlusclonazione " , da cui possono uscire solo dei reggimenti di SS " berlusclonati " , contro i quali la vigilanza cabarettista e lesbista dovrà essere tre volte cubana . Da concorso il cartello " Fini il fascista travestito da Mulino Bianco " ma il premio va assegnato a " Berlusconi sei la nostra America , noi saremo il tuo Vietnam " , rivelatore anche di un ' adeguata conoscenza della storia contemporanea . Ne può nascere perfino una tombola casalinga , guerresca , con giocatori Berlusconi - America e giocatori Vietnam . ( Però , se vincesse l ' America ? Bisognerà truccare il gioco ) . Ispirato da recenti immagini pie telecratiche un " Ci piace di più Mussolini a testa in giù " , interessante perchè prodotto non da memoria storica ma dall ' informazione che rifà attuale tutto quello che vuole . Il capro espiatorio sul luogo è stato , a Milano , il malavventurato Umberto Bossi , caricato di tutto quel che la folla sente come proprio peccato : venduto , buffone , traditore , fascista , infiltrato , piduista , razzista . In segno di solidarietà , col mondo che nuore di fame , gli hanno tirato pagnotte ... Straordinarie le panoramiche di ombrelli aperti . A Milano c ' era stata una celebre " giornata degli ombrelli " , quando la folla gioiosamente democratica trafisse con le punte degli ombrelli il povero ministro napoleonico Prina , ma a Bossi è andata bene , niente crocefissione artigianale , soltanto parole parole parole .... . Era linguaggio contro linguaggio , essendo Bossi un fortissimi megafono di parole , di quelle che hanno travolto le palafitte del vecchio potere a tre corna - ma linguaggio sempre , nel suo violento usurpare tutto . Ancora qualche filosofico cartello : " Resistenza umana antispot " , " Appena decidi di resistere hai cominciato a vincere " , " Se Mussolini è il più grande io sono un muflone " . L ' Oscar degli Oscar però a " Dio sia davvero antifascista " . Qui cala la notte della mente di Bertinotti , rifondatore anche in fatto di teologia : " La religione civile dell ' Italia dev ' essere l ' antifascismo " . Oh Lucrezio , Lucrezio mio : " Tantum religio potuit suadere malorum ! " C ' è in po ' di tutto nel Nuovo Catechismo , ma sicuramente manca l ' antifascismo . Mettiamocelo , per la maggior gloria di Dio . ( Un libro di Mario Appelius era dedicato alla memoria di " Nicola Bonservizi , martire della " religione " fascista " ) . Tira aria di Millennio e non c ' è da scherzare . A forme di religiosa demenza collettiva , è forse là che la gente vuole arrivare . Ma è una vecchia verità che atràs la cruz està el diablo . Com ' è anomalo e curioso il fenomeno Berlusconi , ieri telecrate oggi incaricato di formare governi , altrettanto lo è l ' antiberlusconismo , entrato nel linguaggio ( anche fuori d ' Italia ) fin dal primo accenno del Cavaliere a " scendere in campo " e penetrato già profondamente in pezzi di labirinto dell ' anima collettiva . Restiamo nella pura allucinazione linguistica : ecco già apparsi i graffitti in cui Berlusconi è definito " boia " . Questo , ragionevolmente , dovrebbe avere per premessa degli atti da carnefice , un passato di delitti quale talvolta hanno i vecchi , stanchi lupi della politica : ma se il Boia conta pochi mesi di vita , soltanto un astrologo senza macchia può predire , pur sempre con rischio di errore , che lo diventerà . Circa l ' antiveggenza di massa , e l ' interpretazione di segni e comete da parte di piazze gremite , non ne è documentata alcuna relazione con la luce . Tuttavia la parola , megera terribile , crea il " boia " Berlusconi per semplice associazione , in una cadenza ripetitiva di tamburi che si perde , dopo nulla aver significato , nel nulla . Sia benedetto il buon senso , sia lodata e meditata l ' esatta diagnosi di Emma Bonino , che ha riscontrato negli italiani una " introversione " , che gli impedisce di staccarsi una buona volta da quel passato , che gli fa vedere immobilmente " sub specie " di fascismo e antifascismo qualsiasi cosa . Così non gli resta , lo sguardo invertito e concentrato su una danza di spettri fatti continuamente ballare da vacue ma arroventate parole , neppure una briciola di attenzione per la straziante sterminio di un popolo OGGI stuprato , deportato , bombardato , fatto a pezzi a trecento chilometri dalla frontiera di Muggia . Al fascismo la crema dei pensieri ! Ai disperati dei Balcani le maglie , le camicie , i calzini che non servono più .
StampaQuotidiana ,
La piantina di Milano , spiegata sulla parete della sede nazionale di Forza Italia , in Via dell ' Umiltà a Roma , sembra la planimetria di un campo di battaglia . Puntini , cerchietti e riquadri di diverso colore , collegati tra loro da linee diagonali che si dipartono tutte da un unico centro : il Forum di Assago . Lì , il prossimo 16 aprile , si aprirà il primo congresso nazionale di Forza Italia , il movimento inventato appena quattro anni fa da Silvio Berlusconi che ora vuol diventare , a tutti gli effetti , un partito . Sotto quella piantina , telefono appoggiato in permanenza all ' orecchio e tastiera del computer sotto le dita , lavorano dalla mattina alla sera le ragazze addette alla " logistica " . Non è roba da poco : a Milano convergeranno , in quei tre giorni , 3.079 congressisti ai quali vanno assicurati ( e pagati ) alloggio , pasti e spostamenti , più un numero imprecisato di ospiti e di giornalisti . A complicare ulteriormente le cose ci si è messa anche la concomitante Fiera del mobile , una delle grandi manifestazioni commerciali che intasano periodicamente Milano . Gli organizzatori del congresso si sono messi le mani nei capelli , quando se ne sono resi conto : le assise non potevano certo essere spostate un ' altra volta , e poi la data ad alto potenziale simbolico del 18 aprile , cinquantesimo anniversario della vittoria del fronte moderato di Alcide De Gasperi sulla sinistra frontista di Pietro Nenni e Palmiro Togliatti , era stata accuratamente scelta da Berlusconi stesso per celebrare , con un comizio a Piazza Duomo , la chiusura del congresso e la nascita ufficiale del partito . D ' altra parte , non si poteva rischiare di lasciare all ' addiaccio , nel clima traditore di metà aprile , migliaia di congressisti . Per fare fronte all ' emergenza , i responsabili organizzativi hanno chiamato in soccorso un esperto : il generale ( e ora senatore ) Luigi Manfredi , già comandante del IV corpo d ' armata degli Alpini e responsabile della Protezione civile . Manfredi è arrivato a via dell ' Umiltà armato di mappe e cartine , ha messo su una piccola task force di telefoniste , ha affidato a ciascuna uno spicchio di città ( i delegati che vengono dal nord verranno smistati nel quadrante settentrionale della città , quelli che arrivano da sud in quello meridionale e così via ) , e ora il responsabile organizzativo di FI , Claudio Scajola , può tirare un sospiro di sollievo : " Grazie al generale , ce la faremo a sistemare tutti " . Il primo congresso di Forza Italia ( quanto costerà nessuno lo sa ancora dire con precisione , ma si parla di cifre da capogiro , tra gli 8 e i 10 miliardi ) si aprirà dunque giovedì 16 aprile nella più solida enclave azzurra dell ' Italia ulivista , in una scenografia che è il segreto meglio conservato dell ' operazione , perché Berlusconi ne sta curando personalmente l ' ideazione . Se ne occupa durante i weekend ad Arcore , con il supporto di alcuni " creativi " di Mediaset : il suo obiettivo , spiegano , è di assicurare una cornice " spettacolare " al debutto di quello che " non è un partito di plastica " , come recita lo slogan di maggior successo di questa lunga vigilia congressuale . Lo ha coniato , ovviamente , Berlusconi , e lo ripetono a ogni piè sospinto tutti gli esponenti più vicini al leader , dal suo portavoce Paolo Bonaiuti a Giuliano Urbani ( cui è affidata gran parte dell ' elaborazione tematica congressuale ) a Franco Frattini . Lo ripete , con più gusto di tutti , Claudio Scajola , che del nuovo partito è lo strenuo organizzatore , e che sciorina orgogliosamente i suoi dati : 140.000 iscritti ad almeno 100.000 lire l ' uno nei tre mesi della campagna 1997 ( attraverso spot Tv e " telemarketing " ) , che hanno fruttato 11 miliardi di entrate ; 117 congressi provinciali , celebrati negli ultimi mesi , che hanno eletto i coordinatori locali e i delegati alle assise nazionali . Nel congresso , che sarà articolato in sei " sessioni tematiche " destinate ad aggiornare il programma elettorale del '94 , si voterà per il Presidente ( Berlusconi , naturalmente ) , per sei membri dei 18 del Comitato di presidenza e cinquanta del Consiglio nazionale . Restano di nomina presidenziale , invece , i 20 coordinatori regionali e sei membri del Comitato ( i restanti sei sono di diritto ) . È stato nel '96 , dopo la sconfitta elettorale , che Berlusconi ha deciso di dare a FI una struttura che le garantisse l ' insediamento sul territorio , visto che la cosiddetta " par condicio " non avrebbe più consentito l ' utilizzo dei mezzi di comunicazione per diffondere i messaggi politici : " La sinistra ha 200.000 iscritti che si incaricano di fare la propaganda " , disse ai suoi collaboratori . " Non avendo più le Tv , anche noi dobbiamo fare altrettanto " . Fino a quel momento , c ' erano stati diversi tentativi di trasformare il comitato elettorale che aveva portato al trionfo del '94 ( nel quale un ruolo fondamentale era stato svolto dagli uomini " dell ' azienda " , e di Publitalia in particolare , sotto la guida di Marcello Dell ' Utri ) in una struttura più radicata e permanente . Nell ' impresa si sono cimentati diversi dirigenti , da Mario Valducci ( oggi responsabile Enti locali ) a Cesare Previti ( coordinatore nazionale tra il '94 e il '96 ) , ma solo dopo la batosta elettorale il disegno prese davvero corpo . Ex sindaco di Imperia , esponente della Dc ( dove però , tiene a precisare , " non ho mai fatto politica a livello nazionale " ) , Scajola venne candidato alla Camera in quella tornata , risultando eletto . Appena un mese dopo , Berlusconi lo insediò a Via dell ' Umiltà , da dove sono stati elaborati , in questi due anni , lo statuto ( approvato il 18 gennaio del '97 , nel terzo anniversario della fondazione di FI ) e l ' assetto territoriale e centrale del partito . Perché proprio lui , l ' ultimo arrivato ? Scajola non ha dubbi : " Perché Berlusconi ha avuto fiuto " , spiega . I suoi nemici ( e lui ammette : " So di essermene fatti tanti , da quando sono qui " ) lo accusano però di essersi dedicato alla costruzione di un apparato di partito , scegliendo dirigenti a lui legati e ricalcando vecchi modelli di organizzazione politica . Alla struttura che vedeva come unità territoriale di FI il collegio uninominale della Camera ( inventata da Guido Possa , amico ed ex compagno di scuola di Berlusconi , già vice del coordinatore Previti e oggi responsabile delle rete ormai in disarmo dei club di Forza Italia ) si è sostituita un ' organizzazione che ricalca l ' assetto degli enti locali : comune , provincia , regione . Ogni livello ha i suoi organismi e i suoi dirigenti , a riproduzione di quelli nazionali . " Una struttura inutilmente burocratica , dove rischiano di affermarsi i signori delle tessere " , accusano i critici , sostenitori di un partito " leggero " : l ' ala liberale di Antonio Martino e Marco Taradash , il variegato gruppo dei professori ( dall ' insoddisfatto Giorgio Rebuffa a Lucio Colletti , che del congresso non vuol neppure sentire parlare ) , e anche buona parte dei gruppi parlamentari , a cominciare dal presidente dei deputati Giuseppe Pisanu . Ma Scajola difende la sua creatura : " Stiamo facendo venire alla luce , dalla periferia di FI , una nuova classe dirigente di inaspettato valore . Abbiamo scritto uno statuto estremamente democratico , che ha due fondamentali obiettivi : impedire la nascita di correnti e garantire l ' elezione diretta dei dirigenti " . Ai suoi detrattori , che gli rimproverano di " democristianizzare " FI , Scajola replica : " La Dc ha avuto difetti e degenerazioni da cui vogliamo stare lontani , ma è anche durata 50 anni , e io spero che FI possa fare altrettanto " . Critiche e gelosie , spiega , nascono dal fatto che " i gruppi parlamentari , che erano l ' unico centro ' direzionalè del partito , temono di perdere il loro peso " . Come lui stesso ammette , nei collegi , tra i parlamentari e i nuovi dirigenti locali di partito , si sono prodotte numerose tensioni , alcune delle quali sono sfociate in abbandoni . Dal '96 a oggi , sono quindici i parlamentari che hanno abbandonato i gruppi azzurri . Certo è che , per la prima volta nella sua esistenza , FI sta registrando le tipiche scosse sismiche di ogni vigilia congressuale che si rispetti . Chi è esperto nella geografia interna del movimento individua principalmente due assi contrapposti : quello dell ' apparato centrale , guidato dallo stesso Scajola e dagli uomini più vicini ( il deputato sardo Salvatore Cicu , ex giovane Dc e responsabile del settore adesioni , il consulente per il congresso Luigi Baruffi , ex responsabile organizzativo della Dc , Mario Valducci , il tesoriere Giovanni Dell ' Elce ) e che avrebbe l ' appoggio del capogruppo al Senato Enrico La Loggia , e quello capeggiato da Pisanu e Frattini , forte di un buon rapporto con Gianni Letta . A quest ' ultimo , che pure non ha alcun incarico formale , e non è neppure iscritto al partito , tutti riconoscono però un ruolo centrale di equilibrio e mediazione . Il principale scontro precongressuale , che verteva sul sistema per l ' elezione dei membri del Comitato di presidenza , è stato risolto da Berlusconi stesso mercoledì sera , nell ' assemblea dei gruppi , a favore dell ' asse Pisanu - Frattini . Niente liste bloccate , come suggeriva Scajola , si voterà a preferenza unica : " Non mi piacciono le cordate " , ha tagliato corto il leader . Il voto sarà a scrutinio elettronico , come per il Totocalcio : un ' innovazione tecnologica che permetterà la massima rapidità nelle operazioni . Ai parlamentari , Berlusconi ha spiegato : " Il congresso non sarà una passerella : ci sarà un vero dibattito , nel quale tutti potranno dire la loro " . La base della discussione sarà il programma " liberale e liberista " del '94 , che poi " gli alleati ci costrinsero ad annacquare nel '96 , facendoci togliere capisaldi della nostra proposta di governo , come il buono scuola e sanità e la separazione delle carriere " . Ma al congresso di Milano si parlerà naturalmente anche di strategie e di rapporti politici : dal dialogo con il centro cossighiano a quello con la Lega . Per ora , si guarda con attenzione alle assise del Carroccio , che si apriranno oggi e alle quali parteciperà Giulio Tremonti , massimo sostenitore della " svolta nordista " di FI . Vari altri esponenti azzurri ( dal coordinatore lombardo Dario Rivolta a Giancarlo Galan , presidente della Regione Veneto , a Tiziana Maiolo ) stanno già lavorando a possibili campagne comuni con la Lega , ma i rapporti con Umberto Bossi li gestisce Belusconi in prima persona . Un Berlusconi di ottimo umore , racconta chi ha partecipato alla riunione di mercoledì . A chi lo investiva con i suoi " cahiers des doléances " sul funzionamento di gruppi e partito , ha replicato con aria divertita : " Ci sto pensando da tempo : se avessi organizzato le mie imprese come questa baracca , sarei fallito in tre mesi " .