StampaQuotidiana ,
L
'
anno
finisce
nel
nostro
paese
sotto
il
segno
della
violenza
più
abietta
.
Mi
vado
sempre
più
convincendo
che
la
violenza
terroristica
,
specie
quella
rivolta
non
contro
il
personaggio
rappresentativo
di
un
potere
che
si
vuole
abbattere
,
ma
quella
che
si
scatena
contro
una
folla
ignara
,
scelta
a
caso
,
con
assoluta
indifferenza
,
sia
violenza
fine
a
se
stessa
.
La
violenza
per
la
violenza
.
O
per
lo
meno
l
'
enorme
sproporzione
tra
il
mezzo
e
il
fine
è
tale
che
nessuna
persona
ragionevole
riesce
a
far
valere
rispetto
a
tale
atto
la
massima
machiavellica
del
fine
che
giustifica
i
mezzi
.
Questa
massima
fondamentale
dell
'
etica
politica
,
e
non
solamente
dell
'
etica
politica
ma
di
ogni
etica
che
giudica
l
'
azione
,
qualsiasi
azione
,
non
in
base
a
principi
universali
ma
in
base
ai
risultati
,
richiede
per
essere
accettata
tre
condizioni
.
Primo
:
non
qualsiasi
fine
giustifica
qualsiasi
mezzo
.
Il
fine
che
giustifica
il
mezzo
deve
a
sua
volta
essere
giustificato
.
In
altre
parole
,
deve
essere
un
fine
buono
.
Ma
in
base
a
quale
criterio
si
distinguono
i
fini
buoni
dai
fini
cattivi
?
E
chi
giudica
quali
sono
i
fini
buoni
e
i
fini
cattivi
?
La
massima
machiavellica
lascia
questo
problema
completamente
aperto
.
L
'
etica
dei
risultati
rinvia
all
'
etica
dei
principi
in
un
circolo
senza
fine
.
Secondo
:
il
fine
deve
essere
non
solo
in
qualche
modo
giustificabile
ma
anche
con
una
certa
probabilità
raggiungibile
.
Nel
dramma
di
Camus
,
I
giusti
,
uno
dei
protagonisti
,
il
rivoluzionario
,
proclama
:
«
Noi
uccidiamo
per
costruire
un
mondo
ove
più
nessuno
ucciderà
»
,
applicando
la
massima
secondo
cui
il
fine
giustifica
i
mezzi
,
e
annunciando
un
fine
che
non
può
non
essere
universalmente
riconosciuto
come
moralmente
nobile
.
Ma
la
sua
compagna
lo
interrompe
:
«
E
se
così
non
fosse
?
»
Quante
volte
nella
storia
è
stata
compiuta
un
'
azione
moralmente
riprovevole
con
intenzione
di
perseguire
uno
scopo
nobile
,
ma
poi
,
«
non
è
stato
così
»
?
Terzo
:
pure
ammesso
che
il
fine
sia
nobile
,
il
che
vuol
dire
giustificabile
con
argomenti
di
carattere
etico
,
e
raggiungibile
con
una
certa
probabilità
,
il
che
vuol
dire
non
arbitrario
,
non
velleitario
,
non
ingenuamente
utopistico
,
i
mezzi
impiegati
debbono
essere
tali
da
far
presumere
in
base
al
senso
comune
che
siano
adeguati
al
fine
,
e
se
vengono
giudicati
in
base
allo
stesso
senso
comune
immorali
,
siano
anche
i
soli
mezzi
capaci
di
ottenere
quello
scopo
e
pertanto
siano
non
solo
opportuni
ma
anche
rigorosamente
necessari
.
In
un
atto
terroristico
come
quello
compiuto
la
sera
di
domenica
23
dicembre
,
non
si
ritrova
nessuna
di
queste
tre
condizioni
.
Anzitutto
qual
è
il
fine
?
Impossibile
il
giudizio
sulla
bontà
o
non
bontà
del
fine
,
se
non
si
sa
esattamente
quale
sia
il
fine
dichiarato
o
presunto
.
Generalmente
nell
'
atto
di
terrorismo
puro
il
fine
non
è
dichiarato
:
a
differenza
del
terrorista
che
colpisce
un
bersaglio
preciso
,
il
terrorista
il
cui
obiettivo
è
unicamente
quello
di
seminar
panico
in
una
folla
inerme
,
può
rivendicare
il
gesto
ma
non
ne
rivela
mai
lo
scopo
.
Per
dare
un
'
apparenza
di
giustificazione
razionale
a
questa
forma
di
terrorismo
si
è
creduto
,
dalla
strage
di
piazza
Fontana
in
poi
,
che
un
fine
più
o
meno
preciso
ma
reale
esistesse
(
e
in
questo
senso
si
può
parlare
di
fine
presunto
)
e
consistesse
nella
creazione
di
uno
stato
di
cose
cui
è
stato
dato
un
nome
:
destabilizzazione
.
Ma
che
significa
«
destabilizzare
»
?
Si
tratta
di
una
delle
tante
parole
del
linguaggio
politico
che
,
essendo
abitualmente
usate
nella
conversazione
quotidiana
,
si
finisce
di
convincersi
abbiano
un
significato
preciso
,
mentre
non
appena
si
tenta
di
definirle
ci
si
accorge
che
sono
mobili
,
fluide
,
inafferrabili
.
Proviamo
a
intendere
per
«
destabilizzare
»
il
provocare
,
in
una
compagine
sociale
,
uno
stato
di
confusione
tale
da
rendere
praticamente
impossibile
il
normale
funzionamento
di
un
sistema
politico
qualunque
esso
sia
(
non
è
detto
che
solo
i
regimi
democratici
possano
essere
oggetto
di
un
'
azione
destabilizzante
)
.
Ma
questo
fine
è
raggiungibile
?
Che
una
strage
anche
grandissima
,
in
un
solo
punto
del
territorio
nazionale
,
specie
quando
si
tratti
di
un
territorio
vasto
come
quello
italiano
,
possa
avere
conseguenze
tali
da
creare
le
condizioni
per
un
rivolgimento
capace
di
mutare
radicalmente
lo
stato
di
cose
vigente
,
è
poco
credibile
.
Del
resto
le
stragi
sinora
compiute
non
hanno
avuto
altro
esito
che
quello
di
seminare
panico
,
sollevare
indignazione
,
provocare
lutti
le
cui
conseguenze
private
sono
infinitamente
superiori
a
quelle
pubbliche
e
politiche
.
Il
corso
degli
eventi
sarebbe
stato
diverso
nel
nostro
paese
se
le
stragi
non
fossero
avvenute
?
Avremmo
avuto
governi
più
stabili
,
politici
meno
discussi
,
maggiore
o
minore
inflazione
,
maggiore
o
minore
disoccupazione
?
Non
dovrebbe
essere
allora
altrettanto
destabilizzante
un
terremoto
?
In
un
naufragio
non
muoiono
altrettante
vittime
innocenti
?
Ma
se
il
raggiungimento
del
fine
,
anche
di
quello
presunto
,
è
poco
probabile
,
non
si
dovrà
dedurre
che
i
mezzi
(
mi
riferisco
alla
terza
condizione
)
sono
di
per
sé
palesemente
inadeguati
?
Le
interpretazioni
possibili
di
una
simile
azione
sono
due
:
o
l
'
attore
è
irrazionale
oppure
il
mezzo
si
è
convertito
nel
fine
,
non
ha
un
fine
perché
è
esso
stesso
il
fine
.
Riguardo
all
'
azione
del
terrorismo
puro
,
io
propendo
per
questa
seconda
interpretazione
.
L
'
unico
fine
della
strage
è
la
strage
.
So
benissimo
di
correre
sul
filo
del
paradosso
.
Ma
cerco
di
far
capire
e
di
capire
io
stesso
che
vi
sono
azioni
umane
di
fronte
alle
quali
si
può
parlare
di
malvagità
assoluta
.
Se
è
vero
,
come
io
credo
sia
vero
,
che
la
moralità
assoluta
consista
nel
fare
il
bene
con
nessun
altro
scopo
che
quello
di
fare
il
bene
,
disinteressatamente
,
la
immoralità
assoluta
dovrà
consistere
nel
compiere
un
'
azione
malvagia
con
nessun
altro
scopo
che
quello
di
fare
il
male
.
Il
terrorista
che
fa
esplodere
la
bomba
in
un
treno
è
perfettamente
consapevole
del
fatto
che
le
vittime
designate
sono
innocenti
.
Non
sono
neppure
suoi
nemici
.
Non
sono
neppure
capri
espiatori
di
un
rito
propiziatorio
compiuto
per
placare
un
dio
irato
.
Sono
cose
vili
,
oggetti
di
nessun
conto
(
e
per
questo
l
'
uno
vale
l
'
altro
)
,
la
cui
distruzione
egli
affida
al
caso
per
mostrare
la
sua
cieca
volontà
di
potenza
,
la
sua
radicale
indifferenza
ad
ogni
fine
che
la
trascenda
.
StampaQuotidiana ,
L
'
impresa
militare
americana
contro
la
Libia
,
presentata
e
giustificata
come
una
risposta
legittima
a
un
atto
di
terrorismo
,
solleva
ancora
una
volta
l
'
eterno
problema
del
rapporto
fra
la
morale
comune
o
il
diritto
,
suo
fratello
minore
,
e
la
violenza
.
Eterno
,
perché
non
mai
risolto
e
probabilmente
insolubile
,
se
è
vero
,
e
io
credo
sia
vero
,
quel
che
diceva
Machiavelli
:
gli
uomini
«
hanno
ed
ebbero
sempre
le
stesse
passioni
»
,
ed
è
quindi
naturale
che
ne
derivino
gli
stessi
effetti
.
La
morale
comune
e
il
diritto
,
suo
fratello
minore
,
condannano
in
linea
di
principio
la
violenza
e
ammettono
che
l
'
unica
violenza
legittima
sia
quella
che
risponde
alla
violenza
dell
'
altro
,
almeno
in
date
circostanze
,
quando
non
è
possibile
diversa
risposta
.
Detto
altrimenti
,
la
violenza
di
un
soggetto
,
individuo
o
gruppo
che
sia
,
in
linea
di
principio
illecita
,
diventa
lecita
quando
in
una
data
situazione
rappresenta
il
solo
rimedio
possibile
alla
violenza
dell
'
altro
.
Illecita
è
la
violenza
dell
'
aggressore
,
o
originaria
,
lecita
la
violenza
di
chi
si
difende
,
o
derivata
.
Ma
in
un
sistema
in
cui
non
esiste
un
giudice
imparziale
al
di
sopra
delle
parti
,
o
se
esiste
non
è
tenuto
in
alcun
conto
,
come
accade
nel
sistema
dei
rapporti
internazionali
,
chi
decide
quale
sia
la
violenza
originaria
e
quale
quella
derivata
?
A
questa
domanda
non
è
difficile
dare
una
risposta
sulla
base
della
lezione
dei
fatti
:
la
violenza
originaria
è
sempre
,
per
ognuno
dei
due
contendenti
,
quella
dell
'
altro
.
Anche
nel
caso
che
l
'
aggressione
sia
venuta
palesemente
da
una
delle
parti
:
basta
considerare
l
'
aggressione
come
una
reazione
preventiva
a
una
violenza
minacciata
.
Gli
americani
bombardano
Tripoli
per
ritorsione
contro
la
bomba
di
Berlino
attribuita
a
Gheddafi
come
mandante
.
In
tal
modo
la
loro
violenza
viene
giustificata
come
derivata
.
Ma
il
terrorista
non
si
trova
affatto
in
imbarazzo
a
replicare
(
ed
è
infatti
un
suo
argomento
abituale
)
che
il
terrorismo
è
l
'
unico
atto
di
guerra
consentito
ai
piccoli
contro
i
grandi
ed
è
quindi
l
'
unica
reazione
possibile
,
ancorché
spietata
(
ma
se
non
fosse
spietata
non
sarebbe
una
risposta
efficace
)
,
alla
prepotenza
di
chi
esercita
ingiustamente
(
almeno
a
suo
giudizio
)
un
enorme
potere
.
Dunque
anche
la
sua
violenza
non
è
,
dal
suo
punto
di
vista
,
originaria
.
Provate
a
cercare
la
violenza
originaria
,
la
violenza
che
in
quanto
originaria
sia
da
considerarsi
sicuramente
illecita
.
Non
la
troverete
.
E
non
la
trovate
,
non
già
perché
non
ci
possa
essere
,
ma
perché
nessuno
dei
due
contendenti
ammetterà
mai
che
originaria
sia
la
propria
,
derivata
l
'
altrui
.
E
un
giudice
esterno
,
e
presumibilmente
imparziale
,
nel
sistema
internazionale
non
esiste
.
Esiste
la
pubblica
opinione
ma
,
come
tutti
possono
constatare
leggendo
i
giornali
in
questi
giorni
,
è
divisa
.
Ed
è
divisa
anche
perché
non
è
in
grado
di
conoscere
esattamente
le
cose
,
come
potrebbe
conoscerle
un
giudice
dopo
aver
esaminato
tutti
i
pro
e
tutti
i
contro
,
e
dopo
aver
avuto
accesso
a
tutte
le
prove
addotte
da
una
parte
e
dall
'
altra
.
Pur
non
dubitando
della
correttezza
del
governo
americano
,
sta
di
fatto
che
,
nel
nostro
caso
,
le
prove
vengono
da
una
sola
delle
parti
in
causa
.
Quel
che
è
peggio
,
siccome
ogni
atto
violento
per
giustificarsi
deve
rinviare
a
un
atto
violento
precedente
,
lo
stato
di
violenza
una
volta
cominciato
(
anche
se
non
si
sa
quando
e
per
colpa
di
chi
sia
davvero
cominciato
)
è
destinato
a
continuare
.
E
nel
continuare
,
la
violenza
cresce
di
intensità
e
di
estensione
.
Avviene
quel
fenomeno
che
si
chiama
«
spirale
»
della
violenza
.
Avviene
per
una
ragione
molto
semplice
:
come
si
legge
in
un
altro
grande
scrittore
politico
del
passato
,
è
naturale
che
chi
è
giudice
nella
propria
causa
sia
indotto
o
dall
'
«
indole
cattiva
»
o
dalle
«
passioni
»
o
dallo
«
spirito
di
vendetta
»
ad
andare
troppo
oltre
nella
reazione
e
a
commettere
a
sua
volta
,
anche
nel
caso
che
la
sua
risposta
sia
legittima
,
un
'
ingiustizia
.
Se
la
reazione
contenuta
nei
limiti
dell
'
entità
dell
'
offesa
è
una
violenza
derivata
,
per
quella
parte
in
cui
eccede
questi
limiti
diventa
originaria
.
In
quanto
originaria
,
può
provocare
una
ritorsione
che
diventa
a
sua
volta
derivata
e
quindi
legittima
.
Anche
il
diritto
penale
interno
stabilisce
che
nella
legittima
difesa
la
reazione
deve
essere
proporzionata
all
'
offesa
.
Ma
nei
rapporti
fra
due
nemici
che
non
riconoscono
al
di
sopra
di
loro
un
potere
comune
,
chi
decide
se
questa
proporzione
vi
sia
stata
?
Siccome
ancora
una
volta
ognuno
dei
due
contendenti
darà
probabilmente
un
giudizio
opposto
,
considerando
proporzionata
la
propria
difesa
,
sproporzionata
quella
dell
'
altro
,
sorgeranno
di
nuovo
ottime
ragioni
da
parte
di
entrambi
per
aggiungere
nuovi
anelli
alla
catena
.
Generalmente
questa
catena
termina
in
un
solo
modo
:
con
la
sconfitta
definitiva
di
una
delle
parti
.
Con
la
vittoria
del
più
forte
.
Poiché
non
si
è
potuto
fare
in
modo
che
quel
che
è
giusto
sia
forte
,
diceva
Pascal
,
si
è
fatto
in
modo
che
quel
che
è
forte
sia
giusto
.
Credo
che
non
sarà
diversa
la
conclusione
dell
'
attuale
conflitto
.
Le
azioni
politiche
si
giudicano
dai
risultati
.
La
legge
morale
non
c
'
entra
.
Il
giudizio
sulle
azioni
politiche
non
le
appartiene
.
Reagan
lo
ha
detto
più
volte
:
il
suo
scopo
è
quello
di
reprimere
e
sopprimere
,
alla
lunga
,
il
terrorismo
medio
-
orientale
.
Rispetto
a
questo
unico
metro
di
giudizio
della
sua
azione
,
è
troppo
presto
per
emettere
un
verdetto
.
Se
vi
sarà
una
recrudescenza
del
terrorismo
,
si
dirà
che
ha
avuto
torto
.
Se
si
attenuerà
o
cesserà
del
tutto
,
si
dirà
che
ha
avuto
ragione
.
Indipendentemente
dal
fatto
che
la
reazione
sia
stata
proporzionata
all
'
offesa
,
ossia
da
ogni
considerazione
di
principio
.
Il
fine
giustifica
i
mezzi
.
Ancora
Machiavelli
:
faccia
un
principe
in
modo
di
vincere
e
i
mezzi
«
saranno
sempre
giudicati
onorevoli
e
da
ciascuno
lodati
»
.
StampaQuotidiana ,
È
lecito
uccidere
il
tiranno
?
Era
naturale
che
dopo
l
'
attentato
a
Pinochet
si
riproponesse
ancora
una
volta
,
anche
in
Italia
,
l
'
eterna
domanda
.
Se
la
sono
posta
in
questi
giorni
,
tra
gli
altri
,
Rossana
Rossanda
sul
«
Manifesto
»
rispondendo
di
sì
ma
sollevando
i
dubbi
di
Adriano
Sofri
,
e
di
Mieli
sulla
«
Stampa
»
e
di
Giuliano
Zincone
sul
«
Corriere
della
Sera
»
.
Il
problema
è
vecchio
e
le
diverse
possibili
soluzioni
altrettanto
.
Per
fare
qualche
esempio
,
in
un
'
epoca
in
cui
le
guerre
di
religione
avevano
favorito
la
nascita
di
dottrine
che
predicavano
il
tirannicidio
,
Hobbes
collocava
la
massima
«
E
lecito
uccidere
il
tiranno
»
fra
le
teorie
sediziose
che
in
uno
Stato
ben
ordinato
avrebbero
dovuto
essere
proibite
(
nella
repubblica
hobbesiana
l
'
articolo
di
Rossana
Rossanda
sarebbe
stato
censurato
,
e
l
'
autore
forse
messo
in
prigione
)
.
Nell
'
età
della
rivoluzione
francese
,
in
cui
venivano
celebrati
in
cattedrale
feste
e
riti
in
onore
di
Bruto
,
Kant
affermò
che
chiunque
avesse
anche
il
minimo
senso
dei
diritti
dell
'
umanità
non
poteva
non
essere
scosso
da
un
«
brivido
d
'
orrore
»
di
fronte
all
'
esecuzione
solenne
di
Carlo
I
in
Inghilterra
e
di
Luigi
XVI
in
Francia
.
Come
tutti
i
problemi
morali
,
anche
il
problema
della
liceità
del
tirannicidio
non
è
di
facile
soluzione
.
Anzi
,
non
ha
una
soluzione
che
possa
essere
data
e
accolta
una
volta
per
sempre
,
perché
ogni
caso
è
diverso
da
tutti
gli
altri
.
La
soluzione
dipende
dalle
circostanze
di
luogo
e
di
tempo
,
dalla
persona
contro
cui
l
'
atto
si
dirige
,
dalle
persone
che
lo
compiono
,
dalla
gravità
delle
colpe
e
dalla
impossibilità
di
ricorrere
ad
altri
rimedi
.
Avevano
ragione
o
torto
i
cospiratori
del
20
luglio
1944
nel
tentare
di
uccidere
Hitler
?
Aveva
le
stesse
ragioni
l
'
anarchico
Bresci
nell
'
uccidere
Umberto
I
?
Basta
porre
queste
due
domande
,
e
se
ne
potrebbero
porre
infinite
altre
analoghe
,
per
rendersi
conto
che
sotto
il
nome
generico
di
attentato
,
o
di
atto
terroristico
,
si
celano
eventi
totalmente
diversi
,
che
non
possono
essere
giudicati
con
lo
stesso
metro
.
Il
primo
aveva
un
intento
prevalentemente
liberatorio
,
il
secondo
essenzialmente
punitivo
.
Il
problema
è
reso
più
complesso
dal
fatto
che
la
stessa
azione
può
essere
sempre
giudicata
con
due
criteri
diversi
:
o
in
base
a
regole
precostituite
che
debbono
essere
osservate
o
in
base
ai
risultati
che
si
ritiene
debbano
essere
raggiunti
.
I
due
giudizi
non
coincidono
quasi
mai
:
osservando
le
buone
regole
spesso
si
ottengono
cattivi
risultati
;
cercando
di
ottenere
buoni
risultati
,
molte
buone
regole
vengono
coscientemente
e
tranquillamente
calpestate
.
Se
si
giudica
l
'
attentato
in
base
alle
regole
precostituite
,
è
evidente
che
esso
contravviene
alla
norma
«
Non
uccidere
»
,
che
è
una
delle
leggi
fondamentali
della
morale
di
ogni
popolo
e
in
ogni
tempo
.
Come
tale
dovrebbe
essere
condannato
.
Ma
non
vi
è
regola
senza
eccezione
.
Non
è
lecito
uccidere
il
nemico
in
una
guerra
giusta
?
Non
è
sempre
stata
riconosciuta
come
guerra
giusta
la
guerra
di
difesa
?
Non
può
allora
essere
estesa
al
tiranno
considerato
come
nemico
interno
l
'
eccezione
prevista
per
il
nemico
esterno
?
Sennonché
,
come
in
guerra
l
'
eccezione
vien
meno
di
fronte
alle
popolazioni
civili
,
così
l
'
attentatore
dovrebbe
colpire
soltanto
il
tiranno
e
risparmiare
le
persone
,
la
scorta
o
i
familiari
,
che
si
trovino
accanto
a
lui
.
Ma
oggi
questa
condizione
è
sempre
più
difficile
da
rispettare
per
il
tipo
di
armi
impiegato
,
come
ha
dimostrato
l
'
uccisione
di
alcune
guardie
del
corpo
nell
'
attentato
a
Pinochet
.
Ciò
rende
la
liceità
del
tirannicidio
,
giudicandola
in
base
agli
argomenti
della
filosofia
pubblica
tradizionale
,
sempre
più
problematica
.
Nel
dramma
I
giusti
,
di
Camus
,
il
congiurato
cui
è
stato
affidato
il
compito
di
uccidere
il
Gran
Duca
torna
senza
aver
eseguito
l
'
ordine
perché
sulla
carrozza
erano
seduti
accanto
al
personaggio
due
piccoli
nipoti
.
Quando
uno
dei
compagni
lo
rimprovera
:
«
L
'
Organizzazione
ti
aveva
comandato
di
uccidere
il
Gran
Duca
»
,
risponde
:
«
E
'
vero
,
ma
non
mi
aveva
comandato
di
assassinare
dei
bambini
»
.
Partendo
dal
punto
di
vista
dei
risultati
,
il
giudizio
non
diventa
né
più
facile
né
più
limpido
.
Anzitutto
il
risultato
deve
essere
se
non
certo
altamente
probabile
.
Non
c
'
è
dubbio
che
nel
caso
dell
'
attentato
al
generale
cileno
il
non
raggiungimento
del
risultato
abbia
contribuito
a
rafforzare
il
potere
del
dittatore
sia
nei
riguardi
di
tutti
quei
cittadini
(
e
sono
ancora
molti
)
che
sarebbero
disposti
a
liberarsi
dalla
dittatura
in
cambio
di
una
democrazia
moderata
ma
non
a
cambiare
il
regime
di
Pinochet
con
un
regime
comunista
,
sia
nei
riguardi
degli
Stati
Uniti
,
che
abbandoneranno
del
tutto
il
generale
solamente
quando
saranno
sicuri
che
al
suo
posto
invece
di
un
governo
democratico
all
'
americana
non
venga
istituito
un
governo
guidato
dal
partito
comunista
.
In
secondo
luogo
,
si
deve
prevedere
che
il
risultato
non
solo
sia
perseguibile
con
un
alto
grado
di
probabilità
,
ma
che
,
se
raggiunto
,
sia
tale
da
non
lasciar
adito
a
dubbi
sulla
sua
convenienza
o
opportunità
,
nel
senso
che
,
messi
sui
due
piatti
della
bilancia
il
male
necessario
(
nell
'
uso
di
certi
mezzi
)
e
il
bene
possibile
,
il
secondo
prevalga
.
Inutile
dire
quanto
questa
soluzione
sia
difficile
.
Nel
caso
dell
'
attentato
a
Giovanni
Gentile
(
so
di
toccare
un
tasto
dolente
)
la
sproporzione
tra
la
morte
di
un
uomo
e
le
conseguenze
che
questa
morte
poteva
avere
sulla
condotta
della
guerra
era
tale
da
renderci
oggi
molto
dubbiosi
sulla
saggezza
di
quell
'
atto
(
anche
se
devo
confessare
che
allora
non
mi
ero
posto
il
problema
nello
stesso
modo
)
.
Nel
caso
dell
'
attentato
a
Pinochet
sospendo
il
giudizio
:
mi
parrebbe
di
commettere
un
atto
di
prevaricazione
nel
sostituire
la
mia
opinione
a
quella
di
coloro
che
vivono
dentro
a
quella
situazione
.
Durante
l
'
occupazione
tedesca
,
quando
assistevamo
alla
tortura
e
alla
morte
di
tanti
nostri
compagni
,
come
avrei
giudicato
un
attentato
a
Mussolini
?
Un
uomo
dell
'
altezza
morale
di
Calamandrei
alla
notizia
della
morte
di
Mussolini
trascrive
sul
suo
diario
,
unico
commento
all
'
episodio
,
il
famoso
cantico
di
Alceo
:
«
Ora
bisogna
bere
;
I
ubriacarsi
bisogna
;
I
ora
che
Mirsilo
è
morto
»
.
Completamente
diverso
e
più
semplice
il
giudizio
sugli
atti
di
terrorismo
indiscriminati
,
come
le
stragi
alla
stazione
di
Bologna
,
nella
sinagoga
di
Istanbul
,
nel
grande
magazzino
di
rue
de
Rennes
.
Prova
ne
sia
che
,
mentre
di
fronte
all
'
attentato
al
dittatore
cileno
c
'
interroghiamo
sulla
sua
liceità
,
di
fronte
a
quelle
stragi
restiamo
inorriditi
,
incapaci
di
dare
,
nonché
una
giustificazione
,
una
qualsiasi
plausibile
spiegazione
.
StampaQuotidiana ,
Ogni
atto
terroristico
suscita
un
acceso
e
quasi
sempre
inconcludente
dibattito
circa
i
suoi
scopi
e
i
suoi
effetti
.
Il
dibattito
nasce
dal
fatto
che
di
ogni
atto
terroristico
,
sia
di
quello
indiscriminato
sia
di
quello
rivolto
verso
un
obiettivo
specifico
,
è
estremamente
difficile
stabilire
gli
scopi
.
Ed
è
estremamente
difficile
stabilirne
gli
scopi
perché
non
è
facile
prevederne
gli
effetti
.
L
'
assassinio
del
prof.
Tarantelli
è
stato
immediatamente
collegato
alla
campagna
in
corso
pro
e
contro
il
referendum
.
Ma
a
guardar
bene
questo
collegamento
è
stato
fatto
nei
modi
più
diversi
.
I
problemi
connessi
col
referendum
sono
due
:
a
)
se
si
debba
svolgere
,
secondo
l
'
indicazione
della
Corte
costituzionale
,
o
debba
essere
evitato
;
b
)
se
una
volta
che
sia
stato
deciso
di
lasciarlo
svolgere
,
quale
delle
due
parti
in
contrasto
lo
vincerà
.
Ebbene
,
rispetto
a
entrambi
i
problemi
,
credo
che
nessuno
sia
in
grado
di
prevedere
esattamente
se
l
'
assassinio
del
prof.
Tarantelli
avrà
delle
conseguenze
e
quali
saranno
.
Rispetto
al
primo
problema
l
'
assassinio
è
destinato
a
favorire
coloro
che
il
nodo
della
scala
mobile
preferiscono
tagliarlo
con
il
ricorso
al
voto
popolare
oppure
coloro
che
preferiscono
scioglierlo
attraverso
un
compromesso
fra
le
parti
in
cui
non
dovrebbero
esservi
né
vincitori
né
vinti
?
Rispetto
al
secondo
,
questo
«
sangue
»
è
destinato
a
far
aumentare
i
voti
del
«
sì
»
oppure
i
voti
contrari
?
Posto
il
problema
degli
scopi
e
degli
effetti
di
questo
nuovo
atto
di
terrorismo
,
e
non
si
vede
come
possa
essere
posto
altrimenti
,
si
capisce
subito
che
le
risposte
possibili
sono
molte
,
e
anche
opposte
fra
loro
.
Di
fatto
,
a
giudicare
dalla
polemica
subito
sorta
fra
uomini
politici
delle
diverse
parti
,
ognuno
dà
una
interpretazione
diversa
secondo
il
proprio
punto
di
vista
.
Ciò
dimostra
ancora
una
volta
che
la
logica
dell
'
atto
terroristico
non
può
essere
giudicata
alla
stregua
della
logica
dell
'
azione
politica
comune
,
che
mette
in
diretta
connessione
il
mezzo
col
fine
,
e
che
di
fronte
a
un
'
azione
in
cui
non
riesce
a
cogliere
il
nesso
mezzo
-
fine
è
tentata
di
considerarla
irrazionale
(
o
folle
)
.
Una
delle
ragioni
per
cui
è
così
difficile
dare
un
giudizio
politico
su
un
atto
di
terrorismo
è
che
ci
si
sofferma
troppo
poco
sul
suo
aspetto
meramente
punitivo
o
vendicativo
.
Il
terrorista
è
o
crede
di
essere
,
prima
di
tutto
,
un
giustiziere
.
Ciò
che
per
noi
che
ci
mettiamo
dal
punto
di
vista
dell
'
ordinamento
delle
leggi
dello
Stato
è
un
assassinio
,
per
il
terrorista
che
non
accetta
l
'
ordinamento
dello
Stato
,
che
considera
lo
Stato
il
principale
nemico
da
abbattere
,
è
una
condanna
a
morte
.
Di
un
atto
di
giustizia
è
perfettamente
inutile
cercare
quali
siano
gli
scopi
e
gli
effetti
ulteriori
.
In
un
atto
di
giustizia
lo
scopo
dell
'
atto
che
è
il
rendere
giustizia
,
è
intrinseco
all
'
atto
stesso
.
L
'
atto
di
giustizia
non
pone
alcuna
domanda
che
vada
al
di
là
dell
'
atto
perché
è
esso
stesso
una
risposta
,
ed
è
una
risposta
che
chiude
un
ciclo
di
azioni
e
reazioni
,
e
non
ne
apre
uno
nuovo
.
Che
ogni
atto
di
giustizia
,
soprattutto
poi
quando
è
così
spietato
,
possa
avere
anche
lo
scopo
di
costituire
un
atto
d
'
intimidazione
e
di
avvertimento
nei
riguardi
di
futuri
colpevoli
,
non
si
può
escludere
,
sebbene
uno
scopo
di
questo
genere
sia
molto
più
evidente
nella
giustizia
di
un
'
istituzione
regolata
da
norme
generali
e
astratte
com
'
è
l
'
ordinamento
giuridico
dello
Stato
che
in
quella
di
un
gruppo
terroristico
la
cui
organizzazione
è
labile
,
discontinua
,
e
la
cui
azione
futura
è
molto
più
incerta
.
Ma
in
ogni
caso
l
'
eventuale
effetto
rispetto
ad
azioni
future
è
secondario
rispetto
a
quello
primario
ed
essenziale
della
punizione
di
azioni
passate
.
Ha
dunque
ben
poco
senso
cercare
una
giustificazione
politica
di
un
atto
che
essendo
compiuto
come
un
atto
di
giustizia
trova
la
propria
giustificazione
in
se
stesso
,
cioè
esclusivamente
nel
fatto
di
essere
un
atto
di
giustizia
,
e
che
in
quanto
tale
può
avere
paradossalmente
una
giustificazione
etica
(
se
pure
di
un
'
etica
distorta
)
e
non
ha
niente
a
che
fare
con
la
politica
.
A
questa
prima
osservazione
se
ne
collega
una
seconda
,
a
mio
parere
più
importante
.
L
'
unica
cosa
che
un
atto
terroristico
come
l
'
assassinio
del
prof.
Tarantelli
vuole
politicamente
dimostrare
è
che
di
fronte
ai
grandi
conflitti
sociali
non
vi
può
essere
che
un
unico
modo
per
risolverli
:
il
ricorso
alla
violenza
.
In
quanto
tale
esso
è
una
sfida
alla
democrazia
intesa
come
l
'
insieme
delle
regole
che
permettono
di
risolvere
i
conflitti
senza
ricorrere
all
'
uso
della
violenza
da
parte
dei
gruppi
in
conflitto
fra
loro
.
I
modi
per
risolvere
democraticamente
,
senza
ricorrere
alla
violenza
,
i
conflitti
d
'
interesse
sono
principalmente
due
:
la
trattativa
che
conduce
a
un
accordo
di
compromesso
oppure
il
voto
calcolato
in
base
alla
regola
di
maggioranza
.
Si
osservi
bene
:
si
tratta
dei
due
metodi
attualmente
in
contrasto
per
la
soluzione
della
controversia
sulla
scala
mobile
,
e
sui
quali
è
in
corso
,
con
esito
incerto
,
la
discussione
fra
le
varie
parti
.
Anche
da
questo
punto
di
vista
,
a
me
pare
sia
perfettamente
inutile
il
litigio
sui
presunti
scopi
dell
'
assassinio
.
In
quanto
esso
applica
il
metodo
della
violenza
in
antitesi
al
metodo
democratico
essenzialmente
non
violento
,
si
contrappone
contemporaneamente
tanto
alle
pratiche
del
compromesso
che
vorrebbero
evitare
il
referendum
quanto
all
'
attuazione
del
referendum
che
pretende
di
risolvere
con
un
voto
di
maggioranza
un
conflitto
che
secondo
il
terrorista
,
che
ha
una
idea
rivoluzionaria
del
cambiamento
storico
,
non
può
essere
risolto
con
nessuno
dei
rimedi
offerti
da
un
governo
democratico
che
voglia
rispettare
le
regole
del
gioco
.
Il
terrorista
dice
no
tanto
al
compromesso
quanto
al
referendum
,
tra
i
quali
non
può
fare
alcuna
distinzione
dal
suo
punto
di
vista
.
Anche
in
questo
caso
il
gesto
ha
un
valore
puramente
dimostrativo
e
pertanto
ha
un
fine
in
se
stesso
,
come
l
'
atto
di
giustizia
,
indipendentemente
dai
suoi
effetti
.
Con
questo
non
si
vuol
dire
che
non
abbia
effetti
che
vadano
ben
al
di
là
delle
intenzioni
degli
attori
,
anche
se
non
sappiamo
esattamente
quali
potranno
essere
.
Ma
non
è
l
'
arzigogolare
sugli
effetti
che
possa
in
qualche
modo
offrirci
una
ragione
dell
'
atto
,
perché
l
'
atto
ha
le
sue
ragioni
chiarissime
a
chi
le
voglia
intendere
,
indipendentemente
da
essi
.
Resta
una
domanda
angosciosa
:
perché
nel
nostro
paese
questa
sfida
alla
democrazia
sia
più
forte
che
altrove
.
StampaQuotidiana ,
Le
recenti
vicende
che
stanno
travolgendo
la
popolarità
di
Ronald
Reagan
hanno
sollevato
un
vasto
dibattito
che
riguarda
non
soltanto
la
persona
del
presidente
ma
anche
l
'
istituzione
stessa
della
presidenza
della
repubblica
degli
Stati
Uniti
,
come
si
è
venuta
trasformando
negli
ultimi
decenni
.
Per
quanto
possa
sembrare
paradossale
,
si
va
dicendo
che
il
presidente
degli
Stati
Uniti
è
insieme
forte
e
vulnerabile
,
e
addirittura
tanto
più
vulnerabile
quanto
più
forte
.
Il
paradosso
consiste
nel
fatto
che
la
vulnerabilità
è
di
solito
considerata
caratteristica
di
un
potere
debole
.
Nell
'
ultimo
saggio
scritto
prima
della
morte
(
Autoritarismo
,
fascismo
e
classi
sociali
,
Il
Mulino
,
Bologna
1975
)
Gino
Germani
esprimeva
il
dubbio
che
i
pochi
governi
democratici
nel
mondo
attuale
potessero
sopravvivere
in
un
universo
di
Stati
in
gran
parte
non
democratici
.
Egli
fondava
questo
dubbio
sulla
convinzione
che
i
regimi
democratici
fossero
più
vulnerabili
sia
per
ragioni
interne
-
la
frammentazione
del
potere
che
consente
a
piccoli
gruppi
organizzati
di
inferire
colpi
mortali
alla
società
costretta
per
difendersi
a
violare
le
sue
stesse
regole
-
,
sia
per
ragioni
esterne
-
la
crescente
e
inarrestabile
dimensione
universale
della
politica
internazionale
che
avrebbe
favorito
i
regimi
autoritari
più
di
quelli
democratici
.
Entrambe
le
ragioni
mettevano
in
relazione
la
vulnerabilità
delle
democrazie
con
la
loro
debolezza
.
Soprattutto
per
quel
che
riguarda
la
politica
estera
,
la
stessa
tesi
è
stata
sostenuta
col
solito
vigore
e
furore
polemici
da
Jean
-
François
Revel
nel
libro
Come
finiscono
le
democrazie
(
Rizzoli
,
Milano
1984
)
.
Le
democrazie
sarebbero
destinate
a
finire
,
e
a
rappresentare
un
episodio
di
breve
durata
nella
storia
del
mondo
,
per
l
'
incapacità
di
difendersi
dal
loro
grande
avversario
,
il
totalitarismo
.
Questa
incapacità
sarebbe
dovuta
in
parte
ai
dissensi
interni
,
in
parte
all
'
eccesso
di
arrendevolezza
di
fronte
all
'
astuto
,
spietato
,
antagonista
.
Anche
in
questo
caso
la
vulnerabilità
è
interpretata
come
il
naturale
effetto
della
debolezza
.
In
che
senso
la
vulnerabilità
può
essere
fatta
derivare
piuttosto
dall
'
eccesso
di
forza
che
dall
'
eccesso
di
debolezza
?
La
risposta
è
stata
data
per
secoli
dai
classici
del
pensiero
politico
:
tanto
più
grande
il
potere
dei
governanti
tanto
più
forte
è
la
tentazione
che
essi
hanno
di
abusarne
,
vale
a
dire
di
esercitarlo
violando
o
aggirando
le
norme
stabilite
per
regolarlo
e
limitarlo
.
Tale
risposta
trova
piena
conferma
nell
'
affermazione
di
uno
dei
più
illustri
storici
contemporanei
degli
Stati
Uniti
,
Arthur
Schlesinger
,
che
in
un
'
intervista
di
questi
giorni
ha
detto
:
«
Gli
scandali
come
il
Watergate
,
oggi
l
'
Irangate
,
sono
la
risposta
patologica
alla
patologia
dell
'
onnipotenza
»
.
Naturalmente
vi
sono
regimi
in
cui
il
potere
è
forte
e
insieme
invulnerabile
.
Sono
gli
Stati
dispotici
ove
chi
governa
non
ha
,
come
diceva
Montesquieu
,
«
né
leggi
né
freni
»
.
Vi
sono
regimi
in
cui
leggi
fondamentali
esistono
ma
mancano
gli
organi
di
controllo
della
loro
osservanza
.
Sono
le
autocrazie
preliberali
in
cui
il
rispetto
delle
leggi
fondamentali
che
dovrebbero
limitare
il
potere
sovrano
è
demandato
allo
stesso
detentore
di
quel
potere
(
«
autocrate
»
è
letteralmente
colui
che
governa
se
stesso
)
.
Vi
sono
infine
regimi
in
cui
non
solo
il
potere
deve
essere
sempre
esercitato
entro
i
limiti
stabiliti
da
una
costituzione
formale
,
e
oggi
,
nella
maggior
parte
dei
casi
,
anche
rigida
,
ma
è
,
o
dovrebbe
essere
,
di
fatto
sottoposto
sempre
a
controlli
esterni
.
Sono
gli
Stati
democratici
.
Di
questi
controlli
due
sono
i
principali
:
quello
derivato
dalla
libertà
di
stampa
,
che
permette
la
formazione
di
un
'
opinione
pubblica
;
quello
derivato
dall
'
istituzione
della
divisione
dei
poteri
da
cui
nasce
il
controllo
del
potere
legislativo
su
quello
governativo
.
Sono
due
istituti
caratteristici
dello
Stato
democratico
,
di
cui
siamo
debitori
alla
tradizione
del
pensiero
liberale
,
che
ha
avuto
negli
Stati
Uniti
una
delle
sue
terre
d
'
elezione
.
Secondo
la
brillante
tesi
sostenuta
recentemente
da
Michel
Walzer
,
professore
di
scienze
sociali
all
'
Institute
for
Advanced
Studies
di
Princeton
,
lo
spirito
del
liberalismo
consiste
nell
'
«
arte
della
separazione
»
,
a
cominciare
dalla
separazione
dello
Stato
dalla
Chiesa
,
della
sfera
privata
dalla
pubblica
,
della
società
civile
dal
sistema
politico
,
per
finire
,
all
'
interno
del
sistema
politico
,
a
quella
tra
l
'
uno
e
l
'
altro
dei
massimi
poteri
.
Tutte
queste
separazioni
servono
,
come
afferma
Walzer
,
«
a
prevenire
e
a
combattere
l
'
uso
tirannico
del
potere
»
.
In
base
a
questa
tesi
è
lecito
sostenere
che
tanto
la
crisi
della
presidenza
Nixon
quanto
quella
della
presidenza
Reagan
siano
nate
proprio
dalla
violazione
del
principio
di
separazione
,
vale
a
dire
dalla
pratica
costante
,
e
per
un
certo
periodo
di
tempo
incontrollata
,
della
confusione
,
in
primo
luogo
della
confusione
fra
potere
legale
e
potere
personale
,
ovvero
nell
'
uso
personale
del
potere
legale
.
Si
capisce
quindi
perché
si
possa
parlare
di
vulnerabilità
a
proposito
tanto
di
un
governo
debole
quanto
di
un
governo
forte
.
Ma
se
ne
parla
in
due
sensi
diversi
.
Il
primo
è
vulnerabile
per
sua
natura
;
il
secondo
è
tale
in
un
contesto
istituzionale
in
cui
anche
il
supremo
potere
è
limitato
da
regole
giuridiche
.
Nel
primo
caso
la
vulnerabilità
è
un
fatto
negativo
,
e
induce
chi
la
denuncia
a
sostenere
che
la
democrazia
è
impraticabile
.
Nel
secondo
è
un
fatto
positivo
,
ed
è
anzi
la
riprova
che
i
meccanismi
di
controllo
del
potere
,
propri
dei
regimi
democratici
,
sono
entrati
,
se
pur
talora
tardivamente
,
in
azione
.
Nel
primo
caso
è
un
difetto
,
nel
secondo
il
rimedio
a
un
difetto
.
Un
rimedio
che
dimostra
se
mai
quanto
sia
difficile
il
pieno
rispetto
delle
regole
democratiche
nei
rapporti
internazionali
,
in
un
sistema
in
cui
la
maggior
parte
degli
Stati
non
sono
democratici
ed
è
esso
stesso
solo
apparentemente
democratico
,
in
realtà
ingovernabile
.
Sino
a
che
uno
Stato
non
democratico
vive
in
una
comunità
cui
appartengono
Stati
non
democratici
,
ed
è
essa
stessa
non
democratica
,
anche
il
regime
degli
Stati
democratici
sarà
una
democrazia
incompiuta
.
L
'
idea
del
vecchio
Kant
,
per
cui
la
condizione
preliminare
di
una
pace
perpetua
,
diversa
da
quella
dei
cimiteri
,
fosse
che
tutti
gli
Stati
avessero
egual
forma
di
governo
,
la
forma
repubblicana
,
quella
forma
di
governo
in
cui
per
decidere
della
guerra
occorre
l
'
assenso
dei
cittadini
,
non
era
il
«
sogno
di
un
visionario
»
.
Era
una
previsione
fatta
nella
forma
del
«
se
allora
»
.
Purtroppo
quel
«
se
»
-
«
se
tutti
gli
Stati
fossero
repubblicani
»
-
può
essere
per
ora
soltanto
l
'
oggetto
di
un
augurio
.
StampaQuotidiana ,
Nel
recente
convegno
sulla
nuova
destra
,
svoltosi
a
Cuneo
per
iniziativa
dell
'
Istituto
storico
della
Resistenza
,
qualcuno
ha
messo
in
dubbio
che
«
destra
»
e
«
sinistra
»
siano
ancora
concetti
adeguati
a
rappresentare
le
divisioni
attuali
tra
dottrine
e
movimenti
politici
.
Siamo
stati
invitati
a
riflettere
sul
fatto
che
da
sinistra
si
riscoprono
scrittori
di
destra
,
come
Cari
Schmitt
,
da
destra
,
in
particolare
dalla
nuova
destra
reazionaria
,
scrittori
di
sinistra
come
Gramsci
.
Negli
stessi
giorni
in
un
'
intervista
a
«
Panorama
»
Massimo
Cacciari
,
intellettuale
di
sinistra
,
dichiarava
di
rifiutare
«
quella
concezione
assiale
della
politica
che
prevede
una
destra
e
una
sinistra
,
intese
come
blocchi
compatti
e
specularmente
contrapposti
»
.
In
realtà
questa
confusione
non
è
nuova
né
è
senza
giustificazione
:
estrema
sinistra
ed
estrema
destra
hanno
amori
diversi
ma
odi
comuni
.
Uno
di
questi
odi
è
la
democrazia
,
intesa
come
il
regime
in
cui
le
sole
decisioni
collettive
legittime
sono
quelle
prese
in
base
alla
regola
della
maggioranza
.
Peraltro
,
le
ragioni
di
questa
avversione
sono
,
da
una
parte
e
dall
'
altra
,
opposte
.
Proprio
tenendo
conto
di
queste
opposte
ragioni
si
riesce
ancora
a
cogliere
il
principale
carattere
distintivo
dei
due
schieramenti
in
cui
si
divide
tradizionalmente
l
'
universo
politico
.
L
'
opposizione
consiste
in
questo
:
per
l
'
estrema
sinistra
la
regola
di
maggioranza
,
per
cui
ogni
cittadino
conta
per
uno
,
assicura
un
'
eguaglianza
puramente
formale
ma
non
riesce
altrettanto
bene
a
promuovere
l
'
eguaglianza
sostanziale
;
per
l
'
estrema
destra
la
stessa
regola
della
maggioranza
,
pareggiando
se
pure
solo
formalmente
tutti
i
cittadini
,
finisce
per
disconoscere
che
gli
uomini
sono
sostanzialmente
diseguali
.
Come
si
vede
,
la
divisione
avviene
sul
diverso
giudizio
che
l
'
una
e
l
'
altra
parte
danno
sull
'
eguaglianza
e
rispettivamente
sulla
diseguaglianza
come
ideale
da
perseguire
.
Questo
diverso
giudizio
permette
di
tener
ben
distinte
ideologie
che
tendono
a
una
maggiore
eguaglianza
rispetto
alla
democrazia
formale
,
e
che
chiamerò
egualitarie
,
e
ideologie
che
chiedono
una
maggiore
diseguaglianza
,
sempre
rispetto
alla
democrazia
formale
,
e
che
chiamerò
inegualitarie
.
Si
tratta
di
una
distinzione
vecchia
come
il
mondo
,
molto
più
vecchia
della
distinzione
tra
sinistra
e
destra
,
che
risale
alla
rivoluzione
francese
.
Ma
dacché
i
due
termini
di
sinistra
e
destra
sono
stati
introdotti
nel
linguaggio
politico
,
essi
sono
sempre
stati
adoperati
per
coprire
la
distinzione
tra
ideologie
egualitarie
e
inegualitarie
.
Perciò
sinché
vi
saranno
dottrine
e
movimenti
che
si
contrappongono
sulla
base
del
diverso
valore
dato
al
principio
dell
'
eguaglianza
,
l
'
uso
dei
due
termini
è
non
solo
legittimo
ma
utile
.
Il
loro
rifiuto
è
prova
o
di
imperdonabile
ignoranza
o
peggio
dell
'
illusione
di
cancellare
insieme
coi
due
nomi
la
realtà
che
essi
designano
.
La
contrapposizione
fra
egualitari
e
inegualitari
è
vecchia
quanto
il
mondo
per
la
semplice
ragione
che
gli
uomini
sono
tanto
eguali
quanto
diseguali
:
sono
eguali
in
quanto
appartengono
al
genere
umano
distinto
da
altri
generi
come
quello
degli
animali
,
ma
sono
diseguali
considerati
come
individui
,
uno
per
uno
.
Le
ideologie
egualitarie
mettono
l
'
accento
soprattutto
sull
'
appartenenza
di
tutti
gli
uomini
a
un
genere
comune
,
quelle
inegualitarie
sulle
osservabili
e
inconfutabili
differenze
tra
l
'
uno
e
l
'
altro
individuo
.
In
altre
parole
,
le
prime
danno
più
importanza
a
ciò
che
ci
unisce
,
le
seconde
a
ciò
che
ci
divide
.
Tra
le
tante
prove
storiche
che
si
possono
addurre
di
questa
contrapposizione
,
mi
limito
a
quella
che
si
può
trarre
dai
due
autori
considerati
a
buon
diritto
i
principali
ispiratori
dei
due
schieramenti
:
Rousseau
e
Nietzsche
.
Nel
suo
Discorso
sull
'
origine
delle
diseguaglianze
fra
gli
uomini
,
Rousseau
parte
dalla
considerazione
che
gli
uomini
sono
nati
fondamentalmente
eguali
ma
la
civiltà
corrotta
li
ha
resi
diseguali
.
Nietzsche
,
al
contrario
,
parte
dalla
considerazione
che
gli
uomini
sono
per
natura
diseguali
e
soltanto
la
civiltà
,
con
la
sua
morale
del
gregge
,
di
cui
è
massimamente
responsabile
il
cristianesimo
,
e
di
cui
sono
manifestazioni
al
tempo
presente
la
democrazia
e
il
socialismo
,
li
ha
resi
ingiustamenti
eguali
.
L
'
ideale
che
si
può
trarre
dalla
interpretazione
rousseauiana
del
corso
storico
è
quello
rivoluzionario
dell
'
abbattimento
delle
società
storiche
fondate
sulla
diseguaglianza
sociale
e
della
instaurazione
di
una
nuova
società
in
cui
tutti
siano
a
pari
diritto
cittadini
;
l
'
ideale
che
si
può
trarre
dalla
interpretazione
nietzscheana
,
è
al
contrario
quello
reazionario
della
restaurazione
di
un
ordine
gerarchico
la
cui
distruzione
ha
reso
possibile
il
trionfo
della
quantità
,
dei
«
malriusciti
»
,
del
branco
.
Lo
stesso
Nietzsche
ritorna
sempre
a
Rousseau
,
il
suo
grande
nemico
,
ogni
qualvolta
sfoga
il
proprio
furore
contro
il
principio
dell
'
eguaglianza
e
contro
quell
'
avvenimento
storico
,
la
rivoluzione
francese
,
che
avrebbe
cercato
di
attuarlo
:
«
Quello
che
odio
-
una
citazione
fra
mille
-
è
la
rousseauiana
moralità
della
rivoluzione
francese
...
La
dottrina
dell
'
eguaglianza
.
Ma
non
c
'
è
tossico
più
velenoso
!
»
Mi
si
può
obiettare
che
il
criterio
dell
'
eguaglianza
non
è
il
solo
a
permettere
di
caratterizzare
due
ideologie
opposte
.
C
'
è
anche
quello
della
libertà
in
base
al
quale
si
distinguono
ideologie
libertarie
e
autoritarie
.
Rispondo
che
questo
criterio
di
distinzione
serve
a
distinguere
,
nell
'
ambito
della
sinistra
e
della
destra
,
l
'
ala
estrema
dall
'
ala
moderata
.
Si
può
sostenere
infatti
che
le
due
ali
estreme
sono
autoritarie
,
quelle
moderate
libertarie
.
Di
conseguenza
,
la
linea
su
cui
si
collocano
le
diverse
ideologie
partendo
da
sinistra
e
procedendo
verso
destra
si
sviluppa
attraverso
queste
quattro
aree
.
All
'
estrema
sinistra
stanno
i
movimenti
che
sono
insieme
egualitari
e
autoritari
:
l
'
esempio
classico
è
quello
dei
giacobini
e
dei
loro
tardi
seguaci
,
i
bolscevichi
.
Alla
sinistra
moderata
appartengono
i
movimenti
egualitari
e
libertari
,
il
cui
esempio
al
tempo
attuale
sono
i
partiti
socialdemocratici
che
ricoprono
una
vasta
area
che
si
potrebbe
chiamare
opportunamente
di
«
socialismo
liberale
»
.
Seguono
i
movimenti
della
destra
moderata
che
sono
insieme
inegualitari
e
libertari
.
Infine
c
'
è
l
'
estrema
destra
in
cui
si
collocano
i
movimenti
che
accompagnano
l
'
autoritarismo
alla
voglia
(
o
nostalgia
)
di
una
società
ordinata
gerarchicamente
.
Certamente
la
realtà
è
più
ricca
di
qualsiasi
schema
.
Ma
è
sempre
meglio
uno
schema
qualsiasi
che
la
confusione
mentale
da
cui
possono
nascere
soltanto
comportamenti
politicamente
aberranti
.
StampaQuotidiana ,
Staglieno
!
Staglieno
!
Necropoli
senza
fi
ne
,
paradiso
del
necrofilo
mentale
,
giardino
accademico
dell
'
animista
ateo
!
Staglieno
,
porto
sepolto
,
sotterraneo
,
alle
spalle
della
città
portuale
!
Suo
padre
,
il
Père
-
Lachaise
,
ha
più
.
misura
,
è
fatto
come
un
regolamento
,
un
'
accademia
militare
,
si
è
rinchiusa
nei
suoi
viali
una
società
più
potente
,
più
compatta
,
decisa
a
tenersi
tutta
per
mano
e
a
fare
muro
contro
il
tempo
sotto
il
segno
del
due
amanti
del
Paracleto
,
Abelardo
ed
Eloisa
,
la
coppia
di
intellettuali
sepolta
in
parole
nella
Patrologia
del
Migne
e
in
ossa
che
si
baciano
e
ribaciano
sotto
il
tempietto
neogotico
di
Parigi
,
ultima
loro
follia
.
Al
Père
-
Lachaise
,
dove
si
è
dissolta
la
fragilità
dei
vivi
,
tiene
mirabilmente
la
forza
,
l
'
energia
,
la
fame
di
durare
,
la
misteriosa
volontà
di
patema
dei
morti
.
Aspettate
a
dire
che
la
Francia
è
nella
sua
amministrazione
;
cercate
prima
nell
'
ombelico
del
Père
-
Lachaise
il
segreto
della
sua
forza
.
Ma
Staglieno
è
più
inaspettato
,
più
incredibile
,
più
fantastico
.
La
diga
del
progetto
originario
del
Barabino
,
una
sobria
pianta
quadrangolare
dominata
da
un
cappellone
neoclassico
,
si
rompe
presto
e
il
fiume
dei
morti
sommerge
la
collina
,
le
anime
per
placarsi
pretendono
sterminate
gallerie
,
colonnati
,
boschetti
sacri
,
ambulacri
di
Dedalo
,
templi
egiziani
,
e
un
diluvio
,
un
oceano
,
un
'
atlantide
di
statue
,
di
bassorilievi
,
di
altorilievi
,
di
busti
,
di
medaglioni
,
di
epigrafi
spudorate
,
di
gruppi
statuari
senza
ritegno
che
raccontino
di
loro
tutto
.
Staglieno
è
un
'
enorme
confessione
collettiva
,
uno
dei
più
grandi
spettacoli
del
teatro
della
Morte
;
si
possono
passare
giorni
(
notti
,
ancora
meglio
,
nascondendosi
in
qualche
cappella
)
,
settimane
intere
ad
ascoltare
quelle
tirate
,
quei
monologhi
,
quei
battibecchi
su
chi
ebbe
più
meriti
,
su
chi
ha
più
ammassato
patrimoni
celesti
,
e
sempre
ti
direbbero
dell
'
insolito
,
dell
'
inaudito
sulla
nullità
,
il
vuoto
,
la
miseria
,
la
stupidità
inarrivabile
,
l
'
assurdità
perfetta
,
la
disperazione
infinita
che
i
nostri
gusci
d
'
osso
nascondono
per
vomitarli
davanti
alla
faccia
del
cielo
.
Le
sue
voci
Se
le
pietre
romaniche
cantano
,
le
statue
di
Staglieno
recitano
:
sono
drammi
giacosiani
,
ibseniani
,
ferrariani
,
scapigliateschi
,
verghiani
,
bracchiani
,
dannunziani
,
pirandelliani
,
labichiani
,
feidoiani
,
strindberghiani
in
una
confusione
da
onde
hertziane
che
s
'
incrociano
e
accavallano
,
sovraccariche
di
voci
e
di
rumori
.
Niente
è
meno
silenzioso
,
di
questo
cimitero
inesauribilmente
sonoro
.
Il
Père
-
Lachaise
è
maschio
e
occidentale
.
Staglieno
è
femmina
e
orientale
,
come
Genova
.
Ha
il
disordine
,
la
smania
d
'
invadere
e
di
straripare
con
attiva
pigrizia
,
di
tutti
gli
Orienti
.
I
suoi
morti
sono
stati
i
cittadini
orientali
di
un
regno
nordico
;
cessati
i
doveri
verso
il
re
piemontese
,
si
liberavano
di
ogni
freno
in
morte
.
«
Irraggia
lo
splendore
orientale
/
Genova
nelle
donne
dalla
testa
/
Sibillina
...
»
cantava
sotto
l
'
artiglio
del
Delfico
,
Campana
.
Le
sue
prodigiose
visioni
di
Genova
sono
visioni
d
'
Oriente
.
Ma
non
vedremo
mai
più
la
Genova
orientale
campaniana
,
anche
se
qualche
donna
«
dalla
testa
sibillina
»
,
con
nei
capelli
«
un
po
'
d
'
alga
marina
»
si
può
forse
incontrarla
ancora
,
nei
cortili
e
nei
caruggi
.
Campana
,
l
'
aedo
di
Marradi
,
è
il
sublime
poeta
di
Genova
.
Montale
è
il
metafisico
del
paesaggio
ligure
:
il
suo
verso
,
proprio
perché
di
scrittura
metafisica
,
lo
assume
per
disintegrarlo
,
se
ne
slega
,
non
lo
trattiene
.
Campana
non
è
metafisico
,
è
un
Villon
dei
porti
,
un
superbo
lettore
dell
'
anima
di
un
porto
-
Genova
.
Per
girare
nel
porto
,
più
che
del
lasciapassare
del
commissariato
,
è
necessario
munirsi
dei
versi
campaniani
sulla
notte
portuale
,
sul
porto
che
si
addormenta
:
«
E
'
la
forza
che
dorme
,
è
la
tristezza
/
Inconscia
delle
cose
che
saranno
/
E
'
la
vita
che
cullasi
nel
ritmo
/
Affaticato
»
.
Tutto
è
detto
;
infelice
chi
non
capisce
.
Senza
marinai
Ma
quei
versi
servono
soltanto
al
pensiero
e
al
sogno
.
Il
porto
,
com
'
è
oggi
,
è
scoraggiante
...
Dal
mare
e
da
terra
,
gli
occhi
che
lo
cercano
non
lo
trovano
più
.
Il
porto
può
anche
emigrare
a
Voltri
,
nel
Duemila
,
o
nei
fiordi
,
o
in
Australia
:
il
porto
di
Genova
non
è
più
.
Dov
'
è
l
'
Oriente
?
Dov
'
è
il
colore
,
spia
dell
'
anima
delle
cose
?
Di
notte
,
dall
'
alto
,
dal
largo
,
il
porto
è
quella
curva
luminosa
che
si
sfalda
in
segmenti
e
puntini
tracciata
dal
compasso
del
golfo
,
niente
di
più
banale
,
se
non
ti
sostiene
l
'
immaginazione
:
«
Là
c
'
è
il
porto
»
.
Prova
a
cercare
un
marinaio
,
laggiù
,
un
vero
scaricatore
,
e
balle
di
mercanzia
,
o
navi
piene
di
gente
in
lacrime
!
Il
porto
è
una
immensa
gru
che
nasconde
il
cielo
,
le
navi
sono
ferraglia
silenziosa
,
imbottite
di
containers
,
quasi
mai
vedi
affacciarsi
qualcuno
,
sono
deretani
di
minerale
dove
non
sembra
agitarsi
neppure
un
oxiuro
...
Il
saluto
umano
,
l
'
addio
umano
,
spariti
...
I
traghetti
non
sono
navi
,
sono
garages
;
gli
ufficiali
avviliti
di
essere
alla
testa
di
equipaggi
di
camion
,
di
condurre
in
Sardegna
,
a
Tunisi
,
a
Palermo
famiglie
di
roulottes
,
tribù
di
Fiat
,
di
Alfa
,
di
Peugeot
,
popoli
di
Michelin
,
città
di
Pirelli
,
cortei
di
Land
Rover
,
generazioni
di
trattori
,
qualche
volta
con
passeggeri
sistemati
nel
cofano
,
tre
o
quattro
nordafricani
,
due
mezzi
genovesi
,
un
magliaro
turco
,
una
maestrina
di
Cagliari
,
un
neonato
abbandonato
lì
dalla
madre
,
fuggita
su
un
'
altra
Citroën
verso
i
Pirenei
,
in
tutto
così
pochi
che
la
Tirrenia
non
perde
tempo
a
contarli
e
a
fargli
pagare
il
biglietto
,
né
la
Finanza
a
controllarne
il
bagaglio
.
Sul
ponte
,
quando
le
navi
partono
,
si
agita
una
chiave
inglese
,
un
pneumatico
che
non
ha
voglia
di
emigrare
si
sporge
triste
dal
parapetto
.
Ma
dal
molo
chi
gli
risponde
?
Il
braccio
di
una
gru
,
ma
soltanto
durante
l
'
orario
sindacale
;
mai
di
domenica
.
L
'
Oriente
genovese
è
da
riinventare
...
bisogna
farlo
risorgere
dall
'
invisibile
,
andarlo
a
scoprire
nelle
Madonnine
(
tante
Kalì
e
Annapurne
)
ancora
sospese
ai
muri
che
fatiscono
,
nelle
navi
di
pietra
cariche
di
balle
di
pietà
cristiana
ancora
non
disertate
dagli
equipaggi
dei
devoti
;
farlo
schizzare
fuori
dai
libri
,
ascoltarlo
in
una
cadenza
dialettale
.
Credevo
di
detestare
le
cadenze
liguri
:
dopo
una
settimana
di
immersione
nei
superstiti
odori
delle
friggitorie
di
Genova
mi
penetrava
l
'
orecchio
come
una
guzla
araba
,
col
contrappunto
solare
di
un
tamburo
semita
.
In
quell
'
accento
che
strapiomba
sul
mare
,
dove
attira
e
fa
precipitare
l
'
idea
la
funerea
sirena
della
u
,
che
si
ripete
fino
al
trionfo
del
sonno
in
cui
dolcemente
tutto
farà
naufragio
,
c
'
è
come
una
tranquillità
di
contemplativi
,
un
pessimismo
ascetico
e
lontano
.
Oh
perché
così
presto
?
Perché
tanto
in
fretta
?
Sappiamo
sappiamo
che
il
Tempo
mangia
la
vita
,
che
il
Tempo
ha
fame
di
tutto
e
non
lascia
vivo
niente
,
ma
questa
metropoli
mezzo
sudamericana
mezzo
nordeuropa
,
sporcata
dai
gas
siderurgici
,
il
porto
recintato
da
una
sopraelevata
,
il
cemento
che
sbaccanaleggia
impaziente
intorno
alle
ultime
case
di
Portoria
e
di
piazza
Sarzano
,
luoghi
di
meraviglie
,
quadrivii
magici
,
la
vergogna
dell
'
anonimato
verticale
che
soffoca
e
strazia
la
sublime
distesa
delle
ardesie
-
perché
tutto
d
'
un
colpo
,
in
pochissimi
anni
,
ha
rovesciato
l
'
Immagine
di
una
città
vera
,
di
un
mondo
autentico
,
l
'
ha
sbrindellata
,
l
'
ha
dispersa
?
Dunque
a
Staglieno
,
a
Staglieno
.
Il
caos
della
necropoli
ci
vendica
dell
'
Oriente
laggiù
perduto
,
dove
la
melopea
campaniana
non
trova
più
nella
sera
ambigua
«
l
'
alito
salso
umano
»
,
e
«
nel
gorgo
di
fremiti
sordi
»
l
'
odore
di
stoccafisso
e
il
traballare
delle
mandòle
Staglieno
è
intatto
.
La
Morte
non
delude
chi
l
'
ama
.
(
Almeno
un
poco
:
il
tanatofobo
,
se
esiste
,
è
un
amputato
psichico
,
che
non
può
correre
sui
sentieri
degli
elisi
)
.
Staglieno
affascina
,
ma
è
il
fascino
della
demenza
...
Mi
veniva
un
pensiero
terrificante
:
se
davvero
dovessero
risorgere
,
e
risorgessero
così
come
appaiono
nelle
sculture
,
coi
loro
angeli
custodi
,
i
loro
cristi
di
languore
,
tra
lo
sgomento
degli
ultimi
viventi
,
come
la
terra
sopporterebbe
il
peso
di
tanto
delirio
?
Per
lo
più
sono
morti
in
pace
,
confortati
dalla
Religione
,
autorizzati
dalla
Scienza
,
tra
le
lacrime
dei
Congiunti
,
dopo
vite
probe
,
probissime
-
perché
,
in
morte
,
sfogarsi
in
così
scomposti
deliri
?
Forse
perché
Staglieno
è
femmina
,
un
piagnone
,
anzi
una
prèfica
,
isteria
che
si
scatena
al
contatto
del
sepolcro
,
braccia
che
brancicano
,
labbra
che
succhiano
,
e
ha
un
'
anima
di
baccante
,
una
febbre
dionisiaca
nelle
vene
,
proprio
lì
,
a
due
passi
da
un
Bisagno
al
di
sopra
di
ogni
sospetto
.
Rachelina
,
mori
a
diciannove
anni
nel
1918
:
«
Il
tuo
vergine
corpo
riposa
qui
ma
l
'
anima
tua
gode
coi
beati
»
confessa
l
'
epigrafe
.
Su
uno
,
Euterpe
piange
lacrime
di
coccodrillo
:
«
Tutto
amore
per
l
'
arte
che
gli
fu
ispiratrice
di
elette
e
profonde
armonie
ne
ritrasse
splendida
fama
ma
da
quell
'
ardore
ebbe
consunta
innanzi
tempo
la
vita
»
.
Un
Carlo
Orazio
«
corse
Europa
e
America
lasciando
ovunque
desiderio
di
sé
»
,
ma
non
è
difficile
quando
,
per
correre
,
non
si
resta
ospiti
a
lungo
.
«
A
Giuseppe
Soldi
negoziante
»
...
M
'
impressiona
un
'
Antonietta
Noceti
«
che
alla
scuola
di
G
.
C
.
imparò
l
'
eroismo
che
la
tenne
sempre
serena
»
per
via
di
quelle
due
iniziali
,
che
sono
quelle
del
mio
povero
nome
,
scritto
sull
'
acqua
piovana
.
Davvero
,
alla
mia
scuola
sarebbe
possibile
imparare
uno
speciale
eroismo
che
mantiene
sempre
sereni
?
Se
fosse
così
,
morrei
senza
dispiacere
,
contento
della
mia
.
giornata
.
Quelle
porte
di
marmo
,
chiuse
e
semiaperte
,
presso
a
cui
il
Defunto
sosta
,
esitando
,
incuriosito
e
atterrito
,
o
è
condotto
di
peso
da
angeli
robusti
come
infermieri
di
vecchio
manicomio
-
sono
,
del
fantastico
macabro
,
a
Staglieno
,
uno
dei
motivi
più
misteriosi
...
Fessurine
sulla
voragine
,
aperture
sul
precipizio
,
mi
attirate
morbosamente
...
Se
non
foste
di
marmo
,
vi
spingerei
dolcemente
,
tentato
di
guardare
...
Nel
porticato
superiore
il
monumento
più
morboso
è
quello
di
Raffaele
Pienovi
,
1879
,
dell
'
inuguagliabile
scultore
Villa
.
Una
donzella
,
più
curiosa
che
disperata
,
certamente
la
figlia
del
Pienovi
,
solleva
leggermente
il
lenzuolo
che
copre
,
elegantemente
sgualcito
,
il
caro
defunto
fin
sopra
la
testa
,
poggiata
su
due
bei
guanciali
di
malattia
.
Che
cosa
vede
,
la
signorina
Pienovi
?
Ebbe
una
curiosità
simile
il
marito
di
Emma
Bovary
,
nella
camera
mortuaria
,
lei
tutta
velata
di
bianco
,
tra
i
ceri
lacrimanti
:
«
Lentamente
,
con
la
punta
delle
dita
,
palpitando
,
sollevò
il
velo
.
Ma
gettò
un
grido
d
'
orrore
»
In
un
romanzo
ci
viene
detto
quel
che
succede
dopo
:
un
grido
,
e
poi
il
resto
della
storia
...
Ma
la
sospensione
del
gruppo
statuario
è
qualcosa
d
'
immenso
,
il
mistero
si
chiude
inesorabilmente
.
Il
gruppo
essendo
un
poco
in
alto
,
il
visitatore
non
vede
quel
che
c
'
è
sotto
il
lenzuolo
...
Potrebbe
non
esserci
niente
?
Non
c
'
era
nessuno
...
Sono
salito
,
ho
guardato
...
Non
ho
gridato
.
Non
dirò
quello
che
ho
visto
.
StampaQuotidiana ,
E
il
demoniaco
cominciava
a
invadere
tutto
,
fino
alle
lettere
e
pitture
più
alte
e
tragiche
,
dalla
Spagna
alla
Siberia
,
da
Parigi
a
Pietroburgo
:
perché
non
entra
,
da
Porta
Tosa
,
da
Porta
Ticinese
,
per
i
Navigli
e
le
cloache
,
o
giù
per
i
camini
,
in
Milano
?
A
Milano
,
il
più
grande
scrittore
italiano
del
secolo
esclude
il
demoniaco
dal
suo
unico
romanzo
come
dagli
altri
suoi
scritti
,
dalla
sua
teologia
morale
,
dalle
sue
lettere
,
da
ogni
espressione
del
suo
pensiero
.
Neppure
Stendhal
l
'
aveva
messo
nelle
sue
storie
;
ma
Stendhal
non
era
scrittore
religioso
e
teologico
,
e
neppure
un
allucinato
romantico
;
Manzoni
è
scrittore
religioso
integrale
.
E
'
scrittore
cristianissimo
,
e
ancora
al
suo
tempo
Satana
era
l
'
avversario
di
Dio
nella
vita
interiore
del
credente
,
viveva
nelle
crepe
metafisiche
e
nelle
notti
dei
santi
;
l
'
Anticristo
era
nel
timori
e
nelle
attese
del
residuo
messianismo
cattolico
:
il
papa
poteva
permettersi
di
nominarlo
.
In
un
altro
scrittore
cristiano
integrale
,
Dostoevskij
,
l
'
intero
problema
morale
è
gettato
nel
crogiuolo
del
demoniaco
e
studiato
,
messo
in
luce
mentre
il
regno
anticristico
schiuma
,
preme
,
vicino
.
Manzoni
è
muto
.
In
Manzoni
molte
cose
sono
taciute
,
non
per
questo
annullate
.
Avendo
con
lui
una
certa
pratica
quotidiana
,
potrei
tentare
uno
scandaglio
.
Manzoni
fu
un
uomo
assediato
da
innumerevoli
terrori
,
non
tutti
spiegabili
con
la
sua
eredità
nervosa
.
Uno
dei
più
sottili
tra
i
suoi
terrori
era
quello
di
non
riuscire
a
dire
,
sempre
,
la
verità
tutta
intera
,
di
non
servirla
abbastanza
...
La
verità
morale
gli
appariva
sotto
tanti
aspetti
e
così
complicata
da
rendergli
ogni
cosa
in
cui
dovesse
impegnarsi
per
lei
un
combattimento
estenuante
.
Si
può
leggere
il
romanzo
anche
come
un
combattimento
per
la
verità
,
condotto
con
uno
scrupolo
smisurato
.
E
poiché
tutta
la
verità
per
lui
si
accordava
perfettamente
con
l
'
insegnamento
della
Chiesa
,
temeva
continuamente
che
un
punto
gliene
sfuggisse
,
lasciandolo
scoperto
,
come
per
castigo
,
sospeso
nel
vuoto
,
senza
più
il
braccio
soccorritore
della
religione
,
sentita
inconsciamente
più
implacabile
che
pietosa
.
Non
poteva
vivere
senza
quel
riparo
.
C
'
è
una
forte
agonia
cerebrale
,
dietro
le
palpebre
socchiuse
della
sua
anima
pensosa
:
una
natura
predestinata
alla
lotta
con
l
'
angelo
di
Dio
,
nella
forma
di
una
correzione
spietata
,
dolorosa
,
perfino
raffinatamente
maniacale
,
del
proprio
pensiero
e
di
ogni
dottrina
che
contrastasse
con
la
regola
celeste
che
si
era
imposta
.
Per
Manzoni
,
quel
che
non
è
morale
è
irrazionale
.
Anche
in
un
'
ombra
leggera
,
poteva
già
condannare
il
crimine
d
'
irrazionalità
.
Tutto
l
'
immaginario
manzoniano
,
che
culmina
e
si
esaurisce
nel
romanzo
,
non
solo
si
dispone
dentro
un
ordine
morale
:
è
questo
stesso
ordine
,
figlio
e
frutto
del
suo
tormento
nervoso
,
etico
e
spirituale
.
Tutte
le
sue
creature
ricevono
umanità
dal
loro
essere
animali
morali
in
movimento
,
frammenti
di
morale
in
cerca
di
verità
unificatrice
,
promessi
sposi
morali
che
anelano
al
matrimonio
,
ad
un
ricongiungimento
sistematico
,
per
mezzo
di
prove
dolorose
che
cancellino
da
loro
le
tracce
del
peccato
d
'
origine
.
E
'
un
miracolo
che
Manzoni
abbia
saputo
farne
,
tra
molti
rischi
di
cadute
nell
'
edificante
ad
ogni
costo
,
realtà
umane
in
un
respiro
di
poesia
pura
.
Chiusa
l
'
epoca
del
romanzo
,
ripiglia
la
sua
eterna
ricerca
morale
senza
più
metafore
,
ma
con
uno
stile
combattente
che
non
vacillerà
che
al
cecidere
manus
dei
suoi
ultimi
giorni
di
vigilia
sabbatica
.
Se
il
demoniaco
è
assente
da
questo
romanzo
del
tormento
e
dell
'
Iniziazione
morale
,
devo
pensare
lo
fosse
interamente
dall
'
orizzonte
manzoniano
?
Mi
provo
a
definire
il
demoniaco
senza
disturbare
angeli
sprofondati
né
il
princeps
tenebrarum
,
lasciandoli
però
agitarsi
al
di
là
del
velo
concettuale
,
come
enti
irreali
misteriosamente
possibili
.
Demoniaco
è
il
male
che
,
nell
'
esperienza
umana
,
produce
pena
e
disfacimento
morale
e
mentale
:
la
sua
dipendenza
(
o
non
può
avere
questo
nome
)
da
un
principio
assoluto
,
pone
il
problema
della
prova
da
parie
di
Dio
che
si
fa
lui
stesso
l
'
Avversario
e
il
persecutore
occulto
,
o
del
dualismo
metafisico
(
se
esista
un
principio
tenebroso
contrario
al
Bene
)
.
Demoniaco
è
il
Caos
primordiale
(
prima
e
dopo
tutti
i
Big
Bangs
)
riflesso
nel
microcosmo
umano
,
che
ne
è
dal
giorno
di
assunzione
nella
coscienza
(
la
vera
uscita
dalla
preistoria
!
)
come
lacerato
e
minutamente
stigmatizzato
;
e
irrompe
violentemente
e
capillarmente
nella
pazzia
,
nel
crimine
,
nella
storia
,
nelle
costrizioni
mentali
(
i
mind
'
s
manacles
di
Blake
)
,
nella
morte
dell
'
anima
,
nell
'
incubo
,
nelle
passioni
,
ed
è
un
fuoco
inestinguibile
.
Ora
,
dai
suoi
effetti
sovranamente
calmanti
,
e
dal
suo
segreto
procedere
rituale
,
si
può
definire
lo
stile
manzoniano
come
altissimamente
ed
eminentemente
esorcistico
.
Né
stola
,
né
aspersioni
,
né
formule
...
Esorcistico
,
alla
lettera
:
per
cacciare
via
,
per
scongiurare
...
E
oltre
questo
:
esorcistico
per
Intima
volontà
demiurgica
,
uno
stile
che
si
elabora
per
mettere
ordine
,
nel
caos
morale
individuale
e
nella
storta
,
vissuta
come
specchio
del
caos
morale
,
regno
del
fuoco
maledetto
.
Un
partigiano
innocente
del
demoniaco
-
i
grandi
romantici
lo
sono
tutti
-
come
Victor
Hugo
,
sguazza
felice
nel
caos
della
storia
,
gli
scopre
addirittura
un
proprio
ordine
(
demoniaco
)
perfetto
,
che
si
configura
in
un
ideale
progresso
,
e
arriva
a
produrre
visioni
compiaciute
ed
entusiasmanti
,
molto
più
piacevoli
delle
manzoniane
:
la
Rivoluzione
,
Waterloo
,
la
Parigi
di
Luigi
XI
e
di
Luigi
Filippo
;
Manzoni
applica
alla
storia
la
museruola
inflessibile
del
suo
stile
esorcistico
,
obbliga
il
grande
serpente
a
sputare
il
suo
tossico
nel
recipiente
,
mette
in
guardia
il
lettore
(
il
novizio
,
l
'
iniziando
)
dalle
tentazioni
e
dalle
metamorfosi
del
mostro
.
Qualunque
cosa
dica
,
in
qualunque
opera
In
versi
o
in
prosa
,
Manzoni
pronuncia
un
preciso
scongiuro
contro
le
potenze
invisibili
del
caos
,
di
cui
ha
una
profonda
,
eterna
,
non
domata
paura
.
Ha
i
suoi
grandi
momenti
di
prova
:
la
guerra
dei
Trentanni
,
nello
scorcio
satirico
del
romanzo
,
sottoposta
al
trattamento
magnetico
manzoniano
,
è
una
gorgona
di
demenza
placata
,
messa
sotto
chiave
;
e
cosi
la
presa
della
Bastiglia
,
nel
saggio
senile
sulla
Rivoluzione
.
Quanto
al
demoni
presenti
nelle
storie
delle
unzioni
,
sappiamo
da
che
parte
si
trovino
.
Più
sottilmente
,
si
misuri
l
'
abissalità
benefica
dello
stile
manzoniano
-
tanta
da
stare
alla
pari
con
gli
abissi
di
male
che
fronteggia
-
sia
nelle
magnifiche
confutazioni
della
morale
fondata
sull
'
utilità
,
che
nel
giudizio
di
Robespierre
,
nel
dialogo
dell
'
Invenzione
.
Non
piglia
mai
le
vie
facili
:
per
Manzoni
,
Robespierre
non
è
per
niente
un
mostro
,
ma
un
mistero
.
Ed
ecco
definito
,
con
inuguagliabile
portata
di
stile
,
un
uomo
che
ebbe
certamente
una
parte
di
demoniaco
e
ne
introdusse
nella
storia
:
«
Ma
un
'
astrazione
filosofica
,
una
speculazione
metafisica
,
che
dominava
i
pensieri
e
le
deliberazioni
di
quell
'
infelice
,
spiega
,
se
non
m
'
inganno
,
il
mistero
,
e
concilia
le
contraddizioni
.
Aveva
imparato
da
Giangiacomo
Rousseau
...
»
.
Così
,
eccoci
,
quasi
dostoevschianamente
,
nel
demoniaco
dell
'
ideologia
,
il
rinnegamento
del
peccato
originale
imparato
da
Rousseau
fatto
causa
della
perversione
mentale
e
politica
di
Robespierre
.
Sappiamo
bene
che
Sade
,
Necaev
,
Lenin
,
Hitler
sono
tutti
figli
di
un
'
astrazione
filosofica
.
Furet
,
senza
di
cut
è
impossibile
decifrare
a
fondo
il
fenomeno
rivoluzionarlo
francese
,
perfeziona
Manzoni
:
«
Robespierre
è
un
profeta
...
nessun
contemporaneo
ha
interiorizzato
come
lui
il
codice
ideologico
della
rivoluzione
»
.
Ma
per
Manzoni
il
demoniaco
(
non
nominato
)
di
Robespierre
,
e
di
tutta
la
filosofia
dei
lumi
,
è
nell
'
ignoranza
del
peccato
originale
,
in
un
errore
metafisico
.
La
folla
,
manzonianamente
,
è
sempre
demoniaca
:
la
esorcizza
energicamente
con
lo
stile
.
L
'
amore
...
Se
non
lo
lava
in
chiesa
,
dove
deve
«
venir
comandato
e
chiamarsi
santo
»
,
resta
per
lui
essenzialmente
demoniaco
.
Non
basta
procreare
,
riprodurre
uomo
anzi
non
è
un
gran
bene
...
Manzoni
accolse
Malthus
,
quasi
unico
tra
i
cattolici
,
con
estremo
favore
.
Ma
anche
l
'
Ordine
civile
(
l
'
autorità
,
lo
Stato
,
i
magistrati
)
è
Caos
.
Anche
l
'
amore
represso
(
Gertrude
)
è
Caos
.
L
'
unico
personaggio
in
cui
il
demoniaco
è
scritto
in
faccia
in
cubitali
è
il
miserabile
padre
di
Gertrude
,
un
distruttore
di
germogli
d
'
amore
e
causa
sinistra
del
futuro
comportamento
succubamente
demoniaco
della
figlia
monacata
per
forza
.
La
peste
,
invece
,
non
è
demoniaca
.
La
peste
,
sebbene
rompa
tutto
l
'
ordine
morale
-
razionale
e
spalanchi
le
porte
della
città
al
Caos
,
è
demiurgica
e
rimedio
del
male
:
il
suo
trionfo
introduce
addirittura
la
giustizia
provvidenziale
tra
le
leggi
umane
sconvolte
.
Manzoni
la
adopera
come
estremo
e
infallibile
ricorso
esorcistico
:
i
monatti
,
la
folla
che
lincia
untori
sono
demoni
scatenati
,
ma
l
'
eccesso
del
male
fa
sovrabbondare
paolinamente
la
grazia
,
e
porta
al
culmine
la
perfezione
dello
stile
manzoniano
scongiuratore
e
riparatore
.
Il
gallo
del
lazzaretto
canta
:
i
demoni
-
tutti
,
meno
la
vigliaccheria
tenace
di
don
Abbondio
-
spariscono
.
La
giustizia
redentrice
si
manifesta
simbolicamente
nella
pioggia
diluviale
,
che
si
annuncia
al
lazzaretto
,
tra
la
polvere
e
i
lamenti
,
come
una
figura
di
salvezza
,
e
finalmente
investe
e
inzuppa
nella
sua
corsa
solitaria
fuori
Milano
il
promesso
sposo
,
significandogli
che
la
prova
è
superata
.
Il
resto
,
non
è
più
che
il
graduale
e
ordinato
spegnersi
di
una
musica
.
Non
si
legge
Manzoni
per
divertirsi
,
ma
per
bisogno
di
guarire
.
Dopo
ogni
rilettura
,
si
resta
imbevuti
di
calma
,
come
liberati
da
una
crisi
isterica
,
da
un
'
idea
ossessiva
,
da
un
possesso
diabolico
.
«
Una
mano
ferma
-
dice
di
lui
Eugenio
D
'
Ors
in
Nuevo
glosario
-
che
di
tra
le
ombre
si
tende
verso
di
noi
,
e
a
cui
possiamo
aggrappare
la
nostra
,
nel
momento
in
cui
stavamo
per
scivolare
,
forse
a
perderci
irremissibilmente
»
.
Certo
,
Dostoevskij
è
infinitamente
più
attuale
;
perché
è
un
profeta
russo
,
mentre
Manzoni
è
un
poeta
italiano
,
che
vide
bene
la
storia
come
Caos
,
senza
però
vedere
un
futuro
in
cui
il
mondo
umano
,
in
preda
al
demoniaco
,
sarebbe
diventato
,
progressivamente
,
come
una
macchina
inerte
:
«...in
qualche
secolo
si
può
a
tal
punto
mortificare
il
mondo
che
dalla
disperazione
comincerà
effettivamente
a
desiderare
di
esser
morto
»
(
Taccuini
del
Demoni
)
.
Qualcosa
d
'
insoluto
è
nella
sorte
del
castello
dell
'
Innominato
,
quando
da
nido
insanguinato
del
delitto
si
trasforma
,
in
asilo
sicuro
di
afflitti
,
vigilando
dall
'
alto
(
senza
neppure
sparare
un
'
archibugiata
:
gli
basta
essere
entrato
nell
'
ordine
morale
-
razionale
)
contro
il
disordine
cieco
della
guerra
,
che
si
sfoga
e
passa
nella
pianura
.
La
conversione
del
famoso
brigante
può
avere
spiegazioni
psicologiche
,
ma
quella
del
castellaccio
e
di
tutta
la
sua
valle
ha
ancor
più
del
miracolo
,
del
teatro
e
della
fiaba
:
perché
non
è
un
'
anima
d
'
uomo
,
è
un
simbolo
pietrificato
del
disordine
e
del
male
.
Un
'
insegna
,
un
'
espressione
visibile
del
mondo
infero
,
può
così
facilmente
farsi
l
'
insegna
del
Bene
sulla
stessa
altura
,
la
Malanotte
cambiarsi
nell
'
osteria
della
Buonanotte
,
i
cattivi
agire
da
guardiani
e
da
infermieri
conservando
le
stesse
facce
?
La
grazia
della
palingenesi
morale
si
estende
anche
all
'
inanimato
,
al
sicari
,
ai
pugnali
?
I
dubbi
di
don
Abbondio
,
quando
va
al
castello
,
testimoniano
di
una
interessante
esitazione
di
Manzoni
stesso
:
è
davvero
possibile
che
lassù
tutto
sia
ormai
eliso
e
salvezza
?
Se
adesso
lì
spuntasse
una
amanita
falloide
,
sarebbe
commestibile
?
Il
Male
,
se
veramente
esiste
come
tale
,
può
cambiare
natura
?
Dietro
al
povero
curato
,
pauroso
cronico
,
il
grande
indagatore
interroga
l
'
universo
morale
,
il
più
difficile
del
mondi
,
perplesso
.
StampaQuotidiana ,
Più
che
mai
il
potere
delle
parole
.
Sono
loro
a
fare
la
storia
.
Ma
"
fare
la
storia
"
anche
questo
non
è
che
una
parola
;
se
poi
si
stampa
"
Storia
"
con
la
maiuscola
non
afferriamo
più
niente
,
ma
qualcuno
rischia
di
essere
afferrato
.
Il
linguaggio
non
ha
fatto
vacanza
,
il
25
aprile
1994
:
presidiava
le
piazze
,
era
il
superprefetto
di
Milano
,
ha
fatto
il
cuoco
e
l
'
albergatore
,
l
'
infermiere
,
il
regista
;
ha
avuto
una
delle
sue
grandi
giornate
.
Sfogliando
i
giornali
che
hanno
coperto
brillantemente
l
'
evento
,
è
una
fantasmagoria
di
apparizioni
linguistiche
rivelatrici
a
venirti
incontro
.
Un
bel
fiocco
blu
è
"
fascismo
telecratico
"
,
i
cui
genitori
sono
indubbiamente
"
telecrazia
"
e
"
telefascismo
"
,
Non
importa
sapere
che
cosa
e
se
qualcosa
gli
corrisponda
:
la
parola
"
è
la
cosa
"
.
Da
uno
che
grida
"
aspettatemi
,
berlusconi
"
è
messo
in
movimento
"
berluscone
"
come
ingiuria
affettuosa
(
a
seconda
del
tono
e
del
destinatario
)
.
Usi
possibili
:
"
Piantala
,
berluscone
!
,
"
Siete
una
banda
di
berlusconi
!
"
,
"
Ha
una
moglie
un
po
'
berluscona
"
.
Buon
viaggio
.
Incantevoli
i
"
collages
"
surrealisti
operati
dal
caso
:
il
gonfalone
dell
'
ANPI
sventolato
accanto
a
"
Lesbiche
contro
"
,
gli
albanesi
nostalgici
di
Hoxha
venuti
a
salvare
dal
fascismo
la
sventurata
Italia
,
la
cassetta
da
elemosine
"
Per
sostenere
il
programma
agroalimentare
del
governo
cubano
"
che
prende
i
mille
e
i
diecimila
dei
"
Cabarettisti
Combattenti
"
,
un
'
insegna
che
da
sola
fa
grido
.
Ma
contro
che
cosa
saranno
le
lesbiche
contro
?
In
occasione
della
ricorrenza
sono
"
contro
ogni
fascismo
"
.
Dunque
ci
sarà
,
da
qualche
parte
,
oltre
al
fascismo
telecratico
,
un
fascismo
antilesbico
,
col
quale
bisognerà
pur
fare
i
conti
,
se
non
vogliamo
essere
berlusconizzati
.
Sarebbe
ancora
poco
.
Il
rischio
maggiore
è
la
"
berlusclonazione
"
,
da
cui
possono
uscire
solo
dei
reggimenti
di
SS
"
berlusclonati
"
,
contro
i
quali
la
vigilanza
cabarettista
e
lesbista
dovrà
essere
tre
volte
cubana
.
Da
concorso
il
cartello
"
Fini
il
fascista
travestito
da
Mulino
Bianco
"
ma
il
premio
va
assegnato
a
"
Berlusconi
sei
la
nostra
America
,
noi
saremo
il
tuo
Vietnam
"
,
rivelatore
anche
di
un
'
adeguata
conoscenza
della
storia
contemporanea
.
Ne
può
nascere
perfino
una
tombola
casalinga
,
guerresca
,
con
giocatori
Berlusconi
-
America
e
giocatori
Vietnam
.
(
Però
,
se
vincesse
l
'
America
?
Bisognerà
truccare
il
gioco
)
.
Ispirato
da
recenti
immagini
pie
telecratiche
un
"
Ci
piace
di
più
Mussolini
a
testa
in
giù
"
,
interessante
perchè
prodotto
non
da
memoria
storica
ma
dall
'
informazione
che
rifà
attuale
tutto
quello
che
vuole
.
Il
capro
espiatorio
sul
luogo
è
stato
,
a
Milano
,
il
malavventurato
Umberto
Bossi
,
caricato
di
tutto
quel
che
la
folla
sente
come
proprio
peccato
:
venduto
,
buffone
,
traditore
,
fascista
,
infiltrato
,
piduista
,
razzista
.
In
segno
di
solidarietà
,
col
mondo
che
nuore
di
fame
,
gli
hanno
tirato
pagnotte
...
Straordinarie
le
panoramiche
di
ombrelli
aperti
.
A
Milano
c
'
era
stata
una
celebre
"
giornata
degli
ombrelli
"
,
quando
la
folla
gioiosamente
democratica
trafisse
con
le
punte
degli
ombrelli
il
povero
ministro
napoleonico
Prina
,
ma
a
Bossi
è
andata
bene
,
niente
crocefissione
artigianale
,
soltanto
parole
parole
parole
....
.
Era
linguaggio
contro
linguaggio
,
essendo
Bossi
un
fortissimi
megafono
di
parole
,
di
quelle
che
hanno
travolto
le
palafitte
del
vecchio
potere
a
tre
corna
-
ma
linguaggio
sempre
,
nel
suo
violento
usurpare
tutto
.
Ancora
qualche
filosofico
cartello
:
"
Resistenza
umana
antispot
"
,
"
Appena
decidi
di
resistere
hai
cominciato
a
vincere
"
,
"
Se
Mussolini
è
il
più
grande
io
sono
un
muflone
"
.
L
'
Oscar
degli
Oscar
però
a
"
Dio
sia
davvero
antifascista
"
.
Qui
cala
la
notte
della
mente
di
Bertinotti
,
rifondatore
anche
in
fatto
di
teologia
:
"
La
religione
civile
dell
'
Italia
dev
'
essere
l
'
antifascismo
"
.
Oh
Lucrezio
,
Lucrezio
mio
:
"
Tantum
religio
potuit
suadere
malorum
!
"
C
'
è
in
po
'
di
tutto
nel
Nuovo
Catechismo
,
ma
sicuramente
manca
l
'
antifascismo
.
Mettiamocelo
,
per
la
maggior
gloria
di
Dio
.
(
Un
libro
di
Mario
Appelius
era
dedicato
alla
memoria
di
"
Nicola
Bonservizi
,
martire
della
"
religione
"
fascista
"
)
.
Tira
aria
di
Millennio
e
non
c
'
è
da
scherzare
.
A
forme
di
religiosa
demenza
collettiva
,
è
forse
là
che
la
gente
vuole
arrivare
.
Ma
è
una
vecchia
verità
che
atràs
la
cruz
està
el
diablo
.
Com
'
è
anomalo
e
curioso
il
fenomeno
Berlusconi
,
ieri
telecrate
oggi
incaricato
di
formare
governi
,
altrettanto
lo
è
l
'
antiberlusconismo
,
entrato
nel
linguaggio
(
anche
fuori
d
'
Italia
)
fin
dal
primo
accenno
del
Cavaliere
a
"
scendere
in
campo
"
e
penetrato
già
profondamente
in
pezzi
di
labirinto
dell
'
anima
collettiva
.
Restiamo
nella
pura
allucinazione
linguistica
:
ecco
già
apparsi
i
graffitti
in
cui
Berlusconi
è
definito
"
boia
"
.
Questo
,
ragionevolmente
,
dovrebbe
avere
per
premessa
degli
atti
da
carnefice
,
un
passato
di
delitti
quale
talvolta
hanno
i
vecchi
,
stanchi
lupi
della
politica
:
ma
se
il
Boia
conta
pochi
mesi
di
vita
,
soltanto
un
astrologo
senza
macchia
può
predire
,
pur
sempre
con
rischio
di
errore
,
che
lo
diventerà
.
Circa
l
'
antiveggenza
di
massa
,
e
l
'
interpretazione
di
segni
e
comete
da
parte
di
piazze
gremite
,
non
ne
è
documentata
alcuna
relazione
con
la
luce
.
Tuttavia
la
parola
,
megera
terribile
,
crea
il
"
boia
"
Berlusconi
per
semplice
associazione
,
in
una
cadenza
ripetitiva
di
tamburi
che
si
perde
,
dopo
nulla
aver
significato
,
nel
nulla
.
Sia
benedetto
il
buon
senso
,
sia
lodata
e
meditata
l
'
esatta
diagnosi
di
Emma
Bonino
,
che
ha
riscontrato
negli
italiani
una
"
introversione
"
,
che
gli
impedisce
di
staccarsi
una
buona
volta
da
quel
passato
,
che
gli
fa
vedere
immobilmente
"
sub
specie
"
di
fascismo
e
antifascismo
qualsiasi
cosa
.
Così
non
gli
resta
,
lo
sguardo
invertito
e
concentrato
su
una
danza
di
spettri
fatti
continuamente
ballare
da
vacue
ma
arroventate
parole
,
neppure
una
briciola
di
attenzione
per
la
straziante
sterminio
di
un
popolo
OGGI
stuprato
,
deportato
,
bombardato
,
fatto
a
pezzi
a
trecento
chilometri
dalla
frontiera
di
Muggia
.
Al
fascismo
la
crema
dei
pensieri
!
Ai
disperati
dei
Balcani
le
maglie
,
le
camicie
,
i
calzini
che
non
servono
più
.
StampaQuotidiana ,
La
piantina
di
Milano
,
spiegata
sulla
parete
della
sede
nazionale
di
Forza
Italia
,
in
Via
dell
'
Umiltà
a
Roma
,
sembra
la
planimetria
di
un
campo
di
battaglia
.
Puntini
,
cerchietti
e
riquadri
di
diverso
colore
,
collegati
tra
loro
da
linee
diagonali
che
si
dipartono
tutte
da
un
unico
centro
:
il
Forum
di
Assago
.
Lì
,
il
prossimo
16
aprile
,
si
aprirà
il
primo
congresso
nazionale
di
Forza
Italia
,
il
movimento
inventato
appena
quattro
anni
fa
da
Silvio
Berlusconi
che
ora
vuol
diventare
,
a
tutti
gli
effetti
,
un
partito
.
Sotto
quella
piantina
,
telefono
appoggiato
in
permanenza
all
'
orecchio
e
tastiera
del
computer
sotto
le
dita
,
lavorano
dalla
mattina
alla
sera
le
ragazze
addette
alla
"
logistica
"
.
Non
è
roba
da
poco
:
a
Milano
convergeranno
,
in
quei
tre
giorni
,
3.079
congressisti
ai
quali
vanno
assicurati
(
e
pagati
)
alloggio
,
pasti
e
spostamenti
,
più
un
numero
imprecisato
di
ospiti
e
di
giornalisti
.
A
complicare
ulteriormente
le
cose
ci
si
è
messa
anche
la
concomitante
Fiera
del
mobile
,
una
delle
grandi
manifestazioni
commerciali
che
intasano
periodicamente
Milano
.
Gli
organizzatori
del
congresso
si
sono
messi
le
mani
nei
capelli
,
quando
se
ne
sono
resi
conto
:
le
assise
non
potevano
certo
essere
spostate
un
'
altra
volta
,
e
poi
la
data
ad
alto
potenziale
simbolico
del
18
aprile
,
cinquantesimo
anniversario
della
vittoria
del
fronte
moderato
di
Alcide
De
Gasperi
sulla
sinistra
frontista
di
Pietro
Nenni
e
Palmiro
Togliatti
,
era
stata
accuratamente
scelta
da
Berlusconi
stesso
per
celebrare
,
con
un
comizio
a
Piazza
Duomo
,
la
chiusura
del
congresso
e
la
nascita
ufficiale
del
partito
.
D
'
altra
parte
,
non
si
poteva
rischiare
di
lasciare
all
'
addiaccio
,
nel
clima
traditore
di
metà
aprile
,
migliaia
di
congressisti
.
Per
fare
fronte
all
'
emergenza
,
i
responsabili
organizzativi
hanno
chiamato
in
soccorso
un
esperto
:
il
generale
(
e
ora
senatore
)
Luigi
Manfredi
,
già
comandante
del
IV
corpo
d
'
armata
degli
Alpini
e
responsabile
della
Protezione
civile
.
Manfredi
è
arrivato
a
via
dell
'
Umiltà
armato
di
mappe
e
cartine
,
ha
messo
su
una
piccola
task
force
di
telefoniste
,
ha
affidato
a
ciascuna
uno
spicchio
di
città
(
i
delegati
che
vengono
dal
nord
verranno
smistati
nel
quadrante
settentrionale
della
città
,
quelli
che
arrivano
da
sud
in
quello
meridionale
e
così
via
)
,
e
ora
il
responsabile
organizzativo
di
FI
,
Claudio
Scajola
,
può
tirare
un
sospiro
di
sollievo
:
"
Grazie
al
generale
,
ce
la
faremo
a
sistemare
tutti
"
.
Il
primo
congresso
di
Forza
Italia
(
quanto
costerà
nessuno
lo
sa
ancora
dire
con
precisione
,
ma
si
parla
di
cifre
da
capogiro
,
tra
gli
8
e
i
10
miliardi
)
si
aprirà
dunque
giovedì
16
aprile
nella
più
solida
enclave
azzurra
dell
'
Italia
ulivista
,
in
una
scenografia
che
è
il
segreto
meglio
conservato
dell
'
operazione
,
perché
Berlusconi
ne
sta
curando
personalmente
l
'
ideazione
.
Se
ne
occupa
durante
i
weekend
ad
Arcore
,
con
il
supporto
di
alcuni
"
creativi
"
di
Mediaset
:
il
suo
obiettivo
,
spiegano
,
è
di
assicurare
una
cornice
"
spettacolare
"
al
debutto
di
quello
che
"
non
è
un
partito
di
plastica
"
,
come
recita
lo
slogan
di
maggior
successo
di
questa
lunga
vigilia
congressuale
.
Lo
ha
coniato
,
ovviamente
,
Berlusconi
,
e
lo
ripetono
a
ogni
piè
sospinto
tutti
gli
esponenti
più
vicini
al
leader
,
dal
suo
portavoce
Paolo
Bonaiuti
a
Giuliano
Urbani
(
cui
è
affidata
gran
parte
dell
'
elaborazione
tematica
congressuale
)
a
Franco
Frattini
.
Lo
ripete
,
con
più
gusto
di
tutti
,
Claudio
Scajola
,
che
del
nuovo
partito
è
lo
strenuo
organizzatore
,
e
che
sciorina
orgogliosamente
i
suoi
dati
:
140.000
iscritti
ad
almeno
100.000
lire
l
'
uno
nei
tre
mesi
della
campagna
1997
(
attraverso
spot
Tv
e
"
telemarketing
"
)
,
che
hanno
fruttato
11
miliardi
di
entrate
;
117
congressi
provinciali
,
celebrati
negli
ultimi
mesi
,
che
hanno
eletto
i
coordinatori
locali
e
i
delegati
alle
assise
nazionali
.
Nel
congresso
,
che
sarà
articolato
in
sei
"
sessioni
tematiche
"
destinate
ad
aggiornare
il
programma
elettorale
del
'94
,
si
voterà
per
il
Presidente
(
Berlusconi
,
naturalmente
)
,
per
sei
membri
dei
18
del
Comitato
di
presidenza
e
cinquanta
del
Consiglio
nazionale
.
Restano
di
nomina
presidenziale
,
invece
,
i
20
coordinatori
regionali
e
sei
membri
del
Comitato
(
i
restanti
sei
sono
di
diritto
)
.
È
stato
nel
'96
,
dopo
la
sconfitta
elettorale
,
che
Berlusconi
ha
deciso
di
dare
a
FI
una
struttura
che
le
garantisse
l
'
insediamento
sul
territorio
,
visto
che
la
cosiddetta
"
par
condicio
"
non
avrebbe
più
consentito
l
'
utilizzo
dei
mezzi
di
comunicazione
per
diffondere
i
messaggi
politici
:
"
La
sinistra
ha
200.000
iscritti
che
si
incaricano
di
fare
la
propaganda
"
,
disse
ai
suoi
collaboratori
.
"
Non
avendo
più
le
Tv
,
anche
noi
dobbiamo
fare
altrettanto
"
.
Fino
a
quel
momento
,
c
'
erano
stati
diversi
tentativi
di
trasformare
il
comitato
elettorale
che
aveva
portato
al
trionfo
del
'94
(
nel
quale
un
ruolo
fondamentale
era
stato
svolto
dagli
uomini
"
dell
'
azienda
"
,
e
di
Publitalia
in
particolare
,
sotto
la
guida
di
Marcello
Dell
'
Utri
)
in
una
struttura
più
radicata
e
permanente
.
Nell
'
impresa
si
sono
cimentati
diversi
dirigenti
,
da
Mario
Valducci
(
oggi
responsabile
Enti
locali
)
a
Cesare
Previti
(
coordinatore
nazionale
tra
il
'94
e
il
'96
)
,
ma
solo
dopo
la
batosta
elettorale
il
disegno
prese
davvero
corpo
.
Ex
sindaco
di
Imperia
,
esponente
della
Dc
(
dove
però
,
tiene
a
precisare
,
"
non
ho
mai
fatto
politica
a
livello
nazionale
"
)
,
Scajola
venne
candidato
alla
Camera
in
quella
tornata
,
risultando
eletto
.
Appena
un
mese
dopo
,
Berlusconi
lo
insediò
a
Via
dell
'
Umiltà
,
da
dove
sono
stati
elaborati
,
in
questi
due
anni
,
lo
statuto
(
approvato
il
18
gennaio
del
'97
,
nel
terzo
anniversario
della
fondazione
di
FI
)
e
l
'
assetto
territoriale
e
centrale
del
partito
.
Perché
proprio
lui
,
l
'
ultimo
arrivato
?
Scajola
non
ha
dubbi
:
"
Perché
Berlusconi
ha
avuto
fiuto
"
,
spiega
.
I
suoi
nemici
(
e
lui
ammette
:
"
So
di
essermene
fatti
tanti
,
da
quando
sono
qui
"
)
lo
accusano
però
di
essersi
dedicato
alla
costruzione
di
un
apparato
di
partito
,
scegliendo
dirigenti
a
lui
legati
e
ricalcando
vecchi
modelli
di
organizzazione
politica
.
Alla
struttura
che
vedeva
come
unità
territoriale
di
FI
il
collegio
uninominale
della
Camera
(
inventata
da
Guido
Possa
,
amico
ed
ex
compagno
di
scuola
di
Berlusconi
,
già
vice
del
coordinatore
Previti
e
oggi
responsabile
delle
rete
ormai
in
disarmo
dei
club
di
Forza
Italia
)
si
è
sostituita
un
'
organizzazione
che
ricalca
l
'
assetto
degli
enti
locali
:
comune
,
provincia
,
regione
.
Ogni
livello
ha
i
suoi
organismi
e
i
suoi
dirigenti
,
a
riproduzione
di
quelli
nazionali
.
"
Una
struttura
inutilmente
burocratica
,
dove
rischiano
di
affermarsi
i
signori
delle
tessere
"
,
accusano
i
critici
,
sostenitori
di
un
partito
"
leggero
"
:
l
'
ala
liberale
di
Antonio
Martino
e
Marco
Taradash
,
il
variegato
gruppo
dei
professori
(
dall
'
insoddisfatto
Giorgio
Rebuffa
a
Lucio
Colletti
,
che
del
congresso
non
vuol
neppure
sentire
parlare
)
,
e
anche
buona
parte
dei
gruppi
parlamentari
,
a
cominciare
dal
presidente
dei
deputati
Giuseppe
Pisanu
.
Ma
Scajola
difende
la
sua
creatura
:
"
Stiamo
facendo
venire
alla
luce
,
dalla
periferia
di
FI
,
una
nuova
classe
dirigente
di
inaspettato
valore
.
Abbiamo
scritto
uno
statuto
estremamente
democratico
,
che
ha
due
fondamentali
obiettivi
:
impedire
la
nascita
di
correnti
e
garantire
l
'
elezione
diretta
dei
dirigenti
"
.
Ai
suoi
detrattori
,
che
gli
rimproverano
di
"
democristianizzare
"
FI
,
Scajola
replica
:
"
La
Dc
ha
avuto
difetti
e
degenerazioni
da
cui
vogliamo
stare
lontani
,
ma
è
anche
durata
50
anni
,
e
io
spero
che
FI
possa
fare
altrettanto
"
.
Critiche
e
gelosie
,
spiega
,
nascono
dal
fatto
che
"
i
gruppi
parlamentari
,
che
erano
l
'
unico
centro
'
direzionalè
del
partito
,
temono
di
perdere
il
loro
peso
"
.
Come
lui
stesso
ammette
,
nei
collegi
,
tra
i
parlamentari
e
i
nuovi
dirigenti
locali
di
partito
,
si
sono
prodotte
numerose
tensioni
,
alcune
delle
quali
sono
sfociate
in
abbandoni
.
Dal
'96
a
oggi
,
sono
quindici
i
parlamentari
che
hanno
abbandonato
i
gruppi
azzurri
.
Certo
è
che
,
per
la
prima
volta
nella
sua
esistenza
,
FI
sta
registrando
le
tipiche
scosse
sismiche
di
ogni
vigilia
congressuale
che
si
rispetti
.
Chi
è
esperto
nella
geografia
interna
del
movimento
individua
principalmente
due
assi
contrapposti
:
quello
dell
'
apparato
centrale
,
guidato
dallo
stesso
Scajola
e
dagli
uomini
più
vicini
(
il
deputato
sardo
Salvatore
Cicu
,
ex
giovane
Dc
e
responsabile
del
settore
adesioni
,
il
consulente
per
il
congresso
Luigi
Baruffi
,
ex
responsabile
organizzativo
della
Dc
,
Mario
Valducci
,
il
tesoriere
Giovanni
Dell
'
Elce
)
e
che
avrebbe
l
'
appoggio
del
capogruppo
al
Senato
Enrico
La
Loggia
,
e
quello
capeggiato
da
Pisanu
e
Frattini
,
forte
di
un
buon
rapporto
con
Gianni
Letta
.
A
quest
'
ultimo
,
che
pure
non
ha
alcun
incarico
formale
,
e
non
è
neppure
iscritto
al
partito
,
tutti
riconoscono
però
un
ruolo
centrale
di
equilibrio
e
mediazione
.
Il
principale
scontro
precongressuale
,
che
verteva
sul
sistema
per
l
'
elezione
dei
membri
del
Comitato
di
presidenza
,
è
stato
risolto
da
Berlusconi
stesso
mercoledì
sera
,
nell
'
assemblea
dei
gruppi
,
a
favore
dell
'
asse
Pisanu
-
Frattini
.
Niente
liste
bloccate
,
come
suggeriva
Scajola
,
si
voterà
a
preferenza
unica
:
"
Non
mi
piacciono
le
cordate
"
,
ha
tagliato
corto
il
leader
.
Il
voto
sarà
a
scrutinio
elettronico
,
come
per
il
Totocalcio
:
un
'
innovazione
tecnologica
che
permetterà
la
massima
rapidità
nelle
operazioni
.
Ai
parlamentari
,
Berlusconi
ha
spiegato
:
"
Il
congresso
non
sarà
una
passerella
:
ci
sarà
un
vero
dibattito
,
nel
quale
tutti
potranno
dire
la
loro
"
.
La
base
della
discussione
sarà
il
programma
"
liberale
e
liberista
"
del
'94
,
che
poi
"
gli
alleati
ci
costrinsero
ad
annacquare
nel
'96
,
facendoci
togliere
capisaldi
della
nostra
proposta
di
governo
,
come
il
buono
scuola
e
sanità
e
la
separazione
delle
carriere
"
.
Ma
al
congresso
di
Milano
si
parlerà
naturalmente
anche
di
strategie
e
di
rapporti
politici
:
dal
dialogo
con
il
centro
cossighiano
a
quello
con
la
Lega
.
Per
ora
,
si
guarda
con
attenzione
alle
assise
del
Carroccio
,
che
si
apriranno
oggi
e
alle
quali
parteciperà
Giulio
Tremonti
,
massimo
sostenitore
della
"
svolta
nordista
"
di
FI
.
Vari
altri
esponenti
azzurri
(
dal
coordinatore
lombardo
Dario
Rivolta
a
Giancarlo
Galan
,
presidente
della
Regione
Veneto
,
a
Tiziana
Maiolo
)
stanno
già
lavorando
a
possibili
campagne
comuni
con
la
Lega
,
ma
i
rapporti
con
Umberto
Bossi
li
gestisce
Belusconi
in
prima
persona
.
Un
Berlusconi
di
ottimo
umore
,
racconta
chi
ha
partecipato
alla
riunione
di
mercoledì
.
A
chi
lo
investiva
con
i
suoi
"
cahiers
des
doléances
"
sul
funzionamento
di
gruppi
e
partito
,
ha
replicato
con
aria
divertita
:
"
Ci
sto
pensando
da
tempo
:
se
avessi
organizzato
le
mie
imprese
come
questa
baracca
,
sarei
fallito
in
tre
mesi
"
.