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PESSIMISMO DI DUVIVIER ( ARISTARCO GUIDO , 1941 )
StampaPeriodica ,
Julien Duvivier è uno tra i pochissimi registi che riescono a dare all ' opera cinematografica un ' impronta di stile personale ed inconfondibile che difficilmente si dimentica . Più rigoroso di Chenal , più incisivo di Carné , più realistico di Feyder , più profondo di Renoir i capisaldi dell ' ultima regia francese è oggi indubbiamente il miglior regista di cui la Francia possa vantare . Non solo , ma appartiene anche a quell ' esiguo numero di mirabili narratori per immagini che va dai Vidor ai Flaherty , dai Capra ai Mamoulian , dai Borzage ai Ford . È uno dei pochissimi , insomma , che abbia compreso nella sua integrità il mezzo espressivo « cinema » compendiando in esso tutti quegli elementi che ne formano lo spettacolo d ' arte . Per questa sana comprensione che ogni regista degno di tal nome dovrebbe avere non farà mai , punto essenziale e fermo nel cinema , del teatro , se pur teatro finissimo , filmato . E il susseguirsi dei fotogrammi che parla in ogni sua pellicola : l ' immagine resta sempre alla base dell ' espressione di eventi e stati d ' animo : le sequenze sempre si susseguono alle sequenze , le angolazioni alle angolazioni , le inquadrature alle inquadrature : tutte accompagnate da un ritmo serrato e conciso , da un ' atmosfera viva , fusa , pittoresca . Gli attori parlano qualche volta con retorica ed enfasi , ma il dialogo non grava mai sull ' immagine , e l ' immagine per effetto delle lunghe chiacchierate , sull ' azione . E la narrazione procede ampia , magnifica , e nello stesso tempo semplice , sentita , genuina lontana da convenzionalismi e da luoghi comuni : mirante all ' essenziale e al particolare insieme . Non solo , poi , il Nostro ha una personalissima ed inconfondibile maniera d ' inquadrare , di muovere la macchina ( carrellate alla Duvivier ) , di narrare conformemente ai canoni fondamentali del cinema vero , ma ha pure un proprio punto di vista rispetto al contenuto e all ' intonazione del film . È quasi sempre la vita degli umili e dei reietti , dei perduti nel vizio e nell ' imbroglio , dell ' uomo della strada e del trivio , dell ' angiporto e del quartiere malfamato , che lo attrae e lo appassiona . Sono gli infiniti e multiformi drammi di questi : i loro casi singoli osservati dai fatti crudi , scarni , scheletrici di cronaca quotidiana che ritrae in ogni più piccolo particolare e in ogni minuta osservazione e sfumatura . Di fronte a questo materiale umano come quasi tutti i registi francesi d ' oggi Duvivier è un osservatore scettico e pessimista ; di uno scetticismo e di un pessimismo spesso malato e morboso , che giunge più volte anche a negare la vita come gioia di vivere , come libera espressione dell ' anima , come affermazione dell ' individuo . I personaggi che ama e predilige hanno tutti una propria fisionomia , un proprio sguardo , un ' impronta particolare : sono esseri senza sorte e senza speranza e , incapaci di dominarsi , trasportati dalla corrente verso un progressivo fallimento di loro stessi : dalla più torbida desolazione , fino al delitto e al suicidio . Per convincersi basta osservare le sue realizzazioni , dove insieme ad una stretta analogia di indagine umana e profonda , non manca mai uno scetticismo impressionante . E questo eccezione fatta per le opere a carattere religioso « Golgota » e « Credo » in ogni suo film . Sia che realizzi una vicenda eroica , « La Bandiera » ; o un intreccio musicale , « L ' uomo del giorno » ; o la storia drammatica di un bimbo incompreso « Pel di Carota » ; o la tumultuosa ed ardente vita di un fuori legge « Pepé le Moko » ; o la descrizione degli ultimi giorni di vecchi attori « I prigionieri del sogno » . Ma dove il pessimismo di Julien Duvivier raggiunge vertici di traboccante grigiore e malinconia è ne « La bella brigata » e in « Carnet de bal » . Entrambi questi film sembrano addirittura ispirati da un Schopenhauer e sceneggiati da un Leopardi nel loro momenti di più cupo abbandono . Nel primo , i sogni , le aspirazioni , tutte le cose belle di cinque operai svanite insieme alla stessa amicizia e solidarietà , ci fa vedere la vita atrocemente buia . Nel secondo : il crudo dramma di una donna non più giovane , che si illude di rincorrere il passato , per ritrovare gli amici di gioventù e riafferrare con essi le gioie non apprezzate , dipinge la vita con toni di morboso scetticismo . ( Morboso scetticismo che si tramuta alla fine nel surrealista « Carro fantasma » in fede , redenzione , luce irradiante ) . Affermare dopo tutto questo che Duvivier è uno scettico , sarebbe troppo poco . Per essere più precisi occorre dire che è un entusiasta del pessimismo . E l ' unico rimprovero che gli si può fare , tra i tanti elogi , è proprio questo : che la sua tecnica e la sua arte siano volutamente messe al servizio di soggetti mai sani ed irradianti luce ; ben sapendo purtuttavia che a nessuno , e neppure a noi , è permesso di voler far sostituire concetti ed intenzioni proprie a quelle dell ' artista . Comunque non si può condannare in Duvivier come alcuni hanno fatto l ' artista . Non è possibile stroncare un ' opera d ' arte in genere solamente perché è costruita su materia non sana . Occorre in questi casi saper distinguere il mondo etico da quello estetico . Se così non fosse , di arte ce ne sarebbe ben poca . Ecco la ragione per la quale non possiamo dissentire Duvivier quanto ad apprezzamenti puramente cinematografici ed artistici .