StampaQuotidiana ,
Un
giorno
,
forse
prossimamente
,
l
'
uomo
sarà
distrutto
.
Dalla
bomba
atomica
?
No
.
Da
qualche
virus
misterioso
,
dall
'
inquinamento
dell
'
acqua
o
dell
'
aria
?
No
.
Dagli
abitanti
di
qualche
altro
pianeta
cui
i
nostri
astronauti
avranno
pestato
la
coda
?
Neppure
.
Sarà
distrutto
dal
linguaggio
.
Questo
è
l
'
oracolo
sconcertante
che
il
più
recente
(
ma
non
certo
ultimo
)
dei
profeti
che
spuntano
di
tanto
in
tanto
nel
campo
della
filosofia
ci
ha
annunziato
.
È
il
francese
Michel
Foucault
,
nel
libro
Le
parole
e
le
cose
,
Archeologia
delle
scienze
umane
,
uscito
nel
1966
e
tradotto
nel
1967
dall
'
Editore
Rizzoli
di
Milano
.
La
tesi
fondamentale
del
libro
è
che
l
'
uomo
è
un
'
invenzione
recente
:
un
'
invenzione
,
si
badi
,
non
una
scoperta
.
Un
'
invenzione
che
è
stata
resa
possibile
,
ai
principi
del
secolo
XIX
,
dal
venir
meno
del
concetto
di
linguaggio
sul
quale
il
pensiero
classico
era
imperniato
.
Secondo
questo
concetto
,
il
linguaggio
non
è
che
la
rappresentazione
delle
cose
.
Le
cose
hanno
un
ordine
fisso
,
necessario
,
immutabile
;
quest
'
ordine
si
riflette
nel
pensiero
dell
'
uomo
,
che
perciò
non
è
altro
che
la
rappresentazione
di
quell
'
ordine
ed
è
espresso
dal
discorso
.
Il
discorso
,
quindi
anche
il
pensiero
,
è
la
trasparenza
,
l
'
evidenza
,
la
manifestazione
o
rappresentazione
dell
'
ordine
delle
cose
.
L
'
uomo
,
in
questa
situazione
,
non
ha
nessuno
spessore
,
nessuna
opacità
,
non
fa
che
lasciar
trasparire
le
cose
come
sono
,
non
fa
che
rappresentarle
.
Trova
posto
,
indubbiamente
,
nell
'
ordine
totale
ed
ha
una
funzione
definita
in
quest
'
ordine
,
e
così
per
esempio
lo
si
caratterizza
come
«
bipede
implume
»
o
«
animale
ragionevole
»
.
Ma
non
ha
funzione
predominante
;
non
è
l
'
oggetto
più
difficile
a
conoscersi
(
come
ora
crediamo
)
,
non
è
il
soggetto
sovrano
di
ogni
conoscenza
possibile
(
come
credono
i
filosofi
)
:
è
semplicemente
discorso
cioè
quadro
esatto
delle
cose
:
raccolta
delle
verità
,
descrizione
della
natura
,
corpo
di
conoscenze
,
dizionario
enciclopedico
.
Non
era
possibile
in
questa
condizione
,
afferma
Foucault
,
che
«
Si
ergesse
,
al
limite
del
mondo
,
la
strana
statura
di
un
essere
la
cui
natura
(
quella
che
lo
determina
,
lo
ha
in
potere
e
lo
traversa
dal
fondo
dei
tempi
)
sarebbe
di
conoscere
la
natura
e
quindi
se
stesso
in
quanto
essere
naturale
»
.
L
'
uomo
come
tale
è
stato
inventato
quando
è
stato
ritenuto
non
più
trasparente
alla
realtà
delle
cose
,
quadro
o
specchio
di
esse
,
ma
opaco
,
resistente
,
impenetrabile
:
cioè
quando
fu
ritenuto
finito
,
limitato
nelle
sue
capacità
,
e
su
questa
finitudine
si
impiantò
l
'
intero
universo
del
sapere
.
L
'
uomo
è
l
'
individuo
che
vive
,
parla
e
lavora
secondo
le
leggi
della
biologia
,
della
filologia
e
dell
'
economia
;
e
in
queste
leggi
trova
i
limiti
e
le
possibilità
positive
della
sua
azione
.
Ma
è
nello
stesso
tempo
capace
di
conoscere
queste
leggi
,
di
portarle
alla
luce
e
di
costruire
così
quelle
«
scienze
umane
»
che
erano
sconosciute
al
pensiero
classico
.
Queste
scienze
sono
sorte
dunque
sullo
sfondo
della
finitudine
dell
'
uomo
:
quando
l
'
uomo
si
è
riconosciuto
imprigionato
,
senza
liberazione
possibile
,
nel
suo
corpo
,
nel
suo
linguaggio
,
nei
suoi
bisogni
.
Da
questo
riconoscimento
sono
nate
le
conquiste
positive
delle
scienze
umane
:
ma
è
nato
pure
l
'
enigma
dell
'
uomo
,
l
'
enigma
insolubile
.
L
'
uomo
non
si
identifica
con
la
vita
,
che
continuamente
gli
sfugge
e
gli
prescrive
la
morte
.
Non
si
identifica
con
il
suo
lavoro
che
gli
sfugge
non
solo
quando
è
già
finito
,
ma
spesso
quando
non
è
ancora
iniziato
.
Non
si
identifica
con
il
linguaggio
che
trova
già
dato
e
articolato
nelle
sue
leggi
prima
di
sé
.
L
'
uomo
è
l
'
impensato
o
piuttosto
l
'
impensabile
.
Appena
nato
,
è
maturo
per
scomparire
.
«
L
'
uomo
è
una
corda
tesa
tra
le
bestie
e
il
super
-
uomo
,
una
corda
sull
'
abisso
»
,
aveva
detto
Nietzsche
.
E
il
pensiero
che
l
'
uomo
non
abbia
una
natura
determinata
che
si
tratti
solo
di
scoprire
e
che
,
una
volta
scoperta
,
lo
illumini
su
tutto
ciò
che
può
essere
e
fare
domina
la
cultura
contemporanea
e
l
'
avvia
verso
le
più
disparate
forme
di
indagine
.
L
'
opera
di
Foucault
è
sostanzialmente
una
ripresentazione
eloquente
di
questa
tesi
;
ma
è
,
in
più
,
l
'
annuncio
profetico
dì
un
'
epoca
nuova
in
cui
l
'
uomo
non
ci
sarà
e
ci
sarà
invece
...
che
cosa
?
Non
si
sa
nulla
.
Come
ogni
profeta
,
Foucault
adopera
un
linguaggio
suggestivo
e
oscuro
e
si
serve
di
allusioni
più
che
di
concetti
.
La
bella
chiarezza
«
cartesiana
»
(
ma
che
in
realtà
risale
a
Montaigne
)
che
è
stata
per
tanto
tempo
il
privilegio
della
filosofia
francese
la
si
cercherebbe
invano
nella
sua
opera
.
Le
sue
prove
storiche
sono
desunte
di
preferenza
non
da
filosofi
,
ma
da
letterati
,
scienziati
,
economisti
e
poeti
.
Foucault
dichiara
che
solo
quelli
che
non
sanno
leggere
si
meraviglieranno
,
che
ha
appreso
a
porsi
le
domande
decisive
da
Cuvier
,
da
Bopp
,
da
Ricardo
più
che
da
Kant
o
da
Hegel
.
Tuttavia
,
la
fonte
principale
del
suo
pensiero
è
l
'
ultimo
Heidegger
,
che
egli
non
cita
neppure
in
un
punto
.
Qual
è
infatti
,
per
lui
,
il
segno
indiscutibile
della
prossima
fine
dell
'
uomo
?
La
concezione
del
linguaggio
come
manifestazione
dell
'
essere
.
Il
linguaggio
non
è
lo
strumento
che
l
'
uomo
ha
creato
per
orientarsi
tra
le
cose
,
dominarle
e
servirsene
,
per
comunicare
con
gli
altri
uomini
ed
esprimere
se
stesso
.
È
una
creazione
dell
'
Essere
.
Ma
che
cos
'
è
l
'
Essere
?
È
Dio
?
È
il
Mondo
?
È
qualcosa
di
mezzo
tra
Dio
e
il
Mondo
,
un
Assoluto
,
una
Natura
infinita
?
Heidegger
si
rifiuta
di
rispondere
a
queste
domande
;
e
così
fa
Foucault
.
Se
si
domanda
:
chi
parla
?
,
la
risposta
di
Heidegger
e
di
Foucault
è
ancora
la
stessa
:
è
la
Parola
che
parla
,
è
il
linguaggio
che
pone
o
crea
il
suo
essere
.
In
parole
povere
,
un
certo
nonsoché
crea
un
altro
nonsoché
,
che
è
la
stessa
cosa
oppure
una
cosa
diversa
,
in
qualche
modo
o
forma
che
è
a
sua
volta
un
nonsoché
.
Non
si
può
dire
che
questi
profeti
si
compromettano
troppo
.
Si
compromettono
invece
nel
porre
un
crudo
dilemma
:
o
esiste
l
'
uomo
o
esiste
il
linguaggio
.
Se
esiste
l
'
uomo
,
è
l
'
uomo
che
dispone
se
stesso
e
in
qualche
misura
forgia
o
modifica
il
suo
destino
,
costruisce
la
sua
storia
,
facendo
faticosamente
le
sue
scelte
e
subendo
la
responsabilità
dei
suoi
errori
.
Se
esiste
il
linguaggio
,
è
l
'
essere
del
linguaggio
che
fa
tutto
e
l
'
uomo
non
fa
nulla
perché
non
esiste
.
Fra
i
due
corni
del
dilemma
,
Foucault
(
come
Heidegger
)
non
esita
.
Il
linguaggio
sta
ammazzando
l
'
uomo
perché
sta
tornando
alla
sua
unità
,
ritirandosi
dalla
frammentarietà
in
cui
l
'
invenzione
dell
'
uomo
l
'
aveva
ridotto
.
L
'
uomo
«
ha
composto
la
propria
figura
fra
gli
interstizi
di
un
linguaggio
frantumato
»
.
Ricomparso
il
linguaggio
«
l
'
uomo
tornerà
all
'
inesistenza
serena
in
cui
l
'
unità
imperiosa
del
discorso
l
'
aveva
un
tempo
trattenuto
»
.
E
che
cosa
farà
nel
frattempo
questa
figura
provvisoria
,
questa
parvenza
grottesca
che
ancora
combatte
senza
sapere
che
è
morto
?
Non
farà
rigorosamente
nulla
.
Lascerà
(
come
dice
Heidegger
)
che
l
'
Essere
sia
,
si
abbandonerà
alle
cose
e
agli
eventi
con
tranquilla
rassegnazione
,
in
attesa
.
O
,
in
parole
povere
,
lascerà
che
accada
quel
che
deve
accadere
:
que
serà
serà
.
Foucault
si
domanda
se
non
si
deve
presagire
la
nascita
o
la
prima
aurora
di
un
giorno
in
cui
il
pensiero
,
che
parla
da
millenni
senza
sapere
quel
che
significa
parlare
e
senza
accorgersi
di
parlare
,
«
si
ricupererà
nella
sua
integrità
e
acquisterà
nuova
luce
nel
fulgore
dell
'
essere
»
.
Ma
dichiara
di
non
saper
rispondere
a
questa
domanda
e
di
non
.
saper
neppure
se
troverà
un
giorno
ragioni
per
determinarsi
a
rispondere
.
Per
ora
,
trova
confortante
pensare
che
l
'
uomo
è
solo
un
'
invenzione
recente
,
una
figura
che
non
ha
nemmeno
due
secoli
,
una
semplice
piega
del
nostro
sapere
e
che
sparirà
quando
questo
sapere
avrà
trovato
una
nuova
forma
.
Ma
altri
forse
troveranno
più
confortante
pensare
che
l
'
uomo
,
nonostante
tutti
i
cambiamenti
di
un
sapere
che
rimane
suo
cioè
umano
,
potrà
sopravvivere
,
proprio
in
virtù
di
questo
sapere
,
nella
sua
libertà
e
dignità
,
nella
sua
solidarietà
con
gli
altri
uomini
e
nella
sua
capacità
di
comprendere
e
di
amare
.
StampaQuotidiana ,
Se
si
domanda
perché
il
sistema
educativo
vigente
in
Italia
è
comunemente
giudicato
insoddisfacente
,
la
risposta
è
semplice
:
esso
non
risponde
o
risponde
solo
parzialmente
e
imperfettamente
alle
esigenze
della
società
contemporanea
.
Le
attitudini
cui
esso
fa
appello
e
che
tende
a
sviluppare
non
sono
quelle
che
mettono
l
'
individuo
in
grado
di
assolvere
i
suoi
compiti
nella
vita
sociale
e
di
ottenere
il
successo
;
l
'
informazione
generica
e
disordinata
che
esso
fornisce
,
la
cosiddetta
«
cultura
generale
»
,
non
serve
a
dare
all
'
individuo
il
possesso
di
quel
patrimonio
limitato
ma
preciso
di
nozioni
che
lo
rendono
padrone
della
funzione
che
sarà
chiamato
a
esercitare
.
Considerato
nella
sua
impostazione
generale
,
con
l
'
eccezione
di
alcune
sue
parti
,
il
sistema
educativo
vigente
si
dimostra
inadeguato
rispetto
allo
scopo
che
ogni
sistema
educativo
deve
proporsi
:
quello
di
rendere
gli
individui
adatti
ad
inserirsi
in
modo
attivo
ed
efficace
nel
corpo
sociale
cui
appartengono
.
La
mancanza
di
un
serio
impegno
di
lavoro
in
tutti
i
partecipanti
del
sistema
,
siano
essi
docenti
o
discenti
mancanza
che
viene
spesso
ascritta
a
cattiva
volontà
o
a
disprezzo
per
i
valori
culturali
è
probabilmente
dovuta
al
senso
di
inutilità
che
accompagna
un
lavoro
che
non
risponde
al
suo
scopo
,
cioè
che
non
apre
agli
individui
la
possibilità
di
una
riuscita
felice
nella
vita
che
li
attende
.
Eppure
il
nostro
sistema
educativo
(
come
quello
di
altri
popoli
occidentali
)
è
l
'
erede
ultimo
,
per
quanto
degenere
,
di
una
tradizione
nobilissima
.
L
l
'
erede
della
tradizione
liberale
dell
'
educazione
,
della
paideia
greca
,
dell
'
ideale
educativo
che
gli
antichi
ritennero
proprio
degli
uomini
liberi
e
che
il
Cristianesimo
medievale
,
il
Rinascimento
,
l
'
Illuminismo
e
il
mondo
moderno
hanno
esaltato
e
fatto
proprio
.
Secondo
questo
ideale
(
la
cui
presenza
nel
mondo
greco
è
stata
illustrata
da
Werner
Jaeger
nella
sua
monumentale
Paideia
)
,
esiste
una
forma
o
natura
perfetta
dell
'
uomo
e
l
'
educazione
deve
realizzarla
in
tutti
gli
individui
che
ne
sono
capaci
.
L
'
educazione
è
la
formazione
del
singolo
,
la
maturazione
dell
'
individuo
,
il
raggiungimento
di
una
forma
compiuta
;
'
è
simile
allo
sviluppo
di
una
pianta
e
di
un
organismo
,
è
una
«
georgica
dell
'
anima
»
,
secondo
l
'
efficace
espressione
di
Francesco
Bacone
.
Fa
parte
integrante
di
questo
concetto
la
credenza
nella
fondamentale
uniformità
delle
attitudini
o
delle
disposizioni
umane
;
la
credenza
in
un
unico
tipo
di
intelligenza
,
ritenuto
adatto
,
una
volta
formato
,
ad
affrontare
tutti
i
problemi
e
le
situazioni
e
a
dirigere
qualsiasi
specie
di
lavoro
o
di
attività
umana
.
L
'
educazione
liberale
tende
perciò
a
formare
l
'
uomo
come
tale
,
l
'
uomo
nella
totalità
e
maturità
dei
suoi
poteri
,
nella
sua
essenza
indipendente
da
ogni
situazione
specifica
e
da
ogni
compito
particolare
.
Una
formazione
professionale
o
specifica
,
l
'
addestramento
a
compiti
particolari
,
la
scoperta
e
lo
sviluppo
di
attitudini
specializzate
,
cadono
fuori
di
questa
educazione
o
sono
ritenuti
aspetti
subordinati
o
accidentali
di
essa
.
Ciò
che
è
importante
è
formare
l
'
uomo
:
una
volta
formatolo
,
ogni
capacità
particolare
si
sviluppa
da
sé
.
Un
'
intelligenza
diventata
matura
è
pronta
a
qualsiasi
funzione
:
questa
maturità
può
dunque
raggiungersi
indipendentemente
dalla
diversità
delle
funzioni
e
anteriormente
ad
ogni
applicazione
a
qualcuna
di
esse
.
Questo
ideale
educativo
,
che
è
forse
la
maggiore
eredità
del
mondo
classico
,
ha
dominato
il
pensiero
filosofico
e
pedagogico
del
secolo
scorso
ed
è
stato
condiviso
ugualmente
da
positivisti
e
idealisti
,
empiristi
e
razionalisti
.
Esso
ha
inoltre
permeato
di
sé
le
istituzioni
educative
del
mondo
occidentale
,
dominando
incontrastato
fino
ad
alcuni
decenni
fa
.
Ma
se
si
confronta
questo
ideale
con
le
richieste
che
la
società
contemporanea
pone
all
'
educazione
,
il
contrasto
appare
lampante
.
Ad
una
fase
sufficientemente
avanzata
dello
sviluppo
tecnico
-
industriale
,
la
società
esige
che
ogni
individuo
sia
rapidamente
addestrato
al
compito
specifico
che
lo
attende
.
Questa
società
non
ha
bisogno
di
«
uomini
»
senz
'
altra
qualifica
,
ma
di
operai
specializzati
,
di
tecnici
,
di
ingegneri
,
di
ragionieri
,
di
dirigenti
d
'
azienda
;
nonché
di
avvocati
,
di
giudici
,
di
amministratori
,
di
medici
,
di
insegnanti
e
di
innumerevoli
altre
categorie
di
persone
,
ognuna
a
sua
volta
divisa
in
numerose
specificazioni
.
Essa
non
sa
che
farsene
di
un
'
intelligenza
buona
a
tutto
,
ma
che
in
realtà
è
disarmata
nei
confronti
di
situazioni
specifiche
per
le
quali
non
abbia
apposito
addestramento
,
non
sa
che
farsene
di
una
«
cultura
generale
»
,
lunga
e
difficile
ad
acquistarsi
,
ma
difficilmente
spendibile
negli
spiccioli
delle
informazioni
occorrenti
ai
lavori
specifici
.
Esige
invece
che
i
talenti
o
le
disposizioni
individuali
siano
messi
in
luce
e
sviluppati
rapidamente
con
tecniche
adatte
di
addestramento
;
che
ogni
individuo
sia
istradato
,
appena
possibile
,
verso
quella
specie
di
addestramento
cui
il
suo
talento
l
'
indirizza
e
che
il
suo
bagaglio
di
informazioni
sia
rigorosamente
limitato
a
questo
scopo
.
Pertanto
solo
l
'
individuo
unilateralmente
orientato
,
cioè
attrezzato
in
un
campo
ristretto
e
specifico
e
tetragono
ad
ogni
distrazione
da
questo
campo
,
ha
probabilità
di
successo
nella
società
contemporanea
.
Questa
certo
non
ignora
che
un
certo
quantum
di
umanità
o
di
qualità
umane
è
indissolubilmente
connesso
con
le
abilità
che
essa
richiede
;
ma
non
fa
calcolo
su
questa
umanità
o
la
considera
solo
allo
scopo
di
ottenere
il
rendimento
massimo
delle
abilità
di
cui
ha
bisogno
.
Il
rendimento
nel
lavoro
è
difatti
l
'
unica
cosa
cui
una
società
tecnicamente
organizzata
(
qualunque
sia
il
suo
assetto
politico
-
sociale
)
è
intrinsecamente
o
costituzionalmente
interessata
,
perché
è
la
condizione
prima
del
suo
funzionamento
.
In
queste
condizioni
,
la
credenza
nell
'
unità
dell
'
intelligenza
in
tutti
gli
uomini
tende
a
sparire
o
a
divenire
inoperante
.
Le
parole
famose
che
si
trovano
all
'
inizio
del
Discorso
del
metodo
di
Cartesio
,
«
Il
buon
senso
o
la
ragione
è
naturalmente
uguale
in
tutti
gli
uomini
»
,
che
già
nel
campo
della
filosofia
avevano
suscitato
dubbi
e
contrasti
,
non
trovano
risonanza
in
un
mondo
tecnicamente
organizzato
.
Certamente
,
nessuno
dubita
che
l
'
intelligenza
sia
la
natura
propria
dell
'
uomo
e
tutti
rendono
omaggio
all
'
antica
e
venerabile
definizione
dell
'
uomo
come
animal
rationale
.
Ma
da
un
pezzo
molti
filosofi
sanno
che
la
cosiddetta
intelligenza
non
è
che
la
capacità
di
prevedere
e
progettare
e
che
questa
capacità
assume
,
nei
diversi
individui
,
forme
diverse
,
talora
eterogenee
,
talora
addirittura
incompatibili
l
'
una
con
l
'
altra
.
Ora
proprio
su
questa
diversità
fa
leva
la
struttura
tecnologica
della
società
contemporanea
.
Nello
stesso
dominio
della
scienza
,
la
figura
dello
«
scienziato
»
che
con
le
sue
«
intuizioni
»
avvia
la
ricerca
a
nuovi
indirizzi
o
scoperte
non
è
sparita
dalla
realtà
ma
non
rientra
nel
calcolo
del
progresso
scientifico
.
Tale
progresso
fa
calcolo
oggi
soltanto
su
una
massa
anonima
e
composita
di
«
ricercatori
»
che
spingono
le
loro
indagini
nel
maggior
numero
di
direzioni
possibili
in
ogni
campo
specifico
:
sicché
la
scoperta
o
l
'
innovazione
insorga
come
un
risultato
statistico
dal
grande
numero
delle
ricerche
,
più
che
dall
'
intuizione
geniale
di
un
solo
scienziato
.
Ed
è
chiaro
che
quando
una
tale
situazione
si
realizzasse
di
fatto
completamente
,
un
premio
,
come
il
Nobel
,
che
ora
viene
assegnato
al
merito
della
scoperta
,
assumerebbe
lo
stesso
significato
di
quello
offerto
al
biglietto
vincente
di
una
lotteria
.
L
prevedibile
che
la
crisi
dell
'
educazione
liberale
si
concluderà
con
la
fine
dell
'
educazione
liberale
.
Se
una
società
tecnicamente
organizzata
deve
sopravvivere
-
e
deve
sopravvivere
se
deve
sopravvivere
la
parte
maggiore
dell
'
umanità
-
le
esigenze
che
essa
pone
all
'
educazione
dovranno
essere
accolte
e
i
sistemi
educativi
dovranno
incardinarsi
su
di
esse
,
abbandonando
l
'
antico
ideale
liberale
.
f
prevedibile
che
,
più
o
meno
rapidamente
,
i
sistemi
educativi
del
nostro
paese
e
dei
paesi
occidentali
,
e
via
via
quelli
degli
altri
paesi
del
inondo
,
si
evolveranno
nel
senso
di
tali
esigenze
.
Ma
con
quest
'
evoluzione
rischieranno
di
andare
perduti
i
valori
fondamentali
cui
mirava
l
'
ideale
liberale
dell
'
educazione
:
l
'
armonia
o
l
'
equilibrio
della
personalità
,
lo
spirito
di
critica
e
di
libertà
,
la
ricerca
disinteressata
,
l
'
agonismo
sportivo
,
la
comunicazione
e
la
comprensione
tra
gli
uomini
.
Un
ragioniere
o
un
tecnico
che
non
abbia
altri
interessi
fuori
del
suo
lavoro
e
che
per
tutto
il
resto
segua
la
routine
offertagli
dall
'
ambiente
che
lo
circonda
,
è
,
dal
punto
di
vista
umano
,
una
specie
di
mostruosità
:
perché
è
incapace
di
entrare
in
colloquio
con
se
stesso
e
con
gli
altri
.
Ci
saranno
sempre
,
certo
,
la
letteratura
e
l
'
arte
,
la
religione
o
la
filosofia
come
correttivi
possibili
di
questo
isolamento
.
Ma
chi
può
garantire
che
queste
cose
non
si
riducano
a
riti
formalistici
,
a
suppellettili
di
lusso
o
a
sterili
passatempi
,
quando
non
facciano
appello
a
interessi
debitamente
coltivati
?
Il
rimpianto
del
passato
,
l
'
ignoranza
e
il
misconoscimento
del
presente
e
dei
suoi
bisogni
,
le
lamentele
inconcludenti
sono
povere
scappatoie
di
fronte
a
questo
problema
.
Né
fa
avanzare
di
un
passo
verso
la
soluzione
di
esso
l
'
esaltazione
dei
valori
che
si
presumono
in
pericolo
.
Forse
l
'
avviamento
ad
una
soluzione
si
può
ottenere
soltanto
,
dopo
una
franca
e
serena
accettazione
della
situazione
contemporanea
,
proponendosi
le
seguenti
domande
:
Possono
i
valori
umani
rientrare
nelle
condizioni
di
sopravvivenza
della
stessa
struttura
tecnologica
della
società
moderna
?
E
se
è
così
,
in
quali
aspetti
di
questa
struttura
debbono
inserirsi
o
conservarsi
e
quali
forme
devono
assumere
a
questo
scopo
?
Una
risposta
spregiudicata
a
tali
domande
può
essere
solo
frutto
di
indagini
lunghe
e
difficili
;
ma
,
se
una
risposta
c
'
è
,
forse
(
si
tratta
però
di
una
speranza
più
che
di
una
previsione
)
l
'
educazione
liberale
potrà
risorgere
dalle
sue
ceneri
.
StampaQuotidiana ,
Due
sono
le
ragioni
che
hanno
convinto
i
filosofi
moderni
a
schierarsi
contro
la
felicità
e
a
negare
che
essa
sia
la
base
della
vita
morale
.
La
prima
è
che
la
felicità
è
uno
stato
praticamente
irraggiungibile
della
condizione
umana
:
è
lo
stato
di
un
uomo
al
quale
tutte
le
cose
vanno
bene
,
nel
senso
che
le
circostanze
gli
consentono
l
'
appagamento
di
tutti
i
bisogni
e
le
aspirazioni
.
Ora
all
'
uomo
manca
il
controllo
di
tutte
le
circostanze
in
cui
viene
a
trovarsi
:
niente
perciò
gli
garantisce
o
gli
può
garantire
che
i
suoi
bisogni
e
le
sue
aspirazioni
siano
tutte
completamente
appagate
.
La
felicità
è
dunque
un
ideale
chimerico
.
La
seconda
è
che
la
felicità
non
può
essere
considerata
come
il
fine
della
vita
morale
dell
'
uomo
:
perché
la
moralità
consiste
nel
compimento
del
dovere
e
il
dovere
non
può
essere
subordinato
ad
alcun
fine
ulteriore
ma
è
fine
a
se
stesso
.
Un
'
azione
può
dirsi
morale
unicamente
se
non
solo
è
conforme
al
dovere
,
ma
è
fatta
soltanto
per
rispetto
al
dovere
:
sicché
,
come
non
può
dirsi
morale
chi
agisce
bene
per
il
timore
di
una
pena
e
per
la
speranza
di
un
vantaggio
,
così
non
può
dirsi
morale
chi
agisce
in
vista
della
felicità
.
Il
compimento
del
dovere
viene
a
porsi
,
da
questo
punto
di
vista
,
su
un
piano
totalmente
diverso
da
quello
della
felicità
:
sul
piano
di
una
virtù
austera
,
che
non
concede
nulla
all
'
inclinazione
naturale
ed
è
in
lotta
contro
tutte
le
inclinazioni
,
compresa
quella
che
le
riassume
e
comprende
tutte
,
l
'
inclinazione
alla
felicità
.
Queste
ragioni
,
che
furono
presentate
in
tutta
la
loro
forza
da
Kant
alla
fine
del
secolo
XVIII
,
sono
state
e
sono
generalmente
accettate
dai
filosofi
,
salvo
poche
eccezioni
.
Le
eccezioni
sono
rappresentate
da
alcune
sopravvivenze
dell
'
etica
utilitaristica
inglese
,
che
riconosce
il
fondamento
della
morale
nella
ricerca
della
felicità
del
massimo
numero
possibile
di
persone
(
secondo
la
formula
del
nostro
Beccaria
)
,
e
dagli
scritti
morali
di
Russell
che
si
ispirano
sostanzialmente
allo
stesso
indirizzo
e
che
sono
riusciti
(
come
Russell
stesso
dice
)
fortemente
«
impopolari
»
ma
più
tra
i
filosofi
che
tra
il
pubblico
.
In
realtà
i
filosofi
si
vergognano
oggi
di
parlare
della
felicità
e
ne
ignorano
perfino
il
concetto
.
La
rigettano
,
forse
,
nel
limbo
dei
sogni
di
ogni
Giulietta
che
cerca
il
suo
Romeo
o
di
ogni
Romeo
che
cerca
la
sua
Giulietta
;
e
preferiscono
parlare
di
«
valori
»
o
di
«
beni
»
come
cose
indipendenti
dal
desiderio
umano
(
troppo
umano
)
della
felicità
.
Eppure
proprio
su
questo
desiderio
gli
antichi
impiantavano
l
'
intera
morale
e
solo
discutevano
se
la
felicità
consistesse
nel
piacere
o
nella
virtù
.
Né
assumevano
altra
base
dell
'
etica
i
filosofi
medievali
,
quelli
del
Rinascimento
e
gli
Illuministi
.
E
sembra
difficile
contestare
ciò
che
tutti
questi
filosofi
ritenevano
ovvio
;
cioè
che
la
felicità
è
la
molla
abituale
e
costante
del
comportamento
dell
'
uomo
.
Un
vasto
materiale
di
prova
in
appoggio
di
questa
tesi
ci
è
offerto
dall
'
antropologia
,
dalla
psicologia
e
dalla
psichiatria
contemporanee
:
un
materiale
di
prova
che
getta
una
luce
vivissima
sugli
stati
opposti
o
negativi
della
felicità
cioè
sugli
stati
di
insoddisfazione
,
di
frustrazione
,
di
inibizione
,
di
repressione
,
che
minano
la
personalità
umana
e
la
portano
a
crisi
,
a
squilibri
o
alla
totale
catastrofe
.
La
presenza
o
l
'
insorgenza
di
questi
stati
nelle
varie
forme
della
follia
,
della
nevrosi
,
e
in
qualsiasi
tara
,
squilibrio
,
o
imperfezione
della
personalità
umana
,
con
la
paralisi
totale
o
parziale
,
che
essi
implicano
,
delle
attività
produttive
dell
'
uomo
e
della
sua
capacità
d
'
inserirsi
nel
complesso
della
vita
sociale
,
è
un
fatto
che
prova
negativamente
l
'
importanza
che
un
certo
grado
di
«
felicità
»
,
cioè
di
soddisfazione
o
di
appagamento
consapevole
,
ha
per
il
singolo
uomo
e
per
la
vita
associata
.
Un
appagamento
totale
,
una
soddisfazione
stabile
,
completa
e
garantita
di
tutti
i
bisogni
e
le
esigenze
dell
'
uomo
,
è
certamente
fuori
questione
:
la
felicità
«
perfetta
»
o
1'«
ideale
»
della
felicità
è
un
'
aspirazione
chimerica
,
e
porla
a
fondamento
della
condotta
dell
'
uomo
significa
votare
quest
'
ultima
al
sicuro
insuccesso
.
Ma
tra
questo
ideale
e
lo
stato
di
insoddisfazione
radicale
e
inevitabile
che
provoca
le
malattie
o
le
crisi
della
personalità
umana
ci
sono
infiniti
gradi
intermedi
;
e
sono
proprio
questi
gradi
che
condizionano
la
vita
,
l
'
equilibrio
e
la
capacità
creativa
dell
'
uomo
nel
suo
mondo
.
Come
già
diceva
Aristotele
,
è
felice
il
musico
che
riesce
a
suonar
bene
o
l
'
architetto
che
riesce
a
costruire
un
bell
'
edificio
e
in
generale
è
felice
(
almeno
in
un
certo
grado
o
in
un
certo
rispetto
)
chi
riesce
a
realizzare
,
in
qualche
misura
,
le
possibilità
che
ritiene
proprie
e
che
costituiscono
il
centro
di
gravità
dei
suoi
interessi
personali
.
Gli
spiriti
creativi
nell
'
arte
e
nella
scienza
,
come
nella
politica
e
negli
affari
,
traggono
dall
'
esercizio
della
loro
attività
una
soddisfazione
che
li
rende
in
qualche
modo
tetragoni
ai
colpi
della
fortuna
.
Più
esposti
a
questi
colpi
sono
gli
spiriti
disorientati
,
che
non
sanno
che
fare
della
propria
vita
,
che
non
hanno
un
interesse
dominante
o
non
sanno
accentrare
intorno
ad
esso
il
resto
della
loro
vita
.
Un
lavoro
,
anche
modesto
,
cui
l
'
individuo
si
senta
tagliato
,
una
possibilità
effettiva
di
successo
nell
'
attività
che
si
è
scelta
,
la
prospettiva
di
un
nuovo
benessere
,
una
vita
affettiva
senza
seri
conflitti
,
un
amore
riuscito
,
un
sistema
di
abitudini
regolari
che
assicuri
un
minimo
di
soddisfazioni
,
sono
elementi
o
condizioni
di
una
felicità
che
non
è
gioia
né
estasi
,
ma
equilibrio
della
personalità
umana
e
fecondità
delle
sue
manifestazioni
.
Al
contrario
,
l
'
incapacità
di
riconoscere
o
realizzare
le
proprie
aspirazioni
autentiche
,
di
materializzare
in
opere
le
possibilità
proprie
o
il
sentirsi
privo
di
possibilità
siffatte
,
sono
le
condizioni
di
una
personalità
immatura
,
malata
o
destinata
al
fallimento
.
La
felicità
in
questo
senso
non
è
certo
l
'
impassibilità
del
«
saggio
»
antico
che
si
estrania
dalle
vicende
umane
e
si
chiude
nella
sua
torre
d
'
avorio
.
Non
è
neppure
il
sogno
delizioso
dell
'
adolescente
che
si
affaccia
alla
vita
.
È
un
concetto
-
guida
per
uomini
e
donne
che
abbiano
raggiunto
la
maturità
del
loro
spirito
e
che
non
si
lascino
sconfiggere
dal
primo
urto
delle
avversità
.
t
,
anche
,
un
efficace
strumento
per
affrontare
queste
avversità
.
Non
consiste
nella
somma
di
piaceri
che
si
possono
ricavare
dalla
vita
e
neppure
prescinde
dai
piaceri
che
sono
connessi
all
'
appagamento
dei
bisogni
e
all
'
esercizio
delle
attività
umane
.
È
inoltre
un
concetto
che
non
ha
lo
stesso
contenuto
per
tutti
gli
individui
e
per
tutti
i
tempi
.
La
misura
della
felicità
è
l
'
individuo
,
e
ciò
che
rende
felice
un
individuo
può
rendere
infelice
un
altro
.
Thomas
Jefferson
ebbe
un
'
idea
geniale
quando
nella
Dichiarazione
dei
diritti
(
1776
)
con
cui
si
apre
la
storia
della
rivoluzione
americana
,
fece
includere
tra
i
diritti
inalienabili
dell
'
individuo
,
accanto
alla
vita
e
alla
libertà
,
la
«
ricerca
della
felicità
»
.
Ciò
che
l
'
organizzazione
politico
-
sociale
può
garantire
all
'
individuo
è
la
possibilità
di
questa
ricerca
,
non
la
felicità
.
Nessun
uomo
e
nessun
potere
può
imporre
un
modello
di
felicità
a
tutti
gli
uomini
.
La
pretesa
del
Grande
Inquisitore
nei
Fratelli
Karamazov
di
Dostojewski
,
di
rendere
gli
uomini
schiavi
e
felici
,
è
contraddittoria
in
se
stessa
,
perché
la
felicità
imposta
è
una
delle
forme
dell
'
infelicità
.
Ciò
che
l
'
organizzazione
politico
-
sociale
del
genere
umano
può
fare
è
soltanto
l
'
eliminazione
di
condizioni
che
rendono
impossibile
ai
singoli
uomini
di
cercare
la
felicità
:
la
miseria
,
l
'
ignoranza
,
l
'
ingiustizia
.
Ma
dopo
di
questo
,
che
è
già
un
compito
immenso
e
praticamente
infinito
,
la
parola
spetta
ancora
agli
individui
;
il
cui
equilibrio
vitale
dev
'
essere
affidato
soltanto
alla
scelta
,
lasciata
in
loro
potere
,
del
modo
d
'
essere
felici
.
Certo
nessuno
dei
modi
che
possono
essere
scelti
esclude
la
possibilità
dell
'
errore
o
include
la
garanzia
del
possesso
incontrastato
e
perenne
della
felicità
.
Ma
chi
oserebbe
pretendere
che
all
'
uomo
competa
,
almeno
su
questa
terra
,
quella
beatitudine
imperturbabile
che
è
propria
della
vita
divina
?
StampaQuotidiana ,
Comprendere
e
perdonare
sono
termini
diventati
,
in
certi
campi
della
cultura
contemporanea
,
quasi
sinonimi
.
Non
sembra
possibile
che
si
riesca
a
comprendere
un
essere
umano
senza
perdonare
i
suoi
errori
e
le
sue
colpe
;
e
che
la
condanna
degli
aspetti
nocivi
e
ripugnanti
della
sua
condotta
mantenga
la
sua
severità
quando
si
sia
scavato
abbastanza
a
fondo
negli
aspetti
più
intimi
della
sua
vita
.
Tutte
le
discipline
antropologiche
hanno
oggi
portato
contributi
importanti
al
chiarimento
delle
motivazioni
che
spiegano
la
condotta
dell
'
uomo
cioè
delle
condizioni
o
delle
forze
che
la
provocano
:
l
'
ambiente
,
l
'
eredità
,
le
circostanze
,
il
carattere
ecc.
Ma
al
di
là
di
queste
motivazioni
,
la
comprensione
si
presenta
come
un
'
esigenza
ancora
più
intima
e
radicale
.
Non
si
tratta
soltanto
di
spiegare
tale
condotta
come
un
qualsiasi
fatto
oggettivo
o
naturale
:
si
tratta
di
avvicinarsi
all
'
uomo
stesso
,
a
qualsiasi
uomo
,
quale
che
sia
la
natura
morale
del
suo
comportamento
,
con
simpatia
se
non
con
amore
;
di
vivere
in
qualche
modo
con
lui
la
sua
vita
o
almeno
di
parteciparne
il
dinamismo
;
di
cogliere
questa
vita
al
modo
in
cui
egli
stesso
la
coglie
nell
'
intimità
del
suo
essere
e
riuscire
a
vederla
come
egli
stesso
la
vede
.
Ma
se
questo
tentativo
riesce
anche
parzialmente
,
non
è
possibile
o
almeno
è
difficile
conservare
nei
confronti
della
persona
così
intimamente
penetrata
un
atteggiamento
di
riprovazione
e
di
condanna
.
L
'
unico
atteggiamento
possibile
per
le
manifestazioni
di
essa
che
appaiono
ostili
o
maligne
nei
confronti
degli
altri
esseri
umani
,
è
quello
del
perdono
.
Queste
idee
o
idee
simili
a
queste
circolano
in
molti
campi
della
cultura
contemporanea
;
ed
anche
nel
campo
dei
giuristi
i
quali
spesso
parlano
della
necessità
di
comprendere
la
personalità
del
delinquente
,
di
adeguare
a
questa
comprensione
le
pene
che
la
legge
deve
stabilire
:
e
di
trasformare
tali
pene
da
elementi
di
punizione
o
di
mortificazione
in
elementi
di
recupero
o
,
come
si
dice
con
parola
solenne
,
di
redenzione
del
delinquente
stesso
.
Se
si
spingono
al
limite
queste
considerazioni
il
delinquente
può
essere
considerato
come
un
malato
da
curare
,
non
come
un
essere
ostile
contro
il
quale
la
società
ha
il
diritto
di
erigere
la
sua
barriera
.
Tutto
ciò
ha
spesso
il
felice
risultato
di
fondare
e
promuovere
la
convinzione
che
le
pene
comminate
a
qualsiasi
titolo
a
coloro
che
hanno
infranto
la
legge
non
devono
distruggere
la
loro
dignità
di
esseri
umani
né
rendere
impossibile
il
recupero
del
loro
rispetto
verso
se
stessi
e
del
rispetto
degli
altri
verso
di
loro
.
Non
devono
,
in
altri
termini
,
ridurli
a
bestie
o
a
cose
di
cui
si
può
fare
ciò
che
si
vuole
.
Le
considerazioni
che
seguono
non
intendono
indebolire
questa
convinzione
o
limitarne
la
validità
,
ma
soltanto
discutere
la
connessione
di
cui
si
è
parlato
tra
comprendere
e
perdonare
.
Alla
base
di
questa
connessione
c
'
è
una
precisa
filosofia
del
comprendere
.
Comprendere
una
persona
significa
,
secondo
questa
filosofia
,
non
solo
mettersi
al
posto
di
tale
persona
ma
coincidere
con
essa
,
partecipare
alla
sua
vita
e
soprattutto
alle
sue
emozioni
come
se
fossero
la
nostra
vita
e
le
nostre
emozioni
.
Identificarsi
con
l
'
altra
persona
è
allora
il
compito
del
comprendere
.
Ma
per
l
'
appunto
questa
identità
rende
impossibile
il
giudizio
e
la
condanna
.
Non
posso
condannare
e
neppur
giudicare
una
vita
o
un
comportamento
di
cui
io
riesca
a
partecipare
intimamente
,
con
cui
io
riesco
a
identificarmi
.
I
fatti
ci
dicono
,
certo
,
che
un
uomo
riesce
a
giudicare
e
condannare
anche
se
stesso
o
almeno
certe
manifestazioni
della
sua
vita
.
Ma
non
è
questo
possibile
proprio
perché
egli
non
riesce
a
identificarsi
(
a
vedere
il
vero
«
se
stesso
»
)
nelle
manifestazioni
che
giudica
e
condanna
?
Quando
l
'
uomo
comprende
veramente
se
stesso
o
l
'
altro
,
non
può
giudicare
o
condannare
se
stesso
o
l
'
altro
perché
manca
la
distanza
o
l
'
estraneità
che
rende
possibile
il
giudizio
o
la
condanna
.
Sicché
il
problema
si
riduce
a
questo
:
comprendere
qualcosa
significa
identificarsi
con
essa
?
Ora
,
posto
in
questi
termini
,
il
problema
esige
risposta
negativa
.
Le
ricerche
di
Max
Scheler
sulla
natura
della
simpatia
,
che
è
comprensione
emotiva
,
hanno
mostrato
come
tale
comprensione
non
esige
identità
,
ma
diversità
.
Due
persone
che
hanno
lo
stesso
mal
di
denti
o
partecipano
ad
un
eguale
dolore
non
perciò
si
comprendono
,
per
quanto
i
loro
stati
siano
identici
:
come
non
si
comprendono
quelle
trasportate
da
un
contagio
emotivo
,
per
esempio
da
un
sentimento
di
panico
o
da
uno
scoppio
di
risa
.
Invece
la
pietà
,
che
è
autentica
comprensione
emotiva
,
non
consiste
nel
provare
lo
stesso
dolore
dell
'
altro
o
vivere
nella
sua
stessa
situazione
ma
assumere
un
atteggiamento
emotivo
cui
quel
dolore
o
quella
situazione
è
presente
pur
nella
sua
diversità
.
Giustamente
Scheler
osservava
che
la
condanna
che
alcuni
filosofi
(
come
Spinoza
e
Nietzsche
)
hanno
pronunciato
sulla
pietà
,
che
moltiplicherebbe
senza
scopo
il
dolore
,
deriva
dal
falso
concetto
della
pietà
come
identità
nel
dolore
mentre
essa
è
un
'
emozione
a
parte
,
che
è
stimolata
dall
'
altrui
dolore
ma
non
si
identifica
con
esso
.
Ma
la
comprensione
non
è
soltanto
un
fatto
emotivo
.
In
generale
,
comprendere
una
persona
è
cosa
che
permette
di
rispondere
a
domande
come
questa
:
«
Come
ha
potuto
quella
persona
compiere
quell
'
azione
?
»
.
Ora
la
risposta
a
questa
domanda
consiste
nel
determinare
le
condizioni
che
hanno
resa
possibile
l
'
azione
in
esame
:
nel
determinare
cioè
le
forme
concrete
,
particolari
della
possibilità
dell
'
azione
.
La
persona
ha
potuto
compiere
quell
'
azione
perché
nella
situazione
in
cui
si
è
trovata
le
sue
scelte
si
sono
orientate
in
un
modo
anziché
in
un
altro
;
e
si
sono
orientate
così
per
altre
circostanze
o
condizioni
di
cui
si
possono
chiarire
i
caratteri
.
Ma
a
questo
livello
di
generalità
il
comprendere
non
è
neppure
un
'
operazione
che
concerne
soltanto
gli
uomini
come
tali
.
Si
comprende
un
teorema
di
matematica
,
una
teoria
fisica
,
un
concetto
qualsiasi
quando
si
afferra
la
possibilità
dì
queste
cose
;
la
connessione
del
teorema
con
gli
altri
teoremi
,
il
problema
cui
la
teoria
fisica
risponde
,
la
funzione
di
descrizione
o
di
previsione
cui
un
concetto
è
chiamato
in
un
certo
campo
del
sapere
.
E
in
tutti
questi
casi
comprendere
non
significa
affatto
identificarsi
con
ciò
che
si
comprende
o
coincidere
con
esso
.
È
un
'
operazione
o
una
serie
di
operazioni
che
lasciano
integra
la
diversità
tra
chi
comprende
e
l
'
oggetto
del
comprendere
e
consistono
nel
chiarire
le
condizioni
che
rendono
possibile
quest
'
oggetto
.
Ora
se
è
così
,
comprendere
non
significa
,
per
ciò
che
riguarda
gli
uomini
,
necessariamente
perdonare
.
Può
anzi
condurre
a
una
condanna
più
grave
o
più
radicale
:
come
accade
quando
la
messa
in
luce
dei
modi
in
cui
un
'
azione
è
stata
effettuata
e
dei
moventi
che
l
'
hanno
suggerita
suscita
ripugnanza
,
orrore
o
raccapriccio
,
e
rafforza
la
convinzione
che
contro
quelle
forme
d
'
azione
la
società
deve
essere
energicamente
difesa
.
È
ben
certo
che
non
si
può
giudicare
un
uomo
senza
comprenderlo
,
perché
la
comprensione
è
la
condizione
indispensabile
affinché
quel
giudizio
non
decada
da
un
misurato
atto
di
ragione
a
una
reazione
incontrollata
e
brutale
.
La
comprensione
è
la
base
,
l
'
unica
base
possibile
,
di
ogni
equo
giudizio
che
l
'
uomo
può
dare
di
se
stesso
e
degli
altri
.
Ma
con
ciò
ancora
nulla
è
detto
circa
la
natura
di
questo
giudizio
,
che
può
essere
di
condanna
o
di
assoluzione
,
di
simpatia
o
di
ripugnanza
,
a
seconda
dei
casi
:
ma
non
può
essere
eliminato
o
reso
nullo
da
un
abbraccio
universale
che
includa
indiscriminatamente
il
tiranno
ed
il
martire
,
l
'
assassino
e
la
vittima
.
L
'
uguaglianza
degli
uomini
,
che
è
il
postulato
fondamentale
della
nostra
morale
e
dei
nostri
ordinamenti
giuridici
,
esige
che
ogni
uomo
sia
compreso
prima
di
venire
giudicato
.
Ma
gli
uomini
sono
diversi
perché
effettuano
scelte
diverse
,
talora
anche
nelle
identiche
circostanze
,
nel
corso
della
loro
vita
.
È
questa
diversità
che
,
per
comprenderli
,
bisogna
afferrare
e
mettere
in
luce
.
Si
può
certo
assumere
come
ideale
la
volontà
di
perdonare
a
tutti
e
a
ogni
costo
;
ma
si
può
far
questo
non
in
base
al
comprendere
,
che
diversifica
e
discrimina
,
ma
perché
si
prescinde
completamente
da
esso
.
StampaQuotidiana ,
In
che
consiste
l
'
amicizia
?
Può
esistere
l
'
amicizia
nel
male
?
È
lecito
attendersi
dall
'
amicizia
benefici
e
vantaggi
e
in
quale
misura
?
Sono
questi
i
problemi
che
i
filosofi
hanno
dibattuto
intorno
all
'
amicizia
e
sono
queste
le
domande
che
a
ciascuno
vengono
in
mente
nelle
vicende
che
essa
presenta
nella
vita
di
ogni
giorno
.
Per
rispondere
a
tali
domande
,
i
filosofi
si
sono
soffermati
a
delineare
la
forma
perfetta
o
ideale
dell
'
amicizia
,
quel
che
l
'
amicizia
dovrebbe
essere
ma
non
è
o
non
è
mai
completamente
.
E
ciò
è
accaduto
perché
hanno
considerato
l
'
amicizia
come
una
manifestazione
o
una
condizione
della
vita
morale
.
Aristotele
diceva
che
l
'
amicizia
è
una
virtù
o
si
accompagna
con
la
virtù
e
che
perciò
sussiste
veramente
solo
tra
persone
virtuose
.
Kant
affermava
che
l
'
amicizia
è
un
dovere
morale
e
che
i
suoi
limiti
e
le
sue
condizioni
sono
quelli
stessi
della
moralità
.
Ma
entrambi
questi
filosofi
sottolineavano
anche
la
molteplicità
delle
forme
che
l
'
amicizia
può
assumere
nella
realtà
:
molteplicità
che
dipende
sia
dalla
diversità
delle
basi
che
si
possono
dare
all
'
amicizia
,
sia
dalla
diversità
delle
persone
tra
le
quali
essa
può
stabilirsi
.
Aristotele
riteneva
che
l
'
amicizia
può
essere
fondata
sul
piacere
,
sull
'
utilità
o
sulla
virtù
per
quanto
solo
quella
fondata
sulla
virtù
è
autentica
e
duratura
perché
le
altre
vengono
meno
quando
cessano
il
piacere
e
l
'
utilità
che
se
ne
possono
ricavare
.
Diceva
pure
che
ci
può
essere
amicizia
tra
persone
che
fanno
lo
stesso
lavoro
o
che
appartengono
alla
stessa
comunità
,
nonché
tra
il
padre
e
il
figlio
,
tra
il
giovane
e
il
vecchio
,
tra
il
marito
e
la
moglie
,
e
persino
tra
il
padrone
e
lo
schiavo
se
quest
'
ultimo
è
considerato
non
più
solo
come
«
strumento
animato
»
ma
come
un
uomo
.
Kant
privilegiava
l
'
amicizia
morale
,
intesa
come
la
fiducia
assoluta
che
due
persone
si
dimostrano
confidandosi
i
pensieri
e
i
sentimenti
più
segreti
;
perché
in
essa
vedeva
realizzata
l
'
uscita
dalla
prigione
delle
proprie
idee
in
cui
ogni
uomo
vive
solitamente
chiuso
,
e
la
libertà
di
esprimerle
senza
il
timore
di
indiscrezione
o
di
danno
.
Queste
notazioni
sull
'
amicizia
sono
rimaste
classiche
e
i
filosofi
moderni
hanno
trovato
poco
o
nulla
da
aggiungervi
.
Raramente
,
anzi
,
essi
si
occupano
dell
'
amicizia
e
non
considerano
più
lo
studio
di
essa
come
parte
fondamentale
dell
'
etica
.
Aristotele
dedicava
all
'
amicizia
due
dei
dieci
libri
della
sua
maggiore
opera
morale
:
oggi
è
molto
se
si
dedicano
ad
essa
cenni
distratti
e
fuggevoli
anche
nelle
più
imponenti
e
dettagliate
trattazioni
di
etica
.
Esistono
certamente
motivi
che
spiegano
questa
diversità
di
atteggiamenti
.
Gli
antichi
ritenevano
che
fossero
fondate
sull
'
amicizia
,
cioè
su
un
rapporto
personale
di
fiducia
,
tutte
le
istituzioni
fondamentali
della
vita
civile
:
Aristotele
afferma
che
nessuno
può
conservare
né
potere
,
né
ricchezza
,
né
cariche
senza
amici
e
chiama
«
amicizia
civile
»
la
concordia
politica
dei
cittadini
.
Ma
nel
mondo
moderno
rapporti
puramente
impersonali
,
diversi
e
indipendenti
da
ogni
legame
di
amicizia
,
sono
alla
base
delle
istituzioni
che
reggono
la
vita
civile
.
I
rapporti
di
lavoro
o
di
affari
,
le
clientele
,
le
solidarietà
politiche
e
di
classe
,
la
collaborazione
scientifica
,
le
comunità
religiose
,
i
clubs
e
perfino
i
nuclei
familiari
si
reggono
su
meccanismi
o
condizioni
che
non
hanno
niente
a
che
fare
con
l
'
amicizia
personale
dei
loro
membri
.
Le
gerarchie
sociali
e
politiche
,
la
fedeltà
dei
subordinati
,
l
'
efficienza
delle
istituzioni
,
sono
garantite
da
benefici
o
vantaggi
che
non
sono
offerti
dalla
benevolenza
amichevole
ma
dal
funzionamento
impersonale
di
regole
,
leggi
o
tecniche
disciplinari
.
La
scelta
delle
persone
destinate
a
un
compito
qualsiasi
è
effettuata
sulla
base
della
loro
abilità
,
del
loro
talento
,
della
loro
fedeltà
al
lavoro
o
della
loro
capacità
di
prestarsi
come
docili
strumenti
per
certi
fini
;
e
l
'
amicizia
personale
vi
interviene
solo
di
straforo
e
vi
si
trova
a
mal
partito
.
A
volte
,
infatti
,
può
essere
un
limite
o
un
ostacolo
,
coi
diritti
che
accampa
,
all
'
efficienza
dell
'
attività
comune
;
e
si
rompe
o
spezza
malamente
contro
lo
scoglio
degli
interessi
bene
o
male
intesi
.
La
società
moderna
sembra
non
aver
bisogno
dell
'
amicizia
;
o
per
dir
meglio
sembra
respingerla
nel
dominio
dei
rapporti
privati
tra
individuo
e
individuo
.
In
questo
dominio
,
tuttavia
,
il
bisogno
dell
'
amicizia
rimane
pressante
.
Aristotele
diceva
che
l
'
amicizia
consiste
nel
comportarsi
verso
l
'
amico
come
verso
se
stesso
;
e
Montaigne
,
amplificando
Aristotele
,
asseriva
che
essa
consiste
nel
dare
più
di
quanto
si
riceve
,
nel
preferire
di
far
del
bene
all
'
altro
più
che
riceverne
.
Questa
è
certo
la
forma
perfetta
dell
'
amicizia
e
non
per
nulla
l
'
espressione
aristotelica
fu
utilizzata
da
San
Tommaso
per
definire
lo
stesso
amore
cristiano
.
Ma
l
'
amicizia
è
selettiva
e
individuale
(
«
Molti
amici
,
nessun
amico
»
,
diceva
Aristotele
)
;
può
quindi
avere
i
fondamenti
più
disparati
e
i
gradi
più
diversi
.
E
solo
un
'
equa
considerazione
di
questa
disparità
di
fondamenti
e
diversità
di
gradi
rende
possibile
la
valutazione
di
essa
nel
mondo
moderno
.
In
tutti
i
suoi
gradi
e
forme
,
l
'
amicizia
è
una
condizione
indispensabile
dell
'
equilibrio
e
della
felicità
della
vita
individuale
.
Un
'
amicizia
per
cui
l
'
altro
è
come
noi
stessi
o
più
di
noi
stessi
,
è
certamente
difficile
a
realizzarsi
e
si
realizza
(
quando
accade
)
una
volta
sola
nella
vita
.
Ma
l
'
amicizia
come
comunanza
di
intenti
o
di
atteggiamenti
,
sia
pure
parziale
,
come
confidenza
,
cura
o
sollecitudine
reciproca
,
è
ciò
che
rende
sopportabili
o
sereni
i
difficili
rapporti
che
pesano
oggi
sugli
uomini
e
ne
garantisce
la
continuità
e
la
durata
.
L
'
amicizia
introduce
nell
'
amore
sessuale
quella
confidenza
,
quella
certezza
di
aiuto
che
ne
fa
un
autentico
amore
umano
;
ed
è
l
'
unica
base
possibile
dei
rapporti
tra
genitori
e
figli
che
si
prolunghino
oltre
le
necessità
dell
'
allevamento
e
del
sostentamento
.
Senza
amicizia
,
la
famiglia
tende
a
rompersi
per
la
disparità
delle
aspirazioni
,
dei
gusti
,
delle
abitudini
,
e
per
l
'
antagonismo
tra
vecchia
e
nuova
generazione
.
L
'
amicizia
può
togliere
dai
rapporti
di
collaborazione
di
qualsiasi
genere
l
'
invidia
e
la
rivalità
astiosa
mentre
consente
la
competizione
leale
.
Con
la
sua
sollecitudine
affettuosa
,
rende
più
sopportabili
le
sofferenze
e
le
contrarietà
che
sono
sempre
in
agguato
anche
nelle
vite
più
fortunate
,
e
toglie
la
noia
che
accompagna
tanta
parte
della
giornata
umana
e
incombe
anche
sui
divertimenti
più
rumorosi
.
Come
tutte
le
cose
umane
,
l
'
amicizia
è
sempre
imperfetta
,
limitata
e
ambivalente
.
Quest
'
ultimo
carattere
smentisce
la
credenza
di
antichi
e
moderni
che
l
'
amicizia
.
sia
condizionata
dalla
virtù
.
Ci
sono
amicizie
salde
e
autentiche
nel
bene
come
nel
male
ed
è
oggi
un
fatto
accertato
che
talvolta
la
spinta
a
delinquere
è
fornita
,
specialmente
nei
giovani
,
dal
bisogno
di
uscire
,
con
qualche
forma
di
amicizia
,
dall
'
isolamento
e
dalla
noia
.
Ma
rinunciare
all
'
amicizia
perché
essa
non
è
perfetta
,
perché
non
tutto
si
può
esigere
dagli
amici
,
perché
le
amicizie
si
possono
rompere
,
o
perché
non
sempre
danno
ciò
che
promettono
,
sarebbe
così
ragionevole
come
rinunciare
a
respirare
perché
l
'
aria
della
città
è
inquinata
dallo
smog
.
Ogni
amicizia
è
un
caso
a
sé
,
ha
limiti
e
condizioni
sue
proprie
che
dipendono
dal
fondamento
sul
quale
è
nata
e
dalla
qualità
delle
persone
che
la
intrattengono
.
Al
di
là
di
questi
limiti
,
l
'
amicizia
si
incrina
e
può
spezzarsi
.
Ma
questi
limiti
possono
anche
talvolta
essere
estesi
o
allontanati
:
l
'
amicizia
può
rafforzarsi
o
approfondirsi
,
prendere
nuove
radici
,
diventare
più
salda
.
Ogni
amicizia
può
riservare
sorprese
sia
positive
che
negative
.
Il
carattere
aleatorio
della
vita
umana
investe
anche
questo
suo
aspetto
essenziale
ma
non
ne
distrugge
il
valore
.
Certo
,
lo
scheletro
della
vita
sociale
moderna
non
è
costituito
dall
'
amicizia
.
Ma
che
cos
'
è
uno
scheletro
senza
la
carne
e
il
sangue
che
costituiscono
l
'
organismo
?
Senza
amicizia
,
la
competizione
civile
sarebbe
ridotta
alla
lotta
animale
per
l
'
esistenza
e
la
terra
a
una
giungla
.
StampaQuotidiana ,
La
situazione
attuale
del
problema
concernente
i
diritti
dell
'
uomo
può
essere
ricapitolata
nei
tre
punti
seguenti
:
1
.
il
riconoscimento
teorico
sempre
più
esteso
di
tali
diritti
:
riconoscimento
che
ha
avuto
una
sanzione
solenne
nella
Dichiarazione
universale
dei
diritti
emanata
dalle
Nazioni
Unite
nel
1948
,
e
per
il
quale
non
c
'
è
forse
oggi
governo
o
autorità
costituita
o
movimento
politico
che
neghi
,
in
linea
di
principio
,
l
'
esistenza
di
tali
diritti
;
2
.
la
persistenza
effettiva
nelle
strutture
giuridiche
e
politiche
di
tutti
gli
Stati
del
mondo
(
anche
dei
più
progrediti
)
,
nei
costumi
,
nell
'
opinione
pubblica
e
nei
movimenti
politici
e
ideologici
,
di
infrazioni
gravissime
ai
diritti
dell
'
uomo
.
Tali
infrazioni
prendono
la
forma
di
limitazioni
drastiche
dei
diritti
di
libertà
(
di
parola
,
di
stampa
,
di
riunione
)
o
dei
diritti
sociali
(
all
'
istruzione
,
al
lavoro
e
alla
difesa
del
lavoro
)
;
o
anche
di
atteggiamenti
,
radicati
nel
costume
o
nell
'
opinione
pubblica
(
intolleranza
razziale
o
religiosa
)
e
difesi
,
nella
pratica
quotidiana
,
da
gruppi
amorfi
o
organizzati
;
3
.
la
difficoltà
di
«
giustificare
»
o
«
fondare
»
i
diritti
dell
'
uomo
,
cioè
di
rispondere
alle
domande
:
«
Perché
l
'
individuo
umano
ha
diritti
da
far
valere
nei
confronti
della
comunità
stessa
cui
appartiene
?
Qual
è
la
ragione
(
il
fondamento
)
della
sua
pretesa
a
tali
diritti
?
»
Quest
'
ultimo
punto
è
stato
il
tema
di
un
convegno
,
tenutosi
all
'
Aquila
(
dal
15
al
18
settembre
1964
)
,
dell
'
Institut
International
de
Philosophie
,
una
specie
d
'
accademia
che
raccoglie
i
più
noti
filosofi
del
mondo
.
In
questo
convegno
,
filosofi
provenienti
dalle
scuole
e
dalle
ideologie
più
disparate
si
sono
trovati
d
'
accordo
nell
'
esigenza
di
dare
,
ai
diritti
che
oramai
tutti
,
teoricamente
,
riconoscono
all
'
uomo
,
un
«
fondamento
»
o
una
«
giustificazione
»
che
renda
possibile
la
determinazione
rigorosa
di
tali
diritti
,
la
difesa
di
essi
e
la
lotta
contro
le
forze
che
ancora
ne
impediscono
il
rispetto
e
la
realizzazione
.
Nessun
accordo
sostanziale
ha
invece
potuto
stabilirsi
sul
punto
capitale
,
cioè
su
quale
il
fondamento
o
la
giustificazione
debba
essere
.
Non
sono
mancati
certo
,
anche
da
parte
di
filosofi
italiani
come
Calogero
,
Guzzo
e
Bobbio
,
contributi
notevolissimi
alla
chiarificazione
del
problema
e
alla
delineazione
di
vie
che
possono
dar
luogo
a
una
soluzione
;
ma
altri
passi
in
avanti
sono
stati
resi
impossibili
dalla
mancanza
di
accordo
su
un
punto
fondamentale
,
cioè
su
ciò
che
si
deve
intendere
veramente
per
«
diritti
dell
'
uomo
»
.
Alcuni
hanno
inteso
tali
diritti
come
tendenze
o
doveri
morali
,
altri
come
ideali
,
altri
come
esigenze
che
la
storia
fa
nascere
e
che
essa
è
in
qualche
modo
destinata
o
votata
a
realizzare
;
altri
infine
come
proposte
o
pretese
che
saranno
rese
valide
solo
quando
avranno
ottenuto
l
'
approvazione
di
tutti
gli
uomini
o
almeno
di
quelli
capaci
di
giudicarle
.
Questa
disparità
di
vedute
nasce
,
nel
mondo
contemporaneo
,
dall
'
eclissi
del
giusnaturalismo
,
che
è
stato
per
più
di
duemila
anni
il
fondamento
della
teoria
dei
diritti
e
di
ogni
dottrina
giuridica
.
Secondo
il
giusnaturalismo
antico
(
degli
Stoici
,
di
Cicerone
,
del
pensiero
medievale
)
esiste
un
ordine
razionale
perfetto
,
voluto
o
posto
dalla
divinità
,
al
quale
cercano
di
avvicinarsi
,
come
a
modello
,
le
legislazioni
positive
dei
singoli
popoli
e
che
costituisce
il
criterio
per
migliorare
e
correggere
tali
legislazioni
e
il
fondamento
delle
pretese
che
gli
individui
avanzano
nei
loro
confronti
.
Secondo
il
giusnaturalismo
moderno
(
che
nasce
nel
'600
con
Grozio
)
,
il
diritto
naturale
,
come
base
di
ogni
diritto
positivo
,
è
opera
della
retta
ragione
umana
:
le
massime
di
quel
diritto
hanno
la
stessa
evidenza
e
necessità
dei
teoremi
della
matematica
.
In
entrambe
queste
forme
,
il
giusnaturalismo
riesce
ad
assicurare
ai
diritti
dell
'
uomo
una
base
certa
o
sicura
;
ma
vi
riesce
solo
a
patto
di
partire
da
ipotesi
che
nessuno
oggi
riconosce
come
certe
e
sicure
:
l
'
origine
divina
del
diritto
e
l
'
infallibilità
della
ragione
umana
.
Tali
ipotesi
sembrano
infatti
smentite
dalla
disparità
e
dal
contrasto
dei
principi
del
diritto
riconosciuti
dai
vari
gruppi
umani
(
tra
i
quali
bisogna
oggi
considerare
anche
quelli
lontani
da
ogni
tradizione
europea
ed
occidentale
)
,
dalle
trasformazioni
radicali
che
ogni
sistema
di
diritti
subisce
nel
corso
della
storia
e
,
per
ciò
che
riguarda
i
diritti
dell
'
individuo
,
dai
,
mutamenti
che
intervengono
nella
loro
valutazione
e
nel
loro
numero
e
che
sembrano
suggeriti
da
circostanze
storiche
contingenti
più
che
da
un
ordine
stabile
o
da
una
linea
razionale
di
sviluppo
.
Il
diritto
alla
soddisfazione
dei
bisogni
elementari
,
il
diritto
al
lavoro
e
alla
difesa
organizzata
del
lavoro
,
il
diritto
all
'
istruzione
,
all
'
assistenza
e
molti
altri
,
si
affacciano
ora
con
urgenza
nella
situazione
storica
ed
emergono
,
come
esigenze
o
pretese
,
dal
contesto
della
nostra
società
industriale
,
per
quanto
fossero
sconosciuti
alle
epoche
precedenti
.
Nulla
,
anche
,
garantisce
che
l
'
insieme
di
tali
diritti
e
di
quelli
tradizionali
della
sicurezza
fisica
,
della
libertà
e
della
proprietà
,
non
sia
in
qualche
modo
contraddittorio
:
si
può
anzi
presumere
che
contraddizioni
o
conflitti
esistano
e
possano
insorgere
tra
i
diritti
reclamati
con
uguale
validità
.
Questa
situazione
rende
d
'
importanza
decisiva
il
compito
(
prettamente
filosofica
)
di
trovare
una
giustificazione
che
consenta
di
stabilire
il
significato
e
i
limiti
dei
diritti
,
e
la
loro
compatibilità
rispettiva
,
togliendo
la
possibilità
di
conflitti
;
e
che
escluda
sia
l
'
ottimismo
che
lo
scetticismo
i
quali
entrambi
renderebbero
inutile
o
priva
di
senso
la
difesa
di
essi
e
la
lotta
per
la
loro
realizzazione
.
Ma
questo
compito
non
potrà
fare
appello
ad
alcun
sistema
particolare
di
credenze
,
ad
alcun
insieme
di
principi
che
siano
propri
di
una
scuola
filosofica
o
di
una
confessione
religiosa
o
di
una
determinata
tradizione
culturale
:
perché
esso
dovrà
conservare
la
sua
validità
(
almeno
potenzialmente
)
per
tutti
gli
uomini
,
quali
che
siano
le
loro
credenze
e
le
loro
tradizioni
.
Da
questo
punto
di
vista
una
giustificazione
ragionevole
dei
diritti
dell
'
uomo
si
può
ottenere
soltanto
considerando
la
funzione
che
essi
hanno
esercitata
e
continuano
ad
esercitare
nel
corso
della
storia
umana
:
funzione
che
è
stata
ed
è
quella
di
difendere
l
'
individuo
e
le
sue
possibilità
di
autorealizzazione
e
di
sviluppo
dal
prepotere
delle
istituzioni
che
presiedono
alla
vita
associata
.
Poiché
la
stessa
vita
associata
può
sussistere
solo
mediante
la
sopravvivenza
degli
individui
,
la
difesa
degli
individui
è
condizione
fondamentale
per
la
sopravvivenza
della
comunità
e
suo
interesse
essenziale
.
Se
si
bada
a
questa
funzione
,
i
diritti
dell
'
individuo
possono
essere
considerati
come
norme
o
regole
fondamentali
o
primarie
che
valgono
come
principi
limitativi
e
,
in
certi
casi
,
come
criteri
di
giudizio
di
tutte
le
leggi
,
norme
o
massime
che
guidano
il
comportamento
delle
istituzioni
e
degli
individui
di
una
comunità
qualsiasi
.
Le
leggi
positive
,
le
norme
del
costume
,
i
codici
morali
e
religiosi
possono
avere
ed
hanno
i
fini
più
disparati
ed
ispirarsi
a
bisogni
,
ad
esigenze
,
a
ideali
e
perfino
a
pregiudizi
che
poco
o
nulla
hanno
a
che
fare
con
la
vita
e
le
possibilità
dell
'
individuo
.
I
cosiddetti
«
diritti
»
dell
'
uomo
costituiscono
invece
un
insieme
di
norme
la
cui
funzione
è
di
salvaguardare
qualsiasi
uomo
e
tutti
gli
uomini
nella
loro
possibilità
di
partecipare
in
modo
attivo
e
responsabile
alla
vita
della
comunità
.
Si
fa
appello
ai
diritti
dell
'
uomo
quando
il
comportamento
dello
Stato
o
di
altre
istituzioni
pubbliche
o
di
strutture
sociali
o
economiche
o
di
gruppi
di
individui
mette
in
forse
questa
possibilità
o
la
restringe
a
gruppi
privilegiati
,
negandola
all
'
uomo
come
tale
.
Tali
diritti
per
quanto
esprimibili
in
termini
generalissimi
(
«
Rispettare
la
libertà
individuale
»
;
«
Garantire
la
sicurezza
personale
»
,
ecc
.
)
trovano
il
loro
significato
concreto
nelle
situazioni
storiche
in
cui
si
fanno
valere
;
ma
il
loro
carattere
permanente
e
costante
deriva
dal
fatto
che
essi
compiono
sempre
la
stessa
funzione
.
In
una
società
primitiva
,
ad
esempio
,
il
diritto
all
'
istruzione
non
si
affaccia
nella
forma
che
esso
assume
nella
nostra
società
industriale
:
quella
società
infatti
,
per
quanto
rozza
possa
essere
,
conferisce
ai
suoi
membri
un
grado
di
addestramento
che
li
rende
attivi
partecipanti
della
vita
comune
:
e
l
'
individuo
pertanto
non
ha
né
la
ragione
né
l
'
occasione
di
fare
appello
a
un
suo
specifico
diritto
.
Ma
nella
società
industriale
l
'
individuo
che
sia
privo
di
un
grado
adeguato
di
istruzione
viene
respinto
ai
margini
e
rimane
inutilizzabile
per
se
stesso
e
per
gli
altri
.
Ciò
gli
fornisce
la
ragione
e
l
'
occasione
per
fare
appello
al
suo
diritto
;
il
cui
rispetto
,
d
'
altra
parte
,
diventa
un
interesse
essenziale
della
società
nel
suo
complesso
.
I
diritti
dell
'
uomo
«
nascono
»
,
cioè
sono
chiaramente
formulati
,
solo
quando
si
determina
una
situazione
nella
quale
le
possibilità
di
un
individuo
qualsiasi
di
farsi
valere
come
membro
attivo
e
responsabile
della
comunità
cui
appartiene
sono
in
pericolo
e
,
al
limite
,
negate
.
Ma
ciò
non
rende
i
diritti
dell
'
uomo
contingenti
,
mutevoli
e
soggetti
a
nascere
e
a
sparire
senza
costrutto
.
Non
li
rende
neppure
«
eterni
»
,
cioè
al
di
fuori
del
tempo
e
della
storia
.
Il
loro
fondamento
permanente
è
la
funzione
che
essi
esercitano
di
rendere
possibile
a
tutti
gli
uomini
la
partecipazione
all
'
umanità
e
di
offrire
all
'
umanità
il
mezzo
per
uscire
dalle
divisioni
e
dai
conflitti
che
mettono
in
pericolo
la
sua
pace
e
la
sua
sopravvivenza
.
StampaQuotidiana ,
Uno
dei
sintomi
che
comunemente
si
adducono
della
cosiddetta
«
crisi
del
costume
»
della
società
contemporanea
è
l
'
amore
,
anzi
la
«
sete
»
,
di
divertimento
.
Si
pensa
che
i
nostri
padri
e
i
nostri
nonni
o
le
«
generazioni
passate
»
dividessero
il
loro
tempo
tra
il
lavoro
e
la
famiglia
,
completamente
assorti
nell
'
adempimento
austero
dei
loro
doveri
quotidiani
e
completamente
alieni
da
qualsiasi
distrazione
.
Nonostante
la
perdita
di
ingenuità
che
caratterizza
tanti
nostri
atteggiamenti
,
questo
è
un
caso
nel
quale
l
'
ingenuità
non
è
stata
perduta
.
Se
si
riflette
che
il
divertimento
comprende
i
giochi
(
di
tutte
le
specie
)
,
la
caccia
,
la
pesca
,
la
conversazione
,
i
racconti
,
la
danza
,
il
canto
,
le
feste
,
i
banchetti
e
gli
spettacoli
di
tutti
i
generi
,
si
può
constatare
agevolmente
che
,
in
una
forma
o
nell
'
altra
o
in
tutte
le
forme
,
esso
accompagna
la
vita
dell
'
intero
genere
umano
in
tutti
i
suoi
gradi
e
in
tutte
le
sue
manifestazioni
.
Le
società
primitive
non
differiscono
in
questo
dalle
società
evolute
o
civili
,
salvo
forse
per
la
parte
maggiore
di
tempo
che
consacrano
al
divertimento
:
giacché
si
danno
al
canto
,
alla
danza
o
alle
cerimonie
erotiche
appena
hanno
provveduto
alla
soddisfazione
dei
bisogni
più
elementari
e
ritornano
malvolentieri
ai
lavori
abituali
solo
quando
quei
bisogni
sono
nuovamente
diventati
urgenti
.
Ciò
che
fa
pensare
ad
una
sete
di
divertimento
propria
della
società
contemporanea
,
è
piuttosto
il
carattere
che
il
divertimento
ha
assunto
in
tale
società
:
l
'
uniformità
,
la
diffusione
pressoché
universale
di
molte
forme
di
divertimento
che
prima
si
coltivavano
in
ambienti
chiusi
o
ristretti
e
che
ora
sono
venute
alla
luce
e
tendono
a
essere
partecipate
da
tutti
gli
strati
sociali
.
Il
fatto
è
che
il
divertimento
accompagna
tutte
le
forme
della
vita
umana
ed
è
una
manifestazione
di
essa
così
costante
come
altre
attività
ritenute
più
nobili
,
per
esempio
la
morale
o
la
religione
.
I
filosofi
,
dal
canto
loro
,
non
solo
lo
hanno
ritenuto
costante
,
ma
anche
necessario
.
Hanno
visto
in
esso
una
manifestazione
essenziale
della
vita
dell
'
uomo
:
una
manifestazione
cioè
che
consente
di
gettare
uno
sguardo
approfondito
su
ciò
che
è
l
'
essenza
o
la
natura
dell
'
uomo
.
Talvolta
essi
lo
hanno
considerato
come
una
conseguenza
della
natura
miserabile
dell
'
uomo
,
tal
altra
come
un
aspetto
positivo
di
essa
;
ma
in
ogni
caso
ne
hanno
accentuato
il
carattere
essenziale
o
inevitabile
,
la
sua
connessione
strettissima
con
la
sostanza
della
vita
umana
.
Sulle
orme
degli
antichi
Stoici
e
di
Cicerone
,
Montaigne
vedeva
nel
divertimento
una
medicina
delle
passioni
,
che
può
tenere
l
'
uomo
lontano
dalla
gioia
e
dall
'
afflizione
eccessive
.
E
Pascal
,
in
celebri
pagine
dei
suoi
Pensieri
,
dette
un
'
analisi
classica
del
divertimento
,
ritenuto
inevitabilmente
connesso
con
la
condizione
miserabile
dell
'
uomo
nel
mondo
.
Pascal
includeva
nel
divertimento
tutte
le
forme
di
attività
che
occupano
intensamente
l
'
uomo
e
gli
impediscono
di
pensare
a
se
stesso
,
alla
sua
natura
debole
e
mortale
.
Sono
divertimenti
egualmente
,
secondo
Pascal
,
le
fatiche
della
guerra
e
il
gioco
della
palla
,
la
caccia
alla
lepre
e
il
governo
dei
popoli
;
e
la
condizione
del
re
è
la
più
felice
perché
il
re
è
circondato
da
persone
che
si
prendono
cura
che
non
sia
mai
solo
e
in
stato
di
pensare
a
se
stesso
,
sapendo
che
,
benché
re
,
sarebbe
miserabile
se
ci
pensasse
.
Sembrerebbe
,
dice
Pascal
,
che
caricando
gli
uomini
sin
dall
'
infanzia
di
innumerevoli
occupazioni
,
preoccupazioni
e
cure
,
li
si
condanni
all
'
infelicità
;
ma
in
realtà
non
li
si
carica
mai
abbastanza
,
giacché
,
se
si
togliessero
tutte
le
cure
,
essi
vedrebbero
se
stessi
,
penserebbero
a
quel
che
sono
,
da
dove
vengono
e
a
dove
vanno
,
e
sarebbero
più
ancora
e
irrimediabilmente
infelici
.
Il
divertimento
è
perciò
la
sola
fuga
possibile
dal
senso
della
infelicità
della
vita
,
secondo
Pascal
.
Secondo
Schopenhauer
,
è
invece
la
fuga
dalla
noia
che
interviene
quando
l
'
uomo
ha
appagato
i
suoi
bisogni
e
ha
superato
il
dolore
della
privazione
.
L
'
oscillazione
in
cui
consiste
,
secondo
Schopenhauer
,
l
'
intera
vita
dell
'
uomo
,
tra
il
dolore
del
bisogno
e
il
tedio
della
soddisfazione
,
subisce
con
il
divertimento
una
pausa
temporanea
che
riempie
il
vuoto
tra
un
'
occupazione
e
l
'
altra
.
Certamente
,
secondo
Pascal
e
Schopenhauer
,
il
divertimento
è
una
forma
di
quella
che
oggi
sì
chiama
«
alienazione
»
;
è
un
estraniarsi
dell
'
uomo
da
se
stesso
,
dalla
sua
coscienza
di
sé
;
ma
ciò
non
lo
rende
meno
essenziale
.
Ed
inevitabile
ed
essenziale
esso
è
anche
per
i
filosofi
,
per
i
quali
non
costituisce
un
estraniamento
.
Criticando
Pascal
,
Voltaire
affermava
che
pensare
a
se
stesso
significa
rigorosamente
non
pensare
a
nulla
:
l
'
uomo
può
pensare
a
se
stesso
solo
pensando
alle
cose
che
lo
occupano
e
queste
cose
fanno
parte
della
condizione
umana
non
meno
che
del
«
se
stesso
»
dell
'
uomo
.
Da
questo
punto
di
vista
,
il
divertimento
non
è
un
'
estraniazione
,
non
è
neppure
una
medicina
o
una
fuga
:
è
,
come
tutte
le
attività
umane
,
un
rapporto
con
le
cose
o
con
gli
altri
uomini
che
riempiono
il
campo
,
altrimenti
vuoto
,
della
coscienza
umana
.
Dallo
stesso
punto
di
vista
,
Hume
affermava
che
solo
dagli
oggetti
esterni
l
'
uomo
può
ricevere
gli
stimoli
che
mettano
in
moto
le
sue
capacità
,
lo
occupino
e
lo
divertano
.
Occupazione
e
divertimento
obbediscono
alla
stessa
legge
.
Più
specificamente
,
Kant
,
l
'
austero
filosofo
del
dovere
,
raccomandava
,
tra
le
forme
del
divertimento
e
come
aiuto
alla
socievolezza
,
un
banchetto
di
persone
di
buon
gusto
in
cui
il
raccontarsi
le
novità
del
giorno
,
i
ragionamenti
vari
e
gli
scherzi
trovassero
posto
ugualmente
.
E
Dewey
vedeva
nel
divertimento
un
aspetto
essenziale
dell
'
esperienza
umana
,
precisamente
la
fase
finale
o
consumatoria
di
tale
esperienza
:
nella
quale
l
'
uomo
si
dedica
al
godimento
diretto
e
immediato
e
che
comprende
il
banchetto
e
la
festività
,
l
'
ornamento
,
la
danza
,
il
canto
,
la
pantomima
,
il
raccontare
storie
e
il
rappresentarle
.
Si
può
dunque
ritenere
l
'
uomo
destinato
a
pensare
unicamente
a
se
stesso
e
al
proprio
destino
o
a
pensare
alle
cose
o
agli
oggetti
molteplici
che
lo
circondano
;
si
può
ritenere
infelice
o
neutra
la
sua
condizione
nel
mondo
.
Conseguentemente
,
si
può
ritenere
il
divertimento
un
estraniarsi
dalla
natura
umana
o
una
manifestazione
normale
di
essa
:
ma
in
ogni
caso
,
esso
fa
parte
integrante
della
natura
e
dell
'
esperienza
dell
'
uomo
e
non
può
essere
eliminato
.
I
filosofi
sono
pertanto
alieni
dal
pregiudizio
moralistico
,
che
vorrebbe
eliminare
il
divertimento
come
un
'
inutile
perdita
di
tempo
e
una
distrazione
pericolosa
dalla
serietà
degli
impegni
che
attendono
l
'
uomo
nella
vita
.
E
in
realtà
questo
pregiudizio
si
può
ritenere
equivalente
a
quello
di
chi
volesse
che
,
per
evitare
perdite
di
tempo
e
distrazioni
,
l
'
uomo
rinunciasse
al
sonno
.
Il
divertimento
non
è
certo
il
sonno
;
è
,
a
suo
modo
,
un
'
attività
impegnativa
e
seria
in
cui
l
'
uomo
esprime
o
realizza
se
stesso
,
come
si
realizza
ed
esprime
nelle
attività
che
costituiscono
il
suo
lavoro
quotidiano
.
Nei
confronti
di
tale
lavoro
il
divertimento
costituisce
(
come
dice
la
parola
)
una
diversione
,
un
mutamento
di
attività
:
è
,
per
di
più
,
una
diversione
o
mutamento
che
non
è
strumentale
ma
finale
,
non
costituisce
un
mezzo
per
acquisire
o
produrre
beni
ma
un
godimento
di
beni
.
Se
il
divertimento
occupa
l
'
intera
vita
di
un
uomo
,
non
è
più
divertimento
perché
perde
la
sua
funzione
di
dare
un
altro
corso
all
'
attività
abituale
dell
'
uomo
.
La
noia
di
una
vita
oziosa
,
dedicata
soltanto
a
quelli
che
per
gli
altri
sono
«
divertimenti
»
,
deriva
appunto
dal
fatto
che
essa
abolisce
la
funzione
liberatrice
del
divertimento
:
funzione
condizionata
dalla
partecipazione
a
una
forma
di
attività
che
divertimento
non
sia
.
Ma
,
dall
'
altro
lato
,
una
vita
che
pretendesse
chiudersi
al
divertimento
e
dedicarsi
esclusivamente
al
lavoro
e
al
dovere
,
finirebbe
per
fare
di
buona
parte
del
lavoro
e
del
dovere
una
forma
di
divertimento
:
un
divertimento
inconsapevole
,
pesante
per
se
stesso
e
per
gli
altri
e
odioso
per
la
sua
ipocrisia
.
Si
può
,
se
si
vuole
,
mettere
il
divertimento
sul
conto
delle
«
debolezze
umane
»
;
purché
non
si
veda
in
questa
debolezza
un
motivo
di
condanna
o
di
riprovazione
.
L
'
uomo
è
quello
che
è
,
non
contro
o
nonostante
i
suoi
bisogni
,
ma
in
virtù
di
essi
.
Prendere
atto
di
tali
bisogni
e
appagarli
ragionevolmente
,
è
la
prima
condizione
del
suo
equilibrio
e
della
sua
efficienza
.
E
il
divertimento
è
,
certamente
,
uno
di
tali
bisogni
.
StampaQuotidiana ,
In
un
capitolo
del
Principe
,
Niccolò
Machiavelli
,
dopo
aver
riportato
l
'
opinione
diffusa
che
tutte
le
cose
del
mondo
siano
governate
dalla
fortuna
sicché
l
'
uomo
non
possa
apportarvi
né
correzione
né
rimedio
,
dichiara
che
,
per
suo
conto
,
è
stato
incline
a
questa
opinione
e
che
solo
per
non
negare
completamente
la
libertà
umana
è
giunto
a
concludere
che
la
fortuna
è
arbitra
della
metà
delle
azioni
umane
e
che
essa
lascia
governare
agli
uomini
l
'
altra
metà
o
pressappoco
.
Anche
oggi
,
forse
,
come
ai
tempi
di
Machiavelli
,
molti
inclinano
a
credere
che
la
fortuna
è
l
'
arbitra
esclusiva
delle
vicende
umane
.
La
variabilità
di
queste
vicende
,
la
rapidità
delle
trasformazioni
sociali
e
politiche
,
l
'
instabilità
delle
istituzioni
e
dei
costumi
,
l
'
incertezza
del
destino
personale
di
ciascun
individuo
non
sono
certo
diminuite
dai
tempi
di
Machiavelli
ed
anzi
appaiono
oggi
ancora
più
radicali
.
La
parte
della
fortuna
nelle
faccende
dell
'
uomo
sembra
maggiore
del
cinquanta
per
cento
che
Machiavelli
voleva
attribuirle
.
La
grandezza
,
la
decadenza
e
la
fine
delle
civiltà
,
dei
popoli
e
degli
Stati
,
la
miseria
e
il
benessere
delle
popolazioni
,
la
riuscita
o
l
'
insuccesso
degli
individui
,
la
loro
nascita
e
morte
,
le
loro
vicende
significative
o
banali
,
sembrano
in
larga
misura
dovute
a
quel
fattore
ignoto
,
talora
benevolo
tal
altra
maligno
,
ma
sempre
minaccioso
o
sconcertante
,
perché
su
di
esso
non
si
può
fare
affidamento
,
che
diciamo
«
fortuna
»
.
Certo
,
degli
eventi
che
si
attribuiscono
alla
fortuna
si
possono
cercare
e
trovare
le
«
cause
»
.
La
fortuna
,
come
il
suo
stretto
parente
,
il
caso
,
non
significa
assenza
di
causalità
.
I
filosofi
,
da
Aristotele
in
poi
,
sono
stati
concordi
su
questo
punto
.
Un
uomo
esce
di
casa
a
una
certa
ora
;
questo
è
un
fatto
che
ha
le
sue
cause
cioè
la
sua
motivazione
:
egli
deve
recarsi
al
lavoro
o
a
un
appuntamento
o
ha
un
altro
motivo
qualsiasi
per
uscire
.
Una
tegola
cade
da
un
tetto
;
questo
fatto
ha
le
sue
cause
:
l
'
azione
del
vento
o
delle
intemperie
e
la
forza
di
gravità
.
Ma
l
'
incontro
di
questi
due
fatti
,
che
accade
quando
la
tegola
cade
in
testa
a
quell
'
uomo
,
non
è
prevedibile
né
in
base
alla
prima
,
né
in
base
alla
seconda
delle
serie
causali
che
lo
provocano
:
perciò
si
dice
che
è
dovuto
al
«
caso
»
e
che
l
'
uomo
è
stato
«
sfortunato
»
a
passare
di
li
in
quel
momento
.
Analogamente
il
movimento
della
roulette
che
fa
fermare
la
pallina
su
un
certo
numero
è
dovuto
alle
leggi
meccaniche
,
mentre
alla
preferenza
del
giocatore
ò
dovuta
la
puntata
che
egli
fa
su
quel
numero
;
ma
l
'
incontro
delle
due
causalità
costituisce
la
«
fortuna
»
del
giocatore
stesso
.
L
'
imprevedibilità
sembra
costituire
il
carattere
proprio
di
questi
incontri
casuali
,
fortunati
o
sfortunati
che
siano
,
tra
diverse
serie
di
eventi
.
I
due
eventi
che
si
incontrano
sono
,
ciascuno
per
suo
conto
,
prevedibili
cioè
spiegabili
in
base
alle
cause
o
ai
motivi
che
li
determinano
;
ma
non
è
prevedibile
il
loro
incontro
perché
non
si
verifica
con
frequenza
sufficiente
a
stabilire
un
'
uniformità
di
accadimento
.
Ora
tale
imprevedibilità
può
essere
interpretata
in
due
modi
diversi
:
può
,
in
primo
luogo
,
essere
considerata
come
un
semplice
frutto
dell
'
ignoranza
in
cui
l
'
uomo
si
trova
di
fronte
a
molti
dei
fattori
che
agiscono
nel
mondo
;
e
in
secondo
luogo
può
essere
considerata
come
una
indeterminazione
reale
,
inerente
al
fatto
che
le
maglie
della
rete
causale
sono
troppo
larghe
e
non
arrivano
a
stringere
o
a
contenere
tutti
i
fenomeni
sicché
un
certo
numero
di
essi
sfugge
alla
rete
e
si
comporta
come
vuole
.
La
differenza
tra
queste
due
interpretazioni
non
è
puramente
accademica
.
Secondo
la
prima
,
l
'
azione
del
caso
(
o
della
fortuna
,
la
quale
non
è
che
l
'
azione
del
caso
nelle
faccende
umane
)
può
essere
ridotta
e
,
al
limite
,
eliminata
mediante
la
riduzione
o
l
'
eliminazione
dell
'
ignoranza
e
l
'
estendersi
della
conoscenza
a
un
numero
sempre
maggiore
di
fattori
causali
.
Secondo
l
'
altra
,
il
caso
è
,
in
qualche
misura
,
ineliminabile
perché
è
un
'
imperfezione
reale
dell
'
ordine
oggettivo
,
e
si
annida
nelle
falle
della
stessa
connessione
causale
.
Tra
queste
due
interpretazioni
,
la
scienza
e
la
filosofia
contemporanea
propendono
per
la
seconda
.
La
considerazione
probabilistica
che
si
estende
oramai
a
tutte
le
branche
fondamentali
della
conoscenza
scientifica
,
dalla
fisica
atomica
alla
biologia
;
alla
psicologia
e
alla
sociologia
,
si
fonda
sul
presupposto
che
i
fatti
non
sono
determinabili
e
prevedibili
uno
per
uno
ma
soltanto
nei
loro
insiemi
,
nelle
loro
medie
statistiche
.
Le
maglie
della
catena
causale
,
di
cui
si
avvalgono
oggi
le
scienze
nella
spiegazione
e
nella
previsione
dei
fatti
,
sono
,
in
altri
termini
,
assai
larghe
:
ad
esse
sfugge
,
si
può
dire
,
ogni
fatto
che
sia
considerato
nella
sua
individualità
.
La
considerazione
probabilistica
,
come
considerazione
statistica
che
concerne
sempre
un
numero
di
fatti
abbastanza
grande
,
non
dice
nulla
sul
comportamento
di
un
fatto
singolo
.
Sappiamo
,
per
esempio
,
dall
'
andamento
delle
medie
statistiche
degli
anni
passati
,
il
numero
probabile
degli
individui
che
si
sposeranno
o
prenderanno
la
laurea
l
'
anno
venturo
;
ma
questa
conoscenza
non
ci
dice
affatto
che
il
signor
Tizio
l
'
anno
venturo
si
sposerà
o
il
signor
Caio
prenderà
la
laurea
.
Le
unità
individuali
che
entrano
a
comporre
le
medie
statistiche
che
costituiscono
l
'
uniformità
e
le
leggi
cioè
gli
oggetti
veri
e
propri
della
scienza
,
sfuggono
,
proprio
nella
loro
individualità
,
alle
uniformità
e
alle
leggi
:
praticamente
,
rimangono
i
soggetti
del
caso
.
Ciò
vale
per
un
singolo
elettrone
come
per
un
singolo
uomo
.
E
se
è
così
,
se
la
scienza
non
può
fare
a
meno
del
caso
,
il
vecchio
concetto
della
fortuna
che
domina
le
faccende
umane
non
è
solo
un
pregiudizio
da
ignoranti
.
La
consapevolezza
che
la
fortuna
gioca
una
parte
importante
è
profondamente
radicata
nella
società
contemporanea
.
Essa
assume
la
forma
di
quel
«
senso
d
'
insicurezza
»
che
spesso
viene
addotto
(
e
non
a
torto
)
come
un
contrassegno
specifico
della
società
contemporanea
;
o
di
quel
senso
del
rischio
che
viene
teorizzato
da
molte
filosofie
contemporanee
.
Ma
non
è
detto
che
tale
consapevolezza
debba
condurre
gli
uomini
soltanto
a
un
pessimismo
contemplativo
e
passivo
,
alla
rinunzia
ad
ogni
intervento
nel
corso
delle
cose
.
Il
lasciar
fare
,
l
'
abbandonarsi
alla
fortuna
,
è
un
atteggiamento
sempre
possibile
,
nonché
una
facile
tentazione
per
chiunque
;
ma
è
pure
possibile
,
e
certo
più
promettente
,
l
'
atteggiamento
opposto
di
chi
è
deciso
a
trar
partito
dalla
stessa
molteplicità
dei
casi
o
delle
occasioni
che
la
fortuna
può
offrire
.
Possiamo
limitarci
a
fare
contro
i
colpi
della
sorte
gli
scongiuri
di
rito
o
a
fidare
nell
'
oroscopo
quotidiano
che
i
giornali
ci
danno
,
anche
se
,
in
un
mondo
in
cui
gli
astri
sono
a
portata
di
missile
,
è
difficile
credere
ancora
che
siano
depositari
di
occulte
influenze
.
Ma
possiamo
anche
accettare
la
sfida
che
la
fortuna
ci
getta
e
rispondervi
con
le
armi
che
abbiamo
a
disposizione
.
Possiamo
prevedere
,
in
una
certa
misura
,
le
linee
di
tendenza
dei
fatti
e
prepararci
ad
affrontare
le
situazioni
future
per
correggere
quelle
tendenze
o
portarvi
rimedio
o
adeguarle
,
per
quanto
è
possibile
,
ai
nostri
umani
interessi
.
Il
bisogno
della
progettazione
,
così
profondamente
radicato
oggi
in
tutti
i
campi
dell
'
attività
umana
,
nasce
appunto
da
questo
atteggiamento
di
libera
reazione
alla
fortuna
e
da
una
ragionevole
fiducia
nei
mezzi
di
cui
la
ragione
umana
dispone
.
Certamente
,
qualsiasi
progettazione
può
non
riuscire
e
sul
suo
esito
finale
la
fortuna
dirà
la
sua
.
Ma
,
come
ancora
osservava
Machiavelli
,
essa
manifesta
la
sua
potenza
soprattutto
là
dove
non
c
'
è
«
ordinata
virtù
a
resisterle
»
;
ed
è
sempre
meno
rovinosa
quando
gli
uomini
hanno
pensato
per
tempo
a
elevare
contro
di
essa
argini
e
ripari
,
adeguati
.
StampaQuotidiana ,
Una
parte
almeno
del
compianto
unanime
che
ha
accolto
la
morte
di
Churchill
è
certo
dovuta
a
un
tratto
della
sua
figura
che
è
il
meno
frequente
nei
personaggi
storici
:
Churchill
è
stato
un
capo
senza
essere
un
fanatico
.
Churchill
non
si
è
mai
sentito
«
l
'
uomo
della
provvidenza
»
o
«
del
destino
»
.
Le
responsabilità
che
si
è
assunto
nei
momenti
più
critici
della
storia
contemporanea
,
il
peso
decisivo
delle
sue
scelte
e
della
sua
condotta
di
uomo
politico
,
il
successo
che
ha
coronato
la
sua
opera
non
gli
hanno
fatto
ritenere
d
'
essere
un
uomo
privilegiato
,
investito
di
una
missione
nel
cui
compimento
nessuno
potesse
sostituirlo
e
di
fronte
alla
quale
la
comune
umanità
valesse
soltanto
come
mezzo
.
La
figura
di
Churchill
è
,
da
questo
punto
di
vista
,
la
più
ovvia
smentita
alla
credenza
che
l
'
azione
efficace
,
il
coraggio
e
la
resistenza
alle
forze
avverse
possono
essere
alimentati
e
sostenuti
soltanto
dal
senso
di
una
investitura
dall
'
alto
e
dalla
certezza
di
essere
lo
strumento
unico
e
privilegiato
di
un
disegno
super
-
umano
.
Tuttavia
la
credenza
nel
carattere
praticamente
benefico
del
fanatismo
,
nella
sua
capacità
di
valere
come
una
leva
potente
per
muovere
masse
e
individui
,
infiammarli
di
sacro
entusiasmo
,
renderli
insensibili
a
sacrifici
e
rinunce
,
e
portarli
alla
realizzazione
di
scopi
grandiosi
(
o
ritenuti
tali
)
,
è
ancora
abbastanza
diffusa
e
si
lascia
talora
intravedere
nei
discorsi
di
politici
o
di
capipartito
.
In
un
passato
recente
,
la
parola
aveva
perfino
perduto
,
nell
'
uso
di
certi
partiti
politici
,
la
connotazione
negativa
che
i
dizionari
solitamente
le
attribuiscono
,
per
essere
esaltata
come
un
merito
del
seguace
zelante
e
del
credente
a
tutta
prova
.
E
per
quanto
oggi
l
'
esaltazione
esplicita
del
fanatismo
sia
difficile
a
trovarsi
o
si
presenti
in
forma
camuffata
(
come
quando
si
è
detto
:
«
L
'
estremismo
nella
difesa
della
libertà
non
è
un
vizio
;
la
moderazione
nel
conseguimento
della
giustizia
non
è
una
virtù
»
)
,
una
certa
nostalgia
per
il
fanatismo
e
un
certo
rispetto
superstizioso
(
che
è
a
sua
volta
fanatico
)
verso
di
esso
serpeggiano
ancora
nei
vari
campi
della
cultura
e
in
certi
angoli
dell
'
opinione
comune
.
Ciò
accade
perché
il
fanatismo
sembra
,
in
primo
luogo
,
una
testimonianza
resa
alla
verità
,
anzi
alla
Verità
unica
ed
assoluta
,
di
cui
il
fanatico
si
ritiene
il
depositario
,
l
'
interprete
e
il
realizzatore
.
Questo
atteggiamento
sembra
l
'
opposto
di
quello
dello
«
scettico
»
o
,
come
anche
si
dice
,
del
«
cinico
»
che
non
crede
a
nulla
o
non
prende
nulla
sul
serio
e
perciò
è
incapace
di
rendere
omaggio
alla
verità
ed
impegnarsi
per
essa
.
In
secondo
luogo
il
fanatico
non
ha
bisogno
di
argomenti
o
di
«
ragioni
»
per
credere
nella
sua
verità
.
Gli
argomenti
o
le
ragioni
sono
spesso
deboli
o
di
esito
incerto
:
possono
venire
controbattuti
,
bilanciati
o
distrutti
da
altre
ragioni
;
e
sotto
questo
aspetto
la
convinzione
razionale
,
che
è
aperta
alle
critiche
e
ne
tiene
conto
,
appare
,
come
strumento
d
'
azione
,
assai
più
debole
e
vacillante
della
persuasione
fanatica
che
condanna
chi
la
possiede
all
'
entusiasmo
perpetuo
.
In
terzo
luogo
,
il
fanatismo
è
per
sua
natura
collettivo
e
pandemico
;
tende
a
diffondersi
da
individuo
a
individuo
,
a
travolgere
o
a
rendere
insignificante
il
dubbio
privato
,
a
fondere
gli
individui
nell
'
unità
di
una
massa
anonima
e
compatta
che
può
agire
come
forza
d
'
urto
.
Sono
,
questi
,
i
vantaggi
teorici
e
pratici
del
fanatismo
;
e
sarebbero
vantaggi
importanti
,
se
fossero
veri
.
Sono
invece
fittizi
.
La
verità
,
e
specialmente
la
Verità
con
la
V
maiuscola
,
che
dovrebbe
essere
(
se
ci
fosse
)
una
forza
spirituale
che
agisce
o
si
manifesta
soltanto
nei
poteri
più
alti
,
più
difficili
e
più
rari
di
cui
l
'
uomo
dispone
,
non
ha
nulla
a
che
fare
con
il
fanatismo
che
è
più
agevolmente
suscitato
da
viete
superstizioni
e
da
rozze
credenze
.
Anzi
,
il
fatto
dimostra
che
non
c
'
è
superstizione
così
grossolana
,
credenza
così
infondata
,
ideale
così
balordo
che
non
abbia
trovato
o
non
trovi
i
suoi
fanatici
e
che
non
possa
essere
assunto
come
insegna
di
violenze
e
persecuzioni
contro
coloro
che
non
lo
condividono
.
Ciò
che
il
fanatismo
chiama
«
verità
»
non
è
che
un
pretesto
per
attribuirsi
un
potere
sovrano
nei
confronti
delle
credenze
e
della
vita
degli
altri
.
Essere
fedeli
alla
verità
significa
essere
disposti
a
cercarla
,
a
riconoscerla
dovunque
si
presenti
,
sia
in
noi
che
negli
altri
,
anche
quando
non
ci
torna
comodo
,
significa
adoperare
strumenti
adatti
a
questo
fine
,
correggere
o
rettificare
le
proprie
opinioni
e
abbandonarle
,
sia
pure
con
sforzo
,
quando
la
verità
lo
richieda
.
Questo
atteggiamento
implica
,
non
già
la
certezza
di
un
possesso
infallibile
,
ma
il
dubbio
incessante
,
la
critica
,
uno
scetticismo
metodico
e
(
perché
no
?
)
anche
un
certo
cinismo
che
fa
dire
pane
al
pane
e
vino
al
vino
e
non
si
lascia
incantare
dalle
parole
solenni
e
dal
manto
di
porpora
degli
ideali
fittizi
.
Esso
consiste
nell
'
esercizio
della
ragione
e
delle
sue
tecniche
,
quali
si
sono
venute
costituendo
nei
vari
campi
del
sapere
,
sul
fondamento
della
loro
continua
revisione
e
correzione
.
Kant
giustamente
ritenne
il
fanatismo
,
sotto
questo
aspetto
,
«
la
trasgressione
dei
limiti
della
ragione
umana
»
:
cioè
il
non
tener
conto
dei
limiti
e
delle
imperfezioni
delle
nostre
capacità
d
'
indagine
e
di
accertamento
,
perciò
l
'
identificare
se
stessi
con
la
voce
della
verità
e
della
giustizia
e
ritenere
che
tutto
il
resto
dell
'
umanità
sia
dalla
parte
dell
'
errore
e
del
male
.
Certamente
,
per
questi
stessi
limiti
,
la
ragione
umana
è
una
debole
forza
:
gli
argomenti
di
cui
si
avvale
,
le
prove
che
adduce
,
le
conclusioni
che
raggiunge
,
sono
continuamente
soggette
alla
revisione
e
alla
critica
e
possono
essere
corrette
o
confutate
.
Ma
proprio
da
questa
debolezza
essa
ricava
la
sua
forza
.
La
critica
che
smonta
un
argomento
rafforza
il
potere
di
critica
,
la
prova
che
confuta
un
'
altra
prova
è
un
passo
in
avanti
rispetto
all
'
altra
;
una
conclusione
corretta
o
sostituita
con
un
'
altra
contiene
una
maggiore
garanzia
di
validità
.
Anche
se
,
per
un
'
ipotesi
inverosimile
,
tutto
ciò
che
la
ragione
umana
ha
conseguito
finora
si
rivelasse
privo
di
fondamento
,
questa
conquista
negativa
della
ragione
sarebbe
un
segno
della
sua
forza
,
perché
costituirebbe
la
premessa
di
un
'
opera
costruttiva
più
valida
.
Ma
una
«
verità
»
fanaticamente
accettata
non
può
subire
correzioni
ed
aggiunte
;
teme
le
critiche
e
persino
la
tepidezza
dell
'
entusiasmo
;
è
fragile
nei
confronti
dei
dubbi
e
cade
di
colpo
alla
prima
occasione
.
Cade
senza
lasciare
nulla
,
se
non
forse
un
atteggiamento
fanatico
,
provvisoriamente
disoccupato
o
alla
ricerca
di
nuovi
pretesti
.
Come
già
diceva
Locke
,
che
ci
dette
nella
quarta
edizione
del
Saggio
(
1700
)
la
prima
celebre
critica
del
fanatismo
,
questo
è
un
fuoco
fatuo
.
E
alla
prima
occasione
,
la
fusione
delle
masse
o
dei
gruppi
fanatici
,
l
'
entusiasmo
travolgente
che
era
parso
una
poderosa
forza
d
'
urto
,
si
scioglie
o
si
spegne
come
un
fuoco
fatuo
e
non
lascia
dietro
di
sé
che
il
caos
o
il
deserto
.
Non
si
può
far
conto
sui
fuochi
fatui
per
illuminare
il
difficile
cammino
dell
'
umanità
nel
mondo
:
occorre
che
l
'
umanità
cerchi
e
trovi
altri
mezzi
di
orientamento
e
che
questi
mezzi
possano
costantemente
essere
corretti
e
migliorati
.
La
convinzione
ben
radicata
dei
limiti
dell
'
uomo
e
la
disposizione
che
ne
deriva
all
'
ironia
,
alla
pietà
e
alla
solidarietà
umana
sono
,
come
già
avevano
visto
gli
analisti
del
'700
(
Shaftesbury
,
Voltaire
,
Kant
)
,
i
migliori
correttivi
del
fanatismo
e
alcuni
dei
costituenti
essenziali
della
nostra
civiltà
.
La
tentazione
del
fanatismo
si
presenta
ogni
qualvolta
si
tende
a
trasformare
gli
ideali
umani
anche
più
nobili
(
per
esempio
la
libertà
o
la
giustizia
)
in
fini
assoluti
ai
quali
la
comune
umanità
va
senz
'
altro
sacrificata
.
Cerchiamo
di
ricordare
che
tali
ideali
sono
invece
sempre
e
soltanto
strumenti
:
strumenti
che
l
'
uomo
ha
escogitato
,
e
che
può
e
deve
correggere
,
per
sopravvivere
come
uomo
e
vivere
in
pace
.
StampaQuotidiana ,
Viktor
Frankl
,
un
medico
psichiatra
che
passò
parecchi
anni
nel
campo
di
concentramento
di
Auschwitz
,
racconta
che
il
desiderio
di
riscrivere
un
libro
il
cui
manoscritto
gli
era
stato
confiscato
e
distrutto
al
suo
ingresso
nel
campo
,
fu
il
fattore
decisivo
che
gli
consentì
di
sopravvivere
,
mentre
intorno
a
lui
soccombevano
molti
suoi
compagni
di
prigionia
dotati
di
robustezza
fisica
maggiore
.
Questo
fatto
,
che
non
è
isolato
,
sembra
mostrare
che
,
quando
la
vita
ha
un
significato
,
è
più
facile
per
l
'
uomo
sopportarne
i
pericoli
e
le
durezze
e
che
perciò
il
problema
del
significato
della
vita
è
,
per
ogni
uomo
,
il
problema
fondamentale
,
quello
da
cui
dipendono
la
sua
sopravvivenza
,
il
suo
equilibrio
e
la
sua
felicità
.
Ma
questo
problema
ha
,
rigorosamente
parlando
,
un
«
significato
»
?
In
un
libro
recente
Huston
Smith
,
professore
di
filosofia
nel
Massachusetts
Institute
of
Technology
(
Condemned
to
Meaning
,
New
York
,
1965
)
,
ha
messo
in
luce
la
situazione
paradossale
in
cui
si
trova
oggi
la
filosofia
di
fronte
a
questo
problema
.
Da
un
lato
gli
antropologi
,
gli
psicologi
,
i
teologi
e
i
filosofi
esistenzialisti
riconoscono
l
'
autenticità
del
problema
e
lo
ritengono
ineludibile
,
anche
se
le
soluzioni
da
essi
apprestate
sono
diverse
e
non
convincenti
.
Dall
'
altro
lato
(
e
soprattutto
nei
paesi
anglosassoni
)
i
filosofi
analisti
ritengono
che
il
problema
del
significato
della
vita
sia
uno
pseudo
-
problema
derivante
dall
'
uso
improprio
della
parola
«
significato
»
:
la
quale
appartiene
alla
sfera
linguistica
,
per
cui
si
può
parlare
del
significato
di
un
termine
o
di
una
espressione
,
non
della
vita
nel
suo
complesso
.
I
primi
considerano
solo
il
significato
esistenziale
,
i
secondi
solo
il
significato
linguistico
:
i
primi
si
occupano
delle
situazioni
della
vita
,
dei
problemi
che
esse
presentano
e
delle
soluzioni
che
prospettano
;
i
secondi
si
occupano
delle
situazioni
linguistiche
,
delle
loro
confusioni
e
delle
possibilità
di
chiarirle
.
Il
libro
di
Huston
Smith
vuole
in
qualche
modo
mediare
i
due
punti
di
vista
che
abitualmente
rimangono
separati
e
non
entrano
neppure
in
dialogo
:
intende
mostrare
che
una
trattazione
analitica
è
possibile
,
entro
certi
limiti
,
anche
nella
sfera
del
problema
che
concerne
il
significato
della
vita
.
Ovviamente
,
questo
tentativo
suppone
che
tale
problema
sia
autentico
,
cioè
che
non
si
riduca
a
una
confusione
linguistica
.
Huston
Smith
ritiene
che
l
'
autenticità
di
esso
risulta
provata
dall
'
importanza
che
il
problema
riveste
nella
vita
di
ogni
uomo
:
perché
la
perdita
o
l
'
assenza
di
significato
,
cioè
di
uno
scopo
per
cui
valga
la
pena
di
vivere
,
lottare
e
soffrire
,
determina
spesso
(
come
psicologi
e
antropologi
mettono
in
luce
)
squilibri
,
infelicità
e
pazzia
o
,
nel
migliore
dei
casi
,
la
perdita
o
la
diminuzione
del
gusto
di
vivere
.
Egli
ha
perciò
dato
al
suo
libro
il
titolo
Condannato
al
significato
:
una
espressione
di
Merleau
-
Ponty
,
riferita
all
'
uomo
,
che
significa
l
'
impossibilità
per
l
'
uomo
di
vivere
senza
dare
un
significato
alla
vita
.
Ma
Smith
ritiene
pure
che
il
significato
della
vita
l
'
uomo
deve
in
qualche
modo
costruirlo
:
cioè
che
esso
non
è
un
dato
,
ma
un
risultato
da
ottenere
attraverso
un
'
attività
che
investe
le
manifestazioni
della
vita
e
le
porta
a
ordinarsi
e
organizzarsi
in
modo
da
costituire
modelli
significanti
.
E
come
Kant
parlò
di
categorie
intellettuali
che
presiedono
alla
nostra
costruzione
del
mondo
conoscitivo
,
così
Smith
parla
di
categorie
di
significati
che
permettono
all
'
uomo
di
organizzare
la
struttura
delle
sue
esperienze
,
che
altrimenti
rimarrebbero
caotiche
e
prive
di
scopo
.
Queste
categorie
di
significato
sono
:
l
'
inquietudine
o
angoscia
;
h
speranza
;
lo
sforzo
,
cioè
la
capacità
di
trascendersi
e
di
tendere
a
qualcosa
che
non
esiste
ma
può
esistere
;
la
fiducia
,
cioè
il
senso
di
essere
aiutato
o
garantito
nello
sforzo
dall
'
ordine
delle
cose
;
e
infine
il
mistero
,
cioè
il
senso
di
una
realtà
che
non
può
essere
attinta
attraverso
le
vie
normali
della
conoscenza
.
Bisogna
subito
dire
che
queste
categorie
appaiono
inadeguate
alla
funzione
,
cui
Smith
le
destina
,
di
costruire
un
mondo
di
significati
.
La
prima
,
cioè
l
'
angoscia
,
non
è
una
categoria
,
ma
piuttosto
lo
stato
o
la
condizione
di
chi
si
sente
privo
o
povero
di
possibilità
a
venire
e
pertanto
non
riesce
a
dare
un
significato
alla
vita
.
Le
altre
sembra
che
presuppongano
questo
significato
piuttosto
che
renderlo
possibile
:
giacché
,
come
si
fa
a
sperare
,
a
sforzarsi
per
uno
scopo
,
ad
aver
fiducia
nel
mondo
e
a
credere
in
una
realtà
misteriosa
,
se
già
non
si
è
certi
del
significato
che
la
vita
possiede
?
D
'
altronde
,
se
la
vita
ha
il
significato
che
noi
stessi
chiediamo
,
questo
non
implica
forse
che
essa
è
,
in
se
stessa
,
priva
di
significato
?
Smith
risponde
a
quest
'
ultima
domanda
asserendo
che
il
significato
della
vita
non
è
né
imposto
all
'
uomo
dai
fatti
,
né
imposto
dall
'
uomo
ai
fatti
stessi
:
non
è
,
in
altri
termini
,
né
oggettivo
né
soggettivo
,
ma
alcunché
di
intermedio
,
come
qualsiasi
costruzione
umana
che
,
se
utilizza
gli
elementi
e
le
leggi
della
natura
,
non
è
tuttavia
opera
totale
della
natura
ma
dell
'
uomo
.
E
questa
risposta
sarebbe
valida
se
sapessimo
qualcosa
in
più
su
ciò
che
deve
intendersi
per
«
significato
della
vita
»
.
In
realtà
il
tentativo
di
Smith
si
ferma
alla
difesa
di
un
'
esigenza
generica
,
ma
non
entra
a
esaminare
la
natura
specifica
dei
«
significati
»
che
la
vita
può
avere
.
E
di
«
significati
»
si
tratta
,
non
di
«
significato
»
.
Per
illuminante
e
tipico
che
possa
essere
il
caso
del
medico
Frankl
nel
campo
di
Auschwitz
,
nessuno
lo
generalizzerebbe
asserendo
che
,
per
qualsiasi
uomo
,
lo
scopo
della
vita
è
di
riscrivere
(
o
scrivere
)
un
libro
.
Ciò
che
per
un
uomo
è
ragione
di
vita
,
per
l
'
altro
è
motivo
di
fastidio
o
di
noia
.
Esistono
,
senza
dubbio
,
significati
partecipabili
da
gruppi
più
o
meno
estesi
di
individui
umani
,
e
sono
quelli
su
cui
fanno
leva
le
grandi
religioni
e
le
filosofie
popolari
.
Ma
è
molto
dubbio
che
esista
un
unico
,
totale
,
esauriente
significato
della
vita
ed
è
molto
dubbio
che
una
filosofia
qualsiasi
sia
in
grado
di
«
costruirlo
»
.
Ciò
che
la
filosofia
può
fare
consiste
sostanzialmente
nell
'
aiutare
l
'
uomo
,
ogni
singolo
uomo
,
a
scoprire
o
a
costruire
da
sé
il
significato
della
vita
:
chiarendo
in
forma
oggettiva
,
sulla
base
degli
elementi
positivi
del
sapere
di
cui
disponiamo
,
la
sua
situazione
nel
mondo
e
fra
gli
uomini
,
la
struttura
e
i
limiti
delle
sue
possibilità
,
le
minacce
che
incombono
su
di
lui
e
le
prospettive
di
riuscita
meno
ingannevoli
e
più
feconde
.
Essa
può
anche
delucidare
la
natura
e
i
limiti
della
scelta
che
si
offre
a
ogni
individuo
tra
i
significati
specifici
che
la
vita
può
offrirgli
;
ma
,
quanto
a
questa
scelta
,
nessuno
può
farla
per
un
altro
.
Proprio
in
ciò
sta
l
'
insegnamento
della
filosofia
esistenzialistica
,
cui
Huston
Smith
fa
troppo
imprecisi
riferimenti
.
Quando
i
filosofi
analitici
negano
(
ma
ormai
lo
negano
sempre
più
di
rado
)
che
il
problema
dell
'
esistenza
sia
autentico
,
intendono
semplicemente
asserire
che
gli
strumenti
linguistici
di
cui
l
'
uomo
dispone
non
consentono
di
parlarne
e
che
pertanto
(
come
diceva
Wittgenstein
)
«
di
ciò
di
cui
non
si
può
parlare
,
si
deve
tacere
»
.
Essi
partono
cioè
da
una
teoria
del
linguaggio
il
quale
,
considerato
come
una
specie
di
immagine
dei
fatti
del
mondo
,
non
offre
la
possibilità
di
parlare
di
altro
che
di
tali
fatti
.
La
risposta
alla
loro
negazione
non
si
può
quindi
ottenere
asserendo
l
'
importanza
generica
del
problema
dell
'
esistenza
,
ma
facendo
appello
a
un
'
altra
teoria
del
linguaggio
:
a
una
teoria
che
,
senza
sfumare
nel
vago
e
nel
mistero
,
renda
possibile
affrontare
le
condizioni
specifiche
di
quel
problema
con
ordine
e
correttezza
.
Questa
teoria
del
linguaggio
è
,
oggi
,
più
un
desiderio
che
una
realtà
;
è
tuttavia
il
presupposto
per
ridare
alla
filosofia
il
suo
carattere
umano
.