StampaQuotidiana ,
Quando
a
Socrate
,
che
era
in
carcere
in
attesa
del
processo
,
gli
amici
proposero
la
fuga
da
Atene
,
egli
rifiutò
perché
fuggire
sarebbe
stato
azione
ingiusta
nei
confronti
delle
leggi
ateniesi
che
avevano
presieduto
alla
sua
nascita
,
alla
sua
educazione
e
all
'
intera
sua
vita
.
«
Giusto
»
è
,
in
modo
tipico
,
il
comportamento
di
Socrate
:
cioè
,
in
generale
,
di
chi
si
ispira
al
rispetto
delle
leggi
anche
quando
esse
si
rivolgono
contro
il
suo
interesse
privato
.
Ma
che
cosa
accade
quando
le
leggi
stesse
,
cui
si
dovrebbe
obbedire
per
essere
giusti
,
si
ritengono
«
ingiuste
»
?
E
come
si
fa
a
giudicare
,
in
generale
,
se
una
legge
è
«
giusta
»
o
non
lo
è
?
Gli
uomini
hanno
presto
fatto
l
'
amara
esperienza
che
non
tutte
le
leggi
sono
giuste
.
E
per
valutare
la
giustizia
delle
leggi
,
hanno
fatto
appello
a
una
legge
più
alta
,
data
dalla
natura
o
da
Dio
,
che
sarebbe
il
fondamento
di
tutte
le
leggi
umane
.
In
un
passo
famoso
del
De
Republica
,
Cicerone
esaltava
la
legge
eterna
,
razionale
e
conforme
a
natura
che
è
immutabile
in
tutti
i
luoghi
e
in
tutti
i
tempi
ed
è
l
'
espressione
stessa
della
divinità
che
governa
il
mondo
.
E
già
Aristotele
,
in
un
'
illustrazione
rimasta
classica
del
concetto
di
«
equità
»
,
mostrava
come
questa
fosse
la
correzione
che
i
giudici
apportano
alle
imperfezioni
della
legge
positiva
,
mediante
il
ricorso
alla
legge
eterna
della
giustizia
.
Per
duemila
anni
circa
,
questi
fondamenti
del
giusnaturalismo
sono
stati
i
principi
incontestabili
di
ogni
dottrina
del
diritto
.
Quando
,
nel
'600
,
la
ragione
umana
cominciò
a
rivendicare
la
sua
autonomia
nei
confronti
dell
'
ordine
cosmico
e
della
stessa
divinità
,
la
legge
naturale
apparve
come
la
manifestazione
della
ragione
e
Grozio
affermava
che
essa
aveva
la
stessa
necessità
dei
principi
della
matematica
.
Con
ciò
,
essa
non
perdeva
,
ovviamente
,
la
sua
certezza
assoluta
,
ma
mutava
soltanto
il
suo
fondamento
:
che
non
veniva
più
riconosciuto
nell
'
ordine
naturale
o
divino
,
ma
nella
infallibilità
dell
'
umana
ragione
.
La
consolante
credenza
in
un
'
unica
,
immutabile
legge
di
giustizia
ha
continuato
a
permeare
,
anche
dopo
il
tramonto
del
giusnaturalismo
razionalistico
del
'700
,
la
maggior
parte
delle
teorie
filosofiche
del
diritto
,
che
ne
hanno
dato
ora
questa
ora
quella
giustificazione
o
l
'
hanno
in
molti
modi
camuffata
o
mistificata
.
Soltanto
negli
ultimi
decenni
,
ad
opera
di
quella
corrente
che
suol
chiamarsi
«
positivismo
giuridico
»
ma
che
non
ha
niente
a
che
fare
con
il
vecchio
positivismo
e
perciò
meglio
si
chiamerebbe
«
neoempirismo
giuridico
»
,
quella
certezza
è
stata
messa
in
crisi
.
La
crisi
è
il
riflesso
,
nel
campo
della
teoria
del
diritto
,
della
crisi
generale
della
metafisica
cioè
della
credenza
in
elementi
assoluti
,
soprannaturali
,
trascendenti
per
spiegare
il
mondo
della
realtà
umana
.
Quali
sono
le
ragioni
specifiche
della
crisi
?
Il
diritto
naturale
è
stato
invocato
a
fondare
le
leggi
più
disparate
.
Si
è
ricorso
ad
esso
per
giustificare
l
'
autorità
assoluta
dello
Stato
come
per
giustificare
la
lotta
e
l
'
insurrezione
contro
lo
Stato
.
Si
è
fondata
su
di
esso
la
divisione
naturale
tra
schiavi
e
liberi
(
come
fecero
Platone
e
Aristotele
)
e
l
'
uguaglianza
naturale
di
tutti
gli
uomini
(
come
fecero
gli
Stoici
,
i
Cristiani
e
gli
Illuministi
)
.
Si
è
ritenuta
legge
di
natura
che
il
più
forte
prevalga
sul
più
debole
(
come
dicevano
gli
antichi
Sofisti
e
alcuni
moderni
)
e
che
tutti
gli
uomini
debbano
comportarsi
come
fratelli
.
Se
ne
è
vista
l
'
espressione
nella
guerra
belluina
di
tutti
contro
tutti
e
nella
«
solidarietà
»
che
lega
tutti
gli
uomini
fra
loro
.
Si
è
«
dedotto
»
da
esso
l
'
assolutismo
politico
(
Hobbes
)
come
il
liberalismo
(
Locke
e
molti
moderni
)
.
Ma
a
che
può
servire
una
«
legge
unica
ed
eterna
»
che
consente
di
giustificare
le
leggi
positive
più
contrastanti
e
non
permette
di
scegliere
razionalmente
tra
esse
?
È
questo
l
'
interrogativo
che
domina
il
libro
recente
di
una
lancia
spezzata
del
neoempirismo
giuridico
,
il
danese
Alf
Ross
(
Diritto
e
giustizia
;
l
'
edizione
italiana
è
del
1965
)
.
«
Il
diritto
naturale
»
scrive
Ross
«
cerca
l
'
assoluto
,
l
'
eterno
,
ciò
che
deve
rendere
il
diritto
qualcosa
di
più
di
una
creazione
dell
'
uomo
e
che
esonera
il
legislatore
dalle
penose
responsabilità
della
decisione
...
Ma
l
'
esperienza
mostra
che
le
dottrine
costruite
dagli
uomini
su
questo
fondamento
,
ben
lungi
dall
'
essere
eterne
e
immutabili
,
sono
mutate
a
seconda
dei
tempi
,
dei
luoghi
e
delle
persone
.
La
nobile
sembianza
del
diritto
naturale
è
stata
usata
per
difendere
o
combattere
ogni
possibile
tipo
di
richieste
nascenti
da
una
specifica
situazione
di
vita
o
determinate
da
interessi
politici
ed
economici
di
classe
,
dalla
tradizione
culturale
,
dai
suoi
pregiudizi
e
dalle
sue
aspirazioni
.
»
Sotto
quelle
nobili
sembianze
si
cela
perciò
,
secondo
Ross
,
«
una
sgualdrina
che
è
a
disposizione
di
tutti
»
.
Il
risultato
di
quest
'
atteggiamento
è
la
dissociazione
totale
tra
i
concetti
di
«
diritto
»
e
di
«
giustizia
»
.
Le
parole
«
giusto
»
e
«
ingiusto
»
sono
interamente
prive
di
significato
se
riferite
,
non
ad
un
comportamento
,
ma
ad
una
norma
generale
o
ad
un
ordinamento
giuridico
.
L
'
ideologia
della
giustizia
conduce
solo
al
fanatismo
e
al
conflitto
perché
pretende
dar
valore
assoluto
a
interessi
che
si
oppongono
ad
altri
interessi
e
chiude
la
strada
alla
discussione
diretta
a
trovare
una
soluzione
razionale
dei
conflitti
.
Pertanto
dichiarare
ingiusta
una
norma
o
un
riordinamento
giuridico
non
è
un
atto
di
ragione
ma
l
'
espressione
di
una
reazione
emotiva
,
cioè
di
atteggiamenti
o
di
interessi
che
sono
in
contrasto
con
quella
norma
o
non
trovano
in
essa
una
sufficiente
difesa
.
Sembrerebbe
con
ciò
che
ogni
critica
del
diritto
vigente
,
ogni
tentativo
di
modificarlo
o
correggerlo
,
appartenesse
al
dominio
dell
'
irrazionale
e
consistesse
solo
in
una
cieca
lotta
di
interessi
.
Ma
Ross
non
spinge
sino
a
questo
punto
la
sua
coerenza
.
Egli
si
preoccupa
di
stabilire
anche
il
compito
della
«
politica
del
diritto
»
cioè
della
disciplina
di
trasformazione
del
diritto
.
La
politica
del
diritto
concerne
problemi
che
non
sono
,
o
non
sono
soltanto
,
giuridici
perché
appartengono
all
'
economia
,
alla
finanza
,
pubblica
o
privata
,
al
commercio
,
all
'
educazione
,
ai
rapporti
con
gli
Stati
esteri
,
alla
difesa
e
via
dicendo
.
Questi
problemi
devono
ovviamente
essere
trattati
o
elaborati
con
le
tecniche
specifiche
del
campo
cui
appartengono
e
in
base
a
tali
tecniche
vanno
trovate
le
soluzioni
di
essi
.
La
considerazione
giuridica
interviene
soltanto
per
prevedere
,
nei
limiti
del
possibile
,
quali
sono
le
possibilità
di
influenzare
,
nel
senso
previsto
da
quelle
soluzioni
,
le
azioni
umane
mediante
sanzioni
giuridiche
.
E
in
questo
senso
la
politica
del
diritto
è
«
sociologia
giuridica
applicata
»
o
«
tecnica
giuridica
»
.
In
tal
modo
all
'
ideale
di
una
unica
norma
di
giustizia
valida
come
criterio
o
fondamento
di
tutte
le
leggi
si
sostituisce
come
criterio
per
la
valutazione
e
la
correzione
delle
leggi
il
pluralismo
delle
tecniche
invalse
nei
vari
campi
che
sono
,
o
possono
essere
,
oggetto
di
regolamentazione
giuridica
.
Soltanto
queste
tecniche
potranno
infatti
dirci
quali
sono
i
fini
che
nei
campi
rispettivi
è
conveniente
,
o
utile
o
indispensabile
realizzare
;
mentre
la
dottrina
giuridica
ci
dirà
se
,
e
in
quale
misura
,
questa
regolamentazione
,
agendo
sui
comportamenti
,
potrà
condurre
alla
realizzazione
di
quei
fini
.
Ma
se
così
stanno
le
cose
,
può
ancora
dirsi
,
come
vuole
Ross
,
che
dichiarare
«
ingiusta
»
una
legge
significa
semplicemente
abbandonarsi
ad
una
«
reazione
emotiva
»
?
Mettendo
tra
parentesi
l
'
appello
all
'
ideale
assoluto
di
giustizia
del
vecchio
giusnaturalismo
,
affermare
che
una
legge
è
«
ingiusta
»
può
avere
proprio
il
significato
chiarito
da
Ross
,
che
essa
non
risponde
alle
tecniche
del
campo
che
dovrebbe
regolamentare
o
alla
tecnica
causale
delle
sanzioni
.
Se
per
esempio
l
'
esperienza
prova
che
la
pena
di
morte
non
è
un
deterrente
più
efficace
di
altri
,
la
sua
abolizione
diventa
«
razionale
»
perché
fra
l
'
altro
evita
le
conseguenze
fatali
di
un
possibile
errore
giudiziario
.
Norme
legislative
che
aggravano
i
conflitti
invece
di
evitarli
o
risolverli
o
che
impediscono
,
limitano
o
inceppano
attività
che
è
interesse
comune
garantire
e
sviluppare
o
che
negano
ai
cittadini
,
o
a
gruppi
di
cittadini
,
possibilità
che
sono
a
loro
stessi
o
ad
altri
utili
,
convenienti
o
indispensabili
,
possono
ben
dichiararsi
«
irrazionali
»
nel
senso
ristretto
e
specifico
di
questo
termine
.
E
se
per
razionale
s
'
intende
,
non
già
il
dettato
di
una
ragione
infallibile
,
ma
ogni
tecnica
efficace
,
convalidata
e
correggibile
,
di
un
campo
qualsiasi
,
il
vecchio
ideale
della
giustizia
trascendente
e
normativa
si
converte
in
quello
della
razionalizzazione
delle
norme
giuridiche
,
mediante
l
'
adeguazione
a
queste
tecniche
.
Un
compito
limitato
e
fallibile
quanto
si
vuole
,
ma
profondamente
umano
e
impegnativo
,
perché
consente
agli
uomini
di
guardare
con
più
fiducia
al
loro
avvenire
.
StampaQuotidiana ,
Alle
domande
:
«
Come
devo
agire
?
Quale
deve
essere
la
guida
delle
mie
azioni
?
»
,
Si
possono
dare
due
risposte
diverse
.
Si
può
dire
:
«
Agisci
secondo
la
voce
della
tua
coscienza
che
è
quella
stessa
della
ragione
o
dell
'
ordine
cosmico
o
della
volontà
divina
»
.
O
si
può
dire
:
«
Agisci
in
modo
che
la
tua
azione
tenda
ad
accrescere
la
somma
del
benessere
o
della
felicità
comune
»
.
Quest
'
ultima
è
la
risposta
data
al
problema
morale
dall
'
utilitarismo
.
Questa
dottrina
(
di
cui
si
possono
scorgere
le
prime
tracce
nei
Sofisti
e
nello
stesso
Platone
)
fu
difesa
,
oltreché
dagli
Illuministi
,
da
economisti
e
filosofi
inglesi
nella
prima
metà
dell
'
'800
ed
è
rimasta
una
delle
alternative
fondamentali
della
filosofia
morale
nel
mondo
moderno
.
Secondo
l
'
utilitarismo
,
un
'
azione
è
buona
o
cattiva
a
seconda
che
tende
ad
accrescere
o
a
diminuire
il
benessere
pubblico
.
L
'
azione
morale
dev
'
essere
la
risultanza
di
un
calcolo
:
bisogna
pesare
l
'
entità
rispettiva
del
piacere
attuale
e
del
piacere
futuro
e
mai
sacrificare
il
piacere
maggiore
al
piacere
minore
.
«
L
'
uomo
virtuoso
»
diceva
Bentham
«
accumula
per
l
'
avvenire
un
tesoro
di
felicità
;
l
'
uomo
vizioso
è
un
prodigo
che
dissipa
senza
calcolo
il
suo
reddito
di
felicità
.
»
Chi
resiste
alla
tentazione
di
un
piacere
presente
in
vista
del
danno
che
esso
procurerà
a
sé
o
agli
altri
,
si
comporta
moralmente
;
chi
soggiace
a
quella
tentazione
senza
pensare
a
ciò
che
accadrà
domani
,
si
comporta
immoralmente
.
Il
benessere
privato
coincide
con
il
benessere
pubblico
:
l
'
azione
apparentemente
disinteressata
dell
'
individuo
che
sacrifica
il
suo
piacere
al
benessere
comune
,
risponde
all
'
autentico
interesse
dell
'
individuo
ed
è
frutto
di
un
calcolo
intelligente
che
considera
entrambi
i
piatti
della
bilancia
.
Bentham
(
che
dette
la
prima
sistemazione
rigorosa
all
'
utilitarismo
)
riteneva
che
solo
per
questa
via
la
morale
può
diventare
una
scienza
esatta
e
sottrarsi
alla
saggezza
decorativa
,
alle
parole
sacramentali
,
alle
distinzioni
casistiche
e
ai
dogmi
dell
'
intolleranza
.
L
'
utilitarismo
(
egli
diceva
)
rende
di
facile
uso
la
regola
del
dovere
e
ne
fa
un
aiuto
efficace
per
il
benessere
quotidiano
degli
uomini
.
La
critica
che
Alessandro
Manzoni
rivolse
all
'
utilitarismo
nell
'
appendice
al
capitolo
terzo
della
Morale
cattolica
(
1855
)
è
rimasta
decisiva
per
la
filosofia
italiana
.
Manzoni
opponeva
all
'
utilitarismo
che
ciò
che
è
moralmente
giusto
non
si
può
confondere
con
ciò
che
è
utile
all
'
individuo
e
alla
società
,
che
l
'
azione
morale
autentica
è
ispirata
non
dall
'
interesse
,
ma
da
una
norma
che
obbliga
la
coscienza
e
che
il
concetto
stesso
di
obbligazione
non
nascerebbe
se
la
morale
fosse
fondata
sull
'
utilità
perché
seguire
l
'
interesse
non
è
un
obbligo
ma
una
tendenza
.
Manzoni
riconosceva
che
ciò
che
è
giusto
è
anche
utile
,
nel
senso
che
chi
agisce
giustamente
può
attendersi
una
ricompensa
e
chi
agisce
ingiustamente
un
castigo
;
ma
riteneva
che
questo
legame
tra
giustizia
e
utilità
non
indicasse
l
'
identità
dei
due
termini
ma
piuttosto
la
loro
distinzione
.
E
negava
che
il
criterio
dell
'
utilità
servisse
a
rendere
più
facile
la
scelta
dell
'
azione
da
compiere
.
Infatti
,
prevedere
tutti
gli
effetti
che
una
azione
determinata
avrà
nel
futuro
su
noi
stessi
e
sugli
altri
,
per
determinarne
il
grado
di
utilità
,
è
un
compito
difficile
e
quasi
impossibile
sulla
scorta
delle
indicazioni
che
l
'
esperienza
passata
può
dare
:
tanto
più
che
l
'
esperienza
può
farci
prevedere
il
corso
probabile
delle
cose
,
non
quello
certo
.
Dopo
la
critica
manzoniana
,
l
'
utilitarismo
(
che
era
stata
la
premessa
filosofica
dell
'
opera
di
Beccaria
,
Dei
delitti
e
delle
pene
)
non
ha
suscitato
in
Italia
che
un
blando
interesse
storico
ma
non
è
stato
assunto
,
neppure
da
pensatori
positivisti
,
come
punto
di
partenza
dell
'
indagine
della
vita
morale
.
Nella
filosofia
anglo
-
americana
invece
esso
è
rimasto
,
con
poche
eccezioni
,
l
'
indirizzo
dominante
,
pur
essendo
sottoposto
a
critiche
minute
,
e
continua
ad
essere
l
'
unica
alternativa
all
'
interpretazione
metafisica
o
teologica
del
mondo
morale
.
Dopo
la
guerra
,
esso
ha
assunto
una
nuova
forma
ed
è
stato
chiamato
utilitarismo
«
modificato
»
,
«
ristretto
»
,
o
«
indiretto
»
,
perché
non
si
applica
più
alle
azioni
ma
solo
alle
regole
da
cui
esse
sono
dirette
.
Secondo
il
vecchio
utilitarismo
,
un
'
azione
è
buona
o
cattiva
a
seconda
che
contribuisce
o
no
al
benessere
o
alla
felicità
comune
.
Secondo
il
nuovo
utilitarismo
,
un
'
azione
è
buona
o
cattiva
se
si
conforma
o
no
a
una
regola
;
ma
una
regola
è
buona
o
cattiva
a
seconda
che
contribuisce
o
no
al
benessere
comune
.
Secondo
il
vecchio
utilitarismo
,
il
calcolo
dei
piaceri
o
dei
dolori
che
possono
derivare
da
un
'
azione
determinata
deve
essere
fatto
da
chiunque
si
appresta
a
compiere
l
'
azione
stessa
;
secondo
il
nuovo
utilitarismo
,
questo
calcolo
dev
'
essere
fatto
solo
da
coloro
che
si
accingono
a
dare
un
giudizio
sulle
regole
della
morale
e
vogliono
saggiarne
o
determinarne
il
valore
.
Da
questo
punto
di
vista
,
mentre
la
vita
morale
consiste
(
proprio
come
crede
il
comune
buon
senso
)
nell
'
obbedienza
alle
leggi
e
non
ha
bisogno
di
appellarsi
al
criterio
utilitario
,
l
'
indagine
morale
,
al
livello
della
riflessione
filosofica
,
deve
fare
appello
a
quel
criterio
nella
valutazione
e
nella
critica
delle
norme
morali
,
delle
leggi
giuridiche
e
delle
istituzioni
sociali
.
Si
tratta
,
certamente
,
di
un
punto
di
vista
assai
più
scaltrito
che
si
sottrae
in
buona
parte
alle
critiche
cui
andava
soggetto
l
'
utilitarismo
classico
.
Rimane
da
vedere
se
esso
si
sottrae
veramente
a
tutte
le
critiche
decisive
,
cioè
se
dà
conto
di
tutti
gli
aspetti
della
vita
morale
.
E
su
questo
punto
i
pareri
sono
ancora
discordi
.
Un
libro
recente
di
David
Lyons
(
Forms
and
Limits
of
Utilitarianism
,
Oxford
,
1965
)
giunge
su
questo
punto
a
conclusioni
negative
.
L
'
utilitarismo
nuovo
,
come
il
vecchio
,
non
risolve
tutti
i
problemi
della
morale
.
Soprattutto
non
dà
conto
dei
diritti
,
dei
doveri
,
delle
obbligazioni
nel
loro
carattere
assoluto
e
incondizionato
:
in
quanto
non
ammettono
le
limitazioni
cui
la
clausola
delle
utilità
li
sottoporrebbe
.
Una
promessa
,
ad
esempio
,
è
un
impegno
che
è
giusto
sia
mantenuto
ad
ogni
costo
,
anche
se
il
suo
mantenimento
cessa
di
essere
utile
per
uno
dei
contraenti
.
Ancora
una
volta
,
il
criterio
dell
'
utilità
non
risponde
(
pare
)
a
tutte
le
esigenze
della
giustizia
ed
è
dichiarato
insufficiente
a
spiegare
la
vita
morale
.
In
un
passo
de
La
Repubblica
,
Platone
diceva
che
neppure
una
banda
di
briganti
o
di
ladri
potrebbe
mettersi
insieme
e
portare
a
termine
una
malefatta
qualsiasi
,
se
non
rispettasse
,
nel
suo
interno
,
le
regole
della
giustizia
.
Non
si
potrebbe
esprimere
meglio
il
carattere
funzionale
delle
regole
che
costituiscono
la
giustizia
o
,
in
generale
,
la
vita
morale
.
Queste
regole
tendono
a
far
sì
che
gli
uomini
,
invece
di
ammazzarsi
e
nuocersi
a
vicenda
,
possano
vivere
insieme
e
progettare
e
coordinare
le
attività
da
cui
dipende
la
loro
vita
nel
mondo
.
Tendono
altresì
a
eliminare
i
conflitti
o
a
diminuirli
o
a
stabilire
criteri
per
la
loro
soluzione
pacifica
;
nonché
a
favorire
e
dirigere
certe
trasformazioni
dei
moduli
cui
si
conforma
la
vita
associata
o
a
escluderne
altre
.
Si
può
discutere
all
'
infinito
sul
fondamento
trascendente
o
immanente
delle
regole
morali
,
sulle
vie
in
cui
sono
manifestate
o
rivelate
all
'
uomo
,
sulla
loro
assolutezza
o
relatività
e
via
dicendo
.
Ma
sul
fatto
fondamentale
della
funzione
che
esse
assolvono
o
debbono
assolvere
nella
vita
associata
,
cioè
di
rendere
possibile
questa
vita
e
di
non
votarla
alla
distruzione
(
che
sarebbe
la
distruzione
degli
stessi
individui
che
la
compongono
)
,
si
trovano
d
'
accordo
i
più
disparati
sistemi
di
etica
.
Ora
proprio
su
questa
funzione
delle
regole
morali
ha
fatto
leva
l
'
utilitarismo
antico
e
moderno
e
fanno
leva
soprattutto
le
nuove
forme
di
utilitarismo
indiretto
.
Forse
il
termine
stesso
di
«
utilità
»
(
e
quindi
anche
di
«
utilitarismo
»
)
è
troppo
ristretto
per
indicare
la
molteplicità
delle
funzioni
che
le
norme
morali
devono
assolvere
nel
contesto
sociale
,
perché
sembra
riferirsi
all
'
interesse
ristretto
dell
'
individuo
che
va
in
cerca
del
suo
utile
particolare
.
E
certo
avevano
ragione
i
critici
del
vecchio
utilitarismo
(
Manzoni
compreso
)
di
dubitare
che
l
'
utile
individuale
coincidesse
sempre
con
l
'
utile
comune
.
Ma
il
concetto
di
funzionalità
delle
regole
morali
(
come
di
quelle
giuridiche
)
non
soggiace
a
queste
critiche
,
perché
si
situa
a
un
livello
più
alto
di
generalizzazione
e
non
concerne
più
l
'
utile
privato
come
tale
.
Il
criterio
della
funzionalità
è
presente
,
almeno
implicitamente
,
a
tutte
le
critiche
ben
fondate
che
oggi
si
rivolgono
a
istituzioni
,
ordinamenti
giuridici
o
costumi
o
atteggiamenti
ricorrenti
:
in
quanto
mostrano
che
istituzioni
,
ordinamenti
,
atteggiamenti
non
assolvono
più
la
loro
funzione
o
mirano
a
realizzare
scopi
che
sono
estranei
al
funzionamento
di
certi
aspetti
della
società
moderna
.
E
se
si
considera
la
varietà
e
la
disparità
delle
credenze
,
dei
costumi
,
delle
istituzioni
dei
popoli
che
ormai
vivono
a
contatto
di
gomito
in
un
mondo
divenuto
troppo
stretto
,
e
tra
i
quali
c
'
è
una
ferrea
solidarietà
di
fatto
che
ha
preceduto
di
gran
lunga
la
buona
volontà
della
comprensione
reciproca
,
si
vede
subito
come
la
considerazione
funzionalistica
della
morale
,
indipendente
com
'
è
,
per
sua
natura
,
dai
conflitti
ideologici
,
è
la
sola
capace
di
preparare
la
condizione
per
una
effettiva
coesistenza
pacifica
.
StampaQuotidiana ,
Nel
Candide
di
Voltaire
,
il
protagonista
,
sottoposto
dalla
sorte
ad
ogni
specie
di
immeritate
e
dolorose
vicende
,
si
consola
asserendo
,
in
accordo
con
gli
insegnamenti
del
suo
maestro
Pangloss
,
che
«
tutto
va
per
il
meglio
nel
miglior
dei
mondi
possibili
»
.
Pochi
di
noi
sarebbero
oggi
disposti
a
ripetere
l
'
insegnamento
di
Pangloss
o
a
consolarsi
come
Candido
.
L
'
esperienza
di
due
guerre
mondiali
particolarmente
feroci
,
con
il
loro
accompagnamento
di
orrori
,
di
distruzioni
e
di
crudeltà
inaudite
;
quella
,
altrettanto
decisiva
,
del
carattere
ostile
e
maligno
delle
forze
naturali
che
,
per
quanto
imbrigliate
e
dominate
dalla
tecnica
scientifica
,
non
mancano
ad
ogni
occasione
di
rifarsi
a
danno
della
vita
e
dei
beni
degli
uomini
;
l
'
eco
dei
disastri
che
colpiscono
ora
questa
ora
quella
popolazione
del
globo
,
senza
eccettuarne
nessuna
;
e
il
timore
o
la
previsione
di
disastri
e
difficoltà
ancora
maggiori
cui
il
genere
umano
può
andare
incontro
nel
prossimo
o
lontano
futuro
,
sono
tutti
elementi
che
distolgono
le
persone
pensose
dall
'
ottimismo
di
Candido
.
La
stessa
facilità
e
rapidità
delle
comunicazioni
e
la
solidarietà
di
fatto
che
si
è
creata
fra
tutto
il
genere
umano
e
per
la
quale
niente
che
accada
a
una
parte
di
esso
è
privo
di
conseguenze
per
le
altre
parti
,
rendono
immediatamente
presente
anche
all
'
uomo
più
fortunato
i
dolori
o
le
minacce
che
incombono
su
altri
suoi
simili
e
gli
rendono
difficile
creder
di
vivere
nel
migliore
dei
mondi
.
Tuttavia
,
l
'
atteggiamento
suggerito
dall
'
ottimismo
tende
a
conservarsi
per
inerzia
anche
quando
la
credenza
nell
'
ottimismo
è
stata
ripudiata
.
Ci
sono
atteggiamenti
ricorrenti
,
ai
quali
ciascuno
di
noi
si
abbandona
frequentemente
nel
corso
della
vita
,
che
sarebbero
giustificabili
solo
sulla
base
della
dottrina
di
Pangloss
.
Che
il
mondo
vada
avanti
da
sé
,
anche
se
io
non
mi
preoccupo
,
nei
limiti
delle
mie
possibilità
,
di
farlo
andare
avanti
;
che
le
cose
alla
fine
si
accomodino
e
che
il
buon
senso
e
la
giustizia
prevalgano
in
ogni
caso
;
che
tutti
i
mali
che
capitano
agli
uomini
siano
portatori
o
forieri
di
altrettanti
beni
,
sono
forme
di
consolazione
o
di
evasione
cui
ognuno
è
tentato
di
ricorrere
in
determinate
circostanze
;
e
soprattutto
quando
l
'
egoismo
,
la
sfiducia
o
la
pigrizia
vanno
in
cerca
di
una
giustificazione
.
Sembra
che
,
in
questi
casi
,
una
dottrina
opposta
a
quella
di
Pangloss
,
cioè
il
pessimismo
,
sia
una
medicina
salutare
.
Sembra
,
cioè
,
che
l
'
uomo
sia
meglio
stimolato
all
'
azione
e
a
una
condotta
razionale
delle
proprie
faccende
dalla
credenza
che
il
mondo
non
va
da
sé
ma
ha
bisogno
,
per
andare
avanti
,
del
contributo
di
tutti
e
che
le
cose
volgono
al
peggio
se
nessuno
fa
nulla
per
migliorarle
.
Filosoficamente
parlando
,
l
'
ottimismo
si
fonda
sulla
dottrina
che
il
mondo
è
stato
fatto
per
gli
uomini
,
cioè
per
rendere
possibile
la
loro
vita
e
la
loro
felicità
e
che
la
storia
è
indirizzata
,
dall
'
ordine
stesso
del
mondo
,
verso
il
progresso
del
genere
umano
.
Il
finalismo
della
natura
e
il
progresso
della
storia
sono
le
due
espressioni
dell
'
ottimismo
filosofico
.
Le
grandi
sintesi
speculative
dell
'
'800
,
dall
'
idealismo
al
positivismo
,
hanno
dato
una
base
diversa
a
questi
due
pilastri
,
ma
si
sono
accordate
nel
tenerli
in
piedi
.
L
'
idealismo
fondò
questi
pilastri
sulla
presenza
,
nel
mondo
,
di
una
Ragione
onnipotente
che
indirizza
il
divenire
del
mondo
verso
le
istituzioni
e
le
attività
umane
di
natura
più
alta
e
spirituale
(
lo
Stato
,
l
'
arte
,
la
religione
e
la
filosofia
)
.
Il
positivismo
ritenne
che
al
divenire
del
mondo
presiedesse
un
meccanismo
infallibile
,
destinato
a
garantire
la
conservazione
del
genere
umano
e
il
suo
progresso
continuo
.
Nell
'
uno
e
nell
'
altro
caso
,
l
'
uomo
appariva
come
il
fine
ultimo
dell
'
intera
vita
cosmica
e
le
attività
specificamente
umane
,
cioè
quelle
spirituali
,
apparivano
radicate
nella
sostanza
del
mondo
e
garantite
da
essa
nella
loro
conservazione
e
nel
loro
sviluppo
.
È
ovvio
che
da
questo
punto
di
vista
c
'
è
poco
da
temere
per
le
sorti
dell
'
uomo
nel
mondo
.
Il
corso
degli
eventi
,
anche
se
apparentemente
disordinato
o
sfavorevole
,
provvede
,
a
lungo
andare
,
alla
correzione
del
disordine
e
alla
restaurazione
dei
valori
,
nonostante
la
cattiva
o
deficiente
volontà
degli
uomini
,
che
può
anche
essere
,
a
volte
,
uno
strumento
di
quella
correzione
.
Dall
'
altro
lato
,
quando
Schopenhauer
,
nella
sua
polemica
contro
l
'
idealismo
,
ne
volle
battere
in
breccia
l
'
ottimismo
,
ne
capovolse
proprio
i
presupposti
metafisici
.
Il
mondo
non
è
l
'
espressione
di
una
Ragione
onnipotente
ma
di
una
Volontà
irrazionale
e
cieca
,
internamente
dilaniata
da
conflitti
insanabili
,
che
mette
gli
esseri
viventi
gli
uni
contro
gli
altri
e
non
garantisce
a
nessuno
di
essi
la
felicità
e
il
progresso
.
Da
questo
punto
di
vista
,
la
vita
è
un
desiderare
continuo
senza
meta
e
senza
riposo
;
è
bisogno
o
mancanza
,
cioè
dolore
,
e
l
'
infelicità
è
la
condizione
insuperabile
dell
'
uomo
nel
mondo
.
Schopenhauer
additava
l
'
unica
salvezza
possibile
nella
negazione
della
volontà
di
vivere
(
il
nirvana
buddistico
)
cioè
nell
'
ascesi
che
fa
tacere
gradualmente
tutti
i
bisogni
e
annulla
la
vita
alla
sua
radice
.
Se
questo
fosse
tutto
quanto
il
pessimismo
può
dirci
,
l
'
atteggiamento
che
ne
deriva
per
l
'
uomo
non
sarebbe
diverso
da
quello
dell
'
ottimismo
.
Per
ciò
che
riguarda
la
sua
vita
nel
mondo
,
l
'
uomo
non
può
far
nulla
.
Se
c
'
è
una
forza
benigna
o
maligna
,
che
regge
le
sorti
del
mondo
e
cui
l
'
uomo
stesso
è
soggetto
,
la
parte
dell
'
uomo
si
riduce
a
zero
.
La
ragion
pigra
è
la
conseguenza
di
ogni
impostazione
filosofica
di
questo
genere
:
una
volta
decisa
qual
è
la
natura
del
mondo
,
le
situazioni
in
cui
l
'
uomo
viene
a
trovarsi
perdono
ogni
importanza
perché
si
sa
già
in
anticipo
che
si
risolveranno
in
quell
'
unico
modo
.
L
'
uomo
può
assumere
la
figura
di
un
attore
più
o
meno
importante
,
nella
storia
del
mondo
,
solo
se
le
sorti
di
questa
storia
non
sono
decise
in
anticipo
.
In
realtà
,
circa
la
natura
del
mondo
nel
suo
complesso
,
gli
uomini
non
sanno
nulla
.
Pessimismo
e
ottimismo
sono
ipotesi
molto
azzardate
che
i
filosofi
formulano
generalizzando
certe
situazioni
,
in
cui
l
'
uomo
viene
frequentemente
a
trovarsi
.
In
alcune
di
queste
situazioni
,
l
'
uomo
riesce
ad
avere
la
meglio
,
in
altre
soccombe
.
Questo
è
tutto
ciò
che
sappiamo
.
Generalizzare
su
questa
base
,
decidere
una
volta
per
tutte
che
la
natura
del
mondo
è
questa
o
quella
,
è
un
inutile
azzardo
che
ha
l
'
unico
risultato
di
fare
dell
'
uomo
un
pigro
spettatore
di
eventi
.
Ciò
che
l
'
uomo
può
fare
di
utile
e
di
positivo
è
di
rendersi
conto
,
con
analisi
precise
,
delle
situazioni
che
più
frequentemente
gli
si
offrono
e
di
darsi
alla
ricerca
dei
mezzi
che
possono
permettergli
di
superarle
con
successo
.
Questo
gli
impedirà
di
abbandonarsi
troppo
fiduciosamente
al
corso
delle
cose
o
di
rinunziare
in
partenza
a
ogni
tentativo
di
modificarlo
.
Lo
renderà
vigilante
e
attivo
,
seppure
alieno
dall
'
illusione
che
ogni
sua
impresa
sarà
coronata
dal
successo
.
Gli
darà
una
misurata
fiducia
nelle
sue
forze
,
facendogli
apparire
indegna
di
lui
la
rinuncia
o
la
disperazione
passiva
.
Lo
aiuterà
a
progettare
le
varie
forme
della
sua
attività
ma
gli
darà
anche
il
senso
del
limite
dei
suoi
progetti
,
delle
condizioni
cui
debbono
soddisfare
e
che
possono
determinarne
la
sorte
.
A
conti
fatti
,
si
tratterà
pur
sempre
di
un
pessimismo
ma
di
un
pessimismo
,
per
così
dire
,
di
metodo
,
non
di
dottrina
.
Noi
non
sappiamo
se
l
'
uomo
riuscirà
a
sottrarre
se
stesso
alla
fame
,
alla
distruzione
,
alla
degenerazione
,
agli
innumerevoli
flagelli
che
lo
minacciano
.
Sappiamo
che
dobbiamo
provarci
.
Sappiamo
anche
che
molto
dipenderà
dalla
coordinazione
e
dalla
tenacia
dei
nostri
sforzi
e
molto
,
ancora
,
dalla
conoscenza
spregiudicata
delle
condizioni
in
cui
questi
sforzi
si
effettueranno
e
delle
reazioni
che
susciteranno
.
E
a
questo
fine
,
l
'
uomo
dovrà
meglio
conoscere
se
stesso
e
le
sue
capacità
,
oltre
che
le
energie
che
la
natura
gli
può
offrire
.
Più
che
di
miti
,
di
apocalissi
,
di
diagnosi
totalitarie
,
l
'
uomo
ha
bisogno
,
in
ogni
campo
,
e
in
primo
luogo
nella
filosofia
,
di
conoscenze
e
di
norme
che
reggano
alla
prova
dei
fatti
e
che
siano
adatte
a
correggere
i
fatti
stessi
.
Un
pessimismo
di
questo
genere
non
s
'
arrende
di
fronte
ai
fatti
,
non
dà
sempre
ragione
ai
fatti
,
ma
non
cessa
di
tenerne
conto
.
E
può
consentire
a
ciascun
uomo
di
aiutare
meglio
se
stesso
e
di
tendere
con
più
efficacia
la
mano
al
suo
prossimo
.
StampaQuotidiana ,
«
Il
cuore
ha
ragioni
che
la
ragione
non
conosce
»
,
aveva
detto
Pascal
,
che
attribuiva
al
cuore
,
tra
gli
altri
compiti
,
quello
di
regolare
i
rapporti
degli
uomini
fra
loro
e
con
Dio
.
A
questo
muscolo
già
tanto
affaticato
dalle
sue
funzioni
fisiologiche
,
si
continua
a
far
ricorso
per
la
correzione
dei
mali
e
degli
errori
che
si
riscontrano
nella
vita
pubblica
e
privata
dell
'
uomo
,
come
a
un
giudice
supremo
della
verità
,
del
bene
e
della
giustizia
.
È
un
luogo
comune
che
non
basta
conoscere
il
modo
in
cui
il
lavoro
va
fatto
:
occorre
anche
«
prendersi
a
cuore
»
il
lavoro
,
per
farlo
bene
.
L
anche
un
luogo
comune
che
ogni
regola
,
legge
o
norma
deve
essere
rafforzata
o
integrata
dall
'
impulso
del
cuore
;
che
solo
il
cuore
può
correggere
l
'
egoismo
con
l
'
altruismo
,
la
grettezza
con
la
generosità
,
la
fredda
e
impersonale
giustizia
con
l
'
umana
comprensione
.
Gli
appelli
al
cuore
si
moltiplicano
in
tutti
i
campi
(
anche
nella
politica
)
in
cui
le
cose
non
vanno
come
dovrebbero
o
in
cui
la
condotta
dell
'
uomo
è
disordinata
,
meschina
o
incoerente
.
Sembra
che
,
lasciandosi
guidare
dal
cuore
,
l
'
uomo
possa
trovare
,
oltre
che
la
sua
felicità
,
anche
quella
dei
suoi
simili
e
in
generale
l
'
armonia
di
tutto
il
genere
umano
.
A
questo
sovraccarico
morale
del
cuore
hanno
contribuito
,
esplicitamente
o
implicitamente
,
dottrine
disparate
.
Rousseau
voleva
che
l
'
uomo
si
lasciasse
guidare
dalla
«
voce
interiore
del
cuore
»
in
tutte
le
sue
faccende
.
La
rivolta
romantica
dell
'
individuo
contro
la
società
e
le
sue
leggi
fu
condotta
nel
nome
del
cuore
;
Hegel
stesso
,
che
si
opponeva
a
questa
rivolta
,
vedeva
nel
cuore
ciò
che
rende
immediata
e
vivente
la
forza
della
ragione
.
Molte
filosofie
dell
'
'800
imponevano
alla
filosofia
il
compito
di
rispondere
ai
«
bisogni
del
cuore
»
oltre
che
alle
esigenze
della
ragione
.
Bergson
contrapponeva
alla
morale
dell
'
obbligazione
e
della
legge
,
propria
delle
società
chiuse
,
la
morale
dell
'
amore
o
dello
slancio
mistico
propria
delle
società
aperte
.
E
molti
positivisti
e
analisti
contemporanei
,
considerando
irriducibile
il
linguaggio
della
morale
a
quello
della
scienza
,
vedono
nella
morale
un
insieme
di
«
atteggiamenti
emotivi
»
cioè
di
desideri
o
di
tendenze
prive
di
giustificazione
razionale
,
il
cui
organo
specifico
è
ciò
che
tradizionalmente
si
chiama
«
cuore
»
.
In
generale
,
ogni
volta
che
della
ragione
si
fa
un
organo
a
sé
,
inserito
nella
struttura
dell
'
uomo
ma
indipendente
da
essa
,
si
tende
a
contrapporre
alla
ragione
un
altro
organo
destinato
a
correggere
l
'
astrattezza
,
l
'
impersonalità
,
la
«
freddezza
»
dei
procedimenti
razionali
o
a
rendere
immediati
e
vivi
questi
procedimenti
.
Ma
che
cosa
sia
il
cuore
,
è
domanda
che
difficilmente
trova
risposta
.
Certo
,
esso
si
identifica
solitamente
con
la
sfera
dei
sentimenti
o
delle
emozioni
;
ma
né
agli
elementi
di
questa
sfera
,
né
alla
sua
totalità
possono
essere
attribuite
le
funzioni
di
giudice
infallibile
che
si
ritengono
proprie
del
cuore
.
La
sfera
delle
emozioni
è
stata
estesamente
analizzata
sia
dalla
psicologia
sia
dalla
filosofia
.
Nessuno
,
oggi
,
ne
sottovaluta
l
'
importanza
.
Ma
le
emozioni
spirano
dove
vogliono
e
non
si
può
sempre
far
conto
sulla
loro
utilità
,
bontà
ed
efficacia
nel
dirigere
le
azioni
dell
'
uomo
.
Ci
sono
emozioni
buone
e
cattive
,
emozioni
che
stimolano
all
'
azione
e
altre
che
paralizzano
l
'
azione
stessa
.
Tra
le
emozioni
,
ci
sono
la
paura
,
l
'
odio
,
il
risentimento
,
l
'
angoscia
,
come
c
'
è
l
'
amore
e
lo
slancio
altruistico
.
Ma
anche
un
amore
cieco
e
indiscriminato
può
fare
più
male
che
bene
e
il
sentimento
più
nobile
può
capovolgersi
nel
suo
contrario
,
se
non
è
sorretto
da
una
disciplina
lungimirante
.
In
tutta
questa
schiera
variopinta
,
non
c
'
è
nulla
che
somigli
a
una
guida
infallibile
,
a
un
organo
naturale
capace
di
far
sentire
la
sua
voce
nell
'
interno
dell
'
uomo
e
di
esprimere
un
giudizio
sicuro
su
ciò
che
egli
deve
credere
e
fare
.
Sicché
,
per
quanto
la
sfera
del
cuore
sia
generalmente
identificata
con
quella
del
sentimento
,
la
più
elementare
analisi
di
quest
'
ultima
esclude
che
essa
possa
svolgere
da
sola
la
funzione
miracolosa
che
si
attende
dal
cuore
.
Dall
'
altro
lato
nessuno
ha
mai
conferito
al
cuore
il
carattere
o
la
dignità
di
una
facoltà
specifica
,
diversa
dal
sentimento
e
dalla
ragione
.
L
'
esistenza
di
facoltà
come
principi
sostanziali
diversi
e
autonomi
delle
attività
umane
,
è
stata
da
un
pezzo
revocata
in
dubbio
.
«
Ragione
»
,
«
sentimento
»
,
«
volontà
»
,
non
sono
facoltà
ma
schemi
classificatori
,
utili
per
raggruppare
le
attività
umane
in
base
a
certi
loro
caratteri
dominanti
.
Il
cuore
non
è
dunque
una
facoltà
;
che
cosa
è
allora
?
È
semplicemente
un
mito
del
senso
comune
e
della
filosofia
;
o
,
se
si
vuole
,
il
simbolo
idealizzato
di
certi
atteggiamenti
che
si
ritengono
utili
o
necessari
alla
vita
dell
'
uomo
o
,
comunque
,
si
vogliono
raccomandare
o
rafforzare
.
L
'
invito
a
sentire
la
voce
del
cuore
o
a
seguirne
le
ragioni
significa
in
realtà
l
'
invito
ad
assumere
atteggiamenti
determinati
,
da
cui
attendiamo
effetti
benefici
per
noi
stessi
e
per
gli
altri
.
«
Prendersi
a
cuore
il
proprio
lavoro
»
significa
interessarsi
ad
esso
,
non
lasciarsi
andare
alla
routine
,
eseguirlo
con
la
presenza
vigile
dell
'
attenzione
.
Essere
altruisti
,
generosi
o
comprensivi
significa
rinunziare
a
certi
vantaggi
minuti
o
a
breve
scadenza
,
ma
in
compenso
procurarsi
la
possibilità
di
vivere
in
pace
con
se
stessi
e
con
gli
altri
.
Sono
tutte
cose
indispensabili
;
ma
,
diciamolo
pure
,
il
cuore
non
c
'
entra
per
nulla
.
Ciò
che
dà
valore
a
un
atteggiamento
e
consente
di
giudicarlo
è
la
regola
a
cui
esso
obbedisce
.
L
'
attività
umana
,
in
qualsiasi
campo
si
svolga
,
è
guidata
da
regole
e
il
giudizio
che
si
dà
su
di
essa
,
quando
si
dice
che
è
buona
o
cattiva
,
utile
o
dannosa
,
ecc
.
,
suppone
sempre
la
validità
di
una
regola
.
Perfino
un
gusto
artistico
determinato
(
per
esempio
il
gusto
classico
o
quello
romantico
o
impressionistico
,
ecc
.
)
è
un
insieme
di
regole
che
guidano
l
'
attività
degli
artisti
e
il
giudizio
su
di
essa
.
Negli
ultimi
decenni
abbiamo
visto
formarsi
o
determinarsi
,
sotto
i
nostri
occhi
,
codici
di
regole
che
non
esistevano
in
passato
;
per
esempio
,
quelle
del
traffico
.
La
consuetudine
prima
,
la
sanzione
giuridica
dopo
,
intervengono
a
disciplinare
,
con
regole
,
qualsiasi
forma
di
attività
che
coinvolge
un
certo
numero
di
persone
e
queste
regole
diventano
tanto
più
importanti
quanto
più
vitale
è
l
'
interesse
che
quell
'
attività
ha
per
gli
uomini
in
generale
.
Poiché
gli
uomini
sono
sempre
vissuti
insieme
,
certe
regole
fondamentali
che
rendono
possibile
la
loro
convivenza
sono
state
accettate
e
seguite
da
tutti
i
gruppi
umani
e
costituiscono
il
codice
morale
fondamentale
,
quello
che
garantisce
la
sopravvivenza
di
ogni
raggruppamento
umano
.
Ma
queste
regole
assumono
forme
diverse
nei
diversi
gruppi
e
nelle
diverse
civiltà
.
Certo
,
se
tutti
gli
uomini
fossero
guidati
dal
«
cuore
»
,
quest
'
organo
(
come
il
corrispondente
organo
fisiologico
)
dovrebbe
funzionare
identicamente
in
tutti
gli
uomini
.
Ma
è
facile
constatare
che
non
è
così
.
Ancora
oggi
siamo
colpiti
(
e
scandalizzati
)
dall
'
assenza
in
certe
civiltà
,
che
tuttavia
non
possono
chiamarsi
«
primitive
»
,
di
atteggiamenti
che
siamo
portati
a
ritenere
propri
di
tutto
il
genere
umano
:
per
esempio
,
della
pietà
.
La
regola
di
partecipare
in
qualche
modo
alle
sofferenze
altrui
e
dell
'
obbligo
di
alleviarle
non
esiste
affatto
in
estese
porzioni
dell
'
umanità
vivente
.
Il
«
cuore
»
,
a
queste
porzioni
,
non
suggerisce
nulla
.
In
realtà
ciò
che
può
rafforzare
l
'
azione
di
certe
regole
e
il
rispetto
di
esse
da
parte
di
un
numero
crescente
di
persone
è
soltanto
la
convinzione
ragionevole
del
loro
effettivo
valore
,
della
loro
funzionalità
ai
fini
della
sopravvivenza
dei
singoli
e
delle
comunità
,
del
loro
sviluppo
e
del
loro
benessere
.
Non
è
possibile
,
in
un
'
epoca
di
critica
come
la
nostra
,
in
un
'
epoca
in
cui
anche
il
lavoro
più
semplice
tende
a
evolversi
in
un
'
attività
che
richiede
l
'
intelligente
vigilanza
dell
'
individuo
,
affidare
la
validità
delle
regole
morali
a
un
organo
supposto
,
misterioso
e
incomprensibile
.
La
vita
morale
del
genere
umano
offre
oggi
molti
e
gravi
problemi
;
ma
uno
dei
modi
di
eluderli
è
quello
di
lasciarli
affogare
nel
giulebbe
del
cuore
.
StampaQuotidiana ,
Episodi
recenti
e
situazioni
in
corso
nella
società
contemporanea
italiana
conferiscono
attualità
al
problema
dei
rapporti
tra
diritto
e
morale
.
Sembra
a
prima
vista
che
non
solo
nell
'
interpretazione
di
molte
norme
giuridiche
ma
nella
stessa
formulazione
delle
norme
,
nelle
proposte
di
modifiche
o
correzioni
dell
'
ordinamento
giuridico
vigente
,
la
questione
decisiva
sia
spesso
di
natura
morale
.
Il
diritto
,
ad
esempio
,
considera
come
reati
le
pubblicazioni
«
oscene
»
;
ma
che
cosa
si
deve
intendere
per
oscenità
?
Va
considerata
senz
'
altro
oscena
ogni
pubblicazione
che
comunque
discuta
problemi
sessuali
o
che
presenti
o
descriva
situazioni
,
esigenze
,
conflitti
che
si
riferiscono
alla
sfera
sessuale
?
Sembra
che
la
risposta
a
questa
domanda
non
possa
esser
data
se
non
da
quella
che
comunemente
si
chiama
«
coscienza
morale
»
.
La
legislazione
italiana
non
consente
al
cittadino
il
divorzio
,
mentre
altre
legislazioni
lo
ammettono
.
È
un
bene
o
un
male
che
sia
così
?
Anche
qui
la
questione
si
sposta
immediatamente
sul
piano
morale
:
se
il
divorzio
è
«
immorale
»
,
la
legislazione
farà
bene
(
sembra
)
a
non
concederne
la
possibilità
ai
cittadini
.
Altre
volte
il
rapporto
tra
diritto
e
morale
è
più
sottile
,
ma
egualmente
evidente
.
L
'
adulterio
è
certamente
«
immorale
»
,
ma
è
dubbio
se
possa
essere
considerato
un
«
reato
»
:
un
chiarimento
della
questione
può
ottenersi
soltanto
attraverso
una
delimitazione
rispettiva
delle
sfere
della
morale
e
del
diritto
.
In
tutti
questi
casi
,
come
in
altri
che
si
potrebbero
addurre
,
il
rapporto
tra
morale
e
diritto
sembra
un
dato
di
fatto
indiscutibile
:
il
passaggio
da
una
sfera
all
'
altra
è
suggerito
dalle
questioni
concrete
che
insorgono
in
una
delle
due
sfere
.
Ma
le
cose
si
complicano
quando
da
tali
questioni
si
passa
alla
teoria
generale
del
diritto
e
all
'
etica
.
A
questo
secondo
livello
si
può
incontrare
e
si
incontra
spesso
la
posizione
che
è
in
netto
contrasto
con
quella
che
sembra
suggerita
dai
casi
accennati
:
la
negazione
di
ogni
rapporto
tra
morale
e
diritto
.
L
'
ultimo
libro
di
Hans
Kelsen
,
La
dottrina
pura
del
diritto
(
1960
)
,
la
cui
recente
edizione
italiana
beneficia
dell
'
ottima
traduzione
di
M.G.
Losano
,
offre
il
vantaggio
di
presentare
questa
tesi
negativa
nel
suo
estremo
rigore
.
Diritto
e
morale
differiscono
,
secondo
Kelsen
,
nel
modo
in
cui
prescrivono
o
vietano
un
certo
comportamento
umano
.
Il
diritto
è
un
ordinamento
coercitivo
,
che
tende
a
determinare
un
certo
comportamento
umano
collegando
al
comportamento
opposto
un
atto
coercitivo
dell
'
organizzazione
sociale
;
la
morale
invece
è
un
ordinamento
privo
di
valore
coercitivo
,
le
cui
sanzioni
consistono
soltanto
nell
'
approvazione
o
nella
disapprovazione
dei
comportamenti
a
seconda
che
siano
conformi
o
contrari
alla
norma
.
Ma
il
diritto
,
secondo
Kelsen
,
non
si
fonda
in
alcun
modo
sulla
morale
.
Potrebbe
fondarsi
sulla
morale
soltanto
se
esistesse
una
morale
assoluta
,
un
sistema
unico
di
valori
,
che
permettesse
di
affermare
che
ciò
che
è
bene
è
sempre
bene
in
tutte
le
circostanze
e
ciò
che
è
male
è
sempre
male
.
Ma
questa
morale
assoluta
non
c
'
è
,
secondo
Kelsen
.
Non
esiste
una
esigenza
comune
a
tutti
i
sistemi
morali
.
L
'
ideale
della
pace
o
della
non
-
violenza
,
che
sembra
il
più
universale
,
è
stato
spesso
contraddetto
.
L
'
antico
Eraclito
affermava
che
la
guerra
è
la
legge
suprema
di
tutte
le
cose
e
il
liberalismo
moderno
ha
esaltato
la
competizione
,
la
concorrenza
,
il
conflitto
come
strumento
di
progresso
.
Perché
allora
un
ordinamento
giuridico
dovrebbe
essere
più
conforme
a
un
sistema
morale
anziché
a
un
altro
?
Coloro
che
giustificano
il
diritto
ricorrendo
alla
morale
,
vogliono
solo
mostrare
che
un
certo
sistema
di
diritto
positivo
è
l
'
unico
possibile
e
che
ogni
tentativo
di
mutarlo
è
illegittimo
.
Questa
presunta
legittimazione
del
diritto
positivo
può
essere
uno
strumento
politico
efficace
,
ma
non
ha
base
scientifica
.
«
La
scienza
del
diritto
»
dice
Kelsen
«
non
ha
il
compito
di
legittimare
il
diritto
né
di
giustificare
mediante
una
morale
assoluta
o
relativa
l
'
ordinamento
giuridico
ma
deve
solo
curare
la
conoscenza
e
la
.
descrizione
del
diritto
»
.
Senza
dubbio
,
queste
vedute
di
Kelsen
obbediscono
a
un
indirizzo
assai
diffuso
nel
mondo
della
cultura
moderna
,
indirizzo
che
tende
a
svincolare
le
discipline
scientifiche
da
ogni
impegno
politico
,
religioso
o
genericamente
ideologico
per
renderle
adatte
a
comprendere
tutti
i
molteplici
aspetti
della
realtà
cui
si
riferiscono
.
Una
teoria
del
diritto
,
ad
esempio
,
non
può
limitarsi
a
giustificare
un
determinato
ordinamento
giuridico
:
dev
'
essere
in
grado
di
comprendere
la
natura
e
il
funzionamento
di
qualsiasi
ordinamento
,
perciò
dev
'
essere
scevra
di
presupposti
ideologici
e
in
tal
senso
«
pura
»
,
cioè
neutrale
.
Non
si
può
dubitare
della
validità
di
una
tale
esigenza
cui
cercano
di
rispondere
del
loro
meglio
tutte
le
scienze
umane
,
dopo
che
essa
si
è
affermata
vittoriosamente
e
con
risultati
eccellenti
nelle
scienze
naturali
.
Tuttavia
si
può
dubitare
che
la
conoscenza
e
la
descrizione
del
diritto
non
includa
una
qualche
determinazione
del
modo
in
cui
un
complesso
di
norme
giuridiche
possa
essere
stabilito
,
conservato
,
difeso
,
corretto
e
interpretato
.
Le
norme
giuridiche
intervengono
,
direttamente
e
indirettamente
,
negli
Stati
moderni
,
a
disciplinare
le
più
diverse
attività
umane
:
il
lavoro
,
la
produzione
e
lo
scambio
dei
beni
,
l
'
istruzione
,
le
professioni
e
la
condotta
morale
.
Ciò
che
in
tutti
questi
campi
il
diritto
prescrive
non
è
scelto
a
caso
,
ma
sul
fondamento
delle
conoscenze
tecniche
di
cui
si
dispone
in
ciascuno
di
questi
campi
.
L
'
economia
,
l
'
ingegneria
,
la
medicina
come
la
morale
e
in
generale
l
'
intero
corpus
del
sapere
,
forniscono
il
contenuto
e
determinano
i
limiti
delle
scelte
del
legislatore
.
Indubbiamente
,
una
volta
effettuata
questa
scelta
,
la
norma
positiva
così
introdotta
diventa
valida
indipendentemente
dalle
esigenze
che
l
'
hanno
suggerita
,
in
virtù
del
suo
potere
coercitivo
.
E
in
questo
senso
la
forma
della
norma
giuridica
è
indipendente
dal
suo
contenuto
e
può
essere
considerata
a
parte
.
Ma
ciò
non
toglie
che
ogni
volta
che
una
norma
appaia
antiquata
rispetto
allo
sviluppo
delle
conoscenze
tecniche
o
inoperante
rispetto
ai
fini
che
si
propone
o
diretta
a
fini
che
non
possono
essere
realizzati
per
suo
mezzo
,
nasce
l
'
esigenza
oggettiva
della
sua
modifica
o
della
sua
abolizione
.
Perciò
il
compito
legislativo
non
è
mai
finito
né
concluso
;
e
a
questo
compito
,
che
è
fondamentale
degli
Stati
moderni
,
la
teoria
pura
del
diritto
di
Kelsen
non
dà
alcun
aiuto
.
Esiste
poi
un
limite
intrinseco
del
diritto
che
risulta
dalla
natura
coercitiva
del
diritto
stesso
.
Una
tecnica
che
agisce
mediante
sanzioni
di
natura
fisica
può
garantire
,
nella
maggior
parte
dei
casi
,
certi
comportamenti
ma
non
certi
altri
.
Può
garantire
l
'
assistenza
familiare
e
la
coabitazione
,
ma
non
l
'
affetto
e
l
'
unità
della
famiglia
.
Può
impedire
certe
espressioni
artistiche
,
letterarie
e
scientifiche
,
ma
non
può
far
sì
che
siano
feconde
e
riuscite
quelle
permesse
.
Può
produrre
il
conformismo
degli
atti
e
delle
parole
,
non
la
convinzione
ragionevole
.
Può
impedire
iniziative
e
scoperte
,
ma
non
può
produrne
.
Si
può
certo
escludere
che
una
qualsiasi
organizzazione
giuridica
sia
suscettibile
di
una
giustificazione
assoluta
di
natura
morale
o
di
altra
natura
.
Ma
ogni
complesso
particolare
di
norme
,
riferentesi
a
uno
specifico
oggetto
,
può
essere
tecnicamente
valutato
rispetto
all
'
efficacia
dei
mezzi
di
cui
si
avvale
per
raggiungere
i
suoi
fini
e
rispetto
alla
validità
di
questi
fini
.
Talvolta
questa
valutazione
è
assai
facile
,
come
ad
esempio
quando
si
tratti
di
norme
che
riguardino
l
'
edilizia
o
l
'
igiene
pubblica
,
perché
in
questi
campi
la
scienza
fornisce
criteri
poco
discutibili
,
ai
quali
la
legislazione
non
fa
che
adeguarsi
.
In
altri
casi
,
la
valutazione
è
più
difficile
,
come
quando
si
tratta
di
norme
che
concernono
il
comportamento
morale
.
Ma
in
ogni
caso
,
poiché
il
diritto
non
è
un
mondo
in
sé
concluso
,
senza
alcuna
relazione
con
il
resto
del
mondo
umano
ma
fa
parte
di
questo
,
la
sua
funzione
non
può
essere
che
strumentale
rispetto
alle
esigenze
,
ai
bisogni
e
agli
interessi
degli
uomini
.
E
si
può
subito
,
su
questa
base
,
stabilire
una
distinzione
fondamentale
.
Esistono
ordinamenti
giuridici
che
non
includono
,
tra
le
proprie
possibilità
,
quella
di
un
aggiornamento
o
di
una
correzione
delle
norme
che
li
costituiscono
;
e
ci
sono
invece
ordinamenti
che
la
includono
e
sono
organizzati
proprio
in
vista
di
essa
.
Soltanto
questa
seconda
specie
di
ordinamento
costituisce
quello
che
,
con
una
vecchia
espressione
,
si
chiama
«
Stato
di
diritto
»
:
come
solo
un
sistema
di
conoscenze
che
può
essere
continuamente
messo
a
prova
e
corretto
si
chiama
,
oggi
,
«
scienza
»
.
StampaQuotidiana ,
Ad
ogni
crimine
particolarmente
crudele
,
a
ogni
fenomeno
delittuoso
che
si
ripeta
con
insolita
frequenza
o
gravità
,
l
'
opinione
pubblica
di
tutto
il
mondo
reagisce
chiedendo
l
'
aggravamento
delle
pene
corrispondenti
.
Si
tratta
di
una
reazione
naturale
,
perché
la
società
e
i
singoli
individui
che
la
compongono
si
sentono
minacciati
da
quei
fenomeni
nella
loro
sicurezza
e
nella
base
stessa
della
loro
coesistenza
.
Ma
è
una
reazione
che
dà
per
scontato
che
basti
l
'
aggravamento
della
pena
per
impedire
il
ripetersi
o
l
'
aggravarsi
dei
crimini
;
ed
è
questa
una
credenza
tutt
'
altro
che
naturale
perché
si
fonda
su
una
determinata
teoria
filosofica
della
punizione
.
La
filosofia
morale
e
giuridica
ha
sempre
dibattuto
e
dibatte
oggi
con
maggiore
frequenza
e
vivacità
il
problema
del
fondamento
o
della
giustificazione
della
punizione
,
problema
che
,
nella
forma
più
generale
,
si
può
esprimere
dicendo
:
Su
che
cosa
si
fonda
il
diritto
di
punire
?
La
risposta
a
questo
problema
consiste
nello
specificare
il
fine
che
la
punizione
deve
raggiungere
.
E
questo
fine
può
essere
specificato
in
tre
modi
diversi
.
In
primo
luogo
,
si
può
ritenere
che
la
pena
ha
lo
scopo
di
restituire
l
'
integrità
dell
'
ordine
morale
offeso
o
violato
dal
crimine
,
di
ripristinare
nella
coscienza
del
reo
,
come
degli
altri
,
la
maestà
o
la
sacralità
della
legge
lesa
.
Nella
terminologia
contemporanea
,
questo
è
detto
il
concetto
remunerativo
della
pena
.
In
secondo
luogo
,
la
pena
può
avere
per
scopo
l
'
emendamento
o
la
salvezza
del
reo
,
cioè
la
sua
rieducazione
al
rispetto
della
legge
.
Questo
si
chiama
il
concetto
emendativo
o
curativo
della
pena
.
In
terzo
luogo
,
la
pena
può
avere
lo
scopo
di
difendere
la
società
,
sia
prevenendo
il
reato
con
il
timore
che
essa
ispira
,
sia
mettendo
il
reo
nell
'
impossibilità
di
nuocere
ulteriormente
.
Questo
si
chiama
il
concetto
utilitario
della
pena
perché
è
stato
per
la
prima
volta
introdotto
e
difeso
da
filosofi
utilitaristi
(
Beccaria
,
Bentham
)
.
Questi
tre
concetti
,
per
quanto
abbiano
basi
teoretiche
diverse
,
sono
spesso
utilizzati
in
modo
misto
o
confuso
,
sia
da
filosofi
o
giuristi
che
discutono
il
fondamento
della
pena
,
sia
dai
sistemi
penali
vigenti
che
spesso
si
ispirano
indiscriminatamente
a
più
d
'
uno
di
essi
.
Ma
le
discussioni
recenti
hanno
mostrato
che
essi
sono
tra
loro
incompatibili
e
che
conducono
a
conseguenze
diverse
soprattutto
nella
determinazione
della
misura
della
pena
.
La
teoria
remunerativa
della
punizione
deriva
dal
presupposto
che
esiste
nel
mondo
una
legge
universale
di
giustizia
la
quale
esige
che
chi
ha
inflitto
ad
altri
un
danno
qualsiasi
debba
subirlo
nella
stessa
misura
.
Kant
conduceva
sino
al
paradosso
questo
concetto
,
affermando
che
anche
quando
la
società
civile
si
dissolvesse
con
il
consenso
di
tutti
i
suoi
membri
,
dovrebbe
prima
giustiziare
l
'
ultimo
assassino
che
si
trovasse
in
prigione
.
t
chiaro
che
da
questo
punto
di
vista
la
somministrazione
della
pena
dovrebbe
rispondere
alla
regola
dell
'
occhio
per
occhio
,
dente
per
dente
ed
escluderebbe
ogni
possibilità
di
considerare
le
circostanze
che
possono
aggravare
o
attenuare
la
colpa
del
reo
.
La
misura
della
pena
sarebbe
stabilita
una
volta
per
tutte
e
non
sarebbe
suscettibile
di
essere
aumentata
o
diminuita
,
perché
sarebbe
determinata
unicamente
dall
'
entità
dell
'
offesa
...
Dall
'
altro
lato
,
la
concezione
terapeutica
della
punizione
,
che
ha
nobili
precedenti
perché
si
può
trovare
esposta
nel
Gorgia
di
Platone
,
sembra
negare
ogni
proporzione
oggettiva
tra
il
reato
e
la
pena
.
Se
la
pena
è
come
la
purga
,
che
deve
purificare
il
reo
dalle
scorie
del
male
,
essa
è
tanto
più
efficace
quanto
più
è
forte
,
indipendentemente
dalla
colpa
commessa
.
E
perché
non
infliggere
punizioni
a
tempo
indeterminato
cioè
sino
al
ravvedimento
del
reo
e
che
durino
(
per
una
colpa
qualsiasi
)
anche
tutta
la
vita
,
se
egli
non
si
ravvede
?
Il
concetto
curativo
della
pena
è
oggi
sostenuto
da
moralisti
,
psicanalisti
e
filantropi
che
vorrebbero
abolito
,
nei
confronti
del
reo
,
ogni
atteggiamento
di
condanna
o
di
indignazione
affinché
egli
sia
considerato
soltanto
come
un
malato
da
curare
.
E
a
un
malato
non
c
'
è
nulla
da
rimproverare
né
da
perdonare
come
non
c
'
è
nulla
da
rimproverare
o
perdonare
a
chi
agisce
sotto
l
'
azione
di
una
droga
o
dell
'
ipnosi
.
Dall
'
altro
lato
,
non
manca
chi
vede
in
questo
concetto
un
magnifico
pretesto
per
giustificare
l
'
azione
di
qualsiasi
governo
assolutista
del
tipo
di
quello
descritto
da
Orwell
nel
1984
.
Per
mandare
una
persona
a
«
curarsi
»
(
cioè
per
toglierla
dalla
circolazione
)
non
è
necessario
che
essa
si
dimostri
delinquente
o
malvagia
:
basta
che
sia
considerata
«
malata
»
cioè
che
non
si
adegui
alle
regole
imposte
dal
governo
.
In
ogni
caso
,
da
questo
punto
di
vista
,
non
soltanto
la
pena
non
può
essere
commisurata
all
'
offesa
,
ma
,
strettamente
parlando
,
non
esiste
neppure
una
«
pena
»
;
esiste
una
«
cura
»
che
,
nonostante
la
sua
apparenza
filantropica
,
può
prestarsi
a
tutti
gli
arbitri
.
A
queste
difficoltà
si
sottrae
il
terzo
concetto
della
pena
,
quello
che
la
considera
come
uno
strumento
di
difesa
della
società
civile
.
Cesare
Beccaria
esprimeva
con
una
formula
aurea
questo
concetto
quando
affermava
:
«
Le
pene
che
oltrepassano
la
necessità
di
conservare
il
deposito
della
salute
pubblica
sono
ingiuste
di
loro
natura
»
(
Dei
delitti
e
delle
pene
,
par
.
2
)
.
La
dannosità
che
un
'
azione
comporta
per
la
società
è
,
come
già
riconosceva
Hegel
,
la
sola
possibile
misura
per
l
'
entità
della
pena
.
Ma
Hegel
osservava
anche
(
e
giustamente
)
che
questa
misura
è
variabile
in
rapporto
alla
situazione
storica
della
società
stessa
.
La
gravità
della
pena
non
può
essere
stabilita
una
volta
per
tutte
,
in
rapporto
al
danno
o
all
'
offesa
cui
essa
corrisponde
,
né
può
essere
stabilita
in
rapporto
alla
«
malvagità
»
del
delinquente
o
,
se
si
preferisce
,
alla
«
malattia
»
di
cui
è
affetto
.
Le
circostanze
storiche
possono
rendere
opportuno
o
indispensabile
l
'
aggravamento
di
pena
per
reati
considerati
comunemente
«
minori
»
e
una
diminuzione
di
pena
per
reati
«
maggiori
»
.
«
Un
codice
penale
»
diceva
Hegel
«
appartiene
particolarmente
al
suo
tempo
e
alla
situazione
della
società
civile
nel
tempo
»
.
L
questo
indubbiamente
il
concetto
della
punizione
cui
implicitamente
si
fa
appello
quando
,
in
certe
circostanze
,
l
'
opinione
pubblica
o
i
politici
o
i
giuristi
e
gli
stessi
legislatori
chiedono
per
certi
reati
l
'
aggravamento
o
la
diminuzione
della
pena
.
Non
avrebbe
senso
infatti
una
modificazione
qualsiasi
della
pena
se
questa
dovesse
corrispondere
sempre
esattamente
al
danno
che
il
reo
ha
inflitto
ad
altri
:
d
'
altra
parte
,
non
avrebbe
senso
il
prolungamento
della
cura
dei
singoli
nel
caso
di
una
epidemia
o
l
'
abbreviazione
di
essa
nei
casi
isolati
.
L
'
atteggiamento
dell
'
opinione
pubblica
nei
confronti
dei
crimini
che
per
la
loro
gravità
o
per
la
loro
frequenza
la
colpiscono
in
modo
particolare
è
determinato
,
sia
pure
inconsciamente
,
dal
senso
della
pericolosità
che
un
crimine
assume
nelle
situazioni
che
si
ripetono
con
una
certa
frequenza
in
un
periodo
o
in
una
fase
della
società
civile
.
Certamente
questo
atteggiamento
,
forse
proprio
per
la
sua
motivazione
inconscia
,
è
più
emotivo
che
razionale
e
l
'
emozione
non
è
una
buona
guida
in
simili
faccende
.
Un
calcolo
,
per
quanto
possibile
esatto
,
degli
effetti
che
un
aumento
di
pena
può
avere
,
a
lunga
scadenza
,
sulla
frequenza
e
la
gravità
dei
crimini
,
è
indispensabile
e
questo
calcolo
può
essere
fondato
soltanto
su
dati
psicologici
e
sociologici
,
su
statistiche
e
su
previsioni
probabili
.
Ed
è
da
tener
presente
,
a
questo
proposito
,
un
'
avvertenza
di
Cesare
Beccaria
che
troppo
spesso
viene
ignorata
e
cioè
che
«
la
certezza
di
un
castigo
,
benché
moderato
,
farà
sempre
una
maggiore
impressione
che
non
il
timore
di
un
altro
più
terribile
,
unito
con
la
speranza
dell
'
impunità
»
.
Pene
terrificanti
,
ma
inapplicate
o
inapplicabili
,
non
hanno
alcun
effetto
deterrente
e
non
costituiscono
una
difesa
efficace
della
società
e
dei
suoi
membri
.
Pene
minime
,
ma
certe
e
adeguate
al
danno
che
un
reato
può
arrecare
alla
società
civile
in
una
certa
situazione
,
sono
le
più
efficaci
.
La
misura
,
dicevano
gli
antichi
saggi
,
è
l
'
ottima
fra
le
cose
;
ma
è
anche
la
più
difficile
.
E
nella
nostra
società
così
complessa
,
nella
quale
una
quantità
di
fattori
,
talora
imprevisti
,
entrano
continuamente
in
azione
,
la
misura
della
punizione
non
può
essere
fornita
da
concezioni
antiquate
,
da
vecchie
tavole
di
leggi
,
da
vaghe
aspirazioni
umanitarie
,
ma
solo
da
indagini
precise
,
illuminate
da
una
valida
teoria
.
StampaQuotidiana ,
«
Inversione
di
tutti
i
valori
:
ecco
la
formula
per
il
supremo
riconoscimento
di
sé
»
,
diceva
Nietzsche
.
E
sembrerebbe
che
,
a
distanza
di
quasi
settant
'
anni
dalla
sua
morte
,
la
sua
formula
sia
fatta
propria
da
un
numero
crescente
di
persone
.
La
polemica
di
Nietzsche
era
diretta
contro
i
valori
tradizionali
del
disinteresse
,
dell
'
abnegazione
,
della
rinuncia
,
del
sacrificio
,
e
intendeva
difendere
i
valori
vitali
,
terrestri
,
corporei
che
esaltano
la
vita
e
,
nonostante
i
dolori
e
gli
orrori
di
essa
,
la
fanno
godere
nella
sua
disordinata
espansione
.
Questi
valori
vitali
sembrano
i
soli
veramente
presenti
e
agenti
nella
società
contemporanea
.
Nulla
c
'
è
di
più
estraneo
a
questa
società
di
tutte
le
innumerevoli
forme
dell
'
ascetismo
,
contro
le
quali
Nietzsche
scagliava
i
suoi
fulmini
.
La
corsa
al
benessere
,
la
ricerca
incessante
di
soddisfazioni
intense
e
immediate
,
l
'
insofferenza
verso
ogni
rinuncia
o
limitazione
,
il
disprezzo
o
l
'
oblio
della
disciplina
imposta
dalle
regole
tradizionali
(
a
meno
che
non
siano
appoggiate
dalla
forza
)
,
sono
i
tratti
macroscopici
della
vita
contemporanea
,
tratti
che
suscitano
l
'
indignazione
dei
moralisti
,
le
lamentele
obbligate
dei
benpensanti
.
e
l
'
annuncio
di
catastrofi
imminenti
dei
profeti
pessimisti
.
La
letteratura
e
l
'
arte
che
,
almeno
in
una
certa
misura
,
sono
lo
specchio
di
un
'
epoca
,
rappresentano
ingranditi
questi
tratti
e
consentono
di
abbracciarli
nel
loro
insieme
.
Il
romanzo
,
il
teatro
,
il
cinema
,
le
arti
figurative
,
i
fumetti
,
suscitano
interesse
e
hanno
successo
solo
nella
misura
in
cui
rappresentano
nella
forma
più
cruda
e
brutale
eventi
o
situazioni
negative
,
sconcertanti
o
anormali
.
Il
naufragio
dell
'
esistenza
umana
in
tutti
i
suoi
aspetti
,
il
sesso
nelle
sue
forme
aberranti
o
semplicemente
sfacciate
o
sordide
,
la
violenza
interessata
o
gratuita
,
la
volontà
di
dominio
e
l
'
abiezione
,
l
'
omicidio
,
il
suicidio
fisico
o
morale
o
,
nel
campo
figurativo
,
la
presentazione
di
oggetti
insignificanti
o
ripugnanti
,
costituiscono
i
terni
principali
delle
espressioni
artistiche
contemporanee
.
La
critica
stessa
si
adatta
ai
criteri
impliciti
in
questa
selezione
di
temi
.
La
«
favola
bella
»
,
il
«
lieto
fine
»
,
il
dramma
romantico
,
il
trionfo
della
giustizia
e
ingredienti
simili
sono
,
dalla
maggior
parte
dei
critici
,
considerati
clichés
convenzionali
che
tolgono
,
alle
opere
in
cui
ricorrono
,
interesse
e
valore
artistico
.
Dall
'
altro
lato
,
il
marchese
di
Sade
,
i
poeti
e
gli
scrittori
«
maledetti
»
cominciano
a
godere
di
una
popolarità
che
non
ebbero
ai
loro
tempi
e
ad
essere
considerati
i
capostipiti
di
una
svolta
decisiva
della
storia
letteraria
;
e
la
tendenza
iconoclastica
contro
figure
sinora
ritenute
venerande
si
accentua
negli
scrittori
di
tutti
i
campi
.
Perfino
l
'
uso
delle
droghe
è
talora
apertamente
difeso
ed
esaltato
come
uno
strumento
di
felicità
personale
o
per
vedere
il
mondo
in
una
luce
imprevista
o
addirittura
per
accedere
all
'
esperienza
mistica
del
soprannaturale
.
Solo
i
filosofi
sembrano
vivere
in
un
'
isola
separata
dal
resto
del
mondo
.
Tranne
qualche
eccezione
,
discettano
del
bene
e
del
male
come
se
tutti
sapessero
dove
stanno
.
Ma
è
proprio
questo
che
gli
uomini
oggi
non
sanno
o
si
rifiutano
di
sapere
.
t
proprio
questo
il
problema
per
ognuno
e
per
tutti
:
rendersi
conto
,
con
cognizione
di
causa
,
di
come
e
dove
dev
'
essere
diretta
la
vita
dell
'
uomo
.
La
radice
di
questa
incertezza
è
la
totale
sfiducia
nelle
garanzie
di
cui
i
valori
tradizionali
vantano
l
'
appoggio
.
Pochi
sono
oggi
coloro
che
credono
che
i
valori
trovino
il
loro
fondamento
nella
natura
stessa
delle
cose
o
del
mondo
,
o
nell
'
essenza
dell
'
uomo
o
in
qualche
realtà
trascendente
:
che
ci
credono
,
intendo
,
non
per
un
'
astratta
professione
di
fede
ma
in
modo
praticamente
operante
.
Si
sa
che
ci
sono
stati
e
ci
sono
sistemi
di
valori
diversi
,
culture
e
civiltà
eterogenee
,
modi
opposti
di
considerare
il
mondo
e
la
vita
.
Si
sa
che
i
valori
preferiti
da
una
stessa
società
possono
mutare
nel
tempo
e
mutano
,
anzi
,
molto
rapidamente
.
Non
si
ha
fiducia
che
l
'
interesse
singolo
coincida
sempre
e
necessariamente
con
l
'
interesse
collettivo
,
giacché
si
vede
o
si
avverte
che
talora
i
due
interessi
sono
in
conflitto
.
Non
si
è
certi
che
il
progresso
collettivo
del
genere
umano
verso
l
'
ordine
e
la
disciplina
dell
'
organizzazione
tecnologica
,
e
gli
stessi
vantaggi
che
ne
derivano
,
garantiscano
a
tutti
gli
individui
il
tipo
di
felicità
che
desiderano
.
Questa
somma
di
incertezze
non
è
una
novità
dei
nostri
tempi
perché
,
in
un
modo
o
nell
'
altro
,
ha
accompagnato
dovunque
il
cammino
del
genere
umano
.
La
tragedia
greca
,
per
citare
un
esempio
,
deve
il
suo
valore
umano
esemplare
proprio
all
'
aver
dibattuto
alcune
di
queste
incertezze
.
Ma
la
novità
consiste
nella
scala
in
cui
esse
sono
ora
avvertite
,
cioè
nell
'
estensione
in
cui
il
senso
del
dubbio
è
penetrato
negli
uomini
investendo
tutti
gli
aspetti
della
loro
vita
quotidiana
.
Ogni
civiltà
tende
a
esaltare
le
sue
conquiste
,
e
noi
,
uomini
dell
'
Occidente
,
siamo
particolarmente
orgogliosi
delle
nostre
.
Siamo
portati
a
dimenticare
che
la
nostra
civiltà
non
ha
avuto
soltanto
Socrate
e
Cristo
,
ma
anche
i
Torquemada
e
gli
Hitler
che
hanno
avuto
forse
,
nella
nostra
storia
,
una
parte
maggiore
.
Siamo
portati
a
scambiare
per
realtà
incrollabili
,
per
cose
scontate
e
radicate
nel
nostro
più
lontano
passato
,
ideali
nebulosi
e
norme
generiche
che
vengono
dimenticate
nella
pratica
della
vita
nove
volte
su
dieci
.
Accade
così
che
si
può
asservire
in
nome
della
libertà
,
fanatizzare
in
nome
della
fede
,
violentare
in
nome
dell
'
amore
.
Siamo
portati
a
credere
che
con
la
sola
forza
di
questi
ideali
si
possono
salvare
e
riscattare
tutti
gli
uomini
,
anche
quelli
che
non
vogliono
essere
salvati
;
mentre
il
valore
di
quegli
ideali
consiste
proprio
nel
mettere
in
guardia
contro
questa
credenza
.
La
libertà
,
la
fede
,
l
'
amore
,
come
gli
altri
capisaldi
della
nostra
scala
dei
valori
,
non
si
impongono
da
sé
e
non
possono
essere
imposti
:
perché
ciò
che
esigono
è
proprio
questo
:
ogni
essere
umano
deve
poterli
scegliere
per
se
stesso
.
L
'
immoralismo
contemporaneo
serve
in
primo
luogo
a
ricordarci
che
la
vita
non
è
quella
perfetta
adeguazione
della
realtà
all
'
ideale
,
che
i
coltivatori
degli
ideali
ci
hanno
voluto
far
credere
;
che
non
bisogna
illudersi
d
'
aver
già
realizzato
nei
nostri
modi
di
vivere
il
patrimonio
ideale
di
cui
disponiamo
;
e
che
occorre
in
primo
luogo
guardare
con
sincerità
spietata
al
modo
effettivo
in
cui
viviamo
,
alle
scelte
su
cui
si
regge
la
nostra
vita
,
per
renderci
conto
di
ciò
che
siamo
e
di
ciò
che
possiamo
diventare
.
Si
può
(
e
si
dovrebbe
in
ogni
caso
)
avvertire
un
senso
di
repulsione
o
di
rivolta
contro
le
realtà
che
le
cronache
della
vita
e
dell
'
arte
ci
presentano
con
cruda
evidenza
;
e
questo
è
già
un
effetto
benefico
di
quelle
cronache
.
Ma
occorre
trarre
da
esse
l
'
insegnamento
decisivo
:
quello
di
cercare
nuove
vie
per
la
libertà
dell
'
individuo
e
l
'
ordine
della
comunità
umana
.
Attraverso
i
disordini
,
gli
sbandamenti
,
le
proteste
,
lo
scetticismo
e
l
'
apatia
verso
cose
o
valori
ritenuti
essenziali
,
è
in
corso
un
grande
esperimento
per
la
ricerca
di
nuovi
modi
di
convivenza
,
di
nuove
regole
per
orientare
la
vita
degli
individui
.
Gli
uomini
oggi
non
sono
disposti
ad
accogliere
senza
beneficio
d
'
inventario
l
'
eredità
del
passato
o
il
messaggio
di
nuovi
profeti
.
Vogliono
trovare
da
sé
,
attraverso
errori
,
delusioni
e
sconfitte
,
la
via
buona
(
se
ce
n
'
è
una
)
da
imbroccare
.
Il
loro
atteggiamento
dominante
è
quello
proprio
degli
adolescenti
e
dei
giovani
ai
quali
poco
giovano
gli
insegnamenti
degli
adulti
,
finché
non
li
abbiano
essi
stessi
messi
a
prova
e
convalidati
con
la
loro
esperienza
vissuta
.
Nonostante
gli
enormi
e
rapidi
progressi
che
ha
fatto
in
certi
campi
,
l
'
umanità
vive
oggi
la
sua
fase
di
adolescenza
:
ma
di
un
'
adolescenza
non
remissiva
né
docile
,
ma
vigile
e
aggressiva
,
che
non
accetta
facilmente
lezioni
.
«
L
'
uomo
»
diceva
Montaigne
«
é
sempre
in
tirocinio
ed
in
prova
.
»
Ma
oggi
al
tirocinio
e
alla
prova
non
partecipano
più
solamente
le
élites
privilegiate
,
ma
strati
sempre
più
vasti
del
genere
umano
;
e
questo
costituisce
il
contrassegno
e
l
'
originalità
del
nostro
tempo
.
Certamente
il
rischio
è
grande
e
conquiste
decisive
,
valori
fondamentali
possono
andare
perduti
,
come
possono
essere
riscoperti
e
convalidati
.
Ma
non
si
può
evitare
il
rischio
disconoscendo
o
ignorando
semplicemente
la
situazione
che
lo
provoca
.
Non
si
diminuisce
il
rischio
insistendo
su
valori
collaterali
,
rifiutando
di
muoversi
e
di
cercare
,
appellandosi
alla
natura
o
all
'
autorità
o
ad
altre
garanzie
estrinseche
dei
valori
che
si
vogliono
difendere
.
Se
l
'
umanità
vuol
sopravvivere
,
non
può
dimenticare
il
rispetto
che
deve
a
se
stessa
e
a
ognuno
dei
suoi
membri
.
Questo
è
l
'
unico
punto
fermo
.
Ma
le
vie
o
i
modi
per
realizzare
questo
rispetto
nelle
forme
concrete
di
regole
e
di
atteggiamenti
che
reggano
di
giorno
in
giorno
e
di
ora
in
ora
la
vita
degli
uomini
possono
essere
diversi
.
Il
problema
consiste
nel
rendersi
conto
delle
alternative
che
quel
rispetto
consente
all
'
uomo
e
di
quelle
che
esclude
.
Consiste
nell
'
individuare
le
scelte
che
si
possono
ancora
e
sempre
ripetere
dopo
ogni
prova
e
che
siano
partecipabili
dalla
maggior
parte
degli
uomini
.
Scelte
siffatte
si
limitano
a
vicenda
e
possono
,
al
limite
,
circoscrivere
la
sfera
d
'
azione
dell
'
individuo
nei
confronti
di
quella
degli
altri
.
Ma
l
'
arte
delle
scelte
è
difficile
e
in
questo
campo
l
'
uomo
non
può
affidarle
a
una
macchina
calcolatrice
.
Solo
quest
'
arte
,
tuttavia
,
può
far
uscire
l
'
uomo
dall
'
adolescenza
e
avviarlo
alla
maturità
:
sempre
con
l
'
avvertenza
che
la
maturità
del
genere
umano
,
più
di
quella
dell
'
individuo
,
non
sarà
mai
una
conquista
definitiva
.
StampaQuotidiana ,
Delle
tre
dimensioni
del
tempo
,
passato
,
presente
e
futuro
,
i
filosofi
hanno
il
più
delle
volte
privilegiato
il
presente
.
Non
l
'
hanno
inteso
tuttavia
come
l
'
attimo
fuggente
ma
come
la
costanza
di
un
ritmo
che
si
conserva
identico
attraverso
il
mutare
degli
eventi
.
La
poetica
definizione
di
Platone
«
il
tempo
è
l
'
immagine
mobile
dell
'
eternità
»
significa
appunto
che
il
ritmo
in
cui
il
tempo
consiste
e
che
è
scandito
dai
suoi
periodi
(
anni
,
mesi
,
giorni
,
ore
)
ha
la
stessa
immutabilità
che
è
propria
dell
'
essere
eterno
.
Il
tempo
appartiene
alle
cose
che
fluiscono
ma
in
queste
cose
introduce
ciò
che
è
proprio
dell
'
eternità
,
un
ordine
che
permane
attraverso
il
divenire
.
Gli
astri
ritornano
,
a
intervalli
determinati
,
nella
stessa
posizione
;
le
stagioni
si
ripetono
con
una
successione
invariabile
e
si
ripetono
,
sia
pure
con
minor
esattezza
,
i
cicli
di
tutti
gli
esseri
viventi
,
ognuno
dei
quali
ha
un
suo
ritmo
costante
di
nascita
,
di
formazione
,
di
sviluppo
e
di
morte
.
Nell
'
interpretazione
popolare
,
il
tempo
è
la
forza
distruttiva
cui
nulla
resiste
,
la
forza
che
logora
tutte
le
cose
e
le
conduce
,
più
o
meno
rapidamente
,
all
'
annullamento
o
all
'
oblio
.
Nell
'
interpretazione
dei
filosofi
,
il
tempo
è
ciò
che
nel
logorio
o
nella
distruzione
vien
conservato
e
ripetuto
;
il
ritmo
eterno
cui
il
fluire
delle
cose
obbedisce
.
Questo
ritmo
perciò
non
è
mai
né
passato
né
futuro
:
è
sempre
presente
perché
è
sempre
lo
stesso
.
E
quando
alcuni
filosofi
(
Plotino
,
Sant
'
Agostino
,
Hegel
,
Bergson
,
Husserl
)
hanno
concepito
il
tempo
come
lo
stesso
fluire
o
divenire
della
coscienza
,
come
una
corrente
di
vita
interiore
che
ad
ogni
istante
si
rinnova
e
in
cui
perciò
non
ci
sono
due
istanti
omogenei
,
la
dimensione
del
tempo
cui
han
fatto
ricorso
è
ancora
quella
del
presente
:
perché
in
questa
corrente
tutto
il
passato
viene
conservato
come
in
un
fiume
che
trasporta
tutte
le
acque
che
vi
confluiscono
ed
è
,
dall
'
altro
lato
,
presente
,
almeno
in
potenza
,
l
'
intero
futuro
.
Questa
interpretazione
del
tempo
in
termini
di
presenza
totale
rende
possibile
considerarlo
come
la
forma
immutabile
delle
cose
che
mutano
,
e
consente
la
misura
di
esso
.
La
misura
non
sarebbe
infatti
possibile
se
tutto
fosse
a
ogni
istante
nuovo
e
tutto
a
ogni
istante
cadesse
nel
nulla
:
non
ci
sarebbe
,
in
questo
caso
,
un
'
unità
di
misura
omogenea
,
e
inoltre
come
potrebbe
quest
'
unità
,
anche
se
ci
fosse
,
applicarsi
a
ciò
che
non
è
più
(
il
passato
)
o
a
ciò
che
non
è
ancora
(
il
futuro
)
?
Ma
accanto
a
questo
vantaggio
,
l
'
interpretazione
del
tempo
come
presente
ha
lo
svantaggio
di
trascurare
quel
carattere
del
tempo
che
all
'
uomo
comune
appare
evidente
,
la
sua
azione
logorante
e
distruttiva
.
Che
il
tempo
non
possa
solo
conservare
ma
anche
distruggere
;
che
ciò
che
vive
nel
tempo
sia
in
una
condizione
di
instabilità
radicale
in
cui
le
alternative
dell
'
acquisto
e
della
perdita
sono
ugualmente
importanti
;
e
che
per
ciò
che
riguarda
l
'
uomo
,
il
tempo
sia
l
'
indeterminazione
fondamentale
che
non
gli
lascia
mai
padroneggiare
del
tutto
il
suo
destino
,
sono
considerazioni
banali
eppure
inconfutabili
,
sia
della
saggezza
comune
che
della
filosofia
.
Ma
se
queste
considerazioni
hanno
una
certa
verità
,
l
'
interpretazione
del
tempo
come
presenza
o
simultaneità
appare
unilaterale
.
E
in
questo
caso
la
dimensione
del
futuro
comincia
ad
avere
la
meglio
su
quella
del
presente
.
Le
filosofie
contemporanee
che
s
'
imperniano
sulla
considerazione
dell
'
uomo
e
del
suo
mondo
(
soprattutto
il
pragmatismo
e
l
'
esistenzialismo
)
hanno
,
perciò
,
insistito
su
quest
'
altra
dimensione
del
tempo
.
L
'
uomo
è
,
secondo
queste
filosofie
,
costitutivamente
orientato
verso
il
futuro
:
la
sua
esistenza
o
la
sua
esperienza
è
un
continuo
venirgli
incontro
,
dall
'
avvenire
,
di
ciò
che
egli
prevede
o
non
prevede
,
teme
o
desidera
,
progetta
o
cerca
di
evitare
.
Certamente
il
passato
è
là
,
a
determinare
i
suoi
timori
o
le
sue
speranze
,
a
limitare
e
condizionare
le
sue
attese
o
le
sue
progettazioni
;
ma
se
il
passato
gli
fosse
tutto
presente
e
lo
urgesse
alle
spalle
con
la
sua
forza
preponderante
come
una
fiumana
o
una
valanga
irresistibile
,
attese
e
progettazioni
sarebbero
inutili
.
Il
passato
può
anche
,
in
certi
casi
,
inchiodarlo
alla
sua
situazione
e
rendergli
impraticabile
ogni
via
d
'
uscita
;
ma
solo
l
'
avvenire
può
dirgli
se
sarà
cosa
o
no
.
L
'
avvenire
è
la
dimensione
della
libertà
umana
che
s
'
inserisce
nelle
falle
del
tempo
e
cerca
di
volgerle
a
suo
profitto
.
Non
è
detto
che
l
'
avvenire
debba
necessariamente
prospettarsi
come
mutamento
,
novità
o
progresso
:
l
'
uomo
può
rivolgersi
con
amore
al
passato
,
può
farne
oggetto
di
nostalgia
o
di
rimpianto
,
può
volerne
il
ritorno
e
la
conservazione
:
ma
in
tutti
questi
atteggiamenti
non
fa
che
progettarlo
o
anticiparlo
come
avvenire
.
L
'
avvenire
è
il
serbatoio
delle
possibilità
che
costituiscono
l
'
esistenza
dell
'
uomo
.
Non
si
tratta
,
purtroppo
,
di
un
serbatoio
inesauribile
.
Alla
giovinezza
,
le
possibilità
del
futuro
appaiono
ricchissime
e
promettenti
per
quanto
vaghe
e
indeterminate
e
dànno
il
senso
di
una
libertà
illimitata
;
la
maturità
è
contrassegnata
dal
loro
limitarsi
e
determinarsi
in
un
serio
impegno
di
realizzazione
;
mentre
il
loro
diradarsi
o
impoverirsi
costituisce
la
tristezza
della
vecchiaia
.
Ma
in
ogni
caso
le
possibilità
autenticamente
tali
,
cioè
quelle
che
si
conservano
e
rinvigoriscono
dopo
la
prova
e
la
riprova
cui
le
sottopone
l
'
esperienza
della
vita
,
sono
,
per
ciascun
uomo
,
in
numero
limitato
.
E
quando
un
uomo
sa
e
teme
che
le
possibilità
che
il
futuro
gli
prospetta
sono
futili
o
nulle
va
incontro
a
quegli
stati
di
angoscia
,
di
disperazione
,
di
frustrazione
,
che
la
filosofia
,
la
psichiatria
e
la
letteratura
contemporanea
hanno
illustrato
come
le
malattie
dell
'
uomo
moderno
,
ma
che
forse
di
moderno
non
hanno
che
la
chiara
diagnosi
che
ne
è
stata
fatta
.
Diceva
Kierkegaard
:
«
Come
quando
uno
sviene
si
ricorre
ai
sali
o
all
'
acqua
di
colonia
,
così
quando
qualcuno
si
dispera
bisogna
dire
:
"
Trovate
una
possibilità
,
trovategli
una
possibilità
!
"
.
La
possibilità
è
l
'
unico
rimedio
,
perché
se
l
'
uomo
rimane
senza
possibilità
è
come
se
gli
mancasse
l
'
aria
»
.
La
forza
della
fede
religiosa
consiste
,
come
Kierkegaard
stesso
diceva
,
nel
prospettare
all
'
uomo
la
possibilità
della
salvezza
quando
ogni
altra
possibilità
gli
è
negata
,
in
quanto
«
a
Dio
tutto
è
possibile
»
.
La
ragione
,
come
guida
autonoma
dell
'
uomo
,
è
la
tecnica
che
consente
l
'
accertamento
delle
possibilità
autentiche
e
disciplina
le
scelte
che
si
possono
operare
tra
esse
.
Essa
,
esattamente
come
la
fede
,
orienta
l
'
uomo
verso
il
futuro
:
non
è
quindi
fuori
del
tempo
ma
legata
a
una
dimensione
temporale
determinata
.
A
differenza
della
fede
,
tuttavia
,
ha
bisogno
di
fatti
constatabili
,
di
prove
,
di
documenti
,
di
testimonianze
.
Fa
parte
integrante
dell
'
orientamento
dell
'
uomo
verso
l
'
avvenire
,
l
'
interesse
per
il
passato
,
l
'
esigenza
di
comprenderlo
e
ricostruirlo
nella
sua
autenticità
quindi
di
conservarne
i
documenti
e
di
rispettarne
le
vestigia
.
E
da
questo
interesse
si
origina
la
ricerca
storiografica
che
investe
tutti
i
campi
dell
'
attività
umana
.
Ciò
che
infatti
rafforza
o
autentica
le
possibilità
a
venire
dell
'
uomo
è
il
radicarsi
di
esse
nel
passato
.
Ma
l
'
uomo
può
anche
vivere
nell
'
ingenua
fiducia
che
l
'
avvenire
sia
la
pura
e
semplice
ripetizione
del
passato
e
che
il
passato
si
conservi
automaticamente
nel
futuro
.
Così
fanno
i
popoli
primitivi
per
i
quali
il
tempo
,
come
per
certi
filosofi
,
è
un
eterno
presente
.
Essi
non
hanno
storici
perché
non
hanno
storia
;
ma
di
fronte
all
'
imprevedibile
che
emerge
dal
tempo
,
sono
senza
difesa
.
StampaQuotidiana ,
Circa
35.000
anni
fa
l
'
homo
sapiens
sapiens
,
cioè
il
prodotto
di
una
lunga
e
discontinua
evoluzione
che
era
cominciata
più
di
mezzo
milione
di
anni
prima
,
ha
invaso
l
'
Europa
proveniente
da
qualche
regione
sconosciuta
dell
'
Asia
o
dell
'
Africa
.
È
cominciata
allora
la
storia
dell
'
uomo
su
questa
terra
?
O
è
cominciata
prima
,
con
l
'
apparizione
dell
'
homo
sapiens
e
dei
primi
ominidi
?
O
è
cominciata
dopo
,
con
la
formazione
delle
grandi
civiltà
delle
quali
ci
rimangono
monumenti
e
notizie
?
Comunque
si
risponda
a
questa
domanda
,
la
storia
dell
'
uomo
è
stata
assai
lunga
e
complessa
.
Una
somma
enorme
di
trasformazioni
e
differenziazioni
biologiche
,
di
tentativi
diretti
nei
sensi
più
disparati
,
di
ingegnosità
,
d
'
invenzioni
,
di
lotte
,
di
sacrifici
e
di
morti
costituisce
il
materiale
grezzo
di
questa
storia
della
quale
abbiamo
solo
conoscenze
scarse
,
frammentarie
o
parziali
.
A
prima
vista
,
questo
materiale
è
un
caos
,
una
mescolanza
disordinata
degli
eventi
più
disparati
.
Ma
è
,
questa
apparenza
,
la
vera
sostanza
della
storia
?
Difficilmente
l
'
uomo
si
adatta
a
questo
pensiero
.
E
non
ci
si
adatta
perché
,
a
quanto
sembra
,
esso
lo
lascerebbe
privo
di
ogni
fede
nel
futuro
.
Se
la
storia
è
un
caos
di
eventi
,
questi
eventi
continueranno
a
sommarsi
o
a
elidersi
come
è
accaduto
nel
passato
.
L
'
uomo
non
può
contare
di
dirigerli
,
di
imprimere
ad
essi
una
direzione
favorevole
al
proprio
progresso
;
non
può
presumere
che
essi
gli
consentiranno
di
salvare
i
valori
che
gli
stanno
a
cuore
e
in
primo
luogo
lui
stesso
,
l
'
uomo
:
questo
essere
unico
(
per
quel
che
ne
sappiamo
finora
)
che
è
riuscito
a
sopravvivere
nelle
circostanze
più
disgraziate
e
a
creare
,
contro
l
'
ostilità
dello
stesso
ambiente
che
lo
ospita
,
un
mondo
nuovo
di
idee
,
di
valori
,
di
civiltà
al
di
sopra
del
mondo
muto
e
cieco
della
natura
inorganica
ed
organica
.
Il
problema
del
significato
della
storia
nasce
su
questi
fondamenti
.
La
storia
non
ha
il
minimo
significato
se
il
destino
dell
'
uomo
su
questa
terra
è
del
tutto
simile
a
quello
degli
innumerevoli
esseri
che
la
natura
vi
ha
disseminato
,
se
gli
eventi
che
la
compongono
non
hanno
un
ordine
o
uno
scopo
e
se
l
'
uomo
può
sparire
dalla
faccia
della
terra
senza
lasciar
traccia
,
com
'
è
accaduto
di
altre
innumerevoli
specie
animali
.
La
storia
ha
un
significato
se
,
nonostante
l
'
indipendenza
e
l
'
eterogeneità
apparenti
degli
episodi
che
entrano
in
essa
talvolta
a
distanze
enormi
di
tempo
e
di
spazio
,
essa
costituisce
un
'
unica
totalità
;
se
questa
totalità
ha
un
ordine
o
un
disegno
complessivo
che
subordina
a
sé
tutti
gli
episodi
;
se
quest
'
ordine
o
disegno
complessivo
ha
un
unico
scopo
,
un
termine
ultimo
immanente
o
trascendente
;
e
se
infine
l
'
uomo
può
,
sia
pure
approssimativamente
o
genericamente
,
comprendere
questo
scopo
.
Gli
antichi
,
che
concepirono
la
storia
come
un
ciclo
che
eternamente
si
ripete
,
non
dettero
una
risposta
esauriente
al
problema
del
suo
significato
perché
non
riconobbero
alla
storia
uno
scopo
,
un
termine
o
una
direzione
verso
cui
essa
muove
.
Gli
Stoici
credevano
che
in
ogni
ciclo
le
faccende
umane
si
ripetono
identicamente
:
c
'
è
di
nuovo
Socrate
,
di
nuovo
Platone
,
di
nuovo
ciascuno
degli
uomini
con
gli
stessi
amici
e
concittadini
,
con
le
stesse
credenze
e
gli
stessi
errori
.
A
giusto
titolo
questa
concezione
appariva
terrificante
a
Nietzsche
che
tuttavia
la
credeva
vera
ma
tale
da
poter
essere
accettata
soltanto
dai
superuomini
.
Ma
quando
Origene
disse
che
attraverso
i
cicli
successivi
l
'
umanità
espia
le
sue
colpe
e
si
avvia
a
riconquistare
la
perfezione
originaria
da
cui
è
decaduta
;
o
quando
Sant
'
Agostino
concepì
la
storia
come
la
lotta
tra
la
città
terrena
e
la
città
celeste
,
che
si
concluderà
con
la
vittoria
di
quest
'
ultima
;
o
quando
in
qualsiasi
modo
si
riconosce
nella
storia
una
totalità
ordinata
che
cammina
verso
un
certo
scopo
(
la
spiritualità
,
la
giustizia
,
l
'
uguaglianza
e
via
dicendo
)
si
ha
una
di
quelle
filosofie
della
storia
,
teologiche
o
laiche
,
che
riescono
ad
attribuire
alla
storia
un
significato
totale
,
trascendente
o
immanente
che
sia
.
Ma
purtroppo
,
di
fronte
a
questa
prospettiva
edificante
,
si
ergono
difficoltà
insormontabili
.
L
'
uomo
non
ha
strumenti
né
informazioni
sufficienti
per
comprendere
,
o
anche
solo
pensare
,
la
totalità
assoluta
del
mondo
storico
.
Lo
stesso
concetto
di
mondo
come
«
totalità
assoluta
»
è
illusorio
perché
,
come
dimostrò
Kant
,
è
al
di
là
di
ogni
esperienza
possibile
.
Ciò
che
effettivamente
sappiamo
della
storia
è
quanto
ne
dicono
gli
storici
,
il
cui
lavoro
trova
limiti
precisi
nella
stessa
disciplina
della
loro
scienza
:
che
ha
bisogno
di
fonti
d
'
informazione
e
deve
attenersi
a
metodi
esatti
nell
'
utilizzazione
di
tali
fonti
.
E
per
gli
storici
non
esiste
un
'
unica
storia
totale
;
esistono
solo
storie
diverse
e
particolari
che
concernono
particolari
popoli
,
nazioni
,
culture
,
personalità
,
istituzioni
o
particolari
settori
dell
'
attività
umana
(
la
politica
,
l
'
economia
,
il
diritto
,
la
scienza
,
ecc
.
)
.
Certamente
,
tra
queste
storie
particolari
e
settoriali
si
possono
(
e
si
debbono
)
,
per
quanto
è
possibile
,
cercare
e
trovare
rapporti
,
interdipendenze
,
connessioni
;
ma
saranno
,
anche
questi
,
particolari
e
settoriali
c
non
consentiranno
di
parlare
di
una
totalità
unica
e
integrata
.
Se
poi
,
oltre
le
enormi
lacune
della
nostra
conoscenza
del
passato
,
si
considera
anche
la
nostra
ignoranza
totale
del
futuro
,
il
quale
fa
parte
della
storia
come
totalità
,
si
vede
subito
che
una
storia
siffatta
può
essere
solo
l
'
oggetto
di
un
intelletto
divino
che
abbracci
nella
sua
eternità
tutto
il
tempo
,
non
dell
'
intelletto
umano
che
vive
nel
tempo
.
Queste
difficoltà
sono
decisive
,
per
il
problema
del
significato
della
storia
.
Parlare
di
questo
significato
nel
senso
che
si
è
detto
,
significa
parlare
da
romanzieri
fantastici
o
da
profeti
soprannaturalmente
ispirati
;
oppure
significa
agitare
un
'
ideologia
,
presentare
come
realtà
presente
o
inevitabilmente
futura
un
pio
desiderio
.
Tutto
ciò
che
a
questo
proposito
può
dire
il
filosofo
che
voglia
attenersi
alle
regole
del
suo
lavoro
si
riduce
a
una
constatazione
:
l
'
uomo
cerca
di
dare
un
senso
alla
storia
.
Questa
constatazione
è
confermabile
e
trova
conferma
ogni
volta
che
abbiamo
informazioni
sufficienti
su
una
cultura
o
una
civiltà
qualsiasi
;
giacché
ogni
cultura
o
civiltà
,
per
quanto
primitiva
,
può
essere
interpretata
come
il
tentativo
di
dare
alla
storia
,
cioè
alla
vita
dell
'
uomo
sulla
terra
,
un
significato
determinato
.
Ma
da
questo
punto
di
vista
non
si
può
parlare
di
un
significato
unico
e
totale
come
non
si
può
parlare
di
un
unico
«
mondo
storico
»
.
I
significati
che
gli
uomini
cercano
di
attribuire
alla
loro
storia
sono
molteplici
,
talora
disparati
,
spesso
in
conflitto
.
Ogni
significato
è
iscritto
nella
struttura
d
'
una
società
determinata
e
ne
costituisce
nello
stesso
tempo
la
condizione
di
vita
e
lo
scopo
dominante
.
Per
quanto
creduto
destinato
al
successo
,
il
significato
non
è
che
il
limite
ideale
dei
tentativi
che
si
fanno
per
realizzarlo
;
e
questi
tentativi
non
sempre
riescono
,
com
'
è
dimostrato
dalla
decadenza
e
dalla
morte
delle
civiltà
.
Quando
il
problema
del
significato
della
storia
venga
sottratto
al
tradizionale
orizzonte
teologico
e
metafisico
e
ricondotto
nei
limiti
e
nella
misura
dell
'
uomo
,
esso
assume
questa
forma
:
qual
è
il
significato
che
intendiamo
dare
alla
nostra
storia
?
E
quali
possibilità
abbiamo
di
realizzarlo
?
Per
rispondere
a
queste
domande
,
dobbiamo
certo
rivolgerci
all
'
indagine
storica
e
rintracciare
,
nell
'
ambito
della
civiltà
cui
apparteniamo
,
linee
di
tendenza
,
direzioni
di
marcia
che
prevalgono
in
questo
o
quell
'
aspetto
di
essa
.
Ma
non
abbiamo
alcun
diritto
di
considerare
inevitabili
le
prospettive
aperte
da
queste
direzioni
o
tendenze
,
che
possono
essere
rafforzate
o
indebolite
dalle
nostre
scelte
o
da
nuove
circostanze
.
Accade
spesso
che
le
scelte
umane
si
orientino
in
senso
nettamente
contrario
alle
tendenze
meglio
riconoscibili
nella
storia
:
così
accade
ad
esempio
nei
confronti
della
tendenza
pressoché
universale
dei
regimi
politici
a
trasformarsi
in
assolutismi
.
L
'
indagine
storica
ci
offre
certamente
utili
insegnamenti
,
ma
si
tratta
spesso
di
insegnamenti
negativi
:
stimolano
gli
uomini
a
combattere
e
a
modificare
radicalmente
modi
di
vivere
o
di
pensare
che
sono
sostenuti
da
una
lunga
tradizione
.
I
biologi
insegnano
che
la
specie
umana
è
,
tra
le
specie
animali
,
quella
che
comprende
la
maggiore
varietà
.
Gli
antropologi
e
i
sociologi
insistono
sulla
disparità
delle
strutture
culturali
che
disciplinano
la
vita
associata
dell
'
uomo
.
Gli
storici
mettono
in
luce
l
'
individualità
irriducibile
delle
istituzioni
umane
.
Non
è
detto
,
in
queste
circostanze
,
che
tutti
gli
uomini
debbano
dare
alla
storia
lo
stesso
significato
.
La
scoperta
di
significati
nuovi
ed
imprevisti
può
arricchire
la
loro
vita
;
ed
anche
i
conflitti
,
che
la
diversità
dei
significati
può
far
nascere
,
non
hanno
nulla
di
tragico
se
essi
sanno
affrontarli
nel
rispetto
reciproco
e
nella
libertà
.
StampaQuotidiana ,
Utopia
,
l
'
isola
sconosciuta
della
quale
Tommaso
Moro
descrisse
in
un
famoso
libro
(
1516
)
il
perfetto
governo
e
i
perfetti
costumi
,
ha
dato
e
dà
il
nome
a
ogni
progetto
ideale
di
governo
e
di
costituzione
,
a
ogni
tentativo
di
delineare
la
forma
che
la
società
dovrebbe
assumere
per
garantire
a
tutti
i
suoi
membri
la
più
completa
felicità
.
Quando
Platone
si
fu
convinto
che
il
regime
politico
di
Atene
,
che
aveva
condannato
a
morte
Socrate
,
«
l
'
uomo
più
saggio
e
più
giusto
di
tutti
»
,
non
offriva
speranze
di
miglioramento
,
si
dette
a
costruire
l
'
immagine
di
una
città
ideale
che
fosse
governata
da
filosofi
,
cioè
da
uomini
educati
sull
'
esempio
di
Socrate
;
e
scrisse
la
Repubblica
che
è
la
prima
e
più
famosa
utopia
,
su
cui
tutte
le
altre
si
sono
modellate
.
Ogni
utopia
presenta
l
'
immagine
di
un
mondo
nuovo
,
radicalmente
diverso
da
quello
in
cui
si
è
vissuto
o
si
vive
.
Ma
il
mondo
nuovo
è
anche
la
correzione
o
il
completamento
del
mondo
reale
:
garantisce
l
'
eliminazione
delle
ingiustizie
e
degli
errori
che
questo
presenta
,
la
conciliazione
dei
suoi
conflitti
,
l
'
appagamento
delle
sue
aspirazioni
.
Tommaso
Moro
,
vedendo
i
contadini
inglesi
scacciati
dalle
campagne
(
che
venivano
trasformate
in
pascoli
di
montoni
per
la
produzione
della
lana
)
e
ridotti
all
'
accattonaggio
o
alla
ruberia
,
vagheggiava
l
'
abolizione
della
proprietà
privata
;
come
vagheggiava
la
più
completa
libertà
religiosa
in
opposizione
all
'
intolleranza
che
affliggeva
la
società
del
suo
tempo
.
I
socialisti
utopisti
della
prima
metà
dell
'
'800
(
Saint
-
Simon
,
Fourier
,
Proudhon
)
,
che
avevano
l
'
occhio
alla
rivoluzione
industriale
che
si
profilava
nella
società
del
tempo
,
vagheggiavano
un
'
organizzazione
sociale
che
portasse
a
compimento
quella
rivoluzione
e
insieme
ne
evitasse
i
malanni
.
E
lo
stesso
Marx
,
che
criticava
il
socialismo
utopistico
e
vedeva
nello
sviluppo
della
struttura
economica
la
sola
forza
determinante
delle
trasformazioni
sociali
,
additava
come
termine
ultimo
di
queste
trasformazioni
una
«
società
senza
classi
»
che
eliminasse
la
lotta
e
l
'
alienazione
della
società
industriale
.
Esistono
utopie
rivoluzionarie
e
utopie
conservatrici
,
utopie
che
vogliono
cambiare
il
mondo
dalle
fondamenta
e
utopie
che
vogliono
ripristinarlo
in
qualche
vecchia
forma
o
conservarlo
nella
sua
struttura
attuale
,
ritenuta
perfetta
o
imperfezionabile
.
Le
une
pretendono
indirizzare
verso
un
termine
fisso
i
mutamenti
sociali
,
le
altre
pretendono
fermare
questi
mutamenti
o
indirizzarli
all
'
indietro
.
Ma
in
tutti
i
casi
l
'
utopia
mira
a
correggere
la
situazione
attuale
,
a
presentare
un
modello
unico
e
semplice
cui
la
società
dovrebbe
adeguarsi
per
raggiungere
la
sua
forma
perfetta
.
Non
è
un
'
obiezione
sufficiente
contro
l
'
utopia
la
sua
irrealizzabilità
.
Un
sociologo
tedesco
(
Karl
Mannheim
)
ha
definito
anzi
«
utopia
»
ogni
idea
che
tende
a
trasformare
l
'
ordine
esistente
e
in
qualche
misura
ci
riesce
;
e
l
'
ha
distinta
dall
'
ideologia
che
non
riesce
mai
ad
attuare
i
suoi
progetti
.
Da
questo
punto
di
vista
,
l
'
utopia
appare
irrealizzabile
solo
ai
gruppi
sociali
che
si
oppongono
ad
essa
:
un
'
utopia
rivoluzionaria
sembra
irrealizzabile
ai
gruppi
conservatori
,
un
'
utopia
conservatrice
sembra
irrealizzabile
agli
innovatori
.
Certamente
,
l
'
utopia
assume
,
il
più
delle
volte
,
la
forma
di
un
sogno
favoloso
,
di
un
paradiso
perduto
o
da
conquistare
,
di
un
'
evasione
dalle
strettoie
del
presente
verso
il
passato
o
l
'
avvenire
.
Ma
è
anche
vero
che
l
'
utopia
esercita
o
può
esercitare
una
funzione
direttiva
e
orientativa
delle
trasformazioni
sociali
;
che
ciò
che
appare
come
«
utopistico
»
in
un
'
epoca
diventa
talvolta
realtà
in
epoca
diversa
;
e
che
ciò
che
è
«
realizzabile
»
o
«
non
realizzabile
»
,
non
è
determinabile
una
volta
per
tutte
e
in
base
a
un
criterio
assoluto
.
Dall
'
altro
lato
,
la
perfezione
attribuita
all
'
utopia
è
spesso
solo
apparente
.
Difficilmente
l
'
utopia
riesce
a
tener
presente
l
'
intera
situazione
dell
'
uomo
nel
mondo
:
spesso
s
'
impegna
a
prospettare
una
modifica
della
società
che
dovrebbe
salvare
la
società
stessa
dai
mali
che
all
'
utopista
appaiono
più
gravi
e
diffusi
.
Perciò
accade
che
,
in
ogni
disegno
utopistico
,
alcuni
valori
umani
siano
trascurati
o
ignorati
a
vantaggio
di
altri
,
riconosciuti
come
i
soli
importanti
.
Certe
utopie
esaltano
la
libertà
a
scapito
della
giustizia
,
altre
esaltano
la
giustizia
a
scapito
della
libertà
.
Alcune
mettono
sopra
ogni
cosa
il
benessere
,
altre
i
valori
morali
;
alcune
vogliono
la
supremazia
della
tecnica
,
altre
quella
della
religione
.
Ma
in
generale
ogni
utopia
dà
per
scontato
tre
cose
:
l
'
uniformità
delle
aspirazioni
umane
,
l
'
immutabilità
delle
istituzioni
e
la
saggezza
infallibile
dei
governanti
.
Queste
tre
cose
non
esistono
sulla
terra
.
Le
aspirazioni
umane
sono
irriducibilmente
diverse
e
spesso
in
conflitto
tra
loro
;
le
istituzioni
sono
sempre
sottoposte
al
logorio
e
alla
trasformazione
e
anche
lo
sforzo
di
conservarle
finisce
per
modificarle
.
E
i
governanti
sono
raramente
saggi
,
mai
infallibili
.
Ma
il
carattere
che
soprattutto
distingue
l
'
utopia
dal
pensiero
politico
positivo
,
è
la
sua
pretesa
totalitaria
.
Lo
schema
,
in
cui
essa
consiste
,
dovrebbe
inquadrare
e
reggere
la
vita
di
tutto
il
genere
umano
per
tutti
i
tempi
.
Essa
ignora
o
trascura
il
fatto
fondamentale
che
i
problemi
che
concernono
la
vita
umana
nel
mondo
sono
suscettibili
di
soluzioni
diverse
,
e
che
la
scelta
tra
queste
soluzioni
è
e
deve
rimanere
aperta
.
L
'
utopia
si
ispira
costantemente
alla
vecchia
idea
millenaristica
di
una
soluzione
definitiva
,
dopo
la
quale
non
vi
saranno
problemi
.
Essa
intende
far
leva
sulla
storia
e
sulle
sue
incessanti
trasformazioni
per
immobilizzare
la
storia
stessa
in
istituzioni
definitive
,
non
più
trasformabili
.
È
portata
perciò
a
prevedere
un
complesso
di
accorgimenti
che
garantiscano
l
'
immutabilità
dell
'
ordine
finale
e
a
sopravvalutare
la
forza
delle
leggi
o
della
costrizione
politica
per
la
garanzia
di
quell
'
ordine
.
Ogni
utopia
prospetta
una
forma
di
assolutismo
politico
e
ha
la
pretesa
di
rendere
gli
uomini
liberi
e
felici
anche
loro
malgrado
.
Questa
pretesa
costituisce
l
'
aspetto
più
pericoloso
e
urtante
della
mentalità
utopistica
.
Noi
sappiamo
oggi
che
essa
è
completamente
infondata
.
Le
leggi
,
l
'
educazione
,
le
forze
conformistiche
o
costrittrici
di
qualsiasi
genere
possono
determinare
in
larga
misura
il
comportamento
degli
uomini
,
ma
non
possono
infondere
alla
creta
umana
uno
spirito
nuovo
che
duri
nei
secoli
.
L
'
azione
di
quelle
forze
,
costrette
ad
affrontare
sempre
nuove
difficoltà
,
deve
,
per
essere
efficace
,
prendere
nuove
iniziative
,
trovare
nuove
vie
,
inventare
nuovi
procedimenti
;
e
questo
si
può
ottenere
solo
facendo
appello
a
quella
stessa
irriducibile
diversità
e
ricchezza
dei
talenti
,
delle
aspirazioni
e
delle
capacità
umane
,
che
esse
dovrebbero
reprimere
.
Si
dice
che
le
giovani
generazioni
sono
completamente
aliene
da
ogni
sogno
utopistico
e
che
la
loro
mentalità
è
fredda
e
realistica
.
Se
è
così
(
come
parrebbe
da
certi
indizi
)
,
si
tratta
di
una
vera
fortuna
.
L
'
utopia
non
è
oggi
un
aiuto
,
ma
un
ostacolo
alla
ricerca
di
soluzioni
felici
e
durature
dei
nostri
problemi
sociali
e
politici
.
Queste
soluzioni
vanno
oggi
cercate
sulla
base
dei
dati
messi
a
nostra
disposizione
dalle
discipline
scientifiche
e
in
vista
dello
scopo
di
offrire
a
ciascun
membro
del
corpo
sociale
maggiori
opportunità
di
scelte
.
Non
l
'
eliminazione
delle
scelte
o
il
loro
appiattimento
uniforme
in
uno
schema
di
perfezione
fittizia
,
ma
l
'
estensione
delle
scelte
al
massimo
numero
possibile
di
persone
e
la
loro
ricchezza
e
varietà
,
può
essere
oggi
la
direttiva
generale
di
un
pensiero
politico
e
sociale
efficace
.
L
'
utopia
può
incoraggiare
il
fanatismo
o
l
'
entusiasmo
fittizio
,
non
ispirare
la
ricerca
paziente
delle
soluzioni
,
la
loro
messa
a
prova
e
la
loro
correzione
eventuale
.
E
soprattutto
può
far
dimenticare
che
tutti
i
vantaggi
che
la
società
umana
può
conseguire
nel
suo
complesso
hanno
un
loro
prezzo
di
rinunce
e
di
limitazioni
;
e
che
gli
uomini
non
debbono
attenderseli
,
come
un
dono
,
dall
'
avvento
di
un
'
utopia
qualsiasi
,
ma
soltanto
dalla
loro
intelligenza
e
dal
loro
lavoro
.