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Matematica, automi e libertà dell'uomo ( Abbagnano Nicola , 1970 )
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Uno studente ritorna dall ' Università , dopo aver seguito il suo primo corso di psicologia , e scandalizza sua zia dicendole che tutte le attività cui ella si dedica - andare in chiesa , far beneficenza , visitare mostre d ' arte ecc. - sono soltanto surrogati o compensi per la sua mancanza di soddisfazioni sessuali . Dopo averci pensato sopra , la zia gli risponde che , sì , essa è d ' accordo sul principio che tutte le attività sono manifestazioni della libido e che non ha obbiezioni contro il sesso ; soltanto , preferisce le manifestazioni della sessualità cui essa si dedica , a quelle che hanno a che fare con gli organi genitali . La zia non si scandalizza più e il nipote rimane senza risposta . L ' episodio insegna che quando a un concetto o a una parola si tolgono i limiti che lo definiscono nei confronti di altri concetti o parole e si dice che « tutto è questo » o « tutto è quello » , concetto o parola perdono ogni significato e non servono a nulla . Quando si dice che tutte le attività umane sono « sessuali » , « religiose » o « politiche » ecc. non si dice nulla , perché i termini relativi hanno perduto il loro significato specifico e possono riacquistarlo soltanto ridistinguendosi dagli altri . Lo stesso vale per la libertà umana . Che tutte le azioni siano libere o che tutte siano determinate da fattori causali , sono due tesi che tolgono alle parole « libertà » e « determinismo » il loro significato specifico e rendono impossibile stabilire , in ogni caso particolare , se un ' azione è libera o no , determinata o no . Eppure , proprio di un criterio utile a questo scopo abbiamo bisogno per decidere se , e in quali limiti , l ' uomo è responsabile delle sue azioni . Sembra che a misura che si estendono le nostre conoscenze biologiche , antropologiche e sociologiche , il determinismo abbia partita vinta e i limiti della responsabilità umana divengano sempre più ristretti . L ' eredità biologica , l ' ambiente , le condizioni sociali e politiche sono spesso ritenuti fattori determinanti della condotta di individui e gruppi , e anche delle forme più aberranti di tale condotta . Siamo sempre più guardinghi nell ' ascrivere ad un uomo la responsabilità di ciò che ha fatto perché siamo sempre più al corrente dei fattori che hanno potuto determinare la sua azione . Ma che cosa ne è , allora , della libertà ? Il problema è affrontato nell ' opera recentissima del filosofo inglese J . R . Lucas ( The Freedom of the Will , Clarendon Press : Oxford University Press , 1970 ) la cui parte più originale è la discussione di ciò che la matematica moderna può dirci pro o contro la libertà umana . Quest ' argomento è solo apparentemente paradossale . Spinoza diceva già nel XVII secolo che tutte le azioni dell ' uomo seguono dalla sua natura con la stessa necessità con la quale un teorema geometrico segue dagli assiomi della geometria . L ' uomo non può essere o agire diversamente , come non può esser diverso un teorema : è egli stesso un teorema nella grande geometria della Natura . Ma la matematica ha cambiato completamente faccia dai tempi di Spinoza : è diventata molto più astratta e formale , perché prescinde da ogni particolare oggetto ( numeri , figure , quantità ) ed è diventata semplicemente la disciplina che deduce rigorosamente le conclusioni dalle premesse implicite negli assiomi o postulati che costituiscono i suoi punti di partenza . Non importa che tali assiomi o postulati siano « veri » in un senso qualsiasi : importante è che il procedimento matematico derivi con rigore tutti i teoremi che sono impliciti in essi . Con rigore significa : senza mai dar luogo ad una contraddizione , cioè a teoremi che sono incompatibili l ' uno con l ' altro . In questa nuova veste , la matematica si è dimostrata fecondissima : nuovi sistemi di calcolo sono stati inventati e perfezionati e sono applicati nei campi più disparati , che vanno dalla fisica all ' organizzazione industriale e alla costruzione dei computers . Ma , da questo punto di vista , l ' unica cosa che conferisce validità a un qualsiasi sistema di calcolo è la sua coerenza intrinseca , la sua assenza di contraddizioni . Il matematico dovrebbe esser sempre sicuro che un certo calcolo , per quanto condotto avanti e sviluppato , non condurrà mai ad una contraddizione ; se vi conducesse , sarebbe da buttar via . Qui appunto s ' incontra l ' ostacolo . Il matematico non potrà mai avere questa sicurezza . Un teorema stabilito da Gödel nel 1931 , che è uscito indenne da tutte le critiche , stabilisce che nessun calcolo è in grado di provare , con i mezzi di cui dispone , che esso è perfettamente coerente , cioè non condurrà mai a contraddizioni . L ' aritmetica , per esempio , non può provare , aritmeticamente , di essere coerente . In certi casi ( come quello dell ' aritmetica ) , la prova della coerenza si può ottenere ricorrendo ad altri tipi di calcolo logico ; ma , a loro volta , questi calcoli sono sottoposti alla stessa limitazione : non possono provare la loro coerenza , cioè la loro legittimità o validità logica . Su questa conclusione fa leva il libro di Lucas per mostrare che non si può considerare l ' uomo come determinato necessariamente dai fattori causali : perché non può essere identificato o paragonato con un qualsiasi sistema di calcolo . Egli sa infatti di essere coerente , può correggere i suoi errori e le sue incoerenze , scegliere le vie che li evitano e decidere in conformità . Ma non potrebbe far questo se fosse ridotto a un puro calcolo logico . Ma c ' è di più . Il teorema di Gödel significa pure ( secondo una certa interpretazione che è accettata da Lucas , ma non da tutti i cibernetici ) che non si possono costruire macchine o automi che rispondano a tutti i problemi . Si possono costruire automi sempre più perfetti e complessi , che fanno assai meglio e più rapidamente dell ' uomo certe operazioni di calcolo . Ma nessuno di questi automi si sottrarrà alla minaccia rappresentata dal teorema di Gödel : di trovarsi , ad un certo punto , privo di risposta di fronte a un problema nuovo , che metta in giuoco la coerenza del calcolo su cui è fondato . Questo vuol dire , secondo Lucas , che l ' uomo non può essere considerato un automa , cioè che la sua condotta e le sue scelte non possono essere preformate o predeterminate come il determinismo suppone . All ' uomo è essenziale la decisione di essere coerente , di disciplinare il suo pensiero , di stabilire una qualche distinzione tra il vero e il falso . Ma poiché nessuna prova può esser addotta di questa sua razionalità irrinunciabile , questa razionalità è solo una professione di fede , una proposizione di « teologia matematica » . Di essa non si può dar prova ; tuttavia , senza di essa , la condotta dell ' uomo sarebbe stolta , perché egli non potrebbe distinguere tra ciò che è vero e degno di esser creduto e ciò che è falso e va rigettato . Certamente , l ' uomo non può rinunciare all ' uso del principio di causalità che collega insieme tutti i fenomeni e gli dà una veduta d ' insieme , semplice e completa , della natura . Ma , dall ' altro lato , non può rinunciare ad agire secondo ragioni di cui egli stesso è il solo arbitro e giudice , al di fuori di ogni calcolo matematico o logico . Per ogni azione effettuata , l ' uomo può dare le sue ragioni ; non gli è possibile invece dare le ragioni di tali ragioni . Perciò Lucas conclude : « Io rispondo per le mie azioni . Io sono libero di scegliere quello che farò . Ma io , e solo io , sono responsabile per la mia scelta » . Il libro di Lucas è un esempio notevole del modo in cui oggi vengono trattati i problemi della filosofia . Apparentemente , tali problemi sono sempre quelli , i cosiddetti « problemi eterni » sui quali l ' uomo si è affaticato sin dagli inizi della sua riflessione . Ma il modo di trattarli oggi è radicalmente diverso . Essi vengono considerati sul fondamento delle acquisizioni scientifiche più recenti e utilizzando tali acquisizioni per prospettarne soluzioni nuove . Lucas ha messo come epigrafe del suo libro un passo di Epicuro : « Era meglio credere ai miti sugli Dei piuttosto che essere schiavi del destino dei fisici : quelli infatti suggerivano la speranza di placare gli Dei per mezzo degli onori , questo invece ha implacabile necessità » . E questa sembra veramente la conclusione dell ' opera di Lucas : nella quale « l ' implacabile necessità » non è esorcizzata del tutto e la libertà è piuttosto affidata alla « teologia matematica » , cioè a un atto di fede nella razionalità dell ' uomo . Ma così la libertà è ridotta entro i limiti della soggettività umana , dell ' io individuale : sappiamo solo che non è impossibile , non sappiamo ancora cos ' è . Un ' analisi più ravvicinata dovrebbe mostrarcela operante nelle scelte che l ' uomo fa e nelle condizioni oggettive in cui le scelte sono effettuate . Un ' indagine sulla nozione di scelta , sui suoi limiti e sulle possibilità obbiettive che le sono offerte nei vari campi in cui l ' uomo agisce , diventa sempre più urgente , non solo ai fini della scienza e della filosofia , ma anche per mettere l ' uomo di fronte alle sue responsabilità precise .
La divinità e il caso ( Abbagnano Nicola , 1970 )
StampaQuotidiana ,
È proprio vero che il mondo in cui viviamo è il prodotto del semplice caso ? Dobbiamo proprio credere alla scienza che , dopo aver espulso ogni ordine necessario dalla fisica , tende ora a espungerlo anche dalla biologia che , mostrandoci la complessità e la perfezione degli organismi viventi , sembrava testimoniare la presenza di un disegno finalistico , di un programma diretto alla conservazione e all ' arricchimento della vita dell ' universo ? Non dobbiamo piuttosto ricorrere a considerazioni di metafisica e tecnologia che ci consentano di intravedere nel mondo quell ' ordine , quella finalità , quel disegno che la scienza rifiuta ? Queste e molte altre domande mi sono state rivolte a proposito di un articolo pubblicato su queste colonne il 29 novembre 1970 dal titolo . « Dunque l ' universo non è programmato » , articolo che prendeva lo spunto dal libro del biologo francese Jacques Monod Il caso e la necessità ora apparso anche nell ' edizione italiana . Una delle lettere giuntemi è un vero e proprio saggio di trentadue pagine di Valentino Azzolini . Ma ora un articolo di Gustavo Bontadini apparso su L ' educatore italiano del 15 marzo sottopone quel mio articolo a una critica tanto acuta e stringente quanto rispettosa e cordiale . Rispondendo a questa critica , risponderò , almeno parzialmente , anche alle altre critiche che mi sono state rivolte . Innanzitutto , non sembra che la filosofia possa allegramente infischiarsi della scienza ; in realtà non l ' ha mai fatto . La scienza non risolve certo tutti i problemi dell ' uomo , ma offre i dati di fatto indispensabili per affrontarli con qualche probabilità di successo . Ciò che vale nella vita di ogni giorno , vale in filosofia : se mi dispongo a fare una spesa , devo prima farmi i conti in tasca , cioè ricorrere all ' aritmetica . Potrò scegliere le spese da fare ma , senza quel conto , mi troverò nei pasticci . Così la filosofia : può elaborare concetti e dottrine , avanzare ipotesi più o meno convincenti , ma non prescindere dai risultati della scienza se non vuole avventurarsi in fantasie inconcludenti e parlare di cose che , rigorosamente parlando , non esistono . La scienza può mutare i suoi risultati , come giustamente osserva Bontadini ; ma anche la filosofia muta le sue dottrine e i filosofi che Bontadini cita , Teilhard de Chardin e Bonhoeffer , ci offrono dottrine diverse da quelle di Sant ' Agostino e di San Tommaso , pur ispirandosi alla stessa tradizione religiosa . La scienza oggi si avvale del caso per elaborare le sue ipotesi esplicative e i suoi calcoli . Bontadini dice che questo significa « la nostra ignoranza del profondo determinismo della natura , del suo programma universale » piuttosto che « l ' esistenza - la verità - dell ' indeterminazione , della casualità » . Ma come si possono elaborare dottrine e prospettive , effettuare scelte e orientarsi , in filosofia o nella vita , sulla base di ciò che ignoriamo ? Anche una debole lanterna val meglio del buio per procedere su un sentiero sconosciuto . Ma Bontadini non si mantiene coerente a questa riduzione del caso all ' ignoranza . Egli aggiunge subito che « nessuno può vietare a Dio di giocare ai dadi » : e se è così , il caso non è la nostra ignoranza , ma la natura stessa del mondo , voluta e stabilita da Dio . E proprio su questo punto Bontadini fa leva per la sua difesa della metafisica teologica tradizionale : « Quella conseguenza - se il mondo fosse creato da Dio allora dovrebbe essere " ordinato " nel senso che sappiamo - non sussiste : Dio può creare il mondo come gli pare e piace , nessuno può vietargli di " giocare ai dadi " ( per ciò che riguarda la storia della natura e senza che venga meno la Sua Provvidenza ) » . Sta veramente qui il punto cruciale . Quale significato possono avere l ' esistenza e la provvidenza di Dio in un mondo dominato dal caso ? Quale indizio , segno o prova , questo mondo può offrire di esse ? Non si tratta di « vietare » a Dio di giocare ai dadi : si tratta di vedere come in un giuoco di dadi si può scorgere la presenza di Dio o l ' azione della sua provvidenza . Qui comincia veramente il problema filosofico . E mi sembra paradossale dover ricordare a Bontadini , cultore emerito della metafisica tradizionale , che tutte le prove da essa fornite dell ' esistenza di Dio e soprattutto quelle passate attraverso il vaglio di S . Tommaso , sono fondate sull ' ordine e sulla finalità del mondo , sulla necessità della catena causale , sulla gerarchia perfetta e sulla connessione necessaria degli esseri dell ' universo . Se il mondo è un giuoco di dadi , queste prove vanno a gambe all ' aria . Non ce n ' è una che regga , dal punto di vista in cui Bontadini si mette . Che valore può essere allora riconosciuto a quella metafisica tradizionale che Bontadini intende difendere ? Si possono certo tentare altre vie . Si può , per esempio , tentare di scorgere , nell ' infinitamente vario e complesso gioco di dadi che è il mondo , una mano maestra che , alla lunga o alla lontana , come quella di un grande giocatore professionista , riesca a dirigere il gioco e a indirizzarlo ai suoi fini . Questi tentativi non sono stati fatti finora . Bontadini potrebbe intraprenderne qualcuno perché ne ha la capacità ; e , quando l ' avrà elaborato , potremo discuterlo . Ma per ora siamo lasciati a mani vuote . Affermare che Dio può avere creato tanto un mondo deterministicamente o casualmente ordinato quanto un mondo indeterministico , significa semplicemente togliere ogni significato all ' esistenza di Dio . Che cosa è Dio , allora ? Non l ' essere necessario , non la causa prima , non il primo motore , non l ' essere perfettissimo , non l ' onnipotente : perché tutto ciò che egli fa è solo il risultato di una gettata di dadi . Forse questi dadi sono truccati ; ma bisogna averne una prova o almeno darne un indizio . E si ritorna da capo al problema del caso . Non si tratta perciò di una scelta fra la scienza e la metafisica e neppure fra ateismo e teismo . Si tratta di elaborare dottrine filosofiche , che non si risolvano in una negazione dei fatti meglio accertati e delle ipotesi più probabili . Sarebbe certo assai consolante per l ' uomo credere di vivere in un mondo amichevole , che si prenda cura di lui e gli garantisca la sopravvivenza e il successo . Ma la metafisica tradizionale si è rivelata incapace di dare un fondamento a questa credenza ; e molti teologi e spiriti religiosi ne hanno preso atto . Giacché , quanto alla fede , essa è certamente fuori questione e continua ad offrirsi all ' opzione degli uomini . Basta non dimenticare che la fede si può perdere come si può acquistare . D ' altronde , se non è vietato a Dio di giocare ai dadi , perché dovrebbe essere vietato all ' uomo ?
Superman assente ( Abbagnano Nicola , 1970 )
StampaQuotidiana ,
L ' organismo vivente è programmato come un calcolatore elettronico . Come un calcolatore , esso ha una memoria costituita dai messaggi ereditari che gli vengono trasmessi , attraverso i geni , dai suoi genitori ; e , come il calcolatore , è costituito da un progetto cioè da un piano che regola fino ai minimi particolari la sua formazione . Per queste analogie , la teoria dell ' informazione trova eguale applicazione nella cibernetica e nella biologia . Ma esistono anche differenze sostanziali tra il programma cibernetico e il programma genetico . Il primo si può modificare a volontà , perché l ' informazione registrata su nastro magnetico si aggiunge o si cancella a seconda dei risultati ottenuti ; il secondo invece , iscritto com ' è nella struttura stessa della cellula , non può essere modificato dall ' esperienza e resta quindi immutato nel succedersi delle generazioni . Le istruzioni della macchina non regolano la sua struttura fisica e i pezzi che la compongono ; quelle dell ' organismo invece regolano la produzione degli stessi organi incaricati dell ' esecuzione del programma . Anche se fosse possibile costruire una macchina capace di riprodursi , essa darebbe luogo soltanto a copie esatte di se stessa e dopo qualche generazione degenererebbe verso il disordine statistico . L ' essere vivente , invece , non è mai la copia dei genitori quali sono al momento della procreazione : è un essere nuovo , che ripercorre nell ' intero ciclo la vita dei genitori . Il programma genetico , inoltre , non è mai assolutamente rigido : spesso impone soltanto limiti all ' azione dell ' ambiente sull ' organismo o dà a quest ' ultimo il potere di reagire in un certo modo all ' ambiente . Nell ' ampliarsi di questi limiti , nella loro maggiore elasticità si può scorgere la direzione verso cui muove l ' evoluzione , nonostante i suoi errori , i suoi vicoli ciechi e il suo procedere a caso . Tale almeno è l ' opinione di François Jacob ( La logica del vivente , ed. Einaudi ) che ebbe nel 1965 il Premio Nobel insieme con Jacques Monod , l ' autore di Il caso e la necessità pubblicato quasi contemporaneamente a questo libro . L ' evoluzione , secondo Jacob , è caratterizzata dalla sua « apertura » , dalla sua tendenza a rendere più elastica l ' esecuzione del programma genetico , che permette all ' organismo di sviluppare i suoi rapporti con l ' ambiente e di estendere il suo raggio d ' azione . Questo è proprio ciò che è avvenuto , al grado massimo , nell ' uomo e ha reso possibile la costruzione di quel mondo della cultura che è un nuovo livello di vita ed è capace di reagire sulla stessa evoluzione biologica : « Di tutti gli organismi viventi , scrive Jacob , è l ' uomo quello che possiede il programma genetico più aperto ed elastico . Ma dove si arresta l ' elasticità ? In quale misura il comportamento umano è prescritto dai geni ? A quali restrizioni ereditarie è sottoposto lo spirito umano ? » . Queste domande sono lasciate da Jacob senza risposta perché , allo stato attuale degli studi , non possono averne . Non si conoscono , in altri termini , con esattezza i gradi di libertà che il codice genetico consente all ' uomo : non si ha quindi un criterio sicuro per discernere , tra le possibilità diverse che la sua vita culturale gli fa intravedere , quelle che la sua organizzazione biologica gli consente di realizzare e quelle che esclude . Ma un punto , tuttavia , è chiaro per Jacob come per Monod . Lo sviluppo culturale ha annullato o estremamente limitato la funzione della selezione naturale nella trasformazione dell ' uomo . Monod ha insistito sulle conseguenze disastrose che ha nella nostra società la soppressione della selezione naturale che favoriva , nelle età precedenti , la sopravvivenza del più adatto . E , come rimedio , ha proposto la « selezione delle idee » cioè la eliminazione di tutte le credenze e le ideologie che contrastano con l ' obbiettività e la serenità della conoscenza scientifica e minano i valori su cui essa si fonda . Jacob invece rimane estraneo a questo umanesimo scientifico . Da un lato , infatti , è meno dogmatico di Monod nel riconoscere carattere definitivo allo stato attuale della scienza . « Oggi , egli dice , viviamo in un mondo di messaggi , di codici , di informazione . Quale ulteriore analisi scomporrà domani gli oggetti della nostra conoscenza per ricomporli in una nuova dimensione ? Quale nuova bambolina russa ne emergerà ? » . Sono le ultime parole del suo libro . Dall ' altro lato , Jacob dà più credito a quella che oggi si chiama l ' « ingegneria genetica » . Ritiene possibile che un giorno si potrà intervenire sulla costruzione del programma genetico per correggere certi difetti e inserire alcune aggiunte : che si riuscirà forse anche a produrre , a volontà e nel numero di esemplari desiderato , la copia esatta di ogni individuo : un uomo politico , un artista , una reginetta di bellezza , un atleta . Monod respinge nelle chimere fantascientifiche queste alternative . « Si potranno , egli dice , trovare palliativi per certe tare genetiche , ma solo per l ' individuo colpito , non per la sua discendenza . La genetica molecolare moderna non solo non ci offre alcun mezzo per agire sul patrimonio ereditario e arricchirlo di caratteri nuovi , per creare un superuomo genetico , ma ci rivela la vanità di questa speranza : la scala microscopica del genoma vieta per il momento e forse per sempre tali manipolazioni . » Questi opposti punti di vista di due scienziati , che condividono la stessa impostazione generale della biologia e lavorano nello stesso campo , riflettono il contrasto di opinioni che si è venuto determinando nel mondo moderno intorno al futuro della scienza e della tecnologia in generale . Gli ottimisti ritengono che alla scienza è affidato il futuro dell ' uomo perché essa sarà capace di migliorare la qualità della vita e di consolidare la dignità dell ' uomo . I pessimisti prevedono per l ' uomo e per il suo ambiente le conseguenze più disastrose dal rafforzamento e dall ' ampliamento dei mezzi tecnici della scienza . Il pubblico grosso sembra inclinare al pessimismo : il numero degli astrologi , dei maghi , di coloro che difendono contro la scienza le vecchie concezioni animistiche e antropomorfiche dell ' universo , è in crescente aumento . L ' oscillazione , dalla quale l ' umanità è sempre stata tentata , fra il tutto e il nulla , trova in questi atteggiamenti la sua espressione più critica . O la scienza è tutto , cioè è capace di risolvere tutti i problemi presenti e futuri dell ' uomo ; o non serve a nulla ed è meglio ritornare alle antiche credenze . Questa alternativa è puerile e pericolosa . La scienza , certo , non è tutta la vita dell ' uomo , la sua forma attuale non è quella definitiva e , molto probabilmente ( se è vera la lezione del passato ) una forma definitiva non l ' avrà mai . Ma , dall ' altro lato , la rinunzia alla scienza porrebbe l ' uomo completamente allo scoperto di fronte ai pericoli che lo minacciano da ogni parte . Quel certo grado di conoscenza obbiettiva , che l ' uomo ha saputo conquistare attraverso una lunga vicenda di pericoli e di lotte è ancora lo strumento migliore di cui dispone per la sua sopravvivenza . Occorre solo che continui a coltivarlo , che non lo ritenga perfetto e che soprattutto impari a servirsene nei modi che sono più conformi al suo benessere e alla sua dignità . E , per quest ' ultimo scopo , la « saggezza » , di cui gli antichi parlavano , è certamente essenziale : una saggezza che ignori il tutto ed il nulla , che sia fatta di modestia e costanza , e soprattutto riconosca i limiti e gli autentici bisogni dell ' uomo .
Arte contro religione ( Abbagnano Nicola , 1970 )
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A chi abbia anche una scarsa familiarità con l ' arte contemporanea può apparire sorprendente la definizione che György Lukács dà dell ' arte nella sua Estetica ( 1600 pagine ora tradotte presso l ' Editore Einaudi : il solo primo volume dell ' opera che dovrebbe comprenderne altri due ) : l ' arte è il rispecchiamento della realtà . Coloro che visitino qualche galleria o mostra d ' arte contemporanea o siano appena al corrente della varietà di indirizzi , di stili e di gusti che sono proposti , difesi e illustrati da artisti e da critici , si rendono subito conto che « il rispecchiamento della realtà » è ciò di cui l ' arte contemporanea si preoccupa meno , anche quando non lo rifiuta esplicitamente o non lo disprezza come una degradazione dell ' arte . E , d ' altronde , non è quello un altro nome dell ' imitazione ( o mimési ) che già Platone e Aristotele consideravano come la sola funzione dell ' arte e che l ' estetica moderna , da Vico in poi , ha combattuta e respinta ? Lukács ritiene che non solo l ' arte , ma tutta la vita umana , in tutti i suoi aspetti , non fa che rispecchiare la realtà . Solo questa tesi , egli dice , consente di respingere definitivamente l ' idealismo , che considera la realtà come la creazione della coscienza . E solo il rifiuto dell ' idealismo consente di negare alla realtà il carattere sovratemporale o atemporale , cioè « eterno » , e di considerarla come mutamento e divenire , cioè come storia . L ' intera opera di Lukács è stata e rimane diretta soprattutto alla difesa dello storicismo ; cioè di una concezione che vede nel mondo una realtà che si sviluppa e diviene con un ritmo razionale o dialettico e che perciò coincide con lo sviluppo e il divenire della Ragione . Non per nulla egli è stato frequentemente accusato di idealismo da parte dei suoi critici marxisti e non marxisti , nonostante le sue pretese di essere un materialista seguace di Marx e Lenin . Ma , dal suo punto di vista , l ' arte non è rispecchiamento nel senso di essere la copia fotografica della realtà . La realtà è in continuo mutamento per opera del lavoro umano , e della scienza che ne continua e rafforza l ' azione . L ' arte rispecchia a ogni istante questo mutamento , lo simboleggia , quale esso è qui e ora , e ne coglie la radice profonda che sta nella stessa umanità dell ' uomo . Quando Lukács dice che l ' arte rispecchia la realtà , intende per « realtà » il rapporto indissolubile uomo - mondo . Questo rapporto è mediato dal lavoro . Una cosa naturale diventa un oggetto solo in quanto diventa oggetto di lavoro o mezzo di lavoro , sicché solo con il lavoro nasce un autentico rapporto tra l ' uomo e il mondo . Lukács su questo punto non vede alcuna differenza tra Hegel e Marx : afferma che « solo la teoria hegeliano - marxiana dell ' autocreazione dell ' uomo attraverso il proprio lavoro » ha messo in luce il principio che ( secondo le parole di Gordon Childe ) « l ' uomo crea se stesso » . Il rispecchiamento dell ' arte è allora il rispecchiamento di questa autocreazione : e cioè la via , sia pure obliqua , approssimativa e imperfetta , attraverso la quale l ' umanità giunge alla propria autocoscienza . Anche quando l ' arte rappresenta , o si propone di rappresentare , cose o eventi del mondo naturale , pretendendo di esserne la semplice copia fotografica , essa include nel suo prodotto ( sia esso romanzo , poesia o raffigurazione ) un rapporto inscindibile della cosa o dell ' evento con l ' umanità e precisamente con quel momento della storia di essa , cui l ' artista appartiene . « L ' oggetto di questo rispecchiamento - scrive Lukács - deve apparire non soltanto come è in sé , ma anche come momento dell ' interazione fra società e natura , fra le sue cause e le conseguenze nella società . Nella posizione degli oggetti , comprende quindi anche il rapporto umano , la reazione umana agli oggetti stessi . » Non è indispensabile che l ' artista abbia consapevolezza di questo rapporto , che è l ' oggetto autentico della sua arte , giacché anche se lo nega , esso è presente a lui come uomo che vive tra gli altri uomini e nel mondo . Ma se tutta la vita è un rispecchiamento della realtà , in che modo l ' arte si distingue dalle altre forme dell ' attività umana , e per esempio dalla scienza ? Fin dai suoi primordi nel mondo greco , la scienza ha cercato di « disantropomorfizzare » il mondo , cioè di interpretarlo prescindendo da ogni carattere o attività umana . Questo disantropomorfizzare conferisce alla conoscenza scientifica la sua validità oggettiva e ne fa uno strumento indispensabile per l ' esistenza umana nel mondo : ma essa accentua pure il distacco , anzi la frattura , tra il rispecchiamento scientifico e il rispecchiamento estetico . La scienza vede nella natura un oggetto completamente indipendente e staccato dall ' uomo ; l ' arte vede nella natura un oggetto che è in rapporto essenziale con l ' uomo : un rapporto sociale , perché mediato dal lavoro e dalle relazioni tra gli uomini che il lavoro comporta . Perciò l ' oggetto , di cui si occupa l ' arte , non è la natura nella sua universalità né l ' individuo nella sua particolarità : è piuttosto un tipo nel quale il rapporto uomo - natura si specifica in un dato momento della storia . Ma , dall ' altro lato , l ' arte si allea alla scienza contro la religione in quanto entrambe tendono ad eliminare dal mondo il soprannaturale , l ' eterno , il trascendente . La scienza e l ' arte , secondo Lukács , sono gli organi creati dall ' umanità per se stessa , per conquistarsi la realtà , per sottometterla , per trasformarla in un possesso durevole e sempre disponibile del genere umano . Ma la scienza può procedere su questa via solo fino ad un certo punto : si rifiuta di dare una « visione del mondo » , si avvale soprattutto di astratti strumenti o di modelli matematici , e così lascia ancora libero il campo al bisogno religioso . Solo l ' arte può liberare definitivamente l ' uomo da tale bisogno e realizzare la catarsi definitiva . Solo la catarsi estetica rivelerà all ' uomo la sua vera essenza , facendogli vedere che la storia è fatta da lui stesso , e non da una forza trascendente , e dandogli l ' autocoscienza che gli permette di viverla e di parteciparvi in quanto lotta di forze e debolezze umane , di virtù e di vizi umani . Lukács identifica perciò l ' avvenire socialista della società umana con il trionfo dell ' arte . Solo l ' arte porta l ' uomo alla coscienza dei suoi rapporti con gli altri uomini , gli fa scorgere la propria essenza e gli consente di rispondere al vecchio imperativo del « conosci te stesso » . Ma « conoscere se stesso » significa per l ' uomo riconoscersi come l ' unico Soggetto della storia , come la vera e sola divinità che domina e dirige lo sviluppo progressivo della società umana . Come autocoscienza dell ' umanità , l ' arte non solo tende a eliminare il bisogno religioso che fa appello a una Realtà trascendente , sia pure indefinita o indefinibile , ma anche limita e subordina a sé le altre attività umane , il lavoro e la scienza . E perché non l ' economia e la politica ? Questa estetica di Lukács non è un ' analisi dei fenomeni artistici ma un sistema di filosofia che , sulla scia del romanticismo del secolo scorso , scorge nell ' arte il solo strumento adeguato per la conoscenza dell ' Assoluto . Le strutture economiche e sociali , per quanto episodicamente richiamate da Lukács , perdono ogni importanza in questo contesto . Sembra che tutte le speranze dell ' uomo , per uscire dalle strettoie in cui oggi si trova e dai conflitti che lo tormentano , debbano appuntarsi sull ' arte . Ma questa esaltazione dell ' arte , questa specie di delirio idealistico , non è una fuga dalla realtà più che esserne il rispecchiamento ?
L'arte e il caso ( Abbagnano Nicola , 1970 )
StampaQuotidiana ,
Un bambino galoppa fieramente su un manico di scopa come su di un cavallo : questa è la prima o più lontana radice dell ' arte , secondo Ernst H . Gombrich , uno dei più colti e acuti storici e interpreti contemporanei dell ' arte , un cui volume di saggi è stato ora pubblicato in italiano ( A cavallo di un manico di scopa , Saggi di teoria dell ' arte , ed. Einaudi , 1971 ) . La radice dell ' arte non è ancora l ' arte : il manico di scopa non è ancora un ' immagine artistica , è soltanto un sostituto del cavallo . Ma se il bambino sente il bisogno di aggiungere due occhi , un muso , due orecchie affinché il suo manico di scopa si avvicini alla rappresentazione comune del cavallo , l ' arte comincia a nascere nella sua forma primitiva che è quella appunto dell ' immagine , e non è più un surrogato dell ' oggetto reale , ma qualcosa che lo evoca o lo simboleggia richiamandone i tratti . Nello scegliere e nel segnare questi tratti , l ' artista non è mai l ' occhio innocente che vede il mondo qual è : se fosse tale , sarebbe paralizzato e travolto dal caos di forme e di colori che gli si para dinanzi . Non può allora che assumere come punto di partenza « il vocabolario convenzionale delle forme basilari » , cioè gli schemi o le forme che trova già bell ' e fatti nel mondo comune di percepire e rappresentare le cose e che è proprio del mondo o della civiltà cui appartiene . E così , secondo Gombrich , appena uscita dalla fase del cavalluccio a manico di scopa ( la fase del surrogato ) , l ' arte acquista la libertà di scegliere i tratti da fissare nell ' opera e deve fare appello alla collaborazione di chi la contempla , affinché questi possa evocare , sulla falsariga dei suggerimenti che essa gli dà , l ' immagine concettuale che gli sta davanti . « La macchia che nel dipinto di Manet - dice Gombrich - sta a rappresentare un cavallo , è altrettanto lontana dall ' imitarne la forma esterna quanto lo è il nostro cavalluccio a manico di scopa . Eppure Manet l ' ha congegnata con tanta abilità che essa evoca per noi l ' immagine di un cavallo ; a patto , beninteso , che ci sia la nostra collaborazione . » Il passaggio dal surrogato di un oggetto utilizzabile ( come sarebbe il manico di scopa che fa da cavallo ) ad un ' immagine rappresentativa della realtà veduta o sperimentata ( cioè all ' arte naturalistica ) segna perciò , secondo Gombrich , l ' inizio della libertà dell ' artista . Esso infatti elimina l ' esigenza di incorporare nella sua opera tutti i tratti essenziali dell ' oggetto e fa di essa « un appunto che fissa ciò che l ' artista ha visto o avrebbe potuto vedere » e che lo spettatore , partecipando al gioco , completa con la sua fantasia , aggiungendovi i tratti che l ' oggetto reale possiede . Il che vuol dire che , proprio quando l ' arte si propone di rappresentare la natura o i procedimenti naturali , l ' arte perde la sua passività nei confronti della natura stessa , acquista la libertà di scegliere tra gli infiniti tratti che possono caratterizzare un oggetto e fa appello alla libertà interpretativa dello spettatore . Questa conclusione è solo apparentemente paradossale , perché la psicologia moderna ha mostrato che la percezione degli oggetti naturali non è la registrazione passiva di essi , ma piuttosto una costruzione attiva che utilizza , a seconda dei casi , questo o quel tratto caratteristico ; e che questa costruzione tende a fissarsi in forme convenzionali più o meno accettate da tutti , esattamente come le parole della lingua corrente . Alla psicologia , come alla psicanalisi , allo strutturalismo e alla teoria dell ' informazione , il Gombrich attinge per rispondere in modo non sempre chiaro , ma sempre suggestivo , alle domande cruciali che oggi si pongono sulla natura dell ' arte . È , l ' arte , assoluta libertà creativa ? È l ' espressione del sentimento ? O è invece comunicazione e trasmissione di messaggi ? Alla prima domanda , la risposta è già implicita in quanto si è detto . L ' arte non è , come voleva Schopenhauer , il « puro occhio del mondo » che guarda le cose con perfetta innocenza ; e non è neppure la creazione dal nulla di un mondo nuovo . È , in ogni caso , una costruzione artigianale che attinge dalla natura i suoi materiali , scegliendoli e combinandoli assieme . Ma neppure in questa scelta e combinazione l ' artista è assolutamente libero . Le forme convenzionali che gli oggetti hanno assunto nella percezione comune e nell ' arte del suo tempo lo condizionano , anche se egli tenta di reagire ad esse e di trasformarle . Gombrich cita l ' osservazione di Wòlfflin che tutti i quadri devono di più ad altri quadri che non alla natura ; e per suo conto osserva che anche l ' artista che si strugge dal desiderio di sottrarsi alla convenzionalità rivela , perciò stesso , l ' importanza che la convenzionalità delle forme ha per la sua opera . In secondo luogo , la vecchia definizione romantica dell ' arte come « linguaggio delle emozioni » non rende conto della struttura delle opere d ' arte ; né l ' artista dispone di mezzi infallibili per comunicare le sue emozioni , di un equivalente naturale , quasi mandato da Dio , tra la loro totalità e le forme in cui esse si esprimono . Egli sceglie nella sua tavolozza , fra i colori disponibili , quello che gli sembra che si accosti di più all ' emozione che desidera esprimere ; ma molti degli strumenti tecnici di cui l ' arte si è avvalsa a questo scopo son nati forse per caso e potrebbero essere sostituiti da altri . Così è probabile , ad esempio , che il nero sia interpretato come espressione di tristezza , solo se si sa già che esiste una scelta fra due possibilità di cui una esprime tristezza e l ' altra gioia . L ' esistenza di possibilità diverse , note sia all ' artista che allo spettatore , avvicina l ' opera d ' arte al messaggio di cui parla la teoria dell ' informazione : giacché tali possibilità costituiscono il codice comune all ' artista e allo spettatore . In generale , i messaggi contengono informazioni solo in virtù della loro capacità selettiva : agiscono sulle possibilità alterne che costituiscono il dubbio di chi le riceve . L ' artista può presentare questi messaggi in cifre volutamente imbrogliate fino a renderli inintelligibili e così scuote l ' inerzia delle nostre convenzioni e il torpore delle nostre abitudini . Ma né comunicazione né espressione possono funzionare nel vuoto . « Tanto chi trasmette come chi riceve ha bisogno di essere guidato , nella giusta misura , dice Gombrich , da una schiera di possibilità alterne fra le quali una scelta può diventare espressiva . » O , in altri termini , un artista può infrangere una certa struttura o riformare un certo codice di messaggi solo proponendone altri , seppure in forma approssimata od oscura e suscettibile d ' interpretazioni diverse . Da questa trama concettuale , che regge i saggi di Gombrich , il quale ( è bene notarlo ) non muove da alcuna pregiudiziale contro questa o quella forma dell ' arte contemporanea , emerge una constatazione che Gombrich stesso ha fatto solo di sfuggita : il riconoscimento della funzione del caso nell ' arte . Non è solo la fisica o la biologia , l ' informatica o la teoria dei sistemi , che devono ammettere l ' esistenza del caso : anche la teoria dell ' arte lo esige . Oggi come non mai , l ' arte cerca nuove forme di espressione e di comunicazione , nuove finestre da cui guardare il mondo : procede per tentativi il più delle volte condotti a caso , in tutte le direzioni possibili , cercando di stabilire codici interpretativi più o meno chiari che possano sostituire quelli già esistenti . Come tutti i tentativi , alcuni possono riuscire e altri no : l ' arte si appiglia a tutte le possibilità disponibili e cerca di scoprirne di nuove . Il suo successo non è garantito in anticipo . Giustamente Gombrich si pronunzia contro la credenza nella « marcia inesorabile del progresso » , secondo la quale tutto ciò che è nuovo sarebbe un passo in avanti . Si tratta invece di esplorare e sperimentare , esattamente come si fa nella scienza , anche se il criterio della riuscita non è così preciso come quello che la scienza pretende . Inoltre il successo di un esperimento non sempre coincide con il plauso del pubblico . Ma in ogni caso , per l ' arte come per la teoria dell ' arte , si tratta di trovare possibilità interpretative e espressive che siano realmente tali e ogni opera d ' arte è una specie di test che mette a prova il valore di queste possibilità . Nel mondo del caso , anche l ' arte cerca una qualche struttura o un qualche ordine , che però rimane instabile e non elimina mai del tutto il pericolo dell ' insuccesso e della frustrazione .
Tra stregonerie vecchi e nuove ( Abbagnano Nicola , 1970 )
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Si crede comunemente che la stregoneria sia un insieme di credenze superstiziose , proprie di società primitive o ( come si diceva ) di « popolazioni selvagge » ; e si potrebbe credere che , nel nostro tipo di civiltà , sia un ricordo del passato , oggetto solo di interesse storico o di curiosità svagata . Gli ultimi processi alle streghe furono infatti celebrati in Europa prima della Rivoluzione francese ( circa due secoli fa ) ; e sebbene il maccartismo , per la sua persecuzione indiscriminata contro tutti i sospetti di comunismo , sia stato chiamato « la caccia alle streghe » e come tale rappresentato dal commediografo Arthur Miller ( The Crucible , 1952 ) , l ' espressione si intese in senso metaforico o approssimato . Infatti in un ' epoca come la nostra , dominata dal razionalismo scientifico e tecnologico e in cui autentici prodigi sono realizzati da macchine perfezionate e da procedimenti ingegnosi di cui si conosce esattamente la logica e il funzionamento , sembra assurdo che si continui a credere a influenze o poteri occulti , di cui certi uomini o donne siano dotati e che siano capaci di infliggere agli altri danni immeritati . Ma gli antropologi moderni , a differenza degli antichi viaggiatori , che si limitavano a descrivere i costumi dei popoli visitati e a scandalizzarsi quando li trovavano diversi dai loro , cercano di capire la funzione che credenze e istituzioni esercitano nella società in cui vigono , di scorgerle nella struttura complessiva di tali società e determinare il bisogno a cui rispondono o il fine che , più o meno palesemente , tendono a raggiungere . Così hanno fatto per la stregoneria che , a partire da un ' opera classica di EvansPritchard ( 1937 ) , è stata sottoposta , sulla base di una documentazione sempre più larga , ad analisi e a considerazioni teoriche le quali dimostrano che le sue radici affondano più che in un certo tipo di cultura o di società , nella stessa realtà umana . In primo luogo , si distingue oggi la stregoneria dalla magia , che è un ' arte e una scienza presunta , la quale si può insegnare o imparare e ha quindi i suoi « dottori » . La stregoneria invece consiste in un naturale potere malefico , innato in certe persone , di danneggiare gli altri in modo misteriosamente segreto . Per via di questa segretezza , lo stregone o la strega opera di notte , cioè al buio ; e sempre per malizia o dispetto più che per sete di guadagno . Commette atti che vanno contro tutti i canoni stabiliti nel gruppo umano in cui vive : incesto , bestialità , antropofagia , violazione di tombe . Preferisce andar nudo e deporre i suoi escrementi nel luogo dove abita . Questi e altri particolari pittoreschi si raccontano sulle streghe nei paesi in cui ci credono . Questi paesi sono ancora molti in Africa , in Oceania e in America . Molti Stati africani modernizzati hanno tolto la stregoneria dal novero dei reati legalmente perseguibili ; ma la credenza persiste . Quali ne sono i fondamenti ? In primo luogo , l ' esistenza del male nel mondo ; infatti in un mondo perfettamente ordinato o sorretto da un ' unica forza benefica , la stregoneria non troverebbe posto . In secondo luogo , l ' attribuzione dell ' origine del male al potere occulto di alcune persone . Quest ' attribuzione è l ' aspetto più importante della stregoneria perché consente di esercitare la sua funzione fondamentale , che è quella di salvare l ' ordine morale in cui si crede e in generale il sistema di istituzioni , di tecniche e di credenze in cui esso consiste . Se qualcosa va male nel mondo , la causa del male non risiede nell ' ordine riconosciuto , ma nell ' influenza occulta di individui sospetti . Se uno ha coltivato il suo campo nel modo tradizionale e non ha ottenuto il raccolto sperato , può , attribuendo la causa di questo evento a un potere malefico , esimersi dal sottoporre a critiche e a revisioni il suo metodo di coltivazione . Se una malattia non risponde a un determinato trattamento , la colpa sarà del malocchio o del maleficio lanciato da qualcuno , non dell ' insufficienza del trattamento stesso . Così ogni fallimento o insuccesso non metterà in crisi il sistema delle tecniche e dei valori riconosciuti : quindi , la delusione , l ' odio e l ' ostilità per i danni subiti troveranno , nella stregoneria , un canale di sfogo che lascerà intatta la struttura d ' insieme del gruppo sociale . Allo stesso modo , chi si è visto abbandonare dalla moglie che è fuggita con un altro dirà : « Quell ' individuo l ' ha stregata » piuttosto che riconoscere la sua incapacità di conservarsi l ' affetto della moglie e il suo fallimento di marito . Da un punto di vista più generale e filosofico , si può dire che il ricorso alla stregoneria in una forma o nell ' altra è proprio di tutti i modi di vita che non conoscono alternative e non offrono scelte ; che costituiscono totalità chiuse , di cui nessuna parte o elemento può essere mutata o corretta senza far crollare tutto l ' insieme ; e che perciò sono portati a sacralizzare le credenze su cui si fondano e a considerare con angoscia e terrore ogni comportamento che costituisca per esse una potenziale minaccia . Se tutto questo è vero ( e non c ' è ragione di dubitarne ) , l ' interesse crescente per la stregoneria nel mondo moderno , la reviviscenza , sia pure sporadica , di pratiche e culti diabolici , non sono il segno di una trasformazione radicale della nostra società e della sua fine imminente , ma piuttosto quello di un irrigidimento delle sue strutture tradizionali : cioè un canale di sfogo dello spirito di ostilità o di aggressione che la travaglia , o , in parole povere , una scusa per mantenerla immutata . Ma è dubbio che nella nostra società stia rinascendo la credenza nella stregoneria o ci siano le condizioni per una tale rinascita . Nelle società primitive è questa credenza che conta , perché è essa ad esercitare la funzione di raccolta e di sfogo delle ostilità interurbane e quindi della conservazione della struttura totale . Ciò che la cronaca odierna documenta è , invece , una imitazione reale delle azioni presunte della stregoneria : omicidi gratuiti , attentati , orge sessuali , violenze senza scopo . « Imitazione reale » la chiamo , perché perseguita non per via di misteriosi poteri , ma con mezzi reali , adatti allo scopo . Ciò che quindi veramente rimane della stregoneria nel mondo moderno è una negazione totale che si oppone ad una affermazione altrettanto totale . La stregoneria rappresenta infatti , nelle società in cui è stata ed è un ' istituzione vivente , la negazione totale di tutto il sistema dei valori su cui tali società si fondano ; e provoca pertanto la riaffermazione e la conservazione di tale sistema . Affermazione e negazione totali sono le due facce indivisibili di una stessa realtà : si richiamano e si condizionano a vicenda . Nel loro insieme , costituiscono un ostacolo pressoché insormontabile a ogni novità o sviluppo autentico , perché escludono la ricerca di nuove soluzioni dei problemi umani , delle possibilità reali che una situazione presenta di essere mutata o corretta , delle alternative nuove che si prospettano e di una scelta autonoma e razionale fra tali alternative . Sono pochi ( seppure ci sono ) quelli che credono oggi a misteriosi poteri , a maligne influenze segrete , esercitate da individui determinati . assai improbabile che si tornino ad accendere nelle piazze roghi destinati a bruciare streghe e stregoni . Eppure , la struttura concettuale della stregoneria e la funzione da essa esercitata permangono ancora in molti aspetti e in molte parti della società contemporanea . Quando si condannano come « traditori » tutti coloro che si allontanano da un ' ideologia politica , quando si reprimono con la forza i dissensi e le critiche degli intellettuali o i pacifici sviluppi sociali di certi paesi o di certi ceti , si fa ancora ricorso alla stregoneria . E quando , dall ' altro lato , si condanna in blocco una società che , almeno in certi limiti , è permissiva o tollerante e si crede di poter distruggere senza edificare colla semplice ostentazione della violenza o di comportamenti che si crede incutano scandalo o terrore , si fa ancora della stregoneria , imitandone talora anche i riti . Ciò che in un caso e nell ' altro veramente si distrugge non è l ' ordine stabilito o il pericolo che incombe su di esso , ma la possibilità di mutamenti ordinati , di sviluppi consapevoli e razionali verso ordini o forme di vita più promettenti . E ciò da cui si evade non è la realtà insoddisfacente dell ' oggi , che così continua a rafforzarsi e a incombere , ma la ricerca di alternative reali e la scelta intelligente fra esse : ricerca e scelta che costituiscono il solo privilegio dell ' uomo e l ' impronta della sua dignità .
Mefistofele e Faust ( Abbagnano Nicola , 1970 )
StampaQuotidiana ,
La traduzione che Franco Fortini ci presenta del Faust di Goethe ( con testo a fronte , Mondadori , 1970 ) ha lo scopo dichiarato di riuscire utile al lettore : di aiutarlo a portare avanti un suo lavoro di approfondimento e di riflessione . E bisogna dire che questo scopo l ' ha raggiunto perché , fra tutte le versioni italiane , essa è quella che meno sacrifica il testo di Goethe al gusto letterario del traduttore o al suo personale lirismo . La tragedia di Goethe non è , come tutti sanno , un organismo compatto . Se la prima parte ( pubblicata nel 1808 ) ha un ordine e uno sviluppo unitario , la seconda parte , cui Goethe lavorò negli anni successivi e fu pubblicata postuma ( 1832 ) , è sconcertante per la varietà dei suoi motivi , per l ' eterogeneità del materiale adoperato , per l ' andirivieni continuo di personaggi sempre nuovi , reali e fittizi , tolti dalla storia , dalla mitologia , dalla magia o inventati da Goethe , ognuno dei quali porta la sua voce o presenta un tema che difficilmente lascia scorgere la continuità sinfonica dell ' insieme . Ma forse proprio per questo , la seconda parte è per il lettore moderno la più appassionante , quella che costituisce per lui la sfida maggiore e l ' invito più pressante a riflettere . Non si potrebbe oggi condividere il parere di Croce che il secondo Faust sia una specie di libretto d ' opera o il gioco d ' immaginazione di un vecchio artista , che mette a partito la sua sapienza mondana e la sua cultura , rimanendo al di fuori del gioco in una sua serenità imperturbabile . Certamente , né il primo né il secondo Faust sono « tragedia » . Alla fine del primo , una voce dal cielo annuncia la salvezza di Margherita e il secondo si conclude con la salvezza di Faust . Nonostante peccati ed errori , la parte immortale dell ' uomo si salva e la sfida fra Dio e il Diavolo viene , com ' era prevedibile , vinta da Dio . Ma l ' interesse dell ' opera non è in questa conclusione felice . Nel contesto del panteismo di Goethe , che alla fine gli Angeli ribadiscono proclamando : « Chi si affatica sempre a tendere più oltre , noi possiamo redimerlo » , la redenzione dell ' uomo è già implicita nella sua brama dell ' Infinito . Faust è appunto la personificazione di questa brama che con Schopenhauer si potrebbe chiamare volontà di vita . Ha raggiunto il culmine del sapere , ma questo non lo soddisfa : vuol conoscere il mondo , non più attraverso le parole dei libri , ma con l ' esperienza diretta e goderne tutti i piaceri e gli splendori possibili . L ' Infinito cui tende non è nel pensiero ma nell ' azione , non è nella contemplazione ma nel sentimento : cioè nel rapporto immediato , e vissuto nella forma più intensa , con il mondo e con gli uomini . A Faust non importa che le esperienze cui va incontro siano illusorie o reali , buone o cattive , e si concludano nella gloria o nel disastro . Non intende scegliere fra esperienza e esperienza , vuol essere il Microcosmo che abbraccia in sé il Macrocosmo . Per accontentare la sua brama , non può quindi che rivolgersi a Mefistofele , che non è il Principio del male , ma lo Stratega cinico e potente che gli offre i mezzi per realizzarla ma nello stesso tempo gliene dimostra i limiti , le illusioni e la vanità . Ma proprio perché Faust è tale , il suo destino non poteva concludersi nella prima parte del poema di Goethe . Muovendosi , con l ' aiuto di Mefistofele , tra taverne e tregende , fra giardini e caverne , di giorno e di notte , Faust non fa , in questa parte dell ' opera , che alimentare e sfogare la sua passione d ' amore . L ' amore della natura e l ' amore della donna ( la quale è parte della natura e ne compendia la bellezza ) dominano questa prima fase del suo destino . Il sentimento ( Ge f iihl ) è tutto , in questa fase : Faust lo identifica con Dio , quando Margherita gli chiede se è credente . Ma conclusasi , con la morte tragica di Margherita , la sua prima esperienza del mondo , Faust rinasce con nuovo spirito , con la brama di altre esperienze . Come infatti potrebbe bastargli , per essere il Microcosmo , una sola esperienza di amore e di morte ? Faust ora vuole il potere . « Dovranno compiersi cose mirabili » , dice ad un certo punto ; « mi sento forte per imprese temerarie » . E alla domanda di Mefistofele : « Vuoi allora la gloria ? » , risponde : « Voglio avere dominio , possesso . L ' azione è tutto , la gloria è nulla » . É questo lo spirito che domina il secondo Faust . Esso si apre nel palazzo imperiale con Faust al servizio del potere ed egli stesso diventato strumento e volontà di potenza . Con l ' aiuto di Mefistofele , Faust riempie le casse dell ' Imperatore con la carta moneta garantita dai tesori sepolti ; e appare come un Re , nelle vesti di Pluto , il Dio della ricchezza , Illusione e realtà si mescolano , come in tutta l ' opera , anche in questa ricerca di un potere senza limiti . Dalla visione delle Madri , simboli goethiani delle origini delle cose , Faust attinge « nuova forza per la grande impresa » . Creature magiche , mitiche e mitologiche , antichi filosofi e personaggi famosi possono rivivere davanti ai suoi occhi per magia della fiala in cui è racchiuso il ridicolo Homunculus creato da Wagner . L ' amore di Faust è ora Elena , ma è un amore diverso da quello per Margherita : è volontà di potenza : « Conferma il mio potere , le dice Faust , dividendolo con te sul regno tuo illimitato e in una sola persona tu abbia chi ti venera e serve e difende » . Ma da ultimo la volontà di potenza di Faust si rivolge al dominio della natura . È contro le forze e gli elementi naturali che egli vuole combattere la sua ultima battaglia , respingendo le frontiere del mare e diventando il padrone delle terre emerse . Qui appare in piena luce il contrasto tra il primo e il secondo Faust . « Chi vuole comandare - dice Faust - ha da trovare nel comando la sua gioia . » Il potere è fine a se stesso , non uno strumento per procurarsi il godimento . Con l ' aiuto dei demoni di Mefistofele , Faust riesce a far vincere l ' Imperatore contro il suo rivale e ne ottiene in compenso il feudo delle terre emerse . Perfino il piccolo lembo di terra dove vive felice un ' anziana coppia ( Filemone e Bauci ) gli dà fastidio . « Quei pochi alberi non miei , il dominio del mondo mi guastano . » E dà ordine a Mefistofele di scacciarla . Solo alle soglie della morte Faust si accorge che il potere può vincere la Penuria , il Debito , la Miseria , ma non la Cura , cioè la preoccupazione angosciosa , che finisce per accecarlo . Si affretta al suo ultimo grandioso progetto di bonificare una palude dove gli uomini possano vivere liberi e felici ; ma la morte lo coglie proprio nell ' attimo in cui vagheggia questo progetto . Non c ' è dubbio che , nella storia di Faust , Goethe abbia voluto rappresentare il destino dell ' uomo . La volontà di vita e la volontà di potenza , dalle quali Faust è dominato nella prima e nella seconda parte dell ' opera , sono anche oggi assunte , talora mescolate o contrapposte o designate con altri nomi , come le radici o le molle di ogni attività umana . Ma nell ' opera di Goethe , Faust non potrebbe far nulla senza Mefistofele . Mefistofele non è solo lo strumento indispensabile che gli consente di realizzare le sue volontà , ma è anche colui che gli ricorda continuamente i suoi limiti umani , il disordine e l ' incoerenza dei suoi appetiti , il carattere illusorio delle sue realizzazioni ; e , pur aiutandolo , commenta , con ironico cinismo , l ' intera condotta di Faust . Fin dall ' inizio , a Faust che « vuole tutto » ricorda che il Tutto è solo per un Dio . Poi difende la ragione e la scienza , « poteri supremi dell ' uomo » . Rimprovera a Faust di gonfiarsi sino a credersi una divinità per avvoltolarsi nel godimento ; ammonisce i giovani che non si può pensare nulla che non sia stato già pensato . E appare a Faust come « l ' antitesi , l ' amarezza e lo scherno di quello di cui l ' uomo ha bisogno » . Mefistofele vede la vanità del mondo e vorrebbe essere lui stesso « il vuoto eterno » : la morte di Faust è anche la sua sconfitta finale . Non c ' è Mefistofele senza Faust , come non c ' è Faust senza Mefistofele . Il destino dell ' uomo non può identificarsi solo con quello di Faust : è piuttosto rappresentato dal binomio Faust - Mefistofele . Proprio perché è « l ' antitesi , l ' amarezza e lo scherno di ciò di cui l ' uomo ha bisogno » Mefistofele fa parte dell ' uomo . La magia , di cui egli è il depositario , non crea che illusioni o fantasmi che si annunziano o si svelano tali e portano alla tragedia finale .. Certo Faust , o almeno la sua « parte immortale » , si salva per l ' intervento di intermediari potenti , ma soprattutto perché ha incarnato l ' aspirazione dell ' uomo all ' Infinito . Ma questa aspirazione sarebbe rimasta lettera morta e si sarebbe consumata vanamente nello studio professorale di Faust , senza il cinico razionalismo e le subdole arti di Mefistofele . Queste arti non stanno sempre e tutte dalla parte del male : la seconda metà dell ' uomo è intrisa di male e di bene , come quella di Faust ; e non per nulla riceve la sua investitura dall ' alto . Mefistofele , il diavolo che è con l ' uomo o nell ' uomo , non è , dopotutto , un cattivo diavolo . Riflettendo ora sul poema di Goethe , possiamo renderci conto che nell ' uomo c ' è , o può esserci , un diavolo più maligno .
La nostalgia dell'infanzia ( Abbagnano Nicola , 1970 )
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Perché non si dovrebbe vedere nel sole , se non a costo di essere ritenuti pazzi o poeti , un coro di angeli fiammeggianti che annunciano la gloria di Dio ? Perché non si dovrebbe proclamare l ' esistenza di un nuovo cielo e di una nuova terra così vasti e meravigliosi da far apparire squallida e tetra la visione che del mondo ci dà la scienza ? Perché astrarre e generalizzare , meccanizzare e calcolare , rinunziando all ' immaginazione visionaria , al mistero , all ' avventura in un mondo di forme fantastiche e splendenti , in cui ognuno si troverebbe a suo agio ? In altri termini , perché credere allo scienziato invece che allo sciamano ? Perché ridurre il mondo a un insieme di forze oggettive ed impersonali , invece di scorgere in esso un luogo formicolante di personalità potenti e invisibili ma assai simili all ' uomo ? Sono queste le domande che , secondo Roszak , stanno alla radice della controcultura ( La nascita di una controcultura , ed. Feltrinelli , 1971 ) : cioè di un nuovo modo di vivere da cercarsi in direzione opposta a quella in cui finora si è mossa la civiltà occidentale : un modo di vivere che faccia a meno della scienza e della tecnica , eliminando la tecnocrazia e i suoi mali , e coltivi ed esalti nell ' uomo il sentimento del sacro . La scienza sradica questo sentimento e con esso ogni impegno morale , riducendolo ad una retorica superficiale . Solo questo sentimento può consentire all ' uomo di ritornare alla natura e di raggiungere l ' equilibrio autentico dentro se stesso e con gli altri . La controcultura intende così proporre all ' uomo l ' alternativa di una vita diversa , che elimini i rischi dell ' impoverimento dell ' uomo e del suo ambiente che scienza e tecnica fanno incombere su di lui . Ma questa alternativa non è nuova ma antichissima , perché è quella di tutti i popoli primitivi . E in realtà la nostalgia per ciò che è primitivo , naturale , semplice , informe , non ridotto a un modello che implichi previsione , misura e programmazione , è assai diffusa nel mondo contemporaneo e condivisa da molti scienziati . Questi sono certamente più cauti nella loro critica della scienza e si guardano dal raccomandarne la pura e semplice eliminazione . Ma è significativo che in uno dei più seri e togati periodici scientifici americani , che è l ' organo dell ' Associazione americana per il progresso della scienza ( Science , 4 giugno 1971 ) , un professore di chimica proponga una riforma della scienza proprio sulla linea difesa dalla controcultura : si dovrebbe saldare , sul tronco della ricerca obiettiva e razionale , l ' esigenza di un intuizione sensuale , cioè immediata , diretta , concreta delle cose , che è quella difesa dallo sciamanesimo e dalle religioni orientali . Da questo punto di vista , però , non ci sarebbe opposizione fra le due alternative di vita , tra i due modi di conoscere la natura e di entrare in rapporto con essa . Si tratterebbe di modi complementari che si integrano a vicenda : proprio come sono complementari , nella fisica contemporanea , la descrizione dei fenomeni in termini di onde e quella in termini di corpuscoli . Il vantaggio di questa complementarità consisterebbe nell ' eliminare dalla scienza un certo numero di astrazioni inutili , nel considerare gli aspetti concreti , sensibili o estetici delle cose , e nel consentire di vedere nella natura una totalità organica mediante un unico atto di intuizione . Poco o nulla , tuttavia , ci viene detto circa i mezzi per raggiungere questa mèta ambiziosa , che equivarrebbe a una visione esauriente e perfetta del mondo nella sua struttura generale e nei suoi particolari minimi : ad una visione di cui solo Dio può ritenersi capace . Come professore di chimica , l ' autore in questione invita gli studenti a osservare i colori , i sapori , la solidità , i mutamenti delle sostanze che essi si apprestano a sottoporre a qualche elaborato esperimento : il che è troppo poco per una « visione sensuale » del mondo ed è del tutto inutile ai fini dell ' esperimento . Non c ' è dubbio che gli scienziati , imprigionati come ora sono nella loro specializzazione , oppressi dalla quantità enorme e non selezionata di informazioni che piovono loro addosso da tutte le parti , e dalla coscienza del cattivo uso che si può fare delle loro scoperte , anche più meritorie , cerchino una via d ' uscita da questa situazione di disagio e aspirino a una visione del mondo semplice e totale che non sacrifichi né la scienza né le esigenze emotive e morali dell ' uomo . Ma è dubbio se lo sciamanesimo e l ' animismo , cioè la credenza che il mondo è un insieme di esseri spirituali in rapporto simpatetico con l ' uomo , possano aiutarli a uscire dal frangente in cui si trovano . Questa credenza costituisce certo un ' alternativa alla scienza , ma non può conciliarsi con essa e supplire alle sue deficienze . Essa è il fondamento di un ' altra tecnica , quella della magia . Se la natura è un complesso di forze spirituali che , mediante opportuni incantesimi , possono essere comandate , convinte o ingraziate , la scienza non serve a nulla . Che senso ha ingraziarsi la gravità o convincere l ' energia nucleare a non essere dannosa per l ' uomo ? Che senso ha prevedere , calcolare , misurare e progettare in un mondo costituito da spiriti folletti , che fanno quello che vogliono e possono essere addomesticati solo dalle arti subdole dello sciamano ? La ricerca scientifica è oggettiva , cioè conduce agli stessi risultati chiunque sia in possesso della tecnica adatta ; l ' arte dello sciamano è un privilegio concessogli dalle stesse potenze misteriose cui egli fa appello . Non si possono imboccare contemporaneamente le due vie e ritenerle complementari . La scienza non può tutto né fa tutto : i limiti di essa sono sempre presenti a chi la coltiva sul serio . I suoi problemi si moltiplicano con il suo progresso e il suo prezzo naturale e umano si accresce in proporzione . Voler saldare questo prezzo col ricorso all ' animismo e alla magia , al sentimento e alla sensibilità indifferenziata dei primitivi significa pagare con moneta falsa . Può ben darsi che il genere umano , in tutto o in parte , scelga domani di lasciarsi guidare dallo sciamanesimo invece che dalla scienza . Ma la civiltà di cui lo sciamanesimo è parte integrante è fondata sulla caccia , sulla pesca , sulla agricoltura primitiva . Il ritorno a questa forma di vita segnerebbe perciò la condanna a morte della maggior parte del genere umano , per la mancanza del vitto e delle difese indispensabili contro l ' ostilità della natura . La parte sopravvivente dovrebbe cercare di mantenere immutabili i costumi e le forme di vita che ne garantiscono la permanenza . Questo può certo accadere , come può accadere che la civiltà attuale soccomba perché non riesce a soddisfare gli uomini o a salvaguardare le risorse naturali di cui vivono . L ' importante , in ogni caso , è rendersi conto delle conseguenze che la scelta in un senso o in un altro comporta , e non vivere nell ' illusione che si possa conciliare il diavolo con l ' acqua santa . Su questa illusione vive oggi la cosiddetta avanguardia della cultura contemporanea . I mali da essa denunciati sono reali , ma puerili i rimedi proposti . Essa fa come l ' adulto che , disilluso dalle difficoltà della vita e nella incapacità di affrontarle , si rifugia nel mondo delle fiabe che ha ascoltato da bambino e che parlano di fate e di maghi benefici . Ma basta , questo , per farlo ridiventare bambino ?
Perché debbo esser morale? ( Abbagnano Nicola , 1970 )
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Perché debbo esser morale ? Perché debbo obbedire a regole e leggi , adattarmi ad una disciplina , impormi limiti e rinunzie , reprimere i miei istinti , rinunziare a fare quel che mi piace e quando mi piace ? Queste domande non sono puramente teoriche e non sono oggi poste solo da filosofi intenti a trovare un « fondamento » della morale . Sono diffuse tra un gran numero di persone di tutte le età e condizioni e specialmente tra le giovani generazioni in dissenso con la morale tradizionale . Ma esse non mettono in crisi solo la morale tradizionale cioè il codice delle norme morali riconosciute e la tavola dei valori fondata su tale codice . La crisi esiste , certamente , ed investe non solo il costume , ma la legislazione , la politica , la religione , l ' arte e gli spettacoli . In tutti questi campi , non c ' è norma , per quanto riconosciuta e sacralizzata da una lunga tradizione , che non sia posta in dubbio o negata . E anche nel seno di istituzioni secolari che si ispirano a una rivelazione originaria , che avrebbe dovuto stabilire una volta per sempre la tavola dei valori morali , i dissensi si accentuano circa l ' interpretazione di tali valori e si va in cerca di aggiornamenti o modifiche . Ma questo è solo l ' aspetto superficiale della crisi , che è più profonda : perché in essa , e nella confusione babelica che ne deriva , non si affaccia neppure da lontano lo schema di un nuovo codice di norme , di una nuova tavola dei valori che dovrebbero prendere il posto dei vecchi ; e neanche nella forma di quella « inversione di tutti i valori » che era stata preconizzata da Nietzsche . In altri termini , non si mette in dubbio questa o quella morale ma la morale ; non si combattono certi valori in nome di altri , ma i valori come tali ; si mette in dubbio se ci siano o debbano esserci norme , che comunque regolino o disciplinino la condotta degli individui e dei gruppi , e valori relativamente stabili che consentano di giudicare tale condotta . Così i confini tra il bene e il male , tra il lecito e l ' illecito , tendono a sfumare nel nulla ; e ogni condotta può essere giustificata o non giustificata , perché in realtà la cosa è indifferente . Le ragioni che si adducono a giustificarla in un certo caso valgono solo come pretesti che possono essere negati , o addirittura rovesciati , in un caso analogo , con la massima disinvoltura . La morale non esiste più , se non esiste il problema della morale . In questa situazione , i tentativi dei filosofi di trovare un « fondamento » o una « giustificazione » della morale rischiano di rimanere inoperanti . Che la morale sia fondata su un sentimento innato di benevolenza o di simpatia dell ' uomo verso gli altri uomini , su un istintivo amore di tutto il genere umano , sembra cosa smentita dai fatti : i quali mostrano ogni giorno , con le violenze e le lotte che travagliano l ' umanità , come poco affidamento si possa fare su impulsi e sentimenti benefici . Che la morale sia fondata sulla ragione che prescrive all ' uomo , come Kant riteneva , i suoi doveri con il suo comando assoluto , è tesi che urta contro il carattere incerto , debole e problematico della ragione umana ; la quale troppo spesso si presta compiacentemente a tutti gli abusi . Che la morale sia diretta a promuovere la felicità di ciascuno e di tutti , come sostenevano e sostengono gli utilitaristi , è tesi che lascia il tempo che trova . Ciò che per uno è « felicità » non lo è per l ' altro ; e perché non dovrei costruire la mia felicità sull ' infelicità altrui , se questo è il modo più facile per realizzarla ? Comunque si giri e si rigiri , l ' ostacolo maggiore che si oppone alla posizione del problema morale ( qualunque poi ne sia la soluzione ) - cioè la sua considerazione seria e impegnativa da parte di ognuno - è la pretesa dell ' individuo di costituire da solo l ' intero mondo , di negare , a tutti gli effetti pratici , la realtà degli altri individui , vicini o lontani , coi quali convive , di considerarli ombre o apparenze all ' interno del proprio mondo . Si tratta di una pretesa metafisica anche se non è espressa in teoria , ma solo praticamente messa in atto , ma di una metafisica puerile e fantastica , che è smentita dalle più ordinarie esperienze della vita di ogni giorno . Nessun essere umano può venire alla luce , sopravvivere e crescere se non fra gli altri e con gli altri . Nessuno può cominciare ad esercitare la sua intelligenza senza il linguaggio , che è il patrimonio comune delgruppo cui appartiene . Ogni tipo di lavoro , di attività e di divertimento suppone scambi e collaborazione tra individui o gruppi di individui che , quali che siano i loro rapporti , contano sempre , in una certa misura , gli uni sugli altri . Quel che si chiama la « personalità » di un individuo , cioè il suo carattere , le sue costanti di azione , il suo equilibrio interno , è condizionata dai suoi rapporti con gli altri e dal modo in cui reagisce a tali rapporti ; che , se fossero tolti , ridurrebbero a nulla la personalità stessa . In questi stessi rapporti , si radicano successi e insuccessi , frustrazioni e godimenti . La cosiddetta « incomunicabilità » , di cui tanto soffre l ' uomo moderno , è il risvolto negativo della connessione sostanziale che lega gli uomini tra loro . Quando l ' uomo non può riconoscere , in una massa anonima , informe e vociante , il volto dei suoi simili o non può o non sa scorgere , dietro la maschera del suo vicino , l ' umanità di cui ha bisogno , si sente defraudato e solo ; e lo è . Ma da queste elementari esperienze il problema morale emerge soltanto quando si comincia a capire che i rapporti umani , per essere conservati e rafforzati , anziché indeboliti e distrutti , devono essere disciplinati da norme ; e che ogni norma adatta a disciplinarli deve valere per me come per gli altri e reciprocamente . Nei più semplici giochi dell ' infanzia come nelle più complesse attività umane , la presenza di norme impegnative è indispensabile . Chi non le rispetta è « fuori gioco » : non può pretendere che gli altri le rispettino nei suoi confronti . L ' umanità ha finora cercato e tuttora cerca le norme della sua convivenza per tentativi ; e fondatori di religioni , profeti , moralisti e politici le hanno codificate , rinnovandole , sacralizzandole o giustificandole . Ma l ' indifferenza per la morale è oggi il risultato del disprezzo e della diffidenza verso le norme in generale : soprattutto quando la norma colpisce un qualsiasi interesse o desiderio dell ' individuo , che allora recalcitra e reclama l ' eccezione . E disprezzo e diffidenza nascono , ancora una volta , dalla credenza che l ' individuo ( o il gruppo con cui l ' individuo si identifica ) sia l ' intero mondo e che gli altri non esistano o esistano solo per esso . Il bene viene allora tacitamente identificato con il desiderio dell ' individuo e il male con ciò che gli si oppone . La vita morale , e la società civile su cui essa si fonda , può nascere solo quando questo pregiudizio è superato e l ' individuo riesce a considerarsi uno dei molti , soggetto alla stessa norma che vale per gli altri . Una lunga tradizione filosofica , che è stata spesso accusata di pessimismo o peggio , ha insegnato che le norme nascono e vengono accettate , rendendo possibile la convivenza civile , quando l ' individuo si accorge che , senza di esse , la sua sicurezza , la sua vita e la sopravvivenza della sua specie sarebbero a lungo andare impossibili . Platone diceva che anche una banda di briganti deve reggersi in base a norme , se vuole fare qualcosa . Hobbes e Vico parlavano di uomini - lupi o di uomini - bestioni , che vengono a patti tra loro e stabiliscono norme solo per sottrarsi al pericolo della distruzione reciproca . E difatti chi si ritiene un angelo o l ' incarnazione del bene non ha bisogno di norme che lo disciplinino . Sotto l ' apparente pessimismo della società moderna , si nasconde un operante ottimismo : basta abbandonare gli uomini a se stessi perché ognuno cerchi e realizzi il bene . Ma questo ottimismo incomincia a dare oggi i suoi frutti velenosi . Briganti , lupi e bestioni , che siano abbastanza intelligenti e previdenti , possono trovare il modo di convivere , formulando o accettando norme opportune . Ma candidi agnelli imprevidenti o pretesi angeli stupidi sono certamente votati all ' incomprensione reciproca , all ' intolleranza e alla distruzione finale .
I violenti non fanno storia ( Abbagnano Nicola , 1970 )
StampaQuotidiana ,
La violenza avanza su tutti i fronti . Questo è il fatto più evidente del mondo contemporaneo . La violenza non è più ristretta agli spazi periferici o ai momenti critici della vita ; alla delinquenza , alla pazzia , all ' anormalità e alle crisi di ribellione e di liberazione o di conquista o di soggiogamento ; ma esplode , con manifestazioni imponenti , nella vita di ogni giorno , nella famiglia , nei rapporti sessuali , nelle competizioni sociali , nella politica e nello sport . Solo raramente suscita sdegno o riprovazione ; il più delle volte viene giustificata e talvolta esaltata come soluzione dei problemi , via d ' uscita dalle difficoltà , matrice del progresso . Ma essa esplode per i motivi più futili o senza motivo , come per quelli più seri ; e anche l ' arte , il cinema e i divertimenti sembrano insipidi e fuori del tempo se non se ne fanno lo specchio . Si tratta di un fenomeno passeggero dovuto alla crisi dei valori tradizionali , alle sperequazioni economiche , alle trasformazioni troppo rapide che la società sta subendo ? O si tratta invece di qualcosa che sta venendo ora alla luce in forme più vistose ma ha le sue radici nella stessa natura dell ' uomo ? Certo è che l ' uomo è per l ' uomo ( come diceva Pascal ) un mostro incomprensibile . Nonostante l ' enorme patrimonio di esperienze e dottrine che la psicologia , l ' antropologia , l ' etologia comparata hanno accumulato negli ultimi decenni , le motivazioni ultime , o almeno più costanti , dei comportamenti umani rimangono problematiche . C ' è chi vede nell ' uomo un essere essenzialmente buono , portato dal suo istinto alla contemplazione e alla pace gioiosa . La società , reprimendo questo istinto in misura superiore alle esigenze della sua conservazione , sarebbe allora responsabile della violenza che cerca di ripristinarlo . Questa è la tesi dei filosofi dell ' Eros che ritengono l ' uomo modellato sull ' ideale di Narciso e di Orfeo . Ma ci sono altri che ritengono l ' uomo dominato da un istinto di aggressione , da una tendenza innata alla lotta e al dominio . Costoro partono dall ' osservazione che i comportamenti che chiamiamo « brutali » non si riscontrano affatto nelle bestie , ma sono propri dell ' uomo : l ' uomo è la più crudele e violenta delle specie animali . Questo non è solo un suo aspetto negativo . Proprio perché è il più aggressivo degli animali , l ' uomo riesce a dominare l ' ambiente esterno e a superarne gli ostacoli . È l ' aggressione che consente all ' individuo e alla specie di sopravvivere , anche a costo del pericolo di guerra che le è immanente . Come Giano , l ' aggressione ha due facce , una positiva , l ' altra negativa . Anche quando gli uomini si stringono in una comunità di eguali nella quale si considerano come fratelli , hanno bisogno di opporsi aggressivamente ad altre comunità che si ispirano ad altri principi e contro le quali lottano solidalmente tra loro . In un modo o nell ' altro , l ' aggressione deve sfogarsi . Come animale « territoriale » geloso del proprio dominio , l ' uomo nutre un ' ostilità innata contro il suo vicino . Il bambino sviluppa la sua aggressività opponendosi all ' ordine e alla disciplina che l ' educazione cerca di imporgli . Il maschio sviluppa la sua aggressività nei confronti della femmina ; giacché la sua stessa struttura fisiologica lo porta a dominarla . La femmina sviluppa la sua aggressività contro il maschio non sufficientemente aggressivo che non riesce a dominarla . I vecchi clichés dell ' uomo scimmia con la clava , che suscita l ' ammirazione delle donne , e del piccolo uomo dominato dalla donna forte , che suscita riso e pietà in tutti , rappresentano bene la realtà delle cose . E così l ' aggressione è la condizione necessaria dell ' equilibrio e della vita . Ha scritto uno psichiatra ( Winnicott ) : « Se la società è in pericolo , non lo è per l ' aggressività dell ' uomo , ma per la repressione dell ' aggressività personale degli individui » . La mancanza di aggressività , determinando insuccesso e frustrazione , trasforma l ' istinto di aggressione in odio , abbassa le difese che l ' individuo erge intorno al proprio io contro l ' invadenza degli altri e gli fa odiare gli altri o se stesso , inducendolo talora al suicidio . Umiliazioni e frustrazioni sono anche alla base della schizofrenia e della paranoia , nelle quali l ' odio e l ' incapacità di considerare gli altri come persone dànno origine alle peggiori forme di crudeltà raffinata e gratuita . Tale è il quadro della natura umana che si trova descritto da molti etologi , psicologi e psichiatri contemporanei , e che è stato diffuso e reso popolare da Lorenz e Storr . Ma quali sono le vie d ' uscita ? La trasformazione dell ' aggressione nelle forme « rituali » delle competizioni civili , la ricerca di forme non distruttive da aggressione come gli sport , la diminuzione del numero degli individui umani perché l ' affollamento accresce l ' aggressività . Troppo poco per combattere e controllare un istinto che è la stessa natura dell ' uomo . L ' istinto è infatti un meccanismo innato , automatico , che può scatenarsi alla prima occasione . Anzi , non ha neppure bisogno di un ' occasione , cioè di uno stimolo , per scatenarsi : è come un ' arma che può sparare senza che ne sia toccato il grilletto . E come potrebbero le forme « rituali » della competizione civile , gli sport o altri espedienti controllarne il meccanismo ? Essi non forniscono che altre occasioni per scatenarlo . Inoltre , si può odiare , esser frustrati e portati alla violenza da una famiglia poco accorta , da un matrimonio sbagliato , da una ambizione non soddisfatta , da un risentimento o un ' invidia ingiustificati , dal fanatismo per un ideale non raggiunto o non raggiungibile , e da altri motivi più futili , evanescenti o fittizi . E se l ' aggressione domina ( come deve dominare , se è un istinto ) ogni rapporto umano , ci sarà sempre , in ogni rapporto , un vincitore e un vinto , un dominatore e una vittima : e l ' odio , il risentimento e la violenza saranno inevitabili . Sembra che oggi resti solo la scelta tra il mito del « buon selvaggio » che diventa violento perché viene represso il suo istinto d ' amore e il mito del « cattivo selvaggio » che diventa violento perché viene represso il suo istinto aggressivo . Quest ' ultimo mito non prospetta utopie , ma neppure rende possibili difese efficaci contro la violenza . Se l ' uomo è posseduto dall ' istinto , come da un demone che non può esorcizzare , si sentirà sempre represso , in qualsiasi forma di società , in qualsiasi rapporto anche superficiale con gli altri . Ma è l ' uomo veramente una creatura d ' istinto ? Ed esiste veramente l ' istinto come forza irreprensibile e sostanzialmente benefica , che adatta gli esseri viventi all ' ordine delle cose ? Se ne può dubitare , in base alle indagini della psicologia moderna . Ciò che chiamiamo « istinto » non è un meccanismo immutabile e infallibile ; può essere nocivo , adattarsi e mutare anche nelle specie animali in cui agisce da solo . E nell ' uomo ciò che chiamiamo « istinto » è il più delle volte la forma che certe funzioni biologiche hanno assunto sotto l ' influenza di un determinato ambiente sociale . Se l ' uomo non fosse che istinto ( nel senso proprio del termine ) non avrebbe avuto storia : sarebbe rimasto nella forma di vita ( buona o cattiva ) nella quale apparve per la prima volta sulla Terra . In realtà l ' uomo fa la storia ed è fatto ( cioè condizionato ) da essa . I modi di appagare i suoi bisogni , di trattare se stesso e i propri simili mutano col tempo e sono diversi da una società all ' altra . E di questo mutamento e di questa diversità l ' istinto non è responsabile . Ogni uomo , qualunque sia il suo talento e il suo grado sociale , incontra limiti e resistenze che sfidano la sua ragione e la sua volontà . Può cercare di conoscere tali limiti e trovare i mezzi per venirne a capo ; ma non può farlo da solo . Può anche credere che la violenza gli dia partita vinta e idealizzare nella violenza , o nell ' aggressione che ne è la causa , la fine di tutti i suoi mali . Oggi come ieri , nei momenti cruciali della sua storia , l ' uomo si trova a dovere scegliere . Il gioco della violenza non può prolungarsi all ' infinito perché nessun uomo e nessun gruppo umano può veder garantita dalla violenza la sua vittoria . Se la violenza continuasse ad apparire come la sola alternativa possibile , la scelta sarebbe decisa , il gioco sarebbe fatto . Non ci sarebbe un lungo avvenire per il genere umano .