StampaQuotidiana ,
Uno
studente
ritorna
dall
'
Università
,
dopo
aver
seguito
il
suo
primo
corso
di
psicologia
,
e
scandalizza
sua
zia
dicendole
che
tutte
le
attività
cui
ella
si
dedica
-
andare
in
chiesa
,
far
beneficenza
,
visitare
mostre
d
'
arte
ecc.
-
sono
soltanto
surrogati
o
compensi
per
la
sua
mancanza
di
soddisfazioni
sessuali
.
Dopo
averci
pensato
sopra
,
la
zia
gli
risponde
che
,
sì
,
essa
è
d
'
accordo
sul
principio
che
tutte
le
attività
sono
manifestazioni
della
libido
e
che
non
ha
obbiezioni
contro
il
sesso
;
soltanto
,
preferisce
le
manifestazioni
della
sessualità
cui
essa
si
dedica
,
a
quelle
che
hanno
a
che
fare
con
gli
organi
genitali
.
La
zia
non
si
scandalizza
più
e
il
nipote
rimane
senza
risposta
.
L
'
episodio
insegna
che
quando
a
un
concetto
o
a
una
parola
si
tolgono
i
limiti
che
lo
definiscono
nei
confronti
di
altri
concetti
o
parole
e
si
dice
che
«
tutto
è
questo
»
o
«
tutto
è
quello
»
,
concetto
o
parola
perdono
ogni
significato
e
non
servono
a
nulla
.
Quando
si
dice
che
tutte
le
attività
umane
sono
«
sessuali
»
,
«
religiose
»
o
«
politiche
»
ecc.
non
si
dice
nulla
,
perché
i
termini
relativi
hanno
perduto
il
loro
significato
specifico
e
possono
riacquistarlo
soltanto
ridistinguendosi
dagli
altri
.
Lo
stesso
vale
per
la
libertà
umana
.
Che
tutte
le
azioni
siano
libere
o
che
tutte
siano
determinate
da
fattori
causali
,
sono
due
tesi
che
tolgono
alle
parole
«
libertà
»
e
«
determinismo
»
il
loro
significato
specifico
e
rendono
impossibile
stabilire
,
in
ogni
caso
particolare
,
se
un
'
azione
è
libera
o
no
,
determinata
o
no
.
Eppure
,
proprio
di
un
criterio
utile
a
questo
scopo
abbiamo
bisogno
per
decidere
se
,
e
in
quali
limiti
,
l
'
uomo
è
responsabile
delle
sue
azioni
.
Sembra
che
a
misura
che
si
estendono
le
nostre
conoscenze
biologiche
,
antropologiche
e
sociologiche
,
il
determinismo
abbia
partita
vinta
e
i
limiti
della
responsabilità
umana
divengano
sempre
più
ristretti
.
L
'
eredità
biologica
,
l
'
ambiente
,
le
condizioni
sociali
e
politiche
sono
spesso
ritenuti
fattori
determinanti
della
condotta
di
individui
e
gruppi
,
e
anche
delle
forme
più
aberranti
di
tale
condotta
.
Siamo
sempre
più
guardinghi
nell
'
ascrivere
ad
un
uomo
la
responsabilità
di
ciò
che
ha
fatto
perché
siamo
sempre
più
al
corrente
dei
fattori
che
hanno
potuto
determinare
la
sua
azione
.
Ma
che
cosa
ne
è
,
allora
,
della
libertà
?
Il
problema
è
affrontato
nell
'
opera
recentissima
del
filosofo
inglese
J
.
R
.
Lucas
(
The
Freedom
of
the
Will
,
Clarendon
Press
:
Oxford
University
Press
,
1970
)
la
cui
parte
più
originale
è
la
discussione
di
ciò
che
la
matematica
moderna
può
dirci
pro
o
contro
la
libertà
umana
.
Quest
'
argomento
è
solo
apparentemente
paradossale
.
Spinoza
diceva
già
nel
XVII
secolo
che
tutte
le
azioni
dell
'
uomo
seguono
dalla
sua
natura
con
la
stessa
necessità
con
la
quale
un
teorema
geometrico
segue
dagli
assiomi
della
geometria
.
L
'
uomo
non
può
essere
o
agire
diversamente
,
come
non
può
esser
diverso
un
teorema
:
è
egli
stesso
un
teorema
nella
grande
geometria
della
Natura
.
Ma
la
matematica
ha
cambiato
completamente
faccia
dai
tempi
di
Spinoza
:
è
diventata
molto
più
astratta
e
formale
,
perché
prescinde
da
ogni
particolare
oggetto
(
numeri
,
figure
,
quantità
)
ed
è
diventata
semplicemente
la
disciplina
che
deduce
rigorosamente
le
conclusioni
dalle
premesse
implicite
negli
assiomi
o
postulati
che
costituiscono
i
suoi
punti
di
partenza
.
Non
importa
che
tali
assiomi
o
postulati
siano
«
veri
»
in
un
senso
qualsiasi
:
importante
è
che
il
procedimento
matematico
derivi
con
rigore
tutti
i
teoremi
che
sono
impliciti
in
essi
.
Con
rigore
significa
:
senza
mai
dar
luogo
ad
una
contraddizione
,
cioè
a
teoremi
che
sono
incompatibili
l
'
uno
con
l
'
altro
.
In
questa
nuova
veste
,
la
matematica
si
è
dimostrata
fecondissima
:
nuovi
sistemi
di
calcolo
sono
stati
inventati
e
perfezionati
e
sono
applicati
nei
campi
più
disparati
,
che
vanno
dalla
fisica
all
'
organizzazione
industriale
e
alla
costruzione
dei
computers
.
Ma
,
da
questo
punto
di
vista
,
l
'
unica
cosa
che
conferisce
validità
a
un
qualsiasi
sistema
di
calcolo
è
la
sua
coerenza
intrinseca
,
la
sua
assenza
di
contraddizioni
.
Il
matematico
dovrebbe
esser
sempre
sicuro
che
un
certo
calcolo
,
per
quanto
condotto
avanti
e
sviluppato
,
non
condurrà
mai
ad
una
contraddizione
;
se
vi
conducesse
,
sarebbe
da
buttar
via
.
Qui
appunto
s
'
incontra
l
'
ostacolo
.
Il
matematico
non
potrà
mai
avere
questa
sicurezza
.
Un
teorema
stabilito
da
Gödel
nel
1931
,
che
è
uscito
indenne
da
tutte
le
critiche
,
stabilisce
che
nessun
calcolo
è
in
grado
di
provare
,
con
i
mezzi
di
cui
dispone
,
che
esso
è
perfettamente
coerente
,
cioè
non
condurrà
mai
a
contraddizioni
.
L
'
aritmetica
,
per
esempio
,
non
può
provare
,
aritmeticamente
,
di
essere
coerente
.
In
certi
casi
(
come
quello
dell
'
aritmetica
)
,
la
prova
della
coerenza
si
può
ottenere
ricorrendo
ad
altri
tipi
di
calcolo
logico
;
ma
,
a
loro
volta
,
questi
calcoli
sono
sottoposti
alla
stessa
limitazione
:
non
possono
provare
la
loro
coerenza
,
cioè
la
loro
legittimità
o
validità
logica
.
Su
questa
conclusione
fa
leva
il
libro
di
Lucas
per
mostrare
che
non
si
può
considerare
l
'
uomo
come
determinato
necessariamente
dai
fattori
causali
:
perché
non
può
essere
identificato
o
paragonato
con
un
qualsiasi
sistema
di
calcolo
.
Egli
sa
infatti
di
essere
coerente
,
può
correggere
i
suoi
errori
e
le
sue
incoerenze
,
scegliere
le
vie
che
li
evitano
e
decidere
in
conformità
.
Ma
non
potrebbe
far
questo
se
fosse
ridotto
a
un
puro
calcolo
logico
.
Ma
c
'
è
di
più
.
Il
teorema
di
Gödel
significa
pure
(
secondo
una
certa
interpretazione
che
è
accettata
da
Lucas
,
ma
non
da
tutti
i
cibernetici
)
che
non
si
possono
costruire
macchine
o
automi
che
rispondano
a
tutti
i
problemi
.
Si
possono
costruire
automi
sempre
più
perfetti
e
complessi
,
che
fanno
assai
meglio
e
più
rapidamente
dell
'
uomo
certe
operazioni
di
calcolo
.
Ma
nessuno
di
questi
automi
si
sottrarrà
alla
minaccia
rappresentata
dal
teorema
di
Gödel
:
di
trovarsi
,
ad
un
certo
punto
,
privo
di
risposta
di
fronte
a
un
problema
nuovo
,
che
metta
in
giuoco
la
coerenza
del
calcolo
su
cui
è
fondato
.
Questo
vuol
dire
,
secondo
Lucas
,
che
l
'
uomo
non
può
essere
considerato
un
automa
,
cioè
che
la
sua
condotta
e
le
sue
scelte
non
possono
essere
preformate
o
predeterminate
come
il
determinismo
suppone
.
All
'
uomo
è
essenziale
la
decisione
di
essere
coerente
,
di
disciplinare
il
suo
pensiero
,
di
stabilire
una
qualche
distinzione
tra
il
vero
e
il
falso
.
Ma
poiché
nessuna
prova
può
esser
addotta
di
questa
sua
razionalità
irrinunciabile
,
questa
razionalità
è
solo
una
professione
di
fede
,
una
proposizione
di
«
teologia
matematica
»
.
Di
essa
non
si
può
dar
prova
;
tuttavia
,
senza
di
essa
,
la
condotta
dell
'
uomo
sarebbe
stolta
,
perché
egli
non
potrebbe
distinguere
tra
ciò
che
è
vero
e
degno
di
esser
creduto
e
ciò
che
è
falso
e
va
rigettato
.
Certamente
,
l
'
uomo
non
può
rinunciare
all
'
uso
del
principio
di
causalità
che
collega
insieme
tutti
i
fenomeni
e
gli
dà
una
veduta
d
'
insieme
,
semplice
e
completa
,
della
natura
.
Ma
,
dall
'
altro
lato
,
non
può
rinunciare
ad
agire
secondo
ragioni
di
cui
egli
stesso
è
il
solo
arbitro
e
giudice
,
al
di
fuori
di
ogni
calcolo
matematico
o
logico
.
Per
ogni
azione
effettuata
,
l
'
uomo
può
dare
le
sue
ragioni
;
non
gli
è
possibile
invece
dare
le
ragioni
di
tali
ragioni
.
Perciò
Lucas
conclude
:
«
Io
rispondo
per
le
mie
azioni
.
Io
sono
libero
di
scegliere
quello
che
farò
.
Ma
io
,
e
solo
io
,
sono
responsabile
per
la
mia
scelta
»
.
Il
libro
di
Lucas
è
un
esempio
notevole
del
modo
in
cui
oggi
vengono
trattati
i
problemi
della
filosofia
.
Apparentemente
,
tali
problemi
sono
sempre
quelli
,
i
cosiddetti
«
problemi
eterni
»
sui
quali
l
'
uomo
si
è
affaticato
sin
dagli
inizi
della
sua
riflessione
.
Ma
il
modo
di
trattarli
oggi
è
radicalmente
diverso
.
Essi
vengono
considerati
sul
fondamento
delle
acquisizioni
scientifiche
più
recenti
e
utilizzando
tali
acquisizioni
per
prospettarne
soluzioni
nuove
.
Lucas
ha
messo
come
epigrafe
del
suo
libro
un
passo
di
Epicuro
:
«
Era
meglio
credere
ai
miti
sugli
Dei
piuttosto
che
essere
schiavi
del
destino
dei
fisici
:
quelli
infatti
suggerivano
la
speranza
di
placare
gli
Dei
per
mezzo
degli
onori
,
questo
invece
ha
implacabile
necessità
»
.
E
questa
sembra
veramente
la
conclusione
dell
'
opera
di
Lucas
:
nella
quale
«
l
'
implacabile
necessità
»
non
è
esorcizzata
del
tutto
e
la
libertà
è
piuttosto
affidata
alla
«
teologia
matematica
»
,
cioè
a
un
atto
di
fede
nella
razionalità
dell
'
uomo
.
Ma
così
la
libertà
è
ridotta
entro
i
limiti
della
soggettività
umana
,
dell
'
io
individuale
:
sappiamo
solo
che
non
è
impossibile
,
non
sappiamo
ancora
cos
'
è
.
Un
'
analisi
più
ravvicinata
dovrebbe
mostrarcela
operante
nelle
scelte
che
l
'
uomo
fa
e
nelle
condizioni
oggettive
in
cui
le
scelte
sono
effettuate
.
Un
'
indagine
sulla
nozione
di
scelta
,
sui
suoi
limiti
e
sulle
possibilità
obbiettive
che
le
sono
offerte
nei
vari
campi
in
cui
l
'
uomo
agisce
,
diventa
sempre
più
urgente
,
non
solo
ai
fini
della
scienza
e
della
filosofia
,
ma
anche
per
mettere
l
'
uomo
di
fronte
alle
sue
responsabilità
precise
.
StampaQuotidiana ,
È
proprio
vero
che
il
mondo
in
cui
viviamo
è
il
prodotto
del
semplice
caso
?
Dobbiamo
proprio
credere
alla
scienza
che
,
dopo
aver
espulso
ogni
ordine
necessario
dalla
fisica
,
tende
ora
a
espungerlo
anche
dalla
biologia
che
,
mostrandoci
la
complessità
e
la
perfezione
degli
organismi
viventi
,
sembrava
testimoniare
la
presenza
di
un
disegno
finalistico
,
di
un
programma
diretto
alla
conservazione
e
all
'
arricchimento
della
vita
dell
'
universo
?
Non
dobbiamo
piuttosto
ricorrere
a
considerazioni
di
metafisica
e
tecnologia
che
ci
consentano
di
intravedere
nel
mondo
quell
'
ordine
,
quella
finalità
,
quel
disegno
che
la
scienza
rifiuta
?
Queste
e
molte
altre
domande
mi
sono
state
rivolte
a
proposito
di
un
articolo
pubblicato
su
queste
colonne
il
29
novembre
1970
dal
titolo
.
«
Dunque
l
'
universo
non
è
programmato
»
,
articolo
che
prendeva
lo
spunto
dal
libro
del
biologo
francese
Jacques
Monod
Il
caso
e
la
necessità
ora
apparso
anche
nell
'
edizione
italiana
.
Una
delle
lettere
giuntemi
è
un
vero
e
proprio
saggio
di
trentadue
pagine
di
Valentino
Azzolini
.
Ma
ora
un
articolo
di
Gustavo
Bontadini
apparso
su
L
'
educatore
italiano
del
15
marzo
sottopone
quel
mio
articolo
a
una
critica
tanto
acuta
e
stringente
quanto
rispettosa
e
cordiale
.
Rispondendo
a
questa
critica
,
risponderò
,
almeno
parzialmente
,
anche
alle
altre
critiche
che
mi
sono
state
rivolte
.
Innanzitutto
,
non
sembra
che
la
filosofia
possa
allegramente
infischiarsi
della
scienza
;
in
realtà
non
l
'
ha
mai
fatto
.
La
scienza
non
risolve
certo
tutti
i
problemi
dell
'
uomo
,
ma
offre
i
dati
di
fatto
indispensabili
per
affrontarli
con
qualche
probabilità
di
successo
.
Ciò
che
vale
nella
vita
di
ogni
giorno
,
vale
in
filosofia
:
se
mi
dispongo
a
fare
una
spesa
,
devo
prima
farmi
i
conti
in
tasca
,
cioè
ricorrere
all
'
aritmetica
.
Potrò
scegliere
le
spese
da
fare
ma
,
senza
quel
conto
,
mi
troverò
nei
pasticci
.
Così
la
filosofia
:
può
elaborare
concetti
e
dottrine
,
avanzare
ipotesi
più
o
meno
convincenti
,
ma
non
prescindere
dai
risultati
della
scienza
se
non
vuole
avventurarsi
in
fantasie
inconcludenti
e
parlare
di
cose
che
,
rigorosamente
parlando
,
non
esistono
.
La
scienza
può
mutare
i
suoi
risultati
,
come
giustamente
osserva
Bontadini
;
ma
anche
la
filosofia
muta
le
sue
dottrine
e
i
filosofi
che
Bontadini
cita
,
Teilhard
de
Chardin
e
Bonhoeffer
,
ci
offrono
dottrine
diverse
da
quelle
di
Sant
'
Agostino
e
di
San
Tommaso
,
pur
ispirandosi
alla
stessa
tradizione
religiosa
.
La
scienza
oggi
si
avvale
del
caso
per
elaborare
le
sue
ipotesi
esplicative
e
i
suoi
calcoli
.
Bontadini
dice
che
questo
significa
«
la
nostra
ignoranza
del
profondo
determinismo
della
natura
,
del
suo
programma
universale
»
piuttosto
che
«
l
'
esistenza
-
la
verità
-
dell
'
indeterminazione
,
della
casualità
»
.
Ma
come
si
possono
elaborare
dottrine
e
prospettive
,
effettuare
scelte
e
orientarsi
,
in
filosofia
o
nella
vita
,
sulla
base
di
ciò
che
ignoriamo
?
Anche
una
debole
lanterna
val
meglio
del
buio
per
procedere
su
un
sentiero
sconosciuto
.
Ma
Bontadini
non
si
mantiene
coerente
a
questa
riduzione
del
caso
all
'
ignoranza
.
Egli
aggiunge
subito
che
«
nessuno
può
vietare
a
Dio
di
giocare
ai
dadi
»
:
e
se
è
così
,
il
caso
non
è
la
nostra
ignoranza
,
ma
la
natura
stessa
del
mondo
,
voluta
e
stabilita
da
Dio
.
E
proprio
su
questo
punto
Bontadini
fa
leva
per
la
sua
difesa
della
metafisica
teologica
tradizionale
:
«
Quella
conseguenza
-
se
il
mondo
fosse
creato
da
Dio
allora
dovrebbe
essere
"
ordinato
"
nel
senso
che
sappiamo
-
non
sussiste
:
Dio
può
creare
il
mondo
come
gli
pare
e
piace
,
nessuno
può
vietargli
di
"
giocare
ai
dadi
"
(
per
ciò
che
riguarda
la
storia
della
natura
e
senza
che
venga
meno
la
Sua
Provvidenza
)
»
.
Sta
veramente
qui
il
punto
cruciale
.
Quale
significato
possono
avere
l
'
esistenza
e
la
provvidenza
di
Dio
in
un
mondo
dominato
dal
caso
?
Quale
indizio
,
segno
o
prova
,
questo
mondo
può
offrire
di
esse
?
Non
si
tratta
di
«
vietare
»
a
Dio
di
giocare
ai
dadi
:
si
tratta
di
vedere
come
in
un
giuoco
di
dadi
si
può
scorgere
la
presenza
di
Dio
o
l
'
azione
della
sua
provvidenza
.
Qui
comincia
veramente
il
problema
filosofico
.
E
mi
sembra
paradossale
dover
ricordare
a
Bontadini
,
cultore
emerito
della
metafisica
tradizionale
,
che
tutte
le
prove
da
essa
fornite
dell
'
esistenza
di
Dio
e
soprattutto
quelle
passate
attraverso
il
vaglio
di
S
.
Tommaso
,
sono
fondate
sull
'
ordine
e
sulla
finalità
del
mondo
,
sulla
necessità
della
catena
causale
,
sulla
gerarchia
perfetta
e
sulla
connessione
necessaria
degli
esseri
dell
'
universo
.
Se
il
mondo
è
un
giuoco
di
dadi
,
queste
prove
vanno
a
gambe
all
'
aria
.
Non
ce
n
'
è
una
che
regga
,
dal
punto
di
vista
in
cui
Bontadini
si
mette
.
Che
valore
può
essere
allora
riconosciuto
a
quella
metafisica
tradizionale
che
Bontadini
intende
difendere
?
Si
possono
certo
tentare
altre
vie
.
Si
può
,
per
esempio
,
tentare
di
scorgere
,
nell
'
infinitamente
vario
e
complesso
gioco
di
dadi
che
è
il
mondo
,
una
mano
maestra
che
,
alla
lunga
o
alla
lontana
,
come
quella
di
un
grande
giocatore
professionista
,
riesca
a
dirigere
il
gioco
e
a
indirizzarlo
ai
suoi
fini
.
Questi
tentativi
non
sono
stati
fatti
finora
.
Bontadini
potrebbe
intraprenderne
qualcuno
perché
ne
ha
la
capacità
;
e
,
quando
l
'
avrà
elaborato
,
potremo
discuterlo
.
Ma
per
ora
siamo
lasciati
a
mani
vuote
.
Affermare
che
Dio
può
avere
creato
tanto
un
mondo
deterministicamente
o
casualmente
ordinato
quanto
un
mondo
indeterministico
,
significa
semplicemente
togliere
ogni
significato
all
'
esistenza
di
Dio
.
Che
cosa
è
Dio
,
allora
?
Non
l
'
essere
necessario
,
non
la
causa
prima
,
non
il
primo
motore
,
non
l
'
essere
perfettissimo
,
non
l
'
onnipotente
:
perché
tutto
ciò
che
egli
fa
è
solo
il
risultato
di
una
gettata
di
dadi
.
Forse
questi
dadi
sono
truccati
;
ma
bisogna
averne
una
prova
o
almeno
darne
un
indizio
.
E
si
ritorna
da
capo
al
problema
del
caso
.
Non
si
tratta
perciò
di
una
scelta
fra
la
scienza
e
la
metafisica
e
neppure
fra
ateismo
e
teismo
.
Si
tratta
di
elaborare
dottrine
filosofiche
,
che
non
si
risolvano
in
una
negazione
dei
fatti
meglio
accertati
e
delle
ipotesi
più
probabili
.
Sarebbe
certo
assai
consolante
per
l
'
uomo
credere
di
vivere
in
un
mondo
amichevole
,
che
si
prenda
cura
di
lui
e
gli
garantisca
la
sopravvivenza
e
il
successo
.
Ma
la
metafisica
tradizionale
si
è
rivelata
incapace
di
dare
un
fondamento
a
questa
credenza
;
e
molti
teologi
e
spiriti
religiosi
ne
hanno
preso
atto
.
Giacché
,
quanto
alla
fede
,
essa
è
certamente
fuori
questione
e
continua
ad
offrirsi
all
'
opzione
degli
uomini
.
Basta
non
dimenticare
che
la
fede
si
può
perdere
come
si
può
acquistare
.
D
'
altronde
,
se
non
è
vietato
a
Dio
di
giocare
ai
dadi
,
perché
dovrebbe
essere
vietato
all
'
uomo
?
StampaQuotidiana ,
L
'
organismo
vivente
è
programmato
come
un
calcolatore
elettronico
.
Come
un
calcolatore
,
esso
ha
una
memoria
costituita
dai
messaggi
ereditari
che
gli
vengono
trasmessi
,
attraverso
i
geni
,
dai
suoi
genitori
;
e
,
come
il
calcolatore
,
è
costituito
da
un
progetto
cioè
da
un
piano
che
regola
fino
ai
minimi
particolari
la
sua
formazione
.
Per
queste
analogie
,
la
teoria
dell
'
informazione
trova
eguale
applicazione
nella
cibernetica
e
nella
biologia
.
Ma
esistono
anche
differenze
sostanziali
tra
il
programma
cibernetico
e
il
programma
genetico
.
Il
primo
si
può
modificare
a
volontà
,
perché
l
'
informazione
registrata
su
nastro
magnetico
si
aggiunge
o
si
cancella
a
seconda
dei
risultati
ottenuti
;
il
secondo
invece
,
iscritto
com
'
è
nella
struttura
stessa
della
cellula
,
non
può
essere
modificato
dall
'
esperienza
e
resta
quindi
immutato
nel
succedersi
delle
generazioni
.
Le
istruzioni
della
macchina
non
regolano
la
sua
struttura
fisica
e
i
pezzi
che
la
compongono
;
quelle
dell
'
organismo
invece
regolano
la
produzione
degli
stessi
organi
incaricati
dell
'
esecuzione
del
programma
.
Anche
se
fosse
possibile
costruire
una
macchina
capace
di
riprodursi
,
essa
darebbe
luogo
soltanto
a
copie
esatte
di
se
stessa
e
dopo
qualche
generazione
degenererebbe
verso
il
disordine
statistico
.
L
'
essere
vivente
,
invece
,
non
è
mai
la
copia
dei
genitori
quali
sono
al
momento
della
procreazione
:
è
un
essere
nuovo
,
che
ripercorre
nell
'
intero
ciclo
la
vita
dei
genitori
.
Il
programma
genetico
,
inoltre
,
non
è
mai
assolutamente
rigido
:
spesso
impone
soltanto
limiti
all
'
azione
dell
'
ambiente
sull
'
organismo
o
dà
a
quest
'
ultimo
il
potere
di
reagire
in
un
certo
modo
all
'
ambiente
.
Nell
'
ampliarsi
di
questi
limiti
,
nella
loro
maggiore
elasticità
si
può
scorgere
la
direzione
verso
cui
muove
l
'
evoluzione
,
nonostante
i
suoi
errori
,
i
suoi
vicoli
ciechi
e
il
suo
procedere
a
caso
.
Tale
almeno
è
l
'
opinione
di
François
Jacob
(
La
logica
del
vivente
,
ed.
Einaudi
)
che
ebbe
nel
1965
il
Premio
Nobel
insieme
con
Jacques
Monod
,
l
'
autore
di
Il
caso
e
la
necessità
pubblicato
quasi
contemporaneamente
a
questo
libro
.
L
'
evoluzione
,
secondo
Jacob
,
è
caratterizzata
dalla
sua
«
apertura
»
,
dalla
sua
tendenza
a
rendere
più
elastica
l
'
esecuzione
del
programma
genetico
,
che
permette
all
'
organismo
di
sviluppare
i
suoi
rapporti
con
l
'
ambiente
e
di
estendere
il
suo
raggio
d
'
azione
.
Questo
è
proprio
ciò
che
è
avvenuto
,
al
grado
massimo
,
nell
'
uomo
e
ha
reso
possibile
la
costruzione
di
quel
mondo
della
cultura
che
è
un
nuovo
livello
di
vita
ed
è
capace
di
reagire
sulla
stessa
evoluzione
biologica
:
«
Di
tutti
gli
organismi
viventi
,
scrive
Jacob
,
è
l
'
uomo
quello
che
possiede
il
programma
genetico
più
aperto
ed
elastico
.
Ma
dove
si
arresta
l
'
elasticità
?
In
quale
misura
il
comportamento
umano
è
prescritto
dai
geni
?
A
quali
restrizioni
ereditarie
è
sottoposto
lo
spirito
umano
?
»
.
Queste
domande
sono
lasciate
da
Jacob
senza
risposta
perché
,
allo
stato
attuale
degli
studi
,
non
possono
averne
.
Non
si
conoscono
,
in
altri
termini
,
con
esattezza
i
gradi
di
libertà
che
il
codice
genetico
consente
all
'
uomo
:
non
si
ha
quindi
un
criterio
sicuro
per
discernere
,
tra
le
possibilità
diverse
che
la
sua
vita
culturale
gli
fa
intravedere
,
quelle
che
la
sua
organizzazione
biologica
gli
consente
di
realizzare
e
quelle
che
esclude
.
Ma
un
punto
,
tuttavia
,
è
chiaro
per
Jacob
come
per
Monod
.
Lo
sviluppo
culturale
ha
annullato
o
estremamente
limitato
la
funzione
della
selezione
naturale
nella
trasformazione
dell
'
uomo
.
Monod
ha
insistito
sulle
conseguenze
disastrose
che
ha
nella
nostra
società
la
soppressione
della
selezione
naturale
che
favoriva
,
nelle
età
precedenti
,
la
sopravvivenza
del
più
adatto
.
E
,
come
rimedio
,
ha
proposto
la
«
selezione
delle
idee
»
cioè
la
eliminazione
di
tutte
le
credenze
e
le
ideologie
che
contrastano
con
l
'
obbiettività
e
la
serenità
della
conoscenza
scientifica
e
minano
i
valori
su
cui
essa
si
fonda
.
Jacob
invece
rimane
estraneo
a
questo
umanesimo
scientifico
.
Da
un
lato
,
infatti
,
è
meno
dogmatico
di
Monod
nel
riconoscere
carattere
definitivo
allo
stato
attuale
della
scienza
.
«
Oggi
,
egli
dice
,
viviamo
in
un
mondo
di
messaggi
,
di
codici
,
di
informazione
.
Quale
ulteriore
analisi
scomporrà
domani
gli
oggetti
della
nostra
conoscenza
per
ricomporli
in
una
nuova
dimensione
?
Quale
nuova
bambolina
russa
ne
emergerà
?
»
.
Sono
le
ultime
parole
del
suo
libro
.
Dall
'
altro
lato
,
Jacob
dà
più
credito
a
quella
che
oggi
si
chiama
l
'
«
ingegneria
genetica
»
.
Ritiene
possibile
che
un
giorno
si
potrà
intervenire
sulla
costruzione
del
programma
genetico
per
correggere
certi
difetti
e
inserire
alcune
aggiunte
:
che
si
riuscirà
forse
anche
a
produrre
,
a
volontà
e
nel
numero
di
esemplari
desiderato
,
la
copia
esatta
di
ogni
individuo
:
un
uomo
politico
,
un
artista
,
una
reginetta
di
bellezza
,
un
atleta
.
Monod
respinge
nelle
chimere
fantascientifiche
queste
alternative
.
«
Si
potranno
,
egli
dice
,
trovare
palliativi
per
certe
tare
genetiche
,
ma
solo
per
l
'
individuo
colpito
,
non
per
la
sua
discendenza
.
La
genetica
molecolare
moderna
non
solo
non
ci
offre
alcun
mezzo
per
agire
sul
patrimonio
ereditario
e
arricchirlo
di
caratteri
nuovi
,
per
creare
un
superuomo
genetico
,
ma
ci
rivela
la
vanità
di
questa
speranza
:
la
scala
microscopica
del
genoma
vieta
per
il
momento
e
forse
per
sempre
tali
manipolazioni
.
»
Questi
opposti
punti
di
vista
di
due
scienziati
,
che
condividono
la
stessa
impostazione
generale
della
biologia
e
lavorano
nello
stesso
campo
,
riflettono
il
contrasto
di
opinioni
che
si
è
venuto
determinando
nel
mondo
moderno
intorno
al
futuro
della
scienza
e
della
tecnologia
in
generale
.
Gli
ottimisti
ritengono
che
alla
scienza
è
affidato
il
futuro
dell
'
uomo
perché
essa
sarà
capace
di
migliorare
la
qualità
della
vita
e
di
consolidare
la
dignità
dell
'
uomo
.
I
pessimisti
prevedono
per
l
'
uomo
e
per
il
suo
ambiente
le
conseguenze
più
disastrose
dal
rafforzamento
e
dall
'
ampliamento
dei
mezzi
tecnici
della
scienza
.
Il
pubblico
grosso
sembra
inclinare
al
pessimismo
:
il
numero
degli
astrologi
,
dei
maghi
,
di
coloro
che
difendono
contro
la
scienza
le
vecchie
concezioni
animistiche
e
antropomorfiche
dell
'
universo
,
è
in
crescente
aumento
.
L
'
oscillazione
,
dalla
quale
l
'
umanità
è
sempre
stata
tentata
,
fra
il
tutto
e
il
nulla
,
trova
in
questi
atteggiamenti
la
sua
espressione
più
critica
.
O
la
scienza
è
tutto
,
cioè
è
capace
di
risolvere
tutti
i
problemi
presenti
e
futuri
dell
'
uomo
;
o
non
serve
a
nulla
ed
è
meglio
ritornare
alle
antiche
credenze
.
Questa
alternativa
è
puerile
e
pericolosa
.
La
scienza
,
certo
,
non
è
tutta
la
vita
dell
'
uomo
,
la
sua
forma
attuale
non
è
quella
definitiva
e
,
molto
probabilmente
(
se
è
vera
la
lezione
del
passato
)
una
forma
definitiva
non
l
'
avrà
mai
.
Ma
,
dall
'
altro
lato
,
la
rinunzia
alla
scienza
porrebbe
l
'
uomo
completamente
allo
scoperto
di
fronte
ai
pericoli
che
lo
minacciano
da
ogni
parte
.
Quel
certo
grado
di
conoscenza
obbiettiva
,
che
l
'
uomo
ha
saputo
conquistare
attraverso
una
lunga
vicenda
di
pericoli
e
di
lotte
è
ancora
lo
strumento
migliore
di
cui
dispone
per
la
sua
sopravvivenza
.
Occorre
solo
che
continui
a
coltivarlo
,
che
non
lo
ritenga
perfetto
e
che
soprattutto
impari
a
servirsene
nei
modi
che
sono
più
conformi
al
suo
benessere
e
alla
sua
dignità
.
E
,
per
quest
'
ultimo
scopo
,
la
«
saggezza
»
,
di
cui
gli
antichi
parlavano
,
è
certamente
essenziale
:
una
saggezza
che
ignori
il
tutto
ed
il
nulla
,
che
sia
fatta
di
modestia
e
costanza
,
e
soprattutto
riconosca
i
limiti
e
gli
autentici
bisogni
dell
'
uomo
.
StampaQuotidiana ,
A
chi
abbia
anche
una
scarsa
familiarità
con
l
'
arte
contemporanea
può
apparire
sorprendente
la
definizione
che
György
Lukács
dà
dell
'
arte
nella
sua
Estetica
(
1600
pagine
ora
tradotte
presso
l
'
Editore
Einaudi
:
il
solo
primo
volume
dell
'
opera
che
dovrebbe
comprenderne
altri
due
)
:
l
'
arte
è
il
rispecchiamento
della
realtà
.
Coloro
che
visitino
qualche
galleria
o
mostra
d
'
arte
contemporanea
o
siano
appena
al
corrente
della
varietà
di
indirizzi
,
di
stili
e
di
gusti
che
sono
proposti
,
difesi
e
illustrati
da
artisti
e
da
critici
,
si
rendono
subito
conto
che
«
il
rispecchiamento
della
realtà
»
è
ciò
di
cui
l
'
arte
contemporanea
si
preoccupa
meno
,
anche
quando
non
lo
rifiuta
esplicitamente
o
non
lo
disprezza
come
una
degradazione
dell
'
arte
.
E
,
d
'
altronde
,
non
è
quello
un
altro
nome
dell
'
imitazione
(
o
mimési
)
che
già
Platone
e
Aristotele
consideravano
come
la
sola
funzione
dell
'
arte
e
che
l
'
estetica
moderna
,
da
Vico
in
poi
,
ha
combattuta
e
respinta
?
Lukács
ritiene
che
non
solo
l
'
arte
,
ma
tutta
la
vita
umana
,
in
tutti
i
suoi
aspetti
,
non
fa
che
rispecchiare
la
realtà
.
Solo
questa
tesi
,
egli
dice
,
consente
di
respingere
definitivamente
l
'
idealismo
,
che
considera
la
realtà
come
la
creazione
della
coscienza
.
E
solo
il
rifiuto
dell
'
idealismo
consente
di
negare
alla
realtà
il
carattere
sovratemporale
o
atemporale
,
cioè
«
eterno
»
,
e
di
considerarla
come
mutamento
e
divenire
,
cioè
come
storia
.
L
'
intera
opera
di
Lukács
è
stata
e
rimane
diretta
soprattutto
alla
difesa
dello
storicismo
;
cioè
di
una
concezione
che
vede
nel
mondo
una
realtà
che
si
sviluppa
e
diviene
con
un
ritmo
razionale
o
dialettico
e
che
perciò
coincide
con
lo
sviluppo
e
il
divenire
della
Ragione
.
Non
per
nulla
egli
è
stato
frequentemente
accusato
di
idealismo
da
parte
dei
suoi
critici
marxisti
e
non
marxisti
,
nonostante
le
sue
pretese
di
essere
un
materialista
seguace
di
Marx
e
Lenin
.
Ma
,
dal
suo
punto
di
vista
,
l
'
arte
non
è
rispecchiamento
nel
senso
di
essere
la
copia
fotografica
della
realtà
.
La
realtà
è
in
continuo
mutamento
per
opera
del
lavoro
umano
,
e
della
scienza
che
ne
continua
e
rafforza
l
'
azione
.
L
'
arte
rispecchia
a
ogni
istante
questo
mutamento
,
lo
simboleggia
,
quale
esso
è
qui
e
ora
,
e
ne
coglie
la
radice
profonda
che
sta
nella
stessa
umanità
dell
'
uomo
.
Quando
Lukács
dice
che
l
'
arte
rispecchia
la
realtà
,
intende
per
«
realtà
»
il
rapporto
indissolubile
uomo
-
mondo
.
Questo
rapporto
è
mediato
dal
lavoro
.
Una
cosa
naturale
diventa
un
oggetto
solo
in
quanto
diventa
oggetto
di
lavoro
o
mezzo
di
lavoro
,
sicché
solo
con
il
lavoro
nasce
un
autentico
rapporto
tra
l
'
uomo
e
il
mondo
.
Lukács
su
questo
punto
non
vede
alcuna
differenza
tra
Hegel
e
Marx
:
afferma
che
«
solo
la
teoria
hegeliano
-
marxiana
dell
'
autocreazione
dell
'
uomo
attraverso
il
proprio
lavoro
»
ha
messo
in
luce
il
principio
che
(
secondo
le
parole
di
Gordon
Childe
)
«
l
'
uomo
crea
se
stesso
»
.
Il
rispecchiamento
dell
'
arte
è
allora
il
rispecchiamento
di
questa
autocreazione
:
e
cioè
la
via
,
sia
pure
obliqua
,
approssimativa
e
imperfetta
,
attraverso
la
quale
l
'
umanità
giunge
alla
propria
autocoscienza
.
Anche
quando
l
'
arte
rappresenta
,
o
si
propone
di
rappresentare
,
cose
o
eventi
del
mondo
naturale
,
pretendendo
di
esserne
la
semplice
copia
fotografica
,
essa
include
nel
suo
prodotto
(
sia
esso
romanzo
,
poesia
o
raffigurazione
)
un
rapporto
inscindibile
della
cosa
o
dell
'
evento
con
l
'
umanità
e
precisamente
con
quel
momento
della
storia
di
essa
,
cui
l
'
artista
appartiene
.
«
L
'
oggetto
di
questo
rispecchiamento
-
scrive
Lukács
-
deve
apparire
non
soltanto
come
è
in
sé
,
ma
anche
come
momento
dell
'
interazione
fra
società
e
natura
,
fra
le
sue
cause
e
le
conseguenze
nella
società
.
Nella
posizione
degli
oggetti
,
comprende
quindi
anche
il
rapporto
umano
,
la
reazione
umana
agli
oggetti
stessi
.
»
Non
è
indispensabile
che
l
'
artista
abbia
consapevolezza
di
questo
rapporto
,
che
è
l
'
oggetto
autentico
della
sua
arte
,
giacché
anche
se
lo
nega
,
esso
è
presente
a
lui
come
uomo
che
vive
tra
gli
altri
uomini
e
nel
mondo
.
Ma
se
tutta
la
vita
è
un
rispecchiamento
della
realtà
,
in
che
modo
l
'
arte
si
distingue
dalle
altre
forme
dell
'
attività
umana
,
e
per
esempio
dalla
scienza
?
Fin
dai
suoi
primordi
nel
mondo
greco
,
la
scienza
ha
cercato
di
«
disantropomorfizzare
»
il
mondo
,
cioè
di
interpretarlo
prescindendo
da
ogni
carattere
o
attività
umana
.
Questo
disantropomorfizzare
conferisce
alla
conoscenza
scientifica
la
sua
validità
oggettiva
e
ne
fa
uno
strumento
indispensabile
per
l
'
esistenza
umana
nel
mondo
:
ma
essa
accentua
pure
il
distacco
,
anzi
la
frattura
,
tra
il
rispecchiamento
scientifico
e
il
rispecchiamento
estetico
.
La
scienza
vede
nella
natura
un
oggetto
completamente
indipendente
e
staccato
dall
'
uomo
;
l
'
arte
vede
nella
natura
un
oggetto
che
è
in
rapporto
essenziale
con
l
'
uomo
:
un
rapporto
sociale
,
perché
mediato
dal
lavoro
e
dalle
relazioni
tra
gli
uomini
che
il
lavoro
comporta
.
Perciò
l
'
oggetto
,
di
cui
si
occupa
l
'
arte
,
non
è
la
natura
nella
sua
universalità
né
l
'
individuo
nella
sua
particolarità
:
è
piuttosto
un
tipo
nel
quale
il
rapporto
uomo
-
natura
si
specifica
in
un
dato
momento
della
storia
.
Ma
,
dall
'
altro
lato
,
l
'
arte
si
allea
alla
scienza
contro
la
religione
in
quanto
entrambe
tendono
ad
eliminare
dal
mondo
il
soprannaturale
,
l
'
eterno
,
il
trascendente
.
La
scienza
e
l
'
arte
,
secondo
Lukács
,
sono
gli
organi
creati
dall
'
umanità
per
se
stessa
,
per
conquistarsi
la
realtà
,
per
sottometterla
,
per
trasformarla
in
un
possesso
durevole
e
sempre
disponibile
del
genere
umano
.
Ma
la
scienza
può
procedere
su
questa
via
solo
fino
ad
un
certo
punto
:
si
rifiuta
di
dare
una
«
visione
del
mondo
»
,
si
avvale
soprattutto
di
astratti
strumenti
o
di
modelli
matematici
,
e
così
lascia
ancora
libero
il
campo
al
bisogno
religioso
.
Solo
l
'
arte
può
liberare
definitivamente
l
'
uomo
da
tale
bisogno
e
realizzare
la
catarsi
definitiva
.
Solo
la
catarsi
estetica
rivelerà
all
'
uomo
la
sua
vera
essenza
,
facendogli
vedere
che
la
storia
è
fatta
da
lui
stesso
,
e
non
da
una
forza
trascendente
,
e
dandogli
l
'
autocoscienza
che
gli
permette
di
viverla
e
di
parteciparvi
in
quanto
lotta
di
forze
e
debolezze
umane
,
di
virtù
e
di
vizi
umani
.
Lukács
identifica
perciò
l
'
avvenire
socialista
della
società
umana
con
il
trionfo
dell
'
arte
.
Solo
l
'
arte
porta
l
'
uomo
alla
coscienza
dei
suoi
rapporti
con
gli
altri
uomini
,
gli
fa
scorgere
la
propria
essenza
e
gli
consente
di
rispondere
al
vecchio
imperativo
del
«
conosci
te
stesso
»
.
Ma
«
conoscere
se
stesso
»
significa
per
l
'
uomo
riconoscersi
come
l
'
unico
Soggetto
della
storia
,
come
la
vera
e
sola
divinità
che
domina
e
dirige
lo
sviluppo
progressivo
della
società
umana
.
Come
autocoscienza
dell
'
umanità
,
l
'
arte
non
solo
tende
a
eliminare
il
bisogno
religioso
che
fa
appello
a
una
Realtà
trascendente
,
sia
pure
indefinita
o
indefinibile
,
ma
anche
limita
e
subordina
a
sé
le
altre
attività
umane
,
il
lavoro
e
la
scienza
.
E
perché
non
l
'
economia
e
la
politica
?
Questa
estetica
di
Lukács
non
è
un
'
analisi
dei
fenomeni
artistici
ma
un
sistema
di
filosofia
che
,
sulla
scia
del
romanticismo
del
secolo
scorso
,
scorge
nell
'
arte
il
solo
strumento
adeguato
per
la
conoscenza
dell
'
Assoluto
.
Le
strutture
economiche
e
sociali
,
per
quanto
episodicamente
richiamate
da
Lukács
,
perdono
ogni
importanza
in
questo
contesto
.
Sembra
che
tutte
le
speranze
dell
'
uomo
,
per
uscire
dalle
strettoie
in
cui
oggi
si
trova
e
dai
conflitti
che
lo
tormentano
,
debbano
appuntarsi
sull
'
arte
.
Ma
questa
esaltazione
dell
'
arte
,
questa
specie
di
delirio
idealistico
,
non
è
una
fuga
dalla
realtà
più
che
esserne
il
rispecchiamento
?
StampaQuotidiana ,
Un
bambino
galoppa
fieramente
su
un
manico
di
scopa
come
su
di
un
cavallo
:
questa
è
la
prima
o
più
lontana
radice
dell
'
arte
,
secondo
Ernst
H
.
Gombrich
,
uno
dei
più
colti
e
acuti
storici
e
interpreti
contemporanei
dell
'
arte
,
un
cui
volume
di
saggi
è
stato
ora
pubblicato
in
italiano
(
A
cavallo
di
un
manico
di
scopa
,
Saggi
di
teoria
dell
'
arte
,
ed.
Einaudi
,
1971
)
.
La
radice
dell
'
arte
non
è
ancora
l
'
arte
:
il
manico
di
scopa
non
è
ancora
un
'
immagine
artistica
,
è
soltanto
un
sostituto
del
cavallo
.
Ma
se
il
bambino
sente
il
bisogno
di
aggiungere
due
occhi
,
un
muso
,
due
orecchie
affinché
il
suo
manico
di
scopa
si
avvicini
alla
rappresentazione
comune
del
cavallo
,
l
'
arte
comincia
a
nascere
nella
sua
forma
primitiva
che
è
quella
appunto
dell
'
immagine
,
e
non
è
più
un
surrogato
dell
'
oggetto
reale
,
ma
qualcosa
che
lo
evoca
o
lo
simboleggia
richiamandone
i
tratti
.
Nello
scegliere
e
nel
segnare
questi
tratti
,
l
'
artista
non
è
mai
l
'
occhio
innocente
che
vede
il
mondo
qual
è
:
se
fosse
tale
,
sarebbe
paralizzato
e
travolto
dal
caos
di
forme
e
di
colori
che
gli
si
para
dinanzi
.
Non
può
allora
che
assumere
come
punto
di
partenza
«
il
vocabolario
convenzionale
delle
forme
basilari
»
,
cioè
gli
schemi
o
le
forme
che
trova
già
bell
'
e
fatti
nel
mondo
comune
di
percepire
e
rappresentare
le
cose
e
che
è
proprio
del
mondo
o
della
civiltà
cui
appartiene
.
E
così
,
secondo
Gombrich
,
appena
uscita
dalla
fase
del
cavalluccio
a
manico
di
scopa
(
la
fase
del
surrogato
)
,
l
'
arte
acquista
la
libertà
di
scegliere
i
tratti
da
fissare
nell
'
opera
e
deve
fare
appello
alla
collaborazione
di
chi
la
contempla
,
affinché
questi
possa
evocare
,
sulla
falsariga
dei
suggerimenti
che
essa
gli
dà
,
l
'
immagine
concettuale
che
gli
sta
davanti
.
«
La
macchia
che
nel
dipinto
di
Manet
-
dice
Gombrich
-
sta
a
rappresentare
un
cavallo
,
è
altrettanto
lontana
dall
'
imitarne
la
forma
esterna
quanto
lo
è
il
nostro
cavalluccio
a
manico
di
scopa
.
Eppure
Manet
l
'
ha
congegnata
con
tanta
abilità
che
essa
evoca
per
noi
l
'
immagine
di
un
cavallo
;
a
patto
,
beninteso
,
che
ci
sia
la
nostra
collaborazione
.
»
Il
passaggio
dal
surrogato
di
un
oggetto
utilizzabile
(
come
sarebbe
il
manico
di
scopa
che
fa
da
cavallo
)
ad
un
'
immagine
rappresentativa
della
realtà
veduta
o
sperimentata
(
cioè
all
'
arte
naturalistica
)
segna
perciò
,
secondo
Gombrich
,
l
'
inizio
della
libertà
dell
'
artista
.
Esso
infatti
elimina
l
'
esigenza
di
incorporare
nella
sua
opera
tutti
i
tratti
essenziali
dell
'
oggetto
e
fa
di
essa
«
un
appunto
che
fissa
ciò
che
l
'
artista
ha
visto
o
avrebbe
potuto
vedere
»
e
che
lo
spettatore
,
partecipando
al
gioco
,
completa
con
la
sua
fantasia
,
aggiungendovi
i
tratti
che
l
'
oggetto
reale
possiede
.
Il
che
vuol
dire
che
,
proprio
quando
l
'
arte
si
propone
di
rappresentare
la
natura
o
i
procedimenti
naturali
,
l
'
arte
perde
la
sua
passività
nei
confronti
della
natura
stessa
,
acquista
la
libertà
di
scegliere
tra
gli
infiniti
tratti
che
possono
caratterizzare
un
oggetto
e
fa
appello
alla
libertà
interpretativa
dello
spettatore
.
Questa
conclusione
è
solo
apparentemente
paradossale
,
perché
la
psicologia
moderna
ha
mostrato
che
la
percezione
degli
oggetti
naturali
non
è
la
registrazione
passiva
di
essi
,
ma
piuttosto
una
costruzione
attiva
che
utilizza
,
a
seconda
dei
casi
,
questo
o
quel
tratto
caratteristico
;
e
che
questa
costruzione
tende
a
fissarsi
in
forme
convenzionali
più
o
meno
accettate
da
tutti
,
esattamente
come
le
parole
della
lingua
corrente
.
Alla
psicologia
,
come
alla
psicanalisi
,
allo
strutturalismo
e
alla
teoria
dell
'
informazione
,
il
Gombrich
attinge
per
rispondere
in
modo
non
sempre
chiaro
,
ma
sempre
suggestivo
,
alle
domande
cruciali
che
oggi
si
pongono
sulla
natura
dell
'
arte
.
È
,
l
'
arte
,
assoluta
libertà
creativa
?
È
l
'
espressione
del
sentimento
?
O
è
invece
comunicazione
e
trasmissione
di
messaggi
?
Alla
prima
domanda
,
la
risposta
è
già
implicita
in
quanto
si
è
detto
.
L
'
arte
non
è
,
come
voleva
Schopenhauer
,
il
«
puro
occhio
del
mondo
»
che
guarda
le
cose
con
perfetta
innocenza
;
e
non
è
neppure
la
creazione
dal
nulla
di
un
mondo
nuovo
.
È
,
in
ogni
caso
,
una
costruzione
artigianale
che
attinge
dalla
natura
i
suoi
materiali
,
scegliendoli
e
combinandoli
assieme
.
Ma
neppure
in
questa
scelta
e
combinazione
l
'
artista
è
assolutamente
libero
.
Le
forme
convenzionali
che
gli
oggetti
hanno
assunto
nella
percezione
comune
e
nell
'
arte
del
suo
tempo
lo
condizionano
,
anche
se
egli
tenta
di
reagire
ad
esse
e
di
trasformarle
.
Gombrich
cita
l
'
osservazione
di
Wòlfflin
che
tutti
i
quadri
devono
di
più
ad
altri
quadri
che
non
alla
natura
;
e
per
suo
conto
osserva
che
anche
l
'
artista
che
si
strugge
dal
desiderio
di
sottrarsi
alla
convenzionalità
rivela
,
perciò
stesso
,
l
'
importanza
che
la
convenzionalità
delle
forme
ha
per
la
sua
opera
.
In
secondo
luogo
,
la
vecchia
definizione
romantica
dell
'
arte
come
«
linguaggio
delle
emozioni
»
non
rende
conto
della
struttura
delle
opere
d
'
arte
;
né
l
'
artista
dispone
di
mezzi
infallibili
per
comunicare
le
sue
emozioni
,
di
un
equivalente
naturale
,
quasi
mandato
da
Dio
,
tra
la
loro
totalità
e
le
forme
in
cui
esse
si
esprimono
.
Egli
sceglie
nella
sua
tavolozza
,
fra
i
colori
disponibili
,
quello
che
gli
sembra
che
si
accosti
di
più
all
'
emozione
che
desidera
esprimere
;
ma
molti
degli
strumenti
tecnici
di
cui
l
'
arte
si
è
avvalsa
a
questo
scopo
son
nati
forse
per
caso
e
potrebbero
essere
sostituiti
da
altri
.
Così
è
probabile
,
ad
esempio
,
che
il
nero
sia
interpretato
come
espressione
di
tristezza
,
solo
se
si
sa
già
che
esiste
una
scelta
fra
due
possibilità
di
cui
una
esprime
tristezza
e
l
'
altra
gioia
.
L
'
esistenza
di
possibilità
diverse
,
note
sia
all
'
artista
che
allo
spettatore
,
avvicina
l
'
opera
d
'
arte
al
messaggio
di
cui
parla
la
teoria
dell
'
informazione
:
giacché
tali
possibilità
costituiscono
il
codice
comune
all
'
artista
e
allo
spettatore
.
In
generale
,
i
messaggi
contengono
informazioni
solo
in
virtù
della
loro
capacità
selettiva
:
agiscono
sulle
possibilità
alterne
che
costituiscono
il
dubbio
di
chi
le
riceve
.
L
'
artista
può
presentare
questi
messaggi
in
cifre
volutamente
imbrogliate
fino
a
renderli
inintelligibili
e
così
scuote
l
'
inerzia
delle
nostre
convenzioni
e
il
torpore
delle
nostre
abitudini
.
Ma
né
comunicazione
né
espressione
possono
funzionare
nel
vuoto
.
«
Tanto
chi
trasmette
come
chi
riceve
ha
bisogno
di
essere
guidato
,
nella
giusta
misura
,
dice
Gombrich
,
da
una
schiera
di
possibilità
alterne
fra
le
quali
una
scelta
può
diventare
espressiva
.
»
O
,
in
altri
termini
,
un
artista
può
infrangere
una
certa
struttura
o
riformare
un
certo
codice
di
messaggi
solo
proponendone
altri
,
seppure
in
forma
approssimata
od
oscura
e
suscettibile
d
'
interpretazioni
diverse
.
Da
questa
trama
concettuale
,
che
regge
i
saggi
di
Gombrich
,
il
quale
(
è
bene
notarlo
)
non
muove
da
alcuna
pregiudiziale
contro
questa
o
quella
forma
dell
'
arte
contemporanea
,
emerge
una
constatazione
che
Gombrich
stesso
ha
fatto
solo
di
sfuggita
:
il
riconoscimento
della
funzione
del
caso
nell
'
arte
.
Non
è
solo
la
fisica
o
la
biologia
,
l
'
informatica
o
la
teoria
dei
sistemi
,
che
devono
ammettere
l
'
esistenza
del
caso
:
anche
la
teoria
dell
'
arte
lo
esige
.
Oggi
come
non
mai
,
l
'
arte
cerca
nuove
forme
di
espressione
e
di
comunicazione
,
nuove
finestre
da
cui
guardare
il
mondo
:
procede
per
tentativi
il
più
delle
volte
condotti
a
caso
,
in
tutte
le
direzioni
possibili
,
cercando
di
stabilire
codici
interpretativi
più
o
meno
chiari
che
possano
sostituire
quelli
già
esistenti
.
Come
tutti
i
tentativi
,
alcuni
possono
riuscire
e
altri
no
:
l
'
arte
si
appiglia
a
tutte
le
possibilità
disponibili
e
cerca
di
scoprirne
di
nuove
.
Il
suo
successo
non
è
garantito
in
anticipo
.
Giustamente
Gombrich
si
pronunzia
contro
la
credenza
nella
«
marcia
inesorabile
del
progresso
»
,
secondo
la
quale
tutto
ciò
che
è
nuovo
sarebbe
un
passo
in
avanti
.
Si
tratta
invece
di
esplorare
e
sperimentare
,
esattamente
come
si
fa
nella
scienza
,
anche
se
il
criterio
della
riuscita
non
è
così
preciso
come
quello
che
la
scienza
pretende
.
Inoltre
il
successo
di
un
esperimento
non
sempre
coincide
con
il
plauso
del
pubblico
.
Ma
in
ogni
caso
,
per
l
'
arte
come
per
la
teoria
dell
'
arte
,
si
tratta
di
trovare
possibilità
interpretative
e
espressive
che
siano
realmente
tali
e
ogni
opera
d
'
arte
è
una
specie
di
test
che
mette
a
prova
il
valore
di
queste
possibilità
.
Nel
mondo
del
caso
,
anche
l
'
arte
cerca
una
qualche
struttura
o
un
qualche
ordine
,
che
però
rimane
instabile
e
non
elimina
mai
del
tutto
il
pericolo
dell
'
insuccesso
e
della
frustrazione
.
StampaQuotidiana ,
Si
crede
comunemente
che
la
stregoneria
sia
un
insieme
di
credenze
superstiziose
,
proprie
di
società
primitive
o
(
come
si
diceva
)
di
«
popolazioni
selvagge
»
;
e
si
potrebbe
credere
che
,
nel
nostro
tipo
di
civiltà
,
sia
un
ricordo
del
passato
,
oggetto
solo
di
interesse
storico
o
di
curiosità
svagata
.
Gli
ultimi
processi
alle
streghe
furono
infatti
celebrati
in
Europa
prima
della
Rivoluzione
francese
(
circa
due
secoli
fa
)
;
e
sebbene
il
maccartismo
,
per
la
sua
persecuzione
indiscriminata
contro
tutti
i
sospetti
di
comunismo
,
sia
stato
chiamato
«
la
caccia
alle
streghe
»
e
come
tale
rappresentato
dal
commediografo
Arthur
Miller
(
The
Crucible
,
1952
)
,
l
'
espressione
si
intese
in
senso
metaforico
o
approssimato
.
Infatti
in
un
'
epoca
come
la
nostra
,
dominata
dal
razionalismo
scientifico
e
tecnologico
e
in
cui
autentici
prodigi
sono
realizzati
da
macchine
perfezionate
e
da
procedimenti
ingegnosi
di
cui
si
conosce
esattamente
la
logica
e
il
funzionamento
,
sembra
assurdo
che
si
continui
a
credere
a
influenze
o
poteri
occulti
,
di
cui
certi
uomini
o
donne
siano
dotati
e
che
siano
capaci
di
infliggere
agli
altri
danni
immeritati
.
Ma
gli
antropologi
moderni
,
a
differenza
degli
antichi
viaggiatori
,
che
si
limitavano
a
descrivere
i
costumi
dei
popoli
visitati
e
a
scandalizzarsi
quando
li
trovavano
diversi
dai
loro
,
cercano
di
capire
la
funzione
che
credenze
e
istituzioni
esercitano
nella
società
in
cui
vigono
,
di
scorgerle
nella
struttura
complessiva
di
tali
società
e
determinare
il
bisogno
a
cui
rispondono
o
il
fine
che
,
più
o
meno
palesemente
,
tendono
a
raggiungere
.
Così
hanno
fatto
per
la
stregoneria
che
,
a
partire
da
un
'
opera
classica
di
EvansPritchard
(
1937
)
,
è
stata
sottoposta
,
sulla
base
di
una
documentazione
sempre
più
larga
,
ad
analisi
e
a
considerazioni
teoriche
le
quali
dimostrano
che
le
sue
radici
affondano
più
che
in
un
certo
tipo
di
cultura
o
di
società
,
nella
stessa
realtà
umana
.
In
primo
luogo
,
si
distingue
oggi
la
stregoneria
dalla
magia
,
che
è
un
'
arte
e
una
scienza
presunta
,
la
quale
si
può
insegnare
o
imparare
e
ha
quindi
i
suoi
«
dottori
»
.
La
stregoneria
invece
consiste
in
un
naturale
potere
malefico
,
innato
in
certe
persone
,
di
danneggiare
gli
altri
in
modo
misteriosamente
segreto
.
Per
via
di
questa
segretezza
,
lo
stregone
o
la
strega
opera
di
notte
,
cioè
al
buio
;
e
sempre
per
malizia
o
dispetto
più
che
per
sete
di
guadagno
.
Commette
atti
che
vanno
contro
tutti
i
canoni
stabiliti
nel
gruppo
umano
in
cui
vive
:
incesto
,
bestialità
,
antropofagia
,
violazione
di
tombe
.
Preferisce
andar
nudo
e
deporre
i
suoi
escrementi
nel
luogo
dove
abita
.
Questi
e
altri
particolari
pittoreschi
si
raccontano
sulle
streghe
nei
paesi
in
cui
ci
credono
.
Questi
paesi
sono
ancora
molti
in
Africa
,
in
Oceania
e
in
America
.
Molti
Stati
africani
modernizzati
hanno
tolto
la
stregoneria
dal
novero
dei
reati
legalmente
perseguibili
;
ma
la
credenza
persiste
.
Quali
ne
sono
i
fondamenti
?
In
primo
luogo
,
l
'
esistenza
del
male
nel
mondo
;
infatti
in
un
mondo
perfettamente
ordinato
o
sorretto
da
un
'
unica
forza
benefica
,
la
stregoneria
non
troverebbe
posto
.
In
secondo
luogo
,
l
'
attribuzione
dell
'
origine
del
male
al
potere
occulto
di
alcune
persone
.
Quest
'
attribuzione
è
l
'
aspetto
più
importante
della
stregoneria
perché
consente
di
esercitare
la
sua
funzione
fondamentale
,
che
è
quella
di
salvare
l
'
ordine
morale
in
cui
si
crede
e
in
generale
il
sistema
di
istituzioni
,
di
tecniche
e
di
credenze
in
cui
esso
consiste
.
Se
qualcosa
va
male
nel
mondo
,
la
causa
del
male
non
risiede
nell
'
ordine
riconosciuto
,
ma
nell
'
influenza
occulta
di
individui
sospetti
.
Se
uno
ha
coltivato
il
suo
campo
nel
modo
tradizionale
e
non
ha
ottenuto
il
raccolto
sperato
,
può
,
attribuendo
la
causa
di
questo
evento
a
un
potere
malefico
,
esimersi
dal
sottoporre
a
critiche
e
a
revisioni
il
suo
metodo
di
coltivazione
.
Se
una
malattia
non
risponde
a
un
determinato
trattamento
,
la
colpa
sarà
del
malocchio
o
del
maleficio
lanciato
da
qualcuno
,
non
dell
'
insufficienza
del
trattamento
stesso
.
Così
ogni
fallimento
o
insuccesso
non
metterà
in
crisi
il
sistema
delle
tecniche
e
dei
valori
riconosciuti
:
quindi
,
la
delusione
,
l
'
odio
e
l
'
ostilità
per
i
danni
subiti
troveranno
,
nella
stregoneria
,
un
canale
di
sfogo
che
lascerà
intatta
la
struttura
d
'
insieme
del
gruppo
sociale
.
Allo
stesso
modo
,
chi
si
è
visto
abbandonare
dalla
moglie
che
è
fuggita
con
un
altro
dirà
:
«
Quell
'
individuo
l
'
ha
stregata
»
piuttosto
che
riconoscere
la
sua
incapacità
di
conservarsi
l
'
affetto
della
moglie
e
il
suo
fallimento
di
marito
.
Da
un
punto
di
vista
più
generale
e
filosofico
,
si
può
dire
che
il
ricorso
alla
stregoneria
in
una
forma
o
nell
'
altra
è
proprio
di
tutti
i
modi
di
vita
che
non
conoscono
alternative
e
non
offrono
scelte
;
che
costituiscono
totalità
chiuse
,
di
cui
nessuna
parte
o
elemento
può
essere
mutata
o
corretta
senza
far
crollare
tutto
l
'
insieme
;
e
che
perciò
sono
portati
a
sacralizzare
le
credenze
su
cui
si
fondano
e
a
considerare
con
angoscia
e
terrore
ogni
comportamento
che
costituisca
per
esse
una
potenziale
minaccia
.
Se
tutto
questo
è
vero
(
e
non
c
'
è
ragione
di
dubitarne
)
,
l
'
interesse
crescente
per
la
stregoneria
nel
mondo
moderno
,
la
reviviscenza
,
sia
pure
sporadica
,
di
pratiche
e
culti
diabolici
,
non
sono
il
segno
di
una
trasformazione
radicale
della
nostra
società
e
della
sua
fine
imminente
,
ma
piuttosto
quello
di
un
irrigidimento
delle
sue
strutture
tradizionali
:
cioè
un
canale
di
sfogo
dello
spirito
di
ostilità
o
di
aggressione
che
la
travaglia
,
o
,
in
parole
povere
,
una
scusa
per
mantenerla
immutata
.
Ma
è
dubbio
che
nella
nostra
società
stia
rinascendo
la
credenza
nella
stregoneria
o
ci
siano
le
condizioni
per
una
tale
rinascita
.
Nelle
società
primitive
è
questa
credenza
che
conta
,
perché
è
essa
ad
esercitare
la
funzione
di
raccolta
e
di
sfogo
delle
ostilità
interurbane
e
quindi
della
conservazione
della
struttura
totale
.
Ciò
che
la
cronaca
odierna
documenta
è
,
invece
,
una
imitazione
reale
delle
azioni
presunte
della
stregoneria
:
omicidi
gratuiti
,
attentati
,
orge
sessuali
,
violenze
senza
scopo
.
«
Imitazione
reale
»
la
chiamo
,
perché
perseguita
non
per
via
di
misteriosi
poteri
,
ma
con
mezzi
reali
,
adatti
allo
scopo
.
Ciò
che
quindi
veramente
rimane
della
stregoneria
nel
mondo
moderno
è
una
negazione
totale
che
si
oppone
ad
una
affermazione
altrettanto
totale
.
La
stregoneria
rappresenta
infatti
,
nelle
società
in
cui
è
stata
ed
è
un
'
istituzione
vivente
,
la
negazione
totale
di
tutto
il
sistema
dei
valori
su
cui
tali
società
si
fondano
;
e
provoca
pertanto
la
riaffermazione
e
la
conservazione
di
tale
sistema
.
Affermazione
e
negazione
totali
sono
le
due
facce
indivisibili
di
una
stessa
realtà
:
si
richiamano
e
si
condizionano
a
vicenda
.
Nel
loro
insieme
,
costituiscono
un
ostacolo
pressoché
insormontabile
a
ogni
novità
o
sviluppo
autentico
,
perché
escludono
la
ricerca
di
nuove
soluzioni
dei
problemi
umani
,
delle
possibilità
reali
che
una
situazione
presenta
di
essere
mutata
o
corretta
,
delle
alternative
nuove
che
si
prospettano
e
di
una
scelta
autonoma
e
razionale
fra
tali
alternative
.
Sono
pochi
(
seppure
ci
sono
)
quelli
che
credono
oggi
a
misteriosi
poteri
,
a
maligne
influenze
segrete
,
esercitate
da
individui
determinati
.
assai
improbabile
che
si
tornino
ad
accendere
nelle
piazze
roghi
destinati
a
bruciare
streghe
e
stregoni
.
Eppure
,
la
struttura
concettuale
della
stregoneria
e
la
funzione
da
essa
esercitata
permangono
ancora
in
molti
aspetti
e
in
molte
parti
della
società
contemporanea
.
Quando
si
condannano
come
«
traditori
»
tutti
coloro
che
si
allontanano
da
un
'
ideologia
politica
,
quando
si
reprimono
con
la
forza
i
dissensi
e
le
critiche
degli
intellettuali
o
i
pacifici
sviluppi
sociali
di
certi
paesi
o
di
certi
ceti
,
si
fa
ancora
ricorso
alla
stregoneria
.
E
quando
,
dall
'
altro
lato
,
si
condanna
in
blocco
una
società
che
,
almeno
in
certi
limiti
,
è
permissiva
o
tollerante
e
si
crede
di
poter
distruggere
senza
edificare
colla
semplice
ostentazione
della
violenza
o
di
comportamenti
che
si
crede
incutano
scandalo
o
terrore
,
si
fa
ancora
della
stregoneria
,
imitandone
talora
anche
i
riti
.
Ciò
che
in
un
caso
e
nell
'
altro
veramente
si
distrugge
non
è
l
'
ordine
stabilito
o
il
pericolo
che
incombe
su
di
esso
,
ma
la
possibilità
di
mutamenti
ordinati
,
di
sviluppi
consapevoli
e
razionali
verso
ordini
o
forme
di
vita
più
promettenti
.
E
ciò
da
cui
si
evade
non
è
la
realtà
insoddisfacente
dell
'
oggi
,
che
così
continua
a
rafforzarsi
e
a
incombere
,
ma
la
ricerca
di
alternative
reali
e
la
scelta
intelligente
fra
esse
:
ricerca
e
scelta
che
costituiscono
il
solo
privilegio
dell
'
uomo
e
l
'
impronta
della
sua
dignità
.
StampaQuotidiana ,
La
traduzione
che
Franco
Fortini
ci
presenta
del
Faust
di
Goethe
(
con
testo
a
fronte
,
Mondadori
,
1970
)
ha
lo
scopo
dichiarato
di
riuscire
utile
al
lettore
:
di
aiutarlo
a
portare
avanti
un
suo
lavoro
di
approfondimento
e
di
riflessione
.
E
bisogna
dire
che
questo
scopo
l
'
ha
raggiunto
perché
,
fra
tutte
le
versioni
italiane
,
essa
è
quella
che
meno
sacrifica
il
testo
di
Goethe
al
gusto
letterario
del
traduttore
o
al
suo
personale
lirismo
.
La
tragedia
di
Goethe
non
è
,
come
tutti
sanno
,
un
organismo
compatto
.
Se
la
prima
parte
(
pubblicata
nel
1808
)
ha
un
ordine
e
uno
sviluppo
unitario
,
la
seconda
parte
,
cui
Goethe
lavorò
negli
anni
successivi
e
fu
pubblicata
postuma
(
1832
)
,
è
sconcertante
per
la
varietà
dei
suoi
motivi
,
per
l
'
eterogeneità
del
materiale
adoperato
,
per
l
'
andirivieni
continuo
di
personaggi
sempre
nuovi
,
reali
e
fittizi
,
tolti
dalla
storia
,
dalla
mitologia
,
dalla
magia
o
inventati
da
Goethe
,
ognuno
dei
quali
porta
la
sua
voce
o
presenta
un
tema
che
difficilmente
lascia
scorgere
la
continuità
sinfonica
dell
'
insieme
.
Ma
forse
proprio
per
questo
,
la
seconda
parte
è
per
il
lettore
moderno
la
più
appassionante
,
quella
che
costituisce
per
lui
la
sfida
maggiore
e
l
'
invito
più
pressante
a
riflettere
.
Non
si
potrebbe
oggi
condividere
il
parere
di
Croce
che
il
secondo
Faust
sia
una
specie
di
libretto
d
'
opera
o
il
gioco
d
'
immaginazione
di
un
vecchio
artista
,
che
mette
a
partito
la
sua
sapienza
mondana
e
la
sua
cultura
,
rimanendo
al
di
fuori
del
gioco
in
una
sua
serenità
imperturbabile
.
Certamente
,
né
il
primo
né
il
secondo
Faust
sono
«
tragedia
»
.
Alla
fine
del
primo
,
una
voce
dal
cielo
annuncia
la
salvezza
di
Margherita
e
il
secondo
si
conclude
con
la
salvezza
di
Faust
.
Nonostante
peccati
ed
errori
,
la
parte
immortale
dell
'
uomo
si
salva
e
la
sfida
fra
Dio
e
il
Diavolo
viene
,
com
'
era
prevedibile
,
vinta
da
Dio
.
Ma
l
'
interesse
dell
'
opera
non
è
in
questa
conclusione
felice
.
Nel
contesto
del
panteismo
di
Goethe
,
che
alla
fine
gli
Angeli
ribadiscono
proclamando
:
«
Chi
si
affatica
sempre
a
tendere
più
oltre
,
noi
possiamo
redimerlo
»
,
la
redenzione
dell
'
uomo
è
già
implicita
nella
sua
brama
dell
'
Infinito
.
Faust
è
appunto
la
personificazione
di
questa
brama
che
con
Schopenhauer
si
potrebbe
chiamare
volontà
di
vita
.
Ha
raggiunto
il
culmine
del
sapere
,
ma
questo
non
lo
soddisfa
:
vuol
conoscere
il
mondo
,
non
più
attraverso
le
parole
dei
libri
,
ma
con
l
'
esperienza
diretta
e
goderne
tutti
i
piaceri
e
gli
splendori
possibili
.
L
'
Infinito
cui
tende
non
è
nel
pensiero
ma
nell
'
azione
,
non
è
nella
contemplazione
ma
nel
sentimento
:
cioè
nel
rapporto
immediato
,
e
vissuto
nella
forma
più
intensa
,
con
il
mondo
e
con
gli
uomini
.
A
Faust
non
importa
che
le
esperienze
cui
va
incontro
siano
illusorie
o
reali
,
buone
o
cattive
,
e
si
concludano
nella
gloria
o
nel
disastro
.
Non
intende
scegliere
fra
esperienza
e
esperienza
,
vuol
essere
il
Microcosmo
che
abbraccia
in
sé
il
Macrocosmo
.
Per
accontentare
la
sua
brama
,
non
può
quindi
che
rivolgersi
a
Mefistofele
,
che
non
è
il
Principio
del
male
,
ma
lo
Stratega
cinico
e
potente
che
gli
offre
i
mezzi
per
realizzarla
ma
nello
stesso
tempo
gliene
dimostra
i
limiti
,
le
illusioni
e
la
vanità
.
Ma
proprio
perché
Faust
è
tale
,
il
suo
destino
non
poteva
concludersi
nella
prima
parte
del
poema
di
Goethe
.
Muovendosi
,
con
l
'
aiuto
di
Mefistofele
,
tra
taverne
e
tregende
,
fra
giardini
e
caverne
,
di
giorno
e
di
notte
,
Faust
non
fa
,
in
questa
parte
dell
'
opera
,
che
alimentare
e
sfogare
la
sua
passione
d
'
amore
.
L
'
amore
della
natura
e
l
'
amore
della
donna
(
la
quale
è
parte
della
natura
e
ne
compendia
la
bellezza
)
dominano
questa
prima
fase
del
suo
destino
.
Il
sentimento
(
Ge
f
iihl
)
è
tutto
,
in
questa
fase
:
Faust
lo
identifica
con
Dio
,
quando
Margherita
gli
chiede
se
è
credente
.
Ma
conclusasi
,
con
la
morte
tragica
di
Margherita
,
la
sua
prima
esperienza
del
mondo
,
Faust
rinasce
con
nuovo
spirito
,
con
la
brama
di
altre
esperienze
.
Come
infatti
potrebbe
bastargli
,
per
essere
il
Microcosmo
,
una
sola
esperienza
di
amore
e
di
morte
?
Faust
ora
vuole
il
potere
.
«
Dovranno
compiersi
cose
mirabili
»
,
dice
ad
un
certo
punto
;
«
mi
sento
forte
per
imprese
temerarie
»
.
E
alla
domanda
di
Mefistofele
:
«
Vuoi
allora
la
gloria
?
»
,
risponde
:
«
Voglio
avere
dominio
,
possesso
.
L
'
azione
è
tutto
,
la
gloria
è
nulla
»
.
É
questo
lo
spirito
che
domina
il
secondo
Faust
.
Esso
si
apre
nel
palazzo
imperiale
con
Faust
al
servizio
del
potere
ed
egli
stesso
diventato
strumento
e
volontà
di
potenza
.
Con
l
'
aiuto
di
Mefistofele
,
Faust
riempie
le
casse
dell
'
Imperatore
con
la
carta
moneta
garantita
dai
tesori
sepolti
;
e
appare
come
un
Re
,
nelle
vesti
di
Pluto
,
il
Dio
della
ricchezza
,
Illusione
e
realtà
si
mescolano
,
come
in
tutta
l
'
opera
,
anche
in
questa
ricerca
di
un
potere
senza
limiti
.
Dalla
visione
delle
Madri
,
simboli
goethiani
delle
origini
delle
cose
,
Faust
attinge
«
nuova
forza
per
la
grande
impresa
»
.
Creature
magiche
,
mitiche
e
mitologiche
,
antichi
filosofi
e
personaggi
famosi
possono
rivivere
davanti
ai
suoi
occhi
per
magia
della
fiala
in
cui
è
racchiuso
il
ridicolo
Homunculus
creato
da
Wagner
.
L
'
amore
di
Faust
è
ora
Elena
,
ma
è
un
amore
diverso
da
quello
per
Margherita
:
è
volontà
di
potenza
:
«
Conferma
il
mio
potere
,
le
dice
Faust
,
dividendolo
con
te
sul
regno
tuo
illimitato
e
in
una
sola
persona
tu
abbia
chi
ti
venera
e
serve
e
difende
»
.
Ma
da
ultimo
la
volontà
di
potenza
di
Faust
si
rivolge
al
dominio
della
natura
.
È
contro
le
forze
e
gli
elementi
naturali
che
egli
vuole
combattere
la
sua
ultima
battaglia
,
respingendo
le
frontiere
del
mare
e
diventando
il
padrone
delle
terre
emerse
.
Qui
appare
in
piena
luce
il
contrasto
tra
il
primo
e
il
secondo
Faust
.
«
Chi
vuole
comandare
-
dice
Faust
-
ha
da
trovare
nel
comando
la
sua
gioia
.
»
Il
potere
è
fine
a
se
stesso
,
non
uno
strumento
per
procurarsi
il
godimento
.
Con
l
'
aiuto
dei
demoni
di
Mefistofele
,
Faust
riesce
a
far
vincere
l
'
Imperatore
contro
il
suo
rivale
e
ne
ottiene
in
compenso
il
feudo
delle
terre
emerse
.
Perfino
il
piccolo
lembo
di
terra
dove
vive
felice
un
'
anziana
coppia
(
Filemone
e
Bauci
)
gli
dà
fastidio
.
«
Quei
pochi
alberi
non
miei
,
il
dominio
del
mondo
mi
guastano
.
»
E
dà
ordine
a
Mefistofele
di
scacciarla
.
Solo
alle
soglie
della
morte
Faust
si
accorge
che
il
potere
può
vincere
la
Penuria
,
il
Debito
,
la
Miseria
,
ma
non
la
Cura
,
cioè
la
preoccupazione
angosciosa
,
che
finisce
per
accecarlo
.
Si
affretta
al
suo
ultimo
grandioso
progetto
di
bonificare
una
palude
dove
gli
uomini
possano
vivere
liberi
e
felici
;
ma
la
morte
lo
coglie
proprio
nell
'
attimo
in
cui
vagheggia
questo
progetto
.
Non
c
'
è
dubbio
che
,
nella
storia
di
Faust
,
Goethe
abbia
voluto
rappresentare
il
destino
dell
'
uomo
.
La
volontà
di
vita
e
la
volontà
di
potenza
,
dalle
quali
Faust
è
dominato
nella
prima
e
nella
seconda
parte
dell
'
opera
,
sono
anche
oggi
assunte
,
talora
mescolate
o
contrapposte
o
designate
con
altri
nomi
,
come
le
radici
o
le
molle
di
ogni
attività
umana
.
Ma
nell
'
opera
di
Goethe
,
Faust
non
potrebbe
far
nulla
senza
Mefistofele
.
Mefistofele
non
è
solo
lo
strumento
indispensabile
che
gli
consente
di
realizzare
le
sue
volontà
,
ma
è
anche
colui
che
gli
ricorda
continuamente
i
suoi
limiti
umani
,
il
disordine
e
l
'
incoerenza
dei
suoi
appetiti
,
il
carattere
illusorio
delle
sue
realizzazioni
;
e
,
pur
aiutandolo
,
commenta
,
con
ironico
cinismo
,
l
'
intera
condotta
di
Faust
.
Fin
dall
'
inizio
,
a
Faust
che
«
vuole
tutto
»
ricorda
che
il
Tutto
è
solo
per
un
Dio
.
Poi
difende
la
ragione
e
la
scienza
,
«
poteri
supremi
dell
'
uomo
»
.
Rimprovera
a
Faust
di
gonfiarsi
sino
a
credersi
una
divinità
per
avvoltolarsi
nel
godimento
;
ammonisce
i
giovani
che
non
si
può
pensare
nulla
che
non
sia
stato
già
pensato
.
E
appare
a
Faust
come
«
l
'
antitesi
,
l
'
amarezza
e
lo
scherno
di
quello
di
cui
l
'
uomo
ha
bisogno
»
.
Mefistofele
vede
la
vanità
del
mondo
e
vorrebbe
essere
lui
stesso
«
il
vuoto
eterno
»
:
la
morte
di
Faust
è
anche
la
sua
sconfitta
finale
.
Non
c
'
è
Mefistofele
senza
Faust
,
come
non
c
'
è
Faust
senza
Mefistofele
.
Il
destino
dell
'
uomo
non
può
identificarsi
solo
con
quello
di
Faust
:
è
piuttosto
rappresentato
dal
binomio
Faust
-
Mefistofele
.
Proprio
perché
è
«
l
'
antitesi
,
l
'
amarezza
e
lo
scherno
di
ciò
di
cui
l
'
uomo
ha
bisogno
»
Mefistofele
fa
parte
dell
'
uomo
.
La
magia
,
di
cui
egli
è
il
depositario
,
non
crea
che
illusioni
o
fantasmi
che
si
annunziano
o
si
svelano
tali
e
portano
alla
tragedia
finale
..
Certo
Faust
,
o
almeno
la
sua
«
parte
immortale
»
,
si
salva
per
l
'
intervento
di
intermediari
potenti
,
ma
soprattutto
perché
ha
incarnato
l
'
aspirazione
dell
'
uomo
all
'
Infinito
.
Ma
questa
aspirazione
sarebbe
rimasta
lettera
morta
e
si
sarebbe
consumata
vanamente
nello
studio
professorale
di
Faust
,
senza
il
cinico
razionalismo
e
le
subdole
arti
di
Mefistofele
.
Queste
arti
non
stanno
sempre
e
tutte
dalla
parte
del
male
:
la
seconda
metà
dell
'
uomo
è
intrisa
di
male
e
di
bene
,
come
quella
di
Faust
;
e
non
per
nulla
riceve
la
sua
investitura
dall
'
alto
.
Mefistofele
,
il
diavolo
che
è
con
l
'
uomo
o
nell
'
uomo
,
non
è
,
dopotutto
,
un
cattivo
diavolo
.
Riflettendo
ora
sul
poema
di
Goethe
,
possiamo
renderci
conto
che
nell
'
uomo
c
'
è
,
o
può
esserci
,
un
diavolo
più
maligno
.
StampaQuotidiana ,
Perché
non
si
dovrebbe
vedere
nel
sole
,
se
non
a
costo
di
essere
ritenuti
pazzi
o
poeti
,
un
coro
di
angeli
fiammeggianti
che
annunciano
la
gloria
di
Dio
?
Perché
non
si
dovrebbe
proclamare
l
'
esistenza
di
un
nuovo
cielo
e
di
una
nuova
terra
così
vasti
e
meravigliosi
da
far
apparire
squallida
e
tetra
la
visione
che
del
mondo
ci
dà
la
scienza
?
Perché
astrarre
e
generalizzare
,
meccanizzare
e
calcolare
,
rinunziando
all
'
immaginazione
visionaria
,
al
mistero
,
all
'
avventura
in
un
mondo
di
forme
fantastiche
e
splendenti
,
in
cui
ognuno
si
troverebbe
a
suo
agio
?
In
altri
termini
,
perché
credere
allo
scienziato
invece
che
allo
sciamano
?
Perché
ridurre
il
mondo
a
un
insieme
di
forze
oggettive
ed
impersonali
,
invece
di
scorgere
in
esso
un
luogo
formicolante
di
personalità
potenti
e
invisibili
ma
assai
simili
all
'
uomo
?
Sono
queste
le
domande
che
,
secondo
Roszak
,
stanno
alla
radice
della
controcultura
(
La
nascita
di
una
controcultura
,
ed.
Feltrinelli
,
1971
)
:
cioè
di
un
nuovo
modo
di
vivere
da
cercarsi
in
direzione
opposta
a
quella
in
cui
finora
si
è
mossa
la
civiltà
occidentale
:
un
modo
di
vivere
che
faccia
a
meno
della
scienza
e
della
tecnica
,
eliminando
la
tecnocrazia
e
i
suoi
mali
,
e
coltivi
ed
esalti
nell
'
uomo
il
sentimento
del
sacro
.
La
scienza
sradica
questo
sentimento
e
con
esso
ogni
impegno
morale
,
riducendolo
ad
una
retorica
superficiale
.
Solo
questo
sentimento
può
consentire
all
'
uomo
di
ritornare
alla
natura
e
di
raggiungere
l
'
equilibrio
autentico
dentro
se
stesso
e
con
gli
altri
.
La
controcultura
intende
così
proporre
all
'
uomo
l
'
alternativa
di
una
vita
diversa
,
che
elimini
i
rischi
dell
'
impoverimento
dell
'
uomo
e
del
suo
ambiente
che
scienza
e
tecnica
fanno
incombere
su
di
lui
.
Ma
questa
alternativa
non
è
nuova
ma
antichissima
,
perché
è
quella
di
tutti
i
popoli
primitivi
.
E
in
realtà
la
nostalgia
per
ciò
che
è
primitivo
,
naturale
,
semplice
,
informe
,
non
ridotto
a
un
modello
che
implichi
previsione
,
misura
e
programmazione
,
è
assai
diffusa
nel
mondo
contemporaneo
e
condivisa
da
molti
scienziati
.
Questi
sono
certamente
più
cauti
nella
loro
critica
della
scienza
e
si
guardano
dal
raccomandarne
la
pura
e
semplice
eliminazione
.
Ma
è
significativo
che
in
uno
dei
più
seri
e
togati
periodici
scientifici
americani
,
che
è
l
'
organo
dell
'
Associazione
americana
per
il
progresso
della
scienza
(
Science
,
4
giugno
1971
)
,
un
professore
di
chimica
proponga
una
riforma
della
scienza
proprio
sulla
linea
difesa
dalla
controcultura
:
si
dovrebbe
saldare
,
sul
tronco
della
ricerca
obiettiva
e
razionale
,
l
'
esigenza
di
un
intuizione
sensuale
,
cioè
immediata
,
diretta
,
concreta
delle
cose
,
che
è
quella
difesa
dallo
sciamanesimo
e
dalle
religioni
orientali
.
Da
questo
punto
di
vista
,
però
,
non
ci
sarebbe
opposizione
fra
le
due
alternative
di
vita
,
tra
i
due
modi
di
conoscere
la
natura
e
di
entrare
in
rapporto
con
essa
.
Si
tratterebbe
di
modi
complementari
che
si
integrano
a
vicenda
:
proprio
come
sono
complementari
,
nella
fisica
contemporanea
,
la
descrizione
dei
fenomeni
in
termini
di
onde
e
quella
in
termini
di
corpuscoli
.
Il
vantaggio
di
questa
complementarità
consisterebbe
nell
'
eliminare
dalla
scienza
un
certo
numero
di
astrazioni
inutili
,
nel
considerare
gli
aspetti
concreti
,
sensibili
o
estetici
delle
cose
,
e
nel
consentire
di
vedere
nella
natura
una
totalità
organica
mediante
un
unico
atto
di
intuizione
.
Poco
o
nulla
,
tuttavia
,
ci
viene
detto
circa
i
mezzi
per
raggiungere
questa
mèta
ambiziosa
,
che
equivarrebbe
a
una
visione
esauriente
e
perfetta
del
mondo
nella
sua
struttura
generale
e
nei
suoi
particolari
minimi
:
ad
una
visione
di
cui
solo
Dio
può
ritenersi
capace
.
Come
professore
di
chimica
,
l
'
autore
in
questione
invita
gli
studenti
a
osservare
i
colori
,
i
sapori
,
la
solidità
,
i
mutamenti
delle
sostanze
che
essi
si
apprestano
a
sottoporre
a
qualche
elaborato
esperimento
:
il
che
è
troppo
poco
per
una
«
visione
sensuale
»
del
mondo
ed
è
del
tutto
inutile
ai
fini
dell
'
esperimento
.
Non
c
'
è
dubbio
che
gli
scienziati
,
imprigionati
come
ora
sono
nella
loro
specializzazione
,
oppressi
dalla
quantità
enorme
e
non
selezionata
di
informazioni
che
piovono
loro
addosso
da
tutte
le
parti
,
e
dalla
coscienza
del
cattivo
uso
che
si
può
fare
delle
loro
scoperte
,
anche
più
meritorie
,
cerchino
una
via
d
'
uscita
da
questa
situazione
di
disagio
e
aspirino
a
una
visione
del
mondo
semplice
e
totale
che
non
sacrifichi
né
la
scienza
né
le
esigenze
emotive
e
morali
dell
'
uomo
.
Ma
è
dubbio
se
lo
sciamanesimo
e
l
'
animismo
,
cioè
la
credenza
che
il
mondo
è
un
insieme
di
esseri
spirituali
in
rapporto
simpatetico
con
l
'
uomo
,
possano
aiutarli
a
uscire
dal
frangente
in
cui
si
trovano
.
Questa
credenza
costituisce
certo
un
'
alternativa
alla
scienza
,
ma
non
può
conciliarsi
con
essa
e
supplire
alle
sue
deficienze
.
Essa
è
il
fondamento
di
un
'
altra
tecnica
,
quella
della
magia
.
Se
la
natura
è
un
complesso
di
forze
spirituali
che
,
mediante
opportuni
incantesimi
,
possono
essere
comandate
,
convinte
o
ingraziate
,
la
scienza
non
serve
a
nulla
.
Che
senso
ha
ingraziarsi
la
gravità
o
convincere
l
'
energia
nucleare
a
non
essere
dannosa
per
l
'
uomo
?
Che
senso
ha
prevedere
,
calcolare
,
misurare
e
progettare
in
un
mondo
costituito
da
spiriti
folletti
,
che
fanno
quello
che
vogliono
e
possono
essere
addomesticati
solo
dalle
arti
subdole
dello
sciamano
?
La
ricerca
scientifica
è
oggettiva
,
cioè
conduce
agli
stessi
risultati
chiunque
sia
in
possesso
della
tecnica
adatta
;
l
'
arte
dello
sciamano
è
un
privilegio
concessogli
dalle
stesse
potenze
misteriose
cui
egli
fa
appello
.
Non
si
possono
imboccare
contemporaneamente
le
due
vie
e
ritenerle
complementari
.
La
scienza
non
può
tutto
né
fa
tutto
:
i
limiti
di
essa
sono
sempre
presenti
a
chi
la
coltiva
sul
serio
.
I
suoi
problemi
si
moltiplicano
con
il
suo
progresso
e
il
suo
prezzo
naturale
e
umano
si
accresce
in
proporzione
.
Voler
saldare
questo
prezzo
col
ricorso
all
'
animismo
e
alla
magia
,
al
sentimento
e
alla
sensibilità
indifferenziata
dei
primitivi
significa
pagare
con
moneta
falsa
.
Può
ben
darsi
che
il
genere
umano
,
in
tutto
o
in
parte
,
scelga
domani
di
lasciarsi
guidare
dallo
sciamanesimo
invece
che
dalla
scienza
.
Ma
la
civiltà
di
cui
lo
sciamanesimo
è
parte
integrante
è
fondata
sulla
caccia
,
sulla
pesca
,
sulla
agricoltura
primitiva
.
Il
ritorno
a
questa
forma
di
vita
segnerebbe
perciò
la
condanna
a
morte
della
maggior
parte
del
genere
umano
,
per
la
mancanza
del
vitto
e
delle
difese
indispensabili
contro
l
'
ostilità
della
natura
.
La
parte
sopravvivente
dovrebbe
cercare
di
mantenere
immutabili
i
costumi
e
le
forme
di
vita
che
ne
garantiscono
la
permanenza
.
Questo
può
certo
accadere
,
come
può
accadere
che
la
civiltà
attuale
soccomba
perché
non
riesce
a
soddisfare
gli
uomini
o
a
salvaguardare
le
risorse
naturali
di
cui
vivono
.
L
'
importante
,
in
ogni
caso
,
è
rendersi
conto
delle
conseguenze
che
la
scelta
in
un
senso
o
in
un
altro
comporta
,
e
non
vivere
nell
'
illusione
che
si
possa
conciliare
il
diavolo
con
l
'
acqua
santa
.
Su
questa
illusione
vive
oggi
la
cosiddetta
avanguardia
della
cultura
contemporanea
.
I
mali
da
essa
denunciati
sono
reali
,
ma
puerili
i
rimedi
proposti
.
Essa
fa
come
l
'
adulto
che
,
disilluso
dalle
difficoltà
della
vita
e
nella
incapacità
di
affrontarle
,
si
rifugia
nel
mondo
delle
fiabe
che
ha
ascoltato
da
bambino
e
che
parlano
di
fate
e
di
maghi
benefici
.
Ma
basta
,
questo
,
per
farlo
ridiventare
bambino
?
StampaQuotidiana ,
Perché
debbo
esser
morale
?
Perché
debbo
obbedire
a
regole
e
leggi
,
adattarmi
ad
una
disciplina
,
impormi
limiti
e
rinunzie
,
reprimere
i
miei
istinti
,
rinunziare
a
fare
quel
che
mi
piace
e
quando
mi
piace
?
Queste
domande
non
sono
puramente
teoriche
e
non
sono
oggi
poste
solo
da
filosofi
intenti
a
trovare
un
«
fondamento
»
della
morale
.
Sono
diffuse
tra
un
gran
numero
di
persone
di
tutte
le
età
e
condizioni
e
specialmente
tra
le
giovani
generazioni
in
dissenso
con
la
morale
tradizionale
.
Ma
esse
non
mettono
in
crisi
solo
la
morale
tradizionale
cioè
il
codice
delle
norme
morali
riconosciute
e
la
tavola
dei
valori
fondata
su
tale
codice
.
La
crisi
esiste
,
certamente
,
ed
investe
non
solo
il
costume
,
ma
la
legislazione
,
la
politica
,
la
religione
,
l
'
arte
e
gli
spettacoli
.
In
tutti
questi
campi
,
non
c
'
è
norma
,
per
quanto
riconosciuta
e
sacralizzata
da
una
lunga
tradizione
,
che
non
sia
posta
in
dubbio
o
negata
.
E
anche
nel
seno
di
istituzioni
secolari
che
si
ispirano
a
una
rivelazione
originaria
,
che
avrebbe
dovuto
stabilire
una
volta
per
sempre
la
tavola
dei
valori
morali
,
i
dissensi
si
accentuano
circa
l
'
interpretazione
di
tali
valori
e
si
va
in
cerca
di
aggiornamenti
o
modifiche
.
Ma
questo
è
solo
l
'
aspetto
superficiale
della
crisi
,
che
è
più
profonda
:
perché
in
essa
,
e
nella
confusione
babelica
che
ne
deriva
,
non
si
affaccia
neppure
da
lontano
lo
schema
di
un
nuovo
codice
di
norme
,
di
una
nuova
tavola
dei
valori
che
dovrebbero
prendere
il
posto
dei
vecchi
;
e
neanche
nella
forma
di
quella
«
inversione
di
tutti
i
valori
»
che
era
stata
preconizzata
da
Nietzsche
.
In
altri
termini
,
non
si
mette
in
dubbio
questa
o
quella
morale
ma
la
morale
;
non
si
combattono
certi
valori
in
nome
di
altri
,
ma
i
valori
come
tali
;
si
mette
in
dubbio
se
ci
siano
o
debbano
esserci
norme
,
che
comunque
regolino
o
disciplinino
la
condotta
degli
individui
e
dei
gruppi
,
e
valori
relativamente
stabili
che
consentano
di
giudicare
tale
condotta
.
Così
i
confini
tra
il
bene
e
il
male
,
tra
il
lecito
e
l
'
illecito
,
tendono
a
sfumare
nel
nulla
;
e
ogni
condotta
può
essere
giustificata
o
non
giustificata
,
perché
in
realtà
la
cosa
è
indifferente
.
Le
ragioni
che
si
adducono
a
giustificarla
in
un
certo
caso
valgono
solo
come
pretesti
che
possono
essere
negati
,
o
addirittura
rovesciati
,
in
un
caso
analogo
,
con
la
massima
disinvoltura
.
La
morale
non
esiste
più
,
se
non
esiste
il
problema
della
morale
.
In
questa
situazione
,
i
tentativi
dei
filosofi
di
trovare
un
«
fondamento
»
o
una
«
giustificazione
»
della
morale
rischiano
di
rimanere
inoperanti
.
Che
la
morale
sia
fondata
su
un
sentimento
innato
di
benevolenza
o
di
simpatia
dell
'
uomo
verso
gli
altri
uomini
,
su
un
istintivo
amore
di
tutto
il
genere
umano
,
sembra
cosa
smentita
dai
fatti
:
i
quali
mostrano
ogni
giorno
,
con
le
violenze
e
le
lotte
che
travagliano
l
'
umanità
,
come
poco
affidamento
si
possa
fare
su
impulsi
e
sentimenti
benefici
.
Che
la
morale
sia
fondata
sulla
ragione
che
prescrive
all
'
uomo
,
come
Kant
riteneva
,
i
suoi
doveri
con
il
suo
comando
assoluto
,
è
tesi
che
urta
contro
il
carattere
incerto
,
debole
e
problematico
della
ragione
umana
;
la
quale
troppo
spesso
si
presta
compiacentemente
a
tutti
gli
abusi
.
Che
la
morale
sia
diretta
a
promuovere
la
felicità
di
ciascuno
e
di
tutti
,
come
sostenevano
e
sostengono
gli
utilitaristi
,
è
tesi
che
lascia
il
tempo
che
trova
.
Ciò
che
per
uno
è
«
felicità
»
non
lo
è
per
l
'
altro
;
e
perché
non
dovrei
costruire
la
mia
felicità
sull
'
infelicità
altrui
,
se
questo
è
il
modo
più
facile
per
realizzarla
?
Comunque
si
giri
e
si
rigiri
,
l
'
ostacolo
maggiore
che
si
oppone
alla
posizione
del
problema
morale
(
qualunque
poi
ne
sia
la
soluzione
)
-
cioè
la
sua
considerazione
seria
e
impegnativa
da
parte
di
ognuno
-
è
la
pretesa
dell
'
individuo
di
costituire
da
solo
l
'
intero
mondo
,
di
negare
,
a
tutti
gli
effetti
pratici
,
la
realtà
degli
altri
individui
,
vicini
o
lontani
,
coi
quali
convive
,
di
considerarli
ombre
o
apparenze
all
'
interno
del
proprio
mondo
.
Si
tratta
di
una
pretesa
metafisica
anche
se
non
è
espressa
in
teoria
,
ma
solo
praticamente
messa
in
atto
,
ma
di
una
metafisica
puerile
e
fantastica
,
che
è
smentita
dalle
più
ordinarie
esperienze
della
vita
di
ogni
giorno
.
Nessun
essere
umano
può
venire
alla
luce
,
sopravvivere
e
crescere
se
non
fra
gli
altri
e
con
gli
altri
.
Nessuno
può
cominciare
ad
esercitare
la
sua
intelligenza
senza
il
linguaggio
,
che
è
il
patrimonio
comune
delgruppo
cui
appartiene
.
Ogni
tipo
di
lavoro
,
di
attività
e
di
divertimento
suppone
scambi
e
collaborazione
tra
individui
o
gruppi
di
individui
che
,
quali
che
siano
i
loro
rapporti
,
contano
sempre
,
in
una
certa
misura
,
gli
uni
sugli
altri
.
Quel
che
si
chiama
la
«
personalità
»
di
un
individuo
,
cioè
il
suo
carattere
,
le
sue
costanti
di
azione
,
il
suo
equilibrio
interno
,
è
condizionata
dai
suoi
rapporti
con
gli
altri
e
dal
modo
in
cui
reagisce
a
tali
rapporti
;
che
,
se
fossero
tolti
,
ridurrebbero
a
nulla
la
personalità
stessa
.
In
questi
stessi
rapporti
,
si
radicano
successi
e
insuccessi
,
frustrazioni
e
godimenti
.
La
cosiddetta
«
incomunicabilità
»
,
di
cui
tanto
soffre
l
'
uomo
moderno
,
è
il
risvolto
negativo
della
connessione
sostanziale
che
lega
gli
uomini
tra
loro
.
Quando
l
'
uomo
non
può
riconoscere
,
in
una
massa
anonima
,
informe
e
vociante
,
il
volto
dei
suoi
simili
o
non
può
o
non
sa
scorgere
,
dietro
la
maschera
del
suo
vicino
,
l
'
umanità
di
cui
ha
bisogno
,
si
sente
defraudato
e
solo
;
e
lo
è
.
Ma
da
queste
elementari
esperienze
il
problema
morale
emerge
soltanto
quando
si
comincia
a
capire
che
i
rapporti
umani
,
per
essere
conservati
e
rafforzati
,
anziché
indeboliti
e
distrutti
,
devono
essere
disciplinati
da
norme
;
e
che
ogni
norma
adatta
a
disciplinarli
deve
valere
per
me
come
per
gli
altri
e
reciprocamente
.
Nei
più
semplici
giochi
dell
'
infanzia
come
nelle
più
complesse
attività
umane
,
la
presenza
di
norme
impegnative
è
indispensabile
.
Chi
non
le
rispetta
è
«
fuori
gioco
»
:
non
può
pretendere
che
gli
altri
le
rispettino
nei
suoi
confronti
.
L
'
umanità
ha
finora
cercato
e
tuttora
cerca
le
norme
della
sua
convivenza
per
tentativi
;
e
fondatori
di
religioni
,
profeti
,
moralisti
e
politici
le
hanno
codificate
,
rinnovandole
,
sacralizzandole
o
giustificandole
.
Ma
l
'
indifferenza
per
la
morale
è
oggi
il
risultato
del
disprezzo
e
della
diffidenza
verso
le
norme
in
generale
:
soprattutto
quando
la
norma
colpisce
un
qualsiasi
interesse
o
desiderio
dell
'
individuo
,
che
allora
recalcitra
e
reclama
l
'
eccezione
.
E
disprezzo
e
diffidenza
nascono
,
ancora
una
volta
,
dalla
credenza
che
l
'
individuo
(
o
il
gruppo
con
cui
l
'
individuo
si
identifica
)
sia
l
'
intero
mondo
e
che
gli
altri
non
esistano
o
esistano
solo
per
esso
.
Il
bene
viene
allora
tacitamente
identificato
con
il
desiderio
dell
'
individuo
e
il
male
con
ciò
che
gli
si
oppone
.
La
vita
morale
,
e
la
società
civile
su
cui
essa
si
fonda
,
può
nascere
solo
quando
questo
pregiudizio
è
superato
e
l
'
individuo
riesce
a
considerarsi
uno
dei
molti
,
soggetto
alla
stessa
norma
che
vale
per
gli
altri
.
Una
lunga
tradizione
filosofica
,
che
è
stata
spesso
accusata
di
pessimismo
o
peggio
,
ha
insegnato
che
le
norme
nascono
e
vengono
accettate
,
rendendo
possibile
la
convivenza
civile
,
quando
l
'
individuo
si
accorge
che
,
senza
di
esse
,
la
sua
sicurezza
,
la
sua
vita
e
la
sopravvivenza
della
sua
specie
sarebbero
a
lungo
andare
impossibili
.
Platone
diceva
che
anche
una
banda
di
briganti
deve
reggersi
in
base
a
norme
,
se
vuole
fare
qualcosa
.
Hobbes
e
Vico
parlavano
di
uomini
-
lupi
o
di
uomini
-
bestioni
,
che
vengono
a
patti
tra
loro
e
stabiliscono
norme
solo
per
sottrarsi
al
pericolo
della
distruzione
reciproca
.
E
difatti
chi
si
ritiene
un
angelo
o
l
'
incarnazione
del
bene
non
ha
bisogno
di
norme
che
lo
disciplinino
.
Sotto
l
'
apparente
pessimismo
della
società
moderna
,
si
nasconde
un
operante
ottimismo
:
basta
abbandonare
gli
uomini
a
se
stessi
perché
ognuno
cerchi
e
realizzi
il
bene
.
Ma
questo
ottimismo
incomincia
a
dare
oggi
i
suoi
frutti
velenosi
.
Briganti
,
lupi
e
bestioni
,
che
siano
abbastanza
intelligenti
e
previdenti
,
possono
trovare
il
modo
di
convivere
,
formulando
o
accettando
norme
opportune
.
Ma
candidi
agnelli
imprevidenti
o
pretesi
angeli
stupidi
sono
certamente
votati
all
'
incomprensione
reciproca
,
all
'
intolleranza
e
alla
distruzione
finale
.
StampaQuotidiana ,
La
violenza
avanza
su
tutti
i
fronti
.
Questo
è
il
fatto
più
evidente
del
mondo
contemporaneo
.
La
violenza
non
è
più
ristretta
agli
spazi
periferici
o
ai
momenti
critici
della
vita
;
alla
delinquenza
,
alla
pazzia
,
all
'
anormalità
e
alle
crisi
di
ribellione
e
di
liberazione
o
di
conquista
o
di
soggiogamento
;
ma
esplode
,
con
manifestazioni
imponenti
,
nella
vita
di
ogni
giorno
,
nella
famiglia
,
nei
rapporti
sessuali
,
nelle
competizioni
sociali
,
nella
politica
e
nello
sport
.
Solo
raramente
suscita
sdegno
o
riprovazione
;
il
più
delle
volte
viene
giustificata
e
talvolta
esaltata
come
soluzione
dei
problemi
,
via
d
'
uscita
dalle
difficoltà
,
matrice
del
progresso
.
Ma
essa
esplode
per
i
motivi
più
futili
o
senza
motivo
,
come
per
quelli
più
seri
;
e
anche
l
'
arte
,
il
cinema
e
i
divertimenti
sembrano
insipidi
e
fuori
del
tempo
se
non
se
ne
fanno
lo
specchio
.
Si
tratta
di
un
fenomeno
passeggero
dovuto
alla
crisi
dei
valori
tradizionali
,
alle
sperequazioni
economiche
,
alle
trasformazioni
troppo
rapide
che
la
società
sta
subendo
?
O
si
tratta
invece
di
qualcosa
che
sta
venendo
ora
alla
luce
in
forme
più
vistose
ma
ha
le
sue
radici
nella
stessa
natura
dell
'
uomo
?
Certo
è
che
l
'
uomo
è
per
l
'
uomo
(
come
diceva
Pascal
)
un
mostro
incomprensibile
.
Nonostante
l
'
enorme
patrimonio
di
esperienze
e
dottrine
che
la
psicologia
,
l
'
antropologia
,
l
'
etologia
comparata
hanno
accumulato
negli
ultimi
decenni
,
le
motivazioni
ultime
,
o
almeno
più
costanti
,
dei
comportamenti
umani
rimangono
problematiche
.
C
'
è
chi
vede
nell
'
uomo
un
essere
essenzialmente
buono
,
portato
dal
suo
istinto
alla
contemplazione
e
alla
pace
gioiosa
.
La
società
,
reprimendo
questo
istinto
in
misura
superiore
alle
esigenze
della
sua
conservazione
,
sarebbe
allora
responsabile
della
violenza
che
cerca
di
ripristinarlo
.
Questa
è
la
tesi
dei
filosofi
dell
'
Eros
che
ritengono
l
'
uomo
modellato
sull
'
ideale
di
Narciso
e
di
Orfeo
.
Ma
ci
sono
altri
che
ritengono
l
'
uomo
dominato
da
un
istinto
di
aggressione
,
da
una
tendenza
innata
alla
lotta
e
al
dominio
.
Costoro
partono
dall
'
osservazione
che
i
comportamenti
che
chiamiamo
«
brutali
»
non
si
riscontrano
affatto
nelle
bestie
,
ma
sono
propri
dell
'
uomo
:
l
'
uomo
è
la
più
crudele
e
violenta
delle
specie
animali
.
Questo
non
è
solo
un
suo
aspetto
negativo
.
Proprio
perché
è
il
più
aggressivo
degli
animali
,
l
'
uomo
riesce
a
dominare
l
'
ambiente
esterno
e
a
superarne
gli
ostacoli
.
È
l
'
aggressione
che
consente
all
'
individuo
e
alla
specie
di
sopravvivere
,
anche
a
costo
del
pericolo
di
guerra
che
le
è
immanente
.
Come
Giano
,
l
'
aggressione
ha
due
facce
,
una
positiva
,
l
'
altra
negativa
.
Anche
quando
gli
uomini
si
stringono
in
una
comunità
di
eguali
nella
quale
si
considerano
come
fratelli
,
hanno
bisogno
di
opporsi
aggressivamente
ad
altre
comunità
che
si
ispirano
ad
altri
principi
e
contro
le
quali
lottano
solidalmente
tra
loro
.
In
un
modo
o
nell
'
altro
,
l
'
aggressione
deve
sfogarsi
.
Come
animale
«
territoriale
»
geloso
del
proprio
dominio
,
l
'
uomo
nutre
un
'
ostilità
innata
contro
il
suo
vicino
.
Il
bambino
sviluppa
la
sua
aggressività
opponendosi
all
'
ordine
e
alla
disciplina
che
l
'
educazione
cerca
di
imporgli
.
Il
maschio
sviluppa
la
sua
aggressività
nei
confronti
della
femmina
;
giacché
la
sua
stessa
struttura
fisiologica
lo
porta
a
dominarla
.
La
femmina
sviluppa
la
sua
aggressività
contro
il
maschio
non
sufficientemente
aggressivo
che
non
riesce
a
dominarla
.
I
vecchi
clichés
dell
'
uomo
scimmia
con
la
clava
,
che
suscita
l
'
ammirazione
delle
donne
,
e
del
piccolo
uomo
dominato
dalla
donna
forte
,
che
suscita
riso
e
pietà
in
tutti
,
rappresentano
bene
la
realtà
delle
cose
.
E
così
l
'
aggressione
è
la
condizione
necessaria
dell
'
equilibrio
e
della
vita
.
Ha
scritto
uno
psichiatra
(
Winnicott
)
:
«
Se
la
società
è
in
pericolo
,
non
lo
è
per
l
'
aggressività
dell
'
uomo
,
ma
per
la
repressione
dell
'
aggressività
personale
degli
individui
»
.
La
mancanza
di
aggressività
,
determinando
insuccesso
e
frustrazione
,
trasforma
l
'
istinto
di
aggressione
in
odio
,
abbassa
le
difese
che
l
'
individuo
erge
intorno
al
proprio
io
contro
l
'
invadenza
degli
altri
e
gli
fa
odiare
gli
altri
o
se
stesso
,
inducendolo
talora
al
suicidio
.
Umiliazioni
e
frustrazioni
sono
anche
alla
base
della
schizofrenia
e
della
paranoia
,
nelle
quali
l
'
odio
e
l
'
incapacità
di
considerare
gli
altri
come
persone
dànno
origine
alle
peggiori
forme
di
crudeltà
raffinata
e
gratuita
.
Tale
è
il
quadro
della
natura
umana
che
si
trova
descritto
da
molti
etologi
,
psicologi
e
psichiatri
contemporanei
,
e
che
è
stato
diffuso
e
reso
popolare
da
Lorenz
e
Storr
.
Ma
quali
sono
le
vie
d
'
uscita
?
La
trasformazione
dell
'
aggressione
nelle
forme
«
rituali
»
delle
competizioni
civili
,
la
ricerca
di
forme
non
distruttive
da
aggressione
come
gli
sport
,
la
diminuzione
del
numero
degli
individui
umani
perché
l
'
affollamento
accresce
l
'
aggressività
.
Troppo
poco
per
combattere
e
controllare
un
istinto
che
è
la
stessa
natura
dell
'
uomo
.
L
'
istinto
è
infatti
un
meccanismo
innato
,
automatico
,
che
può
scatenarsi
alla
prima
occasione
.
Anzi
,
non
ha
neppure
bisogno
di
un
'
occasione
,
cioè
di
uno
stimolo
,
per
scatenarsi
:
è
come
un
'
arma
che
può
sparare
senza
che
ne
sia
toccato
il
grilletto
.
E
come
potrebbero
le
forme
«
rituali
»
della
competizione
civile
,
gli
sport
o
altri
espedienti
controllarne
il
meccanismo
?
Essi
non
forniscono
che
altre
occasioni
per
scatenarlo
.
Inoltre
,
si
può
odiare
,
esser
frustrati
e
portati
alla
violenza
da
una
famiglia
poco
accorta
,
da
un
matrimonio
sbagliato
,
da
una
ambizione
non
soddisfatta
,
da
un
risentimento
o
un
'
invidia
ingiustificati
,
dal
fanatismo
per
un
ideale
non
raggiunto
o
non
raggiungibile
,
e
da
altri
motivi
più
futili
,
evanescenti
o
fittizi
.
E
se
l
'
aggressione
domina
(
come
deve
dominare
,
se
è
un
istinto
)
ogni
rapporto
umano
,
ci
sarà
sempre
,
in
ogni
rapporto
,
un
vincitore
e
un
vinto
,
un
dominatore
e
una
vittima
:
e
l
'
odio
,
il
risentimento
e
la
violenza
saranno
inevitabili
.
Sembra
che
oggi
resti
solo
la
scelta
tra
il
mito
del
«
buon
selvaggio
»
che
diventa
violento
perché
viene
represso
il
suo
istinto
d
'
amore
e
il
mito
del
«
cattivo
selvaggio
»
che
diventa
violento
perché
viene
represso
il
suo
istinto
aggressivo
.
Quest
'
ultimo
mito
non
prospetta
utopie
,
ma
neppure
rende
possibili
difese
efficaci
contro
la
violenza
.
Se
l
'
uomo
è
posseduto
dall
'
istinto
,
come
da
un
demone
che
non
può
esorcizzare
,
si
sentirà
sempre
represso
,
in
qualsiasi
forma
di
società
,
in
qualsiasi
rapporto
anche
superficiale
con
gli
altri
.
Ma
è
l
'
uomo
veramente
una
creatura
d
'
istinto
?
Ed
esiste
veramente
l
'
istinto
come
forza
irreprensibile
e
sostanzialmente
benefica
,
che
adatta
gli
esseri
viventi
all
'
ordine
delle
cose
?
Se
ne
può
dubitare
,
in
base
alle
indagini
della
psicologia
moderna
.
Ciò
che
chiamiamo
«
istinto
»
non
è
un
meccanismo
immutabile
e
infallibile
;
può
essere
nocivo
,
adattarsi
e
mutare
anche
nelle
specie
animali
in
cui
agisce
da
solo
.
E
nell
'
uomo
ciò
che
chiamiamo
«
istinto
»
è
il
più
delle
volte
la
forma
che
certe
funzioni
biologiche
hanno
assunto
sotto
l
'
influenza
di
un
determinato
ambiente
sociale
.
Se
l
'
uomo
non
fosse
che
istinto
(
nel
senso
proprio
del
termine
)
non
avrebbe
avuto
storia
:
sarebbe
rimasto
nella
forma
di
vita
(
buona
o
cattiva
)
nella
quale
apparve
per
la
prima
volta
sulla
Terra
.
In
realtà
l
'
uomo
fa
la
storia
ed
è
fatto
(
cioè
condizionato
)
da
essa
.
I
modi
di
appagare
i
suoi
bisogni
,
di
trattare
se
stesso
e
i
propri
simili
mutano
col
tempo
e
sono
diversi
da
una
società
all
'
altra
.
E
di
questo
mutamento
e
di
questa
diversità
l
'
istinto
non
è
responsabile
.
Ogni
uomo
,
qualunque
sia
il
suo
talento
e
il
suo
grado
sociale
,
incontra
limiti
e
resistenze
che
sfidano
la
sua
ragione
e
la
sua
volontà
.
Può
cercare
di
conoscere
tali
limiti
e
trovare
i
mezzi
per
venirne
a
capo
;
ma
non
può
farlo
da
solo
.
Può
anche
credere
che
la
violenza
gli
dia
partita
vinta
e
idealizzare
nella
violenza
,
o
nell
'
aggressione
che
ne
è
la
causa
,
la
fine
di
tutti
i
suoi
mali
.
Oggi
come
ieri
,
nei
momenti
cruciali
della
sua
storia
,
l
'
uomo
si
trova
a
dovere
scegliere
.
Il
gioco
della
violenza
non
può
prolungarsi
all
'
infinito
perché
nessun
uomo
e
nessun
gruppo
umano
può
veder
garantita
dalla
violenza
la
sua
vittoria
.
Se
la
violenza
continuasse
ad
apparire
come
la
sola
alternativa
possibile
,
la
scelta
sarebbe
decisa
,
il
gioco
sarebbe
fatto
.
Non
ci
sarebbe
un
lungo
avvenire
per
il
genere
umano
.