StampaQuotidiana ,
I
rapporti
fra
letteratura
e
industria
sono
un
argomento
di
viva
e
stimolante
attualità
,
se
non
da
quando
esiste
la
letteratura
,
per
lo
meno
da
quando
esiste
l
'
industria
.
Perciò
fa
bene
Elio
Vittorini
a
lamentare
con
doloroso
sbigottimento
l
'
arretratezza
della
letteratura
industriale
prodotta
da
tanti
suoi
amici
e
colleghi
,
e
i
loro
impacci
,
e
i
loro
«
squarci
pateticamente
(
e
pittorescamente
)
descrittivi
che
risultano
di
sostanza
naturalistica
»
:
insomma
,
la
loro
mancanza
di
fiato
davanti
alle
novità
del
secolo
.
Non
per
nulla
infatti
un
dibattito
come
quello
in
corso
dal
«
Menabò
»
alle
altre
riviste
che
si
accodano
al
pesce
-
pilota
è
una
esercitazione
soltanto
precettistica
:
incapace
di
produrre
opere
creative
dà
origine
soprattutto
a
norme
didattiche
in
favore
del
«
tema
unico
»
,
a
esortazioni
retoriche
tipo
quelle
altre
«
ai
campi
!
»
,
«
alla
battaglia
del
grano
!
»
,
«
alle
colonie
!
»
,
«
al
posto
al
sole
!
»
,
«
all
'
Arcadia
!
»
,
«
al
sonetto
!
»
,
«
all
'
ottava
!
»
,
«
alla
sestina
!
»
.
Diventa
così
chiaro
agli
occhi
di
tutti
come
il
vero
problema
non
sia
stato
identificato
con
esattezza
.
Non
sarà
cioè
quello
dei
rapporti
fra
letteratura
e
industria
,
vecchia
solfa
,
ma
un
altro
molto
più
scottante
nella
nostra
cultura
attuale
:
come
mai
un
numeroso
gruppo
di
letterati
indecisi
si
abbandoni
quest
'
anno
e
tutti
insieme
a
una
tornata
accademica
esclusivamente
teorizzante
,
e
rinunciando
alla
narrativa
e
alla
saggistica
si
restringa
invece
alla
pedagogia
e
all
'
ammonimento
.
Naturalmente
non
si
deploreranno
mai
abbastanza
l
'
isolamento
e
il
provincialismo
e
l
'
ignoranza
e
l
'
inciviltà
dei
vent
'
anni
fascisti
,
l
'
arresto
e
lo
smarrimento
della
patria
cultura
.
Ma
perché
-
ci
si
chiede
-
oggi
noi
che
non
ne
abbiamo
nessuna
colpa
dobbiamo
ancora
star
male
e
soffrir
sempre
pene
gravissime
in
conseguenza
del
fatto
che
un
gruppetto
di
letterati
autodidatti
negli
anni
Trenta
invece
di
studiarsi
qualche
grammatica
straniera
e
di
fare
qualche
gita
a
Chiasso
a
comprarsi
un
po
'
di
libri
importanti
(
tradotti
e
discussi
da
noi
solo
adesso
,
ma
già
pubblicati
e
ben
noti
fin
da
allora
)
abbia
buttato
via
i
trent
'
anni
migliori
della
vita
umana
lamentandosi
a
vuoto
e
perdendo
del
tempo
a
inventare
la
ruota
o
a
scoprire
il
piano
inclinato
mentre
altrove
già
si
marciava
in
treno
e
in
dirigibile
,
o
almeno
si
lavorava
utilmente
in
vista
dei
decenni
futuri
?
Bastava
arrivare
fino
alla
stanga
della
dogana
di
Ponte
Chiasso
,
due
ore
di
bicicletta
da
Milano
,
e
pregare
un
qualche
contrabbandiere
di
fare
un
salto
alla
più
vicina
drogheria
Bernasconi
e
acquistare
,
insieme
a
un
Toblerone
e
a
un
paio
di
pacchetti
di
Muratti
col
filtro
,
anche
i
Manoscritti
economico
filosofici
di
Marx
(
1844
)
,
il
Tractatus
logico
-
philosophicus
di
Wittgenstein
(
1921
)
,
Civiltà
di
massa
e
cultura
di
minoranza
del
Dottor
Leavis
(
1930
)
,
le
Idee
per
una
fenomenologia
di
Husserl
(
1931
)
,
e
magari
I
principii
della
critica
letteraria
di
I.A.
Richards
(
1928
)
,
Cultura
e
ambiente
di
Leavis
e
Thompson
(
1933
)
,
L
'
uomo
del
risentimento
di
Max
Scheler
(
1933
)
,
L
'
Africa
fantasma
di
Michel
Leiris
(
1934
)
,
Linguaggio
,
verità
e
logica
di
A.J.
Ayer
(
1936
)
,
Axel
'
s
Castle
di
Edmund
Wilson
(
1931
)
,
Enemies
of
promise
di
Cyril
Connolly
(
1938
)
,
La
formazione
dello
spirito
scientifico
di
Gaston
Bachelard
(
1938
)
,
Sette
tipi
d
'
ambiguità
di
William
Empson
(
1930
)
,
Capire
la
poesia
di
Cleanth
Brooks
e
R
.
Penn
Warren
(
1938
)
,
Mariti
e
mogli
di
Ivy
Compton
-
Burnett
(
1931
)
,
un
po
'
di
Blanchot
e
Bataille
assortiti
,
nonché
di
Henry
Green
e
Anthony
Powell
,
e
il
meglio
di
Forster
,
dai
romanzi
intorno
al1910
ai
saggi
del
1936
,
passando
per
il
Passaggio
in
India
che
è
del
1924
.
Ci
si
sarebbero
risparmiati
alcune
decine
d
'
anni
di
penose
indecisioni
intorno
a
illusioni
senza
avvenire
,
come
primo
vantaggio
,
e
soprattutto
la
scomodità
dell
'
apprendistato
coi
capelli
bianchi
.
I
dolori
della
nostra
cultura
derivano
dal
fatto
che
una
numerosa
«
classe
unica
»
di
letterati
degli
anni
Trenta
non
si
è
ancora
messa
al
passo
con
le
idee
dei
loro
coetanei
del
resto
del
mondo
,
e
affronta
in
ogni
nuovo
anno
scolastico
un
programma
di
studi
estremamente
limitato
.
Di
qui
il
bizzarro
spettacolo
di
maestri
di
scuola
che
fanno
ripetere
la
lezione
a
tutta
la
classe
insieme
,
e
la
classe
docilmente
impara
ogni
anno
una
nuova
canzone
,
la
esegue
in
coro
,
tutti
passandosi
la
stessa
parola
d
'
ordine
nello
stesso
momento
-
«
cultura
di
massa
»
,
«
Spitzer
»
,
«
Wittgenstein
»
,
«
fenomenologia
»
,
«
alienazione
»
-
succhiandola
come
una
caramella
e
sputandola
fuori
di
colpo
appena
ne
spunta
una
nuova
:
veramente
dimenticandosela
,
come
se
non
fosse
mai
esistita
.
Come
non
dovrebbe
capitare
nella
cultura
,
che
è
coesistenza
di
idee
,
e
invece
succede
normalmente
nella
moda
,
dove
per
decreto
di
sarte
la
gonna
è
più
lunga
o
la
manica
è
più
corta
per
una
stagione
sola
e
mai
di
più
.
Perciò
l
'
immagine
che
si
è
venuta
formando
dei
nostri
sofisti
attuali
non
può
essere
che
quella
di
un
gruppo
di
mediocri
signori
anziani
di
scarsa
cultura
e
di
formazione
tardiva
,
volonterosi
e
patetici
come
Jaufré
Rudel
in
vista
delle
rive
del
Libano
,
che
vengono
avanti
passo
passo
pretendendo
dopo
tanti
faux
pas
di
far
scoperte
e
d
'
impartir
lezioncine
in
base
alle
traduzioni
recenti
di
autori
che
conoscevamo
fin
dai
tempi
quando
loro
bamboleggiavano
ancora
con
Pian
della
Tortilla
(
mentre
noi
leggevamo
Forster
)
o
ricadevano
nella
Antologia
di
Spoon
River
(
mentre
studiavamo
Auden
)
.
Com
'
è
goffo
vedere
per
esempio
cominciare
a
spuntare
adesso
i
nomi
di
Trilling
o
di
Ayer
,
o
affiorare
addirittura
Bachelard
,
morto
l
'
anno
scorso
a
ottant
'
anni
.
Mi
fa
lo
stesso
effetto
di
quando
si
scoprono
Firbank
o
Rolfe
con
quarant
'
anni
di
ritardo
(
per
tacere
naturalmente
i
casi
di
Forster
,
della
Compton
-
Burnett
e
dell
'
Ulysses
)
;
ma
un
caso
addirittura
tipico
è
quello
di
Salinger
,
di
cui
si
scopre
con
entusiasmo
il
bel
libro
di
quindici
anni
fa
contemporaneamente
al
disastro
totale
in
America
del
suo
ultimo
che
è
una
sciocchezza
.
E
volendo
si
potrebbe
star
già
pregustando
le
prossime
scoperte
di
William
Empson
e
di
Ivor
Winters
,
di
Klossowski
e
di
Starobinski
,
dei
versi
di
Thom
Gunn
e
di
Yves
Bonnefoy
;
e
magari
del
Dottor
Leavis
(
andato
in
pensione
dall
'
Università
di
Cambridge
l
'
anno
scorso
per
limiti
d
'
età
)
;
e
magari
di
Henri
Focillon
,
di
cui
si
celebra
quest
'
anno
il
ventennale
della
morte
.
C
'
è
poi
l
'
obiezione
formale
.
Da
quando
in
qua
si
scrive
in
quel
modo
?
Si
è
abituati
a
leggere
,
generalmente
si
capisce
quello
che
scrivono
Edmund
Wilson
o
Roland
Barthes
,
Philip
Toynbee
o
Claude
Lévi
-
Strauss
;
non
vedo
allora
perché
dovrei
far
degli
sforzi
per
decifrare
gli
eccessi
di
auto
-
indulgenza
di
alcuni
vanesii
minori
che
si
abbandonano
alla
incomunicabilità
della
«
prima
stesura
»
per
non
far
la
fatica
di
chiarire
il
proprio
pensiero
neanche
a
se
stessi
,
senza
preoccuparsi
se
la
confusione
stilistica
è
il
segno
più
certo
di
confusione
nella
testa
,
e
senza
un
minimo
di
riguardo
per
il
lettore
,
trattato
come
un
cliente
costretto
ad
acquistare
la
paccottiglia
di
un
negozio
sfornito
.
No
.
Non
ci
sto
.
Come
cliente
vado
a
spendere
i
miei
soldi
in
negozi
più
in
ordine
,
se
non
vedo
bene
e
non
mi
si
fa
capire
l
'
articolo
che
mi
si
tenta
di
vendere
.
Voglio
chiarezza
,
lucidità
,
ragioni
critiche
;
pretendo
concisione
,
possibilità
di
sommari
e
compendi
,
dal
momento
che
,
lo
si
sa
,
non
esiste
opera
di
pensiero
veramente
significativa
che
non
si
possa
riassumere
in
poche
proposizioni
.
Altrimenti
non
compro
(
e
peggio
per
i
venditori
,
non
per
me
)
,
così
come
al
ristorante
non
accetto
una
minestra
in
mano
,
la
voglio
sul
piatto
,
e
non
faccio
entrare
in
casa
chi
mi
si
presenta
alla
porta
in
mutande
.
Del
resto
si
può
fare
una
prova
.
Dietro
le
giuste
malinconie
di
Umberto
Eco
sul
«
Menabò
»
stesso
per
l
'
inadeguatezza
dei
mezzi
espressivi
a
disposizione
di
molti
letterati
per
affrontare
i
nuovi
aspetti
della
realtà
,
basta
prelevare
qualche
campioncino
di
prosa
da
queste
medesime
riviste
per
analizzare
gli
strumenti
linguistici
adoperati
nel
trattarne
.
Basta
aprire
a
caso
:
quante
volte
la
struttura
sintattica
di
base
è
ancora
quella
oratoria
del
Seicento
,
intorbidita
dagli
urti
e
dalle
pressioni
di
sistemi
filosofici
rivali
e
incompatibili
,
mai
d
'
accordo
sull
'
uso
da
fare
e
sul
senso
da
dare
ai
termini
,
tanto
più
equivoci
e
indiscriminati
in
quanto
perdono
col
tempo
le
virgolette
che
indicano
ammicco
.
E
dovremmo
contentarci
di
intuizioni
impressionistiche
,
motti
sibillini
,
lampeggiamenti
baluginanti
,
vagiti
...
Ma
soprattutto
un
narcisismo
incredibile
molto
curioso
per
due
ragioni
.
Una
,
che
la
oscurità
risulta
grottesca
perché
non
è
una
scelta
deliberata
ma
un
faute
de
mieux
;
e
civettare
sul
«
volere
e
non
potere
»
è
per
lo
meno
uggioso
e
triste
.
L
'
altra
che
questo
narcisismo
mostra
fini
paradossalmente
moraleggianti
:
«
le
cose
per
noi
non
van
bene
,
quindi
(
a
fin
di
bene
)
rientriamo
nelle
catacombe
dell
'
ermetismo
»
,
detto
poi
da
parte
di
chi
dall
'
ermetismo
non
era
mai
riuscito
a
venir
fuori
...
Ma
questa
attrattiva
del
linguaggio
mandarino
,
la
frequente
nostalgia
dell
'
allusività
per
iniziati
,
da
clan
privilegiato
o
da
élite
scostante
,
mi
sembra
l
'
atteggiamento
più
reazionario
che
si
possa
immaginare
oggi
,
col
suo
doppio
registro
:
complice
-
cifrato
con
gli
addetti
ai
lavori
,
e
altezzoso
-
paternalistico
(
«
perché
so
meglio
dite
quel
che
deve
andar
bene
per
te
...
»
)
quando
si
rivolge
alla
massa
operaia
non
su
un
giornale
proletario
in
una
colonna
e
mezzo
di
limpida
prosa
comprensibile
almeno
alla
metà
dei
lettori
,
ma
in
formule
schifiltose
su
riviste
esoteriche
che
non
costano
mai
meno
di
mille
lire
.
Mi
pare
in
sostanza
che
ornamenti
retorici
e
compiacenze
ermetiche
finiscano
per
risultare
i
perfetti
equivalenti
degli
arazzi
e
dei
trumeaux
in
mezzo
ai
quali
i
«
baronetti
rossi
»
tradizionalmente
proclamano
la
loro
solidarietà
con
la
classe
lavoratrice
(
rappresentata
poi
dal
solito
benzinaro
che
viene
a
far
quattro
salti
in
casa
)
.
Cioè
tipicamente
la
politica
di
Maria
Antonietta
,
con
le
sue
brioches
e
tutto
.
E
come
si
fa
allora
a
non
pensare
che
l
'
ideale
ultimo
sia
a
questo
punto
lo
stesso
:
far
dei
giochini
sconsiderati
e
irresponsabili
alle
spalle
del
proletariato
,
considerandolo
di
volta
in
volta
banco
di
prova
e
massa
di
manovra
,
cavia
per
ricerche
sociologiche
e
spedizioni
emozionanti
e
analisi
di
mercato
,
sempre
come
oggetto
comunque
,
con
l
'
assoluzione
morale
della
sinistra
e
prendendo
intanto
anche
un
po
'
di
soldi
dagli
industriali
«
buoni
»
.
E
cinismo
per
cinismo
è
chiaro
che
questa
specie
di
socialismo
per
le
dame
vale
né
più
né
meno
che
il
francescanesimo
coi
venti
stipendi
.
Meglio
ancora
una
coltivazione
dell
'
orto
di
Candide
,
per
così
poco
,
o
un
traino
del
carretto
di
Madre
Coraggio
per
sentieri
defilati
.
Lo
so
bene
che
il
tango
moralistico
sulla
ricchezza
oggi
è
altrettanto
frivolo
che
invocare
la
miseria
di
ieri
come
alibi
,
quando
si
parla
di
affari
culturali
,
e
con
un
bel
rictus
di
nevrastenia
in
più
.
Però
,
oltre
i
temi
che
ci
vengono
suggeriti
quest
'
anno
per
le
nostre
penitenze
,
vorrei
limitarmi
a
ricordare
la
fame
di
Orwell
e
la
malattia
di
Lawrence
,
le
stanzette
di
St
.
Germain
des
Prés
dove
gelano
come
la
piccola
fiammiferaia
i
collaboratori
di
«
Les
temps
modernes
»
e
l
'
assegno
per
le
collaborazioni
al
«
New
Statesman
»
non
certo
più
cospicuo
della
retribuzione
del
piccolo
scrivano
fiorentino
:
miserie
certo
non
meno
dolorose
di
quelle
di
casa
nostra
degli
anni
Trenta
,
ma
anche
un
certo
ritegno
nel
non
dire
troppi
sì
per
amore
del
soldo
o
per
vanità
di
farsi
vedere
più
à
la
page
degli
altri
;
una
certa
ostinazione
nel
leggere
comunque
i
libri
che
contano
,
invece
di
sedersi
lì
esclamando
«
non
si
può
,
pazienza
»
;
e
in
più
una
certa
precisione
nel
mettere
in
chiaro
da
che
parte
si
sta
.
Non
però
scegliendo
Cromwell
o
Robespierre
,
Lincoln
o
Licurgo
:
ma
in
base
alle
forze
politiche
effettivamente
esistenti
.