StampaQuotidiana ,
Nell
'
anticamera
di
Franklin
Delano
Roosevelt
,
trentaduesimo
Presidente
degli
Stati
Uniti
d
'
America
,
c
'
è
un
capo
indiano
che
attende
di
essere
ricevuto
.
È
sceso
poco
fa
da
un
tassì
e
ha
chiesto
qualcosa
a
un
usciere
,
aggiustandosi
il
casco
di
piume
che
gli
era
scivolato
sulla
nuca
.
Ha
una
casacca
di
pelle
d
'
antilope
,
le
gambe
storte
e
una
faccia
rugosa
,
senza
espressione
,
senza
età
,
senza
sesso
.
L
'
usciere
,
con
un
'
uniforme
da
poliziotto
e
la
parola
Capitano
scritta
in
lettere
d
'
oro
sul
berretto
,
lo
ha
trattato
con
cortesia
pomposa
,
senza
guardarlo
in
viso
.
Si
metta
a
sedere
e
aspetti
.
Si
può
vivere
tutta
una
vita
negli
Stati
Uniti
senza
mai
vedere
un
Indiano
.
Sono
creature
relegate
negli
stemmi
degli
Stati
(
sostengono
il
blasone
assieme
a
un
Puritano
)
,
nei
fregi
della
carta
moneta
e
nell
'
anticamera
del
Presidente
.
I
duecento
e
più
giornalisti
che
,
seduti
sui
tavoli
e
appoggiati
al
muro
,
attendono
di
intervistare
collettivamente
il
Gran
Padre
Bianco
,
hanno
a
malapena
voltato
gli
occhi
e
tolto
le
pipe
di
bocca
per
guardare
la
strana
figura
che
andava
a
scegliersi
una
sedia
in
fondo
alla
camera
.
È
mercoledì
mattina
,
e
mancano
pochi
minuti
alle
undici
e
mezzo
,
l
'
ora
in
cui
,
ogni
settimana
,
il
Capo
Esecutivo
riceve
i
rappresentanti
della
stampa
,
che
riferiranno
al
gran
pubblico
quello
che
il
Presidente
crede
,
pensa
,
spera
,
fa
.
È
una
delle
tradizioni
della
Capitale
questo
ricevimento
in
massa
dei
corrispondenti
,
i
quali
hanno
il
permesso
di
chiedere
qualunque
cosa
,
con
discrezione
e
cortesia
.
Il
Presidente
risponde
quando
lo
crede
opportuno
.
Un
corrispondente
estero
ci
spiega
le
regole
del
gioco
che
bisogna
rispettare
:
chi
bara
non
ha
più
il
permesso
di
assistere
.
Prima
di
tutto
:
è
consuetudine
che
gli
stranieri
non
parlino
,
e
ascoltino
solo
,
come
i
bambini
bene
educati
.
Nello
scrivere
i
servizi
è
rigorosamente
vietato
dire
che
«
Franklin
D
.
Roosevelt
ha
dichiarato
,
ha
annunciato
,
o
ha
rilevato
»
.
Chi
parla
è
«
una
sorgente
attendibile
»
,
gli
«
ambienti
ufficiali
»
,
«
qualcuno
vicino
al
Presidente
»
,
«
l
'
ufficioso
portavoce
della
Casa
Bianca
»
.
Se
il
Capo
Esecutivo
avvisa
:
«
Questo
è
per
vostra
informazione
personale
»
,
quello
che
dice
non
va
stampato
e
serve
come
illustrazione
.
Le
parole
:
«
Quello
che
sto
per
dirvi
non
va
nel
verbale
»
equivalgono
a
:
«
È
un
segreto
tra
me
e
voi
»
.
Allora
non
si
scrive
,
non
si
riferisce
,
non
se
ne
parla
.
Segreto
.
È
impossibile
avere
interviste
personali
con
il
Presidente
,
in
questi
momenti
in
cui
ci
sono
dei
membri
del
Gabinetto
che
attendono
giorni
e
giorni
prima
di
essere
ricevuti
.
Un
giovanotto
biondo
,
che
rappresenta
l
'
Agence
Havas
,
aggiunge
:
«
Vedrete
che
uomo
:
affascinante
!
»
.
Il
capo
indiano
,
indifferente
,
ci
guarda
entrare
nello
studio
quando
un
segretario
spalanca
i
battenti
.
Il
Presidente
è
pronto
a
ricevere
la
stampa
.
C
'
è
un
po
'
di
lavoro
di
gomiti
,
qualche
spinta
,
un
piccolo
tumulto
silenzioso
per
raggiungere
i
primi
posti
,
attorno
alla
scrivania
.
Lo
studio
è
una
grande
camera
perfettamente
rotonda
,
dipinta
di
bianco
,
in
stile
federale
(
che
è
lo
stile
di
Washington
:
inglese
della
fine
del
Settecento
,
con
un
tocco
nautico
,
e
un
'
aggiunta
di
neoclassico
-
repubblicano
)
.
In
fondo
,
di
faccia
alla
porta
,
con
le
spalle
alle
ampie
finestre
che
guardano
il
parco
invernale
e
scheletrico
,
sta
Franklin
Roosevelt
,
seduto
al
tavolo
da
lavoro
,
sorridente
,
composto
,
cortese
e
sicuro
.
Due
file
di
sedie
,
ai
lati
del
tavolo
,
impediscono
alla
piccola
folla
che
irrompe
di
passargli
dietro
le
spalle
,
dove
sta
un
gruppetto
di
segretari
e
guardie
del
corpo
,
con
le
braccia
conserte
.
Attorno
ai
muri
sono
appese
alcune
litografie
ottocentesche
con
panorami
del
fiume
Hudson
,
velieri
piegati
dal
vento
su
un
mare
irsuto
di
piccole
onde
verdi
.
Sul
calamaio
del
Presidente
è
una
ruota
di
timone
,
il
calendario
rappresenta
una
ruota
di
timone
,
l
'
appoggio
della
penna
stilografica
è
un
'
altra
ruota
di
timone
.
Davanti
ai
suoi
occhi
è
appeso
un
enorme
pesce
imbalsamato
.
La
personalità
nautica
di
Roosevelt
è
forse
quella
che
egli
considera
con
maggiore
soddisfazione
,
prima
ancora
della
sua
personalità
politica
.
È
vero
però
che
il
timone
è
pure
un
simbolo
di
governo
.
Silenzio
.
Roosevelt
dà
un
'
occhiata
circolare
agli
uomini
in
piedi
attorno
a
lui
,
muove
dei
fogli
di
carta
,
ne
sceglie
uno
,
e
comincia
a
leggere
delle
parole
segnate
in
matita
con
la
sua
scrittura
.
«
Qualcuno
mi
aveva
chiesto
,
giorni
fa
,
che
cosa
pensavo
di
questa
questione
»
dice
.
«
Ecco
quello
che
abbiamo
deciso
di
rispondere
.
»
Sorride
.
Tutti
i
giornalisti
si
sentono
per
un
momento
dietro
le
quinte
con
il
Presidente
degli
Stati
Uniti
,
occupati
nel
difficile
lavoro
di
manovrare
la
politica
del
Paese
.
«
Ecco
quello
che
abbiamo
deciso
di
rispondere
.
»
Il
suo
sorriso
è
rassicurante
,
sincero
,
amichevole
,
appena
professionale
:
il
sorriso
di
un
dottore
che
vuol
diminuire
la
gravità
di
un
caso
.
Disarma
,
perché
nessuno
potrebbe
indirizzare
una
domanda
insidiosa
,
ostile
,
chiara
,
a
un
uomo
che
ti
guarda
in
quel
modo
.
Poi
,
uno
dopo
l
'
altro
,
alcuni
giornalisti
fanno
domande
.
Non
si
vedono
i
loro
visi
,
nella
ressa
.
Roosevelt
volta
gli
occhi
nella
direzione
della
voce
e
risponde
senza
esitare
.
«
Non
sappiamo
ancora
.
Vedremo
.
Non
ho
ancora
studiato
il
problema
.
Non
posso
dichiarare
ancora
nulla
.
Tutto
quello
che
so
,
l
'
ho
letto
sul
giornale
questa
mattina
.
Ve
lo
saprò
dire
.
»
Si
schermisce
,
evita
i
colpi
,
para
.
Si
dilunga
solo
quando
può
spiegare
un
problema
che
non
troverà
oppositori
.
La
sua
testa
,
vista
di
profilo
,
è
calma
,
arguta
,
intelligente
.
Il
mento
è
forte
,
volitivo
.
La
pelle
ben
rasata
,
tesa
e
un
po
'
lucida
:
la
pelle
di
un
uomo
che
vive
all
'
aria
aperta
.
Ma
quando
volta
gli
occhi
ti
accorgi
che
le
pupille
non
sono
perfettamente
parallele
.
Allora
acquista
un
'
espressione
stanca
,
fissa
,
perplessa
.
Le
mani
pallide
e
magre
che
tiene
appoggiate
al
tavolo
gli
tremano
impercettibilmente
quando
accende
una
sigaretta
.
Fuma
continuamente
,
soffiando
il
fumo
verso
l
'
alto
dall
'
angolo
della
bocca
.
Soltanto
da
questi
piccoli
segni
si
indovina
che
cosa
ci
sia
nella
sua
testa
in
questo
momento
.
È
un
essere
sotto
pressione
,
che
lavora
da
quasi
un
anno
nell
'
atmosfera
di
un
Quartiere
generale
durante
una
grande
battaglia
.
È
il
capo
di
un
Paese
disorganizzato
e
caotico
che
cerca
una
via
d
'
uscita
nel
momento
più
duro
della
sua
storia
e
che
chiede
al
suo
Presidente
,
legato
e
ammanettato
dai
suoi
limitatissimi
poteri
,
il
colpo
di
genio
che
rovesci
la
situazione
da
un
giorno
all
'
altro
.
Dopo
tutto
la
Costituzione
gli
permette
soltanto
di
applicare
le
leggi
vigenti
,
di
nominare
ambasciatori
,
ministri
,
capi
degli
uffici
postali
e
altre
cariche
dipendenti
dal
potere
esecutivo
(
salvo
approvazione
del
Senato
)
,
di
fare
trattati
con
le
Potenze
estere
(
salvo
approvazione
del
Senato
)
e
di
scrivere
un
certo
numero
di
messaggi
al
Congresso
sui
bisogni
del
Paese
.
Ecco
tutto
.
Con
questi
poteri
in
mano
egli
deve
manovrare
.
Si
appella
all
'
opinione
pubblica
,
sospende
la
distribuzione
di
posti
governativi
,
per
far
obbedire
il
Congresso
ai
suoi
desideri
,
si
appoggia
a
dubbiosi
statuti
del
tempo
di
guerra
,
esce
cautamente
dal
sentiero
permessogli
,
chiede
poteri
straordinari
.
In
questo
momento
davanti
a
lui
sono
duecentocinquanta
giornalisti
,
con
la
matita
in
mano
.
Un
errore
sarebbe
quasi
irreparabile
,
certamente
dannosissimo
.
Ed
egli
non
ha
la
mente
limpida
cha
potersi
abbandonare
.
Deve
stare
in
guardia
,
senza
lasciar
vedere
che
è
nervoso
,
perché
distruggerebbe
la
fiducia
quasi
infantile
che
tutti
questi
uomini
hanno
in
lui
.
Sorride
,
chiama
per
nome
(
«
John
,
Fred
»
)
quei
pochi
che
conosce
bene
,
perché
erano
ad
Albany
(
Nuova
York
)
con
lui
quando
egli
era
governatore
dello
Stato
,
e
gli
tremano
le
mani
quando
fuma
.
Si
parla
di
fondi
d
'
ammortamento
per
le
Compagnie
ferroviarie
.
Molte
hanno
costruito
le
linee
,
nel
secolo
scorso
,
emettendo
obbligazioni
.
Al
momento
di
ritirarle
hanno
lanciato
nuovi
prestiti
,
pagando
il
primo
con
il
secondo
,
e
continuano
così
.
La
Commissione
del
commercio
interstatale
ha
proposto
in
questi
giorni
una
legge
che
rende
obbligatoria
la
istituzione
di
un
fondo
.
«
Signor
Presidente
,
»
qualcuno
domanda
subito
«
ella
è
dunque
in
favore
di
un
aumento
delle
tariffe
ferroviarie
(
che
sono
fissate
dal
Governo
)
per
permettere
alle
Compagnie
di
ritirare
le
loro
obbligazioni
?
»
Roosevelt
ha
un
momento
d
'
esitazione
.
La
domanda
è
rischiosa
.
Ma
ribatte
subito
:
«
Voltiamola
dall
'
altra
parte
.
Io
sono
favorevole
a
una
diminuzione
delle
tariffe
,
ma
non
tale
da
impedire
la
creazione
di
un
fondo
d
'ammortamento.»
È
il
suo
campo
favorito
:
la
politica
del
minuto
,
la
rapida
manovra
,
la
risposta
immediata
.
Là
è
riconosciuto
imbattibile
.
Durante
la
sua
campagna
presidenziale
,
quand
'
egli
era
governatore
,
l
'
investigazione
condotta
dal
giudice
Seabury
nell
'
amministrazione
della
città
di
Nuova
York
scoprì
cose
compromettenti
negli
affari
privati
di
James
Walker
,
il
sindaco
.
Franklin
Roosevelt
si
trovò
in
questo
dilemma
:
o
espellere
Walker
o
non
farne
niente
e
dare
un
'
arma
in
mano
all
'
opposizione
.
Egli
risolse
il
problema
invitando
Walker
ad
Albany
e
preparandogli
udienze
speciali
per
render
conto
della
sua
condotta
.
Roosevelt
sedette
su
un
'
altissima
cattedra
,
con
le
spalle
alla
luce
,
e
fece
accomodare
il
sindaco
ai
suoi
piedi
,
nel
raggio
di
due
riflettori
.
Da
una
tribuna
ascoltavano
i
giornalisti
e
gli
stenografi
.
Dopo
pochi
minuti
Walker
,
il
meno
intelligente
dei
due
,
si
era
compromesso
irreparabilmente
,
aveva
detto
delle
sciocchezze
annotate
dalla
stampa
,
schiacciato
dalla
luce
,
dall
'
autorità
,
dall
'
altezza
.
E
Roosevelt
aveva
vinto
.
Le
domande
continuano
.
Non
si
tocca
mai
nessuna
questione
fondamentale
,
ma
piccoli
problemi
di
corrente
amministrazione
.
Il
giornalista
riassume
i
dati
recenti
e
chiede
che
ne
pensi
il
Presidente
.
Le
risposte
sono
evasive
,
caute
,
ma
qualche
volta
stranamente
nette
e
decise
.
Dopo
circa
mezz
'
ora
,
un
uomo
si
stacca
da
dietro
le
spalle
di
Roosevelt
,
e
mormorando
:
«
Adesso
basta
!
»
prende
senza
cerimonie
il
giornalista
più
vicino
a
lui
per
il
braccio
e
comincia
a
spingerlo
via
.
Tutti
gli
altri
seguono
senza
dire
più
una
parola
.
Fuori
il
capo
indiano
non
attende
più
.
È
scomparso
.
Franklin
Delano
Roosevelt
,
nel
gennaio
1882
,
è
stato
tenuto
a
battesimo
da
Eliott
Roosevelt
,
il
fratello
di
Teodoro
.
Le
due
famiglie
dello
stesso
nome
avevano
solamente
un
comune
antenato
nel
1700
,
un
mercante
olandese
,
scaltro
e
abile
nei
commerci
.
Ma
la
cerimonia
segnava
il
legame
che
stringe
,
negli
Stati
Uniti
,
le
aristocratiche
famiglie
di
origine
olandese
che
hanno
mantenuto
attraverso
i
secoli
un
attaccamento
europeo
alla
struttura
tradizionale
.
Il
giovane
Franklin
,
a
ventotto
anni
,
sposò
la
figlia
del
suo
padrino
,
cugina
in
sesto
grado
,
Anna
Eleonora
,
condotta
all
'
altare
da
Teodoro
Roosevelt
,
suo
zio
,
poiché
il
padre
era
morto
qualche
anno
prima
.
Franklin
è
un
patrizio
americano
,
attentamente
educato
in
una
scuola
privata
,
allenato
agli
sport
e
alla
vita
semplice
.
Suo
padre
si
era
dedicato
al
commercio
per
qualche
tempo
,
e
si
era
poi
ritirato
con
la
moglie
e
i
figli
in
una
tenuta
sul
fiume
Hudson
,
a
vivere
nello
stile
di
un
gentiluomo
inglese
.
I
ragazzi
facevano
del
canottaggio
d
'
estate
,
cacciavano
alla
volpe
d
'
autunno
.
Forse
l
'
amore
per
la
vela
fu
ispirato
a
Franklin
dalla
madre
,
Sarah
Delano
,
figlia
di
un
capitano
di
veliero
,
discendente
di
una
di
quelle
famiglie
di
Valloni
che
nel
1616
furono
le
prime
ad
occupare
la
deserta
isola
di
Manhattan
per
la
Compagnia
della
Nuova
Amsterdam
.
La
signora
Roosevelt
,
da
ragazza
,
aveva
fatto
un
lunghissimo
viaggio
col
padre
,
arrivando
a
Hong
-
Kong
,
attraverso
lo
stretto
di
Magellano
.
A
14
anni
il
figlio
maggiore
già
era
proprietario
di
un
piccolo
panfilo
di
7
metri
,
con
una
cabina
e
una
cuccetta
,
col
quale
andava
gironzolando
per
il
fiume
.
Le
altre
sue
passioni
erano
il
cavallo
,
il
tennis
,
il
nuoto
e
la
bicicletta
.
Andò
con
un
amico
in
Germania
,
e
la
girò
tutta
in
tandem
,
facendosi
arrestare
quattro
volte
.
Uno
dei
suoi
passatempi
favoriti
era
imbalsamare
gli
animali
che
uccideva
:
strana
occupazione
di
campagna
.
La
sua
carriera
avrebbe
dovuto
portarlo
sul
mare
,
con
una
uniforme
azzurra
e
i
bottoni
d
'
oro
.
L
'
Accademia
di
Annapolis
era
la
mèta
dei
suoi
primi
anni
.
Allo
scoppio
della
guerra
con
la
Spagna
,
nel
1898
,
Franklin
Roosevelt
aveva
perfino
preparato
la
fuga
dalla
casa
paterna
per
arruolarsi
nella
Marina
,
ma
il
morbillo
lo
immobilizzò
in
letto
per
diverso
tempo
,
e
la
guerra
finì
troppo
presto
perché
egli
potesse
provare
l
'
emozione
dell
'
eroismo
.
Finì
ad
Harvard
,
l
'
elegante
Università
vicina
a
Boston
,
che
ha
ancora
un
vecchio
sapore
seicentesco
inglese
.
Tra
i
giovanotti
della
sua
età
egli
cominciò
a
sperimentare
le
qualità
di
tutti
i
Roosevelt
:
una
vitalità
sovrumana
,
un
interesse
spontaneo
in
tutto
quello
che
li
circonda
,
un
istinto
per
il
pittoresco
,
per
l
'
impetuoso
,
per
l
'
inaspettato
,
e
una
grande
scaltrezza
,
se
non
un
'
intelligenza
sintetica
e
astratta
.
Egli
dominava
,
servendosi
degli
amici
,
cavando
,
in
un
turbine
di
parole
,
informazioni
e
consigli
.
Divenne
il
direttore
del
quotidiano
dell
'
Università
,
il
«
Crimson
»
,
e
sbalordì
Facoltà
e
studenti
con
proposte
signorilmente
rivoluzionarie
.
Il
contatto
con
gli
uomini
,
servirsi
di
loro
,
giocarli
l
'
uno
contro
l
'
altro
,
lo
affascinavano
.
Nel
1912
,
alla
convenzione
democratica
di
Baltimora
,
aiutò
Thomas
Woodrow
Wilson
a
raggiungere
la
candidatura
alla
Presidenza
,
e
venne
premiato
dopo
la
vittoria
col
posto
di
sottosegretario
alla
Marina
.
Erano
gli
anni
in
cui
la
guerra
sembrava
imminente
,
e
Franklin
Roosevelt
si
mise
d
'
impegno
ad
allestire
la
flotta
in
previsione
di
uri
conflitto
.
Il
Ministero
della
Guerra
si
dovette
rivolgere
a
Wilson
perché
era
assolutamente
impossibile
rifornire
i
magazzini
dell
'
Esercito
:
Roosevelt
aveva
comprato
tutto
quello
che
i
fornitori
potevano
produrre
al
momento
.
Le
proposte
del
sottosegretario
riuscivano
a
trovare
sempre
un
posto
nella
prima
pagina
dei
giornali
(
un
'
altra
delle
qualità
dei
Roosevelt
)
.
Un
giorno
propose
con
molto
rumore
un
regolamento
che
imponeva
a
tutti
gli
ufficiali
della
Marina
americana
di
imparare
a
nuotare
se
volevano
mantenere
il
rango
.
Durante
la
guerra
egli
sorvegliò
il
trasporto
di
truppe
attraverso
l
'
Atlantico
,
dalla
Francia
,
e
ritornando
in
patria
trovò
che
la
popolarità
di
Wilson
era
finita
,
i
suoi
progetti
ostacolati
dall
'
opposizione
del
Paese
,
e
il
Presidente
quasi
paralitico
.
Roosevelt
si
batté
per
il
partito
democratico
,
come
candidato
alla
vice
-
Presidenza
nel
1920
e
,
dopo
una
gloriosa
sconfitta
,
si
ritirò
in
un
ufficio
legale
,
abbandonando
la
vita
pubblica
.
A
trentanove
anni
,
facendo
un
bagno
in
un
laghetto
di
montagna
con
i
suoi
bambini
in
un
'
afosa
giornata
d
'
agosto
,
fu
colpito
dalla
malattia
che
gli
ha
profondamente
trasformato
il
carattere
:
la
paralisi
infantile
.
Tutti
credevano
che
la
sua
carriera
fosse
definitivamente
finita
.
Egli
si
ritirò
nella
Georgia
,
si
chiuse
in
se
stesso
,
e
mentre
il
Paese
veniva
travolto
dall
'
ondata
di
speculazione
frenetica
egli
riuscì
a
comprendere
il
valore
,
nella
vita
della
Nazione
,
del
contributo
oscuro
e
doloroso
del
piccolo
uomo
qualunque
,
perseguitato
da
forze
che
non
capisce
e
non
controlla
.
Roosevelt
ha
scritto
:
«
Due
terzi
dell
'
industria
americana
sono
concentrati
in
poche
centinaia
di
società
per
azioni
e
diretti
da
non
più
di
cinquemila
uomini
...
Il
potere
economico
è
concentrato
in
poche
mani
»
.
Egli
ha
difeso
l
'
«
uomo
dimenticato
»
nella
sua
campagna
presidenziale
del
1932
.
La
malattia
lo
aveva
riavvicinato
alla
massa
.
Franklin
D
.
Roosevelt
ha
una
mente
mobile
,
curiosa
,
che
ama
sperimentare
e
correggersi
.
Egli
s
'
incammina
per
diverse
strade
prima
di
continuare
per
una
sola
.
Tuttavia
i
suoi
obiettivi
sono
abbastanza
limpidi
e
sicuri
.
Egli
vuole
evitare
il
ripetersi
nel
futuro
del
fenomeno
della
prosperità
speculativa
,
e
vorrebbe
vedere
la
vita
economica
del
Paese
seguire
linee
razionali
segnate
in
precedenza
.
La
macchinosa
organizzazione
del
Governo
di
Washington
rallenta
la
sua
marcia
e
frena
i
suoi
entusiasmi
.
Ma
egli
possiede
una
grande
capacità
di
manovratore
politico
,
sa
adoperare
gli
uomini
che
ha
attorno
e
sa
trasmettere
a
chi
viene
in
contatto
con
lui
quel
sereno
ottimismo
che
è
forse
la
sua
caratteristica
principale
.
StampaQuotidiana ,
Nicola
,
il
capo
dei
bestiai
della
tenuta
della
Marsigliana
,
ha
fatto
mettere
oggi
una
vecchia
sella
da
buttero
,
con
il
«
pallino
»
,
sul
suo
cavallo
.
Il
«
pallino
»
è
un
corno
di
cuoio
e
di
ferro
sul
davanti
della
sella
che
serve
per
legare
le
bestie
prese
al
laccio
.
Il
vecchio
buttero
vuole
per
nostra
edificazione
istruire
oggi
una
cavalla
selvaggia
,
alla
quale
però
ha
già
dato
due
o
tre
lezioni
del
come
ci
si
comporta
in
compagnia
degli
uomini
.
Nicola
è
contrario
al
sistema
brutale
di
domare
le
bestie
piantandosi
a
cavalcioni
«
a
pelo
»
e
facendole
galoppare
,
saltare
e
scalciare
finché
cadono
a
terra
sfinite
,
o
finché
il
buttero
fa
un
rotolone
nella
polvere
.
Alla
descrizione
di
un
«
rodeo
»
nordamericano
,
dove
piantano
la
sella
sui
puledri
selvaggi
e
vi
montano
sopra
e
rimangono
attaccati
a
forza
di
ginocchia
malgrado
tutti
gli
scarti
e
i
salti
da
montone
,
Nicola
crolla
la
testa
:
è
un
sistema
inumano
.
L
'
animale
va
educato
a
poco
a
poco
,
come
un
bambino
,
secondo
lui
.
Nicola
ama
prendersi
i
puledri
a
uno
a
uno
,
portarseli
nel
rimessino
una
piccola
arena
circondata
da
una
staccionata
e
abituarli
gradatamente
,
lezione
per
lezione
,
con
qualche
giorno
di
riposo
e
d
'
intervallo
tramezzo
,
alla
presenza
dell
'
uomo
,
al
suo
odore
,
alla
sua
mano
,
alla
sua
volontà
,
al
suo
peso
,
alla
capezza
,
alla
sella
,
al
morso
e
alla
fatica
.
Egli
ha
imparato
in
tanti
anni
a
dosare
le
lezioni
per
difficoltà
.
La
prima
volta
,
egli
spiega
,
la
tradizione
maremmana
vuole
che
il
buttero
catturi
l
'
animale
col
laccio
e
,
tenendogli
la
testa
fra
le
mani
,
gli
sputi
in
una
narice
.
Dicono
che
sia
per
fargli
sentire
l
'
odore
dell
'
uomo
.
È
un
gesto
millenario
,
forse
,
che
verrà
dalle
pianure
dell
'
Asia
con
i
primi
cavalieri
e
con
i
primi
cavalli
.
Nella
seconda
lezione
del
corso
di
Nicola
,
il
puledro
legato
vien
fatto
trottare
e
galoppare
intorno
al
rimessino
.
Poi
s
'
incomincia
a
fargli
sentire
la
capezza
e
la
mano
dell
'
uomo
che
comanda
.
Nella
lezione
successiva
il
cavallo
impara
a
conoscere
il
peso
della
sella
,
la
pesante
«
bardella
»
maremmana
,
e
poi
quello
del
cavaliere
.
Il
resto
del
lavoro
non
lo
fa
più
Nicola
,
ma
il
buttero
a
cui
viene
assegnato
il
cavallo
e
che
lo
monta
in
giro
per
la
tenuta
per
giornate
intere
.
Il
capo
bestiaio
ci
segna
,
con
la
punta
del
lungo
bastone
di
corniolo
,
una
cavalla
lontana
in
un
pascolo
.
È
l
'
allieva
di
oggi
.
Due
butteri
si
staccano
dal
gruppo
e
vanno
a
prenderla
per
condurla
nel
rimessino
,
all
'
ombra
di
un
ciuffo
d
'
alberi
.
Nicola
entra
nel
recinto
,
staccando
dalla
sella
il
laccio
e
facendoselo
scorrere
tra
le
mani
,
in
attesa
.
In
mezzo
al
rimessino
è
un
vecchio
tronco
d
'
albero
senza
corteccia
,
con
due
rami
mozzi
.
Lo
chiamano
il
«
giudice
»
e
serve
a
legare
il
bestiame
,
e
ad
appoggiare
le
corde
per
tirarlo
.
Da
un
pascolo
vicino
uno
stallone
nitrisce
:
chiama
una
cavalla
che
non
vediamo
e
che
gli
risponde
ogni
tanto
.
Una
folata
di
vento
fa
rabbrividire
le
foglie
.
Il
vecchio
bestiaio
attende
con
il
laccio
pronto
.
Con
i
buoni
baffi
bianchi
ad
arco
sulla
bocca
,
il
cappellaccio
di
feltro
stinto
,
il
giacchettone
di
fustagno
,
le
gambe
penzolanti
lungo
la
sella
,
egli
non
somiglia
,
neppure
lontanamente
,
a
una
di
quelle
leggendarie
figure
di
centauri
armati
di
laccio
e
di
pistola
dei
libri
d
'
avventure
ginnasiali
e
del
vecchio
cinema
eroico
.
I
due
butteri
,
con
la
cavalla
davanti
a
loro
,
arrivano
di
galoppo
.
Il
cancello
del
rimessino
si
spalanca
,
e
inghiotte
l
'
animale
trafelato
,
che
si
ferma
indeciso
e
atterrito
,
mentre
i
due
uomini
saltano
di
sella
e
gettano
le
briglie
sulla
staccionata
.
La
bestia
cerca
un
'
uscita
,
abbozza
un
galoppo
,
s
'
impenna
e
riparte
nell
'
altra
direzione
,
ficca
la
testa
fra
le
travi
di
legno
cercando
una
uscita
,
nitrisce
disperatamente
.
Un
urlo
di
un
buttero
appollaiato
sulla
staccionata
la
fa
partire
di
corsa
,
chinata
verso
l
'
interno
come
un
cavallo
da
circo
,
mentre
Nicola
,
con
la
lingua
stretta
fra
i
denti
,
per
paura
di
sbagliare
il
colpo
,
fa
roteare
l
'
anello
di
corda
sulla
sua
testa
e
lo
lancia
.
Il
cerchio
si
abbatte
molle
attorno
al
collo
dell
'
animale
,
che
si
ferma
indeciso
.
Il
buttero
lega
immediatamente
al
«
pallino
»
della
sella
la
corda
che
si
tende
,
mentre
la
bestia
indietreggia
puntando
gli
zoccoli
,
scuotendo
il
collo
.
Ma
il
cavallo
di
Nicola
,
che
conosce
il
mestiere
forse
quanto
lui
,
pianta
solidamente
i
ferri
nella
polvere
e
resiste
a
gambe
tese
,
senza
muoversi
.
La
cavalla
quasi
soffoca
,
nello
sforzo
di
liberarsi
dal
laccio
,
ed
ansima
con
un
breve
soffio
rauco
.
Il
grido
improvviso
di
un
buttero
la
fa
ripartire
al
galoppo
,
disordinatamente
,
scuotendo
la
criniera
.
Nicola
manovra
cauto
per
tenere
sempre
libera
la
corda
del
«
giudice
»
,
perché
se
si
dovesse
arrotolare
attorno
al
tronco
la
cavalla
soffocherebbe
.
Ma
il
suo
cavallo
,
quasi
senza
comandi
,
si
ferma
,
si
gira
,
calmo
e
attento
.
L
'
animale
,
dopo
una
corsa
affannosa
e
spossante
,
s
'
è
fermato
e
guarda
attorno
,
diffidente
e
pauroso
.
«
Prova
un
po
'
la
capezza
!
»
comanda
Nicola
,
ed
uno
dei
butteri
sospende
l
'
arnese
al
bastone
di
corniolo
e
si
avvicina
adagissimo
alla
cavalla
,
facendoglielo
odorare
a
braccio
teso
.
La
bestia
ha
dei
tremiti
convulsi
,
e
tenta
ancora
di
svincolarsi
dal
laccio
,
squassando
disperatamente
il
collo
.
A
poco
a
poco
l
'
uomo
riesce
ad
avvicinarsi
,
a
infilarle
il
muso
nella
capezza
,
e
lentamente
gliela
passa
dietro
le
orecchie
e
l
'
affibbia
.
Tutto
questo
Nicola
l
'
aveva
già
fatto
nella
prima
lezione
che
egli
ha
dato
alla
cavalla
qualche
giorno
fa
.
Ma
ad
ogni
lezione
bisogna
ricominciare
da
capo
.
I
cavalli
sono
scolari
senza
memoria
.
Il
laccio
,
ora
,
è
inutile
,
e
Nicola
lo
fa
sfilare
,
afferrando
la
cima
della
capezza
per
guidare
la
bestia
,
che
incomincia
a
galoppare
in
giro
,
con
un
rauco
suono
fischiante
di
respiro
affrettato
.
Ogni
tanto
s
'
impunta
,
davanti
a
un
'
ombra
,
a
un
ramo
mosso
dal
vento
,
a
un
buttero
appollaiato
sulla
staccionata
;
poi
riparte
di
carriera
,
per
fermarsi
poco
più
in
là
,
e
non
muoversi
se
uno
dei
bestiai
non
scende
nel
rimessino
e
la
fa
ripartire
urlando
e
agitando
le
braccia
.
A
un
certo
punto
si
mette
nel
centro
e
si
lascia
cadere
a
terra
,
rotolando
sul
dorso
con
le
gambe
all
'
aria
come
un
cane
che
vuol
giocare
.
Nicola
,
paziente
,
la
segue
,
manovrando
la
corda
,
attorno
al
«
pallino
»
della
sella
,
accorciandola
ed
allungandola
,
girando
attorno
al
«
giudice
»
,
e
dando
dei
brevi
comandi
ai
butteri
che
l
'
aiutano
.
Man
mano
che
l
'
animale
si
stanca
,
Nicola
accorcia
la
corda
tesa
che
lo
divide
dalla
cavalla
.
Finalmente
,
dopo
molti
minuti
,
la
bestia
sfibrata
,
ansimante
,
si
ferma
e
Nicola
si
avvicina
,
adagio
per
non
farla
fuggire
.
Vuol
tentare
di
metterle
per
la
prima
volta
la
«
bardella
»
la
pesantissima
sella
maremmana
e
deve
farlo
senza
destare
i
sospetti
della
bestia
,
che
non
si
è
mai
sentita
la
schiena
legata
e
costretta
da
un
forte
peso
.
Uno
dei
bestiai
,
da
un
lato
,
tiene
la
«
bardella
»
pronta
,
appoggiata
alla
staccionata
.
Nicola
porta
il
suo
cavallo
,
lentissimamente
,
con
precauzione
,
sotto
al
collo
dell
'
allievo
,
finché
può
afferrare
la
cavalla
selvaggia
per
le
due
orecchie
,
passarle
l
'
avambraccio
sugli
occhi
,
e
appoggiarle
la
testa
alla
groppa
del
suo
cavallo
.
Un
bestiaio
,
per
prepararla
al
contatto
duro
della
sella
ed
alla
stretta
della
sottopancia
,
le
passa
sul
dorso
e
sul
ventre
un
ramo
,
disegnando
sul
pelo
sudato
il
profilo
della
«
bardella
»
.
Finalmente
,
a
un
comando
di
Nicola
,
il
buttero
porta
a
due
braccia
la
sella
e
la
depone
sulla
groppa
della
cavalla
,
la
quale
,
al
contatto
,
tenta
di
rinculare
timorosamente
scuotendo
il
collo
.
Ma
il
vecchio
buttero
la
tiene
immobile
nella
morsa
delle
braccia
,
ed
i
bestiai
possono
affibbiare
ogni
cinghia
,
ed
assestare
la
sella
,
legando
le
staffe
in
cima
:
se
ciondolassero
lungo
i
fianchi
la
metterebbero
presto
in
furore
.
Quando
la
lasciano
libera
,
la
cavalla
comincia
a
girarsi
intorno
,
furibonda
,
come
se
un
tafano
la
stesse
tormentando
,
poi
abbozza
un
piccolo
galoppo
sfrenato
,
s
'
impunta
,
scalcia
,
salta
,
ansimando
.
I
butteri
ridono
delle
manovre
della
bestia
che
non
ha
compreso
che
cosa
sia
successo
e
che
tenta
di
liberarsi
dalla
stretta
e
dal
peso
insopportabili
.
Quando
si
è
stancata
,
Nicola
le
va
vicino
e
le
prende
di
nuovo
la
testa
fra
le
braccia
.
Uno
dei
butteri
si
stacca
di
dosso
i
cosciali
di
pelo
di
capra
che
gli
proteggono
le
gambe
dai
pruni
quando
traversa
la
macchia
,
e
,
ridendo
,
glieli
attacca
ciondoloni
ai
due
lati
della
sella
.
E
la
lezione
«
numero
uno
»
nell
'
arte
di
portare
un
cavaliere
,
fatta
con
dei
cosciali
spelacchiati
che
non
hanno
paura
di
essere
rotolati
per
terra
e
che
rimangono
sempre
attaccati
.
Infatti
la
cavalla
è
presa
dal
terrore
al
contatto
di
quelle
due
cose
che
ciondolano
e
la
solleticano
sui
fianchi
,
e
parte
saltando
e
scalciando
.
Abbozza
due
o
tre
salti
da
montone
,
abbassando
la
testa
fra
le
ginocchia
e
,
mentre
i
butteri
ridono
dello
scherzo
,
si
rotola
per
terra
,
con
gli
zoccoli
all
'
aria
.
Quando
si
rialza
i
cosciali
danzano
ancora
sulla
sella
ad
ogni
salto
,
legati
solidamente
.
Dopo
qualche
minuto
,
Nicola
le
si
avvicina
ed
ordina
che
venga
liberata
.
La
lezione
è
finita
.
Il
cancello
si
spalanca
e
la
cavalla
sudata
e
lucente
parte
al
galoppo
verso
i
pascoli
lontani
.
Nicola
arrotola
il
laccio
,
facendolo
scorrere
tra
i
due
pugni
con
un
gesto
marinaresco
.
Fra
qualche
giorno
,
dice
,
un
buttero
la
monterà
.
«
Deve
essere
un
lavoro
difficile
,
la
prima
volta
»
suggeriamo
noi
.
«
Che
!
»
risponde
sorridente
.
«
Chi
monta
è
fatto
com
'
un
omo
,
no
?
»
StampaQuotidiana ,
C
'
immergiamo
nella
notte
,
lasciando
dietro
a
noi
i
fiochi
fanali
del
villaggio
velati
di
pioggia
.
Il
viottolo
fangoso
sembra
candido
nell
'
oscurità
e
non
è
difficile
seguirlo
.
Davanti
a
noi
è
il
capomanipolo
con
le
mani
ficcate
nelle
tasche
dell
'
impermeabile
.
Dietro
,
si
sentono
i
passi
pesanti
e
sicuri
di
due
militi
confinari
,
con
un
rumore
cadenzato
di
fango
spremuto
e
di
ghiaietta
stritolata
dai
chiodi
.
Piove
.
Marciamo
in
silenzio
.
Andiamo
ad
appostarci
su
uno
dei
sentieri
di
montagna
che
vengono
dal
confine
e
dove
,
qualche
volta
,
di
notte
,
tentano
di
passare
contrabbandieri
e
gente
sospetta
,
che
non
ha
le
carte
in
regola
.
I
contrabbandieri
,
in
Val
di
Spluga
,
sono
per
lo
più
montanari
che
trasportano
a
spalla
,
per
dei
sentieri
da
capra
,
trenta
o
quaranta
chili
di
caffè
,
di
zucchero
o
di
tabacco
.
È
un
contrabbando
spicciolo
,
da
queste
parti
,
un
contrabbando
casalingo
,
che
non
penetra
nel
paese
,
ma
viene
smerciato
e
consumato
nei
villaggi
della
valle
.
Il
carico
passa
il
confine
e
viene
deposto
in
qualche
baita
isolata
,
in
qualche
capanna
da
pastori
abbandonata
,
mentre
il
contrabbandiere
va
a
proporre
la
vendita
per
i
villaggi
.
Si
racconta
che
un
vecchio
valligiano
,
un
giorno
,
è
apparso
nella
cucina
della
moglie
del
maresciallo
delle
guardie
di
finanza
di
uno
dei
paesi
della
valle
,
col
cappello
in
mano
,
a
chiedere
se
la
signora
voleva
dello
zucchero
.
Le
trattative
della
vendita
procedevano
pacificamente
quando
è
apparso
il
marito
in
uniforme
.
Il
contrabbandiere
ha
infilato
la
porta
,
di
corsa
,
e
non
si
è
più
fatto
vedere
.
Quando
si
è
trovato
il
compratore
per
la
merce
,
il
contrabbandiere
ritorna
al
suo
deposito
,
carica
il
sacco
sulle
spalle
e
riprende
la
strada
.
Per
essere
più
sicuro
,
manda
avanti
un
compagno
,
che
gli
eviti
incontri
con
le
pattuglie
.
Spesso
il
trasporto
viene
fatto
in
tre
o
quattro
tappe
,
da
diversi
compagni
,
che
si
lasciano
il
carico
in
diversi
nascondigli
stabiliti
.
Di
notte
,
le
guardie
di
finanza
e
le
Camicie
nere
non
fermano
quasi
mai
il
primo
uomo
che
incontrano
per
un
sentiero
di
montagna
.
Quello
,
nella
bisaccia
,
non
ha
mai
nulla
di
compromettente
.
Serve
soltanto
perché
il
compagno
,
che
segue
a
qualche
passo
,
si
accorga
dell
'
incontro
e
possa
scappare
,
o
nascondere
a
tempo
il
fardello
dietro
un
cespuglio
.
Appena
i
contrabbandieri
hanno
escogitato
un
nuovo
trucco
,
i
militi
e
le
guardie
lo
scoprono
immediatamente
e
bisogna
cominciare
da
capo
.
Così
le
pattuglie
non
escono
mai
alla
stessa
ora
,
e
non
percorrono
mai
lo
stesso
itinerario
.
È
una
sorda
lotta
continua
,
una
partita
che
non
ha
mai
fine
,
tra
gli
uomini
in
uniforme
e
gli
altri
.
Ma
le
Camicie
nere
di
confine
,
di
cui
un
manipolo
è
distaccato
a
Campodolcino
e
a
Madesimo
,
non
dovrebbero
specialmente
prender
parte
alla
lotta
contro
il
contrabbando
.
Il
loro
compito
è
la
sorveglianza
di
tutte
le
attività
di
frontiera
che
possano
minacciare
la
sicurezza
nazionale
.
In
Val
di
Spluga
però
le
avventure
non
sono
molto
frequenti
.
Regolarmente
,
dal
ministero
degli
Interni
,
arrivano
i
bollettini
con
i
nomi
,
gli
alias
e
le
caratteristiche
delle
persone
ricercate
dalla
Pubblica
Sicurezza
.
I
militi
fanno
passare
i
fogli
,
fissano
quelle
teste
di
disperati
,
dal
colletto
sbottonato
,
i
capelli
lunghi
e
gli
occhi
attoniti
,
con
la
speranza
di
riconoscerne
uno
,
da
un
momento
all
'
altro
,
appiattato
dietro
un
cespuglio
,
nascosto
in
una
baita
o
a
passeggio
per
un
sentiero
troppo
vicino
al
confine
,
ed
attaccano
il
bollettino
a
due
ganci
,
assieme
a
tutti
i
numeri
dell
'
annata
,
con
un
sospiro
.
Raccontava
il
capomanipolo
Fiaccarini
che
,
recentemente
,
le
autorità
svizzere
l
'
avevano
avvisato
che
due
carcerati
,
armati
e
pronti
a
tutto
,
erano
evasi
da
un
penitenziario
,
e
che
si
credeva
avessero
passato
il
confine
.
Infatti
,
durante
la
notte
,
un
contadino
della
valle
si
è
accorto
che
due
figure
erano
penetrate
silenziosamente
nella
sua
stalla
,
e
si
è
precipitato
a
darne
notizia
alle
Camicie
nere
.
Racconta
il
capomanipolo
:
«
Mi
sono
fermato
davanti
a
quella
porta
,
col
moschetto
stretto
nei
pugni
,
appoggiato
alla
spalla
.
Non
sapevo
che
cosa
avrei
trovato
,
dall
'
altra
parte
.
Forse
i
due
evasi
avevano
sentito
i
passi
chiodati
nel
cortile
,
le
voci
nostre
,
ed
attendevano
con
le
pistole
spianate
che
la
porta
si
aprisse
,
pronti
a
piantare
due
palle
nella
prima
testa
che
apparisse
.
Mi
sono
ricordato
che
,
da
squadrista
,
avevo
preso
parte
a
una
spedizione
identica
.
Un
buon
amico
mio
era
entrato
per
il
primo
,
allora
,
alla
ricerca
di
alcuni
comunisti
,
e
non
aveva
fatto
un
passo
nell
'
interno
della
stalla
,
che
due
colpi
di
moschetto
l
'
avevano
steso
a
terra
.
«
Entrai
col
moschetto
spianato
,
seguito
da
due
militi
.
«
Nessuno
.
La
stalla
sembrava
completamente
vuota
.
Finalmente
in
un
angolo
buio
vidi
due
occhi
che
mi
fissavano
,
vitrei
.
Una
testa
rasata
sporgeva
immobile
dal
fieno
,
come
una
di
quelle
teste
di
legno
a
cui
si
buttano
tre
palle
alla
fiera
.
Puntai
l
'
arma
verso
di
lui
e
gli
ordinai
di
alzarsi
.
L
'
uomo
non
si
mosse
.
Lo
feci
tirar
su
di
peso
dai
due
militi
e
chiesi
dov
'
era
il
compagno
:
non
rispose
.
Capiva
poco
l
'
italiano
.
Salii
sul
fieno
,
per
scoprire
il
nascondiglio
dell
'
altro
.
Sentii
sotto
i
miei
piedi
qualcosa
di
duro
.
Dal
fieno
sporgeva
il
naso
dell
'
altro
evaso
,
il
quale
si
era
fatto
calpestare
senza
pronunciare
una
parola
,
senza
muoversi
.
Sperava
di
passare
inosservato
.
»
Questa
è
l
'
ultima
avventura
delle
Camicie
nere
di
Campodolcino
.
Marciamo
,
nel
fango
,
sotto
lo
stillicidio
della
pioggia
invisibile
.
Ogni
tanto
qualcuno
inciampa
nel
buio
,
e
si
sentono
due
o
tre
passi
precipitati
.
L
'
ufficiale
si
ferma
,
si
avvicina
a
un
muretto
irregolare
,
appoggia
le
mani
e
lo
scavalca
.
Poi
si
volta
e
fa
piovere
sul
muro
un
po
'
di
luce
rosata
da
una
lampadina
tascabile
,
velata
dalle
dita
aperte
.
Nella
breve
macchia
luminosa
brillano
le
gocce
di
pioggia
.
Scavalchiamo
tutti
e
si
riprende
la
marcia
per
un
prato
fradicio
d
'
acqua
.
I
piedi
affondano
.
Davanti
,
all
'
orlo
del
prato
,
la
nostra
via
è
sbarrata
da
un
torrente
che
non
vediamo
ma
che
sentiamo
scorrere
violento
tra
le
pietre
.
Il
rombo
si
avvicina
lentamente
,
finché
ormai
non
è
più
che
a
pochi
passi
davanti
a
noi
,
nell
'
oscurità
.
Il
capomanipolo
volta
a
destra
,
s
'
arrampica
per
una
scarpata
e
infila
un
ponticello
di
legno
.
L
'
acqua
scorre
rapida
sotto
di
noi
.
Oltre
il
ponte
infiliamo
un
sentiero
sassoso
,
che
s
'
inerpica
sul
fianco
della
montagna
.
Sulle
nostre
teste
è
teso
un
tetto
di
nebbia
biancastra
che
copre
la
valle
come
un
coperchio
.
Dopo
qualche
minuto
di
cammino
,
l
'
ufficiale
si
ferma
,
dietro
un
riparo
di
terreno
.
E
qui
.
Attendiamo
.
I
due
militi
,
col
giacchettone
di
pelo
,
dal
bavero
rialzato
sopra
alle
orecchie
,
le
mani
infilate
nelle
due
tasche
verticali
tagliate
sul
petto
,
e
il
moschetto
rovesciato
appeso
a
una
spalla
,
stanno
immobili
.
Si
sente
in
lontananza
il
rumoreggiare
del
torrente
,
e
in
quel
vago
rombo
si
crede
di
sentire
tanti
altri
rumori
indistinti
.
La
pioggia
cade
con
un
tambureggiare
minuto
sull
'
ala
del
cappello
,
indurito
dall
'
acqua
,
e
sull
'
impermeabile
,
eternamente
.
I
minuti
passano
,
lentissimi
.
Una
macchina
è
passata
per
il
villaggio
.
Probabilmente
sciatori
che
vanno
a
Madesimo
o
al
passo
dello
Spluga
.
L
'
automobile
non
si
vede
,
ma
i
due
coni
di
luce
incendiano
la
nebbia
,
salendo
laboriosamente
per
la
strada
ripida
,
dall
'
altra
parte
della
valle
.
I
minuti
passano
.
Una
campana
lontana
batte
le
ore
.
Attendiamo
,
tesi
nel
silenzio
,
per
il
suono
di
un
passo
cauto
,
per
un
ciottolo
smosso
che
rotoli
.
Dopo
mezz
'
ora
o
due
ore
uno
dei
militi
si
piega
in
avanti
,
per
vedere
meglio
,
e
lascia
scivolare
il
moschetto
dalla
spalla
,
impugnandolo
come
per
tenersi
pronto
a
sparare
.
L
'
altro
,
senza
una
parola
,
fissa
il
punto
che
il
primo
sta
scrutando
,
e
prepara
l
'
arma
.
A
una
trentina
di
passi
davanti
a
noi
due
ombre
si
muovono
.
Stiamo
,
protesi
,
col
respiro
mózzo
,
attendendo
,
per
secondi
interminabili
.
Le
due
Camicie
nere
,
a
gambe
larghe
,
con
il
calcio
del
moschetto
stretto
sotto
l
'
ascella
e
la
canna
rivolta
verso
le
due
ombre
che
si
avvicinano
,
sono
irrigidite
nell
'
attesa
.
Si
sentono
,
nell
'
infinito
silenzio
della
valle
,
i
due
scatti
metallici
,
l
'
uno
dopo
l
'
altro
,
dei
moschetti
che
i
militi
hanno
passato
dalla
posizione
di
sicurezza
a
quella
di
sparo
.
Le
due
ombre
sono
di
fronte
a
due
moschetti
carichi
,
pronti
a
sparare
.
Ormai
non
sono
più
che
a
pochi
passi
.
«
Chi
va
là
?
»
Uno
dei
due
militi
ha
urlato
le
tre
sillabe
veloci
nella
notte
.
La
sua
voce
è
roca
e
strozzata
dall
'
attesa
spasmodica
.
«
Ispezione
Milizia
!
»
grida
una
delle
ombre
,
immediatamente
.
«
Parola
d
'
ordine
?
»
«
Udine
!
Controparola
?
»
«
Umberto
!
»
È
il
caposquadra
delle
Camicie
nere
,
accompagnato
da
un
milite
,
in
giro
d
'
ispezione
.
Le
battute
si
sono
svolte
rapidissime
,
secche
,
a
un
metro
di
distanza
tra
gli
uomini
,
che
si
gettavano
le
parole
sul
viso
.
Il
milite
ha
proiettato
la
luce
della
lampada
tascabile
sulla
faccia
del
graduato
,
che
ha
battuto
le
palpebre
,
accecato
per
un
secondo
.
Anche
stasera
,
niente
contrabbandieri
.
StampaQuotidiana ,
A
Lasa
,
nell
'
Alto
Adige
,
nel
silenzio
delle
foreste
di
abeti
e
dei
nevai
immacolati
,
dove
non
ha
mai
risuonato
il
trionfale
«
Pista
!
»
dello
sciatore
,
vengono
dalla
Toscana
la
sabbia
della
spiaggia
di
Viareggio
e
una
quarantina
di
uomini
.
Uomini
e
sabbia
sono
impiegati
nelle
cave
di
marmo
,
le
più
giovani
d
'
Italia
e
le
più
alte
del
mondo
:
tre
anni
di
età
e
1700
metri
sul
mare
.
La
sabbia
,
silicea
,
uniforme
,
arriva
a
vagonate
,
per
essere
portata
in
cava
e
colata
lentamente
nel
solco
dove
passa
,
ronzando
,
il
filo
elicoidale
che
sega
il
marmo
.
Gli
uomini
,
specialisti
dei
mille
mestieri
misteriosi
dei
cavatori
,
sono
giunti
tre
anni
fa
per
insegnare
agli
abitanti
della
vallata
i
secolari
segreti
delle
Alpi
Apuane
.
Siamo
andati
a
trovare
gli
uomini
.
Abitano
su
per
la
Valle
di
Lasa
(
una
fessura
scoscesa
tagliata
dal
torrente
sul
fianco
della
montagna
)
a
qualche
chilometro
di
distanza
dal
villaggio
.
Montagna
,
valle
,
torrente
,
villaggio
,
cave
e
marmo
hanno
un
nome
solo
in
comune
:
Lasa
.
La
neve
cadeva
indecisa
e
svolazzante
quando
siamo
scesi
dal
trenino
che
ci
aveva
portato
da
Bolzano
.
Le
montagne
erano
ovattate
di
bianco
,
invisibili
.
Una
vecchia
,
in
scialle
,
ha
accatastato
sacchi
di
posta
e
pacchi
di
giornali
su
uno
slittino
,
ed
è
partita
verso
il
paese
tirandoselo
dietro
come
fanno
i
ragazzi
.
Oltre
i
binari
,
erano
i
blocchi
di
marmo
bianco
,
in
disordine
,
come
i
rottami
di
un
muraglione
ciclopico
che
fosse
crollato
.
Sopra
ognuno
la
neve
aveva
deposto
un
regolare
cuscinetto
azzurrognolo
,
che
ne
arrotondava
la
sagoma
squadrata
.
Nel
silenzio
,
il
picchiettare
di
uno
scalpellino
invisibile
,
e
lo
sbuffo
del
treno
che
si
allontanava
.
A
gambe
larghe
sul
marmo
era
la
grue
a
ponte
,
disegnata
di
nero
opaco
contro
il
cielo
bianco
.
Gli
uffici
della
società
stanno
poco
lontano
,
in
una
palazzina
nuovissima
.
Una
locomotiva
elettrica
attende
alla
porta
.
L
'
ingegnere
Antonio
Consiglio
,
direttore
della
cava
dell
'
Acqua
Bianca
,
ci
ha
fatto
salire
e
siamo
partiti
nella
neve
,
in
piedi
dietro
il
manovratore
,
sui
binari
impolverati
di
bianco
,
che
lasciavamo
neri
e
bagnati
dietro
a
noi
.
Dopo
pochi
minuti
siamo
giunti
al
piano
inclinato
.
Il
piano
inclinato
è
una
funicolare
,
che
sale
per
un
chilometro
sul
fianco
della
montagna
,
in
una
trincea
tagliata
tra
gli
abeti
immensi
.
È
la
funicolare
più
grande
d
'
Europa
,
perché
trasporta
un
carrello
con
due
tronchi
di
rotaia
,
sui
quali
possono
stare
quattro
vagoni
della
ferrovia
marmifera
carichi
di
blocchi
.
Una
specie
di
ferry
-
boat
da
montagna
.
Guardandola
dal
basso
,
si
vedevano
le
grosse
rotaie
allargate
scomparire
in
alto
,
verso
la
cima
,
perse
nella
nebbia
.
Per
ordinare
al
manovratore
,
nella
cabina
di
controllo
,
di
farci
partire
,
un
operaio
ha
toccato
uno
dei
fili
telegrafici
lungo
il
binario
con
una
canna
di
bambù
da
cui
parte
un
cordone
elettrico
.
Un
modo
come
un
altro
di
suonare
un
campanello
distante
.
Il
grosso
cavo
d
'
acciaio
,
che
scende
dalla
montagna
come
un
serpente
,
con
la
coda
persa
nella
nebbia
,
si
è
stiracchiato
e
finalmente
,
con
una
scossa
,
siamo
partiti
lentamente
e
dolcemente
.
Diciassette
minuti
di
ascensione
.
La
valle
si
allontanava
da
noi
,
appiattendosi
,
il
paese
si
velava
a
poco
a
poco
,
e
gli
abeti
,
carichi
di
neve
,
si
inabissavano
silenziosamente
al
nostro
fianco
.
Con
una
scossa
il
carrello
si
è
fermato
nel
suo
alveo
d
'
arrivo
,
con
le
sue
rotaie
allineate
a
quelle
del
binario
.
Un
'
altra
locomotiva
elettrica
ci
attende
.
Alcuni
minuti
di
corsa
lungo
il
fianco
della
montagna
deserta
,
tra
gli
alberi
,
nel
panorama
natalizio
.
È
il
quarto
mezzo
di
locomozione
della
giornata
.
All
'
arrivo
,
ci
sono
i
toscani
.
Abitano
un
baraccone
di
legname
e
di
muratura
,
a
picco
sul
torrente
,
tra
gli
alberi
.
Davanti
alla
loro
villa
,
il
torrente
si
divide
in
due
,
attorno
a
un
vecchio
masso
rotolato
chissà
da
dove
,
sul
quale
è
cresciuto
un
albero
.
Gli
uomini
hanno
costruito
un
tavolo
e
una
panca
di
legno
bianco
,
sulla
grossa
roccia
,
e
hanno
innalzato
un
cartello
a
lettere
rosse
:
«
Lido
Polo
Nord
»
.
Il
Lido
è
il
punto
di
ritrovo
estivo
,
supponiamo
,
poiché
in
questo
momento
è
sepolto
sotto
la
neve
.
Dalla
tavola
alla
porta
del
rifugio
corre
un
filo
metallico
teso
.
È
una
piccola
funicolare
privata
,
che
scavalca
il
torrente
,
e
serve
al
trasporto
di
fiaschi
di
vino
dalla
dispensa
agli
uomini
che
riposano
,
pancia
al
sole
,
sotto
l
'
abete
contorto
.
Il
rifugio
,
al
quale
si
arriva
su
un
ponticello
di
legno
,
a
cui
mancano
diverse
tavole
,
si
chiama
la
«
Tenda
rossa
»
,
comunemente
.
Ormai
il
nome
è
usato
da
tutto
il
personale
,
dalla
direzione
,
nei
rapporti
e
negli
ordini
.
Nessuno
sorride
più
.
Così
i
capannoni
a
valle
,
in
fondo
alle
rotaie
della
funicolare
,
si
chiamano
la
«
Baia
del
Re
»
.
Forse
,
fra
un
paio
di
secoli
,
i
nomi
saranno
rimasti
e
faranno
parte
incolore
della
geografia
del
posto
.
Qualcuno
si
informerà
di
quale
Re
si
tratti
e
di
quale
Tenda
senza
trovar
risposta
,
e
un
dotto
locale
scriverà
una
breve
monografia
per
dimostrare
,
al
contrario
di
quanto
sostengono
altri
studiosi
professori
,
che
il
Re
in
questione
era
Beovulfo
il
Rosso
,
e
non
Agilulfo
Ottavo
.
Sulla
porta
del
rifugio
è
un
vecchio
Cristo
in
croce
,
di
stagno
,
trovato
da
uno
dei
toscani
in
una
baita
più
in
alto
.
Dentro
s
'
indovinano
,
nella
penombra
,
delle
figure
d
'
uomini
attorno
a
una
stufa
accesa
.
Le
pareti
sono
annerite
dal
fumo
.
Attorno
al
muro
sono
appesi
pentole
di
rame
,
collane
di
agli
,
fiaschi
.
Gli
uomini
schizzano
in
piedi
,
timidi
e
silenziosi
,
all
'
arrivo
del
superiore
e
del
forestiero
.
Sono
tutti
giovanotti
.
«
Chi
fa
da
mangiare
qui
?
»
La
domanda
rompe
il
silenzio
sorridente
e
cerimonioso
.
«
Tutti
noi
»
risponde
uno
,
dopo
una
pausa
,
scrollando
le
spalle
,
come
se
avesse
trovato
l
'
interrogazione
un
po
'
stupida
.
Il
silenzio
si
ristabilisce
,
solenne
.
Diamo
un
'
occhiata
,
nella
stanza
vicina
,
alla
fila
delle
brande
militari
allineate
come
un
piccolo
dormitorio
.
Altri
dormono
di
sopra
.
Una
baracca
di
retrovia
,
durante
la
guerra
,
doveva
essere
così
.
Gli
uomini
guardano
fare
,
rispettosi
,
e
tacciono
.
«
Come
va
la
vita
nella
Tenda
Rossa
?
»
La
domanda
ha
un
finto
tono
cordiale
.
«
Bene
.
Un
c
'
è
male
.
»
La
risposta
che
si
attendeva
.
Usciamo
.
Il
direttore
spiega
che
l
'
uomo
che
ha
risposto
è
un
po
'
il
caporione
,
perché
è
stato
a
Fiume
con
D
'
Annunzio
,
e
il
mondo
l
'
ha
girato
più
degli
altri
.
Sono
quasi
tutti
filai
,
o
filisti
(
la
parola
non
è
stata
ancora
acchiappata
nella
rete
di
un
glottologo
e
appuntata
nelle
pagine
di
un
dizionario
con
un
'
etichetta
sotto
)
,
cioè
manovratori
dei
fili
elicoidali
che
segano
il
marmo
.
Altri
sono
minatori
,
maestri
nell
'
arte
misteriosa
di
dosare
esplosivi
,
che
in
una
cava
è
difficilissima
,
per
il
numero
di
cose
diverse
che
deve
fare
la
polvere
:
staccare
un
masso
,
senza
romperlo
,
o
aprire
una
galleria
,
senza
incrinare
la
montagna
.
Il
quinto
mezzo
di
locomozione
della
giornata
ci
attende
.
È
una
teleferica
,
costruita
per
il
trasporto
del
marmo
,
che
ci
farà
passare
la
fenditura
sopra
il
torrente
.
Ci
sediamo
nel
vagoncino
su
una
tavola
che
due
operai
hanno
agganciato
al
bordo
.
È
la
panca
delle
grandi
occasioni
,
spiega
l
'
ingegnere
,
per
i
visitatori
che
vengono
dal
lontano
mondo
delle
città
.
I
cavi
sopra
di
noi
si
tendono
e
rimaniamo
sospesi
e
ballonzolanti
nel
vuoto
candido
.
Si
sale
lentamente
,
con
un
movimento
ovattato
,
come
un
aeroplano
silenzioso
au
ralenti
.
Attraversiamo
la
nebbia
da
cui
spuntano
sotto
di
noi
le
guglie
degli
abeti
incrostate
di
ghiaccio
.
Passiamo
rasente
a
una
parete
di
roccia
a
picco
,
con
festoni
di
ghiaccioli
azzurrognoli
.
Allungando
una
mano
si
potrebbe
spaccarne
uno
.
Il
viaggio
aereo
dura
pochi
minuti
.
Il
vagone
si
ferma
,
e
scende
ronzando
lungo
i
fili
fino
a
toccare
per
terra
.
Saltiamo
sulla
neve
,
all
'
entrata
della
cava
.
Siamo
a
un
'
altezza
da
rifugio
,
da
alpinisti
,
da
pipa
,
da
corda
,
da
guida
e
da
borraccia
di
grappa
.
Qui
,
invece
,
si
lavora
.
La
cava
è
un
'
immensa
caverna
,
che
si
ficca
nella
montagna
,
da
cui
esce
in
un
rombo
confuso
il
suono
di
motori
,
di
martelli
pneumatici
,
di
ruote
.
Si
sente
,
nel
ventre
del
monte
,
il
boato
di
una
mina
,
seguito
subito
da
altri
,
come
un
tiro
di
artiglieria
comandato
da
un
ufficiale
impetuoso
.
Sul
fondo
della
caverna
lavorano
gli
uomini
,
nella
penombra
,
attorno
ai
massi
di
marmo
bianco
,
informe
,
impolverato
.
Un
blocco
è
legato
a
un
cavo
d
'
acciaio
teso
da
un
argano
lontano
,
e
sta
per
rovesciarsi
in
avanti
.
Un
altro
è
formicolante
di
operai
che
lo
tagliano
a
pezzi
più
piccoli
.
Le
pareti
sono
perpendicolari
,
altissime
,
lisce
,
con
le
forme
dei
blocchi
che
sono
stati
staccati
.
Rasente
al
soffitto
,
a
una
trentina
di
metri
sopra
di
noi
,
corre
un
ballatoio
di
tavole
sconnesse
.
Conduce
ai
locali
dei
compressori
elettrici
,
che
sono
scavati
nella
roccia
,
in
alto
.
Di
fianco
alla
caverna
c
'
è
una
fenditura
,
larga
un
metro
e
mezzo
,
alta
una
quindicina
di
metri
,
che
si
ficca
nel
ventre
della
montagna
.
Le
pareti
sono
un
taglio
solo
,
di
marmo
.
Nel
fondo
,
alla
luce
di
un
riflettore
elettrico
,
inginocchiato
su
un
mucchio
di
rottami
biancastri
,
un
operaio
tormenta
la
roccia
con
un
martello
pneumatico
che
sparacchia
sollevando
degli
sbuffi
di
polvere
candida
.
L
'
uomo
ha
il
viso
infarinato
,
quando
si
alza
;
la
polvere
gli
ha
asciugato
i
capelli
e
gli
ha
disegnato
le
rughe
.
Sta
scavando
una
galleria
ad
angolo
retto
con
il
corridoio
dal
quale
siamo
entrati
,
spiega
l
'
ingegnere
,
per
far
passare
il
filo
elicoidale
,
ed
isolare
un
masso
di
10.000
tonnellate
.
Il
lavoro
è
incominciato
nell
'
agosto
del
1931
,
quando
si
è
tagliato
il
grande
corridoio
.
Il
marmo
è
stato
isolato
,
a
forma
di
cuneo
.
Poi
una
carica
di
polvere
nera
,
dietro
,
ha
fatto
scivolare
il
monolito
di
1500
metri
cubi
fin
nel
centro
della
galleria
,
dove
è
stato
tagliato
a
pezzetti
uniformi
,
caricato
sulla
teleferica
,
e
portato
alla
ferrovia
.
Le
battaglie
contro
la
montagna
sono
lente
.
Si
lavora
per
la
produzione
futura
,
si
stabiliscono
piani
che
verranno
portati
a
termine
dai
nostri
nipoti
.
L
'
operaio
continua
il
lavoro
che
dura
da
due
anni
.
Il
corridoio
crescerà
,
fino
a
chiudere
il
masso
da
ogni
parte
.
Poi
un
'
altra
carica
di
polvere
nera
farà
scivolare
un
blocco
di
10.000
metri
cubi
fin
nel
centro
della
galleria
,
dove
gli
uomini
gli
si
getteranno
addosso
,
per
sminuzzarlo
in
tanti
piccoli
blocchi
regolari
.
La
cava
ha
l
'
aspetto
di
una
miniera
,
con
queste
gallerie
oscure
che
si
addentrano
nel
ventre
del
monte
,
queste
luci
che
illuminano
le
figure
degli
uomini
al
lavoro
.
Due
operai
,
in
piedi
su
un
masso
addossato
alla
parete
,
ficcano
nell
'
interstizio
tra
il
blocco
e
la
montagna
dei
cunei
di
metallo
,
e
vi
battono
la
mazza
pesante
,
insieme
,
dandosi
la
voce
.
Dondolano
il
martello
tra
le
gambe
aperte
,
lo
rialzano
sopra
una
spalla
,
e
,
abbandonandosi
con
tutto
il
corpo
,
lo
abbattono
di
schianto
sulla
testa
del
cuneo
,
che
entra
di
qualche
centimetro
.
Da
tutte
le
parti
è
un
rimbombare
di
martellate
,
di
voci
.
Sulle
nostre
teste
passano
i
fili
metallici
,
che
ronzano
.
In
una
galleria
lontana
esplodono
ancora
mine
,
con
un
boato
che
scuote
l
'
aria
e
che
fa
vibrare
la
stoffa
dei
pantaloni
contro
la
gamba
,
sventolati
da
una
raffica
di
vento
lievissima
e
secca
.
Giriamo
per
i
budelli
oscuri
.
Arriviamo
in
ampii
saloni
,
dalle
pareti
sbocconcellate
dalle
mine
,
o
segate
,
lisce
e
perpendicolari
,
dal
filo
.
C
'
è
un
lieve
odore
di
acetilene
,
di
polvere
da
sparo
,
nell
'
aria
.
La
bocca
si
asciuga
,
respirando
la
polvere
bianca
,
impalpabile
.
Le
ombre
degli
operai
,
proiettate
dalle
lampade
,
s
'
ingigantiscono
contro
le
immani
muraglie
,
ripetendo
,
con
esasperazione
grottesca
,
il
piccolo
gesto
dell
'
uomo
.
Carrelli
carichi
di
detriti
escono
spinti
a
braccia
dai
lavoratori
imbiancati
.
Passa
un
vecchietto
che
tiene
appeso
all
'
indice
un
pacchetto
avvolto
di
carta
nera
,
come
si
porta
una
scatola
di
dolciumi
.
È
l
'
esplosivo
.
Dovrebbe
,
secondo
il
regolamento
,
passare
gridando
:
«
Io
porto
la
dinamite
!
Io
porto
la
dinamite
!
»
e
al
suo
passare
gli
operai
si
dovrebbero
gettare
dietro
un
riparo
,
nascondersi
in
una
trincea
,
buttarsi
in
un
buco
.
Non
succede
niente
.
L
'
uomo
passa
,
in
silenzio
.
Gli
altri
continuano
a
lavorare
.
È
un
peccato
.
Troviamo
la
via
dell
'
uscita
,
per
oscuri
corridoi
,
per
scalette
improvvisate
di
tronchi
di
abete
,
per
ballatoi
di
tavole
sfilacciate
dai
chiodi
delle
scarpe
.
L
'
imbocco
della
galleria
è
un
immenso
arco
di
luce
pallida
.
Contro
il
nero
delle
baracche
che
ingombrano
l
'
apertura
,
si
vede
la
neve
bianca
che
cade
.
Ha
ripreso
a
nevicare
forte
.
StampaQuotidiana ,
In
primavera
tutti
i
buoni
organetti
vanno
a
Novara
.
Vanno
a
farsi
rinnovare
le
viscere
come
i
grossi
uomini
d
'
affari
vanno
nella
stessa
stagione
a
far
la
cura
delle
acque
.
Il
repertorio
di
dieci
saltellanti
pezzi
,
che
hanno
divertito
la
folla
domenicale
in
maniche
di
camicia
,
i
giocatori
di
bocce
e
gli
innamorati
che
si
tengono
la
mano
sotto
il
pergolato
di
mille
osterie
di
campagna
,
va
cambiato
,
e
dieci
nuove
canzonette
prendono
il
loro
posto
,
segnate
con
dei
chiodini
sul
grosso
cilindro
di
legno
nel
ventre
dello
strumento
.
Nella
cornicetta
circolare
sul
fianco
dell
'
organetto
s
'
infila
un
nuovo
menu
musicale
,
scritto
in
due
inchiostri
,
in
tondo
.
Le
lettere
dei
primi
numeri
e
quelle
degli
ultimi
sono
serrate
,
per
la
mancanza
di
spazio
,
mentre
quelle
di
mezzo
si
stirano
per
tutta
la
riga
.
Il
lavoro
di
rinnovamento
delle
anime
degli
organetti
,
che
occupa
ora
i
tre
mesi
primaverili
,
un
tempo
invece
,
quando
il
pubblico
non
era
così
difficile
,
si
faceva
una
volta
ogni
tanti
anni
.
Sul
cilindro
stavano
piantati
dei
buoni
valzer
,
delle
mazurke
,
delle
polke
che
non
stancavano
mai
.
Ma
oggi
si
vuole
la
canzonetta
di
moda
,
il
nuovo
ballo
,
e
ci
si
annoia
subito
di
tutto
.
È
un
pubblico
eternamente
insoddisfatto
,
sempre
alla
ricerca
di
brividi
nuovi
.
E
,
una
volta
all
'
anno
,
il
repertorio
va
cambiato
interamente
.
In
un
grande
magazzino
,
oltre
i
binari
della
ferrovia
,
a
Novara
,
in
questi
giorni
,
si
lavora
a
tornire
i
cilindri
di
legno
,
a
coprirli
di
carta
bianca
,
a
segnare
le
piccole
tacche
dove
andranno
i
chiodini
,
e
a
piantare
i
chiodi
tutti
di
un
'
altezza
uniforme
.
Il
maestro
è
seduto
davanti
a
una
specie
di
piano
sventrato
che
mostra
la
sua
anima
di
arpa
vestita
di
legno
nero
.
Tutt
'
intorno
nel
magazzino
sono
cadaveri
di
strumenti
scoperchiati
,
odore
di
colla
,
e
legname
nuovo
,
bianco
,
di
quel
biancore
indecente
da
nudità
cittadina
.
Il
musicista
suona
velocissimo
una
sinfonia
silenziosa
con
un
dito
solo
toccando
uno
dopo
l
'
altro
i
molti
martelli
di
legno
bianco
.
Con
la
mano
sinistra
gira
lentamente
una
manovella
,
e
s
'
interrompe
ogni
tanto
per
dare
un
'
occhiata
alla
musica
e
per
aggiustarsi
gli
occhiali
sul
naso
.
Ogni
martello
abbassato
segna
una
tacca
sulla
carta
del
cilindro
.
La
distanza
tra
nota
e
nota
viene
dosata
con
dei
mezzi
giri
alla
manovella
che
fa
muovere
il
cilindro
.
Un
operaio
nella
camera
vicina
sta
piantando
le
puntine
;
dove
la
musica
vuole
un
trillo
,
sono
una
vicino
all
'
altra
come
una
serie
di
punti
di
sospensione
...
La
musica
per
organetto
viene
adattata
,
prima
di
essere
trascritta
con
i
chiodi
.
Le
possibilità
dello
strumento
sono
infinite
,
poiché
si
possono
suonare
quante
note
si
vogliono
contemporaneamente
.
Alcune
case
editrici
pubblicano
addirittura
la
partitura
pronta
per
essere
composta
sul
cilindro
di
legno
.
Per
altri
ballabili
,
gli
adattamenti
li
fanno
i
maestri
specializzati
,
all
'
impiego
delle
case
produttrici
di
Novara
,
sapienti
nel
cavare
effetti
dai
tamburelli
,
dalle
nacchere
e
dalla
mandola
introdotte
negli
strumenti
migliori
.
Il
periodo
primaverile
è
forse
quello
che
tiene
più
occupate
le
ditte
di
piani
automatici
a
cilindro
(
è
il
loro
nome
tecnico
:
chi
li
chiama
organetti
dimostra
una
indifferente
ignoranza
dell
'
uso
esatto
delle
parole
)
.
Perché
l
'
industria
si
trova
immobilizzata
da
diverso
tempo
e
sostiene
una
battaglia
disperata
contro
dei
nemici
fortissimi
:
il
grammofono
e
la
radio
.
Il
lavoro
si
è
ridotto
a
qualche
riparazione
e
al
rinnovamento
dei
repertori
.
Strumenti
nuovi
non
se
ne
fanno
quasi
più
.
Abbiamo
condotto
una
piccola
inchiesta
tra
i
maggiori
produttori
per
chiarire
il
loro
punto
di
vista
di
fronte
alla
formidabile
lotta
che
ha
per
campo
tutte
le
trattorie
con
giardinetto
,
le
«
balere
»
pubbliche
,
i
caffè
,
le
osterie
e
perfino
la
pubblica
strada
,
dove
il
girovago
che
vagava
con
un
pianino
montato
su
un
carro
va
ora
con
un
grammofono
a
valigetta
,
una
sedia
da
pittore
e
quattro
dischi
afoni
.
Il
primo
fabbricante
l
'
abbiamo
trovato
in
una
casetta
nascosta
tra
le
muraglie
anonime
di
magazzini
di
legname
.
Ci
ha
mostrato
,
nel
suo
laboratorio
,
alcuni
piani
nei
diversi
stadi
di
maturazione
,
piani
di
quelli
veri
,
da
suonarsi
con
dieci
dita
.
Si
è
dedicato
a
questa
produzione
ha
spiegato
come
ripiego
,
per
tentare
una
strada
nuova
,
poiché
capiva
che
non
andava
più
avanti
nel
vecchio
articolo
.
Poi
ci
ha
mostrato
il
magazzino
,
pieno
di
piani
a
cilindro
polverosi
,
che
nessuno
vuole
più
.
Pianini
neri
,
con
sul
davanti
una
bella
veduta
di
montagne
,
abeti
e
cascatella
d
'
acqua
in
litografia
.
Piani
grossi
,
con
tamburello
,
triangolo
,
mandola
e
nacchere
,
istoriati
dalle
evoluzioni
rigidamente
simmetriche
di
liane
liberty
.
Lavorano
in
due
:
lui
e
un
suo
lungo
figliolone
,
le
cui
gambe
sembrano
cresciute
subitamente
come
quelle
di
un
treppiede
di
macchina
fotografica
.
«
Le
ragioni
per
cui
l
'
industria
decade
sono
due
:
il
gusto
del
pubblico
,
che
va
cambiando
troppo
rapidamente
perché
gli
si
possa
tener
dietro
,
e
i
diritti
d
'
autore
da
pagare
,
che
,
essendo
rimasti
fissi
,
sono
diventati
fuori
proporzione
al
prezzo
dello
strumento
,
calato
in
questi
anni
.
Immagini
che
in
un
anno
l
'
affittuario
di
un
piano
automatico
paga
di
diritti
più
del
costo
dello
strumento
.
È
troppo
.
»
Il
secondo
fabbricante
ci
ha
aperto
la
porta
tirando
una
funicella
dalla
cantina
e
ci
ha
chiesto
attraverso
un
buco
nel
pavimento
che
cosa
desideravamo
.
È
salito
per
illustrarci
alcuni
strumenti
che
teneva
di
sopra
,
e
un
grande
«
gioco
del
calcio
brevettato
»
,
che
ha
mandato
alla
Fiera
di
Milano
.
I
ventidue
piccoli
pupazzetti
che
rappresentano
i
giocatori
hanno
una
gamba
mobile
e
i
calci
si
dirigono
tirando
delle
maniglie
.
Il
campo
è
fatto
in
modo
che
la
palla
va
sempre
a
finire
davanti
allo
scarpone
di
un
giocatore
.
Abbiamo
fatto
una
partita
col
proprietario
,
disputatissima
.
Questo
è
uno
dei
suoi
tentativi
per
impiegare
l
'
ingegnosità
appresa
nel
fabbricare
piani
automatici
in
qualcosa
che
sia
più
vicino
al
pubblico
di
oggi
.
Ma
egli
crede
fermamente
in
una
ripresa
della
sua
arte
.
Appena
potrà
,
si
metterà
a
studiare
uno
strumento
moderno
.
«
Magari
mettendoci
un
sassofono
suonato
da
un
mantice
»
spiega
con
entusiasmo
.
«
Il
periodo
più
fortunato
,
per
me
,
»
ha
ricordato
«
è
stato
subito
dopo
la
guerra
.
Gli
strumenti
andavano
a
ruba
.
Ma
nel
1925
abbiamo
cominciato
a
sentirci
vicini
alla
fine
.
Oggi
non
si
fa
quasi
più
nulla
.
Per
facilitare
il
rinnovamento
dei
repertori
ho
studiato
un
tipo
di
piano
intercambiabile
fatto
in
modo
che
qualsiasi
cilindro
della
mia
ditta
vi
si
possa
incastrare
e
suonare
.
Una
volta
era
necessario
spedire
il
piano
completo
alla
fabbrica
per
far
incidere
nuove
musiche
.
Oggi
basta
inviare
il
cilindro
.
Li
abbiamo
costruiti
anche
un
poco
più
leggeri
,
ma
pesano
sempre
più
di
una
ventina
di
chili
.
In
confronto
al
disco
del
grammofono
,
è
enorme
.
»
«
I
suoi
ultimi
lavori
?
»
«
Sto
facendo
un
piano
grosso
per
Siracusa
.
Stile
Settecento
,
con
intagli
e
dorature
.
Dentro
avrà
tutto
quello
che
c
'
è
di
più
moderno
.
»
L
'
intervista
è
stata
interrotta
dall
'
arrivo
di
un
girovago
baffuto
,
il
quale
si
è
presentato
sulla
porta
con
la
frusta
in
mano
per
spiegare
che
il
suo
piano
non
andava
.
Lo
strumento
era
fuori
,
sul
carretto
,
a
cui
era
attaccato
un
cavalluccio
melanconico
dalle
gambe
storte
.
Si
erano
rallentate
le
corde
della
mandola
e
non
aveva
potuto
far
niente
il
giorno
prima
a
Legnano
.
Sfortuna
.
C
'
erano
altri
sei
girovaghi
arrivati
per
la
fiera
ed
hanno
guadagnato
tutti
abbastanza
bene
.
Lui
era
stato
obbligato
ad
andarsene
.
Sorridente
,
il
suonatore
(
che
veniva
da
Frosinone
,
come
quasi
tutti
i
proprietari
di
piani
automatici
peripatetici
)
ci
ha
mostrato
il
suo
strumento
.
Di
legno
lucido
,
nuovo
,
portava
davanti
,
al
posto
del
panorama
alpestre
,
una
vetrinetta
con
una
scena
di
campo
di
football
e
due
giocatori
di
legno
che
muovevano
una
gamba
lanciandosi
a
suon
di
musica
una
palla
di
gomma
infissa
su
un
filo
di
ferro
che
dondolava
come
un
pendolo
rovesciato
.
Il
figlio
del
girovago
,
Michele
,
un
bambinetto
dagli
occhi
azzurri
e
la
pancetta
spinta
in
avanti
,
guardava
silenzioso
i
due
pupazzi
,
con
ammirazione
.
La
terza
visita
è
stata
dedicata
alla
più
antica
delle
fabbriche
e
alla
più
famosa
.
Il
nome
del
proprietario
si
leggeva
scritto
tra
enormi
viole
del
pensiero
e
margherite
sulla
tela
che
nascondeva
la
schiena
di
piani
automatici
in
ogni
parte
del
mondo
.
La
grande
casa
,
che
l
'
industria
,
nel
suo
periodo
d
'
oro
,
occupava
completamente
,
è
stata
costruita
dal
defunto
proprietario
.
Stile
medioevale
di
terracotta
,
tra
La
partita
a
scacchi
e
il
Trovatore
,
con
piccole
torri
a
poivrière
,
che
sboccano
dagli
angoli
.
Nei
fregi
,
la
lira
e
la
tromba
s
'
intrecciano
con
le
foglie
di
palma
e
i
rotoli
di
musica
.
Delle
grandi
donne
sono
affrescate
lungo
il
muro
,
con
in
mano
compassi
,
mappamondi
,
pennelli
,
tavolozze
,
rotoli
di
carta
e
lire
.
Potrebbero
essere
le
nove
muse
se
non
fossero
soltanto
cinque
.
Saranno
cinque
muse
scelte
.
L
'
attività
si
è
ridotta
a
un
grande
stanzone
al
primo
piano
.
Là
dove
una
volta
lavoravano
quaranta
operai
non
ci
sono
,
più
che
i
tre
soci
proprietari
:
un
giovanotto
,
che
dirige
l
'
azienda
,
il
più
vecchio
operaio
che
ha
lavorato
per
trentotto
anni
allo
stesso
posto
,
e
un
altro
veterano
.
Lo
stanzone
ha
la
volta
bassa
,
nera
di
fumo
.
In
fondo
,
un
camino
annerito
,
con
un
pentolino
di
colla
fredda
.
Accatastate
contro
il
muro
,
una
decina
di
imposte
da
finestra
,
nuove
,
non
ancora
verniciate
.
Il
più
vecchio
,
con
un
ciuffo
di
capelli
grigi
e
un
paio
d
'
occhiali
a
stanghetta
d
'
acciaio
,
ci
racconta
i
fasti
della
ditta
.