StampaQuotidiana ,
Disse
bene
Fellini
,
giovedì
sera
,
nell
'
intervista
a
tiro
incrociato
:
Zampanò
è
lui
,
ma
anche
Gelsomina
è
lui
,
e
persino
il
pesciaccio
brutto
che
alla
fine
della
dolce
vita
i
bagordanti
trovano
sulla
battigia
.
Del
pesciaccio
,
mentre
parlava
,
aveva
anche
l
'
occhio
,
ottuso
all
'
apparenza
,
in
realtà
sornione
e
maligno
:
una
via
di
mezzo
fra
il
diavolo
e
il
gran
inquisitore
.
Il
sacro
mostro
,
lo
chiamarono
infatti
giovedì
sera
.
«
Può
darsi
che
io
sia
decadente
,
ma
allora
,
non
è
forse
decadente
tutta
la
società
che
mi
esprime
?
»
Così
siamo
sistemati
,
noialtri
.
Lui
è
a
posto
;
come
a
posto
è
Marcello
Mastroianni
,
che
continuava
a
somigliare
al
barone
Fefé
Cefalù
,
coi
capelli
lunghi
,
untuosi
,
e
le
palpebre
di
piombo
.
C
'
era
Daniela
Rocca
e
per
un
momento
rifece
la
parte
della
baronessa
dall
'
animo
obeso
.
A
posto
anche
lei
.
Ma
Valeria
Ciangottini
?
Nel
film
,
come
ricordate
,
l
'
avevano
messa
a
combattere
il
demonio
,
a
fare
l
'
angioletto
,
come
quelli
-
lo
diceva
il
personaggio
Marcello
-
che
si
vedono
nelle
vetrate
delle
chiese
,
dalle
parti
sue
.
In
realtà
,
la
Valeria
era
una
ragazzina
umbra
e
parlava
come
tale
,
con
la
cadenza
morbida
che
si
sente
nella
alta
val
di
Tevere
.
Giovedì
sera
,
invece
...
Sedici
anni
e
mezzo
,
disse
,
e
intenzionata
a
«
fare
del
cinema
»
.
La
voce
era
una
caricatura
di
birignao
,
con
le
vocali
sbattute
contro
il
velo
pendulo
e
un
sospetto
di
adenoidi
.
Studia
lingue
al
liceo
internazionale
,
e
i
genitori
ci
tengono
,
che
impari
e
faccia
la
brava
scolara
.
Lei
li
accontenta
,
poverini
,
ma
continua
ad
«
amare
»
il
cinema
.
A
sedici
anni
e
mezzo
già
parla
così
.
Datele
tempo
,
e
fra
dieci
anni
dirà
di
peggio
.
Dirà
che
vuole
impegnarsi
di
più
,
poter
scegliere
e
vivere
personaggi
che
ha
dentro
di
sé
.
Dirà
di
aver
studiato
«
con
furore
»
e
di
aver
letto
molto
.
Lamenterà
il
numero
troppo
scarso
dei
film
«
impegnati
»
che
si
fanno
in
Italia
.
Dirà
che
il
suo
vero
personaggio
è
un
personaggio
attivo
«
inserito
»
nel
mondo
moderno
,
elle
abbia
«
in
sé
»
la
rivolta
ma
non
in
senso
«
gratuito
»
.
Avrà
ogni
anno
offerte
assai
«
interessanti
»
.
Concluderà
:
«
Ho
sempre
pensato
di
non
sapermi
spiegare
,
anche
se
a
volte
son
io
che
non
voglio
farmi
capire
»
.
E
naturalmente
troverà
subito
un
regista
disposto
a
elevare
a
canone
poetico
queste
dichiarazioni
di
ineffabilità
.
E
faranno
un
film
apposta
per
mostrarci
il
dramma
d
'
una
giovane
donna
che
ha
tante
cose
da
dire
ma
non
le
dice
.
E
ci
saranno
critici
pronti
a
garantirci
la
profondità
del
sottaciuto
.
Ne
parlerà
la
stampa
specializzata
,
specialmente
in
Francia
.
E
Federico
Fellini
,
che
l
'
ha
tirata
giù
dalle
vetrate
della
cattedrale
starà
a
guardarla
con
l
'
occhio
del
pesciaccio
,
ripetendoci
,
intanto
,
che
se
è
decadente
lui
,
la
colpa
è
di
noialtri
.
Ma
tu
,
Valeria
,
dove
vai
?
Vuoi
proprio
finire
in
bocca
al
Leviatano
?
StampaQuotidiana ,
Erano
troppo
distratti
dal
bailamme
sanremese
,
coi
suoi
quarantacinque
canterini
,
così
nessuno
ha
parlato
del
ritorno
(
in
Alta
fedeltà
)
del
nostro
Natalino
.
Al
secolo
Codognotto
Natale
,
classe
1913
,
genovese
.
Me
lo
fece
scoprire
,
nell
'
autunno
del
quaranta
,
Carlo
Del
Canto
,
studente
di
veterinaria
e
,
se
non
ricordo
male
,
figlio
di
un
grosso
vinaio
di
Ponsacco
.
Faceva
avanspettacolo
in
un
cinema
di
corso
Italia
a
Pisa
,
in
coppia
con
una
bella
ragazza
,
chiamata
Maria
Jotti
.
L
'
orchestrina
la
dirigeva
un
giovanotto
lungo
e
magrissimo
,
coi
baffi
neri
,
di
nome
Gorni
Kramer
.
«
Dev
'
essere
malato
»
,
mi
sussurrava
Carlo
Del
Canto
.
A
quei
tempi
la
magrezza
non
era
mai
segno
di
buona
forma
fisica
,
al
contrario
:
infatti
era
cominciato
il
razionamento
.
Con
cinque
lire
ogni
settimana
si
andava
a
vedere
film
e
avanspetaccolo
.
Ricordo
che
c
'
erano
due
comici
di
stile
quasi
identico
,
due
piccoletti
agili
e
un
poco
astratti
:
sì
chiamavano
Fredo
Pistoni
e
Renato
Rascel
.
Hanno
resistito
tutti
e
due
,
con
diversa
fortuna
:
il
primo
lo
rivediamo
ogni
tanto
allo
Smeraldo
,
il
secondo
al
Lirico
.
Io
ero
per
Fredo
Pistoni
.
Senza
preoccuparsi
molto
della
guerra
,
i
giovani
di
allora
stavan
dietro
alle
canzonette
,
proprio
come
i
giovani
d
'
oggi
.
Tramontava
una
scuola
canora
,
ne
sorgeva
un
'
altra
.
Alberto
Rabagliati
era
una
stella
di
prima
grandezza
,
da
Teatro
Verdi
;
alla
radio
si
andava
imponendo
un
ragazzo
torinese
,
Ernesto
Bonino
,
amatissimo
dalle
giovani
italiane
(
quelle
in
camicetta
bianca
e
gonna
nera
,
voglio
dire
,
quelle
che
avevano
fatto
la
pubertà
proprio
mentre
riappariva
l
'
impero
sui
colli
fatali
)
;
i
ben
pensanti
preferivano
il
cesellatore
ferrarese
Oscar
Carboni
,
i
cuori
solitari
andavano
in
estasi
per
il
baritono
Giovanni
Vallarino
,
che
a
dir
la
verità
,
valeva
per
lo
meno
quanto
Bing
Crosby
.
Noialtri
della
gioventù
bruciata
,
tutti
per
Natalino
Otto
:
siamo
stati
noi
a
scoprirlo
e
a
lanciarlo
.
Già
suonatore
di
batteria
nelle
orchestrino
di
bordo
,
piccolo
e
composto
,
Natalino
aveva
il
ritmo
dentro
:
non
nei
piedi
,
ma
nella
testa
.
Senza
muovere
un
dito
né
un
capello
,
con
appena
un
aggrottare
di
sopracciglia
nei
passaggi
più
ardui
,
Natalino
era
capace
di
fratturare
i
tempi
di
una
canzone
e
di
ricomporteli
secondo
un
suo
estro
rigoroso
.
Sembrava
sempre
svagato
,
distratto
,
e
invece
era
preciso
come
un
metronomo
.
Lo
sentivi
partire
in
un
«
glissando
»
da
prima
tromba
,
ma
potevi
star
certo
che
alla
fine
del
suo
assolo
sarebbe
sbarcato
esattissimo
sulla
nota
giusta
del
ritornello
.
L
'
altra
sera
rifece
Polvere
di
stelle
,
identica
come
nell
'
autunno
del
quaranta
,
quando
la
sala
sembrava
venir
giù
dagli
applausi
.
E
anche
l
'
altra
sera
ti
veniva
voglia
di
battergli
le
mani
o
almeno
di
dirgli
:
si
faccia
rivedere
,
signor
Codognotto
,
perché
è
sempre
il
più
bravo
.
StampaPeriodica ,
Eravamo
tutti
contenti
ed
orgogliosi
,
quando
Mino
fu
chiamato
a
Milano
:
ed
in
verità
fa
sempre
piacere
che
per
un
lavoro
importante
,
com
'
era
quello
,
avessero
scelto
proprio
uno
di
noi
,
della
provincia
,
la
provincia
che
tante
energie
ha
dato
alla
città
,
alla
nazione
,
senza
nulla
ricevere
o
chiedere
in
cambio
.
Così
,
appunto
,
diceva
Mino
,
ogni
volta
che
la
discussione
(
e
capitava
spesso
)
cadeva
su
questo
punto
.
Poi
ci
dispiacque
,
perché
il
vuoto
era
incolmabile
.
Ora
chi
avrebbe
ricevuto
gli
intellettuali
,
quelli
di
Firenze
o
di
Roma
,
quando
venivano
per
una
conferenza
,
per
esempio
?
Chi
ci
avrebbe
organizzato
,
in
poche
parole
,
la
vita
culturale
?
Mino
era
stato
un
personaggio
,
in
città
,
fin
dagli
anni
del
ginnasio
;
al
liceo
addirittura
riuscì
a
fondare
una
rivista
,
con
un
bel
nome
etrusco
sulla
copertina
,
che
faceva
un
bell
'
effetto
.
Una
volta
,
ricordo
,
non
avevo
i
soldi
per
comprare
il
numero
due
,
della
rivista
.
Andai
alla
redazione
,
che
era
in
casa
di
un
certo
Bianchi
,
chiesi
se
me
la
prestavano
,
ma
loro
dissero
che
non
avevano
tempo
da
perdere
con
i
ragazzi
(
avevano
tutti
tre
o
quattro
anni
più
di
me
)
e
che
me
ne
andassi
.
Mino
,
invece
,
il
giorno
dopo
mi
fermò
e
mi
disse
:
«
Scusa
,
per
ieri
sera
,
sai
,
e
passa
da
me
,
verso
le
quattro
.
Vedremo
se
si
può
fare
qualcosa
»
.
Così
tutti
gli
volevano
bene
,
anche
perché
era
serio
,
opportuno
,
attento
a
quel
che
diceva
;
mai
apriva
bocca
a
caso
.
Il
sindaco
lo
stimava
,
e
si
faceva
scrivere
da
lui
i
manifesti
di
maggior
impegno
,
quelli
per
la
festa
degli
alberi
,
per
esempio
.
Il
federale
anche
,
sebbene
non
fosse
ignoto
a
nessuno
l
'
antifascismo
dottrinario
di
Mino
.
«
È
un
bravo
ragazzo
»
,
diceva
il
federale
,
«
e
poi
,
culturalmente
,
è
un
valore
.
Bisogna
lasciarli
un
po
'
stare
questi
intellettuali
.
»
Così
era
ovvio
che
,
morendo
il
vecchio
prete
bibliotecario
,
il
posto
,
una
volta
laureato
,
toccava
a
lui
;
ed
anche
qui
Mino
si
distinse
,
le
riviste
specializzate
gli
chiedevano
la
collaborazione
,
ai
congressi
non
mancava
mai
e
prendeva
ogni
volta
la
parola
,
preciso
,
puntuale
,
breve
.
Ed
intanto
preparava
il
saggio
.
E
poi
partì
per
Milano
.
Ed
era
naturale
:
gente
come
lui
non
può
restare
qui
,
e
poi
lassù
si
sarebbe
fatto
una
posizione
,
certamente
.
«
Faglielo
vedere
,
tu
»
,
gli
dicemmo
alla
stazione
,
«
che
gente
nasce
in
provincia
.
»
Ogni
tanto
vedo
Mino
,
ed
ormai
son
passati
cinque
o
sei
anni
da
quando
se
ne
andò
.
Ogni
volta
lo
trovo
più
pingue
,
stempiato
,
ma
in
fondo
è
sempre
lo
stesso
.
Lo
incontro
,
di
solito
,
negli
atri
degli
alberghi
dove
si
tengono
conferenze
culturali
,
dibattiti
,
convegni
,
premi
letterari
.
Mi
riconosce
subito
,
e
mi
viene
incontro
,
sorridente
,
con
la
mano
tesa
:
«
Ciao
,
caro
»
,
mi
dice
sempre
,
«
come
va
?
Cosa
fai
di
bello
?
E
laggiù
da
voi
cosa
fate
?
»
.
Io
gli
spiego
tutto
per
filo
e
per
segno
,
e
lui
mi
sta
ad
ascoltare
,
assentendo
col
capo
.
E
quando
mi
lascia
mi
stringe
ancora
la
mano
:
«
Ciao
,
caro
,
scusami
ma
ho
da
fare
.
Ci
vediamo
dopo
.
E
scrivimi
qualche
volta
»
.
Io
gli
scrivo
,
infatti
,
lunghe
lettere
dove
gli
racconto
quel
che
succede
in
provincia
,
e
gli
chiedo
consigli
,
per
una
iniziativa
,
o
gli
propongo
di
venire
a
fare
qualche
conferenza
,
su
Graham
Greene
,
per
esempio
,
o
su
Moravia
.
E
lui
risponde
sempre
.
Scusandosi
perché
è
tanto
occupato
,
ha
da
fare
.
Prepara
il
saggio
.
Di
lui
sento
parlar
bene
da
tutti
:
«
È
un
giovane
critico
su
cui
possiamo
contare
.
Prenderà
il
posto
di
Pancrazi
»
.
L
'
ho
ritrovato
quest
'
estate
in
un
albergo
balneare
,
dove
assegnavano
un
premio
:
era
nella
giuria
.
Mi
venne
incontro
lui
,
anche
questa
volta
,
sorridente
e
con
la
mano
tesa
:
«
Ciao
,
caro
,
come
va
?
Tua
moglie
?
Avete
bambini
?
E
cosa
fate
,
laggiù
da
voi
?
»
.
Io
gli
rispondevo
puntualmente
:
sto
bene
,
anche
lei
sta
bene
,
sì
ne
abbiamo
uno
di
cinque
anni
.
E
laggiù
,
si
sa
,
la
solita
vita
,
la
provincia
;
almeno
fosse
tornato
lui
,
qualche
volta
,
a
farci
una
bella
conferenza
su
Moravia
o
su
Graham
Greene
.
«
Eh
,
caro
,
cosa
vuoi
farci
,
gli
impegni
,
il
lavoro
.
Anzi
,
scusami
,
ho
da
fare
,
ci
vediamo
dopo
»
.
Rimasi
lì
tre
giorni
,
e
lo
vedevo
sempre
affaccendato
per
l
'
atrio
dell
'
albergo
,
guardandosi
attorno
,
sorridente
.
Prima
di
partire
mi
chiamò
:
era
con
Diego
V
.
«
Permetti
,
Diego
»
disse
,
«
ti
presento
questo
giovane
,
un
bravo
giovane
,
un
certo
...
»
e
dopo
una
breve
pausa
disse
il
mio
nome
.
Mi
fece
anche
un
sacco
di
elogi
,
ed
io
un
po
'
,
per
la
verità
,
mi
vergognavo
e
tenevo
gli
occhi
bassi
.
«
È
un
bravo
giovane
,
che
vive
in
provincia
,
ha
fatto
molto
bene
,
laggiù
.
»
E
continuava
gli
elogi
.
«
Eh
,
caro
Diego
,
noi
spesso
abbiamo
il
torto
di
ignorarlo
,
un
grosso
torto
,
ma
in
provincia
si
fanno
tante
cose
belle
,
veramente
»
.
StampaPeriodica ,
È
in
distribuzione
,
in
questi
giorni
,
il
numero
speciale
,
natalizio
,
di
Colloqui
.
E
il
numero
8
:
sin
dallo
scorso
aprile
la
rivista
è
giunta
nelle
case
milanesi
gratuitamente
,
una
bella
rivista
,
con
molte
fotografie
e
scritti
interessanti
.
Piacciono
soprattutto
,
al
pubblico
,
gli
articoli
dedicati
alla
vita
cittadina
,
alla
Milano
di
un
tempo
,
agli
spettacoli
lirici
e
di
prosa
.
Spesso
il
pubblico
si
chiede
anche
chi
invia
gratuitamente
il
fascicolo
ogni
mese
,
ma
non
ha
mai
trovato
una
risposta
definitiva
;
non
riesce
nemmeno
a
spiegarsi
chi
possa
avere
dato
nomi
e
indirizzi
alla
direzione
.
Il
valore
di
mercato
dell
'
omaggio
(
trentaquattro
pagine
a
colori
)
non
dovrebbe
essere
di
molto
inferiore
alle
cinquanta
lire
:
il
suo
pubblico
comprende
almeno
duecento
o
forse
trecentomila
persone
,
praticamente
tutte
le
famiglie
che
usufruiscono
dei
servizi
di
luce
e
gas
della
Edison
.
Gli
indirizzi
,
evidentemente
,
son
quelli
delle
bollette
mensili
,
ed
il
presunto
omaggio
ha
in
realtà
un
costo
invisibile
,
ma
nascosto
proprio
dentro
le
sibilline
colonne
della
bolletta
.
In
realtà
anche
il
lettore
attento
stenta
a
comprendere
la
provenienza
di
Colloqui
.
Il
nome
della
Edison
,
con
l
'
avvertenza
che
la
rivista
non
è
in
vendita
,
compare
solo
,
in
minuti
caratteri
,
in
fondo
al
sommario
,
in
seconda
di
copertina
.
Al
massimo
può
accadere
di
imbattersi
(
e
nel
numero
2
)
in
una
lettera
del
direttore
ad
Antonietta
,
figlia
di
alluvionati
calabresi
,
una
lettera
che
ricorda
le
scoperte
che
la
bambina
ha
fatto
«
allora
»
:
«
la
minestra
di
riso
,
le
magliette
di
lana
azzurra
,
le
docce
(
che
emozione
la
prima
volta
!
)
,
i
libri
delle
favole
,
il
cinematografo
»
.
Dove
,
quando
,
perché
queste
scoperte
?
Una
minuta
didascalia
,
in
fondo
alla
pagina
,
avverte
:
«
La
società
Edison
ha
ospitato
,
nella
sua
colonia
di
Suna
,
200
bambini
provenienti
dalle
zone
alluvionate
della
Calabria
»
.
Una
caratteristica
importante
della
rivista
,
dunque
,
è
l
'
abilità
con
cui
i
finanziatori
evitano
di
mostrarsi
allo
scoperto
,
quasi
per
invitare
il
lettore
a
far
da
sé
la
sua
scoperta
,
a
poco
a
poco
.
Anche
le
connessioni
dirette
con
la
precedente
attività
della
Edison
,
son
molto
larghe
ed
approssimative
.
Un
articolo
sull
'
ufficio
reti
della
Edison
(
è
nel
numero
6
)
,
oltre
a
non
citare
mai
la
società
,
è
condotto
col
tono
della
cronaca
di
varietà
,
vivace
,
con
qualche
civetteria
letteraria
.
Ogni
numero
contiene
del
resto
uno
scritto
sull
'
elettricità
o
sul
gas
,
e
la
pagina
dell
'
arredamento
insiste
spesso
sui
criteri
e
sui
mezzi
migliori
di
illuminare
la
casa
:
luci
indirette
,
paralumi
a
parabola
e
tubi
catodici
.
Ma
tutto
a
piccole
dosi
e
non
più
di
quanto
all
'
argomento
dedichino
i
normali
settimanali
illustrati
,
dei
quali
Colloqui
segue
quasi
costantemente
la
falsariga
.
E
la
ragione
è
chiara
:
il
direttore
,
Enzo
Biagi
,
è
anche
caporedattore
di
Epoca
e
della
maggior
rivista
segue
costantemente
schemi
e
criteri
.
La
caratterizzazione
specifica
è
data
,
semmai
,
da
un
più
accentuato
tono
cittadino
,
non
manca
mai
(
anzi
,
è
quasi
sempre
quello
d
'
apertura
)
l
'
articolo
sulla
vita
di
Milano
,
sulla
storia
della
città
,
sugli
spettacoli
alla
Scala
o
negli
altri
teatri
.
Ogni
numero
contiene
una
novella
,
di
solito
ben
illustrata
.
I
nomi
che
ricorrono
son
piuttosto
grossi
,
sicuri
:
Corrado
Alvaro
,
Achille
Campanile
,
Alba
De
Cespedes
,
e
,
fra
i
giovani
,
Michele
Prisco
,
Vittorio
Pozzo
e
Bruno
Roghi
hanno
lo
sport
,
Domenico
Meccoli
il
cinema
,
Eligio
Possenti
il
teatro
.
Gli
articoli
di
cronaca
portano
firme
come
quelle
di
Titta
Rosa
,
Orio
Vergani
,
Giovanni
Comisso
,
Filippo
Sacchi
,
Giorgio
Vecchietti
,
Enrico
Emanuelli
e
,
naturalmente
,
Indro
Montanelli
.
Nell
'
ultima
pagina
c
'
è
una
rubrica
fissa
,
infortunistica
.
Si
intitola
Le
avventure
di
Elettrino
,
un
pupazzetto
costantemente
alle
prese
con
cavi
e
apparecchi
elettrici
.
Per
mezzo
di
sei
o
sette
vignette
con
didascalia
ritmata
si
spiega
all
'
utente
,
poniamo
,
che
è
pericoloso
cacciar
le
dita
in
una
presa
di
corrente
,
o
addormentarsi
con
il
gas
aperto
.
In
questi
ultimi
tempi
i
giornali
della
sera
son
stati
pieni
di
notizie
su
gente
intossicata
dal
gas
,
e
la
causa
,
che
tutti
ammettevano
,
era
una
sola
:
il
cattivo
stato
delle
tubazioni
,
ormai
vecchie
di
decenni
.
Vero
è
che
quei
giornali
evitavano
di
nominare
la
società
che
distribuisce
il
gas
;
ma
l
'
opinione
pubblica
è
,
a
dir
poco
,
risentita
contro
la
Edison
,
la
quale
deve
in
qualche
modo
far
fronte
alle
pretese
sempre
più
decise
del
pubblico
.
Ma
ci
son
forse
altre
ragioni
,
meno
contingenti
,
non
dissimili
da
quelle
che
hanno
indotto
molti
industriali
del
nord
a
farsi
mecenati
di
cultura
,
a
comperare
giornali
in
pura
perdita
,
a
elargire
premi
agli
artisti
.
È
insieme
un
abbozzo
di
politica
culturale
,
di
tipo
chiaramente
riformistico
,
e
un
«
magnificent
hobby
»
:
i
nuovi
principi
che
non
possono
più
comprarsi
un
blasone
,
comprano
una
squadra
di
calcio
,
o
un
mazzetto
di
intellettuali
,
per
farsene
una
corte
.
Da
qui
il
tono
generale
della
rivista
.
Il
lettore
non
è
mai
infastidito
da
problemi
veri
:
anche
quando
si
parla
di
scienza
,
il
piano
è
quello
della
divulgazione
piacevole
e
brillante
;
i
consigli
sulla
casa
e
sull
'
allevamento
dei
bambini
hanno
un
sottinteso
fondo
ottimistico
;
i
cenni
a
esperimenti
,
scoperte
,
innovazioni
straniere
,
son
sempre
scelti
dall
'
industria
e
dalla
scienza
americana
.
L
'
America
,
anche
qui
,
è
il
paese
di
Dio
.
Quanto
all
'
altra
parte
del
mondo
,
non
se
ne
parla
mai
.
La
rivistina
avrà
senza
dubbio
uno
sviluppo
,
uscirà
dalla
genericità
di
oggi
,
prenderà
posizione
,
abbiamo
sempre
visto
questo
cammino
,
nei
vari
«
digest
»
(
la
formula
fondamentale
è
quella
)
;
ma
non
è
facile
dire
,
per
ora
,
quale
sarà
il
suo
effetto
sugli
utenti
.
StampaPeriodica ,
Carissimi
,
dovevo
proprio
raccontarvi
una
volta
o
l
'
altra
,
quel
che
ho
visto
e
quel
che
ho
capito
,
in
questi
primi
sei
mesi
milanesi
,
soprattutto
sentivo
e
sento
il
bisogno
di
esporvi
,
di
questo
bilancio
,
la
parte
negativa
,
la
più
grossa
,
di
dirvi
insomma
quel
che
non
ho
capito
,
o
addirittura
non
visto
.
Voi
sapete
bene
che
cosa
ero
e
che
cosa
facevo
,
prima
di
venire
quassù
.
Sono
nato
e
sono
vissuto
in
provincia
,
per
trent
'
anni
,
e
proprio
nel
momento
in
cui
un
uomo
sui
trent
'
anni
si
trova
di
fronte
alla
solita
inevitabile
crisi
(
di
crescenza
,
speriamo
)
ho
fatto
il
salto
,
sono
venuto
a
lavorare
quassù
.
Posso
dire
di
conoscere
e
di
aver
capito
la
mia
provincia
,
la
Maremma
.
Si
è
già
detto
che
la
provincia
,
come
campo
d
'
indagine
,
offre
notevoli
vantaggi
rispetto
alla
città
:
è
un
campo
d
'
osservazione
assai
più
semplice
e
ristretto
.
Le
sue
linee
strutturali
sono
in
genere
nette
e
schematiche
,
mentre
nella
città
esse
sono
,
innanzi
tutto
,
più
numerose
,
e
poi
intrecciate
,
accavallate
,
coincidenti
a
volte
.
Anche
per
un
uomo
sostanzialmente
comune
,
quale
io
sono
,
non
è
stato
difficile
,
nella
provincia
in
cui
sono
nato
e
cresciuto
,
capire
abbastanza
chiaramente
,
pur
senza
la
scelta
d
'
un
partito
politico
,
come
stanno
le
cose
,
in
Italia
,
chi
ha
ragione
e
chi
ha
torto
.
Nel
caso
mio
hanno
ragione
i
badilanti
,
e
hanno
ragione
i
minatori
,
hanno
torto
i
latifondisti
,
e
ha
torto
la
Montecatini
.
Basta
muoversi
appena
un
poco
,
vedere
come
questa
gente
vive
(
e
muore
)
e
la
scelta
viene
da
sé
.
Sui
libri
si
troverà
,
semmai
,
la
conferma
di
quel
che
si
è
visto
e
di
quel
che
si
è
deciso
,
e
si
stabilirà
,
da
allora
in
avanti
,
di
servirsi
dei
libri
per
aiutare
chi
ha
ragione
ad
averla
nei
fatti
,
oltre
che
nei
diritti
.
Non
c
'
è
dubbio
.
Perciò
,
quando
mi
proposero
di
venire
quassù
,
io
mi
chiesi
se
era
giusto
lasciare
i
badilanti
e
i
minatori
,
della
cui
vicinanza
sentivo
molto
il
bisogno
e
il
significato
.
Non
solo
,
pensai
anche
che
la
lotta
,
quassù
,
si
poteva
condurre
con
mezzi
migliori
,
più
affinati
,
e
a
contatto
diretto
con
il
nemico
.
Mi
pareva
anzi
che
quassù
il
nemico
dovesse
presentarsi
più
scoperto
e
visibile
.
A
Niccioleta
la
Montecatini
non
ha
altra
faccia
se
non
quella
delle
guardie
giurate
,
povera
gente
che
cerca
di
campare
,
o
quella
del
direttore
,
un
ragazzo
della
mia
età
,
che
potrebbe
aver
fatto
con
me
il
liceo
,
o
giocato
a
pallone
.
A
Milano
invece
la
Montecatini
è
una
realtà
tangibile
,
ovvia
,
cioè
si
incontra
per
strada
,
la
Montecatini
è
quei
due
palazzoni
di
marmo
,
vetro
e
alluminio
,
dieci
,
dodici
piani
,
all
'
angolo
fra
via
Turati
e
via
della
Moscova
.
A
Milano
la
Montecatini
ha
il
cervello
,
quindi
dobbiamo
anche
noi
spostare
il
nostro
cervello
quassù
,
e
cercare
di
migliorarlo
,
di
farlo
funzionare
nella
maniera
e
nella
direzione
giusta
.
Così
ragionavo
,
e
per
questo
mi
decisi
.
Mi
avevano
detto
che
avrei
trovato
una
città
dura
,
chiusa
,
serrata
.
Milano
è
forse
l
'
unica
città
d
'
Italia
in
cui
i
portoni
sulle
strade
si
chiudono
contemporaneamente
e
inderogabilmente
alle
dieci
di
sera
.
E
si
chiudono
sul
serio
,
di
dentro
e
di
fuori
,
sì
che
senza
chiave
non
solo
non
si
entra
,
ma
nemmeno
si
esce
di
casa
.
Milano
è
la
città
d
'
Italia
in
cui
forse
è
più
difficile
che
sorgano
rapporti
umani
costanti
e
profondi
:
provate
a
viverci
qualche
tempo
(
diciamo
come
me
,
sei
mesi
)
e
vedrete
quante
poche
volte
una
famiglia
di
conoscenti
vi
inviterà
a
cena
,
o
a
prendere
il
caffè
.
Anche
visivamente
:
Milano
è
una
sorta
di
labirinto
di
griglie
scure
,
fra
le
quali
scorrono
lunghe
,
eguali
,
monotone
le
strade
.
Le
strade
che
quassù
,
a
differenza
di
tutte
quelle
d
'
Italia
,
non
sono
luoghi
,
ma
strumenti
,
rotaie
su
cui
si
viaggia
a
velocità
notevole
,
è
vero
,
ma
uniforme
.
Ed
è
questa
la
ragione
per
cui
il
traffico
,
molto
più
denso
rispetto
a
quello
romano
,
finisce
col
non
avvertirsi
,
e
col
dare
la
sensazione
della
solitudine
e
del
silenzio
.
Ma
questo
è
colore
.
Altre
cose
,
e
più
importanti
,
si
vedono
assai
presto
.
L
'
assenza
,
palese
,
degli
operai
.
Gli
operai
non
ci
sono
,
almeno
in
quella
Milano
che
è
compresa
nel
raggio
del
movimento
mio
e
dei
miei
colleghi
,
non
entrano
mai
nel
nostro
rapporto
di
lavoro
.
Gli
ultimi
operai
che
ho
visto
,
nel
giugno
scorso
,
erano
quelli
di
Sesto
.
E
inatti
sono
a
Sesto
,
a
Monza
,
alla
Bovisa
,
a
Niguarda
,
non
qui
.
Qui
ci
sono
i
ragionieri
.
Guardate
bene
,
non
è
il
solito
termine
folcloristico
di
comodo
.
Voglio
dire
proprio
i
ragionieri
,
quelli
col
diploma
:
come
si
spiegherebbe
,
altrimenti
,
proprio
a
Milano
,
una
istituzione
come
l
'
Università
Bocconi
?
Provatevi
a
pensarla
a
Roma
:
a
Roma
,
semmai
,
sarebbe
pensabile
un
'
ipotetica
università
per
soli
funzionari
ministeriali
.
E
sono
questi
,
i
ragionieri
,
che
fanno
il
tono
umano
della
città
,
quelli
che
incontrate
in
tram
,
per
strada
,
la
mattina
alle
nove
,
che
camminano
allineati
e
coperti
,
con
la
loro
divisa
,
il
completo
grigio
,
la
camicia
bianca
,
la
cravatta
azzurra
.
Sono
quelli
che
,
borsa
di
pelle
sotto
il
braccio
,
la
mattina
,
accanto
a
voi
nel
bar
,
si
«
tirano
su
»
col
bicchierino
di
grappa
,
la
faccia
scavata
sotto
le
occhiaie
da
un
solco
diritto
che
raggiunge
gli
angoli
della
bocca
(
è
la
«
faccia
milanese
»
,
dicono
)
.
Ma
nessuno
di
loro
,
fra
l
'
altro
,
è
milanese
.
Anche
nel
parlare
voi
lo
avvertite
,
in
quell
'
anonimo
birignao
assai
diverso
dall
'
asciutto
e
saporito
dialetto
che
raramente
,
e
con
gioia
,
accade
di
sentire
.
Non
sono
milanesi
.
Direi
che
almeno
due
terzi
di
questo
milione
e
mezzo
di
milanesi
non
sono
nati
qua
,
sono
venuti
dalla
provincia
,
vicina
e
lontana
(
i
«
napoletani
a
Milano
»
sono
ormai
un
luogo
comune
)
e
sono
venuti
perché
a
Milano
«
gh
'
è
el
pan
,
gh
'
è
la
grana
»
,
i
soldi
,
l
'
industria
.
Loro
l
'
industria
non
la
vedranno
mai
,
faranno
parte
della
Milano
interna
(
ripeto
,
l
'
unica
che
io
e
i
miei
amici
possiamo
toccare
con
mano
,
ogni
giorno
)
,
della
Milano
che
non
produce
nulla
,
ma
vende
e
baratta
.
Questi
milanesi
di
accatto
,
che
sono
la
maggioranza
,
sono
venuti
a
costituire
la
burocrazia
del
commercio
,
una
burocrazia
assai
poco
nota
e
visibile
,
ma
molto
peggiore
di
quella
ministeriale
,
romana
,
perché
più
di
questa
superciliosa
e
arrogante
:
non
solo
,
ma
anche
superba
del
suo
mito
.
Quando
a
Roma
la
gente
,
di
tipi
simili
,
dice
«
fanatico
»
,
inavvertitamente
mette
in
chiaro
il
fondo
mentale
monologico
,
religioso
,
che
sostiene
il
loro
costume
.
Come
non
ho
visto
gli
operai
(
e
i
preti
.
Questo
anche
,
già
detto
fra
parentesi
,
vorrei
che
gli
amici
milanesi
mi
chiarissero
:
perché
a
Milano
non
si
vede
mai
un
prete
in
giro
?
Che
il
rito
ambrosiano
sia
qualcosa
di
più
di
una
particolare
liturgia
?
)
,
come
,
dicevo
,
non
ho
visto
gli
operai
,
così
non
ho
ancora
visto
gli
intellettuali
.
Li
ho
visti
,
s
'
intende
,
e
li
vedo
ogni
mattina
,
come
singoli
,
ma
mai
come
gruppo
.
Non
riescono
a
formarlo
,
e
ad
influire
come
tale
sulla
vita
cittadina
.
L
'
unico
gruppo
in
qualche
modo
compatto
è
quello
che
forma
la
desolata
«
scapigliatura
»
di
via
Brera
.
Gli
altri
fanno
i
funzionari
d
'
industria
,
chiaramente
.
Basta
vedere
come
funziona
una
casa
editrice
:
c
'
è
una
redazione
di
funzionari
,
che
organizza
:
alla
produzione
lavorano
gli
altri
,
quelli
di
via
Brera
,
che
leggono
,
recensiscono
,
traducono
,
reclutati
volta
a
volta
,
come
braccianti
per
le
«
faccende
»
stagionali
.
Vi
ho
detto
che
persino
quel
che
mi
pareva
chiaro
,
la
posizione
del
nemico
nei
palazzoni
di
dieci
piani
,
fra
via
Turati
e
via
della
Moscova
,
a
Milano
non
mi
è
parso
più
tanto
chiaro
.
Perché
qui
le
acque
si
mischiano
e
si
confondono
.
L
'
intellettuale
diventa
un
pezzo
dell
'
apparato
burocratico
commerciale
,
diventa
un
ragioniere
.
Fate
il
conto
di
quanti
scrittori
,
giornalisti
,
pittori
,
fotografi
,
lavorano
per
la
pubblicità
di
qualcosa
.
Quella
pubblicità
,
guardate
bene
,
che
insegna
che
si
ha
successo
nella
vita
,
e
negli
affari
,
usando
quel
lucido
da
scarpe
e
quel
rasoio
elettrico
,
comparendo
bene
,
presentandosi
bene
.
Appunto
perché
questa
non
è
la
Milano
che
produce
,
ma
quella
che
vende
e
baratta
,
e
in
questa
società
si
vende
e
si
baratta
proprio
presentandosi
col
volto
ben
rasato
,
le
scarpe
lucide
ecc.
Per
questo
una
delle
preoccupazioni
maggiori
degli
intellettuali
,
di
questi
intellettuali
,
è
proprio
quella
di
ben
comparire
,
di
non
fare
brutte
figure
.
Per
questo
non
si
sbilanciano
,
non
danno
giudizi
definitivi
,
non
si
aprono
,
non
dicono
sciocchezze
(
come
tutti
amiamo
fare
,
perché
è
la
maniera
,
o
almeno
una
maniera
,
per
dire
anche
qualche
cosa
seria
)
.
Per
questo
,
qui
fra
noi
,
è
così
frequente
la
figura
dell
'
autorevole
.
E
ci
sono
anche
altre
cose
,
peggiori
e
più
tristi
,
di
cui
ora
non
voglio
parlare
,
e
di
queste
cose
tristi
c
'
è
persino
la
teorizzazione
.
La
lotta
per
la
vita
,
dicono
,
il
rapporto
delle
forze
,
resistenza
come
una
grande
scacchiera
su
cui
tutti
ci
muoviamo
,
e
su
cui
è
necessario
«
mangiare
il
pezzo
»
che
sta
sulla
casella
che
piace
a
noi
.
Non
li
credo
in
malafede
,
tutt
'
altro
.
E
nemmeno
li
credo
fatui
e
privi
di
problemi
.
Anzi
!
In
questi
sei
mesi
la
parola
problema
è
quella
che
più
di
tutte
ho
sentita
dire
.
Mi
è
capitato
,
dopo
ore
di
discussione
collettiva
,
di
sentire
un
collega
intervenire
osservando
:
«
lo
penso
che
il
problema
sia
un
altro
»
.
Esiste
insomma
persino
il
problema
del
problema
.
Cioè
esiste
,
soprattutto
,
una
notevole
confusione
.
E
questo
è
male
,
perché
,
al
l
'
opposto
,
chi
dirige
la
burocrazia
commerciale
milanese
,
chi
dirige
ragionieri
e
funzionari
(
anche
gli
intellettuali
,
perciò
)
sa
invece
assai
bene
quello
che
vuole
;
non
solo
,
ma
va
a
nozze
quando
vede
la
confusione
che
c
'
è
dall
'
altra
parte
.
...
E
questo
è
male
.
È
male
perché
,
se
le
cose
continuano
così
,
là
dalle
mie
parti
i
badilanti
continueranno
a
vivere
di
pane
e
cipolla
,
i
minatori
a
morire
di
silicosi
odi
grisou
.
Ora
,
mi
pare
chiaro
che
non
può
continuare
a
essere
questa
la
nostra
funzione
.
In
termini
politici
(
e
scusate
se
li
adopero
male
,
ma
questo
non
è
il
mio
linguaggio
)
si
direbbe
:
il
capitale
milanese
agisce
in
senso
riformistico
e
provoca
il
distacco
,
non
di
rado
l
'
ostilità
aperta
fra
la
piccola
borghesia
e
la
classe
operaia
.
Compito
degli
intellettuali
moderni
,
e
veri
,
dovrebbe
essere
quello
di
tentare
la
composizione
di
queste
forze
ingiustamente
divise
.
Insomma
i
ragionieri
non
dovrebbero
più
pensare
che
i
tranvieri
o
gli
operai
di
Sesto
hanno
torto
,
quando
scioperano
.
Non
dovrebbero
più
rispondere
«
mica
male
»
quando
chiedete
loro
come
va
la
vita
.
E
toccherebbe
a
noi
far
capire
a
questa
gente
che
ha
torto
,
e
che
han
ragione
gli
altri
e
che
la
vita
va
proprio
male
.
Ma
se
noi
continuiamo
a
vivere
nel
centro
,
se
continuiamo
a
vivere
accanto
ai
ragionieri
,
come
i
ragionieri
,
mentre
gli
operai
sono
alla
Bovisa
,
o
a
Niguarda
,
come
potremo
fare
il
nostro
lavoro
?
lo
vorrei
proprio
che
voi
,
amici
romani
,
mi
spiegaste
,
più
semplicemente
che
potete
,
come
si
deve
fare
.
Vorrei
che
me
lo
spiegassero
gli
amici
milanesi
,
soprattutto
.
E
che
non
mi
rispondessero
,
per
carità
,
cominciando
a
dire
che
«
il
problema
è
un
altro
»
.
No
,
il
problema
è
proprio
questo
.
Ogni
volta
che
torno
a
Niccioleta
mi
convinco
che
è
proprio
così
.
StampaPeriodica ,
Il
panettone
cominciò
a
diffondersi
fuori
di
Milano
dopo
il
1930
,
e
un
'
accorta
campagna
pubblicitaria
lo
lanciò
appunto
in
quegli
anni
,
che
erano
anni
di
autarchia
,
come
«
il
dolce
degli
italiani
»
,
uno
slogan
nazionalistico
a
cui
si
affiancava
l
'
altro
,
misticheggiante
,
del
bianco
natale
,
col
presepe
e
le
pecorelle
.
Motta
riuscì
a
far
questo
.
Riuscì
a
far
credere
agli
italiani
che
il
panettone
fosse
il
loro
dolce
(
tanto
vero
che
potevano
concederselo
solo
una
volta
l
'
anno
,
a
quel
prezzo
)
e
riuscì
anche
a
convincerli
che
esso
faceva
parte
di
una
tradizione
,
che
di
fatto
non
esisteva
.
E
il
panettone
,
un
dolce
inventato
nel
1919
e
lanciato
negli
anni
trenta
,
invase
il
mercato
bruciando
letteralmente
altri
dolci
,
che
avevano
davvero
una
loro
tradizione
:
si
pensi
al
panforte
senese
o
alla
cassata
siciliana
.
Quanto
a
Milano
,
Motta
si
trovava
veramente
di
fronte
a
un
dolce
tradizionale
:
si
parla
,
quanto
alle
origini
del
panettone
,
di
tempi
distanti
almeno
cinque
secoli
.
Solo
che
il
panettone
di
un
tempo
aveva
forma
,
aspetto
e
struttura
assai
umili
e
popolari
:
rotondo
,
ma
basso
e
poco
sfocato
,
pareva
né
più
né
meno
,
una
pagnotta
casalinga
.
Angelo
Motta
era
venuto
a
Milano
negli
anni
precedenti
la
Prima
guerra
mondiale
,
come
garzone
di
fornaio
;
nel
dopoguerra
si
era
già
fatto
un
forno
proprio
;
tutti
i
forni
di
allora
,
sotto
le
feste
di
Natale
,
facevano
il
panettone
,
e
di
solito
lo
regalavano
ai
clienti
più
affezionati
.
Motta
fiutò
le
possibilità
commerciali
di
questo
dolce
,
e
lo
rifece
di
sana
pianta
.
Ne
cambiò
la
forma
:
fece
cuocere
la
pasta
tenendola
stretta
in
una
specie
di
canestro
di
carta
spessa
,
in
modo
che
,
lievitando
si
sviluppasse
in
altezza
e
prendesse
quell
'
aspetto
lussuoso
e
troneggiante
,
che
ha
ancora
oggi
.
Lo
arricchì
di
uvetta
e
di
frammenti
di
candito
:
la
trovata
ebbe
successo
e
Motta
cominciò
ad
aprire
un
negozio
più
grande
,
poi
ad
acquistarne
un
altro
,
poi
un
altro
ancora
.
La
guerra
,
anzi
,
il
dopoguerra
,
gli
aveva
portato
fortuna
,
grazie
anche
alla
sua
innegabile
abilità
di
orientarsi
nella
confusione
del
mercato
nero
.
Intorno
al
'30
era
in
grado
di
affrontare
il
mercato
nazionale
.
Aveva
industrializzato
il
panettone
,
fino
ad
allora
prodotto
solo
artigianalmente
.
Molto
più
recente
è
la
scoperta
,
da
parte
di
Motta
,
di
un
'
altra
«
tradizione
»
italiana
:
quella
della
colomba
pasquale
,
un
prodotto
assai
simile
al
panettone
(
si
tratta
in
entrambi
i
casi
di
pasta
lievitata
)
.
Recentissimi
,
postbellici
,
sono
invece
i
gelati
da
passeggio
e
le
«
caramelle
col
buco
»
,
di
cui
Motta
ha
l
'
esclusiva
per
tutta
l
'
Europa
;
non
è
stato
possibile
inserire
gli
uni
e
le
altre
in
una
qualche
«
tradizione
italiana
»
e
oltretutto
non
sarebbe
nemmeno
stato
troppo
utile
;
in
tempo
di
inondante
americanismo
,
conveniva
meglio
di
parlare
di
ice
cream
e
di
life
savers
.
Motta
,
come
si
è
detto
,
ha
in
mano
il
complesso
più
grande
,
ma
non
ancora
il
monopolio
:
solo
a
Milano
esistono
95
imprese
a
carattere
industriale
,
con
oltre
6000
dipendenti
,
e
alcune
di
esse
hanno
un
peso
non
trascurabile
:
si
pensi
a
Besana
,
a
Frontini
,
a
Zaini
,
alla
Ligure
Lombarda
,
alla
Dulciora
e
soprattutto
ad
Alemagna
.
Alemagna
,
da
buon
secondo
,
ha
sempre
adottato
la
strategia
di
seguire
pedissequamente
Motta
in
ogni
innovazione
:
dopo
Motta
,
e
sul
suo
esempio
,
ha
lanciato
successivamente
il
panettone
,
la
colomba
,
il
gelato
da
passeggio
,
e
la
caramella
,
questa
volta
senza
buco
,
ma
pur
sempre
di
importazione
americana
:
si
chiama
charms
.
Alemagna
ha
in
Milano
cinque
negozi
,
ma
cerca
di
rifarsi
nella
qualità
e
nella
mole
.
Attualmente
,
per
ampliare
il
suo
negozio
in
Galleria
,
ha
comprato
il
Vittorio
Emanuele
,
il
vecchio
bar
degli
sportivi
milanesi
,
pagando
,
a
quanto
si
dice
,
250
milioni
solo
per
la
licenza
di
esercizio
.
Gli
arredamenti
di
Alemagna
passano
,
per
il
pubblico
medio
milanese
,
per
i
più
fastosi
ed
eleganti
,
non
senza
qualche
pretesa
culturale
.
Per
fare
un
esempio
:
ora
che
a
Milano
è
aperta
una
mostra
dell
'
arte
etrusca
,
Alemagna
ha
esposto
,
nelle
sue
vetrine
di
via
Manzoni
,
certe
torte
glassate
con
la
riproduzione
dell
'
Apollo
di
Vejo
e
di
dipinti
tarquinesi
.
Fece
un
certo
rumore
a
Milano
,
l
'
accesa
polemica
,
con
conseguenze
giuridiche
tuttora
in
corso
,
fra
Motta
e
Alemagna
a
proposito
del
premio
Oren
.
Fu
sotto
Natale
:
la
Oren
,
che
è
una
fantomatica
associazione
parigina
o
americana
,
scrisse
prima
a
Motta
e
poi
ad
Alemagna
offrendo
un
premio
mondiale
per
la
migliore
industria
dolciaria
.
Il
premio
consisteva
nell
'
attestato
di
questa
superiorità
assoluta
:
Motta
,
a
quanto
pare
,
fiutò
il
«
bidone
»
e
non
abboccò
;
Alemagna
invece
accettò
il
titolo
mondiale
e
ne
fece
ampio
uso
per
il
lancio
natalizio
.
Motta
allora
denunciò
sulla
stampa
il
fatto
e
citò
la
ditta
rivale
per
concorrenza
sleale
.
Ma
a
ben
guardare
,
se
c
'
è
una
lotta
dei
due
grandi
contro
la
produzione
minore
,
e
specialmente
contro
quella
artigianale
,
che
lentamente
è
costretta
a
vedere
ed
a
partire
,
tranne
che
su
questo
piano
minore
e
con
un
certo
piglio
sportivo
,
sul
piano
del
negozio
più
bello
e
del
titolo
mondiale
(
che
servono
soprattutto
alla
propaganda
)
,
Motta
e
Alemagna
finiscono
in
realtà
per
agire
,
se
non
in
perfetto
accordo
,
almeno
su
linee
parallele
:
non
esistono
per
il
momento
possibilità
di
creare
il
monopolio
assoluto
,
quindi
è
meglio
coesistere
e
tirare
a
campare
.
Basta
guardare
i
prezzi
dei
prodotti
.
È
difficile
calcolare
quali
siano
i
profitti
del
maggiore
complesso
di
produzione
dolciaria
milanese
.
Le
denunce
di
Motta
sono
cresciute
in
questa
misura
,
negli
ultimi
anni
:
22,23
milioni
nel
1949;
30,13
nel
'51;
52,62
nel
'52;
63
nel
'53
.
L
'
ultima
denuncia
recava
per
Motta
112
milioni
di
lire
.
Ma
tutti
sanno
che
cos
'
è
in
italiano
la
denuncia
dei
redditi
:
nel
1952
Motta
destinava
al
fondo
ammortamenti
d
'
azienda
704
milioni
.
Una
cifra
palesemente
sproporzionata
e
contestata
dal
fisco
.
Ma
anche
allora
Motta
se
la
cavò
,
girando
65,4
milioni
sotto
la
voce
«
fondo
di
riserva
straordinaria
»
.
L
'
anno
successivo
,
con
63
milioni
di
utili
denunciati
e
distribuiti
,
Motta
destinava
al
fondo
ammortamenti
407,2
milioni
,
girandone
poi
alla
riserva
straordinaria
65,7
.
Sempre
nel
'53
,
ha
investito
640
milioni
nell
'
impianto
di
nuovi
macchinari
,
seguendo
in
questo
caso
la
redditizia
tecnica
degli
auto
-
finanziamenti
.
Non
molto
diverso
è
il
comportamento
delle
altre
grandi
aziende
.
È
chiaro
che
la
politica
commerciale
dei
dolciari
milanesi
mira
a
realizzare
i
maggiori
utili
col
minore
sforzo
.
Non
impressionino
gli
80mila
quintali
di
paste
lievitate
prodotte
da
Motta
nel
1953
.
Nei
grossi
capannoni
di
viale
Corsica
21
Motta
ha
gli
impianti
più
moderni
e
più
potenti
d
'
Europa
.
Può
produrre
nelle
24
ore
1.200
quintali
di
panettone
,
il
che
significa
che
la
produzione
annua
potrebbe
essere
più
che
quadruplicata
rispetto
alla
media
attuale
,
se
si
utilizzassero
in
pieno
tutti
gli
impianti
.
In
realtà
,
la
produzione
piena
si
ha
soltanto
per
due
mesi
all
'
anno
,
a
Natale
e
a
Pasqua
,
quando
Motta
assume
dai
1.800
ai
2.000
lavoratori
stagionali
.
Il
panettone
potrebbe
entrare
sul
mercato
a
prezzo
fortemente
inferiore
se
con
la
utilizzazione
integrale
degli
impianti
si
arrivasse
a
una
produzione
di
massa
,
e
se
si
riducessero
insieme
le
notevoli
spese
della
confezione
.
In
questo
modo
cesserebbe
la
triste
condizione
degli
«
stagionali
»
e
il
panettone
,
non
più
dolce
«
tradizionalmente
natalizio
»
potrebbe
comparire
sulle
nostre
mense
almeno
una
volta
al
mese
.
Si
pensi
per
esempio
,
che
il
consumo
annuo
di
dolciumi
(
genere
voluttuario
e
perciò
soggetto
a
tasse
assai
gravose
)
è
in
Italia
,
di
chilogrammi
2,7
a
persona
,
quantità
irrisoria
rispetto
ai
28
chilogrammi
degli
inglesi
e
ai
35
degli
statunitensi
.
Come
si
è
detto
,
esistono
a
Milano
95
imprese
dolciarie
a
carattere
industriale
,
con
più
di
6000
operai
impiegati
,
oltre
ad
aziende
minori
,
a
carattere
artigianale
e
familiare
;
un
quinto
,
insomma
,
dell
'
intera
attrezzatura
nazionale
.
I
complessi
maggiori
sono
,
evidentemente
,
quelli
di
Motta
e
di
Alemagna
.
Il
primo
impiega
mille
operai
fissi
,
con
regolare
contratto
,
350-400
assunti
con
contratto
a
termine
,
rinnovabile
di
tre
mesi
in
tre
mesi
,
e
circa
2.000
stagionali
,
assunti
per
quaranta
giorni
a
Natale
o
a
Pasqua
:
in
maggioranza
si
tratta
di
donne
,
che
provengono
da
tutte
le
categorie
,
ma
soprattutto
casalinghe
.
Alemagna
impiega
500
operai
fissi
,
300
con
contratto
a
termine
e
1500
stagionali
.
Le
altre
imprese
hanno
maestranze
molto
inferiori
:
sui
450
alla
Dulciora
,
sui
200
alla
Zaini
e
alla
Ligure
Lombarda
,
poco
più
di
cento
alla
Befana
e
alla
Frontini
.
Sulla
divisione
fra
gli
operai
fissi
,
quelli
a
termine
e
gli
stagionali
,
fa
leva
soprattutto
il
padronato
:
i
lavoratori
che
hanno
un
vero
e
proprio
contratto
di
lavoro
formano
appena
un
quarto
dell
'
intera
maestranza
,
e
sono
perciò
un
gruppo
relativamente
privilegiato
,
rispetto
agli
altri
.
Quelli
con
contratto
a
termine
lavorano
sotto
la
continua
e
pressante
minaccia
di
non
vederselo
rinnovare
,
e
nella
vana
speranza
di
essere
assunti
come
stabili
;
gli
altri
,
gli
«
stagionali
»
sono
una
sottocategoria
raccogliticcia
,
una
specie
di
bracciantato
industriale
reclutato
per
le
«
faccende
»
natalizie
e
pasquali
.
La
vita
sindacale
è
sporadica
e
incerta
:
lo
stabilimento
di
Motta
solo
da
un
anno
ha
una
Commissione
Interna
,
composta
di
due
operai
aderenti
alla
CGIL
,
tre
alla
CISL
e
due
eletti
su
una
lista
«
indipendente
»
,
cioè
padronale
.
Solo
dal
1954
c
'
è
qualche
segno
di
ripresa
dopo
il
famoso
sciopero
di
75
giorni
nell
'
estate
del
'48
.
Gli
operai
erano
entrati
in
agitazione
per
protestare
contro
la
minaccia
di
duecento
licenziamenti
:
ebbero
la
peggio
e
Motta
,
per
rappresaglia
,
finì
con
licenziarne
ben
850
.
Fu
un
fatto
enorme
,
che
impressionò
anche
il
padronato
del
settore
:
dopo
di
allora
per
sei
mesi
non
ci
fu
più
un
licenziamento
nella
categoria
degli
alimentaristi
.
Del
resto
Motta
(
o
forse
per
lui
il
consigliere
delegato
,
dr.
Ferrante
)
si
è
sempre
distinto
per
la
particolare
durezza
della
sua
politica
aziendale
,
mentre
Alemagna
preferisce
ricorrere
ai
metodi
paternalistici
.
Sotto
le
feste
del
Natale
scorso
,
mentre
la
categoria
era
impegnata
nel
rinnovo
del
contratto
nazionale
di
lavoro
,
gli
operai
entrarono
in
agitazione
per
ottenere
un
miglioramento
salariale
.
Alemagna
ha
acconsentito
,
concedendo
spontaneamente
aumenti
orari
dalle
5
alle
25
lire
,
sia
ai
lavoratori
fissi
,
che
a
gran
parte
di
quelli
a
termine
;
ma
intanto
faceva
diffondere
la
voce
che
non
avrebbe
gradito
una
interruzione
del
lavoro
proprio
in
quel
periodo
di
punta
.
Motta
,
dal
canto
suo
,
fece
soltanto
promesse
.
I
suoi
metodi
sono
improntati
alla
più
rigorosa
sorveglianza
,
alla
persecuzione
e
alla
rappresaglia
,
specialmente
a
danno
degli
aderenti
alla
CGIL
,
i
quali
vengono
spesso
esclusi
da
eventuali
aumenti
e
migliorie
e
isolati
dagli
altri
operai
,
mentre
rapide
carriere
sono
aperte
ai
membri
della
Commissione
Interna
eletti
nelle
liste
della
cast
,
o
in
quelle
padronali
.
Un
notevole
numero
di
lavoratori
sono
impiegati
nel
settore
vendite
di
Motta
e
Alemagna
,
il
primo
ne
ha
alle
sue
dipendenze
circa
un
migliaio
inquadrati
in
un
complicato
sistema
di
qualifiche
:
barista
,
gelatiere
,
banconiere
,
cantiniere
,
caffettiere
,
spillatore
,
ecc.
un
complesso
di
quaranta
voci
che
corrispondono
ad
altrettante
gradazioni
di
stipendio
:
dalle
17.498
lire
mensili
dell
'
apprendista
inferiore
ai
sedici
anni
,
alle
66.631
del
direttore
di
categoria
A
.
Nel
settore
vendite
la
pressione
del
padronato
è
ancora
più
accentuata
.
Essa
si
fa
forte
proprio
di
questo
sminuzzamento
della
categoria
in
gruppi
minimi
che
è
facile
dividere
e
contrapporre
.
Il
direttore
di
un
bar
ha
alle
proprie
dipendenze
non
più
di
20
o
30
persone
,
delle
quali
sa
tutto
e
sulle
quali
può
esercitare
una
vigilanza
continua
e
diretta
.
Il
personale
di
una
bar
è
composto
quasi
completamente
da
ragazze
che
provengono
in
generale
dalla
piccola
borghesia
o
da
famiglie
operaie
esposte
quindi
,
in
una
città
come
Milano
,
alle
facili
sollecitazioni
dei
miti
dell
'
esistenza
in
una
società
«
moderna
»
.
Gelosie
,
rivalità
,
piccoli
ricatti
,
soprusi
;
difficile
che
in
un
ambiente
simile
nasca
la
solidarietà
,
e
di
conseguenza
il
personale
è
nettamente
scoperto
,
sprovveduto
,
esposto
alle
pressioni
padronali
.
Assai
scarsa
la
partecipazione
alla
vita
sindacale
:
qualche
iscritto
alla
CGIL
,
le
altre
organizzazioni
sono
del
tutto
assenti
.
Tanto
Motta
che
Alemagna
sono
stati
denunciati
dal
Sindacato
di
categoria
per
non
aver
applicato
la
legge
n
.
90
del
30/4/1954
,
la
quale
estende
ai
dipendenti
dei
pubblici
esercizi
il
godimento
delle
festività
infrasettimanali
.
La
denuncia
ha
avuto
i
suoi
effetti
e
le
due
grandi
ditte
stanno
pagando
sia
le
spettanze
arretrate
,
che
la
multa
per
inadempienza
.
Le
punizioni
al
personale
variano
dalla
multa
alla
sospensione
,
fino
al
licenziamento
in
tronco
.
Per
fare
un
esempio
:
una
commessa
colpevole
di
aver
mangiato
«
due
tartine
gelatinate
»
ha
avuto
tre
giorni
di
sospensione
.
Un
fattorino
che
si
è
mangiato
due
marrons
glacées
è
stato
licenziato
in
tronco
.
Sostengono
alcuni
che
il
Duomo
di
Milano
fu
costruito
con
la
prospettiva
che
dovesse
servire
,
un
giorno
,
a
far
da
sfondo
al
panettone
,
sui
cartelloni
pubblicitari
,
c
in
qualche
misura
questo
è
vero
.
La
produzione
dolciaria
milanese
,
che
non
impegna
più
di
seimila
lavoratori
,
può
forse
sembrare
poca
cosa
,
confrontata
coi
massicci
complessi
industriali
lombardi
.
Pure
essa
è
un
simbolo
compendioso
della
situazione
milanese
:
è
un
monopolio
giovane
in
formazione
.
StampaQuotidiana ,
«
Tu
sai
che
sono
sotto
minaccia
di
un
gravissimo
danno
?
Il
1°
novembre
debbo
presentarmi
al
distretto
militare
.
Pensi
tu
alla
terribilità
del
mio
caso
?
Diciotto
mesi
di
caserma
?
I1
suicidio
sicuro
.
»
Con
quest
'
animo
Gabriele
D
'
Annunzio
partiva
soldato
a
ventisei
anni
.
Classe
1863
,
ma
iscritto
a
un
'
università
del
regno
(
che
non
frequentò
mai
)
,
gli
spettava
il
rinvio
,
ma
ora
,
come
succede
spesso
in
questi
casi
,
d
'
improvviso
,
con
terrore
,
vedeva
dinanzi
a
sé
un
anno
(
e
non
diciotto
mesi
)
di
vita
militare
.
Scelse
la
cavalleria
,
e
lo
destinarono
al
l4°
,
che
alla
fine
del
1889
stava
accantonato
a
Roma
,
nella
caserma
del
Macao
.
Ma
in
caserma
non
stette
molto
,
perché
quasi
subito
lo
mandarono
all
'
ospedale
per
una
crisi
di
nevrastenia
.
A
ventisei
anni
era
uno
scrittore
già
celebre
,
aveva
appena
pubblicato
Il
piacere
,
apparteneva
alla
cerchia
della
«
Cronaca
bizantina
»
,
e
così
gli
ufficiali
medici
non
digiuni
di
lettere
ebbero
per
lui
più
di
una
premura
:
licenze
,
permessi
serali
,
l
'
uso
di
una
camera
tutta
per
sé
.
Dimesso
,
raggiunse
il
14°
quando
già
il
reggimento
era
tornato
alla
sua
sede
,
Faenza
,
ma
anche
lì
fu
l
'
ospedale
,
stavolta
per
le
febbri
malariche
.
Sugli
esami
per
la
nomina
a
sottotenente
i
biografi
sono
vaghi
e
contraddittori
;
sappiamo
che
ebbe
diciassette
ventesimi
in
composizione
italiana
,
e
che
il
colonnello
,
bontà
sua
,
lo
incoraggiò
a
continuare
per
quella
strada
.
Non
sappiamo
invece
se
e
come
superò
le
altre
prove
.
Una
cosa
è
però
certa
,
che
non
fece
mai
il
servizio
di
prima
nomina
,
e
che
nell
'
ottobre
del
1890
era
in
congedo
illimitato
.
La
divisa
dell
'
ufficiale
la
indossò
venticinque
anni
più
tardi
,
rientrando
in
trionfo
dal
nono
glorioso
«
esilio
»
parigino
.
L
'
orazione
di
Quarto
,
le
accoglienze
entusiastiche
delle
folle
italiane
,
gli
attacchi
a
Giolitti
,
che
voleva
la
neutralità
,
Gabriele
D
'
Annunzio
s
'
era
subito
fatto
portavoce
di
quella
agguerrita
e
vociona
minoranza
che
-
così
parve
a
molti
-
in
quel
maggio
1915
prevalse
,
dalla
piazza
,
sulla
volontà
generale
del
Paese
.
Ora
il
dado
era
tratto
,
ed
egli
indossava
la
divisa
dei
lancieri
di
Novara
.
Una
disposizione
speciale
superava
l
'
ostacolo
della
scarsa
statura
(
1,64
comprese
le
scarpe
)
insufficiente
per
la
«
cavalleria
pesante
»
.
Cappotto
d
'
ordinanza
,
berretto
d
'
ordinanza
,
gambali
d
'
ordinanza
,
il
tenente
Gabriele
D
'
Annunzio
,
di
anni
cinquantadue
,
credeva
sinceramente
d
'
essere
un
soldato
qualunque
.
Una
sera
di
fine
maggio
,
congedandosi
dagli
amici
dopo
una
cena
,
concludeva
:
«
Ecco
l
'
alba
,
compagni
,
ecco
la
diana
,
e
fra
poco
sarà
l
'
aurora
.
Abbracciamoci
e
prendiamo
commiato
»
.
Così
partì
.
Ma
non
fu
un
soldato
qualunque
,
e
non
poteva
esserlo
.
Si
sistemò
a
Venezia
,
sul
Canal
Grande
,
nella
«
casetta
rossa
»
,
proprietà
d
'
un
suddito
tedesco
,
il
conte
Hohenlohe
,
dove
conduceva
la
sua
solita
splendida
vita
,
dispendiosissima
.
Non
gli
sarebbero
bastate
7000
lire
al
mese
,
gli
scriveva
Albertini
,
esortandolo
a
scrivere
di
più
per
il
Corriere
,
«
Dove
si
trovano
settemila
lire
al
mese
quando
produci
poco
o
nulla
?
Canta
!
Produci
!
Lavora
!
»
.
E
lui
di
rimando
:
«
Sì
,
dopo
la
cantata
,
tenderò
il
cappello
,
come
i
canterini
girovaghi
,
e
pioveranno
le
palanche
»
.
In
attesa
delle
palanche
sognava
l
'
azione
.
Il
20luglio
,
anniversario
di
Lissa
,
una
squadra
navale
italiana
avrebbe
dovuto
incrociare
a
dimostrazione
nelle
acque
di
Pola
,
e
il
tenente
dei
lancieri
chiese
d
'
essere
della
partita
.
Ma
al
comando
non
gli
diedero
molto
ascolto
,
fecero
un
mucchio
di
difficoltà
,
e
lui
non
partì
.
Infuriato
scrisse
a
Calandra
in
persona
:
«
Stamani
,
poiché
m
'
hanno
impedito
di
andare
a
svegliare
la
triste
Trieste
con
l
'
avvertimento
e
col
grido
italiano
,
stamani
io
ho
perduto
alcuni
minuti
di
vita
sublime
»
.
Si
mossero
subito
le
alte
sfere
,
intervenne
addirittura
il
generale
Cadorna
,
e
da
quel
momento
Gabriele
fu
libero
di
far
la
guerra
dove
e
come
volesse
:
sulla
terra
,
sul
mare
ma
soprattutto
nel
cielo
.
Se
in
quella
guerra
non
fu
il
solo
privilegiato
,
fu
certamente
lui
il
maggiore
,
il
primo
.
Diede
anzi
l
'
esempio
più
cospicuo
di
quell
'
arditismo
che
gli
alti
comandi
favorirono
,
convinti
che
fosse
una
trovata
tattica
.
La
Prima
guerra
mondiale
ha
avuto
ben
pochi
comandanti
di
grande
immaginazione
strategica
.
Sul
fronte
italiano
(
come
su
quello
francese
dopo
la
Marna
,
del
resto
)
tutto
si
ridusse
alla
«
guerra
di
logoramento
»
,
una
continua
macina
di
vite
umane
,
dall
'
una
all
'
altra
parte
,
fino
a
che
non
soccombesse
per
estinzione
la
meno
forte
,
la
meno
numerosa
.
Per
rimediare
,
sprovvisti
com
'
erano
di
un
vero
«
pensiero
»
strategico
,
i
generali
ricorsero
alla
tattica
dei
«
colpi
di
mano
»
.
Così
in
Italia
nacquero
i
reparti
degli
arditi
:
truppe
sceltissime
,
libere
da
ogni
altro
servizio
e
dai
gravosi
turni
di
trincea
,
con
vestiario
,
armamento
,
paga
e
altri
vantaggi
eccezionali
,
giungevano
in
linea
solo
quando
ce
n
'
era
bisogno
,
compivano
la
rapida
missione
e
tornavano
nelle
retrovie
.
Tutti
bei
giovani
spavaldi
,
questi
professionisti
del
«
colpo
di
mano
»
tenevano
,
in
servizio
e
fuori
,
un
contegno
che
possiamo
definire
dilettantesco
,
artistico
.
Spregiavano
la
disciplina
,
sbeffeggiavano
sia
i
poveri
fantaccini
che
i
pezzi
grossi
,
i
papaveri
della
burocrazia
,
prima
militare
e
poi
politica
.
Obbedivano
soltanto
al
superiore
diretto
.
Si
sentivano
parte
di
un
'
aristocrazia
,
e
non
soltanto
militare
.
Finita
la
guerra
diventeranno
quasi
tutti
fascisti
,
ma
del
fascismo
saranno
l
'
ala
più
turbolenta
,
più
riottosa
,
più
anarcoide
.
Il
fascismo
non
vedrà
l
'
ora
di
sbarazzarsene
,
in
qualunque
modo
,
anche
comprandone
l
'
inazione
.
D
'
Annunzio
era
dei
loro
,
il
più
grosso
.
Dopo
tanto
indugiare
,
ecco
improvviso
il
battesimo
del
fuoco
,
il
7
di
agosto
,
su
un
biposto
pilotato
dall
'
eroico
Giuseppe
Miraglia
.
Cominciavano
appena
allora
a
usare
gli
aerei
per
il
bombardamento
tattico
,
e
infatti
fu
poco
l
'
esplosivo
buttato
sull
'
arsenale
,
ma
molte
le
bandierine
tricolori
,
e
i
messaggi
.
Due
idrovolanti
austriaci
si
levarono
per
intercettarli
,
ma
tutto
andò
liscio
,
anzi
Gabriele
,
inebriato
da
quel
suo
primo
volo
,
annotava
sul
diario
di
bordo
due
versi
della
Vispa
Teresa
:
«
Vivendo
,
volando
,
che
male
ti
fo
?
»
.
E
invece
sognava
la
morte
,
purché
fosse
una
morte
ilare
,
bella
e
giovane
,
come
un
amplesso
definitivo
.
Non
a
caso
scritti
,
imprese
guerresche
e
amori
si
accavallano
e
si
intricano
più
che
mai
in
questi
anni
di
guerra
.
D
'
un
suo
convegno
amoroso
parla
così
:
«
Ha
ventisette
anni
,
è
nel
culmine
della
giovinezza
,
quando
la
prima
fame
è
sazia
e
cominciano
gli
indugi
sul
sapore
.
Ha
ventisette
anni
,
e
non
s
'
avvede
che
questa
assodata
giovinezza
è
ingiustizia
e
ingiuria
a
me
.
Per
avere
ventisette
anni
darei
il
libro
di
Alcyone
.
E
insiste
,
col
tono
dello
scialacquatore
un
po
'
trattenuto
:
«
Che
darei
per
avere
ventisette
anni
!
Anche
Laus
vitae
anche
Alcyone
anche
Forse
che
sì
forse
che
no
»
.
Come
se
lo
tormentasse
il
presagio
di
una
morte
vecchia
e
turpe
.
«
Oggi
a
cavallo
,
avevo
non
so
che
senso
giovanile
del
mio
corpo
.
Ma
là
,
nella
fotografia
di
ieri
,
nella
istantanea
spietata
,
sono
già
vecchio
.
»
Ecco
perché
la
morte
eroica
dei
suoi
amici
,
dei
suoi
compagni
d
'
ardimento
-
Giuseppe
Miraglia
,
Gino
Allegri
,
Giovanni
Randaccio
-
non
è
soltanto
un
grosso
dolore
,
ma
anche
un
'
occasione
per
contemplare
la
propria
morte
,
idealizzandola
:
«
Così
la
morte
non
era
più
di
un
passaggio
fra
due
luci
,
ma
era
la
congiunzione
chiara
di
due
luci
.
Tale
fu
poi
per
me
da
quel
punto
»
.
Dopo
di
lui
la
retorica
della
morte
,
la
retorica
del
teschio
e
delle
tibie
incrociate
,
ha
funestato
l
'
Italia
.
Ma
la
retorica
è
venuta
dopo
.
Quando
cantava
,
dei
compagni
di
Buccali
,
«
siamo
trenta
d
'
una
sorte
,
e
trentuno
con
la
morte
,
eia
,
l
'
ultima
,
alalà
!
»
,
Gabriele
era
sincero
.
In
guerra
rischiò
seriamente
la
vita
;
e
forse
il
destino
suo
fu
tragico
proprio
perché
la
morte
gli
toccò
vecchia
e
turpe
e
dorata
,
nel
mausoleo
di
Gardone
.
Persino
la
sua
maggior
ferita
in
guerra
fu
per
un
banale
incidente
di
volo
.
Il
16
gennaio
l
'
aereo
pilotato
dal
tenente
di
vascello
Bologna
dovette
per
il
maltempo
tornare
indietro
,
e
scendere
sul
mare
di
Grado
,
ma
per
un
errore
di
visuale
(
l
'
acqua
sotto
il
sole
fece
specchio
)
ammarò
troppo
bruscamente
,
e
Gabriele
andò
a
sbattere
la
testa
contro
la
mitragliatrice
di
prua
.
Il
sangue
fu
poco
,
ma
la
lesione
interna
gravissima
.
Quando
finalmente
il
poeta
,
tutto
preso
com
'
era
da
un
giro
di
conferenze
e
di
serate
benefiche
in
Lombardia
,
lasciò
che
i
maggiori
oculisti
italiani
lo
visitassero
,
si
vide
che
s
'
era
staccata
la
retina
dell
'
occhio
destro
,
e
che
l
'
occhio
s
'
era
perduto
.
Indispensabile
che
per
parecchie
settimane
restasse
a
riposo
completo
,
a
letto
,
nella
camera
buia
.
Al
buio
,
appunto
,
scrisse
il
Notturno
.
Gli
era
giunta
intanto
la
prima
medaglia
d
'
argento
e
a
settembre
poteva
riprendere
a
volare
.
«
Ora
io
sarei
contento
»
,
scriveva
all
'
Albertini
,
«
che
questa
mia
rientrata
in
servizio
attivo
fosse
annunziata
;
per
varie
ragioni
,
tra
le
quali
questo
nuovo
titolo
alla
mia
promozione
-
della
m
'
infischio
,
come
sai
.
Ma
i
miei
amici
zelanti
si
meravigliano
,
poiché
Guglielmo
Marroni
da
tenente
è
passato
maggiore
senza
mai
essere
stato
al
fuoco
.
»
Gli
amici
zelanti
ci
entrano
poco
,
e
non
era
vero
che
lui
se
ne
infischiasse
.
Al
contrario
,
non
l
'
abbandonò
mai
questa
ambizione
un
po
'
puerile
e
patetica
di
avere
,
come
si
diceva
ambiguamente
nel
gergo
degli
ufficiali
di
carriera
,
«
un
bel
petto
»
.
Al
fido
Tom
Antongini
scriveva
,
per
esempio
:
«
Ora
il
ministro
della
Guerra
è
Lyautey
,
che
mi
conosce
bene
.
Forse
è
più
facile
parlare
di
quella
famosa
Croce
»
.
E
ancora
,
sempre
all
'
Antongini
:
«
A
proposito
,
m
'
era
stata
annunziata
la
medaglia
d
'
oro
«
serba
»
-
che
tanti
hanno
avuto
-
e
l
'
ordine
di
Leopoldo
«
belga
»
.
Ne
sai
nulla
?
»
.
Ora
,
il
re
dei
belgi
aveva
altre
gatte
da
pelare
.
Il
re
dei
serbi
era
in
fuga
sopra
un
carro
tirato
da
buoi
,
fra
colonne
di
dispersi
e
fuggiaschi
,
e
cercava
di
raggiungere
la
costa
adriatica
,
dove
si
sarebbe
imbarcato
su
una
nave
da
guerra
italiana
.
Ma
la
Croix
de
Guerre
l
'
ebbe
,
ed
anche
la
britannica
Military
Cross
.
In
quanto
all
'
Italia
,
gli
diedero
tutto
quel
che
consentiva
il
regolamento
,
e
quando
occorse
modificarono
il
regolamento
per
dargli
di
più
:
cinque
medaglie
d
'
argento
,
una
d
'
oro
,
tre
promozioni
per
merito
di
guerra
(
fino
a
tenente
colonnello
)
,
la
Croce
dell
'
Ordine
militare
di
Savoia
.
Davvero
un
«
bel
petto
»
.
Persino
una
medaglia
di
bronzo
.
«
Il
bronzino
di
Buccari
»
,
diceva
Gabriele
stizzito
.
Quei
tre
motoscafi
siluranti
,
ciascuno
con
un
equipaggio
di
dieci
uomini
,
fecero
nella
notte
fra
il
10
e
l
'
1
l
febbraio
1918
un
'
arditissima
incursione
nella
rada
istriana
di
Buccari
,
al
comando
del
capitano
di
fregata
Costanzo
Ciano
.
I
risultati
pratici
furono
scarsi
:
un
piroscafo
austriaco
affondato
.
Ma
oltre
ai
siluri
,
in
quella
rada
lanciarono
anche
tre
bottiglie
sigillate
e
ornate
di
nastri
tricolori
,
con
dentro
un
messaggio
,
che
si
chiudeva
così
:
«
Un
buon
compagno
-
il
nemico
capitale
,
fra
tutti
lo
inimicissimo
,
quello
di
Pole
e
Cattaro
-
è
venuto
a
beffarsi
della
taglia
»
.
Questo
il
punto
:
sul
fronte
italiano
ormai
l
'
Austria
stava
combattendo
due
guerre
,
una
contro
l
'
Italia
,
l
'
altra
contro
D
'
Annunzio
.
La
taglia
sulla
sua
testa
c
'
era
veramente
,
sin
dal
1915
.
E
se
sfogliamo
i
giornali
umoristici
austriaci
di
allora
,
si
vedono
subito
i
due
bersagli
fondamentali
:
l
'
italiano
bassotto
,
baffuto
,
nero
,
con
il
cappello
da
brigante
calabrese
,
e
D
'
Annunzio
,
in
abiti
femminili
,
fra
nubi
di
profumi
e
di
cipria
.
Ecco
la
controprova
di
quanto
fosse
efficace
,
ben
articolata
,
puntuta
,
la
propaganda
di
Gabriele
.
Vien
voglia
di
chiedersi
perché
i
tecnici
della
persuasione
,
tanto
numerosi
e
rumorosi
ai
giorni
nostri
,
non
abbiano
mai
pensato
di
studiare
in
questo
senso
la
sua
vita
e
la
sua
opera
.
Un
volo
e
una
canzone
,
una
visita
alle
prime
linee
e
un
articolo
sul
Corriere
,
tutto
quel
che
D
'
Annunzio
fece
in
guerra
fu
anche
propaganda
di
prim
'
ordine
.
E
la
propaganda
,
come
ben
sappiamo
,
illumina
non
soltanto
la
cosa
che
si
lancia
,
ma
anche
la
persona
che
provvede
al
lancio
.
Non
a
caso
i
pubblicitari
«
firmano
»
.
D
'
Annunzio
firmava
,
sempre
,
tutti
i
manifesti
buttati
sul
nemico
.
Ecco
un
suo
arrivo
al
fronte
.
«
Truppe
non
logore
,
sfinite
:
per
rifarle
ci
vuol
ben
altro
che
il
teatro
del
soldato
...
Arriva
D
'
Annunzio
a
gran
corsa
.
È
sempre
come
una
ventata
di
aria
fresca
.
"
Sapete
"
;
dice
,
"
bisogna
smetterla
con
l
'
hip
,
hip
,
hurrah
.
Roba
da
barbari
.
Siamo
o
non
siamo
latini
e
omerici
?
Dunque
eia
,
eia
,
alalà
!
Attenti
:
eia
,
eia
,
eia
!..."
E
tutti
in
coro
a
rispondere
:
alalà
!
»
Ora
,
noi
possiamo
anche
dubitare
che
dopo
un
turno
di
trincea
sul
Carso
,
il
fante
-
un
contadino
della
bassa
Italia
-
potesse
sentirsi
«
omerico
»
e
«
rifarsi
»
con
un
alalà
.
Ma
chi
lo
comandava
,
il
tenentino
che
aveva
lasciato
gli
studi
l
'
anno
prima
e
che
sognava
(
tutto
in
un
sogno
solo
)
la
grandezza
d
'
Italia
,
la
vittoria
e
i
favori
delle
belle
donne
,
quel
tenentino
sicuramente
tornava
in
linea
convinto
di
dover
«
gittare
il
cuore
nella
trincea
nemica
»
e
andare
a
riprenderselo
.
Del
resto
D
'
Annunzio
era
ben
consapevole
di
quest
'
azione
propagandistica
.
Prima
della
nona
battaglia
dell
'
Isonzo
,
ecco
il
suo
solito
arrivo
«
a
corsa
»
con
l
'
alalà
,
come
lo
racconta
lui
in
privato
,
scrivendone
all
'
Antongini
:
«
Parto
domani
per
la
fronte
,
dove
faccio
l
'
ufficio
di
mascotte
per
le
"
spallate
"
»
.
Memento
audere
semper
,
non
piegare
d
'
un
'
ugna
,
l
'
orbo
veggente
,
sufficit
animus
:
l
'
imaginifico
era
diventato
un
eccezionale
trovatore
di
«
slogans
»
.
E
si
legga
questa
sua
disposizione
di
volo
,
prima
d
'
un
attacco
su
Pola
:
«
Quando
tutte
le
bombe
siano
andate
a
segno
,
ciascun
equipaggio
si
leverà
in
piedi
,
compreso
il
pilota
di
destra
,
e
lancerà
il
grido
attraverso
i
fuochi
di
sbarramento
:
alalà
»
.
Eppure
D
'
Annunzio
è
anche
l
'
autore
di
un
memoriale
sull
'
impiego
strategico
dell
'
aviazione
da
bombardamento
che
i
comandi
lessero
con
molta
attenzione
.
È
uno
scritto
tecnicamente
assai
buono
,
con
non
poche
idee
che
precorrono
i
tempi
:
l
'
uso
degli
aerei
siluranti
,
per
esempio
,
il
valore
psicologico
delle
incursioni
a
lunga
distanza
,
l
'
impiego
massiccio
dei
bombardieri
,
contro
l
'
opinione
corrente
di
allora
,
che
voleva
limitare
gli
aerei
a
compiti
di
osservazione
di
intercettamento
.
E
il
volo
su
Vienna
fu
impresa
unica
nella
Prima
guerra
mondiale
.
E
il
merito
fu
interamente
suo
,
perché
D
'
Annunzio
ci
pensava
sin
dallo
scoppio
delle
ostilità
.
Era
un
'
impresa
assai
difficile
,
sempre
sconsigliata
e
talvolta
osteggiata
dai
comandi
.
I
Caproni
disponibili
allora
,
da
300
hp
,
non
avevano
autonomia
neanche
per
il
solo
volo
di
andata
.
Quelli
da
450
hp
,
costruiti
più
tardi
,
potevan
bastare
a
patto
che
si
aggiungessero
dei
serbatoi
supplementari
,
ma
questo
imponeva
di
ridurre
al
minimo
il
carico
utile
.
Al
campo
di
San
Pelagio
lavorarono
febbrilmente
per
settimane
.
Prima
di
accettare
l
'
impresa
,
i
comandi
vollero
fare
un
volo
di
prova
di
mille
chilometri
sulla
Valle
Padana
.
E
siccome
D
'
Annunzio
non
era
pilota
,
si
dovette
trasformare
un
monoposto
(
quello
di
Natale
Palli
)
incastrando
un
seggiolino
in
un
incavo
ricavato
fra
le
lamiere
del
serbatoio
supplementare
.
L
'
ordine
di
operazione
era
rigoroso
:
non
lanciare
bombe
,
ma
limitarsi
a
un
'
azione
dimostrativa
,
non
lasciarsi
impegnare
dagli
aerei
da
caccia
austriaci
,
troppo
più
veloci
,
essere
pronti
ad
azionare
un
dispositivo
per
la
distruzione
dell
'
apparecchio
,
scendere
a
700
metri
sulla
capitale
nemica
per
il
lancio
utile
dei
manifestini
.
Decollarono
la
mattina
del
9
agosto
,
una
squadriglia
di
undici
apparecchi
in
formazione
serrata
.
Tre
dovettero
subito
ridiscendere
per
un
guasto
.
Il
pilota
Sarti
fu
costretto
ad
atterrare
in
territorio
nemico
.
In
sette
dunque
raggiunsero
Vienna
a
far
sentire
«
il
rombo
della
giovane
ala
italiana
»
che
«
non
somiglia
a
quello
del
bronzo
funebre
nel
cielo
mattutino
»
.
Tornarono
,
e
già
quando
furono
sul
cielo
di
Venezia
l
'
Italia
seppe
dell
'
impresa
e
impazzì
.
Qualcuno
propose
di
incoronare
di
lauro
il
Comandante
,
in
Campidoglio
.
La
guerra
di
D
'
Annunzio
fu
dunque
questa
:
il
coraggio
sposato
alla
retorica
,
l
'
intelligenza
alla
consapevole
volontà
di
propaganda
,
e
poi
l
'
ambizione
,
il
vagheggiamento
estetico
della
bella
morte
,
la
poesia
che
si
trasforma
in
vita
vissuta
,
il
poeta
che
passa
la
mano
al
Comandante
.
Non
fu
la
guerra
degli
altri
,
dei
poeti
,
degli
scrittori
,
degli
intellettuali
suoi
contemporanei
.
Costoro
partirono
tutti
per
il
fronte
.
Molti
ci
andarono
volontari
,
ciascuno
spinto
da
un
motivo
che
non
era
sempre
identico
a
quelli
altrui
.
Nella
guerra
,
fra
costoro
,
ci
fu
chi
vide
la
lotta
dei
popoli
contro
gli
imperi
,
e
ci
fu
chi
vide
la
conclusione
del
Risorgimento
,
e
chi
seppe
impararvi
la
nuda
lezione
della
fratellanza
fra
gli
uomini
.
Se
noi
oggi
vogliamo
capire
che
cosa
fu
la
Grande
guerra
leggiamo
le
pagine
di
Emilio
Lussu
,
di
Giuseppe
Ungaretti
,
di
Carlo
Emilio
Gadda
,
di
Renato
Serra
,
di
Carlo
Salsa
,
di
Ardengo
Soffici
.
Li
leggiamo
proprio
perché
loro
fecero
la
guerra
da
soldati
,
in
mezzo
ai
soldati
.
D
'
Annunzio
fece
la
sua
splendida
guerra
con
uno
stretto
manipolo
di
giovani
che
gli
somigliavano
,
o
che
si
sforzavano
di
somigliargli
.
La
visse
e
la
sentì
come
il
supremo
fastigio
di
una
vita
eroica
.
Non
ebbe
la
corona
in
Campidoglio
,
ma
entrò
,
vivo
,
in
un
mausoleo
,
il
Vittoriale
.
Ma
intanto
era
venuta
la
pace
.
Una
pace
gallica
,
inghilese
,
stelligera
,
per
dirla
con
le
sue
parole
,
non
certo
una
pace
italiana
,
che
facesse
per
esempio
dell
'
amarissimo
Adriatico
un
golfo
italiano
.
Un
suo
scritto
che
chiedeva
appunto
per
l
'
Italia
tutta
la
costa
dalmata
fino
a
Valona
non
fu
accettato
dal
Corriere
.
Era
la
fine
del
1918
e
in
tutta
l
'
Europa
,
già
stremata
dalla
guerra
,
la
spagnola
mieteva
altre
vittime
,
più
numerose
ancora
.
Prese
la
spagnola
anche
D
'
Annunzio
:
chiuso
nella
«
casetta
rossa
»
meditava
l
'
impresa
di
Fiume
.
StampaPeriodica ,
La
periferia
di
corso
Lodi
si
perde
a
poco
a
poco
in
un
disordine
di
sterrati
,
depositi
di
rottami
,
piccole
fabbriche
di
vernici
,
concerie
,
e
intanto
si
profila
,
sotto
la
foschia
del
primo
mattino
,
la
campagna
lombarda
,
intirizzita
dal
gelo
:
i
campi
bianchi
di
brina
,
i
pioppi
scheletrici
,
un
fosso
d
'
acqua
sporca
e
turbinosa
,
che
fuma
all
'
aria
tesa
e
frizzante
.
Quel
fossaccio
che
poi
,
mi
dicono
,
è
uno
dei
canali
di
scolo
delle
fogne
milanesi
,
fiancheggia
la
via
Emilia
per
tutto
il
nostro
viaggio
.
Il
comune
di
San
Donato
,
il
primo
fuori
di
Milano
sulla
strada
di
Lodi
,
non
ha
l
'
aria
di
un
vero
e
proprio
villaggio
.
S
'
incontrano
all
'
improvviso
poche
case
raccolte
attorno
a
una
vecchia
chiesa
:
casette
vecchie
e
povere
,
uno
o
due
piani
al
massimo
.
Una
serve
da
municipio
,
a
un
pianterreno
c
'
è
un
negozietto
che
vende
un
po
'
di
tutto
,
dagli
alimentari
agli
utensili
domestici
.
Il
nome
sulla
porta
è
vecchio
e
sbiadito
.
«
Posteria
»
.
Si
stenta
a
credere
che
questo
comune
di
San
Donato
milanese
conti
quasi
cinquemila
abitanti
;
ci
si
chiede
dove
siano
,
dove
abitino
.
Eppure
è
così
.
San
Donato
milanese
è
un
grosso
comune
;
non
solo
,
è
un
comune
in
continua
crescita
.
Ecco
come
si
è
sviluppata
la
popolazione
in
soli
cinque
anni
:
1951
:
2663;
1952
:
2762;
1953
:
2920;
1954
:
3255;
1955
:
3983;1956
:
4954
.
Non
solo
;
si
afferma
che
entro
tre
anni
la
popolazione
sarà
ancora
moltiplicata
,
con
l
'
insediamento
di
10-12
mila
nuovi
abitanti
.
Secondo
previsioni
attendibili
,
in
breve
tempo
tutta
la
zona
raggiungerà
complessivamente
i
quarantamila
abitanti
.
Qualche
frazione
vicina
(
che
un
tempo
era
soltanto
un
piccolo
nucleo
di
casupole
e
di
cascine
)
è
repentinamente
cresciuta
,
come
gonfiata
da
un
'
improvvisa
idropisia
edilizia
:
ecco
la
Certosa
,
per
esempio
,
così
simile
ad
una
periferia
di
provincia
,
con
le
case
che
vengono
su
a
fungaia
,
alte
e
basse
,
coi
colori
degli
intonachi
balordi
e
contraddittori
,
e
con
la
solita
proliferazione
di
baracche
e
di
abitazioni
fortunose
.
Ma
San
Donato
,
voglio
dire
il
centro
amministrativo
,
pare
rimasto
tale
e
quale
.
Dov
'
è
dunque
la
novità
?
Non
è
difficile
rendersene
conto
:
basta
fare
due
e
trecento
metri
,
ed
ecco
Metanopoli
,
che
compare
in
mezzo
alla
campagna
,
improvvisa
,
come
dipinta
su
di
un
fondale
da
un
urbanista
megalomane
.
Proprio
sulla
strada
,
sulla
via
Emilia
,
una
serie
di
box
dove
sostano
macchine
ed
autocarri
carichi
di
bombole
vuote
:
è
,
come
avverte
un
gran
cartello
,
la
stazione
di
rifornimento
del
metano
.
Poi
,
poco
più
avanti
,
si
spalanca
un
piazzale
immenso
,
tutto
lastricato
a
cubetti
di
porfido
,
che
disegnano
per
terra
,
a
perdita
d
'
occhio
,
una
interminabile
serie
di
volute
.
Il
piazzale
è
chiuso
,
giù
in
fondo
,
dal
basso
e
lunghissimo
edificio
che
ospita
la
stazione
di
servizio
per
gli
autocarri
:
aria
,
acqua
,
garage
e
riparazioni
.
E
una
stazione
di
sosta
per
automezzi
,
un
'
enorme
stazione
,
all
'
uscita
di
Milano
,
dove
comincia
la
via
Emilia
e
dove
comincerà
la
«
Strada
del
sole
»
.
Proprio
lì
davanti
un
cartello
avvisa
che
siamo
al
capolinea
milanese
della
famosa
autostrada
,
che
per
ora
,
tuttavia
,
è
solo
un
cartello
,
un
progetto
,
un
esiguo
recinto
di
filo
spinato
,
con
dentro
uno
sterro
sconvolto
dai
bulldozer
.
Sul
ciglio
della
strada
un
cartello
dice
:
«
Motel
:
albergo
ristorante
Metanopoli
»
.
C
'
è
tutto
:
mensa
,
alloggio
,
bagno
,
piscina
,
lustrascarpe
.
Motel
è
voce
americana
e
diffusa
in
Italia
dal
film
Niagara
e
dal
diario
statunitense
di
Simone
de
Beauvoir
.
Sta
a
indicare
l
'
albergo
di
transito
sulle
grandi
strade
continentali
,
formato
da
una
o
due
stanzette
,
con
annesso
il
garage
per
l
'
auto
e
per
la
roulotte
.
A
rigore
questo
dunque
non
è
un
motel
,
ma
un
normale
albergo
di
transito
,
di
ambiziosa
fattura
,
con
un
atrio
lustro
e
comodo
,
e
dappertutto
legno
,
nichel
e
materie
plastiche
.
Dovrebbe
essere
una
costruzione
«
moderna
»
;
in
realtà
,
essa
si
limita
ad
esibire
uno
stile
tra
«
tirolo
»
e
«
far
-
west
»
,
del
tutto
incomprensibile
nel
paesaggio
lombardo
.
Al
ristorante
si
mangia
abbastanza
bene
anche
con
cinquecento
lire
.
La
città
è
dietro
il
piazzale
:
si
apre
un
vialone
larghissimo
,
spalancato
al
vento
tagliente
di
gennaio
,
coi
pali
della
luce
,
che
,
dai
due
lati
,
incombono
arditamente
verso
il
centro
.
Da
una
parte
un
lunghissimo
muro
,
dall
'
altra
tante
costruzioni
tutte
uguali
.
Il
vialone
porta
il
nome
di
Alcide
De
Gasperi
,
le
strade
minori
,
fra
una
fila
di
edifici
e
l
'
altra
,
s
'
intitolano
a
Galilei
,
a
Fermi
,
ai
nomi
di
altri
scienziati
poco
noti
ai
profani
.
Ci
vuol
poco
a
capire
che
da
questa
parte
c
'
è
la
zona
operante
della
città
.
Dalle
finestre
infatti
s
'
intravedono
strumenti
di
laboratorio
,
macchine
,
tubi
.
Qui
la
SNAM
ha
i
suoi
centri
di
studio
,
alcuni
collegati
con
il
Politecnico
di
Milano
.
Non
zona
industriale
,
dunque
,
ma
centro
di
ricerca
:
è
probabilmente
una
città
di
tecnici
,
non
di
operai
,
e
l
'
aspetto
borghese
della
zona
residenziale
ce
lo
conferma
.
Percorrendo
il
vialone
Alcide
De
Gasperi
,
si
trova
,
in
fondo
,
piazza
Santa
Barbara
,
protettrice
,
come
è
noto
,
di
minatori
,
artiglieri
,
e
di
tutti
coloro
che
abbiano
a
che
fare
con
roba
esplosiva
;
anche
quelli
del
metano
,
dunque
.
Un
'
altra
piazza
immensa
,
interrotta
però
,
questa
,
da
brevi
strisce
di
aiole
verdi
,
molto
curate
.
Ogni
pochi
metri
ecco
spuntare
da
terra
un
tubo
ricurvo
,
dipinto
in
giallo
;
serve
,
mi
spiegano
,
per
l
'
irrigazione
delle
aiole
.
La
piazza
è
dominata
dalla
più
straordinaria
chiesa
che
mi
sia
mai
accaduto
di
vedere
.
È
un
edificio
monumentale
e
insieme
semplicissimo
:
una
specie
di
capannone
col
timpano
altissimo
e
acuto
,
come
per
suggerire
una
elevazione
che
di
fatto
non
c
'
è
.
Ai
quattro
lati
sorgono
altrettante
gugliette
appuntite
,
color
verde
tenero
.
I
colori
sono
la
cosa
meno
prevedibile
di
questo
duomo
di
Metanopoli
.
Pare
come
se
sulla
facciata
bianca
fossero
stati
applicati
dei
pannelli
rettangolari
,
quale
verde
tenero
,
come
le
guglie
,
quale
rosa
pallido
,
quale
cinerino
.
Le
strade
dietro
la
chiesa
,
nella
zona
residenziale
,
son
tutte
alberate
e
divise
da
aiole
verdi
.
Gli
alberi
sovente
sono
dei
pioppi
:
il
pioppo
è
la
pianta
tipica
della
pianura
padana
,
di
cui
rompe
la
piattezza
con
la
sua
acuta
spinta
al
cielo
.
Ma
qui
sono
pioppi
di
trapianto
in
attesa
che
rinsaldino
le
radici
li
hanno
legati
con
quattro
filo
di
ferro
,
presto
arrugginiti
all
'
aria
umida
della
zona
.
Le
case
son
tutte
belle
e
tutte
uguali
,
con
pochi
segni
palesi
di
vita
interna
.
In
mezzo
alle
case
,
quasi
in
fondo
a
via
Soresina
,
la
lunga
e
bassa
costruzione
che
ospita
i
negozi
,
alcuni
ancora
interminati
e
vuoti
.
La
città
di
Metanopoli
è
dunque
di
Fondazione
recentissima
,
anzi
,
non
è
ancora
terminata
:
via
Enrico
Fermi
esiste
,
per
esempio
,
soltanto
di
nome
,
e
proprio
all
'
ingresso
della
città
,
quasi
stilla
strada
,
sorge
lo
scheletro
di
un
altissimo
edificio
poligonale
,
con
le
strutture
portanti
di
ferro
,
rosso
di
minio
fresco
,
ed
i
piani
di
cemento
e
mattoni
forati
.
il
primo
dei
grattacieli
di
Metanopoli
;
di
un
secondo
si
inizierà
presto
la
costruzione
.
La
città
è
stata
fondata
dalla
SNAM
,
che
è
poi
una
filiazione
dell
'
ENI
sorta
per
lo
sfruttamento
del
metano
.
Qui
,
come
si
è
detto
,
non
vi
sono
stabilimenti
di
produzione
o
di
trasformazione
,
ma
soltanto
un
centro
studi
.
Tanto
vero
che
la
SNAM
non
paga
al
comune
di
San
Donato
l
'
Icap
,
l
'
imposta
che
grava
sulle
attività
industriali
,
commerciali
,
professionali
e
artigiane
.
Ha
preferito
edificare
la
sua
città
a
San
Donato
per
due
ragioni
:
per
tenersi
vicinissima
a
Milano
,
ma
fuori
dei
confini
comunali
,
e
pagare
così
minori
imposte
,
e
poi
per
tenersi
al
capolinea
di
due
grandi
vie
di
comunicazione
,
l
'
Emilia
e
la
futura
strada
del
sole
.
Del
comune
di
San
Donato
la
SNAM
,
cioè
l
'
ENI
,
possiede
mille
pertiche
,
cioè
654.000
metri
quadrati
,
pari
a
circa
un
terzo
della
superficie
totale
del
comune
stesso
.
Il
terreno
,
in
conseguenza
di
questo
acquisto
massiccio
e
dell
'
incremento
edilizio
,
è
salito
enormemente
di
prezzo
.
Quasi
dieci
volte
e
più
:
dalle
sei
-
settecento
lire
al
metro
quadrato
del
1950
siamo
ora
sulle
cinquemila
,
con
punte
sulle
ottomila
lire
al
metro
quadrato
.
La
popolazione
di
Metanopoli
non
è
mai
indigena
:
la
SNAM
ha
reclutato
altrove
i
suoi
dipendenti
,
che
son
divenuti
suoi
abitanti
.
Dal
Veneto
,
dalla
Toscana
,
dal
Lazio
,
dal
Napoletano
,
dalle
Puglie
:
dalle
regioni
insomma
che
tradizionalmente
danno
la
maggior
quota
di
migrazione
verso
Milano
.
Gli
abitanti
vecchi
,
quelli
di
San
Donato
e
delle
frazioni
vicine
,
li
chiamano
tutti
«
terroni
»
ed
hanno
ribattezzato
,
per
conto
loro
,
la
città
nuova
col
nome
di
Metanopoli
.
Ma
rapporti
,
fra
gli
uni
e
gli
altri
,
fra
i
vecchi
ed
i
nuovi
,
fra
i
metanopolitani
ed
i
sandonatesi
,
se
ne
stabiliscono
di
rado
,
i
sandonatesi
erano
in
origine
salariati
,
operai
della
campagna
;
qualcuno
addirittura
giornaliero
.
Poi
hanno
cominciato
a
cambiar
mestiere
,
ed
oggi
più
della
metà
sono
operai
;
ma
lavorano
a
Milano
.
A
Metanopoli
nessuno
di
loro
è
entrato
come
dipendente
stabile
e
come
abitatore
delle
nuove
case
.
La
vita
di
Metanopoli
è
chiusa
,
pertanto
,
anche
fisicamente
,
all
'
ambiente
esterno
,
alla
campagna
lombarda
.
Gli
abitanti
di
San
Donato
,
abitano
accanto
alla
città
del
metano
,
ma
non
hanno
ancora
il
gas
in
casa
,
nonostante
lo
chiedano
da
tre
anni
.
Non
ancora
,
prima
e
oltre
il
metano
,
troppe
altre
cose
che
servono
a
dar
la
base
del
vivere
civile
:
basti
pensare
alle
tristissime
condizioni
igieniche
delle
vecchie
cascine
sandonatesi
,
non
è
sovrapponendo
un
'
isola
di
razionalità
(
astratta
razionalità
)
urbanistica
che
si
fa
progredire
la
civiltà
nella
campagna
milanese
.
StampaQuotidiana ,
Inutile
negarlo
:
al
Vittoriale
tu
arrivi
prevenuto
.
Troppi
gli
amici
che
ti
hanno
messo
sull
'
avviso
:
vedrai
la
retorica
,
la
bolsaggine
,
il
cattivo
gusto
!
Vedrai
i
soldi
sperperati
!
Pensa
,
monumento
nazionale
sin
dal
1925
,
con
dentro
lui
,
vivo
.
S
'
era
lasciato
seppellire
da
Mussolini
e
senza
nemmeno
soffrirne
troppo
.
Infatti
,
pensi
tu
quando
la
macchina
si
arresta
sullo
spiazzale
e
guardi
l
'
ingresso
.
«
Io
ho
quel
che
ho
donato
»
,
leggi
per
prima
cosa
.
Esatto
,
pensi
:
di
questa
roba
egli
fece
dono
agli
italiani
,
ma
ci
rimase
dentro
,
e
gli
italiani
gli
pagarono
tutto
quanto
,
la
terra
,
gli
immobili
,
le
aggiunte
successive
,
che
non
finivano
mai
.
Con
quest
'
animo
paghi
le
duecento
lire
del
biglietto
e
prendi
su
per
il
viale
selciato
a
«
cubi
porfirici
»
,
come
diceva
lui
.
Ed
ecco
la
retorica
,
pensi
,
quando
la
guida
ti
spiega
come
quel
gran
pennone
con
in
vetta
una
vittoria
alata
e
dorata
riproduca
la
forma
di
un
pilone
di
ponte
sul
Piave
.
Vero
,
constati
,
ma
lì
per
lì
non
te
n
'
eri
accorto
,
perché
stavi
guardando
altro
.
La
vegetazione
,
per
esempio
,
che
qui
è
ricca
,
varia
,
d
'
un
verde
sempre
intenso
ma
sfumato
dal
cipresso
all
'
ulivo
al
nespolo
all
'
edera
al
magnolio
.
Il
terreno
digrada
verso
il
lago
,
che
in
un
mattino
piovigginoso
,
come
oggi
,
è
d
'
un
chiaro
quasi
bianco
.
Certo
,
se
volgi
gli
occhi
attorno
vedi
archetti
,
colonne
,
pennoni
,
capitelli
,
un
sarcofago
grigio
e
massiccio
,
un
obice
da
centocinque
,
fontanine
,
oblò
,
vetri
colorati
,
nicchie
.
Vedi
un
mucchio
di
roba
,
che
però
non
rompe
la
bellezza
del
panorama
e
anzi
ne
è
soggiogata
,
ingentilita
.
Insomma
,
su
tutto
l
'
hanno
vinta
i
cipressi
svettanti
,
o
il
grande
pino
contorto
e
antichissimo
che
sta
nel
«
cortile
dalmata
»
.
Lì
accanto
c
'
è
il
pennone
massimo
,
che
ha
per
base
due
mole
da
frantoio
,
e
per
ornamento
otto
mascheroni
slavonici
,
di
pietra
.
Lo
sguardo
rimane
incerto
fra
pino
e
pennone
,
e
alla
fine
tu
pensi
che
va
be
'
,
non
è
mica
poi
tanto
brutto
.
Non
è
mica
tutta
retorica
,
pensi
adesso
;
insomma
,
ci
si
potrebbe
anche
campare
,
forse
bene
.
La
villa
di
Cargnacco
,
che
D
'
Annunzio
comprò
nel
1921
,
era
questa
fetta
centrale
,
ora
coperta
da
una
quarantina
di
stemmi
in
pietra
,
di
tutte
le
grandezze
e
con
tutti
i
motivi
:
ci
sono
cani
,
draghi
,
palle
,
teste
,
alberi
,
gladii
,
fiori
,
aquile
e
putti
.
Quando
lui
fece
l
'
acquisto
era
una
villa
campagnola
,
d
'
una
certa
eleganza
solenne
e
discreta
e
ci
abitava
un
critico
d
'
arte
tedesco
,
Heinrich
Tode
,
genero
di
Wagner
.
Solo
questa
fetta
:
nelle
fotografie
di
allora
ha
un
aspetto
a
metà
fra
la
fattoria
e
la
pieve
,
tanto
vero
che
il
Comandante
la
battezzò
,
scherzando
,
«
la
calonica
»
,
e
subito
si
accinse
a
cambiarla
.
Adesso
gli
edifici
formano
un
quadrato
di
vuoti
e
pieni
,
attorno
al
cortile
dalmata
:
muri
,
finestre
,
portici
,
altane
.
Ecco
lì
la
FIAT
tipo
4
della
marcia
da
Ronchi
,
scura
,
con
la
leva
del
freno
sul
predellino
,
e
i
fanali
ad
acetilene
.
Non
è
eroica
.
E
lassù
,
in
una
sala
rotonda
dove
si
tengono
anche
le
commemorazioni
,
appeso
col
fil
di
ferro
al
soffitto
,
l
'
aereo
del
volo
su
Vienna
:
è
uno
SVA
di
compensato
e
seta
,
con
il
leone
di
San
Marco
in
rosso
e
oro
(
«
iterum
rudit
leo
»
dice
il
motto
)
e
sulla
coda
le
sette
stelle
dell
'
Orsa
in
campo
azzurro
:
sette
come
furon
sette
gli
aerei
che
,
degli
undici
partiti
,
giunsero
sulla
capitale
austriaca
.
Nemmeno
questo
è
eroico
,
ormai
:
sembra
un
gran
farfallone
infilzato
a
mezz
'
aria
,
fragile
e
rinsecchito
,
come
polveroso
.
Non
sono
eroici
nemmeno
i
giardini
privati
,
nonostante
i
macigni
alpestri
,
ciascuno
con
scritto
in
rosso
il
monte
d
'
origine
:
Veliki
,
Sabotino
,
Podgora
,
Carso
e
così
via
,
e
frammezzo
una
mitragliatrice
(
raffreddamento
ad
acqua
,
pensi
)
,
proiettili
,
elmetti
,
e
un
san
Francesco
stilizzato
che
apre
le
braccia
verso
la
finestra
della
Zambracca
,
la
stanza
dove
morì
di
emorragia
cerebrale
il
Comandante
.
Non
sono
eroici
perché
anche
qui
la
vegetazione
domina
su
tutto
:
nel
boschetto
dei
magnolii
incontri
un
fossatello
,
e
per
superarlo
c
'
è
una
lastra
di
marmo
,
scritta
:
«
Strepitu
sine
ullo
»
,
dice
da
una
parte
,
e
dall
'
altra
:
«
Sordida
pellit
»
.
Spiega
la
guida
che
gli
indesiderati
,
i
malevoli
,
dovevano
restare
di
qua
,
nel
sordidume
,
mentre
i
fedeli
,
senza
far
chiasso
,
giungevano
sino
all
'
arengo
,
cioè
ad
una
serie
di
belle
panche
in
pietra
scolpita
,
con
alle
spalle
,
fra
magnolii
folti
,
ventisette
colonne
.
Il
Comandante
riceveva
qui
reduci
,
compagni
d
'
arme
,
belle
donne
,
Mussolini
,
Cicerin
,
Umberto
di
Savoia
,
e
intratteneva
tutti
con
le
sue
alate
concioni
,
con
le
sue
squisite
arguzie
.
Racconta
Dario
Niccodemi
d
'
essere
rimasto
quattordici
ore
,
fra
arengo
,
cortiletto
degli
schiavoni
,
portico
del
parente
(
il
parente
sarebbe
Michelangelo
)
,
affascinato
e
divertito
,
da
non
accorgersi
che
il
tempo
passava
.
Ora
comincio
a
non
dubitare
che
ci
saremmo
divertiti
anche
noi
,
tanto
doveva
essere
ricca
e
variata
e
bislacca
la
conversazione
d
'
un
uomo
che
poteva
appigliarsi
a
tanti
particolari
in
mostra
,
a
tante
minutaglie
eterogenee
e
stravaganti
.
Infatti
nel
cortile
e
nel
portico
non
c
'
è
palmo
di
muro
che
non
rechi
infisso
un
medaglione
o
una
testa
,
o
un
paio
di
corna
bovine
,
una
clessidra
,
una
campana
,
un
lampione
,
una
testina
,
una
maiolica
,
un
'
epigrafe
,
un
'
anfora
,
un
motto
,
un
cartiglio
.
Ciriaco
Marini
,
oggi
guardiano
ma
allora
muratore
al
Vittoriale
,
mi
precisa
che
il
Comandante
,
in
compagnia
del
suo
fido
architetto
Maroni
,
presiedeva
ad
ogni
cosa
:
diceva
lui
voglio
qui
questo
,
lì
quello
,
così
va
bene
e
così
no
.
Era
attivissimo
,
esigente
,
preciso
,
piccolo
,
asciutto
,
gran
camminatore
,
generoso
,
cordiale
,
aristocratico
e
perciò
populista
.
Giù
verso
l
'
Acqua
Pazza
,
per
esempio
,
un
giorno
stavano
sistemando
una
piaggia
a
gradini
.
Arrivò
in
visita
il
Comandante
,
sempre
in
compagnia
del
Maroni
,
e
con
le
sue
gambette
di
vecchio
non
ce
la
faceva
a
superare
lo
sbalzo
del
terreno
.
Si
rivolse
all
'
operaio
Betta
:
«
Dammi
la
mano
»
,
comandò
con
quella
voce
acuta
(
«
Pareva
una
cornetta
»
,
spiega
il
guardiano
)
.
Ma
il
Bella
non
voleva
,
si
scherniva
:
aveva
la
mano
sporca
di
terra
.
«
Dammi
la
mano
»
,
strillò
D
'
Annunzio
.
E
poi
,
a
monito
:
«
Ricordati
,
la
mano
di
un
operaio
giammai
sarà
sporca
»
.
I
guardiani
d
'
oggi
(
portano
una
divisa
,
ma
in
estate
,
con
le
insegne
del
principato
di
Montenevoso
)
ricordano
parecchie
cose
e
sanno
dirti
a
memoria
il
nome
di
tutto
.
Perché
qui
tutto
ha
un
nome
:
viale
d
'
Aligi
,
Acqua
Pazza
e
Acqua
Saggia
,
cortiletto
degli
schiavoni
,
portico
del
parente
,
fontana
del
delfino
,
Pilo
del
«
dare
in
brocca
»
,
edicola
di
San
Rocco
,
colonna
dei
giuramenti
,
cortile
dalmata
,
torre
del
belvedere
.
È
una
toponomastica
che
basterebbe
per
un
quartiere
cittadino
,
e
invece
si
riferisce
a
poche
spanne
di
terra
.
E
continua
e
si
infittisce
e
si
accavalla
e
prolifera
dentro
casa
.
Qui
il
pubblico
non
può
entrare
,
e
si
capisce
perché
:
più
di
tre
persone
alla
volta
non
ci
si
muoverebbero
,
e
io
che
sono
grosso
ho
sempre
paura
di
rompere
qualcosa
.
Immagina
ora
d
'
essere
ospite
del
Comandante
.
Arrivi
alla
porta
,
e
un
'
epigrafe
ti
ammonisce
:
«
Clausura
finché
s
'
apra
,
silentium
fin
che
parli
»
.
Aprono
la
porta
,
e
vedi
due
leoni
d
'
oro
,
sette
scalini
rossi
,
un
andito
scuro
di
noce
vecchio
,
una
colonna
e
due
busti
.
Ti
fanno
accomodare
nell
'
oratorio
dalmata
,
che
è
proprio
un
oratorio
coi
suoi
scanni
e
i
cuscini
rossi
,
i
turiboli
,
gli
ostensori
,
le
croci
,
i
reliquarii
,
le
statue
dei
santi
,
e
appesa
al
soffitto
l
'
elica
dell
'
aereo
di
De
Pinedo
.
E
non
sai
cosa
guardare
.
E
se
ti
ammettono
alle
altre
stanze
,
cresce
questa
sensazione
,
questo
principio
di
capogiro
e
di
soffocazione
asmatica
.
Perché
ogni
stanza
è
tappezzata
,
ovattata
,
imbottita
,
straripante
di
oggetti
:
su
un
tavolo
foderato
di
rosso
,
dinanzi
a
un
tabernacolo
d
'
oro
,
il
volante
spezzato
del
pilota
inglese
Seagraves
.
Per
terra
cuscini
e
una
pelle
di
leopardo
,
e
accanto
,
dal
pavimento
a
l
soffitto
,
una
piramide
di
statue
:
si
comincia
con
due
gatti
di
porcellana
,
e
si
sale
,
traverso
Budda
e
Visnù
e
Krishna
e
non
sai
più
che
altro
,
fino
alla
Madonna
col
Bambino
,
di
legno
colorato
.
È
la
scala
delle
religioni
,
ti
spiegano
,
e
la
scritta
precisa
:
«
Tutti
gli
idoli
adombrano
un
dio
vivo
,
tutte
le
fedi
attestan
l
'
uomo
eterno
,
tutti
i
martiri
annunziano
un
sorriso
»
.
Nella
stanza
del
mappamondo
,
insieme
ai
tavoli
e
alle
statue
e
ai
libri
,
trovi
un
organo
,
il
globo
enorme
che
dà
nome
all
'
ambiente
e
una
mitragliatrice
Schwartzlose
,
preda
bellica
.
Le
luci
sono
tutte
smorzate
,
rosate
,
rossastre
,
giallicce
,
verdine
,
bluastre
.
La
sala
del
lebbroso
,
la
più
famosa
,
contiene
,
accanto
a
un
letto
-
culla
-
bara
coperto
di
seta
nera
con
scritte
latine
in
oro
,
una
statua
di
giovinetto
nudo
in
legno
chiaro
.
Tu
muovi
con
crescente
cautela
e
non
senti
il
rumore
dei
tuoi
passi
,
per
i
continui
tappeti
che
si
susseguono
sovrapposti
agli
orli
.
Saranno
più
di
mille
.
E
ogni
stanza
ha
il
suo
nome
d
'
invenzione
.
Nella
stanza
della
Zambracca
(
in
veneto
significa
,
se
non
sbaglio
,
«
cameraccia
»
)
c
'
è
un
fornitissimo
armadio
di
medicinali
(
ultimamente
il
poeta
aveva
gran
paura
delle
malattie
)
e
il
guardaroba
,
dove
stupisce
il
gran
numero
delle
cravatte
a
farfallino
.
Un
appunto
del
poeta
ti
dice
che
anche
ai
«
servizi
»
doveva
toccare
il
nome
,
in
latino
:
bibliothecula
stercoraria
,
balneolum
vetusculum
,
cellula
vinaria
et
dearia
.
La
stanza
della
Cheli
prende
nome
da
una
tartaruga
enorme
che
sta
sul
tavolo
da
pranzo
.
Quest
'
animale
morì
per
una
indigestione
di
tuberose
,
ma
il
poeta
la
volle
ancora
:
il
guscio
è
il
suo
,
dorato
,
la
testa
e
le
zampe
le
rifece
in
bronzo
,
pure
dorato
,
lo
scultore
Bronzi
.
Ora
,
si
pensi
che
D
'
Annunzio
fece
mangiare
a
questo
tavolo
Umberto
di
Savoia
e
Mussolini
,
con
a
capo
tavola
la
tartaruga
Cheli
.
Se
riesci
a
dominare
il
senso
di
vertigine
che
a
questo
punto
t
'
ha
preso
,
non
eviti
un
dubbio
:
faceva
sempre
sul
serio
,
il
Poeta
?
Perché
di
solito
,
lui
così
parco
,
mangiava
giù
,
solo
,
nella
Zambracca
,
e
a
tavola
con
la
tartaruga
ci
andava
solo
in
compagnia
di
ospiti
illustri
.
Ancora
:
entri
nel
bagno
,
a
fatica
rintracci
vasca
,
bidet
e
lavabo
,
di
maiolica
blu
,
annullati
dal
carico
di
anfore
,
uccelli
,
piatti
,
mattonelle
,
teste
,
frutti
finti
,
ampolline
,
teche
e
fotografie
(
più
di
duemila
pezzi
,
avverte
serissima
la
guida
)
.
Guardi
sul
tavolino
,
e
in
bella
mostra
vedi
e
conti
almeno
dieci
spazzole
pei
capelli
.
E
tutti
sanno
che
D
'
Annunzio
era
calvo
.
Qualcuno
mi
dice
:
possibile
dormire
avendo
ai
piedi
del
letto
un
calco
in
gesso
del
Prigione
di
Michelangelo
?
Giusto
:
ma
non
si
dimentichi
che
questa
enorme
statua
porta
alla
vita
un
pezzo
di
damasco
dorato
che
gli
fa
da
gonnella
.
È
questo
un
modo
serio
di
trattare
un
artista
venerato
e
per
giunta
«
parente
»
?
Né
si
scordi
,
per
esempio
,
che
lo
scrittoio
del
monco
,
con
quella
rossa
mano
mozza
sopra
l
'
architrave
,
serviva
a
raccogliere
la
posta
inevasa
,
le
lettere
dinanzi
alle
quali
Gabriele
sentiva
cader
giù
la
mano
,
lettere
di
seccatori
,
postulanti
,
creditori
.
E
oltre
tutto
in
queste
stanze
D
'
Annunzio
non
lavorava
:
e
chi
ci
riuscirebbe
?
Al
piano
di
sopra
c
'
è
l
'
Officina
,
cioè
lo
studio
.
Se
da
questa
stanza
leviamo
la
copia
d
'
una
Vittoria
,
qualche
calco
,
qualche
fotografia
,
potrebbe
sembrare
lo
studio
di
uno
scrittore
qualunque
.
È
di
legno
chiaro
;
la
luce
basta
per
leggere
,
lo
scrittoio
è
piccolo
(
non
si
lavora
bene
sui
tavoli
grandi
)
,
i
libri
sono
ben
disposti
,
a
portata
di
mano
;
rigorosamente
allineati
,
accanto
ai
numerosi
dizionari
(
l
'
imaginifico
non
tirava
mai
a
indovinare
,
quanto
alle
parole
)
ecco
i
volumi
d
'
una
storia
economica
della
Toscana
:
quando
morì
,
mi
spiegano
,
stava
lavorando
a
una
vita
di
Santa
Caterina
,
e
voleva
documentarsi
a
dovere
.
E
in
tutta
la
casa
non
trovi
un
libro
inutile
:
i
trentamila
volumi
formano
una
biblioteca
strumentale
,
e
non
ripetono
affatto
le
stramberie
degli
altri
oggetti
;
non
vedi
nemmeno
un
incunabolo
,
né
un
'
edizione
pregiata
.
È
la
biblioteca
d
'
uno
studioso
,
non
d
'
un
bibliofilo
estetizzante
.
Insomma
al
tavolo
di
lavoro
D
'
Annunzio
diventava
serio
.
Qualcuno
dei
guardiani
ricorda
che
era
capace
di
restarsene
a
sedere
per
dodici
,
quattordici
ore
di
fila
.
Preoccupati
,
essi
ogni
tanto
spiavano
questo
faticatore
della
penna
,
e
allora
vedevano
sulla
testa
calva
una
vena
gonfiarsi
e
tendersi
come
una
corda
,
per
lo
sforzo
.
Lavorava
sodo
,
dimentico
di
tanta
paccottiglia
che
gl
'
ingombrava
le
stanze
di
sotto
.
Certo
,
non
era
più
lui
:
passata
la
sessantina
,
aveva
dato
il
meglio
di
sé
,
e
adesso
gli
restavano
i
progetti
di
altre
quaranta
opere
che
non
scrisse
mai
,
ma
che
promise
al
suo
editore
.
Esaurita
la
vena
dello
scrittore
,
conclusa
la
vita
eroica
di
Buccari
,
di
Vienna
,
di
Fiume
,
adesso
la
sua
avventura
diventava
di
estetica
quotidiana
.
«
Tutto
qui
è
dunque
una
forma
della
mia
mente
,
un
aspetto
della
mia
anima
,
una
prova
del
mio
fervore
.
»
Era
sincero
.
Ma
doveva
fare
i
conti
con
un
doppio
rischio
.
Ecco
il
primo
.
Girando
per
queste
sale
io
mi
chiedevo
quale
poté
essere
il
gusto
di
D
'
Annunzio
verso
le
arti
figurative
.
E
constatavo
che
in
casa
non
esiste
un
quadro
né
una
statua
di
pregio
.
I
calchi
michelangioleschi
,
così
bianchi
,
enormi
,
e
gessosi
,
sono
orrendi
.
I
quattro
o
cinque
quadri
del
Previati
che
oggi
,
ben
illuminati
,
stanno
nella
camera
di
Schifamondo
,
par
che
non
gli
piacessero
,
e
infatti
li
aveva
relegati
in
una
specie
di
magazzino
.
Il
gusto
delle
maioliche
orientali
dunque
?
Non
lo
apparenta
forse
a
certi
decadenti
inglesi
,
a
Whistler
,
a
Rossetti
,
a
Howell
,
fanatici
del
blue
china
?
E
i
disegni
del
De
Carolis
(
fece
tutti
i
suoi
frontespizi
)
non
saranno
forse
l
'
equivalente
delle
illustrazioni
che
tracciò
Aubrey
Beardsley
per
le
opere
di
Oscar
Wilde
?
Nemmeno
questo
convince
.
E
forse
la
risposta
giusta
è
che
D
'
Annunzio
non
ebbe
mai
un
preciso
gusto
figurativo
;
che
questi
oggetti
servivano
,
come
suol
dirsi
,
a
creare
l
'
atmosfera
,
a
sollecitare
la
fantasia
;
che
ebbero
un
valore
più
tattile
,
più
vellicatorio
che
visivo
.
Secondo
rischio
.
In
un
certo
senso
,
il
Vittoriale
è
davvero
degli
Italiani
:
esso
infatti
ospita
tutto
quel
che
gli
italiani
regalarono
a
D
'
Annunzio
.
Una
pera
di
vetro
,
una
pina
secca
,
un
satiro
in
stile
Novecento
,
un
palloncino
di
carta
,
una
pietra
consacrata
,
una
camicia
sporca
di
sangue
:
non
sempre
fu
lui
a
mettersi
in
casa
questa
roba
.
E
poté
accadere
che
non
sapesse
sbarazzarsi
d
'
un
dono
,
far
piazza
pulita
degli
oggetti
inutili
,
o
di
quelli
brutti
.
Poté
accadere
,
all
'
inverso
,
che
donasse
ad
un
visitatore
oggetti
di
pregio
autentico
.
Lui
stesso
dovette
accorgersi
di
questo
progressivo
soffocamento
quando
decise
di
«
schifare
il
mondo
»
(
e
cioè
quel
mondo
,
quelle
pere
di
vetro
,
quelle
zucche
luminescenti
,
quei
pugnali
)
e
trasferirsi
a
vivere
lì
accanto
,
in
due
sole
stanze
,
brutte
quanto
si
vuole
anche
esse
,
ma
perlomeno
non
più
attuffate
da
tanta
paccottiglia
.
Schifamondo
,
disse
lui
:
una
camera
da
letto
scura
,
arredata
nello
stile
che
fu
degli
anni
Trenta
,
con
più
i
calchi
giganteschi
,
a
capo
del
letto
un
occhio
d
'
oro
,
con
l
'
insegna
«
per
non
dormire
»
.
Le
luci
piovono
dal
soffitto
smorzate
e
opalescenti
;
l
'
effetto
complessivo
è
funereo
,
ma
d
'
una
certa
solennità
.
D
'
Annunzio
su
quel
letto
non
riposò
mai
,
se
non
dopo
morto
.
Lì
lo
vide
per
l
'
ultima
volta
Mussolini
,
poi
lo
esposero
alla
folla
sotto
il
portico
del
cortile
dalmata
,
e
infine
lo
sotterrarono
(
no
,
non
in
piedi
,
mi
dice
l
'
ex
muratore
Ciriaco
Marini
,
che
era
presente
;
no
,
disteso
come
un
cristiano
qualunque
)
.
Adesso
il
corpo
di
Gabriele
è
in
una
nicchia
abbastanza
semplice
dell
'
Esedra
:
il
nome
,
un
pugnale
,
la
corona
dell
'
Accademia
d
'
Italia
,
la
terra
di
Pescara
,
l
'
acqua
del
Piave
.
Sta
lì
di
fronte
alla
casa
.
Ma
c
'
è
chi
non
vorrebbe
lasciarcelo
.
Nel
1940
cominciarono
i
lavori
per
l
'
erezione
del
Mausoleo
,
che
è
più
grande
di
tutti
gli
altri
edifici
messi
insieme
.
Sta
in
cima
al
poggio
che
guarda
la
prua
della
nave
«
Puglia
»
(
sempre
lì
in
attesa
di
salpare
,
ma
non
si
muove
mai
,
purtroppo
)
.
È
a
pianta
circolare
,
con
balze
successive
ornate
da
pochi
stenti
ulivi
che
non
vogliono
attecchire
.
Bianche
scalinate
portano
da
una
balza
all
'
altra
,
e
sul
cerchio
più
alto
si
levano
dieci
arche
spigolose
,
e
un
'
undicesima
sta
al
centro
,
in
mezzo
a
una
specie
di
vasca
,
più
alta
di
tutte
.
Lì
vorrebbero
mettere
D
'
Annunzio
,
circondato
da
dieci
eroi
fiumani
(
sette
già
ci
sono
)
.
L
'
architetto
Maroni
,
che
qui
e
altrove
fece
cose
non
indegne
,
stavolta
si
lasciò
prendere
la
mano
dal
gusto
littorio
dell
'
ossario
imponente
e
falso
.
Il
mausoleo
è
brutto
.
È
una
cattiveria
contro
la
dolcezza
del
paesaggio
.
Per
fortuna
non
è
stato
mai
finito
,
e
speriamo
che
non
sia
mai
.
Dopo
tutto
un
mausoleo
per
D
'
Annunzio
non
serve
.
Esiste
già
.
È
quello
,
il
Vittoriale
.
Teniamolo
così
:
un
monumento
patetico
,
che
costruì
per
se
medesimo
un
uomo
vecchio
.
Entriamoci
a
guardarlo
con
la
pietà
che
dobbiamo
a
un
nostro
nonno
.
Era
un
nonno
strambo
,
ma
a
suo
modo
geniale
.
StampaQuotidiana ,
«
La
cosa
che
donna
M
.
temeva
è
ormai
una
certezza
.
Bisognerà
trovare
un
mezzo
per
rimediare
prontamente
...
La
madre
finora
non
sa
nulla
:
dubita
soltanto
.
Il
caso
è
stranissimo
.
Io
prima
avrei
giurato
che
non
poteva
essere
.
Tu
che
pensi
?
Che
mi
consigli
?
»
Così
scriveva
Gabriele
al
padre
nel
maggio
del
1883
.
È
la
tipica
lettera
del
giovanotto
meridionale
salito
in
città
a
fare
fortuna
che
ha
«
commenato
'
o
gliommere
»
,
cioè
ha
combinato
il
pasticcio
e
ora
non
sa
più
a
che
santo
votarsi
:
sbalordito
,
teme
le
ire
del
padre
suo
,
della
madre
di
lei
,
teme
le
chiacchiere
di
amici
e
conoscenti
,
ma
al
tempo
stesso
,
sotto
sotto
,
si
compiace
della
sua
grossa
avventura
.
Donna
M
.
,
e
cioè
Maria
Hardouin
duchessina
di
Galles
,
era
incinta
.
La
nobiltà
romana
,
da
lei
impersonata
,
gli
aveva
ceduto
a
tal
punto
.
Una
nobiltà
di
mezza
tacca
,
certo
:
il
padre
di
lei
,
Jules
Hardouin
,
era
sottufficiale
degli
ussari
.
Accantonato
col
suo
plotone
al
pian
terreno
di
palazzo
Altemps
,
aveva
sedotto
la
vedova
del
duca
di
Gallese
,
l
'
aveva
sposata
e
papa
Pio
IX
gli
concesse
allora
la
nomina
a
sottotenente
.
Non
solo
:
la
duchessa
sedotta
e
impalmata
ottenne
dal
pontefice
anche
il
passaggio
del
titolo
nobiliare
al
suo
aitante
ex
sergentone
.
E
ora
quel
titolo
,
grazie
a
una
seconda
seduzione
,
veniva
a
ornare
la
nomea
del
giovanissimo
Gabriele
.
Quel
bel
ragazzino
biondo
,
ricciuto
,
piccoletto
,
capellutissimo
,
dagli
occhi
azzurri
,
era
evidentemente
destinato
a
far
carriera
.
Gli
amici
romani
del
Fanfulla
,
della
Cronaca
bizantina
,
e
infine
della
Tribuna
,
ne
erano
anch
'
essi
,
a
modo
loro
,
sedotti
,
e
se
lo
coccolavano
,
se
lo
portavano
dietro
a
mangiar
pane
e
ricotta
,
a
pellegrinare
sull
'
Appia
antica
,
a
recitare
a
gran
voce
un
'
ode
carducciana
.
«
In
lui
era
tanto
spontaneo
il
senso
della
barbarie
e
tanto
curiosamente
commisto
a
una
nativa
gentilezza
di
donna
,
che
lo
avresti
detto
una
di
quelle
querce
educate
al
tempo
del
barocchismo
e
potate
in
guisa
da
dar
sembianza
d
'
una
qualche
cosa
poco
selvatica
.
»
Sono
parole
di
Eduardo
Scarfoglio
,
che
di
lì
a
poco
doveva
scoprire
,
con
appassionata
disillusione
,
quanto
poco
barbara
fosse
la
sua
giovane
amica
quercia
pescarese
.
Gabriele
,
che
sino
ad
allora
girava
con
la
chioma
irsuta
,
senza
cravatta
,
con
indosso
una
stenta
giacchetta
,
si
trasformò
rapidamente
in
un
damerino
,
accolto
in
tutti
i
salotti
e
in
non
poche
alcove
.
La
prova
eccola
lì
,
donna
Maria
incinta
,
il
matrimonio
irrevocabile
,
i
parenti
di
lei
sdegnati
ma
pur
sempre
costretti
ad
accettare
gli
sponsali
,
e
a
trovare
per
Gabriele
un
posto
degno
e
sicuro
:
cinquecento
lire
alla
Tribuna
,
per
redigere
la
cronaca
mondana
.
Ora
Gabriele
lanciava
una
firma
che
avrà
fortuna
,
Duca
Minimo
,
prendeva
lezioni
di
cavallo
e
di
scherma
,
che
gli
saranno
assai
utili
in
un
paio
di
duelli
,
cominciava
a
far
debiti
,
entrava
nel
suo
turbinoso
giro
di
avventure
galanti
.
«
La
giovinezza
mia
barbara
e
forte
in
braccio
de
le
femmine
si
uccide
»
.
Olga
Ossani
era
una
cronista
mondana
,
e
si
firmava
Febea
:
più
anziana
di
Gabriele
,
precocemente
canuta
,
spregiudicata
,
avviò
lei
questo
amorazzo
redazionale
,
e
guidava
il
suo
giovane
amico
,
padre
da
poche
settimane
,
nell
'
«
alta
selva
»
di
Villa
Medici
,
e
gli
insegnava
certi
suoi
strani
riti
paleocristiani
.
Nel
Piacere
la
Ossani
si
chiamerà
Elena
Muti
,
e
il
suo
amore
con
Gabriele
durerà
esattamente
quanto
l
'
amore
di
Elena
per
Andrea
Sperelli
.
Ma
il
libro
fu
dedicato
alla
moglie
:
è
già
cominciata
una
specie
di
staffetta
,
per
cui
sul
frontespizio
del
libro
figura
il
nome
della
donna
abbandonata
,
mentre
il
nuovo
amore
ne
costituisce
la
materia
.
Eduardo
Scarfoglio
è
ormai
un
ex
amico
e
diventa
critico
mordace
:
«
Risaotto
al
pomidauro
»
,
scrive
sul
Corriere
di
Roma
,
all
'
uscita
dell
'
Isaotta
Guttadauro
,
e
i
due
scendono
sul
terreno
,
spada
alla
mano
.
Proprio
Scarfoglio
gli
aveva
fatto
da
padrino
nel
primo
duello
,
con
un
certo
Magnico
:
ferito
di
fendente
alla
testa
,
il
medico
lo
curò
con
una
soluzione
di
cloruro
di
ferro
,
che
bastò
a
fermare
il
sangue
,
ma
anche
gli
bruciò
il
bulbo
dei
capelli
,
avviando
già
da
allora
la
rapida
calvizie
del
poeta
.
Il
nuovo
amico
adesso
è
Adolfo
De
Bosis
,
che
organizza
una
crociera
argonautica
.
Sopra
un
panfilo
a
vela
,
la
«
Lady
Giare
»
,
innalzando
la
bandiera
di
Shelley
,
bianca
e
azzurra
con
tre
conchiglie
,
salparono
da
Ortona
,
decisi
a
far
cabotaggio
lungo
la
adriatica
,
fino
a
Venezia
,
a
Trieste
,
a
Fiume
,
e
poi
giù
giù
verso
Spalato
,
Zara
e
Gattaro
(
luoghi
che
entrano
adesso
nella
poetica
dannunziana
)
.
Portavano
con
sé
tappeti
persiani
e
vasellame
d
'
argento
,
e
a
ogni
porto
scendevano
a
terra
per
prepararsi
il
tè
.
«
Mo
arriveno
li
ggiochi
»
,
dicevano
i
pescatori
abruzzesi
e
marchigiani
al
veder
stendere
quei
tappeti
,
convinti
che
fosse
una
compagnia
di
saltimbanchi
.
Avevano
scelto
la
ciurma
con
un
criterio
estetico
,
e
cioè
s
'
erano
presi
due
marinai
dal
nome
sonante
.
Ippolito
Santillozzo
e
Valente
Veniero
.
Purtroppo
l
'
uno
non
aveva
mai
navigato
a
vela
,
l
'
altro
era
un
mezzo
deficiente
,
e
fu
così
che
la
«
Lady
Giare
»
dopo
Rimini
perse
la
rotta
,
e
il
vento
la
portava
al
largo
.
Li
salvò
,
per
loro
buona
sorte
,
una
nave
da
guerra
che
incrociava
da
quelle
parti
,
e
li
rimorchiò
a
Venezia
.
Gabriele
ebbe
lì
la
notizia
della
nascita
del
terzo
figlio
(
che
battezzò
Veniero
)
,
ma
non
si
mosse
.
Aveva
mandato
via
anche
Barbara
Leoni
e
adesso
pensava
solo
a
discutere
di
problemi
navali
con
certi
ufficiali
della
«
Barbarigo
»
.
Degli
amori
con
Barbara
Leoni
dava
un
resoconto
quasi
cronistico
nel
Trionfo
della
Morte
che
uscì
nel
1887
,
quando
già
era
cominciata
una
storia
d
'
amore
nuova
,
con
la
nobildonna
napoletana
Maria
Gravina
Cruyllas
.
A
lei
è
dedicato
L
'
innocente
,
che
pure
ha
per
protagonista
,
ancora
,
Barbara
,
anzi
contiene
,
ricopiati
pari
pari
,
interi
brani
di
lettere
a
lei
.
A
questo
punto
tu
cominci
a
pensare
che
a
Gabriele
importasse
più
la
letteratura
che
le
donne
.
«
Se
veramente
pel
mio
letto
passassero
tutte
le
donne
che
don
Giovanni
sognava
»
,
scriveva
a
Barbara
addolorata
e
offesa
,
«
tu
dovresti
esserne
quasi
lieta
alla
fine
:
perché
tutte
certamente
,
certamente
,
mi
lascerebbero
il
rimpianto
e
il
desiderio
furioso
di
te
»
.
Certi
biografi
affermano
che
la
Barbara
Leoni
fu
il
più
grande
amore
del
poeta
.
Altri
danno
il
primo
posto
alla
Eleonora
Duse
.
Ma
chi
segua
questa
catena
di
storie
che
si
accavallano
e
si
confondono
e
sfumano
l
'
una
nell
'
altra
senza
visibili
differenze
,
è
indotto
a
concludere
che
grandi
amori
nella
vita
di
D
'
Annunzio
non
ce
ne
furono
,
e
che
egli
anzi
soffrì
d
'
una
innata
incapacità
di
affetti
profondi
.
E
che
non
ebbe
neanche
una
profonda
sensualità
.
Infatti
una
sensualità
autentica
presuppone
sempre
una
radice
interiore
di
impegno
morale
,
che
D
'
Annunzio
non
ebbe
mai
.
Nei
rapporti
con
le
donne
,
e
così
con
gli
animali
e
con
gli
oggetti
,
D
'
Annunzio
portò
una
sensibilità
acuta
,
anche
esasperata
,
ma
sempre
epidermica
.
Vagheggiò
il
piacere
come
esperienza
tattile
,
olfattiva
,
visiva
,
non
di
più
.
Fu
tutto
pelle
,
tutto
vellicamento
,
e
portò
al
parossismo
quest
'
arte
.
Ha
scritto
il
Croce
che
egli
fu
«
dilettante
di
sensazioni
»
.
Non
sta
a
noi
dire
qui
se
è
veramente
così
.
Ecco
come
racconta
il
ritorno
da
una
cavalcata
peri
poggi
intorno
a
Settignano
:
«
Balzavamo
di
sella
,
su
lo
spiazzo
,
palpando
il
collo
della
bestia
generosa
col
guanto
inzuppato
.
I
garzoni
accorrevano
...
Il
palafreniere
curvo
su
la
lettiera
asciutta
,
con
una
manciata
di
paglia
per
ogni
mano
,
e
quello
che
tuffava
la
spugna
nella
secchia
tenendo
la
coda
o
il
piede
,
ognuno
accompagnava
la
bisogna
con
un
certo
soffiare
ch
'
era
come
un
suono
lieve
di
persuasione
e
di
blandimento
...
Di
posta
in
posta
,
palpavo
con
la
mano
senza
guanto
la
spalla
le
reni
l
'
anca
per
sentirle
asciutte
;
e
più
d
'
una
volta
eccitavo
lo
zelo
con
l
'
esempio
,
in
gara
di
prontezza
,
ché
tu
sai
quanto
mi
piaccia
fra
i
destri
essere
più
destro
»
.
Come
si
vede
,
il
lavoro
degli
uomini
è
guardato
solo
in
quanto
occasione
che
mette
in
rilievo
un
bel
gesto
,
un
bel
contrasto
visivo
o
sonoro
,
e
gli
animali
si
riducono
a
sensazione
tattile
,
assaporata
sottilmente
(
prima
col
guanto
e
poi
senza
)
.
Anche
il
figlio
neonato
,
la
prima
volta
che
lo
vede
,
gli
suscita
sensazioni
di
questo
tipo
:
«
È
una
cosa
molle
,
rosea
,
calda
,
palpitante
,
che
a
volte
si
muove
tutta
e
ha
degli
annaspamenti
di
ragno
,
delle
grazie
di
scimmia
giovane
,
degli
accenti
talora
bestiali
,
talora
sovrumani
»
.
E
quando
una
sua
nuova
amante
,
la
Alessandra
di
Rudinì
,
la
«
Nike
»
ammalata
,
dovette
subire
tre
operazioni
,
lui
volle
essere
presente
,
e
così
racconta
:
«
Non
so
quale
ebrezza
di
volontà
m
'
infiammi
e
moltiplichi
le
mie
forze
...
Per
la
terza
volta
ho
tenuto
nelle
mie
mani
le
mani
della
vittima
mentre
la
sua
anima
si
profondava
nel
buio
,
sotto
la
maschera
del
cloroformio
;
e
m
'
è
parso
di
assistere
a
tre
agonie
e
ho
udito
salire
da
ciascuna
parole
inaudite
,
parole
che
non
possono
essere
dette
se
non
alla
soglia
della
morte
...
»
.
Anche
un
corpo
sofferente
e
dilaniato
diventava
ragione
di
godimento
epidermico
.
Era
veramente
un
dilettante
di
sensazioni
,
che
nulla
si
negava
pur
di
accrescere
questo
suo
estetico
diletto
.
La
casa
della
Capponcina
,
con
ventun
servitori
,
otto
cavalli
e
trentanove
cani
,
stracolma
di
oggetti
,
di
mobili
antichi
,
di
stalli
da
oratorio
,
di
cuscini
,
di
tappeti
,
turiboli
,
ferri
battuti
,
damaschi
(
una
prefigurazione
del
Vittoriale
)
,
sta
a
provare
quel
furibondo
bisogno
del
superfluo
,
necessario
a
lui
quanto
l
'
aria
che
respirava
.
Già
allora
correvano
sul
suo
conto
le
voci
più
strane
,
e
lui
non
faceva
nulla
per
smentirle
,
anzi
non
di
rado
le
metteva
in
circolazione
,
un
po
'
per
burla
,
un
po
'
sul
serio
.
Ad
ognuna
delle
sue
numerose
cadute
da
cavallo
,
qualche
giornale
stampava
che
D
'
Annunzio
era
morto
.
Alla
villa
di
Settignano
,
diceva
la
gente
,
D
'
Annunzio
beve
filtri
d
'
amore
nel
cranio
d
'
una
vergine
.
E
indossa
pantofole
di
pelle
umana
.
E
sostiene
il
suo
declinante
vigore
mangiando
carne
di
neonato
.
Cavalca
nudo
sulla
spiaggia
di
Bocca
d
'
Arno
,
in
compagnia
di
una
Diana
caucasica
,
matta
della
più
nera
mattezza
slava
.
La
slava
matta
,
un
amore
brevissimo
,
era
Natalia
Golubev
,
alta
,
bionda
,
formosa
.
E
se
,
come
abbiamo
visto
,
tornando
da
una
cavalcata
sostava
ad
ammirare
il
bel
gesto
d
'
un
palafreniere
,
finita
la
suggestione
estetizzante
,
il
prossimo
gli
diventava
all
'
improvviso
odioso
,
meschino
,
vile
e
repellente
.
Un
giorno
in
pretura
per
una
causa
da
lui
stesso
promossa
,
lo
ricorda
così
:
«
Cara
contessa
,
sono
rimasto
fino
a
mezzogiorno
e
mezzo
nell
'
orrendo
fetore
del
prossimo
.
E
debbo
tornare
in
pretura
alle
tre
!
Mi
compianga
»
.
Era
la
causa
contro
un
contadino
di
Settignano
,
certo
Volpi
;
colpevole
di
aver
ucciso
con
un
colpo
di
vanga
un
cane
del
D
'
Annunzio
,
che
faceva
strage
di
galline
nei
pollai
dei
dintorni
.
Il
poeta
ne
parla
con
accenti
quasi
ebbri
:
«
Io
sono
stato
accolto
con
pazza
gioia
dai
miei
cani
innumerevoli
,
che
sono
il
terrore
del
vicinato
.
Nella
mia
assenza
hanno
trucidato
una
cinquantina
fra
polli
e
anatre
!
Ieri
li
ho
condotti
a
gran
galoppo
su
per
la
spiaggia
,
tra
le
grida
dei
bagnanti
e
dei
pescatori
»
.
Per
i
danni
ai
pollai
offriva
,
magnanimo
,
cinque
lire
in
cambio
d
'
ogni
capo
azzannato
.
Ora
,
si
è
parlato
di
bontà
del
D
'
Annunzio
verso
gli
umili
:
qualche
suo
vecchio
servitore
che
ho
conosciuto
al
Vittoriale
mi
ha
detto
dei
suoi
modi
cortesi
e
signorili
,
della
sua
generosità
.
È
vero
:
è
anche
vero
che
D
'
Annunzio
ebbe
a
volte
certe
impennate
da
populista
.
Ma
amore
per
gli
umili
non
ne
ebbe
mai
,
e
la
sostanza
della
sua
generosità
la
ritroviamo
in
un
ricordo
di
lui
ragazzo
al
Cicognini
,
quando
ebbe
il
permesso
dal
rettore
di
recarsi
in
libera
uscita
a
Firenze
e
ne
profittò
per
visitare
un
bordello
.
Ci
andò
in
carrozza
e
scese
all
'
imbocco
di
via
dell
'
Amorino
.
«
Balzai
giù
dal
legno
;
accomiatai
il
cocchiere
;
gli
fui
prodigo
.
Già
incominciavo
a
esercitare
la
prodigalità
come
un
mezzo
di
allontanamento
,
come
un
modo
di
recidere
i
vincoli
e
di
confermare
le
distanze
.
»
Così
il
danaro
che
dava
.
Quello
che
ricevette
gli
parve
,
sempre
,
un
debito
del
mondo
intero
verso
di
lui
.
Per
esempio
,
sappiamo
tutti
quanto
siano
sempre
stati
,
e
sempre
siano
,
vaghi
e
precari
i
rapporti
fra
editore
e
scrittore
.
Raramente
rimangono
sul
puro
piano
commerciale
(
io
scrivo
,
tu
stampi
,
questo
il
contratto
,
tanto
la
percentuale
,
punto
e
basta
)
.
Tendono
invece
ad
assomigliare
ai
rapporti
fra
società
sportiva
e
centravanti
,
fra
impresario
dell
'
opera
e
primadonna
:
ripicche
,
gelosie
,
scenate
,
sberleffi
,
improvvisi
ritorni
d
'
amore
.
Ma
Gabriele
,
in
questo
,
ha
superato
ogni
esempio
,
anche
futuro
,
anche
ipotetico
.
La
sua
corrispondenza
con
Treves
meriterebbe
un
articolo
apposta
.
Aveva
ventidue
anni
,
era
uno
sconosciuto
,
e
già
gli
scriveva
così
:
«
Per
le
poesie
chiedo
4000
lire
;
concessione
,
per
cinque
anni
.
Questo
a
lei
non
converrà
,
certamente
;
quindi
sarà
inutile
ragionare
»
.
E
il
Treves
,
di
rimando
:
«
Vedo
che
con
lei
i
rapporti
sarebbero
molto
difficili
,
avendo
acquisito
idee
erronee
sul
movimento
letterario
in
Italia
.
Le
rimando
quindi
le
sue
novelle
»
.
Invece
trovarono
il
modo
di
mettersi
d
'
accordo
,
e
le
lettere
si
susseguirono
fitte
fino
all
'
«
esilio
»
in
Francia
.
Inevitabile
che
il
Treves
non
gli
volesse
mai
bene
davvero
,
anche
se
ne
subì
il
fascino
e
la
seduzione
.
D
'
Annunzio
,
se
escludiamo
,
forse
,
Ciccillo
Michetti
,
non
ebbe
mai
un
amico
vero
.
Lamentava
la
litigiosità
altrui
,
ma
era
pronto
a
far
causa
contro
Eduardo
Scarpetta
,
che
gli
andava
parodiando
sulle
scene
La
figlia
di
Jorio
.
Accettava
danaro
dagli
strozzini
,
e
poi
imprecava
quando
gli
strozzini
facevano
il
mestier
loro
,
e
cioè
lo
strozzavano
.
Non
seppe
mai
farsi
una
donna
,
allo
stesso
modo
in
cui
non
seppe
mai
farsi
una
casa
,
e
vagò
invece
da
un
quartiere
all
'
altro
di
Roma
,
e
poi
da
Roma
a
Francavilla
,
a
Napoli
,
a
Venezia
,
a
Settignano
,
a
Bocca
d
'
Arno
,
a
Ostia
,
a
Romena
,
ad
Arcachon
.
Dilettante
anche
come
padrone
di
casa
,
diventava
professionista
solo
al
tavolo
di
lavoro
:
allora
dimenticava
le
donne
,
i
cavalli
,
i
cani
,
i
begli
oggetti
,
gli
amici
,
persino
i
pasti
.
Imponeva
a
se
medesimo
una
disciplina
di
ferro
.
E
sapeva
farsi
pagare
,
sempre
,
da
tutti
,
e
bene
.
Eppure
il
professionista
non
bastò
mai
a
pagare
i
capricci
del
dilettante
.
Nel
1910
la
situazione
era
diventata
insostenibile
,
ed
egli
tentò
le
più
strambe
vie
d
'
uscita
.
Pensò
addirittura
di
impiantare
un
'
industria
profumiera
,
e
di
mettere
in
commercio
un
'
essenza
di
sua
invenzione
,
che
battezzò
«
acqua
nunzia
»
:
cercava
nelle
farmacie
e
dagli
erboristi
ambra
,
belzuino
,
rose
,
gelsomini
,
zagare
.
Fu
un
fallimento
.
Poi
saltò
fuori
un
emigrato
abruzzese
,
diventato
milionario
in
Argentina
,
certo
Giovanni
del
Guzzo
.
Aveva
il
rimedio
:
si
fece
dare
dal
poeta
diciassette
manoscritti
,
un
'
automobile
usata
marca
«
Florentia
»
,
e
la
promessa
di
scrivere
un
'
ode
per
il
centenario
della
indipendenza
argentina
,
e
di
tenere
un
ciclo
di
conferenze
nei
maggiori
teatri
di
quel
Paese
.
In
cambio
assicurava
a
D
'
Annunzio
un
guadagno
di
almeno
300mila
lire
,
che
sarebbe
servito
a
colmare
i
debiti
.
Per
sé
avrebbe
trattenuto
il
venti
per
cento
.
Questo
Del
Guzzo
pensò
anche
di
comperare
la
Capponcina
e
di
trasformarla
in
museo
,
con
biglietto
d
'
ingresso
di
lire
due
.
Il
poeta
parve
acconsentire
,
e
così
firmarono
un
«
patto
d
'
alleanza
»
con
tutte
le
clausole
in
bell
'
italiano
e
in
bella
scrittura
.
Ma
prima
d
'
imbarcarsi
per
l
'
Argentina
il
poeta
dichiarò
che
gli
era
indispensabile
recarsi
a
Parigi
per
farsi
curare
i
denti
da
uno
specialista
.
Arrivò
in
Francia
il
28
marzo
1910
,
e
ci
rimase
cinque
anni
.
Intanto
alla
Capponcina
mettevano
all
'
asta
tutto
,
esclusi
i
muri
:
statue
di
santi
,
stalli
d
'
oratorio
,
coperte
di
damasco
,
un
cavallo
,
torciere
in
ferro
battuto
,
materassi
di
lana
,
orologi
,
uno
iatagan
arabo
,
colonne
di
marmo
,
tele
,
terrecotte
,
libri
antichi
e
calamai
.
L
'
asta
durò
otto
giorni
e
diede
un
ricavato
di
centotrentamila
lire
.