StampaQuotidiana ,
In
una
lettera
dalla
casa
penale
di
Turi
alla
sorella
Teresina
,
Antonio
Gramsci
ricorda
la
zia
Grazia
,
la
quale
era
convinta
dell
'
esistenza
di
una
«
donna
Bisodia
»
,
dama
pia
dei
tempi
andati
,
quando
la
gente
andava
in
chiesa
e
c
'
era
più
.
religione
a
questo
mondo
.
Donna
Bisodia
veniva
spesso
citata
come
un
venerabile
esempio
da
imitare
,
e
tanta
era
la
sua
buona
fama
che
il
suo
nome
era
stato
perfino
inserito
nel
Pater
Noster
.
In
realtà
si
trattava
del
«
da
nobis
hodie
»
,
che
la
zia
Grazia
,
e
chissà
quante
altre
donne
con
lei
,
in
Sardegna
e
fuori
,
pronunciavano
in
quel
modo
.
Gramsci
pensava
che
si
potesse
utilmente
scrivere
una
novella
su
Donna
Bisodia
:
ed
in
effetti
può
avere
un
qualche
interesse
un
esame
approfondito
e
comparato
delle
deformazioni
che
in
bocca
al
popolo
avvengono
delle
preghiere
latine
.
I
poeti
dialettali
,
primi
fra
tutti
il
Belli
e
il
Fucini
,
non
si
sono
lasciati
sfuggire
questo
elemento
di
folclore
,
e
tali
deformazioni
hanno
abilmente
inserito
nei
loro
sonetti
.
Il
Toschi
ha
esaminato
a
fondo
,
in
una
sua
operetta
recente
(
Fenomenologia
:
del
canto
popolare
)
tutte
le
possibili
varianti
del
Dies
irae
.
Famosissimo
,
fra
queste
,
il
«
Tiasillo
tiasillo
,
signore
pigliatillo
»
,
che
ritorna
in
Napoli
milionaria
del
De
Filippo
.
Già
entrata
nella
lingua
parlata
,
e
persino
in
quella
letteraria
dell
'
Ottocento
(
Guadagnoli
,
Bandi
)
la
«
sperpetua
»
altro
non
è
se
non
la
«
lux
perpetua
»
della
preghiera
dei
defunti
.
Anche
abbastanza
nota
è
la
storiella
(
non
si
sa
se
vera
od
inventata
)
di
«
Terenosse
in
du
'
casse
»
,
cioè
«
et
ne
nos
inducas
»
,
che
dà
origine
ad
un
favoloso
gigante
Terenosse
che
,
dopo
morto
,
dovette
essere
diviso
in
due
parti
,
e
ciascuna
collocata
in
una
bara
distinta
,
tanta
ne
era
la
mole
.
Ora
,
cosa
significano
queste
deformazioni
?
La
Chiesa
cattolica
,
conservando
il
latino
nella
pratica
liturgica
,
conferma
il
carattere
sostanzialmente
conservatore
della
sua
politica
culturale
;
non
solo
,
ma
esclude
automaticamente
dalla
partecipazione
diretta
e
cosciente
alla
cerimonia
religiosa
le
masse
popolari
,
costrette
a
subire
una
lingua
lontana
e
del
tutto
sconosciuta
,
esse
che
quasi
sempre
non
parlano
neppure
l
'
italiano
.
Il
popolo
reagisce
a
questa
limitazione
imposta
dall
'
alto
ed
anche
se
ripete
le
preghiere
senza
affatto
intenderle
,
finisce
poi
col
deformarle
,
inconsapevolmente
,
e
addirittura
col
tentarne
una
versione
puramente
fonetica
.
In
questo
processo
di
assimilazione
si
sperimenta
anche
l
'
efficacia
della
lingua
parlata
,
che
nel
caso
dell
'
italiano
,
o
dei
suoi
molteplici
dialetti
,
è
veramente
notevole
.
Si
pensi
ad
Ackwood
che
molto
presto
diventa
«
acuto
»
;
Si
pensi
a
certi
ragazzini
del
popolo
,
a
Livorno
,
che
italianizzavano
rapidamente
i
nomi
degli
attori
del
cinema
americano
:
così
Bruce
Cabot
(
che
era
specializzato
nei
ruoli
di
cattivo
)
diventava
«
Bruciacappotti
»
,
mentre
Spencer
Tracy
(
quasi
per
contrapposizione
)
«
Spengistracci
»
.
Ma
,
tornando
al
nostro
tema
,
noi
troviamo
questo
processo
di
traduzione
a
suono
molto
più
intenso
proprio
dove
il
latino
si
fa
più
complesso
e
distante
dalla
comprensione
popolare
.
È
per
questo
che
le
maggiori
spese
della
deformazione
toccano
al
Tantum
ergo
,
che
è
un
inno
redatto
in
un
latino
dottissimo
,
non
solo
,
ma
esprime
sottili
concetti
teologici
che
,
anche
in
una
traduzione
italiana
resterebbero
incompresi
.
Non
per
niente
ne
è
autore
Tommaso
d
'
Aquino
.
Eccone
i
primi
versi
:
Tantum
ergo
sacrantentum
veneremur
cernui
;
et
antiquum
documentumt
novo
cedat
ritui
.
Praestet
fides
supplementuni
sensuum
defectui
.
E
cioè
(
si
perdoni
la
traduzione
certamente
scialba
e
inefficace
)
:
«
Veneriamo
dunque
prostrati
un
sì
grande
sacramento
:
e
l
'
antica
testimonianza
ceda
al
nuovo
rito
.
La
fede
venga
poi
in
aiuto
al
difetto
dei
sensi
»
.
Ebbene
,
ecco
come
in
una
zona
piuttosto
vasta
dell
'
Abruzzo
la
gente
traduce
l
'
inno
:
Canta
il
merlo
nel
frumento
veneremo
a
cena
qui
:
com
'
è
antico
'
sto
convento
novecento
e
tredici
.
Pesta
i
fichi
su
pel
mento
senza
difetto
.
Non
si
può
negare
che
lo
spirito
popolare
ha
avuto
un
certo
garbo
in
questa
pseudotraduzione
:
a
nessuno
sfugge
il
sapere
idillico
dei
primi
due
versi
,
con
quella
cena
fra
amici
,
in
campagna
,
mentre
il
merlo
canta
fra
le
messi
.
O
lo
stupore
ammirato
per
l
'
antichità
del
concetto
:
novecento
e
tredici
.
L
'
accentazione
sbagliata
,
oltre
a
salvare
il
ritmo
,
par
che
sottolinei
la
fantastica
antichità
dell
'
edificio
.
A
Radicondoli
,
un
paesino
della
campagna
senese
,
troviamo
il
«
Praestet
fides
supplementum
»
che
è
diventato
addirittura
:
«
Presta
il
figlio
a
sor
Clemento
»
,
mentre
(
è
un
altro
verso
dal
Tantum
ergo
)
il
«
Salus
honor
,
virtus
quoque
»
si
traveste
così
«
Salo
,
salo
,
Cristo
scote
»
.
Sulla
costa
maremmana
,
a
Castiglione
della
Pescaja
,
un
verso
di
una
preghiera
rogatoria
,
che
dice
:
«
Te
rogamus
,
exaudi
nos
»
,
diventa
:
«
Tre
rogavano
,
e
quattro
no
»
.
Sempre
a
Castiglione
,
il
«
procedenti
ab
utroque
»
(
che
è
anch
'
esso
nel
Tantum
ergo
)
si
deforma
così
:
«
Procedenti
siamo
troppi
»
.
Qui
è
chiaro
che
la
gente
ha
accettato
,
del
verso
,
la
prima
parola
,
che
ha
pur
qualche
senso
in
italiano
(
anche
se
non
quello
esatto
)
,
ma
ha
creduto
indispensabile
trovarne
uno
per
quell
'
inusitato
ed
inspiegabile
«
ab
utroque
»
,
volgendolo
pedestremente
in
«
siamo
troppi
»
.