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DA UNA LINGUA MORTA NASCE UN NUOVO LINGUAGGIO ( Bianciardi Luciano , 1953 )
StampaQuotidiana ,
In una lettera dalla casa penale di Turi alla sorella Teresina , Antonio Gramsci ricorda la zia Grazia , la quale era convinta dell ' esistenza di una « donna Bisodia » , dama pia dei tempi andati , quando la gente andava in chiesa e c ' era più . religione a questo mondo . Donna Bisodia veniva spesso citata come un venerabile esempio da imitare , e tanta era la sua buona fama che il suo nome era stato perfino inserito nel Pater Noster . In realtà si trattava del « da nobis hodie » , che la zia Grazia , e chissà quante altre donne con lei , in Sardegna e fuori , pronunciavano in quel modo . Gramsci pensava che si potesse utilmente scrivere una novella su Donna Bisodia : ed in effetti può avere un qualche interesse un esame approfondito e comparato delle deformazioni che in bocca al popolo avvengono delle preghiere latine . I poeti dialettali , primi fra tutti il Belli e il Fucini , non si sono lasciati sfuggire questo elemento di folclore , e tali deformazioni hanno abilmente inserito nei loro sonetti . Il Toschi ha esaminato a fondo , in una sua operetta recente ( Fenomenologia : del canto popolare ) tutte le possibili varianti del Dies irae . Famosissimo , fra queste , il « Tiasillo tiasillo , signore pigliatillo » , che ritorna in Napoli milionaria del De Filippo . Già entrata nella lingua parlata , e persino in quella letteraria dell ' Ottocento ( Guadagnoli , Bandi ) la « sperpetua » altro non è se non la « lux perpetua » della preghiera dei defunti . Anche abbastanza nota è la storiella ( non si sa se vera od inventata ) di « Terenosse in du ' casse » , cioè « et ne nos inducas » , che dà origine ad un favoloso gigante Terenosse che , dopo morto , dovette essere diviso in due parti , e ciascuna collocata in una bara distinta , tanta ne era la mole . Ora , cosa significano queste deformazioni ? La Chiesa cattolica , conservando il latino nella pratica liturgica , conferma il carattere sostanzialmente conservatore della sua politica culturale ; non solo , ma esclude automaticamente dalla partecipazione diretta e cosciente alla cerimonia religiosa le masse popolari , costrette a subire una lingua lontana e del tutto sconosciuta , esse che quasi sempre non parlano neppure l ' italiano . Il popolo reagisce a questa limitazione imposta dall ' alto ed anche se ripete le preghiere senza affatto intenderle , finisce poi col deformarle , inconsapevolmente , e addirittura col tentarne una versione puramente fonetica . In questo processo di assimilazione si sperimenta anche l ' efficacia della lingua parlata , che nel caso dell ' italiano , o dei suoi molteplici dialetti , è veramente notevole . Si pensi ad Ackwood che molto presto diventa « acuto » ; Si pensi a certi ragazzini del popolo , a Livorno , che italianizzavano rapidamente i nomi degli attori del cinema americano : così Bruce Cabot ( che era specializzato nei ruoli di cattivo ) diventava « Bruciacappotti » , mentre Spencer Tracy ( quasi per contrapposizione ) « Spengistracci » . Ma , tornando al nostro tema , noi troviamo questo processo di traduzione a suono molto più intenso proprio dove il latino si fa più complesso e distante dalla comprensione popolare . È per questo che le maggiori spese della deformazione toccano al Tantum ergo , che è un inno redatto in un latino dottissimo , non solo , ma esprime sottili concetti teologici che , anche in una traduzione italiana resterebbero incompresi . Non per niente ne è autore Tommaso d ' Aquino . Eccone i primi versi : Tantum ergo sacrantentum veneremur cernui ; et antiquum documentumt novo cedat ritui . Praestet fides supplementuni sensuum defectui . E cioè ( si perdoni la traduzione certamente scialba e inefficace ) : « Veneriamo dunque prostrati un sì grande sacramento : e l ' antica testimonianza ceda al nuovo rito . La fede venga poi in aiuto al difetto dei sensi » . Ebbene , ecco come in una zona piuttosto vasta dell ' Abruzzo la gente traduce l ' inno : Canta il merlo nel frumento veneremo a cena qui : com ' è antico ' sto convento novecento e tredici . Pesta i fichi su pel mento senza difetto . Non si può negare che lo spirito popolare ha avuto un certo garbo in questa pseudotraduzione : a nessuno sfugge il sapere idillico dei primi due versi , con quella cena fra amici , in campagna , mentre il merlo canta fra le messi . O lo stupore ammirato per l ' antichità del concetto : novecento e tredici . L ' accentazione sbagliata , oltre a salvare il ritmo , par che sottolinei la fantastica antichità dell ' edificio . A Radicondoli , un paesino della campagna senese , troviamo il « Praestet fides supplementum » che è diventato addirittura : « Presta il figlio a sor Clemento » , mentre ( è un altro verso dal Tantum ergo ) il « Salus honor , virtus quoque » si traveste così « Salo , salo , Cristo scote » . Sulla costa maremmana , a Castiglione della Pescaja , un verso di una preghiera rogatoria , che dice : « Te rogamus , exaudi nos » , diventa : « Tre rogavano , e quattro no » . Sempre a Castiglione , il « procedenti ab utroque » ( che è anch ' esso nel Tantum ergo ) si deforma così : « Procedenti siamo troppi » . Qui è chiaro che la gente ha accettato , del verso , la prima parola , che ha pur qualche senso in italiano ( anche se non quello esatto ) , ma ha creduto indispensabile trovarne uno per quell ' inusitato ed inspiegabile « ab utroque » , volgendolo pedestremente in « siamo troppi » .