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LA SERA DEL PREMIO ( Bianciardi Luciano , 1954 )
StampaPeriodica ,
A Viareggio tutti sanno dirci che la stagione finisce a Ferragosto , immancabilmente : infatti , nei giorni che precedettero la premiazione , il tempo fu quanto mai instabile e minaccioso . La stessa temperie negli androni del Grand Hotel Royal , dove la giuria sedeva in permanenza : notizie nuove e contraddittorie filtravano d ' ora in ora , ed almeno due volte al giorno giungeva , nemmeno troppo attenuata , l ' eco di scontri verbali , discussioni , litigi . Ad un certo momento la situazione fu così calda che ( incredibile a dirsi ) Luigi Russo fu chiamato a far da paciere . Calmissimi e ridenti erano invece Ungaretti e Jahier : avevano avuto in dono due bei pugnali da pesca subacquea , li portavano appesi alla cintura , a tratti sguainandoli ed urlando . Era triste invece , con in volto un ' espressione muta ed abbottonata , Ignazio Weiss , direttore della pubblicità olivettiana , membro della giuria e occhio di lince : pareva costantemente in timorosa attesa di qualche spiacevole sinistro . Si sbottonò ( ma solo uno spiraglio ) la mattina precedente la premiazione , a Collodi . La giuria era salita lassù per una visita allo storico giardino , ed al non meno famoso bozzetto per il monumento a Pinocchio . Nel giardino c ' è anche un labirinto verde , che conduce ad un grande albero di magnolia : erano tutti entusiasti , e Weiss sorrise . Ma , incautamente , era passato accanto a certi ben celati zampilli di un gioco d ' acqua : Repaci , che lo sorvegliava da un ponticello sovrastante , azionò la leva e lo bagnò nei pantaloni . Allora Weiss si riabbottonò . La sera del premio la giuria era schierata al completo sudi un palchetto , sotto la luce di due grossi riflettori : somigliavano straordinariamente alle caricature di Uberto Bonetti , appese tutte in giro , in cornici di cartapesta dorata . C ' era un pubblico assortito ed elegante : due avvocati di Pisa , il maestro calzettaio Pilade Franceschi , Carlo Levi , alcune poetesse . Poi la massa : salumai di Firenze , figli e nipoti di arrisicatori livornesi , qualche vitellone , industriali milanesi , fabbricanti di polveri insetticide con moglie e figlie in gran toilette . Ascoltarono tutti pazientemente la relazione della giuria : due milioni , un milione , mezzo milione , un quarto di milione , gli assegni passavano dalle mani di Repaci a quelle dei premiati . Parlò Carlo Levi , ricordando Rocco Scotellaro , parlò Raimondi , parlò Giarrizzo , che fece una dichiarazione di fede in Croce , Omodeo , De Ruggiero e Chabod , parlò Luporini , parlò la Giorgetti , rifiutando la parola , parlò anche Montella , che raccontò come era venuto a sapere del premio toccatogli , e di come se lo vide dimezzare fra le mani , all ' ultimo momento . Parlò Mondadori e parlò Paone , parlarono tutti , insomma , anche perché la relazione della giuria fu letta a brani . Poi dettero il via a Nino Taranto , anche lui parziale vincitore del premio Viareggio : si ebbe infatti quattrocento carte da mille per alcune sue vecchie macchiette , pornografiche nella forma e qualunquiste nel contenuto . Ma la gente era lietissima , applaudiva , mostrava di capire i doppi sensi e chiese perfino alcuni bis . Comunque Taranto si inseriva da par suo nella « napoletanità » del ventiquattresimo « Viareggio » : dai contadini lucani ai parenti pugliesi , giù , giù attraverso i proverbi siciliani , fino a Carlo Mazza , si è creduto forse di riaffermare l ' impegno meridionale della nostra cultura d ' oggi . Poi le danze : si pensò bene di organizzare un supplemento di premio , per la donna più bella , più elegante , più intelligente . Consegnarono vasi da fiori , un paralume di tulle rosa , boccette di profumo e di lozione per dopobarba . Ma finalmente esplose il temporale , pieno e festoso , un temporale , come dicono a Viareggio , senza babbo né mamma . Alle tre in punto un fulmine guastò l ' impianto elettrico e la gente , rimasta al buio , sfollò lentamente . Quelli dell ' orchestra riposero in fretta gli strumenti nei loro astucci e se ne andarono sbadigliando . In albergo rimasero solo alcuni quarantenni industriali padani , con le loro giovani donne dipinte : ordinarono un risotto . L ' acquazzone cresceva , denso e pieno , battendo la scenografia dei lungomare viareggini , ripulendo ogni cosa , così freddo e sonoro nel gran silenzio della notte oscura . La stagione era finita davvero .
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GROSSETO , novembre - La scoperta della provincia è stata , in questo dopoguerra , uno dei temi scelti dalla nostra cultura viva : e pareva che un approfondimento di ricerca nell ' Italia periferica e negletta fosse , oltre tutto , l ' unico modo di uscire dal provincialismo ( magari pariginizzante ) che ci aveva mortificato , nel ventennio , ma forse sempre . Il cinema neorealista , ed in misura non piccola , ha fatto questo ; ha fatto questo una parte non trascurabile della nostra narrativa , specialmente quella giovane ( diciamo , per far dei nomi , Levi , Pratolini , Jovine , Rea ) . Ma anche i giornali quotidiani e rotocalco , pur con vario e non sempre lodevole intento , hanno assunto una loro parte , per niente trascurabile , in questa « scoperta » della provincia e non è raro , oggi , leggere « servizi » , anche illustrati , nei quali si « scopre » una città , un villaggio , un lembo d ' Italia , insomma . In questa direzione anche la Maremma ha avuto i suoi « scopritori » , che di solito però han seguito itinerari suggeriti dalla tradizione : gli etruschi , per esempio , od i butteri , o i cinghiali . Ma non pare che sia questa la strada più sicura per intendere davvero la Maremma . Gli etruschi sono un tema allettante ( oltre che per gli archeologi seri , s ' intende ) solo per chi vuol trastullarsi coi fumosi e dilettanteschi idoli della origine illustre , i butteri non esistono più da quando in Maremma si è iniziato l ' appoderamento e son scomparsi di conseguenza i larghi spazi a pascolo ; i cinghiali , ed in genere la caccia , fanno parte di un fenomeno domestico , ormai , e si trovano solo in bandita . La cerchia delle mura Grosseto , in breve , non è questo : e credere che sia questo è un atteggiamento di comodo , conservatore . Grosseto si scopre davvero giungendo dalle alte terre dell ' interno , per esempio dai poggi di Scansano , meglio se d ' autunno inoltrato . Quando si aprono le nubi un raggio di sole rivela la città , bianca e distesa in mezzo alla pianura con le sue strade diritte ad affrontare la campagna . Il vecchio nucleo urbano si distingue ancora , chiuso e contorto nella vecchia cerchia delle mura , che in questo caso , più che a difendere la città , pare che servano , al contrario , a difendere proprio la campagna , contro gli assalti della città . La quale ha ormai rotto le difese e trabocca e cresce vittoriosa fuori da quei limiti angusti : eccola là , a mezza strada fra Livorno e Roma , la vera capitale di questi trecentocinquanta chilometri di costa tirrenica . La stessa sensazione se la guardiamo dall ' interno . Qui a Grosseto , più che le vecchie strade della città antica , ben più modeste che nelle illustri sorelle di Toscana , Firenze , Pisa , Lucca , ma anche San Gimignano e Volterra e Massa Marittima , più che la stessa città delle mura , rifatta dai Medici su resti senesi , più che la modernissima cattedrale , più insomma che tutto quel che di solito segnalano le guide turistiche , qui a Grosseto si « scopre » davvero la periferia , dove rinasce appunto quella sensazione di slancio attivo e di conquista della città sulla campagna . In certe zone della periferia lo sviluppo è stato così improvviso che la pur vigile amministrazione democratica della città non riesce a tener dentro , con la strada e l ' acqua e la luce , alle nuove case , ai nuovi quartieri che sorgono nel breve volgere d ' una stagione . Si direbbe quasi che nella sua vittoriosa avanzata contro la campagna , nel cuore della campagna , la città trascuri questi frammenti di campagna : ha fretta , e penserà più tardi a completare la conquista . Così sta nascendo , all ' estrema periferia nord , una grande arteria che ha preso il nome beneaugurante di « Viale della pace » . In questo modo accade a Grosseto di trovarsi di fronte ad una nuovissima villetta borghese , con il giardino e la siepe di rose , sorta improvvisa in mezzo ad uno spiazzo erboso accanto ad uno sterrato , ad un orto ; o un grosso moderno blocco di case popolari che sovrasta un antico casolare cadente ed abbandonato ( proprio la « casina lontana lontana » della nostra infanzia ) tanto che ormai serve solo ai bambini , che ci giocano dentro . Il giorno di mercato Le case hanno l ' intonaco ancor fresco , e già portano visibili i segni della vita cominciata , i panni tesi , le tendine fresche , un vaso di gerani , qualche particolare insomma che già personalizza un appartamento , una finestra , un piano . Ancora la stessa sensazione se a Grosseto si capita in un giorno di mercato , quando dalla campagna e dalla montagna accorrono venditori e compratori : il loro concreto e rapido contrattare nella piazza affollata dice la vitalità del commercio . E si compra , si vende , olio , grano , vino , legna , bestiame , macchine agricole , i prodotti della provincia che dalla provincia partono per ogni luogo d ' Italia . Non è un paese sterile , questo , o sfiduciato . Con quarantaquattro abitanti per chilometro quadrato , la Maremma ha fiducia nel proprio avvenire , e si apre ai forestieri , li chiama a lavorare . Anche per questo la Maremma è democratica . Non a caso un ufficiale americano , che visse in Maremma durante la guerra , diceva che ogni volta , passando da Grosseto , aveva la sensazione di trovarsi a casa sua , a Kansas City . Non a caso , perché davvero Grosseto deve somigliare alle città americane del tempo dei pionieri , alle città della frontiera . Grosseto come Kansas City .
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GROSSETO , dicembre - C ' è un proverbio dell ' Ottocento che dice : « Per fare un grossetano , uomo di Pistoia e donna di Scansano » . Ed in realtà Grosseto si è formata proprio quando uomini di ogni parte di Toscana sono scesi a bonificare , a dissodare . Pistoia , è chiaro , significa Toscana tutta , e forse qualcosa di più . Venivano dal Casentino e da Siena , dalla val di Nievole e da Lucca , dal Valdarno e da Livorno , ma c ' erano anche dell ' Appennino romagnolo , persino della Valle padana , quelli che , nelle colline della Maremma alta , con un termine complessivo e storicamente esatto , ancora oggi si chiamano « lombardi » . E c ' erano abruzzesi e marchigiani , dalla parlata stretta e difficile , che a fatica si capivano : erano pastori , barrocciai , badilanti , muratori , medici , preti . Avevano tutti fiducia nell ' avvenire di una terra che concedeva solo aspra fatica , disagi , e la terribile micidiale malaria che gonfia la milza ed atterra in poco tempo anche l ' uomo più robusto : « Grosseto ingrossa , Batignano fa la mossa , Paganico sotterra l ' osso » : anche questo , triste , è un proverbio dell ' Ottocento . In Maremma , il lavoro ed il disagio erano per tutti , accomunavano tanti , era difficile che ci si potesse costituire una comunità divisa in caste od in circoli chiusi . Ed anche il grande proprietario era come gli altri , se non altro affrontava il caldo e le zanzare : di questo , perfino ora che il latifondista ha fatto il suo tempo , resta una traccia nel costume cittadino , rimasto aperto e spregiudicato . Non ci sono a Grosseto locali esclusivi , circoli chiusi , e molto difficilmente prosperano i gruppi di élite . Qui sono tutti figli di « pionieri » , scesi nella città della « frontiera » , quasi per una battaglia contro il padule e la morte . Grosseto come Kansas City anche in questo senso , insomma . Gli storici eruditi ed i fanatici delle tradizioni locali ( e questo , per la verità , è un guaio che succede un po ' dovunque ) quando han cercato le origini di Grosseto , non han resistito all ' ambizione della antichità illustre : 1e origini etrusche , i resti di monumenti romani , le bolle papali che nominano Grosseto durante il Medioevo . Ma è chiaro che la ricerca così condotta rimane astratta . Può anche essere utile sapere che Innocenzo II concesse a Grosseto , nel 1138 , il titolo di città , ordinandovi il trasferimento della sede vescovile ; ma l ' atto di Innocenzo Il resta una mera formalità , cui non corrisponde un effettivo rifiorimento di vita cittadina . ' Troviamo infatti che alla metà del secolo xvn la città supera di poco i mille abitanti , e che un secolo più tardi la popolazione si è addirittura dimezzata . In Maremma si giunge persino a rifiutare il dono di vaste distese di terra . Quanto agli etruschi , dobbiamo senz ' altro riconoscere loro il grosso merito di aver saputo dare alla zona una regola idraulica che impediva , con ingegnosi impianti , la formazione del padule . Ma non par giusto , soltanto per questo , mitizzare gli etruschi come se fossero i diretti progenitori dei maremmani d ' oggi . O forse i localisti , senz ' avvedersene , hanno ragione , nel senso che anche gli etruschi , in fondo , più che un popolo etnicamente identificabile , furono un gruppo attivissimo , e di formazione eterogenea , che tenne allora queste cose , come le tengono oggi i maremmani . Ma questa , evidentemente , è letteratura , perché la storia vera di Grosseto comincia coi Lorena , ai quali si deve non soltanto la sistemazione amministrativa della Maremma , ma soprattutto l ' inizio e lo sviluppo di ampi lavori di bonifica , di cui anche oggi , pur con i progressi fatti dalla scienza idraulica , si apprezza l ' utilità . Ma ancora alla fine del secolo scorso , Grosseto viveva in una condizione di inferiorità e di semiabbandono . Qualcuno dei nostri vecchi ricorda le strade bianche , polverose , del grosso borgo oppresso dalla canicola e dall ' afa estive , abbandonato , solo : « Da Porta Vecchia a Porta Nuova era tanto se si incontrava un cane con la lingua ciondoloni » . Era il tempo dell ' estatatura , che durava da sei secoli . Era cominciato nel 1333 , quando il podestà di Grosseto chiese alla repubblica di Siena il permesso di abbandonare la città e di trasferirsi , con tutti gli uffici , a Scansano , durante i mesi di luglio , agosto e settembre . Da allora si continuò l ' esodo estivo , e Napoleone pensò bene di estenderlo all ' intero anno : il che significava che Grosseto era ormai il capoluogo soltanto di nome . I vecchi ricordano l ' estatatura , e ci dovrebbe essere una pagina del Civinini , piuttosto felice , dove si racconta lo squallore di questa emigrazione . Oggi Grosseto ha un clima nuovo , l ' inverno vi è mite e l ' estate ventilata . La città può aprirsi , oggi , ai venti ed ai forestieri . Che continueranno a venire : contadini del Veneto , minatori di Sicilia , carbonai calabresi , pastori del Casentino e dell ' Abruzzo . In un mondo più giusto , in un ' Italia democratica e socialista , la Maremma accoglierà almeno mezzo milione di forestieri . Verranno , un giorno : purché abbiano buona volontà e fiducia nell ' avvenire , la Maremma li accoglierà tutti a braccia aperte . Ed in poco tempo diventeranno anche loro maremmani .
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FOLLONICA , aprile - Visti da lontano , quando si passa in treno , quei poggi fra Castiglione e Follonica presentano un profilo compatto , grigio - azzurro . Nella lontananza la macchia pare uno strato omogeneo , disteso uniforme sulle pendici : persino le fumate delle carbonaie , sotto l ' aria già greve della primavera , paiono fondersi col profilo dei monti e con la foschia . Ma se questi poggi li guardiamo da vicino , si scoprono volumi nuovi ; ciascuno ha un suo singolare profilo di anfratti , botri , fossi . Il lavoro lungo del tempo , della pioggia , ha scavato questa complessa fisionomia . Anche la macchia prende rilievo . Si scoprono piante diverse , vari toni di verde , e profumi mutevoli : questo è leccio , questa è mortella , frassine , carpino , albatro , ornello . La macchia è bassa , giovane ; da questa parte , ci spiegano , il tipo predominante . Quella più giovane , nove - dieci anni , si chiama pedagna o taglio ceduo ; quella un po ' più vecchia invece forteto , sui quattordici - sedici anni . I boscaioli distinguono la macchia sia secondo il criterio dell ' età , sia secondo quello della qualità , e , come dicono , dell ' essenza : dolce e forte secondo la resa della carbonizzazione . Sono tutte cose nuove , che si scoprono a poco a poco , avvicinando i boscaioli e conversando con loro : in genere , rispondono molto brevemente , e senza mai sospendere il lavoro . Veramente i primi che incontrammo erano mulattieri , all ' imposto . L ' imposto , cioè la piazzola di caricamento , è sulle pendici più basse , vicino alla strada , dove possono arrivare anche gli autocarri col rimorchio . Intorno si vedono lunghe cataste di legna , tutta tagliata in pezzi di eguale lunghezza , un metro , ed anche sui muli che scendono in fila dal poggio , si scorge la stessa legna , nella stessa misura . Anche la catasta è alta un metro , ed in questo modo risulta molto facile calcolare la quantità di legna tagliata . I metri di lunghezza della catasta corrispondono infatti esattamente ai metri steri del volume complessivo . Queste cose ce le dice un mulattiere , alto e grosso di Cecina , mentre carica il suo mulo : intanto continua il suo lavoro , e non interrompe neanche la conversazione con la sua bestia ; a volte , la rimprovera , a volte la vezzeggia . Quando il carico è ultimato dà un ordine breve , ed il mulo si muove , dietro gli altri . Più su sta caricando un suo compagno , un marchigiano bassotto e tarchiato . Il cecinese si rivolge a lui ad alta voce , qualche volta , per avere un chiarimento alle nostre domande : « Ehi , tu , Passione , quanti ce ne sono qua , delle tu parti ? » . Gli chiedo perché lo chiama in quel modo , che cosa significa « Passione » e mi risponde che il suo compagno , da buon marchigiano , ha sempre in bocca quella parola , come intercalare , e che perciò tutti , ormai , gli dicono « Passione » . Ma i boscaioli sono più in alto , e non sarà difficile trovarli , basta seguire il taglio del bosco . La macchia infatti , fino alla metà della pendice , è stata tagliata ed il legno è quasi tutto a terra , tranne qualche pianta che resta in piedi , e che viene lasciata perché il bosco non resti tutto abbattuto : queste piante risparmiate costituiscono il « corredo » del bosco . Ma più su ecco la macchia compatta , che si leva dritta e folta , impenetrabile come una muraglia verde . Basta girare il colle ed ecco i boscaioli . I primi che abbiamo incontrato erano tre fratelli della Garfagnana , i fratelli Bechelli . Nemmeno loro hanno interrotto il lavoro , quando li abbiamo interpellati . Uno , il mezzano , Francesco Bechelli di 22 anni , accetta una sigaretta e si mette a parlare con noi , mentre prepara il pranzo . Sono appena le undici e mezzo , ma il pranzo dei boscaioli è sempre molto per tempo , perché il lavoro si regola col sole , e quindi c ' è ancora molto da lavorare in questa stagione . « Cosa mangiate di buono ? » « Minestra in brodo . » Riempie d ' acqua un paiolo , accende sotto un focherello di sterpi . « Quando l ' acqua bolle ci butto la pasta . » In un recipiente a parte prepara un soffritto con un po ' d ' olio , aglio , conserva di pomodoro . « Quando il soffritto è pronto , mescolo tutto , e si mangia . » « Ma la carne non ce la metti ? » « La carne ? Quella si mangia la domenica » . « E per dopo cos ' hai ? » « Pane e cacio » . Francesco Bechelli , ventiduenne , ha un paio di calzoni fino al ginocchio , di vecchia stoffa , rattoppati . Indossa un farsetto a maglia di tipo militare , e sotto si vede una camiciola bianca , di lana grezza . In testa porta un vecchio cappello da alpino , che apparteneva a suo padre , durante l ' altra guerra . « Così anche quella è servita a qualcosa » conclude . Lui non ha fatto la guerra , naturalmente , e nemmeno il soldato : alla visita lo scartarono perché aveva l ' ernia , e l ' ha ancora . Le sue prospettive per l ' avvenire ? Ha un fratello in America , e potrebbe andar via anche lui , se facesse la richiesta , ma con l ' ernia incontra difficoltà ; e poi non ha soldi per il viaggio . Guadagna bene , dice lui , più di mille lire al giorno , e qualche volta riesce persino a metter soldi da parte . Ma poi capita la stagione morta , senza lavoro , ed allora ci si mangia tutto . Poi c ' è il babbo , che ormai è vecchio , e bisogna mantenerlo . Ora è su al paese , in Garfagnana . Francesco Bechelli vive coi due fratelli e con un altro , nella capanna lì accanto . È una piccola capanna a « dispensa » . La capanna dei boscaioli ha un ' armatura di rami sfondati , a sezione trapezoidale , come un padiglione ( quello che , in gergo , si dice appunto « dispensa » ) . Ce ne sono anche con due sole pareti oblique riunite al vertice ; questa foggia si dice , in gergo , a « Gesù » , perché la posizione delle pareti ricorda quella delle palme riunite nella preghiera . Ma è una foggia antica , scomoda , che va scomparendo , ed infatti quasi tutte le capanne che abbiamo visto sono dell ' altro tipo . Sopra l ' armatura di rami si pongono larghe zolle di terra , con la parte erbosa rivolta verso l ' interno . Così , dal di fuori , le capanne di boscaioli paiono più grandi mucchi di fango che abitazioni . Lo spazio interno è molto limitato . Oltre la porta , molto stretta e costruita di solito con rami e scopa , c ' è un breve tratto di terra battuta , nuda , coperta di cenere . Qui , infatti , si accende ogni sera un fuoco di carbonella , che rimane acceso tutta la notte . Da una parte e dall ' altra sono sistemate le « rapazzole » , e cioè le lettiere di rami , scopa e paglia . Per coprirsi hanno coperte di tipo militare . Naturalmente all ' interno non c ' è altra illuminazione se non quella dell ' acetilene , ma capisco che ne fanno un uso molto parco , appena sono a letto , si spenge . Oltre alla compagnia dei fratelli Bechelli , nei paraggi si trovano due famiglie al completo , babbo , mamma e figlioli : la famiglia Bisacci e la famiglia Cresci , l ' una e l ' altra pistoiesi . Qua non è affatto raro trovare forestieri , anzi , sono pochi i maremmani , quelli che , finito il lavoro tornano a casa in bicicletta . Ci sono molti abruzzesi , per esempio , come due giovanotti , fratelli , che lavorano al forno da brace : vivono isolati dagli altri , anche perché sono di un villaggio albanese e non parlano quasi affatto l ' italiano . Alle veglie nessuno li invita mai . « Non c ' è nemmeno sugo , mi dice il Bisacci , nemmeno si capisce quando ragionano . » La veglia è l ' unico rudimentale segno di una vita associata , fra i boscaioli . Quando piove , qualche volta la sera dopo cena , le famiglie amiche , come i Bisacci e i Cresci , si riuniscono in una capanna e passano insieme un ' ora , prima di dormire . Di solito , raccontano favole e , meglio ancora , storie di cronaca nera , delitti celebri e processi . « Si parla del bandito Cucchiara , del bandito Russo , quelli che rubavano dalle parti di Massa Marittima . Erano delle parti della Sicilia , laggiù » . Dentro la capanna si conversa con la moglie del Bisacci , una bella donna sopra i quaranta , alta e robusta . « Il nostro lavoro , caro lei , è il peggiore del mondo » dice il Bisacci . « Ma anche i minatori stanno male » , interviene la moglie . « Pensa un po ' tutto il giorno ficcati sotto terra , senza nemmeno vedere il sole . E poi l ' aria che respirano . Almeno noi la salute non ci abbandona . Meglio così , Bisacci » . La moglie chiama il marito con il cognome , come spesso in Toscana fanno i contadini . Quando la chiamo « signora Bisacci » diventa rossa e si schernisce : « Signora io ? ... Ma lo vede come sono conciata , che non sembro nemmeno più una donna , con questi pantalonacci » . Resta inteso che mangeremo da loro , e la Bisacci si dà da fare , per trovarci un po ' di farina gialla per la polenta . Prepara anche una bella salsiccia sulla padella , col grasso che gocciola sulla fetta di polenta , ed ha un po ' di sapore . L ' acqua è quella del bariletto , ancora gelata dopo la notte . Poi si fuma , e gli uomini accettano come una festa le nostre sigarette . Il Bisacci di solito prende il trinciato forte . « E quello ti rovina lo stomaco » conclude la moglie . I Cresci hanno cinque figlioli e stanno poco più su , tutti in una capanna . Delle due rapazzole , una serve ai genitori e alle bambine , l ' altra ai figli maschi . I Bisacci hanno solo due figli . Uno maggiore , Domenico , un ragazzo alto e biondo che da poco ha passato la visita di leva , parla volentieri , ed accetta anche le burle , come quando gli domandiamo se si è trovato la fidanzata . Ogni tanto , ci dice , va a ballare dai contadini ; sabato scorso , per esempio , rientrò tardi , ed il vecchio non ne fu contento . « Tu sei boscaiolo ed il posto tuo è qui al capanno . Guarda se io mi muovo mai ! » « Ma non ci siamo mica legati con la catena , qua dentro » . Domenico ha fra le mani un settimanale illustrato di sport . Capisco che ne compra spesso , perché la madre ne ha fatto dei ritagli per ornare una mensoletta di legno , con sopra un bicchiere , il pettine , la medicina per lo stomaco del marito . Chiedo a Domenico cosa legge di solito , se si limita ai giornali sportivi , o se legge anche gli altri . « Si legge quel che capita . L ' Unità , Il Mattino , l ' Avanti ! , Il Messaggero , La settimana enigmistica , Otto , Bolero . Quando uscirà lo scritto suo me lo mandi : Domenico Bisacci , Puntone . Follonica , provincia di Grosseto . Parlate di noi , spiegate come si campa , il nostro lavoro . Fate qualche cosa per noi ! » .
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I lavoratori boschivi , in Italia , sono sessanta o settantamila . Di questi quasi trentamila lavorano in provincia di Grosseto . E sono per metà indigeni e per metà forestieri . Durante la guerra , quando c ' era gran richiesta di legna da ardere e di carbone vegetale ( usato perfino nei forni di fusione , al posto del coke ) , aumentarono fino ad otto - novecentomila . Oggi , vi è una forte crisi , dovuta al cresciuto uso delle cucine e dei forni elettrici od a gas , alla concorrenza della legna straniera , alla spogliazione dei boschi che si fece in passato . Se fino a qualche tempo fa buona parte della lavorazione era affidata a piccoli appaltatori , oggi questi sono stati ovunque soppiantati dalle grandi imprese industriali ( l ' Armenti , il Morganti , il Poli ) . L ' appalto del bosco implica sempre una forte anticipazione di capitali . Occorre acquistare il taglio ( il bosco « in piedi » , come si dice ) , pagare gli operai , provvedere agli attrezzi , e prima che il bosco dia il guadagno , passano cinque , sci mesi . D ' altro canto il guadagno è sicuro e molto forte . Il Signor Garibaldo Nannetti , un ex boscaiolo maremmano , che è stato anche segretario nazionale del suo sindacato , che in tale veste ha stipulato nello scorso aprile il contratto nazionale , ci ragguaglia rapidamente sui costi e sui redditi . Un bosco di 12 anni , tipo forteto - Maremma ( cioè leccio , corbezzolo , erica , ornello ) dà una media di 50-55 metri steri per ettaro , equivalenti a 455-460 quintali di legna , ed a 93 quintali di carbone . La media produttiva di un taglio ceduo di madricano o di cerro sale invece a 65-70 metri steri , per 595mi1a quintali di legna , o 125 di carbone . La legna costa 800 lire al quintale , il carbone 3000 lire ( si parla di prezzo posto stazione ) . Le spese , con un calcolo generoso , si possono così riassumere : 110 al quintale per mano d ' opera , 200 per il macchiatico , 150 di trasporto , 50-60 di assicurazioni , 100 lire per spese varie ed impreviste . Complessivamente quindi un quintale di legna costa 6 820 lire , ed il guadagno netto è di 190 lire al quintale . Ciò significa che per ogni etto di bosco si realizza un guadagno che va dalle 81.900 alle 108.000 per ettaro . Il guadagno è superiore se si calcola in carbone . I principali prodotti dell ' industria boschiva sono : la legna da ardere ed il carbone vegetale , che si ottengono specialmente dal taglio ceduo ( che qui si chiama « pedagna » ) e dal forteto . Il ciocco di scopa si utilizza per la fabbricazione delle pipe , e se ne esporta molto anche all ' estero , in Francia , in Svizzera e persino oltremare , in Inghilterra ed in America . La macchia di alto fusto ha un impiego più largo . Con la quercia si fanno traverse per la ferrovia ; travi di quercia si usano anche per la costruzione di carri , ferroviari ed agricoli , o come legname da miniera . Il legno di castagno , anch ' esso di alto fusto , serve invece come materiale da mobilio , perché è molto leggero . Inoltre la parte più vecchia del tronco e dei rami fornisce il tannino , indispensabile per le concerie . La sughera , anch ' essa di alto fusto , dà il sughero , che è poi la scorza della pianta , oltre al legno , che è ottimo per ardere . Mobili si fanno anche con il pino , l ' abete , il larice , il pioppo e l ' ontano . Dai boschi si ricava anche la ramaglia minuta , che si utilizza per le fascine da ardere e per la carbonella . I lavoratori boschivi secondo il compito loro affidato , sono perciò carbonai , segantini , cavatori di ciocco , tagliatori , braciai . La carbonizzazione è il compito più difficile e più faticoso . Ammucchiata una catasta di legna , con un foro centrale per il tiraggio , si copre il tutto con uno strato di terra e la scelta della terra da copertura ha grande importanza : il carbone maremmano , rispetto agli altri , ha un pregio maggiore proprio per questo . Il processo di carbonizzazione , che si effettua sempre a « fuoco morto » deve essere ininterrottamente sorvegliato per tre giorni . Una distrazione del carbonaio potrebbe far bruciare tutto e compromettere irrimediabilmente l ' operazione . E occorre stare attenti a quando cambia il vento . Se il carbonaio non ha possibilità di darsi il turno , e questo accade ancora , gli tocca vegliare di continuo sulla carbonaia . Per la brace si segue un processo analogo , perfezionato in questi ultimi tempi . Si scava una fossa rettangolare , profonda un paio di metri , lunga altrettanto e larga poco più della metà ; la si riempie di ramaglia , quindi si incendia e si copre con una larga lamiera di ferro , a cerniera , e si provvede , man mano che la ramaglia brucia , a metterne altra fresca . Quando si apre la fossa , le fiamme erompono improvvise e altissime , non senza rischio di scottature per i braciai . I due ragazzi abruzzesi , più a cenni che a parole , ci fecero capire che non passa giorno senza incidenti del genere . Per questo lavoro quali sono i guadagni ? Il contratto nazionale di lavoro assegna agli operai specializzati 1 232,25 lire giornaliere , comprendenti 60 lire di caropane ed un 19% quale indennità accessoria . La paga scende a 973,15 per i manovali adulti , fino a 445,80 per i minori di 16 anni . Purtroppo queste paghe non sono nemmeno rispettate dai datori di lavoro : i Bisacci ed i Cresci , per esempio , ignoravano persino l ' esistenza del contratto nazionale , né venivano , naturalmente , applicate queste tabelle nei loro riguardi . Nannetti spiega anche questo . Anche lui è stato come loro . Ricorda anzi volentieri la sua infanzia nei boschi , quando faceva il « meo » . Bisogna sapere che le compagnie maschili non possono distaccare un adulto per i lavori , se così si può dire , domestici ; ed allora si servono di un ragazzino , nove - dieci anni per rassettare il capanno , preparare il pranzo ecc. I Cresci hanno Giselda , quattordicenne . Le donne adulte hanno il lavoro come gli uomini . Per i boscaioli non c ' è riposo : il contratto di lavoro impone un minimo di produzione giornaliera , che è gravosa , anche perché non prevede situazioni di particolare difficoltà ( macchia folta , per esempio , o terreno scosceso ) . Per i boscaioli non c ' è riposo , tranne quello forzato , e non pagato si capisce , della disoccupazione o del maltempo . Quando è finito il taglio basso , sotto i settecento metri , si spostano in montagna e continuano . Alcuni cercano un ' occupazione stagionale come contadini , piccoli coltivatori diretti o badilanti . In termini tecnici i boscaioli sono una categoria stagionale , di emigrazione , promiscua . Il loro lavoro li disperde , e non si formano mai gruppi associati di notevole entità . Anche sindacalmente , quindi , sono isolati . Eppure bisogna far qualcosa per loro , come chiedeva Domenico salutandoci al limite del taglio . Di lassù si scopriva buon tratto di costa , illuminata da un gran tramonto rosso : il golfo di Follonica , la pineta , i campi lavorati , tanti rettangoli di terra verde e scura , a perdita d ' occhio , fino alla punta di Piombino , avvolta dal fumo delle ciminiere .
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MONTEPESCALI , giugno - Montepescali si vede benissimo , passando in treno , pochi chilometri a nord di Grosseto . E un paesino in vetta di un colle , come tanti altri della Maremma , di chiara origine feudale , con le stradine ripide e tortuose , vecchie case , palazzotti con qualche pretesa . E come tutti i paesini feudali di Maremma , tende a formarsi a fondo valle un vasto sobborgo moderno , col distributore di benzina , lo spaccio di vino e tabacchi , la trattoria per i camionisti . Nel caso di Montepescali , il sobborgo moderno si chiama Braccagni , un agglomerato di case disteso sulla via Aurelia , e accanto alla ferrovia che raduna tutta la vita della vasta pianura sovrastata dal colle . Oggi , Braccagni , con tutta la campagna , conta più di tremila abitanti , mentre su al paese non ve ne sono più di mille . E fu un giovanotto di Braccagni , proprio il padrone della trattoria , che ci propose la conferenza . Aveva sentito dire che alla biblioteca cittadina si conserva un vecchio volume di cartapecora , che riguarda la vita amica di Montepescali , e ci chiese di illustrarlo , di leggerlo . « Non velo dovete tenere tutto voi ; è anche roba nostra , e celo dovete far vedere . » Fu così che decidemmo di inaugurare le gite del bibliobus , proprio come una lettura commentata degli Statuti del comune di Montepescali , redatti nel 1427 da Intendem ser Egidi , Nello Nicolai Nelli e Antonio Di Simone . Nella vetrina del bibliobus , mettemmo in bella mostra il codice manoscritto in bei caratteri rossi e neri su pergamena logora dall ' uso , e con i margini pieni di chiose . La gente si avvicinava , nella piazzetta , intorno all ' autofurgone , a guardare gli scaffali metallici , nell ' interno , tutti pieni di libri : c ' era l ' Università Economica , la collezione popolare Einaudi , rossi e grigi , i volumetti cinerini della BUR di Rizzoli , i tometti eleganti e ben legati con la copertina bianca e rossa di Mondadori . E poi una raccolta di costituzioni antiche e moderne , dall ' Inghilterra agli Stati Uniti , all ' Urss , all ' Italia . Ed ancora : manuali Hoepli di divulgazione tecnica , la coltivazione del grano , le assicurazioni sociali , l ' allevamento del bestiame ; una piccola enciclopedia , un dizionario , la Bibbia ed il Corano . Nella vetrina di esposizione , accanto agli « Statuti » una modernissima edizione d ' arte su Picasso , ed il secentesco Teatro del mondo di Abramo Ortolio , aperto alla tavola della Maremma , dove tutti cercavano Montepescali . Ma l ' attenzione maggiore andava agli Statuti , al libro di Montepescali , come già tutti lo chiamavano . Al teatro venne tanta gente , potevano essere duecentocinquanta o trecento . Gli statuti del comune di Montepescali sono un aspetto della generale revisione statutaria che la repubblica di Siena ordinò tra la fine del Trecento e l ' inizio del Quattrocento , per ovviare alla gran confusione legislativa che si era creata con la promulgazione di tana vera e propria selva di norme spesso contraddittorie o pleonastiche . Sotto questo aspetto , gli statuti di Montepescali non differiscono molto da tutti gli altri . La grossa novità e il motivo centrale di interesse stanno nel fatto che alla redazione hanno visibilmente partecipato uomini del popolo di Montepescali : da qui la vivacità della stesura , e soprattutto l ' aderenza a problemi concreti della comunità . Si insiste a lungo , ad esempio , sulla necessità di una rigorosa regolamentazione idrica : « La fossa maestra , la fossa del pozzo , la fossa de la lama , le fosse di corneccoli , la fossa de le pastine , infino a la lama mantelluccia , la fossa a lato a la via de ' pastini et la fossa de la roveta , la fossa del piano di Sancto Martino , la fossa di Sansucola , la fossa d ' archi , et la fossa de la piscina di prato vecchio cl comune di Montepescali faccia mantenere et acconciare da quelli che sono vicini ad esse fosse , quanto tiene el loro » . Ed ecco , attraverso la norma , questa drammatica descrizione della cattura di un malfattore : « Se assalimento o offesa in persona , con effuxione di sangue o senza , homicidio , furto o robaria , o alcuno altro enorme delicto fusse commesso in Montepescali , o ne la sua corte , per alcuna persona et romore ne nascesse , ciascuno al romore coll ' armi sua debba trarre et pigliare al mal fattore et menarlo preso et ne la forza del comune di Siena preso ci debba inectare » . O il tono dell ' igiene cittadina , attraverso questa colorita vignetta : « Lavatura di scudelle o altra bructura de le finestre ne le vie non si gitti per alcuna persona , ac , prima , chi la gitta no dica tre volte guarda , guarda , guarda , a la pena di soldi cinque di denari per ciascuna volta et mendi el danno a chi Farà ricevuto senza alcuna dilazione » . Ed ancora , due norme di moralità pubblica : « Per servare l ' onestà avemo statuito che , quando le femmine macendolano el lino , nessun huomo vi s ' accosti né vada a casa , né presso si stia passando per via né con le femmine favelli » . « Per conservare l ' onestà delle donne , et a riparare che inconvenienti ne seguino , aviamo deliberato che nessuna femmina , nel tempo si lavorano le vigne et si fa raccolta de ' biadi , possa portare agli uomini mangiare né bere » . Un vecchio seduto in prima fila e che aveva ascoltato senza perdere una parola , a questo punto esplode : « E allora , come facevano quei disgraziati ? Dovevano lavorare senza mangiare ? Questa legge la devono aver fatta i preti » . E non ci fu verso di fargli intendere il contrario . Si affollarono in molti , dopo la lettura , a chiedere spiegazioni . « È vero , professore , che le donne non potevano andare ai funerali ? Perché ? » Qualcuno aveva preso in mano il codice e compitava attento la scrittura quattrocentesca ; poi chiesero , come primo prestito del bibliobus , una copia degli statuti . « Ma poi tornate , tornate presto , a parlarci , a darci altri libri . » Eravamo contenti al ritorno . Soprattutto per questa constatazione . Si può fare della cultura popolare anche su di un « cimelio » . Si può legare la tradizione con le esigenze moderne e popolari . Si può interessare un pubblico non specializzato proprio sudi una rarità bibliografica , che di solito si tiene chiusa in cassaforte , in attesa di mostrarla agli specialisti .
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ARCIDOSSO , luglio - Tutti sanno indicarvi dove abita Pietro Tommencioni : alle Fornaci , un mucchietto di case vecchie dai muri grezzi , senza intonaco , un chilometro da Arcidosso . Basta seguire una mulattiera ripida e la porta con la pergola è quella del Tommencioni . Si va da lui perché Tommencioni è oggi uno dei più vecchi ed autorevoli seguaci di David Lazzeretti , il cassiere anzi , ed il conservatore dell ' archivio della comunità giurisdavidica dell ' Amiata . Ha già passato i settanta e se non fosse per un ' artrite dolorosa sarebbe sempre in gamba . Da giovane ha fatto un po ' di tutto : il contadino , il boscaiolo , la guardia campestre ; oggi , con cinquemila lire di pensione e l ' età avanzata , deve arrangiarsi alla meglio : si è improvvisato ciabattino , fabbrica zoccoli di legno , fa anche qualche piccola riparazione . È rimasto solo con la moglie , una bella vecchietta bianca e quieta , i figli si son tutti sposati . Uno , di cui si vede appesa al muro la fotografia in divisa , è brigadiere di Finanza ad Ampezzo : deve essere il figlio prediletto anche perché aderisce alla fratellanza davidica . Tommencioni parla di tutte queste cose guardandoci con due occhi grigi e vivaci : non si è affatto sorpreso della visita , né ce ne ha chiesto il motivo . Del resto non son rare le gite alle Fornaci per sapere del santo David e della comunità amiantina , e Tommencioni è contento che gli si facciano domande e soprattutto che si parli di loro . Ci mostra la tesi di laurea di una ragazza veronese , che è venuta apposta da lui , ci parla del prof. Donini , che fece una conferenza sul Lazzeretti ad Arcidosso . « E come parlava bene . Lo disse anche il prete che ad Arcidosso non si era mai sentito un parlatore come quello . La gente non ci canzona più , dopo che sentirono quel che disse . » Il Libro dei celesti fiori Oggi i giurisdavidici sul monte Amiata sono un centinaio , fra « segnati » ( in Toscana equivale ad « iscritti » , ma in questo caso vale qualcosa di più , come vedremo ) e simpatizzanti . Ma giurisdavidici se ne trovano anche altrove , a Sabina , per esempio , dove esiste una comunità piuttosto numerosa , fondata a suo tempo dalla moglie di Filippo Imperiuzzi , un sacerdote che seguì David . La comunità ha per primo scopo il mutuo soccorso , con una quota annua di tre lire , esattamente quel che era prima della guerra . Nessuno , oggi , dà soltanto le tre lire , ma è sempre molto poco quel che si può raccogliere , nel fondo comunitario , per l ' assistenza dei fratelli bisognosi . Inoltre essi intendono , a poco a poco , far stampare tutte le opere del Lazzeretti . Due o tre anni or sono pubblicarono il Libro dei celesti fiori , forse il principale manoscritto inedito del santo David : una parte della somma , seimila lire , la versò un fratello che ora sta in America , il Franceschetti , ma fu una grossa fatica pagar tutto : fra l ' altro i giurisdavidici , che non si intendono di queste cose , chiesero alla tipografia soltanto duecento copie , pensando di risparmiare molto con una bassa tiratura . Ora cercano di recuperare in parte la spesa vendendo le copie che restano : ogni tanto viene un professore di fuori e si prende i Celesti fiori , lasciando 350 lire e magari qualcosa di più , come obolo . « Ma a noi importa prima di tutto che la nostra dottrina sia conosciuta ed apprezzata . Noi accogliamo tutti a braccia aperte , ma non facciamo forza a nessuno . Chi vuoi stare con noi , ci sta : chi non vuole , pazienza . Restiamo amici lo stesso , di tutti » . Saltuariamente i giurisdavidici si riuniscono per le loro funzioni e per le loro preghiere , che furon tutte scritte da David . Hanno una loro elementare liturgia , con sette feste religiose : la maggiore dura quattro giorni , dal 15 al 18 agosto e ricorda la passione e la morte di David : in questa occasione la comunità si reca sul monte Labro , dove trascorre un ' intera nottata in preghiera . Per Pasqua fanno la loro comunione , che non è preceduta dalla confessione . « La confessione auricolare » , spiega Tommencioni con insospettata precisione di termini , « non fu accolta dal santo » . Si comunicano con il pane , come nell ' ultima cena . Hanno anche un loro battesimo , che si dà a vent ' anni : con un sigillo immerso nell ' olio bollente , si segnano sul petto la croce davidica con lo stigma delle due « C » che simboleggiano la prima e la seconda venuta di Cristo . Un tragico racconto Tommencioni conserva l ' archivio davidico in una delle tre stanze che formano la sua povera casa : ci sono gli scritti del Lazzeretti e dei suoi seguaci , per esempio del Corsini , che fu anche pittore e che ha lasciato alla comunità alcuni dipinti che rappresentano le visioni del santo , la tragica processione del 18 agosto 1878 , la torre sul monte Labro . Conserva anche , il Tommencioni , alcuni abiti che furono indossati durante quella cerimonia cruenta : una camicia rossa con lo stigma davidico e persino le scarpe ed il berretto che David aveva indosso quando fu ucciso . Su di una scarpa si vede una macchia scura . « Questo è sangue . » Tommencioni ricorda benissimo il racconto che gli faceva suo padre Francesco , che nella processione portava la bandiera proprio accanto a David e vide la morte del santo . La comunità era sul monte Labro da tre giorni , in digiuno ed in penitenza . La mattina del 18 si comunicarono col pane e con l ' agnello , poi si mossero in processione , uomini , donne e bambini salmodianti . « Avevano avuto il permesso dal delegato De Luca : il povero David gli aveva anche dato due lire , per le carte bollate , ma sapeva che sarebbe stato ucciso , l ' aveva detto più volte . Infatti quando furono all ' ingresso del paese De Luca dette l ' alt . « David ordinò ai suoi di fermarsi e fece ancora tre o quattro passi avanti : " Io vado avanti in nome di Cristo e vi porto pace e prosperità . Se volete il mio sangue , ecco il mio petto " . Sparò per primo il delegato , col fucile da caccia , ma fece cilecca . Spararono i carabinieri : sei colpi , sei cilecche . Ma c ' era anche un bersagliere , che De Luca si era aggregato per l ' occasione . Disse una bestemmia , appoggiò il fucile sulla spalla di un altro e sparò » . David , colpito in fronte , sopravvisse ancora per qualche ora e spirò alle Bagnore . Ora i suoi resti sono sepolti a Santa Fiora , insieme a quelli della moglie e della figlia , ma i giurisdavidici vogliono porre almeno una pietra sul luogo della morte . Finora non son riusciti ad avere il permesso , ma il sindaco Ragnini ha promesso che farà tutto il possibile . « È amico mio : e poi noi siamo amici di tutti , vogliamo far del bene a tutti , anche a chi vuol male . Noi abbiamo questa fede , che ci pare giusta e continuiamo sulla nostra strada . Ci possiamo anche sbagliare , ma a noi pare di essere nel giusto » . Tommencioni è stato in guerra , nel 1915 , insieme a Nazzareno Bargagli , anche lui giurisdavidico . Mi dice che non voleva uccidere : « Quelli là eran gente che non conoscevo , che non mi aveva fatto niente . E allora , perché dovevo ammazzarli ? Mi raccomandai tanto a David che mi facesse scappare , ed infatti ebbi l ' esonero . Nazzareno lo stesso : si raccomandò tanto a David , gli chiese di morire , o magari di esser ferito , prima di dover ammazzare qualcuno . E infatti rimase ferito e tornò a casa » . Non è facile far parlare Tommencioni , al principio , quando gli chiedo se la comunità ha idee politiche . Dice che la politica non c ' entra niente , con la religione e che lui di rado legge i giornali . Ma a votare vanno sempre , si capisce . « Ma non c ' è nessun partito che mette in pratica le idee di David , che voleva la fratellanza per tutti , ed il vero socialismo » . « Ma allora come vi comportate , a chi date il voto ? » « A quelli che sono più vicini a noi , ai socialisti » . « Quali socialisti ? » « Quelli veri , quelli di Nenni » . « E perché non agli altri ? » « Quali , quelli di Saragat ? Ma quelli son dalla parte dei signori » . Tommencioni a questo punto si anima , ed alza la voce . « Ma come fate a sapere queste cose , se non leggete mai i giornali ? » « Lo sappiamo , Io sappiamo : durante le elezioni venivano di tutti i partiti , a convincerci ; ma noi non ci facciamo mettere nel sacco da nessuno . Lo sappiamo quel che si deve fare . Avete visto , però , che bel passo avanti . E se si rifacessero le elezioni , andrebbe anche meglio » .
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RIBOLLA , luglio - Se c ' è un luogo , qua in Maremma , che contraddice la immagine convenzionale che molti hanno di questa terra ( i butteri , il palude , i cinghiali ) quel luogo è certamente Ribolla : su di una pianura disuguale , ondulata da brevi collinette brulle , si stendono sparpagliate le casupole dei minatori , congiunte da una lunga strada tortuosa , piena di polvere . Al centro , sudi un viale più largo , un edificio di chiara architettura del ventennio , che fu la sede del Dopolavoro , poi alcune palazzine con qualche pretesa , uno stento giardinetto , gli eucaliptus annosi , che in Maremma furono piantati quando si credeva che potessero contribuire ad eliminare l ' umidità del terreno , e quindi la malaria . Da Ribolla si estrae carbone fossile , lignite , una vecchia miniera che era già in attività prima dell ' altra guerra . La guerra , anzi , ha sempre dato maggior lavoro a Ribolla : fu così al tempo della Prima , è stato così con la Seconda , quando gli operai salirono sopra i cinquemila . Da allora è stata una progressiva riduzione del personale dai tremilaseicento del '48 siamo ai milletrecento circa occupati oggi . La Montecatini , che qui è proprietaria , oltre che della miniera , anche degli impianti , delle strade , delle case , e dell ' aria , scrive sui manifesti che non è vero quanto affermano le organizzazioni sindacali , che cioè si intende smobilitare , ma le cifre restano quelle e quella è la tecnica . Si cominciò col mandare a casa gli ultrasessantenni , poi si istituirono premi di smobilitazione per chi intendeva andarsene , prima sessanta , poi cento , infine trecentomila lire per ogni autolicenziato . Dei cinque pozzi un tempo attivi , due sono stati abbandonati senza allargare le ricerche che molto probabilmente sarebbero state fruttuose : degli altri tre , due sono in esaurimento e la società vi pratica la coltivazione a rapina . Non si preoccupa , cioè , di colmare di terra le gallerie esaurite , e questo rende sempre più probabili vuoti d ' aria , frane ed incendi . Si fa economia di legname da armatura , e gli incendi si fanno sempre più frequenti : nello scorso anno se ne ebbero 200 lievi e 50 gravi , rispetto ai 150 e 35 del 1951 , con un aumento , cioè , rispettivamente del 33,33 e del 42,8 per cento . Negli ultimi tre mesi si sono registrate dodici frane . Il nuovo direttore della miniera , che si chiama ( non è uno scherzo ) Padroni , e non è ingegnere minerario , ma elettrotecnico , ha appunto questo incarico : risparmiare fino alla smobilitazione . Sugli operai si preme in vario modo : minime interdizioni del lavoro sono punite con multa e sospensione in prima istanza , poi con il licenziamento . Il lavoro si svolge con una temperatura che va da un minimo di 34 ad un massimo di oltre 42 gradi : poiché il « calore » , per contratto , dev ' essere retribuito con una indennità aggiunta , la società ricorre al sistema di immettere un gocciolamento d ' aria nei tubi di ventilazione , con il risultato di diminuire il calore , aumentando l ' umidità , oppure fa pressione sui sorveglianti perché registrino una temperatura inferiore a quella reale . Agli operai si impone una norma costante di trenta vagoncini per squadra ( due uomini ) ogni turno , senza tener conto delle infinite varietà della situazione in cui può svolgersi il lavoro : si sono avuti 20 licenziamenti per inadempienza della norma . Nel gennaio scorso l ' operaio Giovanni Brizzigotti è morto schiacciato sotto la gabbia dell ' ascensore : gli mancavano tre vagoncini e la fine del turno era vicina ; la fretta , la stanchezza , una distrazione , e l ' incidente è avvenuto . Tutto questo è stato più volte denunciato al Distretto minerario , in quanto contravviene a precise norme di legislazione mineraria , ma tutto è rimasto lettera morta . Si fanno , naturalmente , discriminazioni di carattere politico e sindacale . L ' anno scorso la società istituì una multa di cinquecento , e poi di mille lire , per gli scioperanti , ed un premio eguale per i crumiri . Molti , pur non accettando lo sciopero e recandosi al lavoro , hanno rifiutato il premio ; cinque sorveglianti hanno chiesto di lasciare il grado e di ritornare semplici operai . Tutte queste cose mi dice Duilio Betti , un dirigente sindacale : è un giovane sui trent ' anni , di robusta corporatura . Parla marchigiano , ed infatti è nato ad Urbino , ma la lunga permanenza in Maremma dà al suo accento improvvise e strane aperture toscane : quando dice « Montecarlo » aspira con enfasi la « ci » , come un operaio del luogo . Ha lavorato anche alla pirite di Gavorrano , ma ora , nella sua qualità di dirigente sindacale , è in aspettativa . L ' episodio più recente di lotta risale allo scorso marzo . Quarantotto operai minacciati di licenziamento rimasero nel pozzo per tre giorni . La polizia bloccò gli accessi , sperando di prenderli per fame , ma senza risultato . Allora , la società decise l ' intervento armato : dirigevano le operazioni , insieme al vicequestore , il direttore della miniera ed il dottor Riccardi , commercialista , transfuga dei sindacati operai ed attualmente direttore politico del gruppo delle miniere della Maremma . Abita a Massa Marittima , organizza circoli culturali per impiegati e tecnici , ha istituito il « prete di fabbrica » , cioè un sacerdote che avvicina gli operai , anche in fondo ai pozzi , e li « rieduca » . Anche il premio di crumiraggio è opera sua . La polizia invase i pozzi , circondò gli operai , li catturò senza che facessero un gesto di ribellione . Il commissario di P.S. , mi racconta Betti , non voleva ammanettarli , perché non avevano commesso reato alcuno , ma la direzione della miniera reclamò che venissero fuori con i ferri , per dare l ' esempio agli altri . Furono arrestati ed incarcerati sotto l ' accusa di « violazione di proprietà » e rilasciati dopo cinque giorni di detenzione ; naturalmente hanno avuto subito il licenziamento . I giornali democristiani parlarono della « brillante manovra » della polizia e si felicitarono con chi la diresse . I giornali democristiani dipingono sovente i minatori come degli agiati incomprensibilmente scontenti : il fatto è che la media dei salari si aggira , tutto compreso , sulle 35mila lire mensili . Si hanno delle punte fino alle 55-60mila lire , come è il caso dell ' operaio Capitani , che ha quattro figli ed un lavoro specializzato : ma Capitani ha trentotto anni e ne dimostra cinquanta , dopo ventotto di miniera . Mancano le case , a Ribolla . Ho visto famiglie di quattro persone abitare in una sola stanza , divisa da un tramezzo che separa la camera dalla cucina . Stanze incredibilmente pulite e rassettate , all ' interno , magari con la radio e la cucina a gas , ma senz ' acqua , con un gabinetto comune ogni trenta - quaranta famiglie . I cedimenti del terreno provocano vibrazioni e conseguenti paurose crepature nei muri . La Montecatini le ha dichiarate inabitabili , rifiuta gli affitti , ed ingiunge alla gente di andarsene , ma dove ? Intanto le più pericolanti sono state « incatenate » , assicurate , cioè , con un cavo teso intorno alle quattro pareti , un metro sotto il tetto , per impedire che si sfascino improvvisamente .
LA SATIRA GIOCOSA DEI CANTERINI DELL'AMIATA ( Bianciardi Luciano , 195 )
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CASTEL DEL PIANO , agosto - I « canterini » di Castel del Piano erano già riuniti intorno ad un gran tavolo nel circolo dell ' ENAL ; ognuno , naturalmente , aveva davanti a sé un bicchiere , ed al centro troneggiava un bottiglione di vino rosso . Poi comprendemmo la regola : ad ogni canto un bicchiere , e pensava a riempirli il sindaco in persona , un giovanotto con gli occhiali , che fa t il maestro , livornese di nascita , ma ormai amiatino di elezione ( è stato sindaco ininterrottamente dalla Liberazione in poi ) , tanto che ormai tutti lo chiamano affettuosamente « il sor Mario » . Son tutti boscaioli o contadini , i « canterini » di Castel del Piano , di vecchia famiglia amiatina , e si chiamano infatti Gianneschi , Fazzi , Santella , tutti nomi che ricorrono frequentissimi in questi paesi . Non si sentivano a disagio davanti a quel pubblico imprevisto di professori , anzi , improvvisarono persino due versi di saluto per 1'« illustre De Martino » , che , c ' era da aspettarselo , faceva rima con vino . E l ' illustre De Martino , che altri non era poi se non l ' etnologo Ernesto De Martino , confessò la propria limitatezza , perché non riuscì a ringraziare che con due banali parole d ' occasione . « Un vero etnologo dovrebbe rispondere in poesia , riprendendo il metro ed il motivo di saluto . » Fino ad un paio d ' anni or sono nessuno , fuori dall ' Amiata , conosceva i « canterini » di Castel del Piano , ed in generale passavano per una brigata di libatori serali , ed il canto veniva considerato come un pretesto per bere , e non più . Poi qualcuno aprì le orecchie e capì che c ' era dentro qualcosa di più importante : si preoccupò , intanto , di raccogliere i versi , che son affidati di solito alla tradizione orale , poi , l ' anno scorso , si esibirono alla radio , in una trasmissione per dilettanti , e furono senz ' altro il numero migliore . Molti giovanotti « à la page » , qua in città , convennero che ci poteva essere , da parte loro , un interesse per questo tipo di musica folkloristica , meglio forse che nei canti negri di New Orleans o nel « be bop » . Il pezzo che tanto piacque alla radio lo abbiamo sentito stasera , ed i « canterini » hanno consentito a cantarcelo a ritmo più lento e staccato , in modo che si potessero afferrare le parole . È una satira delle donne e della moda moderna . Dice il primo ritornello : Con le mode parigine , che ora fan le signorine , son così strane , che fan l ' effetto di tante befane . La similitudine , come si vede , accosta la donna ad un ' immagine di familiare ed affettuosa bruttezza , quella , appunto , della befana . Ma la satira si fa più precisa e mordente nelle strofe successive . Ecco la moda dei capelli corti ( quelli che , in gergo cittadino , si dicono « alla tifo » ) anche qui accostata agli effetti di una malattia , la tigna . Con le trecce sì tagliate , par che sian tutte tigrate . Non c ' è che dire : più brutte di così , fanno morire . Il linguaggio , come si vede , ed anche le immagini son tratti dalla vita di tutti i giorni : ed ecco infatti come è satireggiato l ' uso smodato della cipria e del belletto : Il viso l ' hanno tutto infarinato , per questo è rincarata la farina ; sembrano pesci tolti dal mercato per friggerli in padella di cucina . Non manca , ovviamente , la satira contro i costumi da bagno troppo succinti . « Di molte al sole , conclude una strofa , vanno davvero con le mutande sole » . E dove andremo a finire ? Ma se andrem di questo passo le vedremo andare a spasso come facevan tranquillamente un tempo Adamo ed Eva . La strofa è cantata dal capotavola , un contadino piuttosto piccolo di statura , con gli occhi vivaci , sorridente , che segna il tempo con l ' indice ed il pollice della mano destra , in un gesto elegante , come di chi afferri qualche cosa sottile e delicata . Chiude ogni verso nettamente , senza le sbavature finali che di solito si sentono in questi canti popolari , ed attende una battuta , prima di cominciare il verso successivo , mentre continua l ' accompagnamento , senza abbandonare il suo gesto . Gli altri accompagnano a più voci , e ne vien fuori un fondo sonoro notevolmente complesso , anche perché all ' estremo della tavola c ' è un altro contadino che svolge autonomo un motivo melodico in esatto contrapposto con il canto dello « storico » . A volte la strofa è cantata da un altro , un boscaiolo alto , con la faccia asimmetrica ed un paio di baffetti neri : a lui toccano i versi più arditi , come la boccaccesca vicenda della Pinottola , una vecchia canzone di origine rinascimentale , e con area di diffusione che interessa quasi tutta l ' Italia centro - meridionale , o la storia di Bistone , il contadino grosso e furbacchione , che si cattiva la protezione del padrone chiudendo un occhio di fronte alle sue tresche con la moglie . Più spesso le storie d ' amore insistono sulla fragilità della fanciulla , che pur trova la forza di vincere tutti gli ostacoli per avere il suo giovane . Mamma non mi mandar fuori la sera son piccolina e non mi so guardare . I giovanotti son fuor di maniera mamma , non mi mandar fuori la sera . Ed alle offerte d ' amore del pescatore , che sfida i venti e la tempesta , la montagnola risponde : Non posso amarti , o pescatore dell ' onde , perché son piccolina e tu sei grande , son nata su in montagna fra le fronde dove fioriscono castagne e ghiande . Lieti canti d ' amore , satira affettuosa dei difetti delle donne , non c ' è in questi canti una sola nota di tristezza e di tragedia . Ma non vi manca , invece , un puntuale richiamo alla vita quotidiana , al mondo concreto del lavoro : Manina , mm mi mandare al fornacione ché ci hanno fabbricato tre cancelli : da quel dì mezzo ci passa il padrone e da quell ' altro i giovanotti belli .
DA UNA LINGUA MORTA NASCE UN NUOVO LINGUAGGIO ( Bianciardi Luciano , 1953 )
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In una lettera dalla casa penale di Turi alla sorella Teresina , Antonio Gramsci ricorda la zia Grazia , la quale era convinta dell ' esistenza di una « donna Bisodia » , dama pia dei tempi andati , quando la gente andava in chiesa e c ' era più . religione a questo mondo . Donna Bisodia veniva spesso citata come un venerabile esempio da imitare , e tanta era la sua buona fama che il suo nome era stato perfino inserito nel Pater Noster . In realtà si trattava del « da nobis hodie » , che la zia Grazia , e chissà quante altre donne con lei , in Sardegna e fuori , pronunciavano in quel modo . Gramsci pensava che si potesse utilmente scrivere una novella su Donna Bisodia : ed in effetti può avere un qualche interesse un esame approfondito e comparato delle deformazioni che in bocca al popolo avvengono delle preghiere latine . I poeti dialettali , primi fra tutti il Belli e il Fucini , non si sono lasciati sfuggire questo elemento di folclore , e tali deformazioni hanno abilmente inserito nei loro sonetti . Il Toschi ha esaminato a fondo , in una sua operetta recente ( Fenomenologia : del canto popolare ) tutte le possibili varianti del Dies irae . Famosissimo , fra queste , il « Tiasillo tiasillo , signore pigliatillo » , che ritorna in Napoli milionaria del De Filippo . Già entrata nella lingua parlata , e persino in quella letteraria dell ' Ottocento ( Guadagnoli , Bandi ) la « sperpetua » altro non è se non la « lux perpetua » della preghiera dei defunti . Anche abbastanza nota è la storiella ( non si sa se vera od inventata ) di « Terenosse in du ' casse » , cioè « et ne nos inducas » , che dà origine ad un favoloso gigante Terenosse che , dopo morto , dovette essere diviso in due parti , e ciascuna collocata in una bara distinta , tanta ne era la mole . Ora , cosa significano queste deformazioni ? La Chiesa cattolica , conservando il latino nella pratica liturgica , conferma il carattere sostanzialmente conservatore della sua politica culturale ; non solo , ma esclude automaticamente dalla partecipazione diretta e cosciente alla cerimonia religiosa le masse popolari , costrette a subire una lingua lontana e del tutto sconosciuta , esse che quasi sempre non parlano neppure l ' italiano . Il popolo reagisce a questa limitazione imposta dall ' alto ed anche se ripete le preghiere senza affatto intenderle , finisce poi col deformarle , inconsapevolmente , e addirittura col tentarne una versione puramente fonetica . In questo processo di assimilazione si sperimenta anche l ' efficacia della lingua parlata , che nel caso dell ' italiano , o dei suoi molteplici dialetti , è veramente notevole . Si pensi ad Ackwood che molto presto diventa « acuto » ; Si pensi a certi ragazzini del popolo , a Livorno , che italianizzavano rapidamente i nomi degli attori del cinema americano : così Bruce Cabot ( che era specializzato nei ruoli di cattivo ) diventava « Bruciacappotti » , mentre Spencer Tracy ( quasi per contrapposizione ) « Spengistracci » . Ma , tornando al nostro tema , noi troviamo questo processo di traduzione a suono molto più intenso proprio dove il latino si fa più complesso e distante dalla comprensione popolare . È per questo che le maggiori spese della deformazione toccano al Tantum ergo , che è un inno redatto in un latino dottissimo , non solo , ma esprime sottili concetti teologici che , anche in una traduzione italiana resterebbero incompresi . Non per niente ne è autore Tommaso d ' Aquino . Eccone i primi versi : Tantum ergo sacrantentum veneremur cernui ; et antiquum documentumt novo cedat ritui . Praestet fides supplementuni sensuum defectui . E cioè ( si perdoni la traduzione certamente scialba e inefficace ) : « Veneriamo dunque prostrati un sì grande sacramento : e l ' antica testimonianza ceda al nuovo rito . La fede venga poi in aiuto al difetto dei sensi » . Ebbene , ecco come in una zona piuttosto vasta dell ' Abruzzo la gente traduce l ' inno : Canta il merlo nel frumento veneremo a cena qui : com ' è antico ' sto convento novecento e tredici . Pesta i fichi su pel mento senza difetto . Non si può negare che lo spirito popolare ha avuto un certo garbo in questa pseudotraduzione : a nessuno sfugge il sapere idillico dei primi due versi , con quella cena fra amici , in campagna , mentre il merlo canta fra le messi . O lo stupore ammirato per l ' antichità del concetto : novecento e tredici . L ' accentazione sbagliata , oltre a salvare il ritmo , par che sottolinei la fantastica antichità dell ' edificio . A Radicondoli , un paesino della campagna senese , troviamo il « Praestet fides supplementum » che è diventato addirittura : « Presta il figlio a sor Clemento » , mentre ( è un altro verso dal Tantum ergo ) il « Salus honor , virtus quoque » si traveste così « Salo , salo , Cristo scote » . Sulla costa maremmana , a Castiglione della Pescaja , un verso di una preghiera rogatoria , che dice : « Te rogamus , exaudi nos » , diventa : « Tre rogavano , e quattro no » . Sempre a Castiglione , il « procedenti ab utroque » ( che è anch ' esso nel Tantum ergo ) si deforma così : « Procedenti siamo troppi » . Qui è chiaro che la gente ha accettato , del verso , la prima parola , che ha pur qualche senso in italiano ( anche se non quello esatto ) , ma ha creduto indispensabile trovarne uno per quell ' inusitato ed inspiegabile « ab utroque » , volgendolo pedestremente in « siamo troppi » .