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Chi brucia le legislature ( Bobbio Norberto , 1983 )
StampaQuotidiana ,
Che il voto di scambio aumenti a danno del voto di opinione , come ho scritto precedentemente , è , anche questa , una vecchia storia . In un discorso pronunciato alla Camera dei deputati il 27 gennaio 1848 , Tocqueville , lamentando la degenerazione dei costumi pubblici , per cui « alle opinioni , ai sentimenti , alle idee comuni si sostituiscono sempre più interessi particolari » , diceva , rivolto ai colleghi del Parlamento : « Mi permetterei di domandarvi se , per quanto ne sapete , in questi ultimi cinque , o dieci , o quindici anni , non sia cresciuto incessantemente il numero di coloro che vi votano per interessi personali o particolari ; e se il numero di chi vi vota sulla base di un ' opinione politica non decresca incessantemente » . Considerava questa tendenza espressione di « morale bassa e volgare » seguendo la quale chi gode dei diritti politici « ritiene di essere in dovere verso se stesso , i propri figli , la propria moglie , i propri genitori , di farne un uso personale nel proprio interesse » . Se la storia è così vecchia bisogna concluderne che la democrazia ideale e la democrazia « realizzata » ( per servirci della stessa espressione con cui si rappresenta la degenerazione del sistema sovietico rispetto all ' ideale ottocentesco del socialismo ) non sono la stessa cosa . Idealmente la democrazia è la forma di governo in cui esistono alcuni istituti , in special modo il diritto di voto distribuito a tutti , destinati a consentire ai governati di controllare i governanti . In realtà le cose sono un po ' più complicate . E ' vero che il potere dei governanti dipende in larga misura dal numero dei voti , ma è anche vero che il numero dei voti dipende dalla maggiore o minor capacità dei governanti di trovare i mezzi per soddisfare le richieste degli elettori . Tra elettore ed eletto si viene così a stabilire un rapporto di dipendenza reciproca . L ' eletto dipende dall ' elettore riguardo alla sua legittimazione a governare ; l ' elettore dipende dall ' eletto se vuole ottenere certi benefici di cui il presunto dispensatore è chi dispone di pubbliche risorse . In questo modo colui che dovrebbe essere il controllore diventa a sua volta il controllato . Si ponga mente alla espressione comune del linguaggio politico : « Quanti voti controlla quel tale deputato , quel tale consigliere comunale , quel tale leader politico nel proprio partito ? » Tocqueville credeva che l ' unico rimedio fosse nell ' elevazione della pubblica moralità . Era convinto che al buongoverno contribuissero più i costumi che le istituzioni , più gli uomini che le leggi . Diceva : « Questa malattia da cui bisogna guarire ad ogni costo e che , credetemi , ci colpirà tutti , tutti capite , se non faremo attenzione , è nello stato in cui si trovano lo spirito pubblico e i pubblici costumi » . Non diversamente , un altro grande scrittore politico dell ' Ottocento , John Stuart Mill , riconosceva che il buongoverno dipende dalle buone leggi , ma aggiungeva che le buone leggi abbisognano di buoni uomini per essere applicate : « A che servono le buone regole di procedura - si domandava - se le condizioni morali del popolo sono tali che i testimoni generalmente mentono e i giudici si lasciano corrompere ? » Distinguendo i cittadini in attivi e passivi , sosteneva che i governi dispotici si reggono sui secondi , i governi democratici hanno bisogno dei primi . Di fronte alla pubblica corruzione , precisava , i passivi dicono : « Bisogna aver pazienza » , gli attivi : « Che vergogna ! » Senza aver mai letto né Tocqueville né Mill molti italiani di oggi la pensano nello stesso modo . Ma le prediche morali purtroppo non servono . Si tratta di sapere se ci sono rimedi istituzionali o politici . Scartata come inefficace la norma costituzionale che vieta il mandato imperativo ovvero impone al rappresentante una volta eletto di non tener conto degli interessi particolari dei suoi elettori ( non vi sono soltanto prediche inutili ma anche leggi inutili ) , di rimedi istituzionali non ne vedo che uno : la durata prestabilita e non troppo breve della legislatura . Prestabilita , perché non deve essere alla mercè della maggioranza , e non troppo breve perché deve consentire alla maggioranza di svolgere il programma senza essere incalzata dall ' assillo dell ' approvazione immediata da parte del corpo elettorale . Non è difficile capire che il mandato imperativo e una legislatura la cui durata pluriennale è stabilita dalla costituzione sono incompatibili . Là dove una costituzione fissa in anticipo la scadenza della legislatura dopo un certo numero di anni , è segno che il mandato del rappresentante non può essere vincolato agli interessi particolari e contingenti dei suoi elettori . Si dirà che una costituzione come la nostra che prevede il divieto di mandato imperativo prevede pure la possibilità dello scioglimento anticipato del Parlamento . Sì , ma è una misura eccezionale . Una delle maggiori aberrazioni del nostro sistema politico nel suo reale funzionamento sta nel fatto che la fine immatura delle legislature è diventata una prassi tanto che ci stiamo abituando a considerare eccezionali quelle che muoiono di morte naturale . Ma l ' assuefazione all ' idea che la legislatura possa essere troncata anzi tempo secondo il beneplacito delle forze politiche dominanti è deleteria , perché impedisce ai rappresentanti del popolo di distogliere i loro sguardi dagli interessi immediati del partito e indirettamente degli elettori . I programmi a lunga scadenza possono venir presentati soltanto all ' inizio : invece la prassi delle legislature bruciate ha fatto sì che sull ' inizio incomba già la fine , sicché la campagna elettorale appena finita ricomincia ed è sempre potenzialmente aperta . Sotto questo aspetto la legislatura più disgraziata è quella tuttora in corso , che ogni sei mesi è stata data per morta . Si capisce che ogni volta che ne viene annunciata la fine , i « moribondi » che vogliono rivivere guardano con rinnovata sollecitudine agli elettori che sono la loro fonte di vita . Una legislatura che sopravvive sotto la continua minaccia di scioglimento , se non a primavera in autunno , se non in autunno alla primavera successiva , attraverso una lunga agonia , non solamente è inoperosa ma contraddice allo spirito della costituzione che intende mantenere le debite distanze tra il momento della designazione dei rappresentanti e il momento della formazione delle leggi . Che questo sia un problema di fondo lo ha capito benissimo il presidente Pertini , di cui non si può che lodare l ' ostinata e a parer mio salutare opposizione alle elezioni anticipate . Occorre interrompere una prassi infausta e ristabilire una buona volta il principio che la durata di cinque anni è la regola , lo scioglimento anticipato l ' eccezione . L ' estrema facilità con cui attori e osservatori politici parlano di elezioni imminenti dipende anche dal non tener conto delle conseguenze che ne derivano , prima fra tutte il venir meno di una remora , l ' unica remora , istituzionale , alla frammentazione delle domande dal basso e al corrispondente particolarismo delle pubbliche decisioni dall ' alto .
Quando il gioco è pesante ( Bobbio Norberto , 1987 )
StampaQuotidiana ,
Nell ' articolo L ' oggetto misterioso , pubblicato sulla « Stampa » il 30 aprile , Sergio Romano ci ha spiegato le ragioni per cui gli stranieri non riescono a capire il nostro sistema politico . Ma le ragioni addotte riguardano il rapporto fra governo e Parlamento , il regionalismo , l ' istituto del referendum abrogativo , non il modo e la forma della lotta politica . Sono tutti argomenti che interessano esclusivamente gli uomini politici , i giornalisti , gli esperti di diritto costituzionale . A me pare molto più preoccupante che disorientati siano i cittadini italiani . Basta ascoltare i loro commenti di questi giorni . La verità è che si è svolto sotto i loro occhi , specie in questi mesi di crisi , un gioco di potere , di cui conoscono poco le regole , che oltretutto sono , come in genere tutte le regole , troppo vaghe , interpretabili nei modi più diversi secondo gl ' interessi prevalenti dell ' una o dell ' altra parte . Ho anche l ' impressione che la maggior parte dei cittadini non abbia molto interesse a penetrare nel segreto delle regole di strategia , vale a dire delle regole che insegnano quale sia il modo migliore per condurre il gioco allo scopo di vincerlo . La prima volta che mi trovai ad assistere in una università degli Stati Uniti a una partita di football americano , di cui mi erano completamente ignote le regole del gioco e le regole di strategia , non riuscii assolutamente a capire che cosa stessero facendo quei giovanottoni corazzati che si accanivano intorno a una palla ovale che assomigliava a un uovo di struzzo , ora ammucchiandosi l ' uno sull ' altro ora disperdendosi e inseguendosi nel campo . Siccome non ero in grado di capire che cosa stesse succedendo e quale fosse lo scopo di tanto affaccendamento , non riuscii a divertirmi . L ' osservatore comune , come mi è accaduto di notare più volte , non ha neppure la più pallida idea della differenza tra regole del gioco che assegnano ai giocatori i diversi ruoli , imponendo obblighi e attribuendo diritti o poteri , e regole di strategia che suggeriscono le mosse più convenienti per battere l ' avversario . La regola che attribuisce al presidente della Repubblica il potere di nominare il presidente del Consiglio o quella che prevede che il governo debba presentarsi in Parlamento per ottenere la fiducia sono regole del gioco , le quali debbono essere accettate da tutti i giocatori affinché il gioco , qualunque ne sia l ' esito , che dipende dalle diverse strategie adottate , si possa svolgere . Le mosse che ogni partito compie per riuscire a far parte del governo o per appoggiarlo o per farlo cadere , per provocare la fiducia o la sfiducia , per convogliare il proprio voto verso l ' approvazione o la disapprovazione di un disegno di legge , per formare o disfare un ' alleanza , appartengono invece alla sfera dei comportamenti dai quali , nel rispetto delle regole del gioco che tutti sono tenuti a seguire , dipende che alla fine della partita ci sia un vincitore e un vinto . Nel gioco politico il fine del gioco è il potere , vale a dire una maggiore capacità , rispetto agli avversari , di ottenere gli effetti voluti . Ciò vuol dire che alla fine della partita si considera vincitore chi è riuscito ad acquistare maggiore potere , o in senso assoluto , nel senso cioè di essere il più potente , oppure in senso relativo , nel senso cioè di aver acquistato maggiore potere di quello che aveva prima . A differenza di quel che accade nelle forme di governo autocratico , in cui il maggiore o minore potere dipende soprattutto dal possesso della forza militare , dal peso della tradizione e dall ' alleanza di ristrette consorterie , la caratteristica essenziale del governo democratico è che il potere si misura in base al numero dei voti , anche se oltre il numero dei voti conta il collocamento lungo l ' arco dei partiti del sistema , il cosiddetto potere di coalizione . Ma la quantità dei voti è un elemento essenziale del potere democratico : necessaria se non sufficiente . Nella gara fra partiti , particolarmente intensa in periodi di competizione elettorale , lo scopo di ogni partito è , usando un ' espressione del linguaggio economico , « massimizzare » il numero dei voti . Questo spiega perché la campagna elettorale venga combattuta non solo proponendo un programma per il futuro ma anche presentando un rendiconto , il più possibile positivo , dell ' azione svolta durante gli anni della legislatura scaduta . Tutto ciò che il partito fa , tutto ciò che fanno gli eletti nei loro rispettivi collegi , è fatto in vista di quel rendiconto periodico finale , che avviene nel giorno del voto . Come nell ' arena di un sistema economico concorrenziale ogni mossa dei concorrenti è rivolta al procacciamento del maggior numero di consumatori , così nell ' arena politica di un sistema pluralistico com ' è quello democratico , e in quanto pluralistico concorrenziale , ogni atto di un singolo partito è rivolto , direttamente o indirettamente , a breve o a lunga scadenza , non solo negli ultimi giorni prima delle elezioni ma già sin dal primo giorno dopo la formazione del governo , a raccogliere il maggior numero di voti . I cittadini hanno un bell ' essere infastiditi , irritati , indignati dalla grande partita di cui dicono di non capir nulla perché sono « affari loro » , ma è un fatto che , al contrario , sono affari che li riguardano direttamente e dei quali sono , anzi , i veri protagonisti in quanto , come elettori , hanno il diritto di gettare nell ' urna una scheda e quindi di determinare con questo semplice gesto la maggiore o minore quantità di potere di cui ogni partito potrà godere dopo il voto , e in conseguenza del voto , rispetto a tutti gli altri . Sono loro , i cittadini infastiditi , irritati , indignati , i destinatari di questo gioco , coi loro diversi interessi , i loro sentimenti o umori , che i giocatori cercano d ' interpretare e rappresentare . Chi si è battuto per lo svolgimento dei referendum pensava a un pubblico desideroso di partecipare in prima persona a una decisione importante . Chi si è battuto per le elezioni anticipate , pensava , al contrario , di raccogliere il consenso di chi era ormai giunto alla convinzione che si dovesse voltar pagina al più presto . E così via e così via . Domandarsi oggi chi ha vinto e chi ha perso , non ha senso . Proprio perché i destinatari del gioco sono gli elettori , la vittoria degli uni o la sconfitta degli altri dipenderà esclusivamente da loro . I singoli giocatori possono aver sbagliato i loro calcoli , ma i calcoli sono sempre stati fatti avendo davanti agli occhi coloro che col loro voto sono i detentori del potere ultimo e decisivo in un governo democratico e permettono di stabilire alla fine chi ha sbagliato di più e chi meno . Resta il dubbio che il fastidio , l ' irritazione , l ' indignazione , possano avere per effetto , certamente non previsto e tanto meno voluto dai partiti in lizza , una considerevole diminuzione di partecipanti al voto o un altrettanto considerevole aumento di schede bianche o nulle . In questo caso nessuno avrebbe vinto , tutti avrebbero perduto . Avrebbe perso soprattutto la democrazia . Si sa che gli spettatori in genere non amano il gioco pesante , neppure quello della propria squadra .
Quale il rimedio? ( Bobbio Norberto , 1987 )
StampaQuotidiana ,
Affrontare la questione morale partendo dall ' osservazione realistica che la corruzione non viene sempre elettoralmente punita , quasi ci fosse una tacita intesa fra corrotto e corruttore , significa non limitarsi a fare delle prediche , che sono in questa materia tanto facili quanto inutili . E un invito a conoscere meglio il fenomeno , in tutte le sue manifestazioni e ramificazioni , perché solo conoscendolo si può più facilmente correggerlo . Sulla riforma costituzionale sono state scritte intere biblioteche , già in parte diventate carta da macero . Sulla corruzione politica , che per lo sviluppo delle nostre istituzioni democratiche è problema non meno importante , le ricerche e gli studi , nel nostro paese , si contano sulle punte delle dita . Vorrei almeno segnalare il saggio del prof. Belligni della nostra università , Corruzione e scienza politica , pubblicato recentemente sull ' ultimo numero della bella rivista nata da poco ma già affermata , « Teoria politica » . Questo saggio contiene un utile rendiconto degli scritti sull ' argomento , che vengono per la maggior parte dagli Stati Uniti , e molte osservazioni stimolanti per tutti coloro che in questi giorni , ripetendosi gli arresti di uomini politici e di amministratori per scandali , si domandano e ci domandano : « Perché Torino ? » o « Perché Firenze ? » , mentre farebbero meglio a porsi la domanda più generale : « Perché la corruzione ? » Siccome è chiaro , chiarissimo , e tutti lo sanno , anche coloro che a ogni arresto fingono di cascare dalle nuvole e riscoprono la questione morale , che la corruzione politica è dovuta in gran parte al finanziamento dei partiti , può essere utile questa seconda informazione : sin dall ' agosto 1984 esiste una proposta dell ' on. Valdo Spini , socialista , sulla disciplina dell ' attività e del finanziamento dei partiti , che al suo apparire ha avuto buone accoglienze da giuristi e politologi , è stata discussa in varie pubbliche riunioni , ma non ha mai avuto neppure un inizio di discussione nella sede propria che è il Parlamento . L ' on. Spini ha avuto un notevole successo elettorale , smentendo l ' opinione che la questione morale sia politicamente irrilevante . Probabilmente di questa proposta si dovrà tornare a parlare . L ' area della corruzione è vastissima . Perché ci sia corruzione politica , da distinguersi dalla corruzione in senso generale , occorre che almeno uno dei due soggetti del rapporto sia una persona investita di un potere politico o pubblico , vale a dire del diritto di esercitare il potere di prendere decisioni a nome e per conto della collettività nazionale . Due sono le situazioni in cui si osservano abitualmente rapporti di corruzione : quella in cui il soggetto politico agisce per conquistare o conservare o non perdere il potere , e quella in cui , una volta che l ' ha acquistato e lo tiene ben fermo nelle proprie mani , se ne serve per trarne vantaggi privati . Inutile dire che le due situazioni sono strettamente connesse perché nel mercato politico democratico il potere si conquista coi voti : uno dei modi di conquistare i voti è di acquistarli e uno dei modi per rifarsi delle spese è di servirsi del potere conquistato o acquistato per ottenere benefici anche pecuniari da coloro cui l ' uso di quel potere può procurare vantaggi . Il potere costa ma rende . Se costa deve rendere . Il gioco è rischioso : talora infatti costa più di quel che rende , quando il candidato non viene eletto ; ma spesso rende più di quel che costa . Le due situazioni sono connesse ma occorre distinguerle : nella prima l ' uomo politico agisce da corruttore , nella seconda da corrotto . Dall ' altra parte del rapporto c ' è , nella prima , l ' elettore che offre potere in cambio di un compenso ; nella seconda un gruppo d ' interesse , che offre un compenso in cambio di una prestazione che solo il detentore del potere può offrire . Considerata l ' arena politica come una forma di mercato , dove tutto è merce , cioè cosa vendibile e comprabile , l ' uomo politico si presenta , in un primo momento come compratore ( del voto ) , in un secondo come venditore ( delle risorse pubbliche di cui grazie al voto è diventato potenziale dispensatore ) . Questa distinzione è importante perché i due casi sono , moralmente e anche giuridicamente , di diversa gravità . Anche se negli studi sulla corruzione politica si fa rientrare di solito il fenomeno del clientelismo , vale a dire il procacciamento dei voti attraverso l ' offerta all ' elettore di vantaggi personali , anche pecuniari , questo deve essere considerato una forma di degenerazione del rapporto elettorale , che rientra , come la corruzione , nella categoria generale della « privatizzazione del pubblico » , ma non è una forma di corruzione strettamente intesa . Altro è corrompere , o istigare il compimento di atti che implicano l ' incitamento a compiere un atto illecito ; altro sedurre , tentare , promettere a vuoto , che è l ' arte del demagogo , non molto diversa da quella dell ' imbonitore . La differenza si rivela anche nel fatto che le varie forme di procacciamento della clientela si svolgono generalmente in pubblico e possono suscitare irritazione , deplorazione , indignazione , ma non vengono perseguite giuridicamente . Offendono più il costume che il diritto o la morale . Al contrario , l ' abuso del potere per ottenerne vantaggi personali , il cui esempio più comune è la « tangente » , non si può esercitare che in segreto . Una volta scoperto , cade , o dovrebbe cadere , sotto i rigori della legge . Tutti gli studi sulla corruzione politica tendono a mettere in rilievo la vastità del fenomeno anche negli Stati democratici , e la difficoltà di eliminarlo . Vi è una scuola di rassegnati , che , ispirandosi alle teorie funzionalistiche , ritengono che alla corruzione si debba attribuire una sorta di utilità sociale , una « funzione » appunto , che sarebbe quella , metaforicamente , di ungere le ruote di una macchina che altrimenti stenterebbe a mettersi in moto . Ma la constatazione che nella sua forma propria la corruzione non può svolgersi che in segreto , mostra , più di qualsiasi altra considerazione , la sua totale estraneità all ' etica della democrazia , cioè a quella forma di governo che richiede la pubblicità degli atti di governo , in quanto si fonda sulla regola fondamentale della controllabilità ad ogni istante di chi esercita il potere non in nome proprio ma in nome di tutti , e ha messo fine per sempre alla politica degli arcana imperii , propria degli Stati autoritari di un tempo e di quelli ancor oggi esistenti . In uno Stato democratico la pubblica moralità non è solo un obbligo morale o giuridico , ma anche un obbligo politico , anzi è l ' obbligo politico per eccellenza imposto dal principio stesso che regola la vita del governo democratico , e che lo contraddistingue da tutte le altre forme di governo sinora esistite , il principio del « potere in pubblico » .
La rivolta abusiva ( Bobbio Norberto , 1986 )
StampaQuotidiana ,
Chi s ' era immaginato che le proteste degli abusivi siciliani fossero una subitanea esplosione di rabbia , è costretto a ricredersi . A più di un mese dalla marcia su Roma dei trentamila , avvenuta il 17 febbraio , il movimento è passato dalla protesta pacifica all ' azione illegale di massa . Un ' azione che in quanto tale avrebbe dovuto essere fermamente condannata dal governo e dall ' opposizione . Anche dall ' opposizione che , sino a prova contraria , è l ' opposizione di uno Stato democratico . Ciò che è avvenuto in Sicilia è uno degli episodi più gravi , forse il più grave , di disobbedienza civile , che il nostro paese abbia conosciuto in questi quarant ' anni . Oggetto in un primo tempo d ' istigazione , cui non sono stati estranei alcuni sindaci , la disobbedienza è ora oggetto di una vera e propria minaccia , compiuta con azioni di continuata violenza . Per « disobbedienza civile » s ' intende quella particolare forma di disobbedienza che viene attuata allo scopo immediato di mostrare pubblicamente che la legge cui si dovrebbe prestare obbedienza è ingiusta e allo scopo mediato d ' indurre il governo a cambiarla . Abitualmente viene accompagnata da giustificazioni tali da farla apparire non solo lecita ma anche doverosa , e da esigere che venga tollerata , contrariamente a qualsiasi altra trasgressione , dalle pubbliche autorità . Si chiama « civile » perché chi la compie ritiene di non venir meno al proprio dovere di cittadino , anzi ritiene di comportarsi da buon cittadino piuttosto disobbedendo che obbedendo . Per questo suo carattere dimostrativo tende a esprimersi in pubblico a differenza dalla disobbedienza comune la quale per raggiungere il proprio scopo deve nascondersi . La disobbedienza civile può essere giudicata da due punti di vista : l ' uno strettamente giuridico , l ' altro etico . Dal punto di vista dello stretto diritto ogni forma di disobbedienza è da considerarsi in generale illecita . La nostra Costituzione stabilisce all ' art. 54 che « tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi » . Non c ' è bisogno di consultare un libro di logica per rendersi conto che l ' obbligo di osservare le leggi implica il divieto di non osservarle . A maggior ragione in un regime democratico . Nel quale ai cittadini è riconosciuto il diritto di riunirsi e di associarsi pacificamente per protestare contro una legge che ritengono ingiusta e impedirne l ' approvazione o promuoverne l ' abrogazione . Un regime democratico può essere definito come quello in cui alla disobbedienza civile , che è l ' extrema ratio cui possono ricorrere i sudditi di un regime dispotico , si sostituisce il diritto di protesta e oltre la protesta il diritto di partecipare direttamente o indirettamente alla formazione delle leggi . Dal diritto sacrosanto di protestare contro l ' emanazione di una legge non discende il diritto di non osservarla dopo che essa sia stata democraticamente approvata . Così pure dal dovere di osservare una legge non discende l ' obbligo di rinunciare a protestare affinché sia modificata o abrogata . Vi sono due modi per reagire a una legge che si considera ingiusta : la protesta e la disobbedienza . In un regime dispotico sono proibiti tutti e due . In un regime democratico è ammesso il primo e non il secondo . Non esiste alcun regime politico in cui siano ammessi entrambi . Il che vuol dire che la disobbedienza civile può essere attuata , in ogni caso , sempre e soltanto a proprio rischio e pericolo . Che all ' istigazione abbiano sin dall ' inizio partecipato non soltanto semplici cittadini ma anche persone investite di pubblica autorità , rende la « rivolta » siciliana ancora più preoccupante . Mi pare che il caso non abbia precedenti , e bisogna ammettere che come precedente è di una gravità eccezionale . Tra i mille segni di disgregazione della nostra vita civile , è uno dei più funesti . Uomini chiamati a provvedere all ' interesse pubblico proteggono i più sfacciati e insolenti interessi privati . Invece di reprimere gli abusi li difendono e difendendoli li favoriscono . Invece di mettersi dalla parte dei pochi onesti danno voce ai molti che onesti non sono stati . Giustificandoli con argomenti spesso speciosi ( in Sicilia non ci sarebbero abusi per causa di speculazione ) li incoraggiano a perseverare nell ' oltraggio alle leggi e nella violenza contro lo Stato . Diverso è il punto di vista morale . La disobbedienza civile può essere in alcuni casi moralmente giustificata . Ma occorre che la causa sia nobile . Occorre , per usare una nota formula giuridica , « l ' aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale » . Giustifichiamo ( e ammiriamo ) la disobbedienza dei neri nell ' Africa del Sud . Ci siamo schierati dalla parte dei neri che negli Stati Uniti entravano pacificamente in un locale pubblico o in un autobus riservato ai soli bianchi . Ma rispetto a questi esempi , le parti sono , nell ' attuale vicenda siciliana , invertite . Lo scopo della rivolta è la difesa non già di un diritto conculcato ma della violazione di un diritto . L ' impunità viene chiesta non contro il sopruso altrui ma per non subire le conseguenze della propria condotta sin dall ' inizio giuridicamente illecita e in molti casi socialmente rovinosa . Si disobbedisce non per non essere più sottoposti a una legge iniqua , ma per essere autorizzati da una legge che sarebbe non meno iniqua a perpetuare uno stato d ' ingiustizia . Il nostro Stato di diritto è una nave che fa acqua da tutte le parti . Ma il consentire che ognuno si faccia la legge che vuole , e il cittadino rispettoso delle leggi paghi anche per coloro che non le rispettano , è assolutamente intollerabile . E anche il modo più sicuro e più rapido per farla affondare .
Governo degli onesti ( Bobbio Norberto , 1981 )
StampaQuotidiana ,
Da quando è scoppiata la « questione morale » non si parla d ' altro . E giustamente ne ha parlato il presidente della Repubblica nel suo messaggio di fine d ' anno . Ma non mi pare si siano fatti grandi sforzi per capire di che si tratta . A giudicare dall ' occasione da cui è nata ( lo scandalo del petrolio e l ' affare Pecorelli ) sembra si voglia intendere che gli uomini politici debbono essere persone oneste nel senso comune della parola , persone cioè che non rubano , non mentono , non commettono nessuno di quei reati che sono puniti dal codice penale in quanto giudicate azioni che le persone perbene non dovrebbero compiere . Questa interpretazione è tanto diffusa che il partito comunista ha ritenuto di dover proporre come una svolta nella storia delle nostre istituzioni un governo degli onesti . Che la questione morale debba essere interpretata anche in questo modo , è fuori discussione . Fuori discussione perché ovvio . Non si vede infatti perché chi fa politica debba essere sottratto agli obblighi cui è sottoposto l ' uomo comune . Non esiste una morale pubblica distinta dalla morale privata . Se mai , l ' uomo pubblico dovrebbe essere più scrupoloso nel rispetto degli obblighi morali e di quelli giuridici ( ma questi sono generalmente obblighi morali sanzionati dallo Stato ) per la semplice ragione che le sue infrazioni sono più dannose alla collettività di quelle dell ' uomo comune . Non ignoro che il problema dei rapporti fra politica e morale è molto più intricato , che in politica vale il principio che il fine giustifica i mezzi , che gli Stati non si governano coi pater noster , e via discorrendo . Ma , girata e rigirata da tutte le parti , la famigerata dottrina della ragion di Stato significa soltanto questo : che l ' uomo di Stato si viene a trovare talora in circostanze eccezionali ( si badi « eccezionali » ) a dover prendere decisioni riguardanti il bene comune ( si badi « il bene comune » ) che non possono essere prese se non violando regole della morale corrente . Ciò che giustifica un mezzo moralmente discutibile è soltanto la nobiltà del fine , e la sua eccezionalità . Il che poi non è neppure una condizione particolare dell ' uomo politico perché lo stato di necessità vale come giustificazione anche per l ' uomo comune . Che l ' essenza del problema stia nella nobiltà del fine lo ha detto molto bene Ceronetti in un articolo sulla « Stampa » due settimane fa . Che il fine giustifichi i mezzi non vuol dire che i mezzi siano giustificati da qualsiasi fine . La stessa celebre frase di Machiavelli dice che « i mezzi saranno sempre iudicati onorevoli e da ciascuno laudati » quando il principe riesce a « vincere » e a « mantenere lo Stato » . Quale sia la nobiltà del fine per cui alcuni dei nostri uomini politici commettono atti disonesti e offendono la morale comune , non è dato capire . C ' è il sospetto che il dilagare della corruzione sia dovuto prevalentemente al bisogno di denaro per sostenere una campagna elettorale o per mantenere in vita una corrente di partito . Non che grandi , alcuni di questi fini sono politicamente tutt ' altro che corretti . Si tratta , sì , di vincere , non una guerra , bensì le elezioni . Si tratta di conservare non lo Stato , bensì il proprio potere personale . La massima che il fine giustifica i mezzi è di per se stessa discutibile . E non solo discutibile ma insostenibile quando il fine che dovrebbe giustificare i mezzi è esso stesso ingiustificabile . Tutto questo , come ho detto , è ovvio , ma non esaurisce il problema . Qualsiasi trattato di morale distingue la morale generale che regola l ' azione di tutti gli uomini , e al cui rispetto quindi tutti sono tenuti , dalle morali speciali cui sono sottoposti gl ' individui in quanto appartengono a una determinata classe o gruppo o categoria o professione . Accanto alla morale comune ci sono le etiche del medico e del sacerdote , del giudice e del commerciante , dell ' insegnante e del giornalista . In ognuna di queste valgono obblighi specifici , e anche specifiche esenzioni di obblighi . Un medico ha l ' obbligo di accorrere alla chiamata di un malato grave anche fuori della sua ora d ' ufficio , ma è esentato dall ' obbligo di dire allo stesso malato la verità sulla gravità della malattia . Ogni professione ha il suo codice morale , che con parola dotta e pretenziosa si chiama « deontologia » . Tra le morali speciali vi è anche la morale dell ' uomo politico . Tanto più poi quando anche la politica è diventata una professione . Per capire la specificità dei diversi codici morali occorre aver di mira la funzione sociale delle diverse Categorie cui si riferiscono . Dalla considerazione che la funzione sociale del medico è quella di provvedere alla guarigione degli infermi nascono tutti quei problemi delicatissimi di etica medica che vanno dall ' eutanasia al prolungamento artificiale di una vita condannata . La funzione sociale dell ' attività politica è quella di perseguire , e possibilmente conseguire , l ' interesse pubblico . Di qua deriva l ' etica specifica di chi si dedica all ' attività politica , il suo codice morale . C ' è una distinzione che corre lungo tutta la storia del pensiero politico , la distinzione fra buon governo e malgoverno , fondata sulla distinzione fra il governante che persegue il bene comune e quello che persegue il bene proprio . L ' etica specifica dell ' uomo pubblico è quella in cui la distinzione fra l ' azione buona e l ' azione cattiva corre parallelamente alla distinzione fra l ' azione volta al bene comune e quella volta al bene individuale . Ne deriva che l ' uomo politico ha oltre ai doveri di tutti anche i doveri che gli spettano in quanto uomo politico . Questi ultimi sono strettamente connessi alla funzione specifica della sua attività . La funzione specifica dell ' attività politica è il buon governo come la funzione specifica del medico è quella di ben curare , quella del giudice di ben giudicare , dell ' insegnante di ben insegnare . No , quando si pone la questione morale con riferimento all ' azione del politico , non si tratta soltanto del governo degli onesti nel senso generico della parola . Si tratta del governo di uomini che antepongano l ' interesse dello Stato al proprio , a quello del proprio partito , della propria corrente , del proprio clan , di uomini che rispettino non solo le regole della morale comune ma anche quelle della propria morale professionale . Uno dei maggiori rimproveri che oggi l ' uomo della strada , l ' uomo della morale comune , muove alla nostra classe politica nel suo insieme è di subordinare l ' interesse pubblico che è il fine specifico della sua azione specifica all ' interesse privato , di approfittare del potere pubblico che deve essere esercitato solo in vista del bene comune per accrescere il proprio potere personale . Una volta si diceva che cattivo governante è colui che mira a soddisfare il bene proprio anziché a provvedere al bene comune . Oggi si dice che il malgoverno consiste nel considerare gli affari di Stato come affari privati . Le parole cambiano ma la sostanza è la stessa . In questo senso , e solo in questo senso , la questione morale è anche una questione politica . Una questione politica che nessun ritocco della Costituzione potrà mai risolvere . Dai buoni costumi possono nascere buone leggi . Ma non bastano le buone leggi a produrre buoni costumi .
Nel labirinto dell'anti-Stato ( Bobbio Norberto , 1981 )
StampaQuotidiana ,
In un articolo di alcuni mesi orsono ( Il potere invisibile , « La Stampa » , 23 novembre 1980 ) avevo definito la democrazia il governo del potere visibile , e avevo constatato amaramente che nel nostro paese il potere invisibile non solo non era stato debellato ma aveva continuato a prosperare e a dilatarsi in tutte le direzioni . Scrivevo : « Non si capisce nulla del nostro sistema di potere se non si è disposti ad ammettere che al di sotto del governo visibile c ' è un governo che agisce nella penombra ( il cosiddetto " sottogoverno " ) e ancora più in fondo un governo che agisce nella più assoluta oscurità e che potrebbe essere chiamato " criptogoverno " » . Vi è sempre stato e sempre vi sarà un potere invisibile contro lo Stato , che comprende le associazioni a delinquere , la mafia , le associazioni sovversive , i gruppi di cospiratori , di terroristi ( la sigla della famigerata Oas significava Organisation d ' armée secrète ) . Vi è sempre stato , e purtroppo sembra che non se ne possa fare a meno , un potere invisibile dentro lo Stato , che comprende i servizi segreti per la sicurezza interna ed esterna dello Stato , l ' organizzazione dello spionaggio e del controspionaggio . Ciò che in un regime democratico è assolutamente inammissibile è l ' esistenza di un potere invisibile che agisce accanto a quello dello Stato , insieme dentro e contro , sotto certi aspetti concorrente , sotto altri connivente , che si vale del segreto non proprio per abbatterlo ma neppure per servirlo . Se ne vale principalmente per aggirare o addirittura violare impunemente le leggi , oppure per ottenere favori straordinari o illeciti . Un potere che compie atti politicamente rilevanti senza avere alcuna responsabilità politica , anzi cercando di sottrarsi attraverso la segretezza anche alle normali responsabilità civili , amministrative e penali . Tralascio di discutere il problema dal punto di vista morale , anche se non sono il solo a essere disgustato del malcostume imperversante e ho provato quasi vergogna nel leggere tutti quei nomi di persone altolocate unite non si sa da che cosa , se non da un desiderio smodato di potere , da ambizioni spropositate , o soltanto da fatue vanità . Non dubito che il trarre vantaggi personali di carriera , di potere e di ricchezza da un ' affiliazione segreta sia moralmente riprovevole , e che dia un ben miserabile spettacolo di sé un paese in cui un così gran numero di personaggi appartenenti alla classe dirigente , alla classe « eletta » , come si diceva una volta ( e come oggi non si potrebbe più dire ) , entra a far parte di associazioni che si nascondono per nascondere . Non discuto la questione morale perché non ce n ' è bisogno . Mi fermo alla questione politica che basta da sola a permettere di esprimere un giudizio severo nei riguardi di un ' associazione il cui unico scopo reale , al di fuori degli scopi dichiarati , è di esercitare un potere occulto : dico « unico » almeno sino a che qualcuno , meglio se è membro dell ' associazione stessa , me ne saprà indicare un altro . Anch ' io , come Vittorio Gorresio , sarei contento di capire per quali ragioni personaggi già potenti per ricchezza o per condizione sociale ( non mi risulta che nella famosa lista vi siano operai , modesti impiegati , la solita gente che tira la carretta ) sentano il bisogno di associarsi con uomini di malaffare o politicamente sospetti . Abbiamo forse dimenticato che « repubblica » viene da « res publica » , e che « res publica » significa cosa pubblica , nel duplice senso di governo del pubblico e di governo in pubblico ? Governo del pubblico significa governo del popolo , e non di uno o di pochi ; governo in pubblico significa che gli atti del potere , o vengono esercitati direttamente davanti al popolo , oppure vengono in varie forme fatti conoscere ai naturali destinatari e non diventano ufficialmente validi sino a che non hanno ricevuto la dovuta pubblicità . Vi sono due tipi ideali di forme di governo , opposte l ' una all ' altra : democrazia e autocrazia . La democrazia avanza e l ' autocrazia retrocede via via che il potere diventa sempre più visibile e gli arcana imperii , i segreti di Stato , da regola diventano eccezione , un ' eccezione accolta in ambiti sempre più ristretti e tassativamente stabiliti . All ' inizio del Cinquecento Francesco Guicciardini poteva scrivere tranquillamente senza suscitare scandalo : « E ' incredibile quanto giovi a chi ha amministrazione che le cose sue siano segrete » . Ma alla fine del Settecento Michele Natale ( il vescovo di Vico giustiziato a Napoli il 20 agosto 1799 ) scriverà nel Catechismo repubblicano : « Vi è niente di segreto nel governo democratico ? Tutte le operazioni dei governanti devono essere note al Popolo Sovrano » . Non esiste democrazia senza opinione pubblica , senza la formazione di un pubblico che pretende di avere diritto a essere informato delle decisioni che vengono prese nell ' interesse collettivo e di esprimere su di esse la propria libera critica . Qualsiasi forma di potere occulto , rendendo vano questo diritto , distrugge uno dei pilastri su cui si regge il governo democratico . Del resto chi promuove forme di potere occulto e chi vi aderisce vuole proprio questo : sottrarre le proprie azioni al controllo democratico , non sottostare agli obblighi che una qualsiasi costituzione democratica impone a chi detiene il potere di prendere decisioni vincolanti per tutti i cittadini , se mai , al contrario , controllare lo Stato senza essere a sua volta controllato . Nello Stato dispotico il sovrano vede senza essere visto . L ' ideale di ogni forma di potere occulto è che il sovrano , che nella democrazia è il popolo , agendo alla luce del sole , possa essere visto e non veda . Fra i vari malanni della nostra democrazia l ' estensione sempre più ampia di zone di potere occulto non è dei meno gravi . Ma sarebbe ancora più grave se la zona che è stata ora scoperta fosse di nuovo ricoperta . Già gli amici e gli amici degli amici si apprestano a « fare quadrato » non per difendere le istituzioni democratiche ma per difendere il proprio partito , il proprio gruppo , il proprio clan . L ' unico modo per difendere le istituzioni democratiche è quello di fare quadrato intorno a coloro che non hanno mai avuto la tentazione di sprofondare nel sottosuolo per non farsi riconoscere . Sono molti per fortuna . Ma debbono avere coraggio e agire di conseguenza . Nessuno vuole , intendiamoci , che non si facciano le debite distinzioni : che non si distinguano i colpevoli dagli innocenti , gli scaltri dagli sprovveduti , coloro che hanno ordito la ragnatela da coloro che vi sono caduti . Personalmente io ho persino qualche dubbio circa la precipitazione con cui la lista è stata pubblicata . Ma sia chiaro : distinguere , non estinguere .
La crisi è permanente ( Bobbio Norberto , 1981 )
StampaQuotidiana ,
Ancora una crisi . Si è sempre detto che le crisi non dovevano essere al buio . Ma più al buio di così ? Si è ammesso che una crisi poteva essere al buio purché fosse « pilotata » . Ma c ' è il pilota ? E se c ' è , si può sapere chi è ? Dal 1968 , da quando è cominciata la degenerazione del nostro sistema politico con quattro legislature interrotte anzitempo , e una quinta , la presente , sulla cui fine naturale nessuno è disposto a giurare , anche i tempi dei governi si sono accorciati : quindici in dodici anni rispetto ai venticinque dei primi ventitrè . Mi domando se questi dati di fatto siano presenti ai nostri governanti e perché , essendo impossibile che siano a loro ignoti , non ne tengano il minimo conto . La nostra classe politica ha inventato non la rivoluzione permanente ma la crisi permanente . Mai una volta che i protagonisti si degnino di spiegare ai loro elettori , di fronte ai quali sono o dovrebbero essere responsabili dei loro atti , quali siano la ragione e la necessità di una nuova crisi che in genere scoppia improvvisa come un temporale , anche se se n ' è sentito talvolta da lontano il brontolio . Si scopre un centro di potere occulto , dove ci sono corruttori , corrotti e corrompibili ? Un governo di persone responsabili , un governo autorevole , sospende subito i ministri sospettati , prende rapidamente provvedimenti per diminuire il danno e il discredito che le istituzioni democratiche ricevono da una scoperta così scandalosa , cerca di far luce al più presto sull ' associazione segreta contraria alla Costituzione ed eventualmente la scioglie . Niente di tutto questo : il governo si dimette , apre la crisi , e quindi lascia tutti i problemi non risolti per trovarseli aggravati quando la crisi sarà finita . Un governo di persone responsabili . Responsabili di fronte a chi ? Responsabili rispetto a che cosa ? Si è discusso in questi giorni in un convegno a cui io stesso ho partecipato il tema della responsabilità politica , un tema da affrontare con spirito realistico e strumenti concettuali adeguati . Quando si dice di una persona che è responsabile si possono intendere due cose diverse : a ) che risponde delle proprie azioni di fronte a qualcuno che sta sopra di lui ; b ) che agisce rendendosi esatto conto delle conseguenze delle proprie azioni . Proviamo a verificare l ' esattezza di questi due aspetti del problema considerando il termine contrario : irresponsabile . Nel linguaggio del diritto costituzionale si dice che un organo è irresponsabile , quando essendo al vertice del sistema non ha nessuno al di sopra di sé cui rispondere delle proprie azioni politiche ( si tratta di una caratteristica tradizionale del sovrano che vale , in base all ' art. 90 della nostra Costituzione , anche per il presidente della Repubblica ) . Ma quando dico , ad esempio , che uno di quei centauri catafratti come un guerriero antico che corre all ' impazzata in una via della città con la sua motocicletta fragorosa , è un irresponsabile , voglio dire non già che non risponde della sua azione di fronte a nessuno , ma che si comporta da scriteriato , da individuo che agisce senza tener conto delle conseguenze della propria azione . La gente dice sempre più spesso che la maggior parte dei nostri uomini politici sono degli irresponsabili . Ma in che senso lo dice ? Nel senso che non rispondono di fronte a nessuno ? o nel senso che agiscono senza preoccuparsi troppo dei malanni che la loro azione produce ? Credo che nell ' opinione pubblica prevalga il secondo significato , specie di fronte alle crisi di governo , che sono giustamente percepite come una malattia del sistema , onde l ' impressione che tanto più frequenti le crisi tanto più grave il malato . Nel giudizio comune la crisi di governo è un atto che richiede ponderazione e prudenza . L ' esperienza di questi anni dovrebbe aver insegnato che crisi di governo non ponderate e imprudenti impediscono alla legislatura di arrivare sino alla fine : una legislatura non sopporta più di cinque governi , in media uno all ' anno . La presente è già giunta al quarto ( dopo due governi Cossiga e uno Forlani ) ad appena due anni dall ' inizio con un ' accelerazione senza precedenti : un governo ogni sei mesi . Dal governo annuale al governo semestrale . A quando quello mensile ? Mentre i governi si accorciano , le crisi si allungano . E quando le crisi si allungano , le legislature si accorciano . Il presidente Pertini , che non è responsabile nel primo significato del termine ma ha un alto senso di responsabilità nel secondo ( il che prova quanto i due significati debbano essere tenuti distinti ) , ha più volte dichiarato che non intende sciogliere ancora una volta il Parlamento . Ha capito benissimo che la fine prematura della legislatura sarebbe un colpo mortale inferto al sistema democratico . Ma l ' hanno capito coloro che sono responsabili , nel senso costituzionale , del governo del paese ? Quando appaiono sugli schermi della televisione questi timonieri più bravi nel pilotare le crisi che i governi , appaiono sereni , sicuri di sé , non sfiorati da dubbi sulla rotta da seguire , come se fossero già in vista del porto . Lo spettatore si domanda con un senso di angoscia : sono o non sono coscienti del lento ma inesorabile logoramento del regime democratico provocato da queste crisi , sempre brevi a parole , sempre lunghe nei fatti , tanto promettenti quando si aprono quanto deludenti quando si chiudono ? Ma se fossero davvero coscienti si comporterebbero davvero in questo modo ? Ma allora sono degli incoscienti ? A questa domanda si può rispondere soltanto prendendo in considerazione l ' altra faccia del problema e ponendosi una diversa domanda : « Verso chi sono responsabili ? » Viene la tentazione di rispondere : « Verso nessuno » . Quando debbono cadere le teste , cadono generalmente quelle degli altri . Tanto che a giudicare dalle teste che cadono , si dovrebbe concludere che la nostra classe politica conti il maggior numero di cittadini illibati e incorruttibili . Eppure in un sistema democratico non dovrebbe rispondere , la classe politica , agli elettori ? Le elezioni popolari non dovrebbero servire a discriminare i buoni dai cattivi reggitori , gli onesti dai disonesti ? Ma è proprio così ? Purtroppo non è così . La reale potenza dei partiti sta nella capacità che essi hanno di controllare i loro controllori . I risultati elettorali di questi anni sono lì a dimostrare che la cosiddetta verifica periodica del consenso in cui consiste l ' essenza della democrazia si svolge in modo da dare alla classe politica che ci ha governato sinora la tranquilla coscienza che viene dall ' aver sottoposto la propria azione al verdetto del popolo , e insieme la convinzione di aver ben meritato della salvezza della patria . Controllando i propri controllori essa finisce per essere responsabile , sì , ma solo di fronte a se stessa . In tal modo , il sistema è , almeno sino ad ora , bloccato . Ma chi è in grado di sbloccarlo ?
Governi deboli ( Bobbio Norberto , 1981 )
StampaQuotidiana ,
La frequenza con cui ricorre nel linguaggio politico quotidiano l ' espressione « patto sociale » merita qualche riflessione . L ' idea che lo Stato sia derivato da un patto degl ' individui che lo compongono e lo hanno istituito per rendere possibile una convivenza stabile e pacifica risale agli antichi , ed è diventata dominante nell ' età moderna attraverso le dottrine cosiddette « contrattualistiche » . Ma queste dottrine , da Hobbes a Kant , hanno concepito il « contratto sociale » come una specie di « fiat » divino , un atto di creazione e di fondazione , che si esaurisce nel momento stesso in cui nasce la sua creatura , lo Stato . Una volta costituito , lo Stato si erge al di sopra degli individui che gli hanno dato vita con il loro accordo , e la sua volontà si esprime d ' ora innanzi in forma di legge , cioè di comando al di sopra delle parti . Come modo di prendere decisioni comuni , il contratto viene degradato a istituto del diritto privato , di un diritto che , usciti gl ' individui dallo stato di natura , riceve legittimità ed efficacia dal riconoscimento dello Stato . Tutt ' al più , se lo Stato nato da quell ' accordo è uno Stato democratico , uno Stato il cui fondamento di legittimità risiede nel consenso , il contratto iniziale deve essere periodicamente rinnovato attraverso libere elezioni dell ' organo o degli organi principali cui è attribuito il potere di prendere decisioni vincolanti per tutta la collettività . In questo modello ideale i soggetti principali del rapporto politico sono , da un lato , gl ' individui singoli che decidono di istituire lo Stato , dall ' altro il sovrano che secondo le diverse interpretazioni del contratto sociale è , o egli stesso una delle parti contraenti , oppure un terzo a favore del quale il contratto viene stipulato dagli individui desiderosi di uscire dallo stato di natura . Non c ' è posto in questo modello per i corpi intermedi , i gruppi sociali , le corporazioni , insomma per le società particolari , che stanno in mezzo fra i singoli e la società globale ( la società politica o civile , della tradizione ) . O per lo meno esse non svolgono la parte del protagonista nella formazione dello Stato . Stanno dentro allo Stato , come del resto gl ' individui dopo che lo Stato è istituito , ma , a differenza degli individui , non hanno contribuito a formarlo , né sono chiamati a dare a esso una periodica legittimazione . Quando oggi si parla di « patto sociale » , ci si riferisce invece a una forma di rapporto politico in cui i protagonisti sono proprio quei corpi intermedi di cui la dottrina tradizionale del contratto sociale aveva ritenuto di potere non tener conto . Che cosa è successo ? È toccata anche al modello astratto del contratto sociale la sorte di tutti i modelli astratti : la realtà il più delle volte li ignora e procede per conto suo . Ciò che caratterizza le moderne società industriali e democratiche sono la molteplicità , la varietà , l ' influenza , delle società particolari in permanente conflitto fra di loro . Non a caso vengono chiamate con una connotazione ormai ricorrente « pluralistiche » , o « poliarchiche » . Che vuol dire : a più centri di potere . Le forze sociali ( intendi i sindacati ) e le forze politiche ( intendi i partiti ) , che appaiono continuamente sulla scena politica come gli attori principali , non sono né gl ' individui né lo Stato nel suo complesso , i due protagonisti del rapporto politico secondo il modello tradizionale . Sono le società particolari che la dottrina tradizionale aveva espunto dal proprio modello . Recentemente è uscito in traduzione italiana ( con introduzione di Angelo Scivoletto ) un libro ben noto agli studiosi , Poliarchia , di Robert Dahl ( Franco Angeli editore , Milano 1980 ) . Secondo Dahl , la caratteristica saliente delle poliarchie è , oltre l ' estensione della partecipazione popolare , la presenza di una forte competitività . Ma questa caratteristica non sarebbe completa se non si aggiungesse che i soggetti attivi , rilevanti , determinanti , della competizione , non sono gl ' individui . Sono enti collettivi : o grandi gruppi organizzati , come i sindacati e i partiti , oppure grandi organizzazioni , come le imprese ( non importa se private , pubbliche o semipubbliche ) . Più che una società non egemonica , come la definisce Dahl , la nostra società poliarchica è contrassegnata dall ' esistenza di più gruppi tendenzialmente egemoni in concorrenza fra loro . Partendo dalla concezione monistica dello Stato , che ha accompagnato la formazione dello Stato moderno , costruito idealmente come antitesi alla società medievale , si è spesso manifestata una tendenza a considerare lo Stato unitario come modello ideale anche per la società internazionale . Se pure con una certa forzatura , mi pare si possa dire che nella realtà è avvenuto il processo inverso . Lo Stato poliarchico contemporaneo assomiglia sempre più alla società internazionale , disarticolato com ' è in tanti potentati quasi sovrani , la cui competizione trova soluzioni provvisorie ( tregue , non paci ) attraverso laboriosi e spesso lunghi negoziati , che finiscono in accordi , come sono i contratti collettivi fra le forze sociali , o le coalizioni fra le forze politiche ( si badi , « coalizione » è un termine proprio del diritto internazionale ) , sottoposti , gli uni e le altre , alla clausola di validità a parità di condizioni ( che corrisponde al « rebus sic stantibus » dei trattati internazionali ) . Da questa constatazione discendono alcune conseguenze destinate a mutare l ' immagine ideale dello Stato moderno . Ne indico tre . Come possiamo osservare ogni giorno , in una situazione di forte competitività fra gruppi potenti , il governo o agisce egli stesso come parte in causa , oppure svolge la propria azione come mediatore delle parti in conflitto e alla fine come garante ( spesso impotente ) dell ' accordo intervenuto . In nessuno dei due casi la sua azione rispecchia l ' immagine tramandata per secoli del potere statale come potere sovrano . In contrasto col mito del governo forte si va formulando l ' ipotesi del governo debole , la cui debolezza non è patologica ma fisiologica . Il principio della supremazia della legge richiede in una società democratica il rispetto della regola della maggioranza , espediente tecnico indispensabile dove coloro che debbono prendere una decisione sono molti , in una situazione in cui , se fosse richiesta l ' unanimità , la decisione sarebbe praticamente impossibile . Al contrario , la soluzione di un conflitto mediante accordo rappresenta una decisione presa all ' unanimità , in quanto è valida solo se è accettata da entrambe le parti . Come tale , è possibile soltanto là dove i contraenti sono due o poco più . Ma là dove i contraenti sono due o poco più , è segno che i singoli individui sono esautorati , non contano nulla ( gli unici individui che entrano in scena sono i leaders dei gruppi ) . Infine , una società poliarchica è una società a equilibrio instabile , che deve essere continuamente ricomposto , senza che vi siano regole generali , accettate da tutti , per questa ricomposizione . Si consideri la facilità con cui si fanno e disfanno le coalizioni di governo ( lo stesso si può dire dei contratti collettivi ) . Nella teoria politica classica , il tema dell ' equilibrio si riferiva al rapporto interno fra i tre poteri dello Stato , dei quali nessuno dovrebbe prevaricare sugli altri due . Oggi il problema dell ' equilibrio di cui si deve preoccupare una teoria politica all ' altezza dei tempi è quello delle parti sociali . Ma si tratta di un equilibrio per cui non sono state fissate regole costituzionali e vale come unico principio equilibratore il diritto del più forte .
Non è decisionismo ( Bobbio Norberto , 1984 )
StampaQuotidiana ,
Ci sono parole che il linguaggio comune cede al linguaggio dotto , e viceversa vi sono parole che il linguaggio dotto cede al linguaggio comune . Questo secondo tipo di prestito sta avvenendo in questi giorni per la parola « decisionismo » . Ma la cessione è avvenuta con la totale perdita del significato originario . Ho l ' impressione che coloro che parlano di decisionismo a proposito della decisione del governo di far approvare al Parlamento il decreto sulla scala mobile non se ne siano accorti , e quindi stiano dando al termine un significato completamente diverso da quello in uso nel linguaggio dotto . Un significato che non può non ingenerare confusione e intorbidare le acque già abbastanza limacciose del dibattito politico . Come tutti gli « ismi » , « decisionismo » designa non un fatto , non un comportamento , né una serie di fatti o di comportamenti , ma una teoria . Si tratta della teoria giuridica dello scrittore di destra , Cari Schmitt , nota da tempo agli addetti ai lavori , riscoperta in questi ultimi anni , e rimessa in circolazione , non si sa bene con quale intenzione , da alcuni giuristi e scrittori politici di sinistra , sempre in polemica con la teoria meramente formale della democrazia ( l ' unica , a mio parere , sensata e accettabile ) , anche a prezzo di andare a braccetto con la vecchia ( e nuova ma non rinnovata ) destra reazionaria . Secondo Schmitt , le norme giuridiche non sono , come hanno sempre sostenuto i fautori dello Stato di diritto , ovvero dello Stato in cui il potere politico è sottoposto al diritto , il prodotto di un potere autorizzato a creare diritto secondo le norme di una costituzione che stabilisce chi ha il potere di emanare norme giuridiche e con quali procedure , ma sono ( o dovrebbero essere ) il prodotto di una pura decisione del potere in quanto tale . Insomma , il decisionismo è una teoria del diritto che si contrappone a un ' altra teoria del diritto , il cosiddetto normativismo , e vi si contrappone perché sostiene il primato della politica sul diritto , mentre i fautori dello Stato di diritto e della democrazia come insieme di regole del gioco per la formazione della volontà politica , sostengono al contrario il primato del diritto sulla politica . Ora ciò che sta avvenendo in Italia non ha niente a che vedere con la disputa dottrinale degli anni della repubblica di Weimar tra fautori dello Stato democratico e fautori dello Stato autocratico . Ciò di cui si sta discutendo oggi in Italia è se una certa decisione possa o debba essere presa in seguito all ' accordo tra le parti o in seguito a una deliberazione del Parlamento . Il decisionismo come teoria secondo la quale il diritto è in ultima istanza sempre il prodotto di un potere di fatto non c ' entra nulla . Tanto la decisione presa in seguito a un accordo tra parti autorizzate dalla Costituzione a decidere quanto la decisione presa da un organo collegiale autorizzato dalla stessa Costituzione a prendere decisioni vincolanti per tutta la collettività , com ' è il Parlamento , sono decisioni regolate dal diritto . Naturalmente si può discutere quale delle due procedure , quella che prevede che la decisione sia presa in seguito ad accordo tra le parti interessate oppure quella che attribuisce il diritto di decidere a un organo che può prendere la decisione in base alla regola della maggioranza , sia più opportuna o addirittura , in una determinata situazione e in una data materia , più legittima o più conforme alla Costituzione . Ma una tale discussione non riguarda affatto la disputa dottrinale per cui è nata in altri tempi la teoria del decisionismo . Con ciò non si vuole negare che ci siano differenze tra le due procedure . Ma si tratta di differenze che sono totalmente al di là della disputa tra normativisti e decisionisti . La prima differenza è molto semplice : quando una decisione viene presa in seguito a un accordo tra le parti , è ovvio che la decisione debba essere presa all ' unanimità . Se una delle due parti non accetta l ' accordo , la decisione è impossibile ; se la decisione è presa , è segno che il consenso è stato dato da tutte e due le parti , ed essendo solo due i soggetti della decisione la decisione è unanime . Quando una decisione è presa invece da un organo collegiale composto da una pluralità di persone , basta di solito , affinché una decisione venga considerata valida , la maggioranza . La regola della maggioranza è la regola democratica per eccellenza non già perché sia antidemocratica la regola dell ' unanimità , ma perché la regola dell ' unanimità è applicabile soltanto in pochi casi , tra cui quello in cui i soggetti chiamati a prendere una decisione siano due , oppure il gruppo formato da più individui sia tanto omogeneo che si possa prevedere una identità di interessi o di opinioni fra i suoi membri . In qualsiasi altro caso la regola o non è applicabile perché paralizza la possibilità stessa di arrivare a una decisione , oppure è ingiusta perché attribuisce a un solo membro del gruppo il diritto di veto . Una seconda differenza è meno ovvia e per questo meriterebbe ben altra riflessione . Il regime parlamentare è nato con la netta contrapposizione tra rappresentanza politica e rappresentanza degl ' interessi . Per rappresentanza politica distinta dalla rappresentanza degl ' interessi si è sempre intesa la rappresentanza degl ' interessi generali contrapposta alla rappresentanza d ' interessi particolari . Proprio per distinguere queste due forme di rappresentanza e per affermare la supremazia della prima sulla seconda è stato introdotto in tutte le costituzioni democratiche dalla Costituzione francese del 1791 in poi il divieto di mandato imperativo ovvero l ' obbligo imposto ai rappresentanti una volta eletti di difendere interessi non corporativi . Che questo principio oggi . sia continuamente violato , è una realtà che io stesso ho già rilevato più volte . Ma resta il fatto che la rappresentanza parlamentare è pur sempre meno particolaristica , nonostante forti tendenze in contrario , che la rappresentanza di grandi gruppi organizzati come le associazioni operaie e padronali che si accordano , quando riescono ad accordarsi , unicamente allo scopo di regolare i loro reciproci rapporti . Non c ' è dubbio che una decisione presa in base alla procedura dell ' accordo fra le parti sia una rivincita della rappresentanza degl ' interessi su quella politica . Se diventasse la procedura maestra per prendere decisioni collettive , sarebbe , anzi , la fine della rappresentanza politica , e segnerebbe la sconfitta di una delle battaglie secolari di ogni governo democratico . La decisione per accordo tra grandi organizzazioni in naturale conflitto tra loro , la cosiddetta « concertazione » , è un aspetto , forse l ' aspetto saliente , di quella nuova forma di Stato che viene chiamato , a torto o a ragione , Stato neocorporativo , e in cui alcuni osservatori sono indotti a vedere una delle ragioni principali di quella « trasformazione » della democrazia cui non si può non guardare con una certa preoccupazione . Se per decisionismo s ' intende un po ' rozzamente una svolta nello sviluppo della democrazia , non è detto che questa non si trovi proprio nella prevalenza della rappresentanza degl ' interessi sulla rappresentanza politica , prevalenza di cui può essere considerata una manifestazione la tendenza neocorporativa assai più che la riconduzione del flusso delle decisioni necessarie a governare nell ' alveo dei rapporti tra governo e Parlamento .
Il doppio Stato ( Bobbio Norberto , 1984 )
StampaQuotidiana ,
Uno dei temi maggiormente discussi in questi ultimi anni fra studiosi che s ' interrogano sullo stato attuale della democrazia , è il neocorporativismo . Il tema è stato dibattuto , a dire il vero , più fuori d ' Italia che nel nostro paese , ma da due o tre anni anche da noi il dibattito è cominciato e procede a ritmo sempre più accelerato . Dopo la raccolta di saggi , La società neocorporativa , a cura di M . Maraffi , uscita nel 1981 presso Il Mulino di Bologna , sono apparse a brevissima distanza di tempo , presso lo stesso editore , altre due raccolte di articoli ( in gran parte stranieri ) sull ' argomento , L ' organizzazione degli interessi dell ' Europa occidentali ( 1983 ) e La politica degli interessi nei paesi industrializzati ( 1984 ) nonché il libro , ben documentato e ben ragionato , di L . Bordogna e G . Provasi , Politica , economia i rappresentanza degli interessi , che reca un sottotitolo già di per se stesso significativo : Uno studio sulle recenti difficoltà delle democrazie occidentali . Ai lettori che non sono al corrente del dibattito fra gli addetti ai lavori e hanno invece reminiscenze storiche in cui il termine « corporativismo » è legato alla dottrina fascista oppure hanno nell ' orecchio il gergo giornalistico e corrente in cui per società corporativa s ' intende una società frammentata in tanti piccoli gruppi che tendono a far prevalere i loro interessi particolaristici sugli interessi generali , occorre rivolgere due avvertimenti : a ) quando oggi si parla di neocorporativismo , ci si riferisce a un assetto che si è venuto formando in società democratiche , anzi in alcune delle democrazie europee più avanzate , come la Svezia , tanto che è diventata ormai abituale la distinzione fra corporativismo statale o fascista e corporativismo sociale o democratico ; b ) il neocorporativismo non ha niente a che vedere con il fenomeno spesso lamentato , specie in Italia , della disgregazione del tessuto sociale in tanti gruppi e gruppuscoli rivali , le cui rivendicazioni indisciplinate e quindi imprevedibili rendono sempre più difficile il governo della società globale . Anzi , in un certo senso , è proprio l ' opposto : si chiama oggi assetto neocorporativo quello in cui si è formata la massima concentrazione delle organizzazioni degli interessi ( volgarmente i sindacati ) e queste organizzazioni prendono decisioni collettive di grande rilievo per tutta la società attraverso i loro rappresentanti al vertice insieme con organi del governo . Per capire la ragione di questa terminologia che può apparire ad alcuni fuorviante , bisogna rendersi conto che per « corporativismo » in generale nel linguaggio tecnico ormai consolidato s ' intendono principalmente due cose : a ) una dottrina che propugna la collaborazione delle due grandi classi antagonistiche dei datori di lavoro e dei lavoratori , anziché il conflitto permanente risolto di volta in volta con aggiustamenti non solo dei contenuti ma anche delle regole di gioco , oppure la sopraffazione di una classe sull ' altra ; b ) uno strumento istituzionale fondamentale , consistente nella sostituzione della rappresentanza immediata degli interessi particolari in contrasto , detta anche rappresentanza corporativa , alla rappresentanza politica , propria della democrazia rappresentativa , in cui l ' eletto , non vincolato al mandato dei suoi elettori , deve provvedere esclusivamente agli interessi generali . Varie sono le ragioni per cui in Italia il dibattito sul neocorporativismo ha stentato a farsi strada . Anzitutto , vi è una questione di principio : la dottrina liberale democratica italiana ha costantemente rifiutato di riconoscere la legittimità di una rappresentanza degli interessi accanto a quella politica , e ne è prova la nostra Costituzione che l ' ha relegata in un istituto secondario , il Consiglio nazionale dell ' economia e del lavoro , che ha potere unicamente consultivo , e che , oltretutto , è nato morto , e non appena risuscitato , è subito rimorto . In secondo luogo sono da prendere in considerazione le condizioni stesse in cui si è svolto in questi anni in Italia il conflitto sociale , ben di verso , almeno sino ad ora , da quello dei paesi in cui si è venuto assestando a poco a poco nel dopoguerra un sistema neocorporativo . Questo esiste soltanto nei paesi in cui vi è stato un forte partito socialdemocratico , tanto forte da essere diventato per periodi più o meno lunghi partito di governo , il partito che è stato chiamato del « compromesso » , ovvero dell ' accettazione temporanea del sistema capitalistico corretto da politiche redistributive . In Italia il più forte partito della classe operaia non è e non vuole essere un partito socialdemocratico e nulla vi è di più estraneo alla sua « filosofia » e a quella dei maggiori sindacati , anche di quelli di matrice non comunista , che l ' idea del compromesso sociale , da non confondersi con il compromesso politico , che invece è parte integrante della strategia del partito comunista ( ma la differenza fra i due tipi di compromesso richiederebbe un lungo discorso che rimando ad altra occasione ) . Dal punto di vista del sistema politico nel suo complesso , l ' assetto neocorporativo rappresenta uno spostamento del luogo classico delle decisioni collettive , che in un sistema parlamentare risiede nel Parlamento e nel governo , mentre nell ' assetto neocorporativo la decisione è presa al di fuori del parlamento e del governo , che rappresenta , nella più favorevole delle ipotesi , solo una delle due parti in conflitto . Di questi due sistemi decisionali , il primo è completamente istituzionalizzato , l ' altro è un sistema ancora debolmente o non affatto istituzionalizzato che , emerso a poco a poco dalla società civile , costituisce uno dei fenomeni più appariscenti della « trasformazione » della democrazia tuttora in corso . A un fenomeno di questo genere non può non far pensare il contrasto che si è avuto qualche mese fa in Italia fra governo e opposizione rispetto al modo di prendere la decisione sul costo del lavoro . Si è trattato infatti di un contrasto fra due procedure alternative per la formazione delle decisioni collettive : mediante accordo fra le parti in cui lo Stato entra soltanto come mediatore , oppure attraverso la formazione della maggioranza nella sede propria della rappresentanza politica . Si potrebbe parlare addirittura di una vera e propria forma di « doppio Stato » , non nel senso del contrasto fra Stato normativo e Stato discrezionale , analizzato a suo tempo da Ernst Fraenkel , ma nel senso del contrasto fra due procedure di decisione , che si escludono a vicenda , pur essendo entrambe compatibili , sui principi fondamentali della democrazia , secondo la quale una decisione collettiva deve essere legittimata in ultima istanza dal consenso diretto o indiretto degli interessati .