StampaQuotidiana ,
Che
il
voto
di
scambio
aumenti
a
danno
del
voto
di
opinione
,
come
ho
scritto
precedentemente
,
è
,
anche
questa
,
una
vecchia
storia
.
In
un
discorso
pronunciato
alla
Camera
dei
deputati
il
27
gennaio
1848
,
Tocqueville
,
lamentando
la
degenerazione
dei
costumi
pubblici
,
per
cui
«
alle
opinioni
,
ai
sentimenti
,
alle
idee
comuni
si
sostituiscono
sempre
più
interessi
particolari
»
,
diceva
,
rivolto
ai
colleghi
del
Parlamento
:
«
Mi
permetterei
di
domandarvi
se
,
per
quanto
ne
sapete
,
in
questi
ultimi
cinque
,
o
dieci
,
o
quindici
anni
,
non
sia
cresciuto
incessantemente
il
numero
di
coloro
che
vi
votano
per
interessi
personali
o
particolari
;
e
se
il
numero
di
chi
vi
vota
sulla
base
di
un
'
opinione
politica
non
decresca
incessantemente
»
.
Considerava
questa
tendenza
espressione
di
«
morale
bassa
e
volgare
»
seguendo
la
quale
chi
gode
dei
diritti
politici
«
ritiene
di
essere
in
dovere
verso
se
stesso
,
i
propri
figli
,
la
propria
moglie
,
i
propri
genitori
,
di
farne
un
uso
personale
nel
proprio
interesse
»
.
Se
la
storia
è
così
vecchia
bisogna
concluderne
che
la
democrazia
ideale
e
la
democrazia
«
realizzata
»
(
per
servirci
della
stessa
espressione
con
cui
si
rappresenta
la
degenerazione
del
sistema
sovietico
rispetto
all
'
ideale
ottocentesco
del
socialismo
)
non
sono
la
stessa
cosa
.
Idealmente
la
democrazia
è
la
forma
di
governo
in
cui
esistono
alcuni
istituti
,
in
special
modo
il
diritto
di
voto
distribuito
a
tutti
,
destinati
a
consentire
ai
governati
di
controllare
i
governanti
.
In
realtà
le
cose
sono
un
po
'
più
complicate
.
E
'
vero
che
il
potere
dei
governanti
dipende
in
larga
misura
dal
numero
dei
voti
,
ma
è
anche
vero
che
il
numero
dei
voti
dipende
dalla
maggiore
o
minor
capacità
dei
governanti
di
trovare
i
mezzi
per
soddisfare
le
richieste
degli
elettori
.
Tra
elettore
ed
eletto
si
viene
così
a
stabilire
un
rapporto
di
dipendenza
reciproca
.
L
'
eletto
dipende
dall
'
elettore
riguardo
alla
sua
legittimazione
a
governare
;
l
'
elettore
dipende
dall
'
eletto
se
vuole
ottenere
certi
benefici
di
cui
il
presunto
dispensatore
è
chi
dispone
di
pubbliche
risorse
.
In
questo
modo
colui
che
dovrebbe
essere
il
controllore
diventa
a
sua
volta
il
controllato
.
Si
ponga
mente
alla
espressione
comune
del
linguaggio
politico
:
«
Quanti
voti
controlla
quel
tale
deputato
,
quel
tale
consigliere
comunale
,
quel
tale
leader
politico
nel
proprio
partito
?
»
Tocqueville
credeva
che
l
'
unico
rimedio
fosse
nell
'
elevazione
della
pubblica
moralità
.
Era
convinto
che
al
buongoverno
contribuissero
più
i
costumi
che
le
istituzioni
,
più
gli
uomini
che
le
leggi
.
Diceva
:
«
Questa
malattia
da
cui
bisogna
guarire
ad
ogni
costo
e
che
,
credetemi
,
ci
colpirà
tutti
,
tutti
capite
,
se
non
faremo
attenzione
,
è
nello
stato
in
cui
si
trovano
lo
spirito
pubblico
e
i
pubblici
costumi
»
.
Non
diversamente
,
un
altro
grande
scrittore
politico
dell
'
Ottocento
,
John
Stuart
Mill
,
riconosceva
che
il
buongoverno
dipende
dalle
buone
leggi
,
ma
aggiungeva
che
le
buone
leggi
abbisognano
di
buoni
uomini
per
essere
applicate
:
«
A
che
servono
le
buone
regole
di
procedura
-
si
domandava
-
se
le
condizioni
morali
del
popolo
sono
tali
che
i
testimoni
generalmente
mentono
e
i
giudici
si
lasciano
corrompere
?
»
Distinguendo
i
cittadini
in
attivi
e
passivi
,
sosteneva
che
i
governi
dispotici
si
reggono
sui
secondi
,
i
governi
democratici
hanno
bisogno
dei
primi
.
Di
fronte
alla
pubblica
corruzione
,
precisava
,
i
passivi
dicono
:
«
Bisogna
aver
pazienza
»
,
gli
attivi
:
«
Che
vergogna
!
»
Senza
aver
mai
letto
né
Tocqueville
né
Mill
molti
italiani
di
oggi
la
pensano
nello
stesso
modo
.
Ma
le
prediche
morali
purtroppo
non
servono
.
Si
tratta
di
sapere
se
ci
sono
rimedi
istituzionali
o
politici
.
Scartata
come
inefficace
la
norma
costituzionale
che
vieta
il
mandato
imperativo
ovvero
impone
al
rappresentante
una
volta
eletto
di
non
tener
conto
degli
interessi
particolari
dei
suoi
elettori
(
non
vi
sono
soltanto
prediche
inutili
ma
anche
leggi
inutili
)
,
di
rimedi
istituzionali
non
ne
vedo
che
uno
:
la
durata
prestabilita
e
non
troppo
breve
della
legislatura
.
Prestabilita
,
perché
non
deve
essere
alla
mercè
della
maggioranza
,
e
non
troppo
breve
perché
deve
consentire
alla
maggioranza
di
svolgere
il
programma
senza
essere
incalzata
dall
'
assillo
dell
'
approvazione
immediata
da
parte
del
corpo
elettorale
.
Non
è
difficile
capire
che
il
mandato
imperativo
e
una
legislatura
la
cui
durata
pluriennale
è
stabilita
dalla
costituzione
sono
incompatibili
.
Là
dove
una
costituzione
fissa
in
anticipo
la
scadenza
della
legislatura
dopo
un
certo
numero
di
anni
,
è
segno
che
il
mandato
del
rappresentante
non
può
essere
vincolato
agli
interessi
particolari
e
contingenti
dei
suoi
elettori
.
Si
dirà
che
una
costituzione
come
la
nostra
che
prevede
il
divieto
di
mandato
imperativo
prevede
pure
la
possibilità
dello
scioglimento
anticipato
del
Parlamento
.
Sì
,
ma
è
una
misura
eccezionale
.
Una
delle
maggiori
aberrazioni
del
nostro
sistema
politico
nel
suo
reale
funzionamento
sta
nel
fatto
che
la
fine
immatura
delle
legislature
è
diventata
una
prassi
tanto
che
ci
stiamo
abituando
a
considerare
eccezionali
quelle
che
muoiono
di
morte
naturale
.
Ma
l
'
assuefazione
all
'
idea
che
la
legislatura
possa
essere
troncata
anzi
tempo
secondo
il
beneplacito
delle
forze
politiche
dominanti
è
deleteria
,
perché
impedisce
ai
rappresentanti
del
popolo
di
distogliere
i
loro
sguardi
dagli
interessi
immediati
del
partito
e
indirettamente
degli
elettori
.
I
programmi
a
lunga
scadenza
possono
venir
presentati
soltanto
all
'
inizio
:
invece
la
prassi
delle
legislature
bruciate
ha
fatto
sì
che
sull
'
inizio
incomba
già
la
fine
,
sicché
la
campagna
elettorale
appena
finita
ricomincia
ed
è
sempre
potenzialmente
aperta
.
Sotto
questo
aspetto
la
legislatura
più
disgraziata
è
quella
tuttora
in
corso
,
che
ogni
sei
mesi
è
stata
data
per
morta
.
Si
capisce
che
ogni
volta
che
ne
viene
annunciata
la
fine
,
i
«
moribondi
»
che
vogliono
rivivere
guardano
con
rinnovata
sollecitudine
agli
elettori
che
sono
la
loro
fonte
di
vita
.
Una
legislatura
che
sopravvive
sotto
la
continua
minaccia
di
scioglimento
,
se
non
a
primavera
in
autunno
,
se
non
in
autunno
alla
primavera
successiva
,
attraverso
una
lunga
agonia
,
non
solamente
è
inoperosa
ma
contraddice
allo
spirito
della
costituzione
che
intende
mantenere
le
debite
distanze
tra
il
momento
della
designazione
dei
rappresentanti
e
il
momento
della
formazione
delle
leggi
.
Che
questo
sia
un
problema
di
fondo
lo
ha
capito
benissimo
il
presidente
Pertini
,
di
cui
non
si
può
che
lodare
l
'
ostinata
e
a
parer
mio
salutare
opposizione
alle
elezioni
anticipate
.
Occorre
interrompere
una
prassi
infausta
e
ristabilire
una
buona
volta
il
principio
che
la
durata
di
cinque
anni
è
la
regola
,
lo
scioglimento
anticipato
l
'
eccezione
.
L
'
estrema
facilità
con
cui
attori
e
osservatori
politici
parlano
di
elezioni
imminenti
dipende
anche
dal
non
tener
conto
delle
conseguenze
che
ne
derivano
,
prima
fra
tutte
il
venir
meno
di
una
remora
,
l
'
unica
remora
,
istituzionale
,
alla
frammentazione
delle
domande
dal
basso
e
al
corrispondente
particolarismo
delle
pubbliche
decisioni
dall
'
alto
.
StampaQuotidiana ,
Nell
'
articolo
L
'
oggetto
misterioso
,
pubblicato
sulla
«
Stampa
»
il
30
aprile
,
Sergio
Romano
ci
ha
spiegato
le
ragioni
per
cui
gli
stranieri
non
riescono
a
capire
il
nostro
sistema
politico
.
Ma
le
ragioni
addotte
riguardano
il
rapporto
fra
governo
e
Parlamento
,
il
regionalismo
,
l
'
istituto
del
referendum
abrogativo
,
non
il
modo
e
la
forma
della
lotta
politica
.
Sono
tutti
argomenti
che
interessano
esclusivamente
gli
uomini
politici
,
i
giornalisti
,
gli
esperti
di
diritto
costituzionale
.
A
me
pare
molto
più
preoccupante
che
disorientati
siano
i
cittadini
italiani
.
Basta
ascoltare
i
loro
commenti
di
questi
giorni
.
La
verità
è
che
si
è
svolto
sotto
i
loro
occhi
,
specie
in
questi
mesi
di
crisi
,
un
gioco
di
potere
,
di
cui
conoscono
poco
le
regole
,
che
oltretutto
sono
,
come
in
genere
tutte
le
regole
,
troppo
vaghe
,
interpretabili
nei
modi
più
diversi
secondo
gl
'
interessi
prevalenti
dell
'
una
o
dell
'
altra
parte
.
Ho
anche
l
'
impressione
che
la
maggior
parte
dei
cittadini
non
abbia
molto
interesse
a
penetrare
nel
segreto
delle
regole
di
strategia
,
vale
a
dire
delle
regole
che
insegnano
quale
sia
il
modo
migliore
per
condurre
il
gioco
allo
scopo
di
vincerlo
.
La
prima
volta
che
mi
trovai
ad
assistere
in
una
università
degli
Stati
Uniti
a
una
partita
di
football
americano
,
di
cui
mi
erano
completamente
ignote
le
regole
del
gioco
e
le
regole
di
strategia
,
non
riuscii
assolutamente
a
capire
che
cosa
stessero
facendo
quei
giovanottoni
corazzati
che
si
accanivano
intorno
a
una
palla
ovale
che
assomigliava
a
un
uovo
di
struzzo
,
ora
ammucchiandosi
l
'
uno
sull
'
altro
ora
disperdendosi
e
inseguendosi
nel
campo
.
Siccome
non
ero
in
grado
di
capire
che
cosa
stesse
succedendo
e
quale
fosse
lo
scopo
di
tanto
affaccendamento
,
non
riuscii
a
divertirmi
.
L
'
osservatore
comune
,
come
mi
è
accaduto
di
notare
più
volte
,
non
ha
neppure
la
più
pallida
idea
della
differenza
tra
regole
del
gioco
che
assegnano
ai
giocatori
i
diversi
ruoli
,
imponendo
obblighi
e
attribuendo
diritti
o
poteri
,
e
regole
di
strategia
che
suggeriscono
le
mosse
più
convenienti
per
battere
l
'
avversario
.
La
regola
che
attribuisce
al
presidente
della
Repubblica
il
potere
di
nominare
il
presidente
del
Consiglio
o
quella
che
prevede
che
il
governo
debba
presentarsi
in
Parlamento
per
ottenere
la
fiducia
sono
regole
del
gioco
,
le
quali
debbono
essere
accettate
da
tutti
i
giocatori
affinché
il
gioco
,
qualunque
ne
sia
l
'
esito
,
che
dipende
dalle
diverse
strategie
adottate
,
si
possa
svolgere
.
Le
mosse
che
ogni
partito
compie
per
riuscire
a
far
parte
del
governo
o
per
appoggiarlo
o
per
farlo
cadere
,
per
provocare
la
fiducia
o
la
sfiducia
,
per
convogliare
il
proprio
voto
verso
l
'
approvazione
o
la
disapprovazione
di
un
disegno
di
legge
,
per
formare
o
disfare
un
'
alleanza
,
appartengono
invece
alla
sfera
dei
comportamenti
dai
quali
,
nel
rispetto
delle
regole
del
gioco
che
tutti
sono
tenuti
a
seguire
,
dipende
che
alla
fine
della
partita
ci
sia
un
vincitore
e
un
vinto
.
Nel
gioco
politico
il
fine
del
gioco
è
il
potere
,
vale
a
dire
una
maggiore
capacità
,
rispetto
agli
avversari
,
di
ottenere
gli
effetti
voluti
.
Ciò
vuol
dire
che
alla
fine
della
partita
si
considera
vincitore
chi
è
riuscito
ad
acquistare
maggiore
potere
,
o
in
senso
assoluto
,
nel
senso
cioè
di
essere
il
più
potente
,
oppure
in
senso
relativo
,
nel
senso
cioè
di
aver
acquistato
maggiore
potere
di
quello
che
aveva
prima
.
A
differenza
di
quel
che
accade
nelle
forme
di
governo
autocratico
,
in
cui
il
maggiore
o
minore
potere
dipende
soprattutto
dal
possesso
della
forza
militare
,
dal
peso
della
tradizione
e
dall
'
alleanza
di
ristrette
consorterie
,
la
caratteristica
essenziale
del
governo
democratico
è
che
il
potere
si
misura
in
base
al
numero
dei
voti
,
anche
se
oltre
il
numero
dei
voti
conta
il
collocamento
lungo
l
'
arco
dei
partiti
del
sistema
,
il
cosiddetto
potere
di
coalizione
.
Ma
la
quantità
dei
voti
è
un
elemento
essenziale
del
potere
democratico
:
necessaria
se
non
sufficiente
.
Nella
gara
fra
partiti
,
particolarmente
intensa
in
periodi
di
competizione
elettorale
,
lo
scopo
di
ogni
partito
è
,
usando
un
'
espressione
del
linguaggio
economico
,
«
massimizzare
»
il
numero
dei
voti
.
Questo
spiega
perché
la
campagna
elettorale
venga
combattuta
non
solo
proponendo
un
programma
per
il
futuro
ma
anche
presentando
un
rendiconto
,
il
più
possibile
positivo
,
dell
'
azione
svolta
durante
gli
anni
della
legislatura
scaduta
.
Tutto
ciò
che
il
partito
fa
,
tutto
ciò
che
fanno
gli
eletti
nei
loro
rispettivi
collegi
,
è
fatto
in
vista
di
quel
rendiconto
periodico
finale
,
che
avviene
nel
giorno
del
voto
.
Come
nell
'
arena
di
un
sistema
economico
concorrenziale
ogni
mossa
dei
concorrenti
è
rivolta
al
procacciamento
del
maggior
numero
di
consumatori
,
così
nell
'
arena
politica
di
un
sistema
pluralistico
com
'
è
quello
democratico
,
e
in
quanto
pluralistico
concorrenziale
,
ogni
atto
di
un
singolo
partito
è
rivolto
,
direttamente
o
indirettamente
,
a
breve
o
a
lunga
scadenza
,
non
solo
negli
ultimi
giorni
prima
delle
elezioni
ma
già
sin
dal
primo
giorno
dopo
la
formazione
del
governo
,
a
raccogliere
il
maggior
numero
di
voti
.
I
cittadini
hanno
un
bell
'
essere
infastiditi
,
irritati
,
indignati
dalla
grande
partita
di
cui
dicono
di
non
capir
nulla
perché
sono
«
affari
loro
»
,
ma
è
un
fatto
che
,
al
contrario
,
sono
affari
che
li
riguardano
direttamente
e
dei
quali
sono
,
anzi
,
i
veri
protagonisti
in
quanto
,
come
elettori
,
hanno
il
diritto
di
gettare
nell
'
urna
una
scheda
e
quindi
di
determinare
con
questo
semplice
gesto
la
maggiore
o
minore
quantità
di
potere
di
cui
ogni
partito
potrà
godere
dopo
il
voto
,
e
in
conseguenza
del
voto
,
rispetto
a
tutti
gli
altri
.
Sono
loro
,
i
cittadini
infastiditi
,
irritati
,
indignati
,
i
destinatari
di
questo
gioco
,
coi
loro
diversi
interessi
,
i
loro
sentimenti
o
umori
,
che
i
giocatori
cercano
d
'
interpretare
e
rappresentare
.
Chi
si
è
battuto
per
lo
svolgimento
dei
referendum
pensava
a
un
pubblico
desideroso
di
partecipare
in
prima
persona
a
una
decisione
importante
.
Chi
si
è
battuto
per
le
elezioni
anticipate
,
pensava
,
al
contrario
,
di
raccogliere
il
consenso
di
chi
era
ormai
giunto
alla
convinzione
che
si
dovesse
voltar
pagina
al
più
presto
.
E
così
via
e
così
via
.
Domandarsi
oggi
chi
ha
vinto
e
chi
ha
perso
,
non
ha
senso
.
Proprio
perché
i
destinatari
del
gioco
sono
gli
elettori
,
la
vittoria
degli
uni
o
la
sconfitta
degli
altri
dipenderà
esclusivamente
da
loro
.
I
singoli
giocatori
possono
aver
sbagliato
i
loro
calcoli
,
ma
i
calcoli
sono
sempre
stati
fatti
avendo
davanti
agli
occhi
coloro
che
col
loro
voto
sono
i
detentori
del
potere
ultimo
e
decisivo
in
un
governo
democratico
e
permettono
di
stabilire
alla
fine
chi
ha
sbagliato
di
più
e
chi
meno
.
Resta
il
dubbio
che
il
fastidio
,
l
'
irritazione
,
l
'
indignazione
,
possano
avere
per
effetto
,
certamente
non
previsto
e
tanto
meno
voluto
dai
partiti
in
lizza
,
una
considerevole
diminuzione
di
partecipanti
al
voto
o
un
altrettanto
considerevole
aumento
di
schede
bianche
o
nulle
.
In
questo
caso
nessuno
avrebbe
vinto
,
tutti
avrebbero
perduto
.
Avrebbe
perso
soprattutto
la
democrazia
.
Si
sa
che
gli
spettatori
in
genere
non
amano
il
gioco
pesante
,
neppure
quello
della
propria
squadra
.
StampaQuotidiana ,
Affrontare
la
questione
morale
partendo
dall
'
osservazione
realistica
che
la
corruzione
non
viene
sempre
elettoralmente
punita
,
quasi
ci
fosse
una
tacita
intesa
fra
corrotto
e
corruttore
,
significa
non
limitarsi
a
fare
delle
prediche
,
che
sono
in
questa
materia
tanto
facili
quanto
inutili
.
E
un
invito
a
conoscere
meglio
il
fenomeno
,
in
tutte
le
sue
manifestazioni
e
ramificazioni
,
perché
solo
conoscendolo
si
può
più
facilmente
correggerlo
.
Sulla
riforma
costituzionale
sono
state
scritte
intere
biblioteche
,
già
in
parte
diventate
carta
da
macero
.
Sulla
corruzione
politica
,
che
per
lo
sviluppo
delle
nostre
istituzioni
democratiche
è
problema
non
meno
importante
,
le
ricerche
e
gli
studi
,
nel
nostro
paese
,
si
contano
sulle
punte
delle
dita
.
Vorrei
almeno
segnalare
il
saggio
del
prof.
Belligni
della
nostra
università
,
Corruzione
e
scienza
politica
,
pubblicato
recentemente
sull
'
ultimo
numero
della
bella
rivista
nata
da
poco
ma
già
affermata
,
«
Teoria
politica
»
.
Questo
saggio
contiene
un
utile
rendiconto
degli
scritti
sull
'
argomento
,
che
vengono
per
la
maggior
parte
dagli
Stati
Uniti
,
e
molte
osservazioni
stimolanti
per
tutti
coloro
che
in
questi
giorni
,
ripetendosi
gli
arresti
di
uomini
politici
e
di
amministratori
per
scandali
,
si
domandano
e
ci
domandano
:
«
Perché
Torino
?
»
o
«
Perché
Firenze
?
»
,
mentre
farebbero
meglio
a
porsi
la
domanda
più
generale
:
«
Perché
la
corruzione
?
»
Siccome
è
chiaro
,
chiarissimo
,
e
tutti
lo
sanno
,
anche
coloro
che
a
ogni
arresto
fingono
di
cascare
dalle
nuvole
e
riscoprono
la
questione
morale
,
che
la
corruzione
politica
è
dovuta
in
gran
parte
al
finanziamento
dei
partiti
,
può
essere
utile
questa
seconda
informazione
:
sin
dall
'
agosto
1984
esiste
una
proposta
dell
'
on.
Valdo
Spini
,
socialista
,
sulla
disciplina
dell
'
attività
e
del
finanziamento
dei
partiti
,
che
al
suo
apparire
ha
avuto
buone
accoglienze
da
giuristi
e
politologi
,
è
stata
discussa
in
varie
pubbliche
riunioni
,
ma
non
ha
mai
avuto
neppure
un
inizio
di
discussione
nella
sede
propria
che
è
il
Parlamento
.
L
'
on.
Spini
ha
avuto
un
notevole
successo
elettorale
,
smentendo
l
'
opinione
che
la
questione
morale
sia
politicamente
irrilevante
.
Probabilmente
di
questa
proposta
si
dovrà
tornare
a
parlare
.
L
'
area
della
corruzione
è
vastissima
.
Perché
ci
sia
corruzione
politica
,
da
distinguersi
dalla
corruzione
in
senso
generale
,
occorre
che
almeno
uno
dei
due
soggetti
del
rapporto
sia
una
persona
investita
di
un
potere
politico
o
pubblico
,
vale
a
dire
del
diritto
di
esercitare
il
potere
di
prendere
decisioni
a
nome
e
per
conto
della
collettività
nazionale
.
Due
sono
le
situazioni
in
cui
si
osservano
abitualmente
rapporti
di
corruzione
:
quella
in
cui
il
soggetto
politico
agisce
per
conquistare
o
conservare
o
non
perdere
il
potere
,
e
quella
in
cui
,
una
volta
che
l
'
ha
acquistato
e
lo
tiene
ben
fermo
nelle
proprie
mani
,
se
ne
serve
per
trarne
vantaggi
privati
.
Inutile
dire
che
le
due
situazioni
sono
strettamente
connesse
perché
nel
mercato
politico
democratico
il
potere
si
conquista
coi
voti
:
uno
dei
modi
di
conquistare
i
voti
è
di
acquistarli
e
uno
dei
modi
per
rifarsi
delle
spese
è
di
servirsi
del
potere
conquistato
o
acquistato
per
ottenere
benefici
anche
pecuniari
da
coloro
cui
l
'
uso
di
quel
potere
può
procurare
vantaggi
.
Il
potere
costa
ma
rende
.
Se
costa
deve
rendere
.
Il
gioco
è
rischioso
:
talora
infatti
costa
più
di
quel
che
rende
,
quando
il
candidato
non
viene
eletto
;
ma
spesso
rende
più
di
quel
che
costa
.
Le
due
situazioni
sono
connesse
ma
occorre
distinguerle
:
nella
prima
l
'
uomo
politico
agisce
da
corruttore
,
nella
seconda
da
corrotto
.
Dall
'
altra
parte
del
rapporto
c
'
è
,
nella
prima
,
l
'
elettore
che
offre
potere
in
cambio
di
un
compenso
;
nella
seconda
un
gruppo
d
'
interesse
,
che
offre
un
compenso
in
cambio
di
una
prestazione
che
solo
il
detentore
del
potere
può
offrire
.
Considerata
l
'
arena
politica
come
una
forma
di
mercato
,
dove
tutto
è
merce
,
cioè
cosa
vendibile
e
comprabile
,
l
'
uomo
politico
si
presenta
,
in
un
primo
momento
come
compratore
(
del
voto
)
,
in
un
secondo
come
venditore
(
delle
risorse
pubbliche
di
cui
grazie
al
voto
è
diventato
potenziale
dispensatore
)
.
Questa
distinzione
è
importante
perché
i
due
casi
sono
,
moralmente
e
anche
giuridicamente
,
di
diversa
gravità
.
Anche
se
negli
studi
sulla
corruzione
politica
si
fa
rientrare
di
solito
il
fenomeno
del
clientelismo
,
vale
a
dire
il
procacciamento
dei
voti
attraverso
l
'
offerta
all
'
elettore
di
vantaggi
personali
,
anche
pecuniari
,
questo
deve
essere
considerato
una
forma
di
degenerazione
del
rapporto
elettorale
,
che
rientra
,
come
la
corruzione
,
nella
categoria
generale
della
«
privatizzazione
del
pubblico
»
,
ma
non
è
una
forma
di
corruzione
strettamente
intesa
.
Altro
è
corrompere
,
o
istigare
il
compimento
di
atti
che
implicano
l
'
incitamento
a
compiere
un
atto
illecito
;
altro
sedurre
,
tentare
,
promettere
a
vuoto
,
che
è
l
'
arte
del
demagogo
,
non
molto
diversa
da
quella
dell
'
imbonitore
.
La
differenza
si
rivela
anche
nel
fatto
che
le
varie
forme
di
procacciamento
della
clientela
si
svolgono
generalmente
in
pubblico
e
possono
suscitare
irritazione
,
deplorazione
,
indignazione
,
ma
non
vengono
perseguite
giuridicamente
.
Offendono
più
il
costume
che
il
diritto
o
la
morale
.
Al
contrario
,
l
'
abuso
del
potere
per
ottenerne
vantaggi
personali
,
il
cui
esempio
più
comune
è
la
«
tangente
»
,
non
si
può
esercitare
che
in
segreto
.
Una
volta
scoperto
,
cade
,
o
dovrebbe
cadere
,
sotto
i
rigori
della
legge
.
Tutti
gli
studi
sulla
corruzione
politica
tendono
a
mettere
in
rilievo
la
vastità
del
fenomeno
anche
negli
Stati
democratici
,
e
la
difficoltà
di
eliminarlo
.
Vi
è
una
scuola
di
rassegnati
,
che
,
ispirandosi
alle
teorie
funzionalistiche
,
ritengono
che
alla
corruzione
si
debba
attribuire
una
sorta
di
utilità
sociale
,
una
«
funzione
»
appunto
,
che
sarebbe
quella
,
metaforicamente
,
di
ungere
le
ruote
di
una
macchina
che
altrimenti
stenterebbe
a
mettersi
in
moto
.
Ma
la
constatazione
che
nella
sua
forma
propria
la
corruzione
non
può
svolgersi
che
in
segreto
,
mostra
,
più
di
qualsiasi
altra
considerazione
,
la
sua
totale
estraneità
all
'
etica
della
democrazia
,
cioè
a
quella
forma
di
governo
che
richiede
la
pubblicità
degli
atti
di
governo
,
in
quanto
si
fonda
sulla
regola
fondamentale
della
controllabilità
ad
ogni
istante
di
chi
esercita
il
potere
non
in
nome
proprio
ma
in
nome
di
tutti
,
e
ha
messo
fine
per
sempre
alla
politica
degli
arcana
imperii
,
propria
degli
Stati
autoritari
di
un
tempo
e
di
quelli
ancor
oggi
esistenti
.
In
uno
Stato
democratico
la
pubblica
moralità
non
è
solo
un
obbligo
morale
o
giuridico
,
ma
anche
un
obbligo
politico
,
anzi
è
l
'
obbligo
politico
per
eccellenza
imposto
dal
principio
stesso
che
regola
la
vita
del
governo
democratico
,
e
che
lo
contraddistingue
da
tutte
le
altre
forme
di
governo
sinora
esistite
,
il
principio
del
«
potere
in
pubblico
»
.
StampaQuotidiana ,
Chi
s
'
era
immaginato
che
le
proteste
degli
abusivi
siciliani
fossero
una
subitanea
esplosione
di
rabbia
,
è
costretto
a
ricredersi
.
A
più
di
un
mese
dalla
marcia
su
Roma
dei
trentamila
,
avvenuta
il
17
febbraio
,
il
movimento
è
passato
dalla
protesta
pacifica
all
'
azione
illegale
di
massa
.
Un
'
azione
che
in
quanto
tale
avrebbe
dovuto
essere
fermamente
condannata
dal
governo
e
dall
'
opposizione
.
Anche
dall
'
opposizione
che
,
sino
a
prova
contraria
,
è
l
'
opposizione
di
uno
Stato
democratico
.
Ciò
che
è
avvenuto
in
Sicilia
è
uno
degli
episodi
più
gravi
,
forse
il
più
grave
,
di
disobbedienza
civile
,
che
il
nostro
paese
abbia
conosciuto
in
questi
quarant
'
anni
.
Oggetto
in
un
primo
tempo
d
'
istigazione
,
cui
non
sono
stati
estranei
alcuni
sindaci
,
la
disobbedienza
è
ora
oggetto
di
una
vera
e
propria
minaccia
,
compiuta
con
azioni
di
continuata
violenza
.
Per
«
disobbedienza
civile
»
s
'
intende
quella
particolare
forma
di
disobbedienza
che
viene
attuata
allo
scopo
immediato
di
mostrare
pubblicamente
che
la
legge
cui
si
dovrebbe
prestare
obbedienza
è
ingiusta
e
allo
scopo
mediato
d
'
indurre
il
governo
a
cambiarla
.
Abitualmente
viene
accompagnata
da
giustificazioni
tali
da
farla
apparire
non
solo
lecita
ma
anche
doverosa
,
e
da
esigere
che
venga
tollerata
,
contrariamente
a
qualsiasi
altra
trasgressione
,
dalle
pubbliche
autorità
.
Si
chiama
«
civile
»
perché
chi
la
compie
ritiene
di
non
venir
meno
al
proprio
dovere
di
cittadino
,
anzi
ritiene
di
comportarsi
da
buon
cittadino
piuttosto
disobbedendo
che
obbedendo
.
Per
questo
suo
carattere
dimostrativo
tende
a
esprimersi
in
pubblico
a
differenza
dalla
disobbedienza
comune
la
quale
per
raggiungere
il
proprio
scopo
deve
nascondersi
.
La
disobbedienza
civile
può
essere
giudicata
da
due
punti
di
vista
:
l
'
uno
strettamente
giuridico
,
l
'
altro
etico
.
Dal
punto
di
vista
dello
stretto
diritto
ogni
forma
di
disobbedienza
è
da
considerarsi
in
generale
illecita
.
La
nostra
Costituzione
stabilisce
all
'
art.
54
che
«
tutti
i
cittadini
hanno
il
dovere
di
essere
fedeli
alla
Repubblica
e
di
osservarne
la
Costituzione
e
le
leggi
»
.
Non
c
'
è
bisogno
di
consultare
un
libro
di
logica
per
rendersi
conto
che
l
'
obbligo
di
osservare
le
leggi
implica
il
divieto
di
non
osservarle
.
A
maggior
ragione
in
un
regime
democratico
.
Nel
quale
ai
cittadini
è
riconosciuto
il
diritto
di
riunirsi
e
di
associarsi
pacificamente
per
protestare
contro
una
legge
che
ritengono
ingiusta
e
impedirne
l
'
approvazione
o
promuoverne
l
'
abrogazione
.
Un
regime
democratico
può
essere
definito
come
quello
in
cui
alla
disobbedienza
civile
,
che
è
l
'
extrema
ratio
cui
possono
ricorrere
i
sudditi
di
un
regime
dispotico
,
si
sostituisce
il
diritto
di
protesta
e
oltre
la
protesta
il
diritto
di
partecipare
direttamente
o
indirettamente
alla
formazione
delle
leggi
.
Dal
diritto
sacrosanto
di
protestare
contro
l
'
emanazione
di
una
legge
non
discende
il
diritto
di
non
osservarla
dopo
che
essa
sia
stata
democraticamente
approvata
.
Così
pure
dal
dovere
di
osservare
una
legge
non
discende
l
'
obbligo
di
rinunciare
a
protestare
affinché
sia
modificata
o
abrogata
.
Vi
sono
due
modi
per
reagire
a
una
legge
che
si
considera
ingiusta
:
la
protesta
e
la
disobbedienza
.
In
un
regime
dispotico
sono
proibiti
tutti
e
due
.
In
un
regime
democratico
è
ammesso
il
primo
e
non
il
secondo
.
Non
esiste
alcun
regime
politico
in
cui
siano
ammessi
entrambi
.
Il
che
vuol
dire
che
la
disobbedienza
civile
può
essere
attuata
,
in
ogni
caso
,
sempre
e
soltanto
a
proprio
rischio
e
pericolo
.
Che
all
'
istigazione
abbiano
sin
dall
'
inizio
partecipato
non
soltanto
semplici
cittadini
ma
anche
persone
investite
di
pubblica
autorità
,
rende
la
«
rivolta
»
siciliana
ancora
più
preoccupante
.
Mi
pare
che
il
caso
non
abbia
precedenti
,
e
bisogna
ammettere
che
come
precedente
è
di
una
gravità
eccezionale
.
Tra
i
mille
segni
di
disgregazione
della
nostra
vita
civile
,
è
uno
dei
più
funesti
.
Uomini
chiamati
a
provvedere
all
'
interesse
pubblico
proteggono
i
più
sfacciati
e
insolenti
interessi
privati
.
Invece
di
reprimere
gli
abusi
li
difendono
e
difendendoli
li
favoriscono
.
Invece
di
mettersi
dalla
parte
dei
pochi
onesti
danno
voce
ai
molti
che
onesti
non
sono
stati
.
Giustificandoli
con
argomenti
spesso
speciosi
(
in
Sicilia
non
ci
sarebbero
abusi
per
causa
di
speculazione
)
li
incoraggiano
a
perseverare
nell
'
oltraggio
alle
leggi
e
nella
violenza
contro
lo
Stato
.
Diverso
è
il
punto
di
vista
morale
.
La
disobbedienza
civile
può
essere
in
alcuni
casi
moralmente
giustificata
.
Ma
occorre
che
la
causa
sia
nobile
.
Occorre
,
per
usare
una
nota
formula
giuridica
,
«
l
'
aver
agito
per
motivi
di
particolare
valore
morale
e
sociale
»
.
Giustifichiamo
(
e
ammiriamo
)
la
disobbedienza
dei
neri
nell
'
Africa
del
Sud
.
Ci
siamo
schierati
dalla
parte
dei
neri
che
negli
Stati
Uniti
entravano
pacificamente
in
un
locale
pubblico
o
in
un
autobus
riservato
ai
soli
bianchi
.
Ma
rispetto
a
questi
esempi
,
le
parti
sono
,
nell
'
attuale
vicenda
siciliana
,
invertite
.
Lo
scopo
della
rivolta
è
la
difesa
non
già
di
un
diritto
conculcato
ma
della
violazione
di
un
diritto
.
L
'
impunità
viene
chiesta
non
contro
il
sopruso
altrui
ma
per
non
subire
le
conseguenze
della
propria
condotta
sin
dall
'
inizio
giuridicamente
illecita
e
in
molti
casi
socialmente
rovinosa
.
Si
disobbedisce
non
per
non
essere
più
sottoposti
a
una
legge
iniqua
,
ma
per
essere
autorizzati
da
una
legge
che
sarebbe
non
meno
iniqua
a
perpetuare
uno
stato
d
'
ingiustizia
.
Il
nostro
Stato
di
diritto
è
una
nave
che
fa
acqua
da
tutte
le
parti
.
Ma
il
consentire
che
ognuno
si
faccia
la
legge
che
vuole
,
e
il
cittadino
rispettoso
delle
leggi
paghi
anche
per
coloro
che
non
le
rispettano
,
è
assolutamente
intollerabile
.
E
anche
il
modo
più
sicuro
e
più
rapido
per
farla
affondare
.
StampaQuotidiana ,
Da
quando
è
scoppiata
la
«
questione
morale
»
non
si
parla
d
'
altro
.
E
giustamente
ne
ha
parlato
il
presidente
della
Repubblica
nel
suo
messaggio
di
fine
d
'
anno
.
Ma
non
mi
pare
si
siano
fatti
grandi
sforzi
per
capire
di
che
si
tratta
.
A
giudicare
dall
'
occasione
da
cui
è
nata
(
lo
scandalo
del
petrolio
e
l
'
affare
Pecorelli
)
sembra
si
voglia
intendere
che
gli
uomini
politici
debbono
essere
persone
oneste
nel
senso
comune
della
parola
,
persone
cioè
che
non
rubano
,
non
mentono
,
non
commettono
nessuno
di
quei
reati
che
sono
puniti
dal
codice
penale
in
quanto
giudicate
azioni
che
le
persone
perbene
non
dovrebbero
compiere
.
Questa
interpretazione
è
tanto
diffusa
che
il
partito
comunista
ha
ritenuto
di
dover
proporre
come
una
svolta
nella
storia
delle
nostre
istituzioni
un
governo
degli
onesti
.
Che
la
questione
morale
debba
essere
interpretata
anche
in
questo
modo
,
è
fuori
discussione
.
Fuori
discussione
perché
ovvio
.
Non
si
vede
infatti
perché
chi
fa
politica
debba
essere
sottratto
agli
obblighi
cui
è
sottoposto
l
'
uomo
comune
.
Non
esiste
una
morale
pubblica
distinta
dalla
morale
privata
.
Se
mai
,
l
'
uomo
pubblico
dovrebbe
essere
più
scrupoloso
nel
rispetto
degli
obblighi
morali
e
di
quelli
giuridici
(
ma
questi
sono
generalmente
obblighi
morali
sanzionati
dallo
Stato
)
per
la
semplice
ragione
che
le
sue
infrazioni
sono
più
dannose
alla
collettività
di
quelle
dell
'
uomo
comune
.
Non
ignoro
che
il
problema
dei
rapporti
fra
politica
e
morale
è
molto
più
intricato
,
che
in
politica
vale
il
principio
che
il
fine
giustifica
i
mezzi
,
che
gli
Stati
non
si
governano
coi
pater
noster
,
e
via
discorrendo
.
Ma
,
girata
e
rigirata
da
tutte
le
parti
,
la
famigerata
dottrina
della
ragion
di
Stato
significa
soltanto
questo
:
che
l
'
uomo
di
Stato
si
viene
a
trovare
talora
in
circostanze
eccezionali
(
si
badi
«
eccezionali
»
)
a
dover
prendere
decisioni
riguardanti
il
bene
comune
(
si
badi
«
il
bene
comune
»
)
che
non
possono
essere
prese
se
non
violando
regole
della
morale
corrente
.
Ciò
che
giustifica
un
mezzo
moralmente
discutibile
è
soltanto
la
nobiltà
del
fine
,
e
la
sua
eccezionalità
.
Il
che
poi
non
è
neppure
una
condizione
particolare
dell
'
uomo
politico
perché
lo
stato
di
necessità
vale
come
giustificazione
anche
per
l
'
uomo
comune
.
Che
l
'
essenza
del
problema
stia
nella
nobiltà
del
fine
lo
ha
detto
molto
bene
Ceronetti
in
un
articolo
sulla
«
Stampa
»
due
settimane
fa
.
Che
il
fine
giustifichi
i
mezzi
non
vuol
dire
che
i
mezzi
siano
giustificati
da
qualsiasi
fine
.
La
stessa
celebre
frase
di
Machiavelli
dice
che
«
i
mezzi
saranno
sempre
iudicati
onorevoli
e
da
ciascuno
laudati
»
quando
il
principe
riesce
a
«
vincere
»
e
a
«
mantenere
lo
Stato
»
.
Quale
sia
la
nobiltà
del
fine
per
cui
alcuni
dei
nostri
uomini
politici
commettono
atti
disonesti
e
offendono
la
morale
comune
,
non
è
dato
capire
.
C
'
è
il
sospetto
che
il
dilagare
della
corruzione
sia
dovuto
prevalentemente
al
bisogno
di
denaro
per
sostenere
una
campagna
elettorale
o
per
mantenere
in
vita
una
corrente
di
partito
.
Non
che
grandi
,
alcuni
di
questi
fini
sono
politicamente
tutt
'
altro
che
corretti
.
Si
tratta
,
sì
,
di
vincere
,
non
una
guerra
,
bensì
le
elezioni
.
Si
tratta
di
conservare
non
lo
Stato
,
bensì
il
proprio
potere
personale
.
La
massima
che
il
fine
giustifica
i
mezzi
è
di
per
se
stessa
discutibile
.
E
non
solo
discutibile
ma
insostenibile
quando
il
fine
che
dovrebbe
giustificare
i
mezzi
è
esso
stesso
ingiustificabile
.
Tutto
questo
,
come
ho
detto
,
è
ovvio
,
ma
non
esaurisce
il
problema
.
Qualsiasi
trattato
di
morale
distingue
la
morale
generale
che
regola
l
'
azione
di
tutti
gli
uomini
,
e
al
cui
rispetto
quindi
tutti
sono
tenuti
,
dalle
morali
speciali
cui
sono
sottoposti
gl
'
individui
in
quanto
appartengono
a
una
determinata
classe
o
gruppo
o
categoria
o
professione
.
Accanto
alla
morale
comune
ci
sono
le
etiche
del
medico
e
del
sacerdote
,
del
giudice
e
del
commerciante
,
dell
'
insegnante
e
del
giornalista
.
In
ognuna
di
queste
valgono
obblighi
specifici
,
e
anche
specifiche
esenzioni
di
obblighi
.
Un
medico
ha
l
'
obbligo
di
accorrere
alla
chiamata
di
un
malato
grave
anche
fuori
della
sua
ora
d
'
ufficio
,
ma
è
esentato
dall
'
obbligo
di
dire
allo
stesso
malato
la
verità
sulla
gravità
della
malattia
.
Ogni
professione
ha
il
suo
codice
morale
,
che
con
parola
dotta
e
pretenziosa
si
chiama
«
deontologia
»
.
Tra
le
morali
speciali
vi
è
anche
la
morale
dell
'
uomo
politico
.
Tanto
più
poi
quando
anche
la
politica
è
diventata
una
professione
.
Per
capire
la
specificità
dei
diversi
codici
morali
occorre
aver
di
mira
la
funzione
sociale
delle
diverse
Categorie
cui
si
riferiscono
.
Dalla
considerazione
che
la
funzione
sociale
del
medico
è
quella
di
provvedere
alla
guarigione
degli
infermi
nascono
tutti
quei
problemi
delicatissimi
di
etica
medica
che
vanno
dall
'
eutanasia
al
prolungamento
artificiale
di
una
vita
condannata
.
La
funzione
sociale
dell
'
attività
politica
è
quella
di
perseguire
,
e
possibilmente
conseguire
,
l
'
interesse
pubblico
.
Di
qua
deriva
l
'
etica
specifica
di
chi
si
dedica
all
'
attività
politica
,
il
suo
codice
morale
.
C
'
è
una
distinzione
che
corre
lungo
tutta
la
storia
del
pensiero
politico
,
la
distinzione
fra
buon
governo
e
malgoverno
,
fondata
sulla
distinzione
fra
il
governante
che
persegue
il
bene
comune
e
quello
che
persegue
il
bene
proprio
.
L
'
etica
specifica
dell
'
uomo
pubblico
è
quella
in
cui
la
distinzione
fra
l
'
azione
buona
e
l
'
azione
cattiva
corre
parallelamente
alla
distinzione
fra
l
'
azione
volta
al
bene
comune
e
quella
volta
al
bene
individuale
.
Ne
deriva
che
l
'
uomo
politico
ha
oltre
ai
doveri
di
tutti
anche
i
doveri
che
gli
spettano
in
quanto
uomo
politico
.
Questi
ultimi
sono
strettamente
connessi
alla
funzione
specifica
della
sua
attività
.
La
funzione
specifica
dell
'
attività
politica
è
il
buon
governo
come
la
funzione
specifica
del
medico
è
quella
di
ben
curare
,
quella
del
giudice
di
ben
giudicare
,
dell
'
insegnante
di
ben
insegnare
.
No
,
quando
si
pone
la
questione
morale
con
riferimento
all
'
azione
del
politico
,
non
si
tratta
soltanto
del
governo
degli
onesti
nel
senso
generico
della
parola
.
Si
tratta
del
governo
di
uomini
che
antepongano
l
'
interesse
dello
Stato
al
proprio
,
a
quello
del
proprio
partito
,
della
propria
corrente
,
del
proprio
clan
,
di
uomini
che
rispettino
non
solo
le
regole
della
morale
comune
ma
anche
quelle
della
propria
morale
professionale
.
Uno
dei
maggiori
rimproveri
che
oggi
l
'
uomo
della
strada
,
l
'
uomo
della
morale
comune
,
muove
alla
nostra
classe
politica
nel
suo
insieme
è
di
subordinare
l
'
interesse
pubblico
che
è
il
fine
specifico
della
sua
azione
specifica
all
'
interesse
privato
,
di
approfittare
del
potere
pubblico
che
deve
essere
esercitato
solo
in
vista
del
bene
comune
per
accrescere
il
proprio
potere
personale
.
Una
volta
si
diceva
che
cattivo
governante
è
colui
che
mira
a
soddisfare
il
bene
proprio
anziché
a
provvedere
al
bene
comune
.
Oggi
si
dice
che
il
malgoverno
consiste
nel
considerare
gli
affari
di
Stato
come
affari
privati
.
Le
parole
cambiano
ma
la
sostanza
è
la
stessa
.
In
questo
senso
,
e
solo
in
questo
senso
,
la
questione
morale
è
anche
una
questione
politica
.
Una
questione
politica
che
nessun
ritocco
della
Costituzione
potrà
mai
risolvere
.
Dai
buoni
costumi
possono
nascere
buone
leggi
.
Ma
non
bastano
le
buone
leggi
a
produrre
buoni
costumi
.
StampaQuotidiana ,
In
un
articolo
di
alcuni
mesi
orsono
(
Il
potere
invisibile
,
«
La
Stampa
»
,
23
novembre
1980
)
avevo
definito
la
democrazia
il
governo
del
potere
visibile
,
e
avevo
constatato
amaramente
che
nel
nostro
paese
il
potere
invisibile
non
solo
non
era
stato
debellato
ma
aveva
continuato
a
prosperare
e
a
dilatarsi
in
tutte
le
direzioni
.
Scrivevo
:
«
Non
si
capisce
nulla
del
nostro
sistema
di
potere
se
non
si
è
disposti
ad
ammettere
che
al
di
sotto
del
governo
visibile
c
'
è
un
governo
che
agisce
nella
penombra
(
il
cosiddetto
"
sottogoverno
"
)
e
ancora
più
in
fondo
un
governo
che
agisce
nella
più
assoluta
oscurità
e
che
potrebbe
essere
chiamato
"
criptogoverno
"
»
.
Vi
è
sempre
stato
e
sempre
vi
sarà
un
potere
invisibile
contro
lo
Stato
,
che
comprende
le
associazioni
a
delinquere
,
la
mafia
,
le
associazioni
sovversive
,
i
gruppi
di
cospiratori
,
di
terroristi
(
la
sigla
della
famigerata
Oas
significava
Organisation
d
'
armée
secrète
)
.
Vi
è
sempre
stato
,
e
purtroppo
sembra
che
non
se
ne
possa
fare
a
meno
,
un
potere
invisibile
dentro
lo
Stato
,
che
comprende
i
servizi
segreti
per
la
sicurezza
interna
ed
esterna
dello
Stato
,
l
'
organizzazione
dello
spionaggio
e
del
controspionaggio
.
Ciò
che
in
un
regime
democratico
è
assolutamente
inammissibile
è
l
'
esistenza
di
un
potere
invisibile
che
agisce
accanto
a
quello
dello
Stato
,
insieme
dentro
e
contro
,
sotto
certi
aspetti
concorrente
,
sotto
altri
connivente
,
che
si
vale
del
segreto
non
proprio
per
abbatterlo
ma
neppure
per
servirlo
.
Se
ne
vale
principalmente
per
aggirare
o
addirittura
violare
impunemente
le
leggi
,
oppure
per
ottenere
favori
straordinari
o
illeciti
.
Un
potere
che
compie
atti
politicamente
rilevanti
senza
avere
alcuna
responsabilità
politica
,
anzi
cercando
di
sottrarsi
attraverso
la
segretezza
anche
alle
normali
responsabilità
civili
,
amministrative
e
penali
.
Tralascio
di
discutere
il
problema
dal
punto
di
vista
morale
,
anche
se
non
sono
il
solo
a
essere
disgustato
del
malcostume
imperversante
e
ho
provato
quasi
vergogna
nel
leggere
tutti
quei
nomi
di
persone
altolocate
unite
non
si
sa
da
che
cosa
,
se
non
da
un
desiderio
smodato
di
potere
,
da
ambizioni
spropositate
,
o
soltanto
da
fatue
vanità
.
Non
dubito
che
il
trarre
vantaggi
personali
di
carriera
,
di
potere
e
di
ricchezza
da
un
'
affiliazione
segreta
sia
moralmente
riprovevole
,
e
che
dia
un
ben
miserabile
spettacolo
di
sé
un
paese
in
cui
un
così
gran
numero
di
personaggi
appartenenti
alla
classe
dirigente
,
alla
classe
«
eletta
»
,
come
si
diceva
una
volta
(
e
come
oggi
non
si
potrebbe
più
dire
)
,
entra
a
far
parte
di
associazioni
che
si
nascondono
per
nascondere
.
Non
discuto
la
questione
morale
perché
non
ce
n
'
è
bisogno
.
Mi
fermo
alla
questione
politica
che
basta
da
sola
a
permettere
di
esprimere
un
giudizio
severo
nei
riguardi
di
un
'
associazione
il
cui
unico
scopo
reale
,
al
di
fuori
degli
scopi
dichiarati
,
è
di
esercitare
un
potere
occulto
:
dico
«
unico
»
almeno
sino
a
che
qualcuno
,
meglio
se
è
membro
dell
'
associazione
stessa
,
me
ne
saprà
indicare
un
altro
.
Anch
'
io
,
come
Vittorio
Gorresio
,
sarei
contento
di
capire
per
quali
ragioni
personaggi
già
potenti
per
ricchezza
o
per
condizione
sociale
(
non
mi
risulta
che
nella
famosa
lista
vi
siano
operai
,
modesti
impiegati
,
la
solita
gente
che
tira
la
carretta
)
sentano
il
bisogno
di
associarsi
con
uomini
di
malaffare
o
politicamente
sospetti
.
Abbiamo
forse
dimenticato
che
«
repubblica
»
viene
da
«
res
publica
»
,
e
che
«
res
publica
»
significa
cosa
pubblica
,
nel
duplice
senso
di
governo
del
pubblico
e
di
governo
in
pubblico
?
Governo
del
pubblico
significa
governo
del
popolo
,
e
non
di
uno
o
di
pochi
;
governo
in
pubblico
significa
che
gli
atti
del
potere
,
o
vengono
esercitati
direttamente
davanti
al
popolo
,
oppure
vengono
in
varie
forme
fatti
conoscere
ai
naturali
destinatari
e
non
diventano
ufficialmente
validi
sino
a
che
non
hanno
ricevuto
la
dovuta
pubblicità
.
Vi
sono
due
tipi
ideali
di
forme
di
governo
,
opposte
l
'
una
all
'
altra
:
democrazia
e
autocrazia
.
La
democrazia
avanza
e
l
'
autocrazia
retrocede
via
via
che
il
potere
diventa
sempre
più
visibile
e
gli
arcana
imperii
,
i
segreti
di
Stato
,
da
regola
diventano
eccezione
,
un
'
eccezione
accolta
in
ambiti
sempre
più
ristretti
e
tassativamente
stabiliti
.
All
'
inizio
del
Cinquecento
Francesco
Guicciardini
poteva
scrivere
tranquillamente
senza
suscitare
scandalo
:
«
E
'
incredibile
quanto
giovi
a
chi
ha
amministrazione
che
le
cose
sue
siano
segrete
»
.
Ma
alla
fine
del
Settecento
Michele
Natale
(
il
vescovo
di
Vico
giustiziato
a
Napoli
il
20
agosto
1799
)
scriverà
nel
Catechismo
repubblicano
:
«
Vi
è
niente
di
segreto
nel
governo
democratico
?
Tutte
le
operazioni
dei
governanti
devono
essere
note
al
Popolo
Sovrano
»
.
Non
esiste
democrazia
senza
opinione
pubblica
,
senza
la
formazione
di
un
pubblico
che
pretende
di
avere
diritto
a
essere
informato
delle
decisioni
che
vengono
prese
nell
'
interesse
collettivo
e
di
esprimere
su
di
esse
la
propria
libera
critica
.
Qualsiasi
forma
di
potere
occulto
,
rendendo
vano
questo
diritto
,
distrugge
uno
dei
pilastri
su
cui
si
regge
il
governo
democratico
.
Del
resto
chi
promuove
forme
di
potere
occulto
e
chi
vi
aderisce
vuole
proprio
questo
:
sottrarre
le
proprie
azioni
al
controllo
democratico
,
non
sottostare
agli
obblighi
che
una
qualsiasi
costituzione
democratica
impone
a
chi
detiene
il
potere
di
prendere
decisioni
vincolanti
per
tutti
i
cittadini
,
se
mai
,
al
contrario
,
controllare
lo
Stato
senza
essere
a
sua
volta
controllato
.
Nello
Stato
dispotico
il
sovrano
vede
senza
essere
visto
.
L
'
ideale
di
ogni
forma
di
potere
occulto
è
che
il
sovrano
,
che
nella
democrazia
è
il
popolo
,
agendo
alla
luce
del
sole
,
possa
essere
visto
e
non
veda
.
Fra
i
vari
malanni
della
nostra
democrazia
l
'
estensione
sempre
più
ampia
di
zone
di
potere
occulto
non
è
dei
meno
gravi
.
Ma
sarebbe
ancora
più
grave
se
la
zona
che
è
stata
ora
scoperta
fosse
di
nuovo
ricoperta
.
Già
gli
amici
e
gli
amici
degli
amici
si
apprestano
a
«
fare
quadrato
»
non
per
difendere
le
istituzioni
democratiche
ma
per
difendere
il
proprio
partito
,
il
proprio
gruppo
,
il
proprio
clan
.
L
'
unico
modo
per
difendere
le
istituzioni
democratiche
è
quello
di
fare
quadrato
intorno
a
coloro
che
non
hanno
mai
avuto
la
tentazione
di
sprofondare
nel
sottosuolo
per
non
farsi
riconoscere
.
Sono
molti
per
fortuna
.
Ma
debbono
avere
coraggio
e
agire
di
conseguenza
.
Nessuno
vuole
,
intendiamoci
,
che
non
si
facciano
le
debite
distinzioni
:
che
non
si
distinguano
i
colpevoli
dagli
innocenti
,
gli
scaltri
dagli
sprovveduti
,
coloro
che
hanno
ordito
la
ragnatela
da
coloro
che
vi
sono
caduti
.
Personalmente
io
ho
persino
qualche
dubbio
circa
la
precipitazione
con
cui
la
lista
è
stata
pubblicata
.
Ma
sia
chiaro
:
distinguere
,
non
estinguere
.
StampaQuotidiana ,
Ancora
una
crisi
.
Si
è
sempre
detto
che
le
crisi
non
dovevano
essere
al
buio
.
Ma
più
al
buio
di
così
?
Si
è
ammesso
che
una
crisi
poteva
essere
al
buio
purché
fosse
«
pilotata
»
.
Ma
c
'
è
il
pilota
?
E
se
c
'
è
,
si
può
sapere
chi
è
?
Dal
1968
,
da
quando
è
cominciata
la
degenerazione
del
nostro
sistema
politico
con
quattro
legislature
interrotte
anzitempo
,
e
una
quinta
,
la
presente
,
sulla
cui
fine
naturale
nessuno
è
disposto
a
giurare
,
anche
i
tempi
dei
governi
si
sono
accorciati
:
quindici
in
dodici
anni
rispetto
ai
venticinque
dei
primi
ventitrè
.
Mi
domando
se
questi
dati
di
fatto
siano
presenti
ai
nostri
governanti
e
perché
,
essendo
impossibile
che
siano
a
loro
ignoti
,
non
ne
tengano
il
minimo
conto
.
La
nostra
classe
politica
ha
inventato
non
la
rivoluzione
permanente
ma
la
crisi
permanente
.
Mai
una
volta
che
i
protagonisti
si
degnino
di
spiegare
ai
loro
elettori
,
di
fronte
ai
quali
sono
o
dovrebbero
essere
responsabili
dei
loro
atti
,
quali
siano
la
ragione
e
la
necessità
di
una
nuova
crisi
che
in
genere
scoppia
improvvisa
come
un
temporale
,
anche
se
se
n
'
è
sentito
talvolta
da
lontano
il
brontolio
.
Si
scopre
un
centro
di
potere
occulto
,
dove
ci
sono
corruttori
,
corrotti
e
corrompibili
?
Un
governo
di
persone
responsabili
,
un
governo
autorevole
,
sospende
subito
i
ministri
sospettati
,
prende
rapidamente
provvedimenti
per
diminuire
il
danno
e
il
discredito
che
le
istituzioni
democratiche
ricevono
da
una
scoperta
così
scandalosa
,
cerca
di
far
luce
al
più
presto
sull
'
associazione
segreta
contraria
alla
Costituzione
ed
eventualmente
la
scioglie
.
Niente
di
tutto
questo
:
il
governo
si
dimette
,
apre
la
crisi
,
e
quindi
lascia
tutti
i
problemi
non
risolti
per
trovarseli
aggravati
quando
la
crisi
sarà
finita
.
Un
governo
di
persone
responsabili
.
Responsabili
di
fronte
a
chi
?
Responsabili
rispetto
a
che
cosa
?
Si
è
discusso
in
questi
giorni
in
un
convegno
a
cui
io
stesso
ho
partecipato
il
tema
della
responsabilità
politica
,
un
tema
da
affrontare
con
spirito
realistico
e
strumenti
concettuali
adeguati
.
Quando
si
dice
di
una
persona
che
è
responsabile
si
possono
intendere
due
cose
diverse
:
a
)
che
risponde
delle
proprie
azioni
di
fronte
a
qualcuno
che
sta
sopra
di
lui
;
b
)
che
agisce
rendendosi
esatto
conto
delle
conseguenze
delle
proprie
azioni
.
Proviamo
a
verificare
l
'
esattezza
di
questi
due
aspetti
del
problema
considerando
il
termine
contrario
:
irresponsabile
.
Nel
linguaggio
del
diritto
costituzionale
si
dice
che
un
organo
è
irresponsabile
,
quando
essendo
al
vertice
del
sistema
non
ha
nessuno
al
di
sopra
di
sé
cui
rispondere
delle
proprie
azioni
politiche
(
si
tratta
di
una
caratteristica
tradizionale
del
sovrano
che
vale
,
in
base
all
'
art.
90
della
nostra
Costituzione
,
anche
per
il
presidente
della
Repubblica
)
.
Ma
quando
dico
,
ad
esempio
,
che
uno
di
quei
centauri
catafratti
come
un
guerriero
antico
che
corre
all
'
impazzata
in
una
via
della
città
con
la
sua
motocicletta
fragorosa
,
è
un
irresponsabile
,
voglio
dire
non
già
che
non
risponde
della
sua
azione
di
fronte
a
nessuno
,
ma
che
si
comporta
da
scriteriato
,
da
individuo
che
agisce
senza
tener
conto
delle
conseguenze
della
propria
azione
.
La
gente
dice
sempre
più
spesso
che
la
maggior
parte
dei
nostri
uomini
politici
sono
degli
irresponsabili
.
Ma
in
che
senso
lo
dice
?
Nel
senso
che
non
rispondono
di
fronte
a
nessuno
?
o
nel
senso
che
agiscono
senza
preoccuparsi
troppo
dei
malanni
che
la
loro
azione
produce
?
Credo
che
nell
'
opinione
pubblica
prevalga
il
secondo
significato
,
specie
di
fronte
alle
crisi
di
governo
,
che
sono
giustamente
percepite
come
una
malattia
del
sistema
,
onde
l
'
impressione
che
tanto
più
frequenti
le
crisi
tanto
più
grave
il
malato
.
Nel
giudizio
comune
la
crisi
di
governo
è
un
atto
che
richiede
ponderazione
e
prudenza
.
L
'
esperienza
di
questi
anni
dovrebbe
aver
insegnato
che
crisi
di
governo
non
ponderate
e
imprudenti
impediscono
alla
legislatura
di
arrivare
sino
alla
fine
:
una
legislatura
non
sopporta
più
di
cinque
governi
,
in
media
uno
all
'
anno
.
La
presente
è
già
giunta
al
quarto
(
dopo
due
governi
Cossiga
e
uno
Forlani
)
ad
appena
due
anni
dall
'
inizio
con
un
'
accelerazione
senza
precedenti
:
un
governo
ogni
sei
mesi
.
Dal
governo
annuale
al
governo
semestrale
.
A
quando
quello
mensile
?
Mentre
i
governi
si
accorciano
,
le
crisi
si
allungano
.
E
quando
le
crisi
si
allungano
,
le
legislature
si
accorciano
.
Il
presidente
Pertini
,
che
non
è
responsabile
nel
primo
significato
del
termine
ma
ha
un
alto
senso
di
responsabilità
nel
secondo
(
il
che
prova
quanto
i
due
significati
debbano
essere
tenuti
distinti
)
,
ha
più
volte
dichiarato
che
non
intende
sciogliere
ancora
una
volta
il
Parlamento
.
Ha
capito
benissimo
che
la
fine
prematura
della
legislatura
sarebbe
un
colpo
mortale
inferto
al
sistema
democratico
.
Ma
l
'
hanno
capito
coloro
che
sono
responsabili
,
nel
senso
costituzionale
,
del
governo
del
paese
?
Quando
appaiono
sugli
schermi
della
televisione
questi
timonieri
più
bravi
nel
pilotare
le
crisi
che
i
governi
,
appaiono
sereni
,
sicuri
di
sé
,
non
sfiorati
da
dubbi
sulla
rotta
da
seguire
,
come
se
fossero
già
in
vista
del
porto
.
Lo
spettatore
si
domanda
con
un
senso
di
angoscia
:
sono
o
non
sono
coscienti
del
lento
ma
inesorabile
logoramento
del
regime
democratico
provocato
da
queste
crisi
,
sempre
brevi
a
parole
,
sempre
lunghe
nei
fatti
,
tanto
promettenti
quando
si
aprono
quanto
deludenti
quando
si
chiudono
?
Ma
se
fossero
davvero
coscienti
si
comporterebbero
davvero
in
questo
modo
?
Ma
allora
sono
degli
incoscienti
?
A
questa
domanda
si
può
rispondere
soltanto
prendendo
in
considerazione
l
'
altra
faccia
del
problema
e
ponendosi
una
diversa
domanda
:
«
Verso
chi
sono
responsabili
?
»
Viene
la
tentazione
di
rispondere
:
«
Verso
nessuno
»
.
Quando
debbono
cadere
le
teste
,
cadono
generalmente
quelle
degli
altri
.
Tanto
che
a
giudicare
dalle
teste
che
cadono
,
si
dovrebbe
concludere
che
la
nostra
classe
politica
conti
il
maggior
numero
di
cittadini
illibati
e
incorruttibili
.
Eppure
in
un
sistema
democratico
non
dovrebbe
rispondere
,
la
classe
politica
,
agli
elettori
?
Le
elezioni
popolari
non
dovrebbero
servire
a
discriminare
i
buoni
dai
cattivi
reggitori
,
gli
onesti
dai
disonesti
?
Ma
è
proprio
così
?
Purtroppo
non
è
così
.
La
reale
potenza
dei
partiti
sta
nella
capacità
che
essi
hanno
di
controllare
i
loro
controllori
.
I
risultati
elettorali
di
questi
anni
sono
lì
a
dimostrare
che
la
cosiddetta
verifica
periodica
del
consenso
in
cui
consiste
l
'
essenza
della
democrazia
si
svolge
in
modo
da
dare
alla
classe
politica
che
ci
ha
governato
sinora
la
tranquilla
coscienza
che
viene
dall
'
aver
sottoposto
la
propria
azione
al
verdetto
del
popolo
,
e
insieme
la
convinzione
di
aver
ben
meritato
della
salvezza
della
patria
.
Controllando
i
propri
controllori
essa
finisce
per
essere
responsabile
,
sì
,
ma
solo
di
fronte
a
se
stessa
.
In
tal
modo
,
il
sistema
è
,
almeno
sino
ad
ora
,
bloccato
.
Ma
chi
è
in
grado
di
sbloccarlo
?
StampaQuotidiana ,
La
frequenza
con
cui
ricorre
nel
linguaggio
politico
quotidiano
l
'
espressione
«
patto
sociale
»
merita
qualche
riflessione
.
L
'
idea
che
lo
Stato
sia
derivato
da
un
patto
degl
'
individui
che
lo
compongono
e
lo
hanno
istituito
per
rendere
possibile
una
convivenza
stabile
e
pacifica
risale
agli
antichi
,
ed
è
diventata
dominante
nell
'
età
moderna
attraverso
le
dottrine
cosiddette
«
contrattualistiche
»
.
Ma
queste
dottrine
,
da
Hobbes
a
Kant
,
hanno
concepito
il
«
contratto
sociale
»
come
una
specie
di
«
fiat
»
divino
,
un
atto
di
creazione
e
di
fondazione
,
che
si
esaurisce
nel
momento
stesso
in
cui
nasce
la
sua
creatura
,
lo
Stato
.
Una
volta
costituito
,
lo
Stato
si
erge
al
di
sopra
degli
individui
che
gli
hanno
dato
vita
con
il
loro
accordo
,
e
la
sua
volontà
si
esprime
d
'
ora
innanzi
in
forma
di
legge
,
cioè
di
comando
al
di
sopra
delle
parti
.
Come
modo
di
prendere
decisioni
comuni
,
il
contratto
viene
degradato
a
istituto
del
diritto
privato
,
di
un
diritto
che
,
usciti
gl
'
individui
dallo
stato
di
natura
,
riceve
legittimità
ed
efficacia
dal
riconoscimento
dello
Stato
.
Tutt
'
al
più
,
se
lo
Stato
nato
da
quell
'
accordo
è
uno
Stato
democratico
,
uno
Stato
il
cui
fondamento
di
legittimità
risiede
nel
consenso
,
il
contratto
iniziale
deve
essere
periodicamente
rinnovato
attraverso
libere
elezioni
dell
'
organo
o
degli
organi
principali
cui
è
attribuito
il
potere
di
prendere
decisioni
vincolanti
per
tutta
la
collettività
.
In
questo
modello
ideale
i
soggetti
principali
del
rapporto
politico
sono
,
da
un
lato
,
gl
'
individui
singoli
che
decidono
di
istituire
lo
Stato
,
dall
'
altro
il
sovrano
che
secondo
le
diverse
interpretazioni
del
contratto
sociale
è
,
o
egli
stesso
una
delle
parti
contraenti
,
oppure
un
terzo
a
favore
del
quale
il
contratto
viene
stipulato
dagli
individui
desiderosi
di
uscire
dallo
stato
di
natura
.
Non
c
'
è
posto
in
questo
modello
per
i
corpi
intermedi
,
i
gruppi
sociali
,
le
corporazioni
,
insomma
per
le
società
particolari
,
che
stanno
in
mezzo
fra
i
singoli
e
la
società
globale
(
la
società
politica
o
civile
,
della
tradizione
)
.
O
per
lo
meno
esse
non
svolgono
la
parte
del
protagonista
nella
formazione
dello
Stato
.
Stanno
dentro
allo
Stato
,
come
del
resto
gl
'
individui
dopo
che
lo
Stato
è
istituito
,
ma
,
a
differenza
degli
individui
,
non
hanno
contribuito
a
formarlo
,
né
sono
chiamati
a
dare
a
esso
una
periodica
legittimazione
.
Quando
oggi
si
parla
di
«
patto
sociale
»
,
ci
si
riferisce
invece
a
una
forma
di
rapporto
politico
in
cui
i
protagonisti
sono
proprio
quei
corpi
intermedi
di
cui
la
dottrina
tradizionale
del
contratto
sociale
aveva
ritenuto
di
potere
non
tener
conto
.
Che
cosa
è
successo
?
È
toccata
anche
al
modello
astratto
del
contratto
sociale
la
sorte
di
tutti
i
modelli
astratti
:
la
realtà
il
più
delle
volte
li
ignora
e
procede
per
conto
suo
.
Ciò
che
caratterizza
le
moderne
società
industriali
e
democratiche
sono
la
molteplicità
,
la
varietà
,
l
'
influenza
,
delle
società
particolari
in
permanente
conflitto
fra
di
loro
.
Non
a
caso
vengono
chiamate
con
una
connotazione
ormai
ricorrente
«
pluralistiche
»
,
o
«
poliarchiche
»
.
Che
vuol
dire
:
a
più
centri
di
potere
.
Le
forze
sociali
(
intendi
i
sindacati
)
e
le
forze
politiche
(
intendi
i
partiti
)
,
che
appaiono
continuamente
sulla
scena
politica
come
gli
attori
principali
,
non
sono
né
gl
'
individui
né
lo
Stato
nel
suo
complesso
,
i
due
protagonisti
del
rapporto
politico
secondo
il
modello
tradizionale
.
Sono
le
società
particolari
che
la
dottrina
tradizionale
aveva
espunto
dal
proprio
modello
.
Recentemente
è
uscito
in
traduzione
italiana
(
con
introduzione
di
Angelo
Scivoletto
)
un
libro
ben
noto
agli
studiosi
,
Poliarchia
,
di
Robert
Dahl
(
Franco
Angeli
editore
,
Milano
1980
)
.
Secondo
Dahl
,
la
caratteristica
saliente
delle
poliarchie
è
,
oltre
l
'
estensione
della
partecipazione
popolare
,
la
presenza
di
una
forte
competitività
.
Ma
questa
caratteristica
non
sarebbe
completa
se
non
si
aggiungesse
che
i
soggetti
attivi
,
rilevanti
,
determinanti
,
della
competizione
,
non
sono
gl
'
individui
.
Sono
enti
collettivi
:
o
grandi
gruppi
organizzati
,
come
i
sindacati
e
i
partiti
,
oppure
grandi
organizzazioni
,
come
le
imprese
(
non
importa
se
private
,
pubbliche
o
semipubbliche
)
.
Più
che
una
società
non
egemonica
,
come
la
definisce
Dahl
,
la
nostra
società
poliarchica
è
contrassegnata
dall
'
esistenza
di
più
gruppi
tendenzialmente
egemoni
in
concorrenza
fra
loro
.
Partendo
dalla
concezione
monistica
dello
Stato
,
che
ha
accompagnato
la
formazione
dello
Stato
moderno
,
costruito
idealmente
come
antitesi
alla
società
medievale
,
si
è
spesso
manifestata
una
tendenza
a
considerare
lo
Stato
unitario
come
modello
ideale
anche
per
la
società
internazionale
.
Se
pure
con
una
certa
forzatura
,
mi
pare
si
possa
dire
che
nella
realtà
è
avvenuto
il
processo
inverso
.
Lo
Stato
poliarchico
contemporaneo
assomiglia
sempre
più
alla
società
internazionale
,
disarticolato
com
'
è
in
tanti
potentati
quasi
sovrani
,
la
cui
competizione
trova
soluzioni
provvisorie
(
tregue
,
non
paci
)
attraverso
laboriosi
e
spesso
lunghi
negoziati
,
che
finiscono
in
accordi
,
come
sono
i
contratti
collettivi
fra
le
forze
sociali
,
o
le
coalizioni
fra
le
forze
politiche
(
si
badi
,
«
coalizione
»
è
un
termine
proprio
del
diritto
internazionale
)
,
sottoposti
,
gli
uni
e
le
altre
,
alla
clausola
di
validità
a
parità
di
condizioni
(
che
corrisponde
al
«
rebus
sic
stantibus
»
dei
trattati
internazionali
)
.
Da
questa
constatazione
discendono
alcune
conseguenze
destinate
a
mutare
l
'
immagine
ideale
dello
Stato
moderno
.
Ne
indico
tre
.
Come
possiamo
osservare
ogni
giorno
,
in
una
situazione
di
forte
competitività
fra
gruppi
potenti
,
il
governo
o
agisce
egli
stesso
come
parte
in
causa
,
oppure
svolge
la
propria
azione
come
mediatore
delle
parti
in
conflitto
e
alla
fine
come
garante
(
spesso
impotente
)
dell
'
accordo
intervenuto
.
In
nessuno
dei
due
casi
la
sua
azione
rispecchia
l
'
immagine
tramandata
per
secoli
del
potere
statale
come
potere
sovrano
.
In
contrasto
col
mito
del
governo
forte
si
va
formulando
l
'
ipotesi
del
governo
debole
,
la
cui
debolezza
non
è
patologica
ma
fisiologica
.
Il
principio
della
supremazia
della
legge
richiede
in
una
società
democratica
il
rispetto
della
regola
della
maggioranza
,
espediente
tecnico
indispensabile
dove
coloro
che
debbono
prendere
una
decisione
sono
molti
,
in
una
situazione
in
cui
,
se
fosse
richiesta
l
'
unanimità
,
la
decisione
sarebbe
praticamente
impossibile
.
Al
contrario
,
la
soluzione
di
un
conflitto
mediante
accordo
rappresenta
una
decisione
presa
all
'
unanimità
,
in
quanto
è
valida
solo
se
è
accettata
da
entrambe
le
parti
.
Come
tale
,
è
possibile
soltanto
là
dove
i
contraenti
sono
due
o
poco
più
.
Ma
là
dove
i
contraenti
sono
due
o
poco
più
,
è
segno
che
i
singoli
individui
sono
esautorati
,
non
contano
nulla
(
gli
unici
individui
che
entrano
in
scena
sono
i
leaders
dei
gruppi
)
.
Infine
,
una
società
poliarchica
è
una
società
a
equilibrio
instabile
,
che
deve
essere
continuamente
ricomposto
,
senza
che
vi
siano
regole
generali
,
accettate
da
tutti
,
per
questa
ricomposizione
.
Si
consideri
la
facilità
con
cui
si
fanno
e
disfanno
le
coalizioni
di
governo
(
lo
stesso
si
può
dire
dei
contratti
collettivi
)
.
Nella
teoria
politica
classica
,
il
tema
dell
'
equilibrio
si
riferiva
al
rapporto
interno
fra
i
tre
poteri
dello
Stato
,
dei
quali
nessuno
dovrebbe
prevaricare
sugli
altri
due
.
Oggi
il
problema
dell
'
equilibrio
di
cui
si
deve
preoccupare
una
teoria
politica
all
'
altezza
dei
tempi
è
quello
delle
parti
sociali
.
Ma
si
tratta
di
un
equilibrio
per
cui
non
sono
state
fissate
regole
costituzionali
e
vale
come
unico
principio
equilibratore
il
diritto
del
più
forte
.
StampaQuotidiana ,
Ci
sono
parole
che
il
linguaggio
comune
cede
al
linguaggio
dotto
,
e
viceversa
vi
sono
parole
che
il
linguaggio
dotto
cede
al
linguaggio
comune
.
Questo
secondo
tipo
di
prestito
sta
avvenendo
in
questi
giorni
per
la
parola
«
decisionismo
»
.
Ma
la
cessione
è
avvenuta
con
la
totale
perdita
del
significato
originario
.
Ho
l
'
impressione
che
coloro
che
parlano
di
decisionismo
a
proposito
della
decisione
del
governo
di
far
approvare
al
Parlamento
il
decreto
sulla
scala
mobile
non
se
ne
siano
accorti
,
e
quindi
stiano
dando
al
termine
un
significato
completamente
diverso
da
quello
in
uso
nel
linguaggio
dotto
.
Un
significato
che
non
può
non
ingenerare
confusione
e
intorbidare
le
acque
già
abbastanza
limacciose
del
dibattito
politico
.
Come
tutti
gli
«
ismi
»
,
«
decisionismo
»
designa
non
un
fatto
,
non
un
comportamento
,
né
una
serie
di
fatti
o
di
comportamenti
,
ma
una
teoria
.
Si
tratta
della
teoria
giuridica
dello
scrittore
di
destra
,
Cari
Schmitt
,
nota
da
tempo
agli
addetti
ai
lavori
,
riscoperta
in
questi
ultimi
anni
,
e
rimessa
in
circolazione
,
non
si
sa
bene
con
quale
intenzione
,
da
alcuni
giuristi
e
scrittori
politici
di
sinistra
,
sempre
in
polemica
con
la
teoria
meramente
formale
della
democrazia
(
l
'
unica
,
a
mio
parere
,
sensata
e
accettabile
)
,
anche
a
prezzo
di
andare
a
braccetto
con
la
vecchia
(
e
nuova
ma
non
rinnovata
)
destra
reazionaria
.
Secondo
Schmitt
,
le
norme
giuridiche
non
sono
,
come
hanno
sempre
sostenuto
i
fautori
dello
Stato
di
diritto
,
ovvero
dello
Stato
in
cui
il
potere
politico
è
sottoposto
al
diritto
,
il
prodotto
di
un
potere
autorizzato
a
creare
diritto
secondo
le
norme
di
una
costituzione
che
stabilisce
chi
ha
il
potere
di
emanare
norme
giuridiche
e
con
quali
procedure
,
ma
sono
(
o
dovrebbero
essere
)
il
prodotto
di
una
pura
decisione
del
potere
in
quanto
tale
.
Insomma
,
il
decisionismo
è
una
teoria
del
diritto
che
si
contrappone
a
un
'
altra
teoria
del
diritto
,
il
cosiddetto
normativismo
,
e
vi
si
contrappone
perché
sostiene
il
primato
della
politica
sul
diritto
,
mentre
i
fautori
dello
Stato
di
diritto
e
della
democrazia
come
insieme
di
regole
del
gioco
per
la
formazione
della
volontà
politica
,
sostengono
al
contrario
il
primato
del
diritto
sulla
politica
.
Ora
ciò
che
sta
avvenendo
in
Italia
non
ha
niente
a
che
vedere
con
la
disputa
dottrinale
degli
anni
della
repubblica
di
Weimar
tra
fautori
dello
Stato
democratico
e
fautori
dello
Stato
autocratico
.
Ciò
di
cui
si
sta
discutendo
oggi
in
Italia
è
se
una
certa
decisione
possa
o
debba
essere
presa
in
seguito
all
'
accordo
tra
le
parti
o
in
seguito
a
una
deliberazione
del
Parlamento
.
Il
decisionismo
come
teoria
secondo
la
quale
il
diritto
è
in
ultima
istanza
sempre
il
prodotto
di
un
potere
di
fatto
non
c
'
entra
nulla
.
Tanto
la
decisione
presa
in
seguito
a
un
accordo
tra
parti
autorizzate
dalla
Costituzione
a
decidere
quanto
la
decisione
presa
da
un
organo
collegiale
autorizzato
dalla
stessa
Costituzione
a
prendere
decisioni
vincolanti
per
tutta
la
collettività
,
com
'
è
il
Parlamento
,
sono
decisioni
regolate
dal
diritto
.
Naturalmente
si
può
discutere
quale
delle
due
procedure
,
quella
che
prevede
che
la
decisione
sia
presa
in
seguito
ad
accordo
tra
le
parti
interessate
oppure
quella
che
attribuisce
il
diritto
di
decidere
a
un
organo
che
può
prendere
la
decisione
in
base
alla
regola
della
maggioranza
,
sia
più
opportuna
o
addirittura
,
in
una
determinata
situazione
e
in
una
data
materia
,
più
legittima
o
più
conforme
alla
Costituzione
.
Ma
una
tale
discussione
non
riguarda
affatto
la
disputa
dottrinale
per
cui
è
nata
in
altri
tempi
la
teoria
del
decisionismo
.
Con
ciò
non
si
vuole
negare
che
ci
siano
differenze
tra
le
due
procedure
.
Ma
si
tratta
di
differenze
che
sono
totalmente
al
di
là
della
disputa
tra
normativisti
e
decisionisti
.
La
prima
differenza
è
molto
semplice
:
quando
una
decisione
viene
presa
in
seguito
a
un
accordo
tra
le
parti
,
è
ovvio
che
la
decisione
debba
essere
presa
all
'
unanimità
.
Se
una
delle
due
parti
non
accetta
l
'
accordo
,
la
decisione
è
impossibile
;
se
la
decisione
è
presa
,
è
segno
che
il
consenso
è
stato
dato
da
tutte
e
due
le
parti
,
ed
essendo
solo
due
i
soggetti
della
decisione
la
decisione
è
unanime
.
Quando
una
decisione
è
presa
invece
da
un
organo
collegiale
composto
da
una
pluralità
di
persone
,
basta
di
solito
,
affinché
una
decisione
venga
considerata
valida
,
la
maggioranza
.
La
regola
della
maggioranza
è
la
regola
democratica
per
eccellenza
non
già
perché
sia
antidemocratica
la
regola
dell
'
unanimità
,
ma
perché
la
regola
dell
'
unanimità
è
applicabile
soltanto
in
pochi
casi
,
tra
cui
quello
in
cui
i
soggetti
chiamati
a
prendere
una
decisione
siano
due
,
oppure
il
gruppo
formato
da
più
individui
sia
tanto
omogeneo
che
si
possa
prevedere
una
identità
di
interessi
o
di
opinioni
fra
i
suoi
membri
.
In
qualsiasi
altro
caso
la
regola
o
non
è
applicabile
perché
paralizza
la
possibilità
stessa
di
arrivare
a
una
decisione
,
oppure
è
ingiusta
perché
attribuisce
a
un
solo
membro
del
gruppo
il
diritto
di
veto
.
Una
seconda
differenza
è
meno
ovvia
e
per
questo
meriterebbe
ben
altra
riflessione
.
Il
regime
parlamentare
è
nato
con
la
netta
contrapposizione
tra
rappresentanza
politica
e
rappresentanza
degl
'
interessi
.
Per
rappresentanza
politica
distinta
dalla
rappresentanza
degl
'
interessi
si
è
sempre
intesa
la
rappresentanza
degl
'
interessi
generali
contrapposta
alla
rappresentanza
d
'
interessi
particolari
.
Proprio
per
distinguere
queste
due
forme
di
rappresentanza
e
per
affermare
la
supremazia
della
prima
sulla
seconda
è
stato
introdotto
in
tutte
le
costituzioni
democratiche
dalla
Costituzione
francese
del
1791
in
poi
il
divieto
di
mandato
imperativo
ovvero
l
'
obbligo
imposto
ai
rappresentanti
una
volta
eletti
di
difendere
interessi
non
corporativi
.
Che
questo
principio
oggi
.
sia
continuamente
violato
,
è
una
realtà
che
io
stesso
ho
già
rilevato
più
volte
.
Ma
resta
il
fatto
che
la
rappresentanza
parlamentare
è
pur
sempre
meno
particolaristica
,
nonostante
forti
tendenze
in
contrario
,
che
la
rappresentanza
di
grandi
gruppi
organizzati
come
le
associazioni
operaie
e
padronali
che
si
accordano
,
quando
riescono
ad
accordarsi
,
unicamente
allo
scopo
di
regolare
i
loro
reciproci
rapporti
.
Non
c
'
è
dubbio
che
una
decisione
presa
in
base
alla
procedura
dell
'
accordo
fra
le
parti
sia
una
rivincita
della
rappresentanza
degl
'
interessi
su
quella
politica
.
Se
diventasse
la
procedura
maestra
per
prendere
decisioni
collettive
,
sarebbe
,
anzi
,
la
fine
della
rappresentanza
politica
,
e
segnerebbe
la
sconfitta
di
una
delle
battaglie
secolari
di
ogni
governo
democratico
.
La
decisione
per
accordo
tra
grandi
organizzazioni
in
naturale
conflitto
tra
loro
,
la
cosiddetta
«
concertazione
»
,
è
un
aspetto
,
forse
l
'
aspetto
saliente
,
di
quella
nuova
forma
di
Stato
che
viene
chiamato
,
a
torto
o
a
ragione
,
Stato
neocorporativo
,
e
in
cui
alcuni
osservatori
sono
indotti
a
vedere
una
delle
ragioni
principali
di
quella
«
trasformazione
»
della
democrazia
cui
non
si
può
non
guardare
con
una
certa
preoccupazione
.
Se
per
decisionismo
s
'
intende
un
po
'
rozzamente
una
svolta
nello
sviluppo
della
democrazia
,
non
è
detto
che
questa
non
si
trovi
proprio
nella
prevalenza
della
rappresentanza
degl
'
interessi
sulla
rappresentanza
politica
,
prevalenza
di
cui
può
essere
considerata
una
manifestazione
la
tendenza
neocorporativa
assai
più
che
la
riconduzione
del
flusso
delle
decisioni
necessarie
a
governare
nell
'
alveo
dei
rapporti
tra
governo
e
Parlamento
.
StampaQuotidiana ,
Uno
dei
temi
maggiormente
discussi
in
questi
ultimi
anni
fra
studiosi
che
s
'
interrogano
sullo
stato
attuale
della
democrazia
,
è
il
neocorporativismo
.
Il
tema
è
stato
dibattuto
,
a
dire
il
vero
,
più
fuori
d
'
Italia
che
nel
nostro
paese
,
ma
da
due
o
tre
anni
anche
da
noi
il
dibattito
è
cominciato
e
procede
a
ritmo
sempre
più
accelerato
.
Dopo
la
raccolta
di
saggi
,
La
società
neocorporativa
,
a
cura
di
M
.
Maraffi
,
uscita
nel
1981
presso
Il
Mulino
di
Bologna
,
sono
apparse
a
brevissima
distanza
di
tempo
,
presso
lo
stesso
editore
,
altre
due
raccolte
di
articoli
(
in
gran
parte
stranieri
)
sull
'
argomento
,
L
'
organizzazione
degli
interessi
dell
'
Europa
occidentali
(
1983
)
e
La
politica
degli
interessi
nei
paesi
industrializzati
(
1984
)
nonché
il
libro
,
ben
documentato
e
ben
ragionato
,
di
L
.
Bordogna
e
G
.
Provasi
,
Politica
,
economia
i
rappresentanza
degli
interessi
,
che
reca
un
sottotitolo
già
di
per
se
stesso
significativo
:
Uno
studio
sulle
recenti
difficoltà
delle
democrazie
occidentali
.
Ai
lettori
che
non
sono
al
corrente
del
dibattito
fra
gli
addetti
ai
lavori
e
hanno
invece
reminiscenze
storiche
in
cui
il
termine
«
corporativismo
»
è
legato
alla
dottrina
fascista
oppure
hanno
nell
'
orecchio
il
gergo
giornalistico
e
corrente
in
cui
per
società
corporativa
s
'
intende
una
società
frammentata
in
tanti
piccoli
gruppi
che
tendono
a
far
prevalere
i
loro
interessi
particolaristici
sugli
interessi
generali
,
occorre
rivolgere
due
avvertimenti
:
a
)
quando
oggi
si
parla
di
neocorporativismo
,
ci
si
riferisce
a
un
assetto
che
si
è
venuto
formando
in
società
democratiche
,
anzi
in
alcune
delle
democrazie
europee
più
avanzate
,
come
la
Svezia
,
tanto
che
è
diventata
ormai
abituale
la
distinzione
fra
corporativismo
statale
o
fascista
e
corporativismo
sociale
o
democratico
;
b
)
il
neocorporativismo
non
ha
niente
a
che
vedere
con
il
fenomeno
spesso
lamentato
,
specie
in
Italia
,
della
disgregazione
del
tessuto
sociale
in
tanti
gruppi
e
gruppuscoli
rivali
,
le
cui
rivendicazioni
indisciplinate
e
quindi
imprevedibili
rendono
sempre
più
difficile
il
governo
della
società
globale
.
Anzi
,
in
un
certo
senso
,
è
proprio
l
'
opposto
:
si
chiama
oggi
assetto
neocorporativo
quello
in
cui
si
è
formata
la
massima
concentrazione
delle
organizzazioni
degli
interessi
(
volgarmente
i
sindacati
)
e
queste
organizzazioni
prendono
decisioni
collettive
di
grande
rilievo
per
tutta
la
società
attraverso
i
loro
rappresentanti
al
vertice
insieme
con
organi
del
governo
.
Per
capire
la
ragione
di
questa
terminologia
che
può
apparire
ad
alcuni
fuorviante
,
bisogna
rendersi
conto
che
per
«
corporativismo
»
in
generale
nel
linguaggio
tecnico
ormai
consolidato
s
'
intendono
principalmente
due
cose
:
a
)
una
dottrina
che
propugna
la
collaborazione
delle
due
grandi
classi
antagonistiche
dei
datori
di
lavoro
e
dei
lavoratori
,
anziché
il
conflitto
permanente
risolto
di
volta
in
volta
con
aggiustamenti
non
solo
dei
contenuti
ma
anche
delle
regole
di
gioco
,
oppure
la
sopraffazione
di
una
classe
sull
'
altra
;
b
)
uno
strumento
istituzionale
fondamentale
,
consistente
nella
sostituzione
della
rappresentanza
immediata
degli
interessi
particolari
in
contrasto
,
detta
anche
rappresentanza
corporativa
,
alla
rappresentanza
politica
,
propria
della
democrazia
rappresentativa
,
in
cui
l
'
eletto
,
non
vincolato
al
mandato
dei
suoi
elettori
,
deve
provvedere
esclusivamente
agli
interessi
generali
.
Varie
sono
le
ragioni
per
cui
in
Italia
il
dibattito
sul
neocorporativismo
ha
stentato
a
farsi
strada
.
Anzitutto
,
vi
è
una
questione
di
principio
:
la
dottrina
liberale
democratica
italiana
ha
costantemente
rifiutato
di
riconoscere
la
legittimità
di
una
rappresentanza
degli
interessi
accanto
a
quella
politica
,
e
ne
è
prova
la
nostra
Costituzione
che
l
'
ha
relegata
in
un
istituto
secondario
,
il
Consiglio
nazionale
dell
'
economia
e
del
lavoro
,
che
ha
potere
unicamente
consultivo
,
e
che
,
oltretutto
,
è
nato
morto
,
e
non
appena
risuscitato
,
è
subito
rimorto
.
In
secondo
luogo
sono
da
prendere
in
considerazione
le
condizioni
stesse
in
cui
si
è
svolto
in
questi
anni
in
Italia
il
conflitto
sociale
,
ben
di
verso
,
almeno
sino
ad
ora
,
da
quello
dei
paesi
in
cui
si
è
venuto
assestando
a
poco
a
poco
nel
dopoguerra
un
sistema
neocorporativo
.
Questo
esiste
soltanto
nei
paesi
in
cui
vi
è
stato
un
forte
partito
socialdemocratico
,
tanto
forte
da
essere
diventato
per
periodi
più
o
meno
lunghi
partito
di
governo
,
il
partito
che
è
stato
chiamato
del
«
compromesso
»
,
ovvero
dell
'
accettazione
temporanea
del
sistema
capitalistico
corretto
da
politiche
redistributive
.
In
Italia
il
più
forte
partito
della
classe
operaia
non
è
e
non
vuole
essere
un
partito
socialdemocratico
e
nulla
vi
è
di
più
estraneo
alla
sua
«
filosofia
»
e
a
quella
dei
maggiori
sindacati
,
anche
di
quelli
di
matrice
non
comunista
,
che
l
'
idea
del
compromesso
sociale
,
da
non
confondersi
con
il
compromesso
politico
,
che
invece
è
parte
integrante
della
strategia
del
partito
comunista
(
ma
la
differenza
fra
i
due
tipi
di
compromesso
richiederebbe
un
lungo
discorso
che
rimando
ad
altra
occasione
)
.
Dal
punto
di
vista
del
sistema
politico
nel
suo
complesso
,
l
'
assetto
neocorporativo
rappresenta
uno
spostamento
del
luogo
classico
delle
decisioni
collettive
,
che
in
un
sistema
parlamentare
risiede
nel
Parlamento
e
nel
governo
,
mentre
nell
'
assetto
neocorporativo
la
decisione
è
presa
al
di
fuori
del
parlamento
e
del
governo
,
che
rappresenta
,
nella
più
favorevole
delle
ipotesi
,
solo
una
delle
due
parti
in
conflitto
.
Di
questi
due
sistemi
decisionali
,
il
primo
è
completamente
istituzionalizzato
,
l
'
altro
è
un
sistema
ancora
debolmente
o
non
affatto
istituzionalizzato
che
,
emerso
a
poco
a
poco
dalla
società
civile
,
costituisce
uno
dei
fenomeni
più
appariscenti
della
«
trasformazione
»
della
democrazia
tuttora
in
corso
.
A
un
fenomeno
di
questo
genere
non
può
non
far
pensare
il
contrasto
che
si
è
avuto
qualche
mese
fa
in
Italia
fra
governo
e
opposizione
rispetto
al
modo
di
prendere
la
decisione
sul
costo
del
lavoro
.
Si
è
trattato
infatti
di
un
contrasto
fra
due
procedure
alternative
per
la
formazione
delle
decisioni
collettive
:
mediante
accordo
fra
le
parti
in
cui
lo
Stato
entra
soltanto
come
mediatore
,
oppure
attraverso
la
formazione
della
maggioranza
nella
sede
propria
della
rappresentanza
politica
.
Si
potrebbe
parlare
addirittura
di
una
vera
e
propria
forma
di
«
doppio
Stato
»
,
non
nel
senso
del
contrasto
fra
Stato
normativo
e
Stato
discrezionale
,
analizzato
a
suo
tempo
da
Ernst
Fraenkel
,
ma
nel
senso
del
contrasto
fra
due
procedure
di
decisione
,
che
si
escludono
a
vicenda
,
pur
essendo
entrambe
compatibili
,
sui
principi
fondamentali
della
democrazia
,
secondo
la
quale
una
decisione
collettiva
deve
essere
legittimata
in
ultima
istanza
dal
consenso
diretto
o
indiretto
degli
interessati
.