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È lecito uccidere il tiranno? ( Bobbio Norberto , 1986 )
StampaQuotidiana ,
È lecito uccidere il tiranno ? Era naturale che dopo l ' attentato a Pinochet si riproponesse ancora una volta , anche in Italia , l ' eterna domanda . Se la sono posta in questi giorni , tra gli altri , Rossana Rossanda sul « Manifesto » rispondendo di sì ma sollevando i dubbi di Adriano Sofri , e di Mieli sulla « Stampa » e di Giuliano Zincone sul « Corriere della Sera » . Il problema è vecchio e le diverse possibili soluzioni altrettanto . Per fare qualche esempio , in un ' epoca in cui le guerre di religione avevano favorito la nascita di dottrine che predicavano il tirannicidio , Hobbes collocava la massima « E lecito uccidere il tiranno » fra le teorie sediziose che in uno Stato ben ordinato avrebbero dovuto essere proibite ( nella repubblica hobbesiana l ' articolo di Rossana Rossanda sarebbe stato censurato , e l ' autore forse messo in prigione ) . Nell ' età della rivoluzione francese , in cui venivano celebrati in cattedrale feste e riti in onore di Bruto , Kant affermò che chiunque avesse anche il minimo senso dei diritti dell ' umanità non poteva non essere scosso da un « brivido d ' orrore » di fronte all ' esecuzione solenne di Carlo I in Inghilterra e di Luigi XVI in Francia . Come tutti i problemi morali , anche il problema della liceità del tirannicidio non è di facile soluzione . Anzi , non ha una soluzione che possa essere data e accolta una volta per sempre , perché ogni caso è diverso da tutti gli altri . La soluzione dipende dalle circostanze di luogo e di tempo , dalla persona contro cui l ' atto si dirige , dalle persone che lo compiono , dalla gravità delle colpe e dalla impossibilità di ricorrere ad altri rimedi . Avevano ragione o torto i cospiratori del 20 luglio 1944 nel tentare di uccidere Hitler ? Aveva le stesse ragioni l ' anarchico Bresci nell ' uccidere Umberto I ? Basta porre queste due domande , e se ne potrebbero porre infinite altre analoghe , per rendersi conto che sotto il nome generico di attentato , o di atto terroristico , si celano eventi totalmente diversi , che non possono essere giudicati con lo stesso metro . Il primo aveva un intento prevalentemente liberatorio , il secondo essenzialmente punitivo . Il problema è reso più complesso dal fatto che la stessa azione può essere sempre giudicata con due criteri diversi : o in base a regole precostituite che debbono essere osservate o in base ai risultati che si ritiene debbano essere raggiunti . I due giudizi non coincidono quasi mai : osservando le buone regole spesso si ottengono cattivi risultati ; cercando di ottenere buoni risultati , molte buone regole vengono coscientemente e tranquillamente calpestate . Se si giudica l ' attentato in base alle regole precostituite , è evidente che esso contravviene alla norma « Non uccidere » , che è una delle leggi fondamentali della morale di ogni popolo e in ogni tempo . Come tale dovrebbe essere condannato . Ma non vi è regola senza eccezione . Non è lecito uccidere il nemico in una guerra giusta ? Non è sempre stata riconosciuta come guerra giusta la guerra di difesa ? Non può allora essere estesa al tiranno considerato come nemico interno l ' eccezione prevista per il nemico esterno ? Sennonché , come in guerra l ' eccezione vien meno di fronte alle popolazioni civili , così l ' attentatore dovrebbe colpire soltanto il tiranno e risparmiare le persone , la scorta o i familiari , che si trovino accanto a lui . Ma oggi questa condizione è sempre più difficile da rispettare per il tipo di armi impiegato , come ha dimostrato l ' uccisione di alcune guardie del corpo nell ' attentato a Pinochet . Ciò rende la liceità del tirannicidio , giudicandola in base agli argomenti della filosofia pubblica tradizionale , sempre più problematica . Nel dramma I giusti , di Camus , il congiurato cui è stato affidato il compito di uccidere il Gran Duca torna senza aver eseguito l ' ordine perché sulla carrozza erano seduti accanto al personaggio due piccoli nipoti . Quando uno dei compagni lo rimprovera : « L ' Organizzazione ti aveva comandato di uccidere il Gran Duca » , risponde : « E ' vero , ma non mi aveva comandato di assassinare dei bambini » . Partendo dal punto di vista dei risultati , il giudizio non diventa né più facile né più limpido . Anzitutto il risultato deve essere se non certo altamente probabile . Non c ' è dubbio che nel caso dell ' attentato al generale cileno il non raggiungimento del risultato abbia contribuito a rafforzare il potere del dittatore sia nei riguardi di tutti quei cittadini ( e sono ancora molti ) che sarebbero disposti a liberarsi dalla dittatura in cambio di una democrazia moderata ma non a cambiare il regime di Pinochet con un regime comunista , sia nei riguardi degli Stati Uniti , che abbandoneranno del tutto il generale solamente quando saranno sicuri che al suo posto invece di un governo democratico all ' americana non venga istituito un governo guidato dal partito comunista . In secondo luogo , si deve prevedere che il risultato non solo sia perseguibile con un alto grado di probabilità , ma che , se raggiunto , sia tale da non lasciar adito a dubbi sulla sua convenienza o opportunità , nel senso che , messi sui due piatti della bilancia il male necessario ( nell ' uso di certi mezzi ) e il bene possibile , il secondo prevalga . Inutile dire quanto questa soluzione sia difficile . Nel caso dell ' attentato a Giovanni Gentile ( so di toccare un tasto dolente ) la sproporzione tra la morte di un uomo e le conseguenze che questa morte poteva avere sulla condotta della guerra era tale da renderci oggi molto dubbiosi sulla saggezza di quell ' atto ( anche se devo confessare che allora non mi ero posto il problema nello stesso modo ) . Nel caso dell ' attentato a Pinochet sospendo il giudizio : mi parrebbe di commettere un atto di prevaricazione nel sostituire la mia opinione a quella di coloro che vivono dentro a quella situazione . Durante l ' occupazione tedesca , quando assistevamo alla tortura e alla morte di tanti nostri compagni , come avrei giudicato un attentato a Mussolini ? Un uomo dell ' altezza morale di Calamandrei alla notizia della morte di Mussolini trascrive sul suo diario , unico commento all ' episodio , il famoso cantico di Alceo : « Ora bisogna bere ; I ubriacarsi bisogna ; I ora che Mirsilo è morto » . Completamente diverso e più semplice il giudizio sugli atti di terrorismo indiscriminati , come le stragi alla stazione di Bologna , nella sinagoga di Istanbul , nel grande magazzino di rue de Rennes . Prova ne sia che , mentre di fronte all ' attentato al dittatore cileno c ' interroghiamo sulla sua liceità , di fronte a quelle stragi restiamo inorriditi , incapaci di dare , nonché una giustificazione , una qualsiasi plausibile spiegazione .
La logica del terrorismo ( Bobbio Norberto , 1985 )
StampaQuotidiana ,
Ogni atto terroristico suscita un acceso e quasi sempre inconcludente dibattito circa i suoi scopi e i suoi effetti . Il dibattito nasce dal fatto che di ogni atto terroristico , sia di quello indiscriminato sia di quello rivolto verso un obiettivo specifico , è estremamente difficile stabilire gli scopi . Ed è estremamente difficile stabilirne gli scopi perché non è facile prevederne gli effetti . L ' assassinio del prof. Tarantelli è stato immediatamente collegato alla campagna in corso pro e contro il referendum . Ma a guardar bene questo collegamento è stato fatto nei modi più diversi . I problemi connessi col referendum sono due : a ) se si debba svolgere , secondo l ' indicazione della Corte costituzionale , o debba essere evitato ; b ) se una volta che sia stato deciso di lasciarlo svolgere , quale delle due parti in contrasto lo vincerà . Ebbene , rispetto a entrambi i problemi , credo che nessuno sia in grado di prevedere esattamente se l ' assassinio del prof. Tarantelli avrà delle conseguenze e quali saranno . Rispetto al primo problema l ' assassinio è destinato a favorire coloro che il nodo della scala mobile preferiscono tagliarlo con il ricorso al voto popolare oppure coloro che preferiscono scioglierlo attraverso un compromesso fra le parti in cui non dovrebbero esservi né vincitori né vinti ? Rispetto al secondo , questo « sangue » è destinato a far aumentare i voti del « sì » oppure i voti contrari ? Posto il problema degli scopi e degli effetti di questo nuovo atto di terrorismo , e non si vede come possa essere posto altrimenti , si capisce subito che le risposte possibili sono molte , e anche opposte fra loro . Di fatto , a giudicare dalla polemica subito sorta fra uomini politici delle diverse parti , ognuno dà una interpretazione diversa secondo il proprio punto di vista . Ciò dimostra ancora una volta che la logica dell ' atto terroristico non può essere giudicata alla stregua della logica dell ' azione politica comune , che mette in diretta connessione il mezzo col fine , e che di fronte a un ' azione in cui non riesce a cogliere il nesso mezzo - fine è tentata di considerarla irrazionale ( o folle ) . Una delle ragioni per cui è così difficile dare un giudizio politico su un atto di terrorismo è che ci si sofferma troppo poco sul suo aspetto meramente punitivo o vendicativo . Il terrorista è o crede di essere , prima di tutto , un giustiziere . Ciò che per noi che ci mettiamo dal punto di vista dell ' ordinamento delle leggi dello Stato è un assassinio , per il terrorista che non accetta l ' ordinamento dello Stato , che considera lo Stato il principale nemico da abbattere , è una condanna a morte . Di un atto di giustizia è perfettamente inutile cercare quali siano gli scopi e gli effetti ulteriori . In un atto di giustizia lo scopo dell ' atto che è il rendere giustizia , è intrinseco all ' atto stesso . L ' atto di giustizia non pone alcuna domanda che vada al di là dell ' atto perché è esso stesso una risposta , ed è una risposta che chiude un ciclo di azioni e reazioni , e non ne apre uno nuovo . Che ogni atto di giustizia , soprattutto poi quando è così spietato , possa avere anche lo scopo di costituire un atto d ' intimidazione e di avvertimento nei riguardi di futuri colpevoli , non si può escludere , sebbene uno scopo di questo genere sia molto più evidente nella giustizia di un ' istituzione regolata da norme generali e astratte com ' è l ' ordinamento giuridico dello Stato che in quella di un gruppo terroristico la cui organizzazione è labile , discontinua , e la cui azione futura è molto più incerta . Ma in ogni caso l ' eventuale effetto rispetto ad azioni future è secondario rispetto a quello primario ed essenziale della punizione di azioni passate . Ha dunque ben poco senso cercare una giustificazione politica di un atto che essendo compiuto come un atto di giustizia trova la propria giustificazione in se stesso , cioè esclusivamente nel fatto di essere un atto di giustizia , e che in quanto tale può avere paradossalmente una giustificazione etica ( se pure di un ' etica distorta ) e non ha niente a che fare con la politica . A questa prima osservazione se ne collega una seconda , a mio parere più importante . L ' unica cosa che un atto terroristico come l ' assassinio del prof. Tarantelli vuole politicamente dimostrare è che di fronte ai grandi conflitti sociali non vi può essere che un unico modo per risolverli : il ricorso alla violenza . In quanto tale esso è una sfida alla democrazia intesa come l ' insieme delle regole che permettono di risolvere i conflitti senza ricorrere all ' uso della violenza da parte dei gruppi in conflitto fra loro . I modi per risolvere democraticamente , senza ricorrere alla violenza , i conflitti d ' interesse sono principalmente due : la trattativa che conduce a un accordo di compromesso oppure il voto calcolato in base alla regola di maggioranza . Si osservi bene : si tratta dei due metodi attualmente in contrasto per la soluzione della controversia sulla scala mobile , e sui quali è in corso , con esito incerto , la discussione fra le varie parti . Anche da questo punto di vista , a me pare sia perfettamente inutile il litigio sui presunti scopi dell ' assassinio . In quanto esso applica il metodo della violenza in antitesi al metodo democratico essenzialmente non violento , si contrappone contemporaneamente tanto alle pratiche del compromesso che vorrebbero evitare il referendum quanto all ' attuazione del referendum che pretende di risolvere con un voto di maggioranza un conflitto che secondo il terrorista , che ha una idea rivoluzionaria del cambiamento storico , non può essere risolto con nessuno dei rimedi offerti da un governo democratico che voglia rispettare le regole del gioco . Il terrorista dice no tanto al compromesso quanto al referendum , tra i quali non può fare alcuna distinzione dal suo punto di vista . Anche in questo caso il gesto ha un valore puramente dimostrativo e pertanto ha un fine in se stesso , come l ' atto di giustizia , indipendentemente dai suoi effetti . Con questo non si vuol dire che non abbia effetti che vadano ben al di là delle intenzioni degli attori , anche se non sappiamo esattamente quali potranno essere . Ma non è l ' arzigogolare sugli effetti che possa in qualche modo offrirci una ragione dell ' atto , perché l ' atto ha le sue ragioni chiarissime a chi le voglia intendere , indipendentemente da essi . Resta una domanda angosciosa : perché nel nostro paese questa sfida alla democrazia sia più forte che altrove .
La virtù dei deboli ( Bobbio Norberto , 1986 )
StampaQuotidiana ,
Le recenti vicende che stanno travolgendo la popolarità di Ronald Reagan hanno sollevato un vasto dibattito che riguarda non soltanto la persona del presidente ma anche l ' istituzione stessa della presidenza della repubblica degli Stati Uniti , come si è venuta trasformando negli ultimi decenni . Per quanto possa sembrare paradossale , si va dicendo che il presidente degli Stati Uniti è insieme forte e vulnerabile , e addirittura tanto più vulnerabile quanto più forte . Il paradosso consiste nel fatto che la vulnerabilità è di solito considerata caratteristica di un potere debole . Nell ' ultimo saggio scritto prima della morte ( Autoritarismo , fascismo e classi sociali , Il Mulino , Bologna 1975 ) Gino Germani esprimeva il dubbio che i pochi governi democratici nel mondo attuale potessero sopravvivere in un universo di Stati in gran parte non democratici . Egli fondava questo dubbio sulla convinzione che i regimi democratici fossero più vulnerabili sia per ragioni interne - la frammentazione del potere che consente a piccoli gruppi organizzati di inferire colpi mortali alla società costretta per difendersi a violare le sue stesse regole - , sia per ragioni esterne - la crescente e inarrestabile dimensione universale della politica internazionale che avrebbe favorito i regimi autoritari più di quelli democratici . Entrambe le ragioni mettevano in relazione la vulnerabilità delle democrazie con la loro debolezza . Soprattutto per quel che riguarda la politica estera , la stessa tesi è stata sostenuta col solito vigore e furore polemici da Jean - François Revel nel libro Come finiscono le democrazie ( Rizzoli , Milano 1984 ) . Le democrazie sarebbero destinate a finire , e a rappresentare un episodio di breve durata nella storia del mondo , per l ' incapacità di difendersi dal loro grande avversario , il totalitarismo . Questa incapacità sarebbe dovuta in parte ai dissensi interni , in parte all ' eccesso di arrendevolezza di fronte all ' astuto , spietato , antagonista . Anche in questo caso la vulnerabilità è interpretata come il naturale effetto della debolezza . In che senso la vulnerabilità può essere fatta derivare piuttosto dall ' eccesso di forza che dall ' eccesso di debolezza ? La risposta è stata data per secoli dai classici del pensiero politico : tanto più grande il potere dei governanti tanto più forte è la tentazione che essi hanno di abusarne , vale a dire di esercitarlo violando o aggirando le norme stabilite per regolarlo e limitarlo . Tale risposta trova piena conferma nell ' affermazione di uno dei più illustri storici contemporanei degli Stati Uniti , Arthur Schlesinger , che in un ' intervista di questi giorni ha detto : « Gli scandali come il Watergate , oggi l ' Irangate , sono la risposta patologica alla patologia dell ' onnipotenza » . Naturalmente vi sono regimi in cui il potere è forte e insieme invulnerabile . Sono gli Stati dispotici ove chi governa non ha , come diceva Montesquieu , « né leggi né freni » . Vi sono regimi in cui leggi fondamentali esistono ma mancano gli organi di controllo della loro osservanza . Sono le autocrazie preliberali in cui il rispetto delle leggi fondamentali che dovrebbero limitare il potere sovrano è demandato allo stesso detentore di quel potere ( « autocrate » è letteralmente colui che governa se stesso ) . Vi sono infine regimi in cui non solo il potere deve essere sempre esercitato entro i limiti stabiliti da una costituzione formale , e oggi , nella maggior parte dei casi , anche rigida , ma è , o dovrebbe essere , di fatto sottoposto sempre a controlli esterni . Sono gli Stati democratici . Di questi controlli due sono i principali : quello derivato dalla libertà di stampa , che permette la formazione di un ' opinione pubblica ; quello derivato dall ' istituzione della divisione dei poteri da cui nasce il controllo del potere legislativo su quello governativo . Sono due istituti caratteristici dello Stato democratico , di cui siamo debitori alla tradizione del pensiero liberale , che ha avuto negli Stati Uniti una delle sue terre d ' elezione . Secondo la brillante tesi sostenuta recentemente da Michel Walzer , professore di scienze sociali all ' Institute for Advanced Studies di Princeton , lo spirito del liberalismo consiste nell ' « arte della separazione » , a cominciare dalla separazione dello Stato dalla Chiesa , della sfera privata dalla pubblica , della società civile dal sistema politico , per finire , all ' interno del sistema politico , a quella tra l ' uno e l ' altro dei massimi poteri . Tutte queste separazioni servono , come afferma Walzer , « a prevenire e a combattere l ' uso tirannico del potere » . In base a questa tesi è lecito sostenere che tanto la crisi della presidenza Nixon quanto quella della presidenza Reagan siano nate proprio dalla violazione del principio di separazione , vale a dire dalla pratica costante , e per un certo periodo di tempo incontrollata , della confusione , in primo luogo della confusione fra potere legale e potere personale , ovvero nell ' uso personale del potere legale . Si capisce quindi perché si possa parlare di vulnerabilità a proposito tanto di un governo debole quanto di un governo forte . Ma se ne parla in due sensi diversi . Il primo è vulnerabile per sua natura ; il secondo è tale in un contesto istituzionale in cui anche il supremo potere è limitato da regole giuridiche . Nel primo caso la vulnerabilità è un fatto negativo , e induce chi la denuncia a sostenere che la democrazia è impraticabile . Nel secondo è un fatto positivo , ed è anzi la riprova che i meccanismi di controllo del potere , propri dei regimi democratici , sono entrati , se pur talora tardivamente , in azione . Nel primo caso è un difetto , nel secondo il rimedio a un difetto . Un rimedio che dimostra se mai quanto sia difficile il pieno rispetto delle regole democratiche nei rapporti internazionali , in un sistema in cui la maggior parte degli Stati non sono democratici ed è esso stesso solo apparentemente democratico , in realtà ingovernabile . Sino a che uno Stato non democratico vive in una comunità cui appartengono Stati non democratici , ed è essa stessa non democratica , anche il regime degli Stati democratici sarà una democrazia incompiuta . L ' idea del vecchio Kant , per cui la condizione preliminare di una pace perpetua , diversa da quella dei cimiteri , fosse che tutti gli Stati avessero egual forma di governo , la forma repubblicana , quella forma di governo in cui per decidere della guerra occorre l ' assenso dei cittadini , non era il « sogno di un visionario » . Era una previsione fatta nella forma del « se allora » . Purtroppo quel « se » - « se tutti gli Stati fossero repubblicani » - può essere per ora soltanto l ' oggetto di un augurio .
Tentati dalla destra ( Bobbio Norberto , 1982 )
StampaQuotidiana ,
Nel recente convegno sulla nuova destra , svoltosi a Cuneo per iniziativa dell ' Istituto storico della Resistenza , qualcuno ha messo in dubbio che « destra » e « sinistra » siano ancora concetti adeguati a rappresentare le divisioni attuali tra dottrine e movimenti politici . Siamo stati invitati a riflettere sul fatto che da sinistra si riscoprono scrittori di destra , come Cari Schmitt , da destra , in particolare dalla nuova destra reazionaria , scrittori di sinistra come Gramsci . Negli stessi giorni in un ' intervista a « Panorama » Massimo Cacciari , intellettuale di sinistra , dichiarava di rifiutare « quella concezione assiale della politica che prevede una destra e una sinistra , intese come blocchi compatti e specularmente contrapposti » . In realtà questa confusione non è nuova né è senza giustificazione : estrema sinistra ed estrema destra hanno amori diversi ma odi comuni . Uno di questi odi è la democrazia , intesa come il regime in cui le sole decisioni collettive legittime sono quelle prese in base alla regola della maggioranza . Peraltro , le ragioni di questa avversione sono , da una parte e dall ' altra , opposte . Proprio tenendo conto di queste opposte ragioni si riesce ancora a cogliere il principale carattere distintivo dei due schieramenti in cui si divide tradizionalmente l ' universo politico . L ' opposizione consiste in questo : per l ' estrema sinistra la regola di maggioranza , per cui ogni cittadino conta per uno , assicura un ' eguaglianza puramente formale ma non riesce altrettanto bene a promuovere l ' eguaglianza sostanziale ; per l ' estrema destra la stessa regola della maggioranza , pareggiando se pure solo formalmente tutti i cittadini , finisce per disconoscere che gli uomini sono sostanzialmente diseguali . Come si vede , la divisione avviene sul diverso giudizio che l ' una e l ' altra parte danno sull ' eguaglianza e rispettivamente sulla diseguaglianza come ideale da perseguire . Questo diverso giudizio permette di tener ben distinte ideologie che tendono a una maggiore eguaglianza rispetto alla democrazia formale , e che chiamerò egualitarie , e ideologie che chiedono una maggiore diseguaglianza , sempre rispetto alla democrazia formale , e che chiamerò inegualitarie . Si tratta di una distinzione vecchia come il mondo , molto più vecchia della distinzione tra sinistra e destra , che risale alla rivoluzione francese . Ma dacché i due termini di sinistra e destra sono stati introdotti nel linguaggio politico , essi sono sempre stati adoperati per coprire la distinzione tra ideologie egualitarie e inegualitarie . Perciò sinché vi saranno dottrine e movimenti che si contrappongono sulla base del diverso valore dato al principio dell ' eguaglianza , l ' uso dei due termini è non solo legittimo ma utile . Il loro rifiuto è prova o di imperdonabile ignoranza o peggio dell ' illusione di cancellare insieme coi due nomi la realtà che essi designano . La contrapposizione fra egualitari e inegualitari è vecchia quanto il mondo per la semplice ragione che gli uomini sono tanto eguali quanto diseguali : sono eguali in quanto appartengono al genere umano distinto da altri generi come quello degli animali , ma sono diseguali considerati come individui , uno per uno . Le ideologie egualitarie mettono l ' accento soprattutto sull ' appartenenza di tutti gli uomini a un genere comune , quelle inegualitarie sulle osservabili e inconfutabili differenze tra l ' uno e l ' altro individuo . In altre parole , le prime danno più importanza a ciò che ci unisce , le seconde a ciò che ci divide . Tra le tante prove storiche che si possono addurre di questa contrapposizione , mi limito a quella che si può trarre dai due autori considerati a buon diritto i principali ispiratori dei due schieramenti : Rousseau e Nietzsche . Nel suo Discorso sull ' origine delle diseguaglianze fra gli uomini , Rousseau parte dalla considerazione che gli uomini sono nati fondamentalmente eguali ma la civiltà corrotta li ha resi diseguali . Nietzsche , al contrario , parte dalla considerazione che gli uomini sono per natura diseguali e soltanto la civiltà , con la sua morale del gregge , di cui è massimamente responsabile il cristianesimo , e di cui sono manifestazioni al tempo presente la democrazia e il socialismo , li ha resi ingiustamenti eguali . L ' ideale che si può trarre dalla interpretazione rousseauiana del corso storico è quello rivoluzionario dell ' abbattimento delle società storiche fondate sulla diseguaglianza sociale e della instaurazione di una nuova società in cui tutti siano a pari diritto cittadini ; l ' ideale che si può trarre dalla interpretazione nietzscheana , è al contrario quello reazionario della restaurazione di un ordine gerarchico la cui distruzione ha reso possibile il trionfo della quantità , dei « malriusciti » , del branco . Lo stesso Nietzsche ritorna sempre a Rousseau , il suo grande nemico , ogni qualvolta sfoga il proprio furore contro il principio dell ' eguaglianza e contro quell ' avvenimento storico , la rivoluzione francese , che avrebbe cercato di attuarlo : « Quello che odio - una citazione fra mille - è la rousseauiana moralità della rivoluzione francese ... La dottrina dell ' eguaglianza . Ma non c ' è tossico più velenoso ! » Mi si può obiettare che il criterio dell ' eguaglianza non è il solo a permettere di caratterizzare due ideologie opposte . C ' è anche quello della libertà in base al quale si distinguono ideologie libertarie e autoritarie . Rispondo che questo criterio di distinzione serve a distinguere , nell ' ambito della sinistra e della destra , l ' ala estrema dall ' ala moderata . Si può sostenere infatti che le due ali estreme sono autoritarie , quelle moderate libertarie . Di conseguenza , la linea su cui si collocano le diverse ideologie partendo da sinistra e procedendo verso destra si sviluppa attraverso queste quattro aree . All ' estrema sinistra stanno i movimenti che sono insieme egualitari e autoritari : l ' esempio classico è quello dei giacobini e dei loro tardi seguaci , i bolscevichi . Alla sinistra moderata appartengono i movimenti egualitari e libertari , il cui esempio al tempo attuale sono i partiti socialdemocratici che ricoprono una vasta area che si potrebbe chiamare opportunamente di « socialismo liberale » . Seguono i movimenti della destra moderata che sono insieme inegualitari e libertari . Infine c ' è l ' estrema destra in cui si collocano i movimenti che accompagnano l ' autoritarismo alla voglia ( o nostalgia ) di una società ordinata gerarchicamente . Certamente la realtà è più ricca di qualsiasi schema . Ma è sempre meglio uno schema qualsiasi che la confusione mentale da cui possono nascere soltanto comportamenti politicamente aberranti .