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Come i polli nella stia ( Bobbio Norberto , 1981 )
StampaQuotidiana ,
Il problema dei rapporti fra intellettuali e potere è un tema ricorrente . In questi giorni si è svolto un convegno su questo tema , in occasione della pubblicazione del quarto volume degli « Annali della storia d ' Italia » einaudiana , intitolato appunto Intellettuali e potere . Nell ' ultima riunione del Comitato centrale Aldo Tortorella , responsabile dell ' organizzazione culturale del pci , ha svolto un ' ampia relazione in cui ripropone il tema del « ruolo delle istituzioni culturali per il rinnovamento e la trasformazione della società e dello Stato » . Si sta svolgendo a Roma un convegno promosso da intellettuali del psi , che dovrebbe concludersi , nientemeno , con « un manifesto per la cultura italiana » . Non sono passati molti giorni dalla conclusione dell ' Assemblea nazionale della dc , provocata o ispirata da uomini di cultura cattolici preoccupati del venir meno della tensione ideale nella lotta politica in Italia , il cui protagonista è da più di trent ' anni un partito che si chiama cristiano . Il tema è ricorrente , perché i rapporti fra politica e cultura sono difficili . All ' atteggiamento di diffidenza del politico per l ' intellettuale corrisponde un analogo atteggiamento di diffidenza dell ' intellettuale per il politico . Alcuni anni fa è stata pubblicata la traduzione italiana del libro di R . Hofstadter , Società e intellettuali in America ( Einaudi , Torino 1968 ) , che , pur riferendosi agli Stati Uniti degli anni del maccartismo , presenta un ' ampia documentazione storica sul tema del conflitto permanente fra l ' uomo politico che ha o crede di avere i piedi per terra e l ' idealista nelle nuvole , accusato di inventare progetti bellissimi ma irrealizzabili . Una versione recentissima e casalinga di questa antica avversione ho colto in un ' intervista pubblicata una settimana fa , in cui il ministro Marcora , volendo tirare le orecchie agli ottimisti , dice a un certo punto : « Sono un uomo pratico , io . Sono un vecchio lombardo , sto in politica da trent ' anni , non sono un intellettuale . Guardo al sodo » . Non ci vuole molta fantasia a immaginare una battuta diametralmente opposta in bocca a un intellettuale : « Sono un uomo che cerca di capire come vanno le cose . Non improvviso , ci penso su . Non sono un politico . Guardo nel fondo » . Proprio perché questi rapporti sono difficili , e sono difficili perché l ' intellettuale e il politico hanno vocazioni , ambizioni , progetti di vita , capacità diverse , e non c ' è gioco di prestigio dialettico che valga a mediare o a superare queste differenze , il problema non si risolve con alternative drastiche come questa : « L ' intellettuale è un seminatore di dubbi » ( così Rosellina Balbi sulla « Repubblica » ) . « No , è un raccoglitore di certezze » ( così , almeno sembra , Sanguineti sull ' « Unità » ) . Per quanto il problema dei rapporti fra intellettuali e potere sia un tema ricorrente , o forse proprio per questo , non è un problema cui si possa dare una soluzione netta una volta per sempre . E non si può almeno per due ragioni . Prima di tutto perché questa benedetta categoria degl ' intellettuali è vasta , varia , divisa , e ogni volta che se ne parla bisogna intendersi bene di che cosa si vuol parlare . In secondo luogo , perché , dato per ammesso che i rapporti tra gli intellettuali ( ma quali intellettuali ? ) e il potere siano difficili , non è affatto detto siano sempre della stessa natura . Alcuni anni fa mi è accaduto di distinguere gl ' intellettuali che ho chiamato « esperti » , da quelli che ho chiamato « ideologi » . Vedo che la distinzione è stata ripresa da Corrado Vivanti , se pure con qualche riserva , nella prefazione al volume degli annali einaudiani dianzi citato . Mi sono accorto dopo che nel notissimo rapporto della Commissione trilaterale sulla crisi della democrazia si distinguono gli intellettuali tecnocrati da quelli « orientati verso i valori » ( « value - oriented » ) : distinzione analoga alla mia , se pure caricata di un giudizio di valore , positivo per i primi , negativo per i secondi , lontanissimo dalle mie intenzioni . La distinzione è rilevante , a mio parere , perché il rapporto fra intellettuali e potere cambia secondo che ci si riferisca agli esperti o agli ideologi . I primi offrono ai politici conoscenze , informazioni , dati elaborati ; i secondi principi , direttive , prospettive di azione . Nella irrequietezza degl ' intellettuali che hanno agitato le acque stagnanti della democrazia cristiana vedo lo stato d ' animo tipico dell ' intellettuale che fa appello ai valori , chiede il ritorno ai principi primi , e inalbera la questione morale ; al contrario , nel rivolgersi , del resto non per la prima volta , del partito comunista agli uomini di cultura , vedo soprattutto l ' interesse che ha questo partito , depositario dei principi che lo hanno fatto nascere e ai quali non può abdicare ( pur potendoli aggiornare ) senza venir meno alla propria funzione di partito - guida , nell ' attrarre a sé uomini esperti nei diversi campi del sapere scientifico . In questi due percorsi contrari dell ' uomo di principi verso un partito prammatico e del partito di principi verso gli esperti , si possono cogliere , da due parti diverse , anzi opposte , i due vizi principali della nostra vita politica : senza alti ideali per quel che riguarda il partito maggiore e di maggior governo ; senza gli strumenti conoscitivi necessari per la trasformazione di uno Stato diventato anacronistico , per quel che riguarda i partiti e i movimenti della sinistra ( che non possono pretendere di trasformare il mondo , secondo il vecchio detto di Marx , se non dopo averlo compreso ) . L ' altra ragione per cui il rapporto fra intellettuali e potere suscita tante discussioni dipende dal fatto che non si tratta di un rapporto a senso unico . Molte inutili discussioni nascono dallo scambiare l ' analisi di questo rapporto a molte direzioni con il desiderio che il rapporto sia quello che ciascuno di noi ritiene giusto . Questo rapporto cambia secondo l ' idea che i singoli intellettuali hanno della loro funzione nella società ( idea dietro la quale ci può essere addirittura una visione globale del mondo ) , e secondo le circostanze storiche . C ' è chi esalta la vita contemplativa in paragone a quella attiva e dispregia coloro che si perdono nelle cure del mondo . C ' è per contrasto chi ritiene che l ' uomo di cultura abbia il dovere di impegnarsi nell ' azione politica , perché al di fuori della comunità ordinata al bene comune non c ' è salvezza . Chi ha ragione e chi ha torto ? Ci sono coloro che adoperano le armi proprie dell ' intelligenza ( le idee , le opinioni , le credenze , le dottrine , gl ' ideali ) per combattere il potere costituito e naturalmente per costituirne un altro che ritengono migliore . E ci sono per contrasto coloro che esercitano la loro influenza per consolidare il governo del loro paese ( sono i cosiddetti « organizzatori del consenso » ) . Ancora una volta , chi ha ragione e chi ha torto ? Ma si può mai comparare chi promuove il consenso per salvare uno Stato democratico minacciato dalla violenza eversiva da destra e da sinistra , uno Stato che ammette il dissenso , con chi si piega a sollecitare consensi a uno Stato totalitario dove i dissenzienti sono puniti o soppressi ? Sono domande retoriche , ma valgono a far capire che il problema del rapporto fra intellettuali e potere ha molti aspetti e non può avere una sola risposta , e di conseguenza la domanda così frequentemente e fastidiosamente ripetuta quale debba essere la politica degl ' intellettuali verso i partiti o dei partiti verso gli intellettuali , è completamente priva di senso , se non si specifica quali intellettuali , in quale contesto , e per quali obiettivi . Una cosa è certa ( anche il « seminatore di dubbi » può permettersi talora di avere qualche certezza ) : alla crisi politica generale che è sotto gli occhi di tutti - basti pensare che il problema dei rapporti Est - Ovest è ben lontano dall ' essere risolto , e già si pone con forza il problema dei rapporti Nord - Sud , la cui soluzione dipende dalla soluzione del primo - , corrisponde una crisi delle idee , anzi , com ' è stato detto più volte , una crisi delle idee per risolvere la crisi . Di fronte alla quale noi ci teniamo le nostre piccole e domestiche crisi di governo che , paragonate alla tragicità dei conflitti che agitano la fine di questo nostro tragico secolo , ci appaiono come zuffe di polli in una stia .
Le gocce d'acqua ( Bobbio Norberto , 1981 )
StampaQuotidiana ,
Sulla caduta di tensione ideale nella lotta politica in Italia in questi ultimi anni ritengo non si possa non essere d ' accordo con quanto ha detto l ' on. Berlinguer nella nota intervista sulla « Repubblica » del 28 luglio . L ' argomento è stato opportunamente ripreso , fra gli altri , da Antonio Giolitti , il 5 agosto . Ma tanto Berlinguer quanto Giolitti , attribuendo ogni colpa ai partiti , o a certi partiti , sembrano volerne scagionare gli italiani confrontando il voto dato nei referendum con quello delle normali elezioni politiche e amministrative . Per il primo , col voto « libero da ogni condizionamento dei partiti » , che hanno espresso in occasione dei referendum sul divorzio nel 1974 e sull ' aborto nel 1981 , gli italiani avrebbero fornito « l ' immagine di un paese liberissimo e moderno » e avrebbero dato « un voto di progresso » ; il secondo si domanda : « Come mai i governati , di fronte a un referendum , mostrano di volere e sapere scegliere , e non altrettanto di fronte a elezioni in cui competono i partiti ? » L ' argomento non mi convince , almeno per due ragioni : anzitutto , perché nei vari referendum che si sono svolti sinora il risultato è stato la conservazione delle leggi approvate in Parlamento , e quindi dai partiti ; in secondo luogo , specie per quel che riguarda l ' ultima tornata , il voto favorevole alla liberalizzazione dell ' aborto non è stato un voto di progresso ma semplicemente di comodo ( in fondo l ' aborto libero rende meno responsabile la coppia nel rapporto sessuale , specie l ' uomo , e una legge che libera il cittadino da una responsabilità non è mai una legge progressiva ) , per non parlare della schiacciante maggioranza in favore dell ' ergastolo , di cui non mi sento di lodare né la sorprendente modernità né l ' audace spirito progressivo . Se gli italiani siano migliori o peggiori della classe politica che li rappresenta , e li rappresenta perché essi stessi la scelgono , è una domanda cui è difficile dare una risposta . Ma non vedo come si possa scartare del tutto l ' ipotesi che gli uni e l ' altra si assomiglino come due gocce d ' acqua . Dopo più d ' un secolo di democrazia rappresentativa siamo troppo smaliziati per conservare l ' illusione dei primi fautori del sistema parlamentare , che le elezioni dei governanti siano la procedura più adatta per la scelta dei migliori . Anche se non è detto che sempre siano proprio i peggiori a essere scelti . In un regime democratico il potere si misura a voti . Più voti significa più potere . Con questo non voglio dire che bastino i voti , perché il potere dipende anche dal posto che un partito occupa nello schieramento dei partiti e nelle coalizioni di maggioranza , e sino ad ora è indubbio che i partiti alleati della democrazia cristiana hanno avuto un potere superiore alla loro forza elettorale . Ma i voti sono necessari . Ora , se la maggior parte dei partiti vanno a caccia di voti , e li ottengono , e addirittura li aumentano , senza sbandierare la questione morale , anzi facendo finta di niente e parlandone il meno possibile ( e considerando con un certo altezzoso fastidio coloro che ne parlano ) , senza proclamare ai quattro venti i loro ideali ( posto che ne abbiano ) , ma promettendo posti , miglioramenti economici , erogazioni pubbliche per faccende private , e amministrando saggiamente la paura del peggio , è segno che conoscono bene con chi hanno da fare . Del resto , si sa quali sono stati i principi ideali che hanno presieduto sin dall ' origine alla formazione di un partito dei cattolici : la difesa di alcuni valori cristiani minacciati dall ' inarrestabile e forse inevitabile processo di secolarizzazione che accompagna lo sviluppo delle società industriali . Strano , ma le sole due volte che la democrazia cristiana ha difeso con fermezza questi principi ideali , in occasione dei due referendum sul divorzio e sull ' aborto , è rimasta in minoranza . Le uniche due grandi battaglie perdute dal partito dei cattolici sono quelle in cui ha messo in gioco la sua grande forza elettorale in difesa di principi . Quale miglior prova che i principi non rendono ? Ma si può sapere perché non rendono ? In fondo mi pare che anche per il partito comunista si possa fare lo stesso ragionamento . Il grande balzo in avanti è avvenuto nel 1975 e nel 1976 , quando il partito continuava a considerarsi un partito non solo marxista ma anche leninista . Più di un terzo degli italiani erano diventati marxisti e leninisti ? Non vorrei sbagliare , ma mi parrebbe lecito affermare che per la maggior parte di coloro che hanno votato il partito comunista i grandi ideali del marxismo abbiano avuto la stessa forza di attrazione che i principi evangelici per la democrazia cristiana . Si grida agli scandali . Ma gli scandali non sono una prerogativa della classe politica . Abbiamo già dimenticato i casi clamorosi di corruzione nello sport nazionale , il calcio ? E non abbiamo assistito in questa circostanza allo stesso fenomeno di fedeltà al proprio gruppo che fa dire ( ahimè , con orgoglio ) : « Torto o ragione , è la mia patria » ? Torto o ragione , è la mia squadra , torto o ragione , è il mio partito . E che dire degli scandali di cui sono state protagoniste talune istituzioni bancarie , scandali che hanno gettato il discredito su istituzioni che dovrebbero fondare il loro potere e il loro prestigio sulla loro credibilità ? Naturalmente , per l ' onore di una nazione è offesa meno grave , più sopportabile , un calciatore corrotto che un politico corrotto o sospettato di corruzione . Ma la gente ci è abituata . Una vecchia diffidenza per la politica e per chi fa della politica il proprio mestiere , dà per ammesso e scontato che il politico sia più un profittatore che un idealista . Sono riflessioni amare , lo so , che qualcuno potrebbe considerare anche ingiuste . Ma è meglio guardarsi in faccia e vedere la questione da tutti i lati , dall ' alto e dal basso , dal diritto e dal rovescio . Non già che l ' Italia sia un paese , com ' è stato spesso rappresentato , soltanto di cinici o di conformisti . Ci sono grandi energie morali , di cui ci rendiamo conto nella nostra vita di tutti i giorni . Ma nella vita politica stentano a farsi luce . Certo , sarebbe compito di una classe politica degna di questo nome risvegliarle là dove sono assopite , suscitarle là dove si sono spente , aiutarle a esprimersi , a riconoscersi , ad acquistare coscienza della propria funzione non solo nella vita privata ma anche nella pubblica . Fare emergere le nostre virtù anziché blandire i nostri difetti . Ma forse chiediamo troppo . Eppure abbiamo la convinzione profonda che una democrazia può essere uccisa dalla violenza esterna , ma muore anche per interna consunzione .
Mercato politico ( Bobbio Norberto , 1983 )
StampaQuotidiana ,
La recente ristampa delle opere principali di Gaetano Mosca ( Scritti politici , a cura di Giorgio Sola , 2 voll . , Utet , Torino 1982 ) potrà richiamare l ' attenzione del lettore di oggi sulla critica del sistema parlamentare di un secolo fa , di cui Mosca fu uno dei più autorevoli rappresentanti . Dopo aver affermato che le istituzioni politiche debbono essere tali da non porre gli uomini nella condizione di perseguire soltanto il proprio interesse a danno del senso morale , osserva che il sistema parlamentare « è congegnato in modo da riuscire una generale e sistematica contraddizione di questa massima » . Segue il commento : « Tutti in esso , dal più alto al più basso , dal ministro all ' elettore , trovano il loro privato interesse nel tradire quegli interessi pubblici che loro sono affidati . Tutti devono , per farsi avanti e sostenersi , favorire gli aderenti e gli amici a scapito del buon andamento degli affari , della coscienza e della giustizia » . E poco più avanti : « Procedendo così siamo ridotti a tale che ormai , in molti rami della pubblica azienda , non si può più avere a che fare col governo usando dei soli modi onesti e legali , e bisogna fare il camorrista se non si vuol subire un atto di camorra » . E proprio il caso di dire : nulla di nuovo sotto il sole . Non si rendeva conto il giovane Mosca ( quando scrisse quelle pagine aveva venticinque anni ) che il male lamentato ineriva al sistema democratico in quanto tale , più specificamente al sistema della democrazia rappresentativa , ovvero al regime in cui il potere di prendere le decisioni collettive spetta ai rappresentanti del popolo e il diritto di rappresentare il popolo dipende dal beneplacito degli elettori : se la caccia al favore dell ' elettore da parte del deputato era un male , era un male necessario e , chi sa , rispetto ad altri sistemi politici , un male minore . Però l ' amarezza di Mosca e di tutti gli altri critici del sistema parlamentare era perfettamente spiegabile con la delusione che la pratica quotidiana aveva in loro suscitato rispetto alle speranze delle origini . Alla fine del Settecento , uno dei maggiori scrittori politici americani , James Madison , aveva esaltato lo Stato rappresentativo che stava facendo le prime prove negli Stati Uniti , sostenendo che la delega dell ' azione governativa a un piccolo numero di cittadini eletto dagli altri avrebbe dato vita a « un corpo scelto di cittadini , la cui provata saggezza avrebbe potuto meglio discernere l ' interesse effettivo del proprio paese , e il cui patriottismo e la cui sete di giustizia avrebbe reso meno probabile che si sacrificasse il bene del paese a considerazioni particolarissime e transitorie » . Occorre anche aggiungere che i costituenti del tempo non si erano affidati soltanto alla presunta lungimiranza degli elettori : infatti , come si poteva credere sul serio che il cittadino chiamato a scegliere chi avrebbe dovuto decidere per lui non scegliesse la persona o il partito da cui poteva trarre il maggior tornaconto ? Giacché non era possibile che l ' elettore rinunciasse a fare richieste interessate , non vi era altro rimedio che quello di imporre all ' eletto di non tenerne conto . Così fu formulato e fatto valere il principio , passato alla storia col nome di « divieto di mandato imperativo » , secondo cui gli eletti avrebbero dovuto prendere le decisioni di cui erano investiti nel solo interesse della nazione in generale , ad onta delle richieste particolaristiche e campanilistiche ( oggi si direbbe corporative e clientelari ) di coloro che li avevano mandati col loro voto in Parlamento . Nella Costituzione francese del 1791 fu introdotto il seguente articolo : « I rappresentanti nominati nei dipartimenti non saranno rappresentanti di un dipartimento particolare , ma dell ' intera nazione , e non potrà essere dato loro alcun mandato » . Con l ' introduzione e l ' applicazione di questa regola generale ( una delle vere e proprie regole del gioco della democrazia rappresentativa ) si voleva che la rappresentanza parlamentare non riproducesse più gl ' inconvenienti della tradizionale rappresentanza corporativa , in base alla quale chi riceve la delega a rappresentare la propria corporazione deve fare esclusivamente gl ' interessi di questa , e s ' imponeva un vincolo formale alla naturale tendenza dell ' eletto ad accaparrarsi i favori di coloro da cui dipende la sua elezione , cui corrisponde la tendenza altrettanto naturale dell ' elettore a scegliere il candidato più disposto a proteggerlo . Da allora , il principio è diventato un elemento fondamentale della democrazia rappresentativa . Per restare in casa nostra lo Statuto albertino stabiliva che : i deputati rappresentano la nazione in generale e non le sole province in cui furono eletti , Nessun mandato imperativo può loro darsi dagli elettori » ( art. 41 ) ; la Costituzione repubblicana ripete : « Ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato » ( art. 67 ) . Mai divieto è stato più trasgredito . Non si capisce neppure come avrebbe potuto essere rispettato , anzitutto perché l ' interesse nazionale ciascuno l ' interpreta a suo modo e ogni partito crede , magari anche in buona fede , che l ' interesse del partito coincida con l ' interesse della nazione , e poi perché nella gara elettorale viene premiato in genere il rappresentante o il partito che si è preoccupato non tanto dell ' interesse nazionale quanto di quello dei propri clienti . Il divieto di mandato imperativo è una regola senza sanzione . Anzi , l ' unica sanzione temibile per il rappresentante o il partito è quella che viene dalla trasgressione della regola opposta , dalla regola cioè che impone , o per lo meno consiglia , di soddisfare il più possibile le richieste dei propri elettori . Elettori ed eletti sono legati a filo doppio . Il loro rapporto è un rapporto di « do ut des » , un vero e proprio rapporto di scambio , in cui l ' uno col proprio voto attribuisce all ' altro un potere da cui si aspetta un beneficio e l ' altro dispensa un beneficio da cui si aspetta il consenso . Forzando , ma non troppo , l ' analogia tra lo scambio politico e lo scambio economico , si può dire che l ' elettore è un produttore e l ' eletto un consumatore di potere , e inversamente l ' elettore è un produttore e l ' eletto un consumatore di consenso . L ' idea , del resto non nuova , che la democrazia possa essere paragonata a un grande e libero mercato la cui merce principale è il voto non è esaltante . Ma è da tener sempre presente per capire il comportamento degli uomini politici specie nell ' imminenza di elezioni . Come il mercato economico , anche il mercato politico sfugge a ogni controllo che si voglia imporre dall ' alto e anche da questo punto di vista l ' analogia regge alla prova dei fatti .
Quel voto di scambio ( Bobbio Norberto , 1983 )
StampaQuotidiana ,
L ' analogia tra mercato economico e mercato politico deve essere però presa con una certa cautela . L ' analogia è fondata sulla considerazione che tra l ' elettore e l ' eletto si può configurare un rapporto di « do ut des » , come quello che avviene nel mercato tra compratore e venditore . Ciò che l ' elettore dà al partito o alla persona cui concede il proprio voto è il bene politico per eccellenza , il potere , ovvero la capacità di ottenere effetti desiderati . Ciò che egli si aspetta in cambio è che il potere così conferito venga esercitato a suo vantaggio . Ma a differenza di quel che avviene nel mercato , l ' elettore non conosce in anticipo l ' effetto della sua scelta , perché il maggiore o minor potere del partito o del candidato cui ha dato il voto dipende anche dal maggiore o minore numero di voti che essi riceveranno da altri elettori sui quali egli non esercita di solito alcuna influenza . In un sistema maggioritario , in cui dei due candidati in lizza l ' uno vince e l ' altro perde , chi vota per il candidato perdente ha scambiato il proprio voto , il bene che egli possiede come cittadino che gode dei diritti politici , con una speranza che non si è realizzata . Ma anche in un sistema proporzionale dove ogni voto va a segno , il maggiore o minore effetto del mio voto come datore di consenso dipende da come votano gli altri , cioè da una circostanza di cui ogni elettore non può avere che una vaga conoscenza . Anche nel caso in cui il voto contribuisca a dare potere a un partito o a un candidato , non è detto che il potere da questi ricevuto sia tanto grande da consentire l ' esaudimento delle domande poste dall ' elettore . Superfluo sottolineare la diversa capacità di rispondere alle domande degli elettori , rispettivamente , di un partito di governo e di un partito di opposizione . Votando , l ' elettore non sa con esattezza in anticipo se il partito o il candidato che egli vota farà parte del governo o dell ' opposizione . Vota anche in questo caso a suo rischio e pericolo , offrendo l ' unico bene che ha nell ' arena politica , ancora una volta , per scambiarlo con un bene soltanto sperato . Il rapporto che si viene instaurando fra l ' elettore e l ' eletto è simile a quello di un contratto aleatorio , in cui a una prestazione certa da una parte corrisponde una prestazione incerta dall ' altra , come avviene in una lotteria . ( La miglior prova che le elezioni vengono percepite come una sorta di lotteria , sta nell ' intensa curiosità con cui nei giorni successivi al voto sono seguite le operazioni di spoglio delle schede ) . L ' altra ragione per cui l ' analogia del mercato politico non può essere presa alla lettera sta nella varietà e complessità delle motivazioni di voto . Il rapporto tra elettore ed eletto si può assimilare a un rapporto di scambio , paragonabile a quelli che avvengono nel mercato , solo nel caso del cosiddetto voto clientelare , nel caso cioè in cui tra elettore ed eletto sia avvenuta un ' intesa personale come quella che passa tra patrono e cliente , e il primo abbia concordato col secondo , se pure sempre con un margine di rischio , un beneficio specifico , come l ' assegnazione di una pensione , di una casa o di un posto . Che poi il cliente sia , anziché un singolo individuo , un gruppo d ' interesse che ottiene un favore economico in cambio di un appoggio politico , la cosa non cambia . Ma non tutti i voti sono clientelari . Gli studiosi di politica ( mi riferisco in particolare a Gianfranco Pasquino ) prendono in considerazione , accanto al voto di scambio , il voto di appartenenza , che è il voto di chi si è identificato talmente in un determinato partito da dare ad esso il proprio appoggio indipendentemente dalle decisioni politiche che esso prenderà e da quelle che impedirà , e quindi dall ' esigenza di soddisfare interessi individuali e specifici ; e il voto di opinione , che è il voto dato a un partito per una certa consonanza o concordanza nelle vedute generali , nel programma globale di conservazione o di riforma , senza un particolare riguardo ai propri interessi immediati . Di queste ultime due motivazioni di voto quella che si contrappone maggiormente alla motivazione derivata dall ' interesse personale , è la motivazione che sottostà al voto di opinione . Il voto di appartenenza è per certi aspetti un voto di opinione ( « le idee del partito sono le mie idee » ) , sotto altri un voto di scambio ( « gl ' interessi del partito sono i miei stessi interessi » ) . Ma entrambi irrigiditi : infatti , fra tutte le specie di voto è quello più stabile . Chi vota comunista per solidarietà di gruppo continua a votare pci quale che sia la linea politica seguita dai dirigenti ( fronte popolare , compromesso storico , alternativa democratica ) . Chi vota democristiano perché è cattolico , perché ritiene , a torto o a ragione , che la democrazia cristiana difenda gl ' interessi e i principi dei cattolici , continua a concederle la propria fiducia a onta degli scandali e senza tenere il minimo conto della pratica quotidiana di governo . Se si vuol capire perché nelle analisi degli osservatori torni sempre più insistentemente l ' immagine del mercato politico , nonostante la varietà delle motivazioni di voto , bisogna prender coscienza del fatto che nelle democrazie più consolidate , dove la ripetizione delle elezioni rende sempre più stretto il rapporto fra elettori ed eletti , si manifesta una chiara tendenza alla diminuzione del voto di opinione e all ' aumento del voto di scambio . Il voto di opinione sopravvive con maggiore intensità nei piccoli partiti che hanno minore capacità di soddisfare interessi particolari . Occorre se mai fare attenzione all ' aumento delle astensioni e delle schede bianche : entrambi gli atteggiamenti esprimono una vera e propria opinione . Tanto che qualcuno ha potuto affermare che mentre i partiti raccolgono sempre più voti di scambio , il voto di opinione si rifugia paradossalmente in coloro che non vanno a votare o non votano nessuno dei partiti in gara . Queste osservazioni , e altre che si potrebbero fare sulla « democrazia reale » , non sono irriverenti . Sono semplicemente realistiche . Servono a farci capire che in crisi non è la democrazia ma una sua falsa immagine .