StampaQuotidiana ,
È
lecito
uccidere
il
tiranno
?
Era
naturale
che
dopo
l
'
attentato
a
Pinochet
si
riproponesse
ancora
una
volta
,
anche
in
Italia
,
l
'
eterna
domanda
.
Se
la
sono
posta
in
questi
giorni
,
tra
gli
altri
,
Rossana
Rossanda
sul
«
Manifesto
»
rispondendo
di
sì
ma
sollevando
i
dubbi
di
Adriano
Sofri
,
e
di
Mieli
sulla
«
Stampa
»
e
di
Giuliano
Zincone
sul
«
Corriere
della
Sera
»
.
Il
problema
è
vecchio
e
le
diverse
possibili
soluzioni
altrettanto
.
Per
fare
qualche
esempio
,
in
un
'
epoca
in
cui
le
guerre
di
religione
avevano
favorito
la
nascita
di
dottrine
che
predicavano
il
tirannicidio
,
Hobbes
collocava
la
massima
«
E
lecito
uccidere
il
tiranno
»
fra
le
teorie
sediziose
che
in
uno
Stato
ben
ordinato
avrebbero
dovuto
essere
proibite
(
nella
repubblica
hobbesiana
l
'
articolo
di
Rossana
Rossanda
sarebbe
stato
censurato
,
e
l
'
autore
forse
messo
in
prigione
)
.
Nell
'
età
della
rivoluzione
francese
,
in
cui
venivano
celebrati
in
cattedrale
feste
e
riti
in
onore
di
Bruto
,
Kant
affermò
che
chiunque
avesse
anche
il
minimo
senso
dei
diritti
dell
'
umanità
non
poteva
non
essere
scosso
da
un
«
brivido
d
'
orrore
»
di
fronte
all
'
esecuzione
solenne
di
Carlo
I
in
Inghilterra
e
di
Luigi
XVI
in
Francia
.
Come
tutti
i
problemi
morali
,
anche
il
problema
della
liceità
del
tirannicidio
non
è
di
facile
soluzione
.
Anzi
,
non
ha
una
soluzione
che
possa
essere
data
e
accolta
una
volta
per
sempre
,
perché
ogni
caso
è
diverso
da
tutti
gli
altri
.
La
soluzione
dipende
dalle
circostanze
di
luogo
e
di
tempo
,
dalla
persona
contro
cui
l
'
atto
si
dirige
,
dalle
persone
che
lo
compiono
,
dalla
gravità
delle
colpe
e
dalla
impossibilità
di
ricorrere
ad
altri
rimedi
.
Avevano
ragione
o
torto
i
cospiratori
del
20
luglio
1944
nel
tentare
di
uccidere
Hitler
?
Aveva
le
stesse
ragioni
l
'
anarchico
Bresci
nell
'
uccidere
Umberto
I
?
Basta
porre
queste
due
domande
,
e
se
ne
potrebbero
porre
infinite
altre
analoghe
,
per
rendersi
conto
che
sotto
il
nome
generico
di
attentato
,
o
di
atto
terroristico
,
si
celano
eventi
totalmente
diversi
,
che
non
possono
essere
giudicati
con
lo
stesso
metro
.
Il
primo
aveva
un
intento
prevalentemente
liberatorio
,
il
secondo
essenzialmente
punitivo
.
Il
problema
è
reso
più
complesso
dal
fatto
che
la
stessa
azione
può
essere
sempre
giudicata
con
due
criteri
diversi
:
o
in
base
a
regole
precostituite
che
debbono
essere
osservate
o
in
base
ai
risultati
che
si
ritiene
debbano
essere
raggiunti
.
I
due
giudizi
non
coincidono
quasi
mai
:
osservando
le
buone
regole
spesso
si
ottengono
cattivi
risultati
;
cercando
di
ottenere
buoni
risultati
,
molte
buone
regole
vengono
coscientemente
e
tranquillamente
calpestate
.
Se
si
giudica
l
'
attentato
in
base
alle
regole
precostituite
,
è
evidente
che
esso
contravviene
alla
norma
«
Non
uccidere
»
,
che
è
una
delle
leggi
fondamentali
della
morale
di
ogni
popolo
e
in
ogni
tempo
.
Come
tale
dovrebbe
essere
condannato
.
Ma
non
vi
è
regola
senza
eccezione
.
Non
è
lecito
uccidere
il
nemico
in
una
guerra
giusta
?
Non
è
sempre
stata
riconosciuta
come
guerra
giusta
la
guerra
di
difesa
?
Non
può
allora
essere
estesa
al
tiranno
considerato
come
nemico
interno
l
'
eccezione
prevista
per
il
nemico
esterno
?
Sennonché
,
come
in
guerra
l
'
eccezione
vien
meno
di
fronte
alle
popolazioni
civili
,
così
l
'
attentatore
dovrebbe
colpire
soltanto
il
tiranno
e
risparmiare
le
persone
,
la
scorta
o
i
familiari
,
che
si
trovino
accanto
a
lui
.
Ma
oggi
questa
condizione
è
sempre
più
difficile
da
rispettare
per
il
tipo
di
armi
impiegato
,
come
ha
dimostrato
l
'
uccisione
di
alcune
guardie
del
corpo
nell
'
attentato
a
Pinochet
.
Ciò
rende
la
liceità
del
tirannicidio
,
giudicandola
in
base
agli
argomenti
della
filosofia
pubblica
tradizionale
,
sempre
più
problematica
.
Nel
dramma
I
giusti
,
di
Camus
,
il
congiurato
cui
è
stato
affidato
il
compito
di
uccidere
il
Gran
Duca
torna
senza
aver
eseguito
l
'
ordine
perché
sulla
carrozza
erano
seduti
accanto
al
personaggio
due
piccoli
nipoti
.
Quando
uno
dei
compagni
lo
rimprovera
:
«
L
'
Organizzazione
ti
aveva
comandato
di
uccidere
il
Gran
Duca
»
,
risponde
:
«
E
'
vero
,
ma
non
mi
aveva
comandato
di
assassinare
dei
bambini
»
.
Partendo
dal
punto
di
vista
dei
risultati
,
il
giudizio
non
diventa
né
più
facile
né
più
limpido
.
Anzitutto
il
risultato
deve
essere
se
non
certo
altamente
probabile
.
Non
c
'
è
dubbio
che
nel
caso
dell
'
attentato
al
generale
cileno
il
non
raggiungimento
del
risultato
abbia
contribuito
a
rafforzare
il
potere
del
dittatore
sia
nei
riguardi
di
tutti
quei
cittadini
(
e
sono
ancora
molti
)
che
sarebbero
disposti
a
liberarsi
dalla
dittatura
in
cambio
di
una
democrazia
moderata
ma
non
a
cambiare
il
regime
di
Pinochet
con
un
regime
comunista
,
sia
nei
riguardi
degli
Stati
Uniti
,
che
abbandoneranno
del
tutto
il
generale
solamente
quando
saranno
sicuri
che
al
suo
posto
invece
di
un
governo
democratico
all
'
americana
non
venga
istituito
un
governo
guidato
dal
partito
comunista
.
In
secondo
luogo
,
si
deve
prevedere
che
il
risultato
non
solo
sia
perseguibile
con
un
alto
grado
di
probabilità
,
ma
che
,
se
raggiunto
,
sia
tale
da
non
lasciar
adito
a
dubbi
sulla
sua
convenienza
o
opportunità
,
nel
senso
che
,
messi
sui
due
piatti
della
bilancia
il
male
necessario
(
nell
'
uso
di
certi
mezzi
)
e
il
bene
possibile
,
il
secondo
prevalga
.
Inutile
dire
quanto
questa
soluzione
sia
difficile
.
Nel
caso
dell
'
attentato
a
Giovanni
Gentile
(
so
di
toccare
un
tasto
dolente
)
la
sproporzione
tra
la
morte
di
un
uomo
e
le
conseguenze
che
questa
morte
poteva
avere
sulla
condotta
della
guerra
era
tale
da
renderci
oggi
molto
dubbiosi
sulla
saggezza
di
quell
'
atto
(
anche
se
devo
confessare
che
allora
non
mi
ero
posto
il
problema
nello
stesso
modo
)
.
Nel
caso
dell
'
attentato
a
Pinochet
sospendo
il
giudizio
:
mi
parrebbe
di
commettere
un
atto
di
prevaricazione
nel
sostituire
la
mia
opinione
a
quella
di
coloro
che
vivono
dentro
a
quella
situazione
.
Durante
l
'
occupazione
tedesca
,
quando
assistevamo
alla
tortura
e
alla
morte
di
tanti
nostri
compagni
,
come
avrei
giudicato
un
attentato
a
Mussolini
?
Un
uomo
dell
'
altezza
morale
di
Calamandrei
alla
notizia
della
morte
di
Mussolini
trascrive
sul
suo
diario
,
unico
commento
all
'
episodio
,
il
famoso
cantico
di
Alceo
:
«
Ora
bisogna
bere
;
I
ubriacarsi
bisogna
;
I
ora
che
Mirsilo
è
morto
»
.
Completamente
diverso
e
più
semplice
il
giudizio
sugli
atti
di
terrorismo
indiscriminati
,
come
le
stragi
alla
stazione
di
Bologna
,
nella
sinagoga
di
Istanbul
,
nel
grande
magazzino
di
rue
de
Rennes
.
Prova
ne
sia
che
,
mentre
di
fronte
all
'
attentato
al
dittatore
cileno
c
'
interroghiamo
sulla
sua
liceità
,
di
fronte
a
quelle
stragi
restiamo
inorriditi
,
incapaci
di
dare
,
nonché
una
giustificazione
,
una
qualsiasi
plausibile
spiegazione
.
StampaQuotidiana ,
Ogni
atto
terroristico
suscita
un
acceso
e
quasi
sempre
inconcludente
dibattito
circa
i
suoi
scopi
e
i
suoi
effetti
.
Il
dibattito
nasce
dal
fatto
che
di
ogni
atto
terroristico
,
sia
di
quello
indiscriminato
sia
di
quello
rivolto
verso
un
obiettivo
specifico
,
è
estremamente
difficile
stabilire
gli
scopi
.
Ed
è
estremamente
difficile
stabilirne
gli
scopi
perché
non
è
facile
prevederne
gli
effetti
.
L
'
assassinio
del
prof.
Tarantelli
è
stato
immediatamente
collegato
alla
campagna
in
corso
pro
e
contro
il
referendum
.
Ma
a
guardar
bene
questo
collegamento
è
stato
fatto
nei
modi
più
diversi
.
I
problemi
connessi
col
referendum
sono
due
:
a
)
se
si
debba
svolgere
,
secondo
l
'
indicazione
della
Corte
costituzionale
,
o
debba
essere
evitato
;
b
)
se
una
volta
che
sia
stato
deciso
di
lasciarlo
svolgere
,
quale
delle
due
parti
in
contrasto
lo
vincerà
.
Ebbene
,
rispetto
a
entrambi
i
problemi
,
credo
che
nessuno
sia
in
grado
di
prevedere
esattamente
se
l
'
assassinio
del
prof.
Tarantelli
avrà
delle
conseguenze
e
quali
saranno
.
Rispetto
al
primo
problema
l
'
assassinio
è
destinato
a
favorire
coloro
che
il
nodo
della
scala
mobile
preferiscono
tagliarlo
con
il
ricorso
al
voto
popolare
oppure
coloro
che
preferiscono
scioglierlo
attraverso
un
compromesso
fra
le
parti
in
cui
non
dovrebbero
esservi
né
vincitori
né
vinti
?
Rispetto
al
secondo
,
questo
«
sangue
»
è
destinato
a
far
aumentare
i
voti
del
«
sì
»
oppure
i
voti
contrari
?
Posto
il
problema
degli
scopi
e
degli
effetti
di
questo
nuovo
atto
di
terrorismo
,
e
non
si
vede
come
possa
essere
posto
altrimenti
,
si
capisce
subito
che
le
risposte
possibili
sono
molte
,
e
anche
opposte
fra
loro
.
Di
fatto
,
a
giudicare
dalla
polemica
subito
sorta
fra
uomini
politici
delle
diverse
parti
,
ognuno
dà
una
interpretazione
diversa
secondo
il
proprio
punto
di
vista
.
Ciò
dimostra
ancora
una
volta
che
la
logica
dell
'
atto
terroristico
non
può
essere
giudicata
alla
stregua
della
logica
dell
'
azione
politica
comune
,
che
mette
in
diretta
connessione
il
mezzo
col
fine
,
e
che
di
fronte
a
un
'
azione
in
cui
non
riesce
a
cogliere
il
nesso
mezzo
-
fine
è
tentata
di
considerarla
irrazionale
(
o
folle
)
.
Una
delle
ragioni
per
cui
è
così
difficile
dare
un
giudizio
politico
su
un
atto
di
terrorismo
è
che
ci
si
sofferma
troppo
poco
sul
suo
aspetto
meramente
punitivo
o
vendicativo
.
Il
terrorista
è
o
crede
di
essere
,
prima
di
tutto
,
un
giustiziere
.
Ciò
che
per
noi
che
ci
mettiamo
dal
punto
di
vista
dell
'
ordinamento
delle
leggi
dello
Stato
è
un
assassinio
,
per
il
terrorista
che
non
accetta
l
'
ordinamento
dello
Stato
,
che
considera
lo
Stato
il
principale
nemico
da
abbattere
,
è
una
condanna
a
morte
.
Di
un
atto
di
giustizia
è
perfettamente
inutile
cercare
quali
siano
gli
scopi
e
gli
effetti
ulteriori
.
In
un
atto
di
giustizia
lo
scopo
dell
'
atto
che
è
il
rendere
giustizia
,
è
intrinseco
all
'
atto
stesso
.
L
'
atto
di
giustizia
non
pone
alcuna
domanda
che
vada
al
di
là
dell
'
atto
perché
è
esso
stesso
una
risposta
,
ed
è
una
risposta
che
chiude
un
ciclo
di
azioni
e
reazioni
,
e
non
ne
apre
uno
nuovo
.
Che
ogni
atto
di
giustizia
,
soprattutto
poi
quando
è
così
spietato
,
possa
avere
anche
lo
scopo
di
costituire
un
atto
d
'
intimidazione
e
di
avvertimento
nei
riguardi
di
futuri
colpevoli
,
non
si
può
escludere
,
sebbene
uno
scopo
di
questo
genere
sia
molto
più
evidente
nella
giustizia
di
un
'
istituzione
regolata
da
norme
generali
e
astratte
com
'
è
l
'
ordinamento
giuridico
dello
Stato
che
in
quella
di
un
gruppo
terroristico
la
cui
organizzazione
è
labile
,
discontinua
,
e
la
cui
azione
futura
è
molto
più
incerta
.
Ma
in
ogni
caso
l
'
eventuale
effetto
rispetto
ad
azioni
future
è
secondario
rispetto
a
quello
primario
ed
essenziale
della
punizione
di
azioni
passate
.
Ha
dunque
ben
poco
senso
cercare
una
giustificazione
politica
di
un
atto
che
essendo
compiuto
come
un
atto
di
giustizia
trova
la
propria
giustificazione
in
se
stesso
,
cioè
esclusivamente
nel
fatto
di
essere
un
atto
di
giustizia
,
e
che
in
quanto
tale
può
avere
paradossalmente
una
giustificazione
etica
(
se
pure
di
un
'
etica
distorta
)
e
non
ha
niente
a
che
fare
con
la
politica
.
A
questa
prima
osservazione
se
ne
collega
una
seconda
,
a
mio
parere
più
importante
.
L
'
unica
cosa
che
un
atto
terroristico
come
l
'
assassinio
del
prof.
Tarantelli
vuole
politicamente
dimostrare
è
che
di
fronte
ai
grandi
conflitti
sociali
non
vi
può
essere
che
un
unico
modo
per
risolverli
:
il
ricorso
alla
violenza
.
In
quanto
tale
esso
è
una
sfida
alla
democrazia
intesa
come
l
'
insieme
delle
regole
che
permettono
di
risolvere
i
conflitti
senza
ricorrere
all
'
uso
della
violenza
da
parte
dei
gruppi
in
conflitto
fra
loro
.
I
modi
per
risolvere
democraticamente
,
senza
ricorrere
alla
violenza
,
i
conflitti
d
'
interesse
sono
principalmente
due
:
la
trattativa
che
conduce
a
un
accordo
di
compromesso
oppure
il
voto
calcolato
in
base
alla
regola
di
maggioranza
.
Si
osservi
bene
:
si
tratta
dei
due
metodi
attualmente
in
contrasto
per
la
soluzione
della
controversia
sulla
scala
mobile
,
e
sui
quali
è
in
corso
,
con
esito
incerto
,
la
discussione
fra
le
varie
parti
.
Anche
da
questo
punto
di
vista
,
a
me
pare
sia
perfettamente
inutile
il
litigio
sui
presunti
scopi
dell
'
assassinio
.
In
quanto
esso
applica
il
metodo
della
violenza
in
antitesi
al
metodo
democratico
essenzialmente
non
violento
,
si
contrappone
contemporaneamente
tanto
alle
pratiche
del
compromesso
che
vorrebbero
evitare
il
referendum
quanto
all
'
attuazione
del
referendum
che
pretende
di
risolvere
con
un
voto
di
maggioranza
un
conflitto
che
secondo
il
terrorista
,
che
ha
una
idea
rivoluzionaria
del
cambiamento
storico
,
non
può
essere
risolto
con
nessuno
dei
rimedi
offerti
da
un
governo
democratico
che
voglia
rispettare
le
regole
del
gioco
.
Il
terrorista
dice
no
tanto
al
compromesso
quanto
al
referendum
,
tra
i
quali
non
può
fare
alcuna
distinzione
dal
suo
punto
di
vista
.
Anche
in
questo
caso
il
gesto
ha
un
valore
puramente
dimostrativo
e
pertanto
ha
un
fine
in
se
stesso
,
come
l
'
atto
di
giustizia
,
indipendentemente
dai
suoi
effetti
.
Con
questo
non
si
vuol
dire
che
non
abbia
effetti
che
vadano
ben
al
di
là
delle
intenzioni
degli
attori
,
anche
se
non
sappiamo
esattamente
quali
potranno
essere
.
Ma
non
è
l
'
arzigogolare
sugli
effetti
che
possa
in
qualche
modo
offrirci
una
ragione
dell
'
atto
,
perché
l
'
atto
ha
le
sue
ragioni
chiarissime
a
chi
le
voglia
intendere
,
indipendentemente
da
essi
.
Resta
una
domanda
angosciosa
:
perché
nel
nostro
paese
questa
sfida
alla
democrazia
sia
più
forte
che
altrove
.
StampaQuotidiana ,
Le
recenti
vicende
che
stanno
travolgendo
la
popolarità
di
Ronald
Reagan
hanno
sollevato
un
vasto
dibattito
che
riguarda
non
soltanto
la
persona
del
presidente
ma
anche
l
'
istituzione
stessa
della
presidenza
della
repubblica
degli
Stati
Uniti
,
come
si
è
venuta
trasformando
negli
ultimi
decenni
.
Per
quanto
possa
sembrare
paradossale
,
si
va
dicendo
che
il
presidente
degli
Stati
Uniti
è
insieme
forte
e
vulnerabile
,
e
addirittura
tanto
più
vulnerabile
quanto
più
forte
.
Il
paradosso
consiste
nel
fatto
che
la
vulnerabilità
è
di
solito
considerata
caratteristica
di
un
potere
debole
.
Nell
'
ultimo
saggio
scritto
prima
della
morte
(
Autoritarismo
,
fascismo
e
classi
sociali
,
Il
Mulino
,
Bologna
1975
)
Gino
Germani
esprimeva
il
dubbio
che
i
pochi
governi
democratici
nel
mondo
attuale
potessero
sopravvivere
in
un
universo
di
Stati
in
gran
parte
non
democratici
.
Egli
fondava
questo
dubbio
sulla
convinzione
che
i
regimi
democratici
fossero
più
vulnerabili
sia
per
ragioni
interne
-
la
frammentazione
del
potere
che
consente
a
piccoli
gruppi
organizzati
di
inferire
colpi
mortali
alla
società
costretta
per
difendersi
a
violare
le
sue
stesse
regole
-
,
sia
per
ragioni
esterne
-
la
crescente
e
inarrestabile
dimensione
universale
della
politica
internazionale
che
avrebbe
favorito
i
regimi
autoritari
più
di
quelli
democratici
.
Entrambe
le
ragioni
mettevano
in
relazione
la
vulnerabilità
delle
democrazie
con
la
loro
debolezza
.
Soprattutto
per
quel
che
riguarda
la
politica
estera
,
la
stessa
tesi
è
stata
sostenuta
col
solito
vigore
e
furore
polemici
da
Jean
-
François
Revel
nel
libro
Come
finiscono
le
democrazie
(
Rizzoli
,
Milano
1984
)
.
Le
democrazie
sarebbero
destinate
a
finire
,
e
a
rappresentare
un
episodio
di
breve
durata
nella
storia
del
mondo
,
per
l
'
incapacità
di
difendersi
dal
loro
grande
avversario
,
il
totalitarismo
.
Questa
incapacità
sarebbe
dovuta
in
parte
ai
dissensi
interni
,
in
parte
all
'
eccesso
di
arrendevolezza
di
fronte
all
'
astuto
,
spietato
,
antagonista
.
Anche
in
questo
caso
la
vulnerabilità
è
interpretata
come
il
naturale
effetto
della
debolezza
.
In
che
senso
la
vulnerabilità
può
essere
fatta
derivare
piuttosto
dall
'
eccesso
di
forza
che
dall
'
eccesso
di
debolezza
?
La
risposta
è
stata
data
per
secoli
dai
classici
del
pensiero
politico
:
tanto
più
grande
il
potere
dei
governanti
tanto
più
forte
è
la
tentazione
che
essi
hanno
di
abusarne
,
vale
a
dire
di
esercitarlo
violando
o
aggirando
le
norme
stabilite
per
regolarlo
e
limitarlo
.
Tale
risposta
trova
piena
conferma
nell
'
affermazione
di
uno
dei
più
illustri
storici
contemporanei
degli
Stati
Uniti
,
Arthur
Schlesinger
,
che
in
un
'
intervista
di
questi
giorni
ha
detto
:
«
Gli
scandali
come
il
Watergate
,
oggi
l
'
Irangate
,
sono
la
risposta
patologica
alla
patologia
dell
'
onnipotenza
»
.
Naturalmente
vi
sono
regimi
in
cui
il
potere
è
forte
e
insieme
invulnerabile
.
Sono
gli
Stati
dispotici
ove
chi
governa
non
ha
,
come
diceva
Montesquieu
,
«
né
leggi
né
freni
»
.
Vi
sono
regimi
in
cui
leggi
fondamentali
esistono
ma
mancano
gli
organi
di
controllo
della
loro
osservanza
.
Sono
le
autocrazie
preliberali
in
cui
il
rispetto
delle
leggi
fondamentali
che
dovrebbero
limitare
il
potere
sovrano
è
demandato
allo
stesso
detentore
di
quel
potere
(
«
autocrate
»
è
letteralmente
colui
che
governa
se
stesso
)
.
Vi
sono
infine
regimi
in
cui
non
solo
il
potere
deve
essere
sempre
esercitato
entro
i
limiti
stabiliti
da
una
costituzione
formale
,
e
oggi
,
nella
maggior
parte
dei
casi
,
anche
rigida
,
ma
è
,
o
dovrebbe
essere
,
di
fatto
sottoposto
sempre
a
controlli
esterni
.
Sono
gli
Stati
democratici
.
Di
questi
controlli
due
sono
i
principali
:
quello
derivato
dalla
libertà
di
stampa
,
che
permette
la
formazione
di
un
'
opinione
pubblica
;
quello
derivato
dall
'
istituzione
della
divisione
dei
poteri
da
cui
nasce
il
controllo
del
potere
legislativo
su
quello
governativo
.
Sono
due
istituti
caratteristici
dello
Stato
democratico
,
di
cui
siamo
debitori
alla
tradizione
del
pensiero
liberale
,
che
ha
avuto
negli
Stati
Uniti
una
delle
sue
terre
d
'
elezione
.
Secondo
la
brillante
tesi
sostenuta
recentemente
da
Michel
Walzer
,
professore
di
scienze
sociali
all
'
Institute
for
Advanced
Studies
di
Princeton
,
lo
spirito
del
liberalismo
consiste
nell
'
«
arte
della
separazione
»
,
a
cominciare
dalla
separazione
dello
Stato
dalla
Chiesa
,
della
sfera
privata
dalla
pubblica
,
della
società
civile
dal
sistema
politico
,
per
finire
,
all
'
interno
del
sistema
politico
,
a
quella
tra
l
'
uno
e
l
'
altro
dei
massimi
poteri
.
Tutte
queste
separazioni
servono
,
come
afferma
Walzer
,
«
a
prevenire
e
a
combattere
l
'
uso
tirannico
del
potere
»
.
In
base
a
questa
tesi
è
lecito
sostenere
che
tanto
la
crisi
della
presidenza
Nixon
quanto
quella
della
presidenza
Reagan
siano
nate
proprio
dalla
violazione
del
principio
di
separazione
,
vale
a
dire
dalla
pratica
costante
,
e
per
un
certo
periodo
di
tempo
incontrollata
,
della
confusione
,
in
primo
luogo
della
confusione
fra
potere
legale
e
potere
personale
,
ovvero
nell
'
uso
personale
del
potere
legale
.
Si
capisce
quindi
perché
si
possa
parlare
di
vulnerabilità
a
proposito
tanto
di
un
governo
debole
quanto
di
un
governo
forte
.
Ma
se
ne
parla
in
due
sensi
diversi
.
Il
primo
è
vulnerabile
per
sua
natura
;
il
secondo
è
tale
in
un
contesto
istituzionale
in
cui
anche
il
supremo
potere
è
limitato
da
regole
giuridiche
.
Nel
primo
caso
la
vulnerabilità
è
un
fatto
negativo
,
e
induce
chi
la
denuncia
a
sostenere
che
la
democrazia
è
impraticabile
.
Nel
secondo
è
un
fatto
positivo
,
ed
è
anzi
la
riprova
che
i
meccanismi
di
controllo
del
potere
,
propri
dei
regimi
democratici
,
sono
entrati
,
se
pur
talora
tardivamente
,
in
azione
.
Nel
primo
caso
è
un
difetto
,
nel
secondo
il
rimedio
a
un
difetto
.
Un
rimedio
che
dimostra
se
mai
quanto
sia
difficile
il
pieno
rispetto
delle
regole
democratiche
nei
rapporti
internazionali
,
in
un
sistema
in
cui
la
maggior
parte
degli
Stati
non
sono
democratici
ed
è
esso
stesso
solo
apparentemente
democratico
,
in
realtà
ingovernabile
.
Sino
a
che
uno
Stato
non
democratico
vive
in
una
comunità
cui
appartengono
Stati
non
democratici
,
ed
è
essa
stessa
non
democratica
,
anche
il
regime
degli
Stati
democratici
sarà
una
democrazia
incompiuta
.
L
'
idea
del
vecchio
Kant
,
per
cui
la
condizione
preliminare
di
una
pace
perpetua
,
diversa
da
quella
dei
cimiteri
,
fosse
che
tutti
gli
Stati
avessero
egual
forma
di
governo
,
la
forma
repubblicana
,
quella
forma
di
governo
in
cui
per
decidere
della
guerra
occorre
l
'
assenso
dei
cittadini
,
non
era
il
«
sogno
di
un
visionario
»
.
Era
una
previsione
fatta
nella
forma
del
«
se
allora
»
.
Purtroppo
quel
«
se
»
-
«
se
tutti
gli
Stati
fossero
repubblicani
»
-
può
essere
per
ora
soltanto
l
'
oggetto
di
un
augurio
.
StampaQuotidiana ,
Nel
recente
convegno
sulla
nuova
destra
,
svoltosi
a
Cuneo
per
iniziativa
dell
'
Istituto
storico
della
Resistenza
,
qualcuno
ha
messo
in
dubbio
che
«
destra
»
e
«
sinistra
»
siano
ancora
concetti
adeguati
a
rappresentare
le
divisioni
attuali
tra
dottrine
e
movimenti
politici
.
Siamo
stati
invitati
a
riflettere
sul
fatto
che
da
sinistra
si
riscoprono
scrittori
di
destra
,
come
Cari
Schmitt
,
da
destra
,
in
particolare
dalla
nuova
destra
reazionaria
,
scrittori
di
sinistra
come
Gramsci
.
Negli
stessi
giorni
in
un
'
intervista
a
«
Panorama
»
Massimo
Cacciari
,
intellettuale
di
sinistra
,
dichiarava
di
rifiutare
«
quella
concezione
assiale
della
politica
che
prevede
una
destra
e
una
sinistra
,
intese
come
blocchi
compatti
e
specularmente
contrapposti
»
.
In
realtà
questa
confusione
non
è
nuova
né
è
senza
giustificazione
:
estrema
sinistra
ed
estrema
destra
hanno
amori
diversi
ma
odi
comuni
.
Uno
di
questi
odi
è
la
democrazia
,
intesa
come
il
regime
in
cui
le
sole
decisioni
collettive
legittime
sono
quelle
prese
in
base
alla
regola
della
maggioranza
.
Peraltro
,
le
ragioni
di
questa
avversione
sono
,
da
una
parte
e
dall
'
altra
,
opposte
.
Proprio
tenendo
conto
di
queste
opposte
ragioni
si
riesce
ancora
a
cogliere
il
principale
carattere
distintivo
dei
due
schieramenti
in
cui
si
divide
tradizionalmente
l
'
universo
politico
.
L
'
opposizione
consiste
in
questo
:
per
l
'
estrema
sinistra
la
regola
di
maggioranza
,
per
cui
ogni
cittadino
conta
per
uno
,
assicura
un
'
eguaglianza
puramente
formale
ma
non
riesce
altrettanto
bene
a
promuovere
l
'
eguaglianza
sostanziale
;
per
l
'
estrema
destra
la
stessa
regola
della
maggioranza
,
pareggiando
se
pure
solo
formalmente
tutti
i
cittadini
,
finisce
per
disconoscere
che
gli
uomini
sono
sostanzialmente
diseguali
.
Come
si
vede
,
la
divisione
avviene
sul
diverso
giudizio
che
l
'
una
e
l
'
altra
parte
danno
sull
'
eguaglianza
e
rispettivamente
sulla
diseguaglianza
come
ideale
da
perseguire
.
Questo
diverso
giudizio
permette
di
tener
ben
distinte
ideologie
che
tendono
a
una
maggiore
eguaglianza
rispetto
alla
democrazia
formale
,
e
che
chiamerò
egualitarie
,
e
ideologie
che
chiedono
una
maggiore
diseguaglianza
,
sempre
rispetto
alla
democrazia
formale
,
e
che
chiamerò
inegualitarie
.
Si
tratta
di
una
distinzione
vecchia
come
il
mondo
,
molto
più
vecchia
della
distinzione
tra
sinistra
e
destra
,
che
risale
alla
rivoluzione
francese
.
Ma
dacché
i
due
termini
di
sinistra
e
destra
sono
stati
introdotti
nel
linguaggio
politico
,
essi
sono
sempre
stati
adoperati
per
coprire
la
distinzione
tra
ideologie
egualitarie
e
inegualitarie
.
Perciò
sinché
vi
saranno
dottrine
e
movimenti
che
si
contrappongono
sulla
base
del
diverso
valore
dato
al
principio
dell
'
eguaglianza
,
l
'
uso
dei
due
termini
è
non
solo
legittimo
ma
utile
.
Il
loro
rifiuto
è
prova
o
di
imperdonabile
ignoranza
o
peggio
dell
'
illusione
di
cancellare
insieme
coi
due
nomi
la
realtà
che
essi
designano
.
La
contrapposizione
fra
egualitari
e
inegualitari
è
vecchia
quanto
il
mondo
per
la
semplice
ragione
che
gli
uomini
sono
tanto
eguali
quanto
diseguali
:
sono
eguali
in
quanto
appartengono
al
genere
umano
distinto
da
altri
generi
come
quello
degli
animali
,
ma
sono
diseguali
considerati
come
individui
,
uno
per
uno
.
Le
ideologie
egualitarie
mettono
l
'
accento
soprattutto
sull
'
appartenenza
di
tutti
gli
uomini
a
un
genere
comune
,
quelle
inegualitarie
sulle
osservabili
e
inconfutabili
differenze
tra
l
'
uno
e
l
'
altro
individuo
.
In
altre
parole
,
le
prime
danno
più
importanza
a
ciò
che
ci
unisce
,
le
seconde
a
ciò
che
ci
divide
.
Tra
le
tante
prove
storiche
che
si
possono
addurre
di
questa
contrapposizione
,
mi
limito
a
quella
che
si
può
trarre
dai
due
autori
considerati
a
buon
diritto
i
principali
ispiratori
dei
due
schieramenti
:
Rousseau
e
Nietzsche
.
Nel
suo
Discorso
sull
'
origine
delle
diseguaglianze
fra
gli
uomini
,
Rousseau
parte
dalla
considerazione
che
gli
uomini
sono
nati
fondamentalmente
eguali
ma
la
civiltà
corrotta
li
ha
resi
diseguali
.
Nietzsche
,
al
contrario
,
parte
dalla
considerazione
che
gli
uomini
sono
per
natura
diseguali
e
soltanto
la
civiltà
,
con
la
sua
morale
del
gregge
,
di
cui
è
massimamente
responsabile
il
cristianesimo
,
e
di
cui
sono
manifestazioni
al
tempo
presente
la
democrazia
e
il
socialismo
,
li
ha
resi
ingiustamenti
eguali
.
L
'
ideale
che
si
può
trarre
dalla
interpretazione
rousseauiana
del
corso
storico
è
quello
rivoluzionario
dell
'
abbattimento
delle
società
storiche
fondate
sulla
diseguaglianza
sociale
e
della
instaurazione
di
una
nuova
società
in
cui
tutti
siano
a
pari
diritto
cittadini
;
l
'
ideale
che
si
può
trarre
dalla
interpretazione
nietzscheana
,
è
al
contrario
quello
reazionario
della
restaurazione
di
un
ordine
gerarchico
la
cui
distruzione
ha
reso
possibile
il
trionfo
della
quantità
,
dei
«
malriusciti
»
,
del
branco
.
Lo
stesso
Nietzsche
ritorna
sempre
a
Rousseau
,
il
suo
grande
nemico
,
ogni
qualvolta
sfoga
il
proprio
furore
contro
il
principio
dell
'
eguaglianza
e
contro
quell
'
avvenimento
storico
,
la
rivoluzione
francese
,
che
avrebbe
cercato
di
attuarlo
:
«
Quello
che
odio
-
una
citazione
fra
mille
-
è
la
rousseauiana
moralità
della
rivoluzione
francese
...
La
dottrina
dell
'
eguaglianza
.
Ma
non
c
'
è
tossico
più
velenoso
!
»
Mi
si
può
obiettare
che
il
criterio
dell
'
eguaglianza
non
è
il
solo
a
permettere
di
caratterizzare
due
ideologie
opposte
.
C
'
è
anche
quello
della
libertà
in
base
al
quale
si
distinguono
ideologie
libertarie
e
autoritarie
.
Rispondo
che
questo
criterio
di
distinzione
serve
a
distinguere
,
nell
'
ambito
della
sinistra
e
della
destra
,
l
'
ala
estrema
dall
'
ala
moderata
.
Si
può
sostenere
infatti
che
le
due
ali
estreme
sono
autoritarie
,
quelle
moderate
libertarie
.
Di
conseguenza
,
la
linea
su
cui
si
collocano
le
diverse
ideologie
partendo
da
sinistra
e
procedendo
verso
destra
si
sviluppa
attraverso
queste
quattro
aree
.
All
'
estrema
sinistra
stanno
i
movimenti
che
sono
insieme
egualitari
e
autoritari
:
l
'
esempio
classico
è
quello
dei
giacobini
e
dei
loro
tardi
seguaci
,
i
bolscevichi
.
Alla
sinistra
moderata
appartengono
i
movimenti
egualitari
e
libertari
,
il
cui
esempio
al
tempo
attuale
sono
i
partiti
socialdemocratici
che
ricoprono
una
vasta
area
che
si
potrebbe
chiamare
opportunamente
di
«
socialismo
liberale
»
.
Seguono
i
movimenti
della
destra
moderata
che
sono
insieme
inegualitari
e
libertari
.
Infine
c
'
è
l
'
estrema
destra
in
cui
si
collocano
i
movimenti
che
accompagnano
l
'
autoritarismo
alla
voglia
(
o
nostalgia
)
di
una
società
ordinata
gerarchicamente
.
Certamente
la
realtà
è
più
ricca
di
qualsiasi
schema
.
Ma
è
sempre
meglio
uno
schema
qualsiasi
che
la
confusione
mentale
da
cui
possono
nascere
soltanto
comportamenti
politicamente
aberranti
.