StampaPeriodica ,
Mi
chiedono
una
dichiarazione
sul
digiuno
di
Marco
Pannella
.
La
faccio
qui
pubblicamente
.
Il
digiuno
di
Marco
Pannella
ha
per
me
un
chiaro
significato
demistificatorio
,
ricorda
al
rivoluzionarismo
lagnoso
e
mitomane
di
casa
nostra
questo
fatto
incontrovertibile
ma
così
spesso
dimenticato
:
noi
stiamo
fra
i
ricchi
della
terra
,
la
civiltà
industriale
,
il
capitalismo
industriale
,
privato
o
di
Stato
,
sarà
quel
"
sistema
di
merda
"
che
dicono
i
nostri
supersinistri
,
ma
in
due
secoli
ha
fatto
ciò
che
non
si
era
fatto
nei
millenni
,
quel
non
fatto
per
cui
nel
mondo
muoiono
ancora
ogni
anno
quindici
milioni
di
persone
per
fame
.
Diciamo
che
il
digiuno
di
Marco
Pannella
ci
restituisce
un
minimo
di
senso
della
proporzione
e
ci
consiglia
a
smetterla
con
le
varie
mode
luddiste
,
esotiche
,
antindustriali
.
Un
amico
economista
mi
scrive
da
Londra
:
"
Leggo
ogni
tanto
sui
giornali
italiani
le
tirate
antindustriali
e
anticapitalistiche
dei
vostri
rivoluzionari
.
Vorrei
ricordargli
quanto
segue
:
l
'
Europa
ha
impiegato
ottocento
anni
per
ritornare
al
tenore
di
vita
del
quinto
secolo
,
alla
fine
dell
'
impero
romano
e
fino
alla
rivoluzione
industriale
inglese
il
tasso
annuale
di
crescita
è
stato
poco
più
di
zero
.
Ancora
nel
1800
in
Francia
quattro
persone
su
cinque
spendevano
tutto
il
loro
salario
per
l
'
acquisto
del
pane
e
in
tutta
la
Germania
non
c
'
erano
mille
persone
con
un
reddito
pari
a
sei
milioni
di
oggi
.
Le
più
grandi
nazioni
comuniste
,
la
Russia
e
la
Cina
hanno
dovuto
inchinarsi
all
'
evidenza
,
hanno
dovuto
reintrodurre
i
meccanismi
e
i
valori
del
capitalismo
industriale
.
"
Nei
paesi
dell
'
Occidente
"
,
prosegue
l
'
amico
economista
,
"
la
crescita
economica
del
1945
ad
oggi
è
stata
sbalorditiva
con
aumenti
annui
del
4,2
per
cento
di
investimenti
superiori
al
20
per
cento
.
Lo
strumento
del
benessere
c
'
è
,
l
'
uomo
lo
ha
finalmente
trovato
dopo
i
millenni
della
fame
.
Si
tratta
di
farlo
funzionare
con
un
minimo
di
intelligenza
e
con
un
minimo
di
giustizia
"
.
Sì
,
io
credo
che
il
gesto
di
Marco
Pannella
abbia
proprio
questo
significato
:
di
ricordarci
che
cosa
è
il
mondo
dei
poveri
veri
,
dei
diseredati
veri
,
degli
affamati
veri
e
che
cosa
siamo
noi
al
confronto
.
A
volte
sembra
di
assistere
,
in
questo
nostro
paese
che
pure
ha
i
suoi
problemi
e
magagne
e
sofferenze
reali
,
a
una
sorta
di
culto
o
di
revival
delle
piaghe
che
ci
siamo
lasciati
alle
spalle
.
Abbiamo
smesso
di
fare
stupide
guerre
?
In
questa
Europa
che
sembra
rinsavita
,
austriaci
,
jugoslavi
,
francesi
non
desiderano
più
di
spostare
i
segnali
di
confine
al
prezzo
di
milioni
di
morti
?
Noi
non
abbiamo
più
delle
Trento
e
delle
Trieste
da
liberare
con
montagne
di
cadaveri
,
insomma
non
ci
sono
più
i
nemici
?
Ce
li
inventiamo
,
ci
spariamo
l
'
uno
contro
l
'
altro
.
"
Chi
assiste
alle
assemblee
"
proletarie
sa
bene
che
i
giovani
di
certe
zone
metropolitane
hanno
una
vita
grama
,
poche
prospettive
;
ma
il
modo
barbone
straccione
in
cui
si
vestono
,
gli
abiti
e
le
sciarpe
,
le
barbe
da
lumpenproletariato
appartengono
in
qualche
modo
al
desiderio
di
un
riflusso
preindustriale
,
ai
bei
tempi
in
cui
il
proletariato
aveva
da
perdere
"
solo
le
sue
catene
"
.
Non
è
più
così
,
per
fortuna
,
il
proletariato
italiano
oggi
ha
da
perdere
molto
,
tutto
ciò
che
gran
parte
del
mondo
gli
invidia
,
quel
livello
di
vita
che
i
nostri
sovversivi
dicono
"
di
merda
"
,
ma
di
una
merda
che
il
Terzo
mondo
spalmerebbe
volentieri
sul
suo
pane
.
I
giovani
,
rivoluzionari
o
meno
,
diranno
che
queste
sono
chiacchiere
da
guru
rincoglionito
.
Può
darsi
:
ma
saremmo
dei
pazzi
,
degli
stupidi
,
se
rompessimo
la
macchina
del
benessere
che
abbiamo
messo
assieme
con
i
sacrifici
e
le
fatiche
terribili
di
non
so
quante
generazioni
.
In
mancanza
di
argomenti
più
seri
ogni
tanto
i
nostri
sovversivi
dilettanti
,
nemici
del
capitalismo
industriale
,
ci
ricordano
che
esso
fa
ogni
anno
tremila
morti
sul
lavoro
.
Perché
non
contano
quanti
morivano
di
fame
,
di
stenti
,
di
malattie
nelle
società
preindustriali
?
E
a
scanso
di
equivoci
direi
ancora
:
capitalismo
industriale
non
significa
i
padroni
delle
ferriere
,
può
voler
dire
società
riformata
e
socialista
.
StampaQuotidiana ,
Se
capita
a
Milano
,
Alberto
Sordi
,
di
professione
comico
,
alloggia
con
il
segretario
in
un
Grand
Hôtel
del
centro
.
Esattamente
come
ventidue
anni
fa
quando
diceva
agli
amici
:
«
Scrivetemi
al
Continentale
»
.
Difatti
ci
stava
tutto
il
santo
giorno
,
con
addosso
un
fracchettino
,
attento
agli
ordini
dei
clienti
,
nella
sala
degli
ascensori
.
Il
pronipote
di
Antonio
Cecchi
,
esploratore
africano
,
impiegato
come
lift
.
Ma
fu
una
breve
esperienza
.
«
A
questo
ragazzo
gli
manca
la
coscienza
della
classe
alberghiera
»
diceva
il
capo
-
lift
.
«
Facevo
quel
lavoro
per
non
morire
di
fame
in
attesa
di
diventare
un
attore
»
spiega
Sordi
.
Si
deve
dire
che
c
'
è
riuscito
.
Ai
tempi
della
compagnia
Riccioli
-
Primavera
egli
era
un
fauno
debitamente
cornuto
e
semicoperto
da
una
pelle
di
daino
.
Immobile
su
un
piedestallo
fra
ninfe
danzanti
;
con
Oliver
Hardy
e
con
Mario
Pio
fu
una
voce
,
abbastanza
celebre
,
ma
solo
una
voce
;
nel
primo
dopoguerra
un
caratterista
di
quelli
che
oggi
ci
sono
e
domani
nessuno
se
li
ricorda
;
con
Za
Bum
un
presentatore
di
successo
ma
sempre
un
presentatore
.
Oggi
è
l
'
attore
di
cinema
più
popolare
e
perciò
il
più
richiesto
e
il
meglio
pagato
.
Come
a
dire
un
uomo
arrivato
.
In
una
stagione
ha
interpretato
nove
film
,
la
sua
media
annuale
non
scende
mai
sotto
i
cinque
.
«
Applico
la
teoria
dei
molti
»
dice
.
«
Fai
molti
film
,
così
impedisci
agli
altri
di
farne
.
»
I
:
attore
mi
ha
raggiunto
in
una
saletta
dell
'
Hôtel
(
Grand
,
si
capisce
)
in
cui
alloggia
e
risponde
alle
mie
domande
con
amichevole
cortesia
.
«
Mica
male
la
teoria
dei
molti
»
dico
io
.
«
Ma
senta
,
una
vena
di
crudeltà
è
indispensabile
al
suo
umorismo
?
»
«
Che
vuol
farci
»
risponde
.
«
Io
una
vecchietta
non
la
posso
accarezzare
.
Con
lo
strazio
nel
cuore
,
mi
creda
,
devo
strapparle
un
orecchio
.
Se
no
di
che
ride
la
gente
?
»
Alberto
Sordi
si
guarda
le
mani
,
compiaciuto
,
come
se
ci
avesse
versato
sopra
quel
suo
cinismo
professionale
all
'
acqua
di
rose
,
che
subito
svapora
.
Lui
sa
bene
che
l
'
orecchio
della
vecchietta
sarà
sempre
finto
:
e
dorme
sonni
tranquilli
,
non
ha
rimorsi
.
Si
gira
sul
sofà
,
rotea
i
suoi
occhi
tondi
.
«
Sa
che
diceva
Flaiano
l
'
altra
sera
?
Che
l
'
umorismo
è
finito
,
che
c
'
è
poco
da
ridere
ai
nostri
giorni
.
Ma
che
vuole
!
Che
resti
disoccupato
?
E
poi
,
mi
dica
lei
,
senza
umorismo
come
li
diffondiamo
i
messaggi
importanti
?
»
Placido
,
le
guance
tonde
,
i
capelli
morbidi
e
scuri
,
il
devoto
segretario
pronto
a
ogni
ordine
,
i
clienti
del
Grand
Hôtel
che
lo
osservano
e
sorridono
,
egli
non
sembra
eccessivamente
preoccupato
per
le
sorti
dell
'
umorismo
.
E
quando
parla
di
messaggi
importanti
fa
un
vocione
così
profondo
e
occhioni
così
allusivi
che
io
devo
sorridere
.
Lui
,
impudicamente
,
se
ne
compiace
.
Per
l
'
ennesima
volta
il
meccanismo
segreto
ha
funzionato
a
dovere
.
Una
inflessione
di
voce
,
un
gesto
,
un
'
espressione
degli
occhi
ed
io
,
che
in
questo
momento
sono
il
suo
pubblico
,
ho
reagito
come
dovevo
:
sorridendo
.
A
quarant
'
anni
Alberto
Sordi
sta
sulla
cresta
dell
'
onda
con
l
'
aria
di
chi
vuol
rimanerci
per
un
pezzo
e
con
bella
serenità
.
Egli
è
così
ricco
di
talento
che
può
dilapidarlo
in
molti
film
mediocri
.
Gliene
resta
sempre
abbastanza
per
essere
il
più
notevole
dei
nostri
attori
cinematografici
.
«
Stia
a
sentire
,
Sordi
,
se
ora
le
dico
che
lei
è
il
migliore
attore
italiano
come
si
comporta
?
Subisce
la
tentazione
della
falsa
modestia
o
ci
sta
?
»
«
Be
'
,
vorresti
che
fossi
proprio
io
a
obbiettare
?
Che
vuoi
che
faccia
?
Sorrido
,
scuoto
un
po
'
il
capo
,
ringrazio
e
dico
che
ci
sto
.
Del
resto
non
c
'
è
poi
quella
dovizia
di
buoni
attori
che
sembra
.
Anche
essere
il
primo
,
capisci
...
»
E
ci
fa
su
una
delle
sue
risate
ingenuo
-
sarcastiche
,
da
uomo
che
non
dimentica
la
gioia
di
ridere
anche
se
ride
di
se
stesso
.
Parliamo
dei
suoi
personaggi
.
Gli
chiedo
come
li
crei
.
Osservando
gli
altri
o
guardandosi
dentro
?
Bozzettismo
o
autobiografia
?
«
Ho
recitato
»
dice
lui
«
le
parti
del
ladro
,
del
magnaccia
,
del
magliaro
,
del
bulletto
e
roba
del
genere
.
Posso
dire
che
io
sono
quei
personaggi
?
Non
potrei
,
ora
che
tengo
una
buona
posizione
,
ma
mica
posso
rinnegarmi
.
Certo
c
'
è
una
parte
di
me
stesso
dentro
di
loro
.
Quanta
non
saprei
dirlo
,
è
una
cosa
difficile
.
»
La
nostra
sarà
una
conversazione
breve
:
il
segretario
sta
sfogliando
il
taccuino
degli
appuntamenti
,
un
commendatore
molto
importante
aspetta
l
'
attore
a
pranzo
.
E
chi
potrebbe
in
pochi
minuti
trovare
la
chiave
di
quel
misterioso
puzzle
che
è
la
creazione
di
un
personaggio
?
Tanti
pezzi
separati
,
di
origine
diversa
,
che
l
'
attore
riesce
a
mettere
insieme
quando
si
ode
il
ronzio
della
macchina
da
presa
.
Sordi
,
certamente
,
è
un
osservatore
acutissimo
del
ridicolo
altrui
.
È
poi
un
preparatore
esigente
del
suo
lavoro
visto
che
riscrive
o
arricchisce
quasi
tutte
le
scene
e
i
dialoghi
che
gli
preparano
.
«
Se
un
attore
drammatico
fa
cilecca
»
spiega
,
«
la
gente
lo
perdona
subito
,
dice
che
il
poverino
è
stato
sacrificato
in
una
parte
sbagliata
.
Ma
se
io
non
riesco
a
far
ridere
è
finita
,
mi
pigliano
a
pernacchi
»
.
E
insiste
a
raccontarmi
che
il
suo
è
un
«
umorismo
di
situazioni
»
che
fa
ridere
per
ciò
che
accade
più
che
per
ciò
che
si
dice
.
Sarà
,
ma
io
che
lo
osservo
sarei
tentato
di
pensare
che
il
suo
è
un
umorismo
prevalentemente
istintivo
,
una
qualità
infusa
in
ogni
parte
del
suo
ben
nutrito
corpo
.
Come
se
le
guance
,
gli
orecchi
,
le
mani
,
il
petto
e
persino
le
natiche
sapessero
reagire
umoristicamente
per
conto
loro
,
recitando
ciascuna
la
sua
parte
.
Sordi
,
è
naturale
,
preferisce
l
'
aspetto
ideologico
del
suo
umorismo
,
dice
e
ripete
che
non
si
fa
l
'
attore
comico
improvvisando
.
Ma
deve
pur
saperlo
che
al
solo
apparire
sullo
schermo
del
suo
faccione
infingardo
una
gaia
eccitazione
percorre
la
platea
:
e
se
non
c
'
è
subito
la
risata
c
'
è
sempre
l
'
aspettativa
di
una
risata
.
Non
esiste
spettatore
tanto
opaco
,
voglio
dire
,
che
non
reagisca
in
qualche
modo
alla
sua
presenza
.
Chi
possiede
questo
dono
comunicativo
può
anche
sprecarlo
se
non
lo
sorregge
con
una
intelligenza
duttile
e
una
preparazione
seria
.
Ma
non
è
il
caso
di
Alberto
Sordi
,
il
più
implacabile
custode
di
se
stesso
che
si
conosca
.
Tanto
da
perdere
ogni
gusto
dell
'
ironia
quando
parla
del
suo
successo
,
di
come
lo
volle
e
lo
ottenne
,
risultato
categoricamente
inevitabile
e
necessario
.
Ci
fu
un
tempo
,
da
ragazzo
,
che
passava
le
mattine
in
casa
esercitandosi
nella
danza
resa
famosa
da
Fred
Astaire
.
Si
affacciava
nella
stanza
sua
madre
e
diceva
con
una
voce
gentile
,
ma
un
po
'
ironica
:
«
Ma
Alberto
,
perché
pesti
tanto
con
i
piedi
,
che
cosa
è
questo
rumore
?
»
.
Serissimo
Alberto
rispondeva
:
«
Per
tua
regola
,
mamma
,
queste
sono
le
claquettes
»
.
Serio
,
come
allora
,
dice
a
me
che
lo
interrogo
sulla
sua
fortuna
:
«
Le
assicuro
che
non
è
stata
una
vincita
al
lotto
.
La
mia
fortuna
è
fondata
su
basi
vere
.
Prevista
,
ottenuta
,
durevole
»
.
Non
lo
contraddico
anche
se
ho
il
sospetto
che
un
pochino
esageri
.
Era
proprio
così
sicuro
di
sé
quella
notte
autunnale
del
'39
in
cui
si
ritrovò
piangente
in
un
camerino
del
teatro
Pace
di
Milano
?
Lui
e
il
suo
partner
Gaspare
Sponticchia
,
decrepito
danzatore
di
claquettes
.
Umiliati
più
che
dai
fischi
,
dal
cupo
silenzio
di
un
pubblico
che
pure
era
di
bocca
buona
.
Lo
era
quando
girava
per
Roma
come
agente
assicuratore
dell
'
Alleanza
,
a
percentuali
invisibili
e
senza
stipendio
fisso
?
Chi
ha
successo
,
è
noto
,
ama
proiettarlo
anche
nel
suo
passato
e
in
quella
che
fu
una
lotta
confusa
e
molto
spesso
casuale
riesce
a
vedere
disegni
fermi
e
precisi
.
Per
Alberto
Sordi
sono
ormai
lontani
i
tempi
di
Laura
Nucci
,
del
balletto
Lorys
,
della
pensione
milanese
a
Porta
Garibaldi
dove
una
padrona
ladra
pagava
il
suo
silenzio
con
magrissimi
pasti
.
Triste
acqua
passata
.
Adesso
Alberto
ha
la
casa
«
più
importante
di
Roma
»
,
sul
monte
Ora
,
di
fronte
alle
terme
di
Caracalla
.
Con
la
piscina
e
con
il
teatrino
.
Splendida
.
E
a
completare
il
trionfo
il
patriziato
romano
gli
è
largo
di
inviti
e
di
simpatia
.
«
Perché
frequenta
l
'
alta
società
?
Divertimento
,
curiosità
,
gusto
di
rivincita
?
»
«
Che
le
devo
dire
»
fa
lui
,
«
a
me
questa
gente
che
ha
un
bel
nome
e
una
bella
ricchezza
non
mi
dispiace
.
Chi
la
critica
in
genere
non
la
conosce
.
Ce
ne
sono
di
spiritosi
e
di
intelligenti
,
mi
creda
.
Forse
un
pochino
a
corto
di
fantasia
,
ma
a
questo
mondo
,
si
sa
,
tutto
non
si
può
avere
»
.
Mi
dà
un
colpetto
gentile
su
una
spalla
.
«
E
poi
»
dice
,
«
un
po
'
di
sangue
nobile
ce
l
'
abbiamo
tutti
,
non
è
vero
?
E
mica
ci
fa
schifo
se
ce
lo
riconoscono
.
Te
lo
immagini
un
impiegatuccio
o
un
operaio
a
cui
arriva
una
patente
di
nobiltà
che
esce
sul
balcone
strappandosi
i
capelli
e
gridando
:
mannaggia
mi
hanno
fatto
conte
,
li
possino
,
proprio
a
me
doveva
capitare
»
.
Si
agita
,
è
sul
punto
di
saltar
giù
dal
sofà
,
se
non
fossimo
nel
salone
di
un
Grand
Hôtel
tradurrebbe
subito
in
gesti
e
parole
l
'
intuizione
comica
che
gli
è
venuta
.
E
aggiungerebbe
altri
personaggi
,
altri
episodi
perché
il
suo
umorismo
è
una
reazione
a
catena
difficile
da
controllare
.
«
Dicono
che
qualche
volta
strafaccio
.
È
vero
,
me
ne
accorgo
anche
io
quando
vedo
il
film
.
Ma
ormai
il
film
è
una
cosa
che
non
mi
appartiene
più
,
devo
già
pensare
al
nuovo
che
sto
girando
.
»
Accenno
a
uno
dei
luoghi
comuni
delle
sue
biografie
:
l
'
avarizia
.
«
In
casa
mia
»
dice
,
«
ho
messo
delle
cose
stupende
,
preziosissime
.
Alle
mie
sorelle
e
a
chi
mi
sta
a
cuore
non
manca
nulla
.
Io
spendo
molto
,
ma
nel
modo
che
preferisco
.
Se
essere
avaro
significa
avere
un
certo
rispetto
del
denaro
e
un
'
idiosincrasia
per
le
spese
inutili
e
cretine
io
sono
un
avaro
.
La
verità
è
che
questa
storia
è
stata
messa
in
giro
da
certi
ambienti
che
conosco
bene
.
Non
gli
va
giù
che
io
eviti
via
Veneto
e
certa
gente
di
via
Veneto
.
Alla
malora
'
sti
,
come
li
chiamano
,
rivoltati
.
Li
possino
»
.
«
Se
un
attore
badasse
ai
propri
interessi
dovrebbe
andar
cauto
su
certi
temi
»
.
«
Sì
,
d
'
accordo
,
so
bene
che
sono
loro
,
gli
invertiti
,
che
comandano
nel
nostro
ambiente
.
Ma
io
dico
che
non
se
ne
può
più
.
E
glielo
dico
in
faccia
.
Se
gli
vado
con
le
mie
idee
bene
,
se
no
vadano
loro
a
quel
paese
»
.
«
Pensa
qualche
volta
alla
vecchiaia
?
Immagina
come
sarà
,
uomo
ed
attore
,
a
sessant
'
anni
?
»
Un
attimo
di
riflessione
,
poi
risponde
:
«
Io
evito
con
cura
le
persone
in
disfacimento
.
Ho
il
terrore
della
vecchiaia
che
corrompe
il
corpo
e
l
'
intelligenza
.
Mi
piacciono
le
persone
anziane
vivaci
e
benportanti
.
Spero
che
lo
sarò
.
Non
ho
timori
per
la
mia
professione
.
Non
sarò
io
a
perdere
il
passo
con
i
tempi
.
E
poi
mi
sono
conservato
bene
,
non
le
pare
?
A
quarant
'
anni
sono
ancora
signorino
.
La
mia
regola
è
:
vita
attiva
e
buon
umore
.
Ma
qui
a
Milano
come
si
fa
?
Mamma
mia
guarda
fuori
,
scuro
che
sembra
notte
,
quasi
quasi
me
ne
torno
in
camera
a
dormire
»
.
«
Molte
grazie
,
Sordi
»
.
«
Se
vuol
vedermi
al
lavoro
»
dice
lui
,
«
domattina
"
giro
"
in
uno
scalo
ferroviario
,
si
faccia
dire
dove
dal
mio
segretario
»
.
Lo
scalo
è
quello
di
San
Rocco
dove
c
'
è
una
stazione
per
le
locomotive
.
Ci
vado
,
l
'
indomani
.
Piove
nella
nebbia
,
l
'
edificio
è
di
un
giallo
sbiadito
,
fra
il
Cimitero
Monumentale
e
lo
scalo
Farini
.
Intorno
baracche
,
rotaie
,
orticelli
tisici
,
fango
,
operai
come
ombre
e
tutti
gli
altri
panni
sporchi
del
neorealismo
.
Speriamo
che
sia
almeno
un
film
morale
.
Il
titolo
è
Crimen
ma
ci
recita
Alberto
Sordi
,
quello
che
fa
ridere
.
Anche
lui
ha
i
suoi
messaggi
da
diffondere
.
Magari
più
insidiosi
e
corrosivi
di
tanti
altri
che
spaventano
la
censura
.
Comunque
il
censore
potrà
sempre
dire
:
«
Mica
faceva
sul
serio
.
Era
tutta
roba
da
ridere
»
.
StampaQuotidiana ,
Gerusalemme
,
11
aprile
-
Mi
volto
,
e
vedo
Eichmann
nella
gabbia
di
vetro
:
il
suo
ingresso
nell
'
aula
è
stato
rapido
e
discreto
.
È
in
piedi
;
indossa
un
abito
grigio
ben
stirato
;
tiene
il
capo
un
po
'
inclinato
sulla
spalla
destra
come
un
istitutore
virtuoso
e
un
po
'
timido
.
«
Siete
voi
Adolf
Eichmann
?
»
chiede
il
presidente
della
Corte
.
«
Jawohl
»
(
Sissignore
)
,
risponde
lui
,
portando
di
scatto
le
mani
tese
sulla
cucitura
dei
pantaloni
.
Ma
poi
le
dita
hanno
un
tremito
,
si
agitano
,
si
chiudono
a
pugno
.
Il
gute
Kamerade
Adolf
Eichmann
deve
aver
visto
sopra
i
giudici
la
menorah
,
il
candelabro
a
sette
braccia
,
che
è
il
simbolo
di
Israele
.
Nella
sala
,
gli
occhi
di
cinquecento
giornalisti
sono
fissi
su
di
lui
;
intorno
al
palazzo
la
folla
preme
contro
le
transenne
,
e
fra
scalpitii
e
urli
i
poliziotti
a
cavallo
ne
reprimono
i
rapidi
tumulti
.
In
ogni
casa
di
Israele
le
radio
portano
le
voci
dell
'
aula
.
Il
medico
visita
l
'
ammalato
,
il
negoziante
serve
il
cliente
,
l
'
impiegato
sbriga
le
sue
pratiche
,
gli
scolari
stanno
sui
banchi
,
mentre
le
voci
che
giungono
dalla
Beit
Haam
,
l
'
edificio
del
tribunale
,
rievocano
la
tragedia
che
deturpa
come
una
cicatrice
il
volto
dell
'
umanità
.
Nelle
strade
,
nei
bar
le
voci
degli
altoparlanti
parlano
di
fatti
avvenuti
anni
fa
in
quel
continente
chiamato
Europa
,
che
per
molti
israeliani
significa
,
ormai
,
solo
il
cimitero
delle
loro
famiglie
.
Mentre
il
presidente
Landau
sbriga
i
preliminari
,
Eichmann
si
accomoda
su
una
sedia
e
rivolge
alla
sala
uno
sguardo
calmo
e
meditabondo
.
Noto
solo
ora
che
ha
una
cravatta
a
strisce
orizzontali
su
una
camicia
bianca
.
I
suoi
capelli
sono
radi
e
di
un
biondo
sbiadito
.
Spesso
si
morde
le
labbra
,
ma
a
volte
,
forse
per
una
curiosa
contrazione
nervosa
,
pare
che
sorrida
.
Due
poliziotti
,
seduti
alle
sue
spalle
,
non
lo
perdono
d
'
occhio
;
un
altro
poliziotto
spunta
dalla
scaletta
che
collega
la
gabbia
ai
locali
sotterranei
.
Vedo
Eichmann
chinarsi
sulle
carte
e
sfogliarle
,
ma
senza
leggerle
,
solo
per
darsi
un
contegno
.
Qualcuno
dirà
che
egli
non
ha
nulla
del
mostro
.
Si
è
dimenticato
troppo
presto
che
la
mostruosità
nazista
poteva
celarsi
-
anzi
di
regola
si
celava
-
dietro
una
presenza
dignitosa
e
professorale
.
Ora
comincia
la
lettura
dell
'
atto
di
accusa
.
Il
presidente
legge
i
quindici
capi
d
'
accusa
con
voce
bassa
e
nasale
per
quasi
un
'
ora
.
Eichmann
è
accusato
di
avere
provocato
fra
il
1939
e
il
1945
,
di
concerto
con
altri
,
la
morte
di
6
milioni
di
ebrei
,
nella
sua
qualità
di
responsabile
dell
'
attuazione
del
piano
nazista
per
lo
sterminio
fisico
degli
ebrei
,
noto
sotto
il
nome
di
«
soluzione
finale
del
problema
ebraico
»
.
Scendono
grevi
nell
'
aula
le
parole
che
parlano
di
torture
,
di
denti
d
'
oro
strappati
ai
morti
,
delle
camere
a
gas
.
È
l
'
inferno
tradotto
in
linguaggio
burocratico
,
suddiviso
ordinatamente
in
comma
,
paragrafi
,
motivazioni
,
postille
.
È
il
tentativo
di
ricondurre
una
strage
tanto
assurda
da
parere
impunibile
nelle
definizioni
di
una
giustizia
penale
capace
di
punire
.
L
'
accusa
contro
Eichmann
poteva
ridursi
a
queste
parole
:
egli
fu
il
tecnico
del
genocidio
.
Invece
si
è
voluto
distinguere
,
catalogare
,
mettere
nell
'
elenco
le
successive
stragi
,
ciascuna
con
il
nome
del
luogo
,
le
circostanze
,
il
numero
delle
vittime
,
la
loro
provenienza
,
il
sesso
.
E
porre
accanto
all
'
imputazione
preminente
della
strage
le
altre
imputazioni
,
apparentemente
secondarie
,
di
furto
,
coercizione
,
terrorismo
,
deportazione
,
persecuzione
,
associazione
a
delinquere
.
Non
per
semplice
gusto
pedantesco
,
non
per
il
piacere
di
prolungare
l
'
accusa
:
ma
con
il
preciso
intento
di
porre
il
nazismo
di
fronte
alle
sue
circostanziate
,
definite
responsabilità
penali
.
È
troppo
presto
per
dire
se
il
processo
riuscirà
nel
suo
intento
.
Ma
è
chiaro
sin
d
'
ora
il
suo
meditato
rifiuto
alle
astrazioni
pseudofilosofiche
e
pseudostoriche
,
la
sua
precisa
volontà
di
restare
entro
i
limiti
di
quella
giustizia
e
di
quella
morale
che
il
mondo
civile
ha
elaborato
nei
secoli
.
Non
a
caso
nell
'
atto
di
accusa
si
parla
raramente
di
ideologia
nazista
e
invece
si
ripete
la
frase
:
«
L
'
imputato
,
di
concerto
con
altre
persone
,
ha
commesso
...
»
,
che
sembra
tratta
da
un
qualsiasi
procedimento
giudiziario
.
Quasi
per
sottolineare
che
egli
non
è
il
rappresentante
di
un
'
ideologia
filosoficamente
discutibile
,
ma
solo
l
'
esponente
di
una
«
anonima
assassini
»
.
Durante
la
lettura
Eichmann
rimane
immobile
,
senza
volgere
uno
sguardo
alla
sede
e
al
pubblico
del
suo
processo
.
Certo
questa
giustizia
concede
pochissimo
agli
effetti
scenografici
.
La
sala
con
la
sua
gabbia
di
vetro
,
il
suo
palcoscenico
,
i
suoi
mobili
chiari
e
razionali
,
la
sua
spoglia
funzionalità
,
ha
l
'
aspetto
di
uno
studio
televisivo
.
Se
non
fossero
quei
soldati
armati
dentro
la
gabbia
,
Eichmann
potrebbe
sembrare
un
tecnico
del
suono
attento
alla
registrazione
.
Potrebbe
,
se
la
voce
bassa
e
nasale
del
magistrato
che
legge
i
capi
d
'
accusa
non
ricordasse
un
'
altra
immagine
:
un
Adolf
Eichmann
più
giovane
,
intento
,
nella
primavera
del
'44
,
ad
osservare
attraverso
una
feritoia
la
morte
di
centinaia
di
persone
chiuse
in
una
camera
a
gas
,
mentre
fuori
-
come
annotava
il
suo
collaboratore
Rudolf
Hoss
-
«
i
frutteti
di
Auschwitz
erano
in
fiore
»
.
Terminata
la
lettura
dell
'
atto
d
'
accusa
,
il
presidente
chiede
all
'
imputato
:
«
Avete
compreso
le
accuse
mossevi
?
»
.
Eichmann
assentisce
.
«
Sì
,
naturalmente
»
,
e
il
presidente
lo
invita
a
sedere
.
Ora
tocca
al
difensore
di
Eichmann
,
l
'
avvocato
tedesco
Robert
Servatius
.
«
Prima
che
Eichmann
sia
chiamato
a
rispondere
se
si
ritiene
colpevole
oppure
no
»
egli
dice
«
vorrei
fare
alcune
obiezioni
.
Esse
riguardano
la
serenità
e
la
competenza
di
questa
Corte
.
»
Servatius
si
interrompe
per
dar
tempo
ai
traduttori
di
ripetere
le
sue
parole
in
ebraico
,
seppure
tutti
i
giudici
capiscano
perfettamente
il
tedesco
.
Servatius
è
un
bell
'
uomo
,
con
i
capelli
d
'
argento
e
l
'
aspetto
florido
del
ricco
borghese
della
Renania
.
Quando
può
riprendere
il
discorso
,
egli
svolge
temi
previsti
;
questa
giustizia
non
può
essere
serena
.
Uno
dei
giudici
(
egli
allude
al
giudice
Halevy
)
ha
già
espresso
il
suo
giudizio
sfavorevole
sull
'
imputato
.
Inoltre
questo
giudice
ha
avuto
dei
parenti
uccisi
dai
nazisti
.
Tutti
i
giudici
,
del
resto
,
nella
loro
qualità
di
ebrei
sono
parte
in
causa
.
Inoltre
,
a
questo
processo
è
stata
data
una
pubblicità
mondiale
che
non
può
non
influenzare
il
giudizio
:
per
la
stampa
mondiale
la
condanna
dell
'
imputato
è
già
pronunciata
.
La
Corte
-
prosegue
Servatius
-
è
incompetente
a
giudicare
un
cittadino
straniero
come
Eichmann
:
solo
la
giustizia
dello
Stato
tedesco
,
erede
dello
Stato
al
cui
servizio
era
l
'
imputato
,
può
giudicarlo
.
È
poi
evidente
-
e
la
difesa
si
ripromette
di
darne
la
prova
-
che
l
'
imputato
è
stato
rapito
e
condotto
a
forza
in
Israele
.
La
lettera
in
cui
dice
di
essere
spontaneamente
venuto
a
questo
giudizio
gli
è
stata
estorta
,
e
anche
di
ciò
la
difesa
darà
la
prova
.
Servatius
conclude
le
sue
obiezioni
invitando
la
Corte
a
riconoscere
la
sua
incompetenza
e
ad
accettare
la
legittima
suspicione
che
infirmerebbe
il
suo
giudizio
.
Gli
risponde
con
tagliente
ironia
il
procuratore
generale
,
Hausner
:
se
la
difesa
dell
'
imputato
cerca
giudici
di
serenità
e
distacco
di
fronte
a
un
delitto
come
il
genocidio
,
è
da
temere
che
non
li
troverà
né
in
questo
né
in
un
altro
pianeta
.
Il
popolo
di
Israele
,
atrocemente
colpito
dai
delitti
nazisti
,
ha
pieno
diritto
di
giudicare
í
colpevoli
nazisti
.
La
dichiarazione
scritta
dell
'
imputato
fu
rilasciata
spontaneamente
.
Nulla
vieta
alla
giustizia
di
proseguire
il
suo
corso
.
Alle
13
l
'
udienza
viene
sospesa
per
proseguire
alle
16.30
.
L
'
udienza
pomeridiana
si
inizia
alle
17
.
Eichmann
,
attendendo
l
'
ingresso
della
Corte
,
ha
scritto
un
biglietto
che
ha
consegnato
al
suo
difensore
Servatius
.
Egli
appare
,
come
stamane
,
calmo
e
attento
.
Ogni
tanto
tira
fuori
da
una
tasca
interna
della
giacca
un
fazzoletto
bianco
,
si
asciuga
le
labbra
e
il
mento
,
e
poi
lo
ripiega
con
cura
.
Il
presidente
invita
il
procuratore
a
concludere
la
sua
risposta
alle
obiezioni
della
difesa
.
«
La
difesa
»
dice
il
procuratore
«
sostiene
che
questo
processo
ha
,
come
premessa
,
un
rapimento
,
cioè
un
atto
illegale
.
E
ne
deduce
che
anche
il
processo
è
illegale
.
Come
dimostra
un
'
ampia
casistica
,
questa
deduzione
è
già
stata
respinta
dalle
Corti
supreme
di
molte
nazioni
civili
.
Anche
ammessa
la
colpa
di
Israele
nel
rapimento
di
Eichmann
non
viene
meno
íl
diritto
di
Israele
,
una
volta
che
Eichmann
è
nel
suo
territorio
,
a
giudicarlo
.
Io
dico
che
è
del
tutto
irrilevante
stabilire
in
quali
circostanze
Eichmann
fu
condotto
in
Israele
.
L
'
unica
cosa
importante
per
Israele
è
di
giudicarlo
per
i
milioni
di
ebrei
che
ha
sterminato
nei
180
campi
di
concentramento
organizzati
dalla
Germania
nazista
.
Per
questa
Germania
egli
non
fu
,
come
sostiene
il
suo
avvocato
,
un
funzionario
di
second
'
ordine
.
In
questa
Germania
egli
ebbe
il
compito
,
come
dimostreremo
,
di
"
liquidare
"
gli
ebrei
ed
altri
popoli
"
inferiori
"
.
Quanto
alla
colpa
di
Israele
,
per
ciò
che
si
riferisce
al
rapimento
di
Eichmann
,
ricordo
a
questa
Corte
,
che
Israele
ha
già
risolto
la
questione
con
l
'
Argentina
mediante
trattative
diplomatiche
.
Un
documento
pubblicato
a
Gerusalemme
e
a
Buenos
Aires
,
da
entrambe
le
parti
,
afferma
che
il
"
caso
Eichmann
"
è
considerato
chiuso
.
L
'
udienza
è
rinviata
a
domattina
alle
9.»
StampaQuotidiana ,
Berlino
,
16
agosto
-
Qui
a
Berlino
,
pioggia
,
freddo
e
reticolati
:
Ferragosto
livido
e
ore
cariche
di
ansia
.
I
tedeschi
-
est
(
due
divisioni
corazzate
sovietiche
si
sono
avvicinate
durante
la
notte
alla
città
)
continuano
a
rafforzare
il
blocco
,
alzano
lastroni
di
cemento
dietro
il
filo
spinato
,
come
se
la
chiusura
della
città
dovesse
diventare
definitiva
.
In
pratica
,
nessuno
può
ormai
raggiungere
legalmente
l
'
Occidente
.
I
treni
che
viaggiano
dalla
Repubblica
democratica
alla
Repubblica
federale
vengono
fermati
sulla
linea
di
demarcazione
;
anche
se
hanno
il
permesso
,
i
cittadini
della
zona
sovietica
vengono
fatti
scendere
.
Intanto
le
grandi
Potenze
occidentali
tacciono
,
la
nota
di
protesta
dei
comandi
alleati
appare
debole
anche
nella
forma
.
Berlino
non
è
mai
stata
così
«
insulare
»
.
Solo
sedici
persone
nelle
ultime
ventiquattr
'
ore
sono
riuscite
a
passare
nella
Berlino
occidentale
:
alcune
a
nuoto
per
canali
che
attraversano
la
città
,
alcune
,
come
un
soldato
,
saltando
i
rotoli
di
filo
spinato
.
Ma
ora
í
militi
comunisti
hanno
ricevuto
l
'
ordine
di
sparare
sui
fuggiaschi
;
adesso
la
porta
sembra
davvero
sprangata
.
Degli
83
passaggi
per
cui
fluiva
la
vita
della
grande
città
ne
sono
rimasti
aperti
praticamente
solo
tre
.
Ho
provato
stamane
quello
della
Wollankstrasse
:
i
militi
comunisti
,
prima
di
lasciarmi
passare
,
nonostante
il
passaporto
straniero
,
hanno
voluto
telefonare
a
un
loro
comando
.
Si
capisce
che
la
promessa
di
libero
transito
,
per
i
berlinesi
occidentali
che
siano
«
pacifici
cittadini
»
,
è
un
impegno
quanto
mai
vago
;
certo
che
i
berlinesi
occidentali
non
sembrano
disposti
ad
approfittarne
,
e
le
comunicazioni
fra
le
due
città
appaiono
congelate
.
Città
insulare
,
la
Berlino
occidentale
ha
bisogno
in
queste
ore
di
una
voce
che
sappia
confortarla
e
guidarla
.
Quella
del
cancelliere
Adenauer
è
lontana
e
stonata
:
anche
in
quest
'
ora
drammatica
non
rinuncia
alle
polemiche
elettorali
.
Resta
la
voce
del
borgomastro
Willy
Brandt
,
non
un
uomo
di
genio
,
ma
un
uomo
di
coraggio
.
Alle
16
duecentomila
berlinesi
si
adunano
nella
Rudolf
Wilde
Platz
:
piove
a
folate
,
schiarite
per
pochi
minuti
e
poi
altre
nubi
nere
vengono
a
sfilacciarsi
fra
queste
case
di
vetro
e
di
cemento
.
La
folla
è
ordinata
dietro
i
cartelli
delle
fabbriche
e
dei
sindacati
.
Leggo
alcuni
patetici
motti
:
«
Con
la
carta
stampata
non
si
resiste
ai
carri
armati
»
,
«
Sono
trascorse
novanta
ore
e
l
'
Occidente
non
ci
ha
rivolto
nessuna
parola
»
,
«
Dove
sono
le
garanzie
?
Le
promesse
sono
solo
promesse
?
»
.
Continuando
ad
arrivare
gente
,
l
'
assembramento
si
inspessisce
,
qualcuno
nella
calca
sviene
,
passano
rapide
fra
ululii
di
sirene
le
autoambulanze
.
Durante
le
schiarite
le
facciate
delle
case
sono
di
un
bianco
squallido
,
alla
Utrillo
,
e
i
visi
di
un
colore
marrone
scialbo
.
Poi
con
la
pioggia
tutto
si
perde
nel
grigio
.
La
voce
del
borgomastro
è
rauca
e
commossa
.
«
Il
padrone
rosso
»
esordisce
«
ha
allentato
di
un
anello
la
catena
al
cane
Ulbricht
e
gli
ha
permesso
di
mandare
i
carri
armati
a
Berlino
.
Noi
siamo
qui
per
dire
al
cane
Ulbricht
che
difenderemo
la
nostra
libertà
e
la
nostra
indipendenza
.
Questo
raduno
deve
dimostrare
al
mondo
che
noi
non
abbiamo
rinunciato
alla
libertà
e
all
'
unità
del
popolo
tedesco
»
.
«
In
queste
ore
tristissime
»
prosegue
il
borgomastro
«
molti
nostri
fratelli
arruolati
loro
malgrado
nella
milizia
comunista
sono
costretti
a
rivolgere
le
armi
contro
i
loro
concittadini
.
Fratelli
di
Berlino
-
Est
,
noi
facciamo
appello
alla
vostra
coscienza
:
non
sparate
in
nessuna
occasione
contro
chi
è
del
vostro
stesso
popolo
,
evitate
,
come
noi
vogliamo
evitarla
,
una
guerra
fratricida
»
.
Brandt
ha
in
seguito
annunciato
le
prime
misure
prese
dal
Senato
della
città
come
rappresaglia
al
blocco
comunista
;
la
soppressione
del
giornale
comunista
«
Warheit
»
;
l
'
espulsione
dei
corrispondenti
tedeschi
-
est
;
la
soppressione
del
conguaglio
pagato
dai
berlinesi
occidentali
che
ancora
lavorano
nel
settore
comunista
.
Ha
detto
pure
che
i
comandi
militari
alleati
«
considerano
con
favore
la
sua
proposta
di
assumere
l
'
amministrazione
della
ferrovia
sopraelevata
del
settore
occidentale
;
amministrazione
fino
ad
ora
tenuta
dai
sovietici
»
.
(
Ma
le
autorità
tedesche
-
est
hanno
prontamente
risposto
che
questo
gesto
«
condurrebbe
inevitabilmente
al
blocco
di
Berlino
-
Ovest
»
)
.
Ovviamente
non
sono
queste
misure
poliziesco
-
amministrative
che
possono
bloccare
le
ansie
e
le
aspettative
dei
duecentomila
adunati
sulla
piazza
e
dei
milioni
in
ascolto
di
qua
e
di
là
dei
reticolati
.
E
Willy
Brandt
viene
agli
argomenti
di
fondo
,
alle
iniziative
politico
-
militari
.
Comunica
la
notizia
della
visita
del
generale
Clarke
a
Berlino
(
una
visita
-
lampo
:
il
comandante
delle
Forze
americane
in
Europa
si
è
incontrato
con
Brandt
e
ha
compiuto
una
rapida
ispezione
ai
reparti
)
;
poi
dice
:
«
Ho
mostrato
a
Clarke
la
sopraffazione
commessa
dai
comunisti
,
gli
ho
fatto
vedere
le
violazioni
patenti
che
commettono
ad
ogni
ora
,
ad
ogni
minuto
.
Egli
sa
qual
è
la
situazione
.
Poi
ho
scritto
una
lettera
al
presidente
Kennedy
.
Gli
ho
detto
a
nome
vostro
che
Berlino
non
può
più
accontentarsi
di
incoraggiamenti
e
di
note
di
protesta
,
gli
ho
detto
che
Berlino
ha
bisogno
di
un
preciso
impegno
politico
.
Siamo
arrivati
al
punto
in
cui
non
si
può
arretrare
.
Noi
berlinesi
vogliamo
la
pace
,
ma
non
capitoleremo
mai
.
Il
Senato
della
città
ha
deciso
di
investire
del
problema
berlinese
le
Nazioni
Unite
.
Intanto
noi
invitiamo
i
rappresentanti
di
tutte
le
Nazioni
del
mondo
qui
a
Berlino
.
Vengano
e
vedano
con
i
loro
occhi
che
cosa
significa
per
i
comunisti
il
rispetto
dei
trattati
e
del
diritto
.
»
«
Certo
sarebbe
stato
bello
e
lo
sarebbe
se
il
Parlamento
federale
scegliesse
questa
occasione
per
riunirsi
a
Berlino
»
ha
proseguito
Brandt
.
«
La
prudenza
che
lo
ha
trattenuto
finora
dal
farlo
a
quanto
pare
non
è
stata
premiata
.
Se
la
situazione
non
muterà
,
la
Germania
federale
dovrà
prendere
gravi
misure
contro
la
Germania
di
Pankow
:
interrompere
ogni
rapporto
culturale
,
rifiutare
ogni
invito
alla
Fiera
di
Lipsia
.
Se
ci
sono
degli
uomini
d
'
affari
che
in
questa
congiuntura
vogliono
far
denari
coi
nostri
aguzzini
vadano
pure
a
Lipsia
:
ma
non
facciano
più
ritorno
»
.
«
È
giunto
»
ha
concluso
Brandt
«
il
momento
della
decisione
.
Ciascun
uomo
libero
si
renda
conto
che
qui
non
si
gioca
solo
il
destino
di
Berlino
,
ma
anche
il
suo
destino
.
Non
bisogna
più
mollare
di
un
pollice
.
Noi
siamo
pronti
a
resistere
anche
da
soli
.
»
Il
borgomastro
Brandt
aveva
appena
finito
di
parlare
e
già
la
radio
comunista
commentava
in
modo
sarcastico
il
discorso
.
«
Le
proteste
degli
alleati
e
i
fieri
propositi
del
borgomastro
hanno
il
peso
di
questo
foglietto
»
diceva
uno
speaker
della
televisione
sorridendo
e
agitando
un
pezzo
di
carta
.
Alle
minacce
di
sanzioni
economiche
(
lo
scambio
di
merci
raggiunge
una
cifra
di
due
miliardi
e
ottocento
milioni
di
marchi
)
le
autorità
comuniste
hanno
già
risposto
con
la
minaccia
di
un
blocco
totale
di
Berlino
.
Esse
concederebbero
il
passaggio
solo
ai
rifornimenti
destinati
alle
truppe
alleate
e
con
il
pretesto
della
«
sospensione
dei
rapporti
economici
»
bloccherebbero
anche
quelli
destinati
alla
popolazione
civile
.
Ma
a
questo
punto
il
litigio
fra
i
tedeschi
(
questo
assurdo
litigio
fra
nemici
,
non
si
sa
se
veri
o
simulati
)
può
durare
all
'
infinito
e
non
risolvere
nulla
.
La
verità
è
che
a
questo
punto
la
decisione
spetta
alle
due
superpotenze
,
all
'
America
e
alla
Russia
.
Solo
esse
nei
prossimi
giorni
possono
dirci
se
ancora
è
possibile
l
'
accordo
.
StampaQuotidiana ,
Fare
soldi
,
per
fare
soldi
,
per
fare
soldi
:
se
esistono
altre
prospettive
,
chiedo
scusa
,
non
le
ho
viste
.
Di
abitanti
cinquantasettemila
,
di
operai
venticinquemila
,
di
milionari
a
battaglioni
affiancati
,
di
librerie
neanche
una
.
Non
volevo
crederci
.
Poi
mi
hanno
spiegato
che
ce
n
'
era
una
,
in
via
del
Popolo
:
se
capitava
un
cliente
,
forestiero
,
il
libraio
lo
sogguardava
,
con
diffidente
stupore
.
Chiusa
per
fallimento
,
da
più
di
un
anno
.
Diciamo
che
il
leggere
non
si
concilia
con
il
correre
e
qui
,
sotto
la
nebbia
che
esala
dal
Ticino
,
è
un
correre
continuo
e
affannoso
.
Tribù
fameliche
giungono
dalle
province
venete
e
dalla
Calabria
;
sui
prati
che
videro
galoppare
i
falconieri
di
Francesco
Sforza
sorgono
,
nel
consueto
disordine
,
baracche
,
villette
e
condomini
;
negli
invasi
delle
risaie
crescono
i
pioppi
di
pelle
bianca
e
va
spegnendosi
il
grido
del
sorvegliante
«
pianté
ben
tosann
»
.
Ora
anche
i
braccianti
della
Lomellina
si
inurbano
in
questa
Vigevano
dove
i
contadini
possono
diventare
ciabattini
e
i
ciabattini
industriali
nel
volgere
di
poche
settimane
.
Avanti
popolo
,
la
ricchezza
è
a
portata
di
mano
,
di
fallimento
non
si
muore
e
se
va
bene
va
bene
,
il
denaro
circola
,
il
disoccupato
manca
,
le
boutiques
,
i
negozi
di
primizie
,
i
fiorai
sono
gli
stessi
di
via
Montenapoleone
e
più
cari
,
gli
elettrodomestici
e
le
automobili
si
vendono
che
è
un
piacere
.
«
Ma
dice
sul
serio
?
Non
c
'
è
neanche
una
libreria
?
»
«
Dico
sul
serio
,
non
c
'
è
»
.
«
Vorrebbe
sostenere
che
a
Vigevano
è
impossibile
acquistare
un
libro
?
»
«
Non
ho
detto
questo
.
A
Vigevano
ci
sono
molte
cartolibrerie
.
Potete
trovarci
tutti
i
libri
mastri
che
volete
.
E
La
monaca
di
Monza
del
Mazzucchelli
,
se
non
è
esaurito
»
.
«
Via
,
la
smetta
con
i
paradossi
.
Dica
piuttosto
,
sinceramente
,
che
impressione
le
ha
fatto
questa
provincia
toccata
dal
miracolo
economico
»
.
Io
lo
dico
.
Dico
un
miracolo
vero
,
per
intervento
soprannaturale
.
Togliete
Dio
,
il
demonio
o
un
'
altra
presenza
metafisica
e
spiegatemi
,
se
siete
capaci
,
questo
rigoglio
economico
sbocciato
fra
il
disordine
,
il
dilettantismo
,
il
rifiuto
di
ogni
regola
associativa
.
Se
non
c
'
è
stata
una
Pentecoste
,
chi
ha
infiammato
questi
rappresentanti
di
commercio
,
meno
che
monoglotti
,
alla
conquista
dei
mercati
mondiali
per
le
italian
shoes
?
Se
non
c
'
è
stata
l
'
illuminazione
di
uno
spirito
santo
,
chi
consentirebbe
al
mio
interlocutore
,
appena
alfabeta
,
di
sentenziare
con
sicurezza
:
«
A
me
se
mi
chiudono
il
Congo
me
ne
sbatto
.
Io
ti
penetro
in
Birmania
e
aumento
le
vendite
»
?
Commerci
misteriosi
per
una
misteriosa
industria
.
Che
a
Vigevano
si
producano
scarpe
lo
sanno
tutti
,
ma
quante
siano
le
fabbriche
e
i
fabbricanti
,
di
preciso
,
non
lo
sa
nessuno
:
solo
un
terzo
degli
operai
è
controllato
dai
sindacati
,
neppure
un
quarto
degli
industriali
dalla
loro
associazione
.
Credeteci
o
meno
,
ma
l
'
unico
elenco
degli
industriali
che
esista
è
quello
telefonico
.
A
fidarcisi
potremmo
dire
che
i
fabbricanti
di
scarpe
piccoli
e
grossi
,
con
almeno
dieci
operai
,
sono
più
di
novecento
.
Ma
non
ci
si
può
fidare
,
nello
spazio
di
un
anno
un
centinaio
almeno
hanno
fatto
fallimento
o
hanno
cambiato
genere
e
va
a
sapere
quanti
li
hanno
sostituiti
.
Non
più
di
quattro
o
cinque
aziende
sono
guidate
da
criteri
industriali
.
Il
resto
si
regge
sul
lavoro
furibondo
,
sull
'
intuito
commerciale
,
su
un
ottimismo
indomabile
.
Una
borghesia
in
formazione
,
dinamica
,
laboriosa
e
audace
quanto
zotica
,
eterogenea
e
,
per
certi
aspetti
,
miope
,
conduce
la
confusa
battaglia
.
I
«
padroncini
»
si
strappano
gli
operai
specializzati
,
riempiono
di
CERCASI
ESPERTO
le
colonne
della
pubblicità
,
ma
guai
a
parlargli
di
un
qualsiasi
contributo
alla
istruzione
professionale
.
Due
anni
fa
l
'
assessore
all
'
istruzione
pubblica
ottenne
dalla
prefettura
di
Pavia
la
creazione
di
una
scuola
per
segretari
di
azienda
,
contabili
,
corrispondenti
in
lingue
estere
.
Allora
chiese
agli
industriali
un
contributo
di
due
milioni
.
«
Ma
l
'
è
matt
,
lu
!
»
gli
dissero
.
Qui
,
per
l
'
amministrazione
aziendale
,
basta
e
cresce
la
«
signorina
»
che
ha
fatto
l
'
avviamento
.
Se
qualcuno
assume
un
ragioniere
dà
scandalo
,
lo
aspettano
al
caffè
Commercio
per
dirgli
:
«
Un
ragiunier
in
te
n
'
ufficina
!
Ma
chi
te
credes
d
'
es
diventaa
?
»
.
Quando
si
trattò
di
istituire
un
corso
per
orlatrici
il
Necchi
di
Pavia
mise
subito
le
macchine
a
disposizione
,
ma
quelli
di
Vigevano
neanche
una
lira
,
sicché
le
orlatrici
,
adesso
,
se
le
tirano
su
in
fabbrica
rimettendoci
il
quadruplo
o
il
quintuplo
.
E
non
parliamo
delle
cooperative
edilizie
contribuendo
alle
quali
avrebbero
dato
una
casa
ai
loro
operai
.
Su
mille
e
passa
aziende
una
sola
ci
ha
pensato
.
Si
dirà
che
Vigevano
fa
storia
a
sé
.
Può
darsi
,
ma
ho
la
vaga
impressione
che
nella
provincia
italiana
toccata
dal
miracolo
la
piccola
industria
sia
in
gran
parte
così
,
avventura
e
improvvisazione
.
Di
certo
essa
sta
mettendo
quantità
enormi
di
denaro
nelle
mani
di
neoborghesi
impreparati
a
spenderlo
,
combattuti
fra
il
desiderio
di
mostrarlo
e
quello
di
nasconderlo
,
terrorizzati
al
pensiero
di
perderlo
.
Questi
neoborghesi
ignorano
la
certezza
metafisico
-
aristocratica
di
non
poter
mai
,
in
nessun
caso
,
vivere
senza
vantaggio
e
privilegio
,
dalla
quale
i
signori
di
un
tempo
traevano
il
loro
impeccabile
stile
.
Gli
è
pure
sconosciuto
quel
fiducioso
,
illimitato
,
persino
candido
rispetto
per
il
denaro
che
dava
serena
imponenza
al
volto
dei
commendatori
e
cavalieri
ufficiali
.
Il
loro
rapporto
con
il
denaro
è
più
difficile
e
ambiguo
:
un
desiderio
-
vergogna
,
una
avidità
che
non
ama
confessarsi
,
un
continuo
esitare
fra
lo
scialo
pacchiano
e
la
forsennata
conservazione
.
Il
loro
sogno
è
di
sposare
la
figlia
a
un
industriale
figlio
e
nipote
di
industriali
.
Matrimonio
celebrato
da
un
cardinale
,
e
se
proprio
non
si
può
da
un
vescovo
.
Possibilmente
con
il
ministro
Pella
fra
gli
invitati
.
Uno
ci
è
riuscito
sborsando
non
so
quanti
milioni
a
un
'
opera
pia
.
La
sposa
indossava
un
abito
da
mezzo
milione
,
gli
invitati
erano
un
centinaio
e
don
Gianni
Scotti
(
il
fratello
di
don
Beppe
,
generali
e
diplomatici
in
famiglia
,
un
'
antica
famiglia
,
un
po
'
a
corto
di
grano
,
si
sa
)
era
il
maestro
delle
cerimonie
.
Però
tutto
si
è
svolto
a
debita
distanza
da
Vigevano
.
A
Vigevano
prudenza
.
Sono
finiti
i
tempi
in
cui
i
Masseroni
e
i
Crespi
(
del
ramo
scialacquatore
)
spendevano
e
spandevano
in
gioconda
pubblicità
contendendosi
le
ballerine
di
Macario
per
i
balli
di
Carnevale
e
ostruendo
le
strade
con
i
loro
macchinoni
-
cetacei
.
Adesso
tutto
è
cambiato
:
c
'
è
dieci
,
venti
volte
più
denaro
di
allora
,
si
spende
più
di
allora
,
ma
senza
mettersi
in
piazza
.
Certo
qualche
notizia
in
un
modo
o
nell
'
altro
trapela
:
uno
si
è
fatto
una
villa
da
un
miliardo
e
duecento
milioni
con
taverna
,
patio
,
piscina
,
giardino
d
'
inverno
,
colonne
di
Assuan
e
scimmie
destinate
a
broncopolmoniti
letali
;
un
altro
va
a
correre
in
go
-
kart
alle
Bahamas
o
a
Tokio
come
suo
padre
sarebbe
andato
,
in
bicicletta
,
a
Casalpusterlengo
o
a
Sartirana
.
In
una
casa
sono
raccolti
duecento
e
cinquanta
quadri
del
Magnasco
e
di
buoni
maestri
ottocenteschi
(
degli
astrattisti
in
provincia
non
ci
si
fida
)
;
in
un
'
altra
quindici
Fornara
dei
più
importanti
.
Gli
eletti
,
vicini
all
'
olimpo
aristocratico
di
don
Beppe
e
di
don
Gianni
Scotti
,
hanno
mobili
antichi
di
notevole
valore
.
Gli
altri
,
la
maggioranza
,
si
accontentano
di
quel
che
passa
la
Brianza
purché
stracarico
di
marmi
,
dorature
e
cristalli
.
Le
automobili
sono
quattromila
.
Aggiungete
gli
automezzi
ad
uso
industriale
,
le
motociclette
,
gli
scooter
e
scoprirete
una
città
fra
le
più
motorizzate
d
'
Italia
.
La
più
motorizzata
in
fatto
di
Giuliette
più
o
meno
sprint
.
Però
le
grosse
automobili
di
lusso
non
compaiono
.
Restano
lontane
,
come
le
ville
al
mare
o
in
montagna
,
come
i
motoscafi
e
i
panfili
che
navigano
sotto
le
lacere
e
gloriose
bandiere
del
Panama
e
della
Costarica
.
Volendo
,
anche
dal
poco
che
appare
a
Vigevano
,
ci
si
potrebbe
fare
una
idea
di
un
certo
tenore
di
vita
:
signore
che
spendono
in
cure
di
bellezza
,
pettinatrice
e
profumi
,
centomila
lire
al
mese
;
un
abito
al
mese
per
quelle
modeste
,
uno
ogni
tre
giorni
per
le
maniache
.
Ma
in
giro
si
vedono
poco
,
appena
possono
scappano
a
Milano
o
spariscono
per
mesi
a
Cortina
,
a
Rapallo
.
A
Vigevano
restano
i
mariti
per
fare
i
soldi
e
occuparsi
delle
«
relazioni
umane
»
.
Che
sono
in
parte
frutto
di
ipocrisia
,
ma
in
parte
sincere
:
una
certa
modestia
popolaresca
non
dispiace
a
questi
ruvidi
self
made
men
.
Se
a
Milano
,
per
esempio
,
ti
seguono
il
Loi
dalle
sedie
di
ring
a
Vigevano
li
trovi
anche
nei
popolari
.
Modesti
a
Vigevano
!
La
pubblicità
che
può
fargli
comodo
a
Londra
o
a
Düsseldorf
,
nella
loro
vecchia
città
la
evitano
.
Capita
il
tipo
che
fa
il
numero
unico
per
la
festa
patronale
,
gli
rifilano
un
diecimila
,
ma
a
patto
che
non
li
nomini
:
«
Sai
com
'
è
,
preferisco
non
mettermi
in
piazza
»
.
E
ogni
sera
eccoli
al
caffè
Commercio
o
al
Centrale
per
offrire
e
farsi
offrire
un
moka
dal
fratello
rimasto
povero
o
dal
compagno
delle
elementari
rimasto
operaio
:
le
vecchie
amicizie
resistono
alla
lotta
di
classe
,
c
'
è
posto
per
tutti
nel
pentolone
dialettale
-
paternalistico
,
e
poi
la
provincia
offre
vantaggi
non
trascurabili
.
Le
case
sono
a
buon
mercato
,
il
terreno
non
supera
al
centro
le
trenta
,
trenta
-
cinquemila
al
metro
quadrato
,
roba
da
ridere
se
pensi
a
Milano
.
La
vita
sociale
non
ti
obbliga
a
grandi
spese
:
con
quarantottomila
annui
ti
iscrivi
al
club
Sport
,
il
più
caro
,
se
no
vai
al
Cai
dove
bastano
tremila
lire
.
E
poi
,
scusate
se
è
poco
,
in
fatto
di
tasse
si
ragiona
.
Sapete
,
in
provincia
,
nella
provincia
l
'
economia
ha
leggi
sue
particolari
.
Nel
1961
l
'
iniziativa
privata
ha
messo
in
cantiere
,
a
Vigevano
,
un
migliaio
di
edifici
per
un
valore
che
non
dovrebbe
essere
lontano
dai
trenta
miliardi
.
Nello
stesso
periodo
l
'
industria
calzaturiera
ha
prodotto
un
terzo
delle
scarpe
italiane
e
un
quarto
di
quelle
esportate
:
diciamo
trenta
milioni
di
paia
per
un
fatturato
sui
cento
miliardi
.
Gli
affari
sono
andati
a
gonfie
vele
per
le
industrie
cartotecniche
,
della
gomma
,
del
legno
.
Non
è
il
denaro
che
manca
in
una
città
dove
,
nello
spazio
di
tre
anni
,
sono
sorte
centosessanta
officine
meccaniche
che
producono
macchine
utensili
.
Le
aziende
commerciali
sono
millequattrocento
:
per
restare
ai
negozi
ce
ne
saranno
almeno
quaranta
al
livello
della
Milano
ricca
.
E
non
parlo
dei
professionisti
numerosi
e
,
mi
si
dice
,
floridi
.
Ebbene
,
se
voi
credete
che
la
montagna
dei
capitali
produca
redditi
adeguati
vi
sbagliate
.
Altrove
i
redditi
industriali
saranno
del
dieci
,
del
venti
per
cento
,
qui
neppure
dell
'
uno
.
Si
vede
che
interi
carichi
di
scarpe
colano
a
picco
nel
tempestoso
oceano
,
forse
migliaia
di
macchine
utensili
vengono
travolte
dalle
piene
del
Ticino
,
non
è
escluso
che
commerci
e
libere
professioni
si
basino
su
un
vorticoso
scambio
di
assegni
a
vuoto
.
Sicché
vi
tocca
leggere
nel
ruolo
delle
imposte
comunali
questo
povero
elenco
:
solo
quattordici
contribuenti
sopra
i
dieci
milioni
di
imponibile
,
solo
ventisei
dai
cinque
ai
dieci
,
solo
ottantasei
dai
tre
ai
cinque
.
L
'
amministrazione
,
che
è
socialcomunista
,
non
se
ne
lamenta
.
«
Per
otto
anni
»
dice
il
sindaco
,
«
l
'
imposta
di
famiglia
non
venne
toccata
.
Negli
ultimi
tre
siamo
passati
da
centosessanta
a
duecento
milioni
di
introiti
.
»
Mentre
il
signor
sindaco
mi
raccontava
queste
piacevolezze
io
pensavo
,
quasi
commosso
,
al
professor
Northcote
Parkinson
.
Lui
vive
nel
timore
che
le
tasse
«
riducendo
il
numero
dei
ricchi
facciano
gravare
tutto
il
peso
fiscale
sui
poveri
»
.
Quasi
quasi
gli
consiglio
di
passare
le
ferie
a
Vigevano
:
il
clima
non
è
dei
migliori
ma
il
regime
tributario
può
confortarlo
.
Dimenticavo
di
precisare
che
l
'
amministrazione
era
socialcomunista
anche
negli
otto
anni
di
tregua
fiscale
.
Forse
l
'
Italia
sognata
dai
neoborghesi
è
spartita
così
:
tutti
i
municipi
ai
rossi
,
tutti
i
seggi
parlamentari
ai
neri
.
Sindaci
di
sinistra
,
onesti
,
nemici
delle
bustarelle
;
e
per
ciascuno
un
deputato
angelo
custode
che
gli
impedisca
qualsiasi
mattana
,
vedi
pagamento
delle
tasse
.
A
Vigevano
il
sogno
dei
possidenti
si
è
quasi
avverato
:
se
gli
amministratori
falce
e
martello
li
tassano
ricorrono
in
alto
e
ottengono
rapida
giustizia
.
Se
li
minacciano
di
gabelle
replicano
sdegnati
:
«
Se
è
così
mi
trasferisco
altrove
con
la
fabbrica
»
.
A
Vigevano
si
è
arrivati
a
questo
:
avendo
un
grande
industriale
deciso
di
spostare
la
sua
azienda
a
Mortara
,
qualcuno
dell
'
amministrazione
gli
ha
fatto
chiedere
se
,
per
caso
,
non
era
scontento
delle
imposte
.
Al
che
il
valentuomo
ha
avuto
la
bontà
di
rispondere
che
no
,
che
le
tasse
non
c
'
entravano
,
che
era
proprio
soddisfatto
dei
suoi
cari
amministratori
frontisti
.
Pare
che
in
Inghilterra
e
in
America
,
paesi
di
ferrea
disciplina
fiscale
,
ci
siano
degli
esteti
scontenti
:
detestano
il
livellamento
dei
gusti
conseguente
al
livellamento
dei
redditi
,
aborrono
dalla
grigia
civiltà
suburbana
che
si
va
formando
.
Però
questi
non
li
inviterei
a
Vigevano
come
il
professor
Northcote
.
Potrebbero
scoprire
che
in
fatto
di
gusto
e
di
cultura
la
liberissima
Vigevano
è
peggio
che
andar
di
notte
.
A
Vigevano
,
credetemi
,
la
noia
è
grande
.
Una
delle
città
più
ricche
d
'
Italia
,
quanto
a
denaro
,
è
fra
le
più
povere
quanto
a
vita
intellettuale
e
sociale
.
La
torre
del
Bramante
,
la
piazza
gioiello
ispirata
ai
cartoni
di
Leonardo
,
la
mole
del
castello
,
le
splendide
chiese
sono
le
testimonianze
di
un
antico
fervore
intellettuale
naufragato
e
spentosi
sulle
rive
nebbiose
del
Ticino
.
Mille
fabbriche
e
nessuna
libreria
,
nessun
circolo
culturale
,
nessuno
spettacolo
teatrale
decente
.
La
stagione
lirica
dura
tre
giorni
,
lo
spettacolo
che
ha
avuto
maggior
successo
è
stato
quello
della
«
Wilmissima
»
,
la
famosa
concittadina
,
la
cantante
De
Angelis
.
Ho
letto
un
resoconto
di
quella
memorabile
serata
sul
foglio
locale
a
maggior
diffusione
.
C
'
era
anche
un
editoriale
intitolato
:
Più
rigatoni
e
meno
megatoni
.
È
un
corsivo
sui
carabinieri
«
che
montano
la
guardia
anche
la
notte
di
Natale
sotto
la
neve
che
è
fredda
»
.
Seguivano
pettegolezzi
e
facezie
municipali
.
Quando
mi
hanno
detto
che
se
ne
vendono
ottomila
copie
,
che
è
letto
cioè
dall
'
intera
cittadinanza
,
ho
avuto
un
attimo
di
vertigine
.
La
vita
politica
non
è
quel
che
si
dice
turbinosa
:
cento
iscritti
alla
DC
e
poche
decine
al
Partito
liberale
dimostrano
il
tiepido
interesse
della
classe
dirigente
tutta
presa
,
come
si
è
detto
,
dalla
incessante
bisogna
di
fare
soldi
per
fare
soldi
e
ancora
soldi
.
I
soldi
,
tanto
per
essere
chiari
,
piacciono
a
tutti
,
anche
al
sottoscritto
.
Che
la
neoborghesia
di
Vigevano
e
della
provincia
italiana
in
genere
si
dia
da
fare
per
arraffarne
la
maggior
quantità
possibile
mi
sembra
,
se
non
cristianamente
esemplare
,
umanamente
normale
.
Meno
comprensibile
è
l
'
esclusivismo
,
la
cecità
di
questa
corsa
al
benessere
,
il
non
preoccuparsi
di
ciò
che
significa
,
dei
doveri
che
impone
,
delle
previdenze
che
esige
.
Sembra
incredibile
che
un
ceto
così
ricco
di
fiuto
merceologico
,
di
attaccamento
al
lavoro
,
di
ardimento
commerciale
,
di
gusto
manufatturiero
non
riesca
a
capire
che
una
società
,
la
società
in
cui
vive
,
non
può
continuare
senza
un
solido
assetto
sociale
,
senza
interessi
ed
iniziative
intellettuali
,
senza
un
ordine
.
In
altre
parole
senza
una
civiltà
che
non
sia
quella
pura
e
semplice
dei
consumi
.
StampaQuotidiana ,
Nuova
York
,
18
aprile
-
La
notte
italiana
del
Madison
resta
nella
memoria
con
tenebre
e
luci
accecanti
,
con
violenza
e
gloria
.
Notte
generosa
in
cui
tutti
hanno
bruciato
ciò
che
avevano
:
bellezza
atletica
e
volgarità
,
lacrime
,
urli
,
esaltazione
,
angosce
,
furori
e
quel
nome
scandito
Nino
Nino
.
Ha
detto
bene
il
«
Daily
News
»
:
«
È
stato
il
più
bel
combattimento
visto
"
in
a
long
long
time
"
»
.
Ora
il
problema
è
quello
di
ogni
storico
,
raccontare
il
passato
come
se
fosse
un
presente
aperto
e
incerto
.
Proviamoci
.
Dunque
,
sono
le
ventidue
di
lunedì
17
aprile
e
sul
ring
del
Madison
sfilano
le
vecchie
glorie
,
il
Sugar
Ray
Robinson
,
magro
,
bello
,
amato
da
donne
che
hanno
diamanti
sulla
pelle
nera
e
abiti
rosa
e
turchese
,
il
Rocky
Marciano
,
birraio
ingrassato
,
e
il
Joe
Louis
,
possente
e
melanconico
.
Il
Madison
è
un
'
arca
pugilistica
che
naviga
sul
diluvio
di
Nuova
York
e
dentro
ci
sono
tutte
le
specie
della
nobile
e
decaduta
arte
,
i
giudici
dal
cranio
lucido
e
dal
naso
schiacciato
,
che
stanno
in
camicia
bianca
e
farfalla
blu
,
nella
prima
fila
,
i
poliziotti
mansueti
,
i
secondi
trasognati
,
i
miliardari
con
i
grandi
sigari
verdi
,
i
radiocronisti
con
il
cappelluccio
a
quadretti
,
i
venditori
di
coca
-
cola
con
il
prezzo
scritto
sul
cappello
di
carta
,
i
fotografi
dai
capelli
rossi
.
Le
sedie
,
i
tavolini
della
stampa
,
i
paletti
del
ring
hanno
il
colore
del
vecchio
Madison
,
quel
marrone
scurito
dal
sudicio
e
levigato
dal
tempo
.
La
luce
del
ring
illumina
la
sala
fino
alla
balaustra
della
prima
galleria
,
fino
all
'
orologio
color
avorio
che
segna
il
tempo
dei
rounds
,
più
su
c
'
è
la
penombra
densa
di
folla
dove
lampeggiano
luci
rosse
e
azzurre
.
Stasera
il
Madison
è
italiano
o
italo
-
americano
.
In
platea
è
pieno
di
bandierine
tricolori
,
la
galleria
si
denuncia
con
il
boato
che
accoglie
Benvenuti
,
la
sua
vestaglia
dorata
,
i
capelli
scomposti
,
il
seguito
trepido
di
allenatori
e
parenti
.
Mentre
Nino
sale
sul
ring
,
due
pazzarielli
corrono
per
le
file
di
platea
innalzando
uno
striscione
che
inneggia
al
nostro
e
siccome
gran
parte
del
pubblico
si
alza
in
piedi
,
il
gran
cerimoniere
della
serata
che
sta
sul
ring
in
abito
da
sera
afferra
il
microfono
e
avverte
«
Ladies
and
Gentlemen
,
neh
assettatevi
guaglioni
»
.
Il
mio
vicino
è
un
giornalista
negro
,
di
mezza
età
,
che
porta
alla
mano
sinistra
una
gran
pietra
viola
.
Mi
guarda
melanconico
,
io
gli
sorrido
,
abbiamo
stabilito
tacitamente
un
patto
di
neutralità
.
Ora
osservo
con
calma
la
gente
esagitata
,
attorno
al
ring
,
e
la
noto
:
c
'
è
una
donna
in
abito
verde
dal
viso
lungo
e
inclinato
,
come
le
donne
di
Modigliani
.
Resterà
tutta
la
sera
così
,
fredda
e
lontana
,
nella
tempesta
.
Griffith
sale
sul
ring
chiuso
in
un
accappatoio
bianco
monacale
,
e
sotto
c
'
è
una
tunica
elegante
su
cui
è
scritto
semplicemente
Emile
.
Ora
entrano
in
scena
,
a
due
passi
da
me
,
i
suoi
fratelli
,
grasso
e
ricciuto
uno
,
magrissimo
e
spiritato
l
'
altro
,
con
portavoce
di
cartone
.
Ma
non
chiamano
Emile
,
chiamano
Nino
,
Nino
con
voci
concitate
febbrili
,
e
se
Nino
si
volge
miagolano
,
ridono
miagolano
,
poi
fanno
gesti
,
abbaiano
,
lo
maledicono
,
gli
mostrano
i
denti
.
La
gente
e
i
poliziotti
li
lasciano
fare
,
la
loro
faziosità
è
scoperta
,
persino
commovente
,
quel
fratello
che
saltella
sul
ring
li
ha
tirati
fuori
dalla
miseria
.
Per
ora
mamma
Griffith
si
riserva
,
lei
sta
buona
e
seduta
.
Enorme
,
con
un
abito
e
un
cappellino
bianco
e
nero
yé
-
yé
,
di
quelli
che
si
vendono
al
Village
.
Udito
da
pochi
passi
,
il
suono
del
gong
è
come
quello
di
una
nave
in
partenza
,
ma
subito
troncato
,
poi
la
goccia
sonora
della
campana
,
i
calzoncini
rossi
di
Nino
che
danzano
sul
ring
,
Emile
chiuso
in
guardia
stretta
,
il
mio
cuore
che
parte
nell
'
emozione
,
ma
non
solo
il
mio
,
il
match
è
subito
stupendo
,
trascinante
.
Il
primo
pugno
a
segno
è
di
Nino
,
un
sinistro
preciso
,
ma
debole
.
Ma
non
è
il
pugno
che
conta
,
conta
il
modo
con
cui
sta
sul
ring
,
sicuro
,
fra
l
'
imperio
e
la
disinvoltura
.
E
dà
subito
,
nettissima
,
l
'
impressione
di
essere
degno
del
combattimento
mondiale
.
Capace
di
resistere
,
magari
di
vincere
,
sciolto
dalle
sue
ansie
,
liberato
dai
suoi
timori
,
il
pubblico
italiano
si
sfoga
nel
grido
ritmato
di
Nino
,
Nino
che
rimbomba
nelle
tenebre
e
sulle
luci
del
Madison
.
Griffith
,
la
pantera
nera
,
chiude
ancora
più
la
guardia
,
ha
occhi
da
animale
inseguito
e
feroce
.
Ed
ecco
il
suo
fulmineo
contrattacco
,
la
scarica
dei
pugni
,
Nino
che
ne
esce
prima
sbalordito
,
poi
sorridente
,
ma
con
segni
rossi
sulle
guance
e
sul
fianco
.
E
già
parte
con
il
sinistro
,
già
spinge
Emile
alle
corde
.
Una
battaglia
senza
tregua
,
sarà
così
dal
principio
alla
fine
.
«
Nino
bene
»
dice
il
giornalista
negro
,
«
ma
un
po
'
lento
con
l
'uppercut.»
«
Emile
mi
sembra
molto
bravo
»
ricambio
io
.
Mamma
Griffith
si
è
alzata
,
viene
fino
al
ring
,
ma
poi
ci
ripensa
,
torna
al
suo
posto
,
non
è
ancora
il
momento
,
lascia
gridare
quegli
stupidi
cattivi
italiani
che
vogliono
togliere
al
suo
Emile
e
a
lei
e
ai
fratelli
questi
anni
buoni
di
abbondanza
e
di
fama
.
Fra
il
secondo
e
il
quarto
round
,
si
consuma
il
dramma
pugilistico
.
La
casualità
di
due
colpi
fortuiti
,
manda
al
tappeto
prima
Griffith
poi
Benvenuti
.
Per
due
volte
il
match
è
sull
'
orlo
di
un
epilogo
ingiusto
,
per
due
volte
questi
atleti
coraggiosi
lo
rifiutano
.
Non
dico
che
l
'
uppercut
destro
di
Nino
ad
Emile
e
il
diretto
destro
di
Emile
a
Nino
fossero
colpi
«
trovati
»
per
combinazione
,
ma
erano
certamente
colpi
aiutati
da
un
imprevedibile
casuale
sbilanciamento
dell
'
avversario
.
Sarebbe
stato
triste
che
lo
scontro
terminasse
così
,
credo
proprio
di
poter
dire
che
i
due
atleti
non
hanno
permesso
che
finisse
così
.
Eccoci
al
secondo
round
,
dopo
una
rapida
schermaglia
Nino
tira
un
uppercut
poco
convinto
,
mentre
è
già
in
movimento
di
disimpegno
e
trova
il
mento
di
Emile
,
sbilanciato
a
sinistra
e
un
po
'
all
'
indietro
.
Emile
non
va
giù
di
schianto
,
ma
si
siede
,
senza
perdere
mai
la
coscienza
.
È
però
stordito
,
sbalordito
,
con
quella
sua
aria
di
cane
bastonato
ingiustamente
.
Lo
contano
,
al
tre
è
già
in
piedi
,
attende
fino
all
'
otto
e
poi
riprende
il
combattimento
affidandosi
al
mestiere
per
sfuggire
alla
furia
di
Nino
che
lo
tempesta
alle
corde
.
La
risposta
di
Emile
è
al
quarto
round
.
Emile
parte
,
come
sa
,
in
un
attacco
frontale
,
spinge
Nino
alle
corde
e
lo
colpisce
con
una
serie
lunga
e
martellante
,
cinque
o
sei
pugni
fulminei
al
corpo
.
Nino
appare
ben
protetto
dalla
guardia
,
è
già
venuto
fuori
indenne
da
altre
sfuriate
così
e
improvvisamente
,
forse
credendo
che
Emile
si
sia
esaurito
,
apre
la
guardia
,
abbassa
il
viso
e
gli
arriva
al
mento
un
ultimo
diritto
di
Emile
.
È
così
sbilanciato
che
gira
su
se
stesso
e
cade
fra
le
due
corde
.
Nello
stordimento
si
appoggia
male
e
scivola
di
nuovo
sul
ginocchio
sinistro
.
Il
nostro
cuore
scoppia
,
non
è
giusto
che
finisca
così
.
Dai
Nino
,
su
Nino
non
deve
finire
così
,
non
è
giusto
che
finisca
così
.
Ora
Nino
si
volta
,
si
alza
e
dalla
maschera
sofferente
vien
fuori
,
a
poco
a
poco
,
quel
sorriso
sfottente
che
può
renderlo
antipatico
quando
l
'
avversario
è
debole
,
quando
fa
il
maramaldo
davanti
a
un
pubblico
e
a
giudici
di
casa
,
ma
che
qui
nella
bolgia
del
Madison
davanti
al
Griffith
già
pronto
a
colpirlo
per
il
conto
totale
,
è
stupenda
fierezza
.
«
Courageous
fighter
»
mormora
un
giornalista
americano
sin
lì
taciturno
.
Sì
,
combattente
coraggioso
e
tenace
e
anche
irridente
nella
sfortuna
.
Il
giudice
che
lo
conta
è
giunto
a
cinque
e
già
Nino
fa
segno
con
una
mano
che
è
pronto
a
ricominciare
.
Non
importa
se
la
pantera
infuriata
lo
trascinerà
a
colpi
,
a
testate
,
a
strattoni
per
tutto
il
ring
,
lui
continuerà
a
sorridere
a
testa
alta
,
anche
se
il
sangue
gli
cola
da
una
ferita
al
naso
e
spruzza
sui
calzoncini
candidi
di
Emile
e
segna
di
macchie
rosse
la
sua
zazzera
nera
sempre
protesa
nel
tentativo
di
graffiare
come
una
dura
spazzola
il
volto
di
Nino
.
Se
Dio
vuole
,
il
gong
,
le
lampadine
rosse
che
si
accendono
sui
paletti
,
i
secondi
che
salgono
sul
ring
come
alla
conquista
di
uno
spalto
con
spugne
,
emostatici
,
acqua
minerale
,
garze
.
Libero
Golinelli
,
l
'
allenatore
,
prende
fra
le
mani
il
volto
di
Nino
e
lo
guarda
come
se
volesse
ipnotizzarlo
e
gli
parla
fitto
sottovoce
,
il
gigantesco
Amaduzzi
,
il
procuratore
,
sta
ritto
in
fronte
a
Griffith
quasi
volesse
fare
scudo
a
Nino
,
Aldo
Spoldi
tace
preoccupato
,
lui
ne
ha
già
visti
troppi
di
italiani
finire
così
la
loro
avventura
americana
.
Alle
mie
spalle
sento
la
voce
di
Giuliana
,
la
moglie
di
Nino
che
lo
chiama
.
Lui
si
volta
e
sorride
,
sfottente
e
spavaldo
,
vada
come
vada
,
mi
batto
,
sembra
dire
.
Bravo
Nino
,
uomo
coraggioso
.
Attento
come
sono
a
Nino
non
mi
sono
accorto
che
mamma
Griffith
è
entrata
in
scena
,
ma
non
importa
,
la
guarderò
bene
nel
riposo
fra
il
quinto
e
il
sesto
round
.
Mamma
Griffith
deve
avere
un
suo
sicuro
istinto
pugilistico
.
Lei
ha
capito
meglio
di
tutti
i
secondi
e
degli
allenatori
che
questo
è
il
momento
decisivo
della
battaglia
,
che
ora
o
mai
più
il
suo
Emile
può
vincere
e
conservare
tutto
ciò
che
Harlem
le
invidia
.
Emile
è
laggiù
nel
suo
angolo
,
ansimante
dopo
il
quinto
round
in
cui
ha
gettato
invano
tutta
la
sua
forza
e
la
sua
scienza
,
e
la
madre
che
è
qui
vicino
a
me
,
dal
lato
opposto
del
ring
lo
chiama
.
Non
per
nome
ma
con
gemiti
e
guaiti
e
intanto
fa
dei
gesti
con
le
mani
come
lo
invocasse
a
sé
e
porta
le
mani
al
suo
gran
petto
come
a
dire
,
«
bambino
mio
vieni
dalla
tua
mamma
,
guarda
la
tua
mamma
che
ti
protegge
,
che
è
qui
per
aiutarti
»
.
I
due
fratelli
di
Emile
non
si
occupano
più
di
Nino
,
forse
sentono
che
le
loro
fatture
non
hanno
avuto
effetto
;
forse
intuiscono
che
l
'
unica
speranza
è
di
raccomandare
il
fratello
agli
spiriti
buoni
delle
Isole
Vergini
,
quegli
spiriti
eterni
che
resistono
ai
missionari
e
alla
civiltà
dei
bianchi
e
all
'
America
.
«
Emile
,
Emile
»
singhiozzano
,
«
Emile
»
.
Se
lui
alza
gli
occhi
a
guardarli
,
partono
in
una
sarabanda
di
suoni
,
di
fischi
,
di
gesti
rituali
,
di
gemiti
,
di
miagolii
,
come
si
fosse
risvegliata
tutta
la
foresta
,
come
se
tutte
le
creature
della
foresta
soffrissero
e
implorassero
la
vittoria
di
Emile
.
«
Nel
sesto
tempo
»
dirà
Nino
,
«
ho
avuto
la
certezza
di
potere
vincere
»
.
Nel
sesto
tempo
noi
spettatori
di
parte
abbiamo
solo
la
certezza
che
Nino
arriverà
alla
fine
delle
quindici
riprese
e
la
speranza
di
vederlo
crescere
.
La
prima
a
capire
che
Nino
sta
salendo
è
ancora
mamma
Griffith
che
sta
in
piedi
anche
durante
il
round
,
incurante
degli
urli
degli
spettatori
a
cui
impedisce
la
vista
e
dei
poliziotti
che
cercano
di
trascinarla
via
.
Adesso
deve
gridare
il
nome
di
Emile
e
rigridarlo
a
voce
bassa
e
dolente
mentre
con
impeto
e
acutezza
crescenti
risuona
lì
accanto
la
voce
fresca
e
gioiosa
di
Giuliana
Benvenuti
che
incoraggia
e
grida
«
Forza
Nino
,
Nino
lascialo
venire
sotto
,
adesso
,
adesso
,
spazzalo
via
,
è
tuo
Nino
,
è
tuo
»
.
No
,
non
è
ancora
suo
questo
Griffith
.
Il
pubblico
italiano
o
italo
-
americano
cede
alla
passione
quando
copre
con
i
suoi
«
uuuuuh
»
di
spregio
e
di
minaccia
i
tentativi
che
Emile
ripete
per
stringere
le
distanze
e
per
evitare
,
con
il
corpo
a
corpo
,
il
sinistro
lungo
di
Nino
che
lo
martella
implacabile
al
viso
,
la
gente
italiana
sbaglia
a
mormorare
irridente
se
Emile
viene
evitato
con
grazia
da
Nino
dopo
una
inutile
sfuriata
,
la
verità
è
che
questo
Griffith
è
un
ottimo
pugile
,
stilisticamente
più
completo
di
Benvenuti
,
capace
di
usare
il
diritto
come
il
montante
in
modo
più
rapido
,
capace
di
colpire
cinque
o
sei
volte
in
una
serie
di
colpi
mentre
Nino
supera
di
rado
l
'
uno
-
due
.
Dove
Nino
gli
è
nettamente
superiore
è
nella
forza
del
pugno
e
,
se
è
lecito
dirlo
,
nella
intelligenza
strategica
del
combattimento
,
in
quel
suo
senso
degli
eventi
che
,
a
un
certo
punto
,
lo
rende
sicuro
di
sé
,
padrone
di
sé
.
Nino
non
è
quell
'
intellettuale
che
hanno
detto
i
cronisti
sportivi
di
qui
abituati
a
pugili
stentatamente
alfabeti
,
ma
è
un
ragazzo
intelligente
che
vede
le
occasioni
e
le
coglie
e
le
sfrutta
.
Per
esempio
con
gli
sguardi
di
sopportazione
superiore
che
dedica
ai
giudici
quando
l
'
avversario
lo
immobilizza
o
con
i
sorrisi
che
sottolineano
i
suoi
periodi
felici
e
fanno
sembrare
tollerabili
quelli
avversi
.
Il
match
corre
sul
filo
della
incertezza
fino
al
decimo
round
,
poi
anche
un
profano
come
chi
scrive
capisce
che
il
gioco
è
fatto
.
Si
è
stabilita
come
una
regola
matematica
che
risolve
ogni
scontro
per
due
a
uno
in
favore
di
Nino
,
il
nostro
colpisce
secco
quasi
sempre
con
il
diritto
sinistro
seguito
dal
montante
destro
,
Emile
raccogliendo
le
forze
parte
al
contrattacco
,
tocca
a
sua
volta
Nino
,
ma
deve
desistere
e
una
serie
di
pugni
centrati
lo
riporta
all
'
inizio
dell
'
amaro
e
reiterato
tema
.
La
vittoria
di
Nino
è
di
una
fattura
chiara
onesta
indiscutibile
,
va
detto
però
senza
alcuna
intenzione
di
insinuare
che
negli
ultimi
rounds
Emile
cede
a
una
rassegnazione
strana
,
soprattutto
per
coloro
che
lo
conoscono
furibondo
e
implacabile
nel
finale
dei
match
.
Eccoci
all
'
ultimo
round
.
Il
viso
di
Nino
è
terso
e
disteso
.
Se
la
medicazione
del
naso
tiene
è
perché
Emile
non
riesce
più
a
colpirlo
.
Dove
sei
mamma
Griffith
?
E
voi
fratelli
Griffith
?
Sono
lì
,
seduti
e
fermi
e
desolati
,
guardano
il
loro
Emile
che
retrocede
,
si
difende
da
quel
bianco
cattivo
venuto
da
un
Paese
chiamato
Italia
a
portargli
via
,
senza
bisogno
,
l
'
agiatezza
e
la
gloria
.
La
vittoria
di
Nino
è
un
canto
di
battaglia
che
sale
nella
gola
della
folla
e
diventa
inno
trionfale
nell
'
attimo
in
cui
il
gong
segna
la
fine
.
Il
verdetto
è
chiaro
,
senza
aspettare
che
i
giudici
lo
pronuncino
.
Nino
si
volta
esultante
alla
folla
a
braccia
alzate
,
Emile
il
sovrano
detronizzato
compie
spontaneamente
il
primo
gesto
di
vassallaggio
:
corre
ad
abbracciarlo
,
lo
riconosce
campione
dandogli
con
il
guantone
ancora
lucido
di
sudore
un
colpo
lieve
sul
capo
.
Non
dimentichiamo
la
dignità
e
lo
stile
di
questo
negro
nato
nelle
Isole
Vergini
,
vissuto
ad
Harlem
,
molti
dei
nostri
potrebbero
imparare
da
lui
come
si
perde
.
Ciò
che
avviene
sul
ring
io
non
lo
vedo
.
I
fanatici
venuti
dall
'
Italia
con
vessilli
e
striscioni
sono
partiti
all
'
attacco
,
hanno
travolto
giudici
e
poliziotti
,
si
aggrappano
alle
corde
,
cadono
giù
,
risalgono
urlano
frasi
sconnesse
ai
giornalisti
americani
che
li
guardano
sbalorditi
,
ce
n
'
è
uno
grasso
e
roseo
che
viene
proprio
davanti
a
noi
a
fare
una
sua
scena
da
epilettico
giuggiolone
che
un
po
'
trema
e
un
po
'
piange
,
un
po
'
strabuzza
gli
occhi
,
un
po
'
invoca
Nino
,
il
quale
abilmente
è
scivolato
via
ed
è
già
in
salvo
negli
spogliatoi
.
Guardo
con
aria
di
scusa
il
mio
vicino
.
È
il
giornalista
negro
di
mezza
età
.
«
Davvero
bravo
Griffith
»
gli
dico
.
«
Sì
»
dice
lui
,
con
un
lieve
inchino
,
«
ma
il
campione
è
Benvenuti
.
»
Fuori
piove
a
diluvio
nella
luce
dei
riflettori
.
Ray
Sugar
Robinson
,
bello
e
aitante
,
sorride
ai
fotografi
fra
donne
splendide
in
abiti
rosa
,
turchese
,
argento
.
StampaQuotidiana ,
«
Chi
sono
i
milanesi
,
Antonio
?
»
«
Io
voglio
chiedere
scusa
,
ma
Mario
Riva
,
buonanima
dove
è
,
disse
che
Milano
fa
due
milioni
di
abitanti
,
ma
sapete
i
milanesi
quanti
sono
?
57
mila
.
E
dove
sono
io
non
so
,
sono
sempre
in
giro
per
turismo
.
»
Poi
Antonio
,
l
'
immigrato
,
dirà
come
tanti
altri
di
essere
«
libero
cittadino
milanese
»
,
senza
sapere
bene
che
cosa
sia
questo
tipo
d
'
uomo
in
cui
si
riconosce
,
nato
dalla
mescolanza
:
nella
fabbrica
dei
nuovi
italiani
,
fra
Milano
e
i
laghi
,
ogni
cosa
rimane
indefinibile
,
provvisoria
,
mutevole
.
Ci
arrivano
,
negli
ultimi
dieci
anni
,
600
mila
persone
,
un
terzo
lombardi
,
un
terzo
meridionali
,
gli
altri
dal
resto
d
'
Italia
.
Solo
due
su
dieci
vengono
da
città
capoluogo
,
la
maggioranza
sono
contadini
poveri
chiamati
dalla
promessa
:
«
Ma
cosa
aspetti
a
muoverti
,
disse
mio
padre
,
c
'
è
Milano
»
.
C
'
è
Milano
,
la
grande
città
della
ricchezza
che
accoglie
tutti
i
poveri
di
ogni
regione
.
Purché
siano
poveri
che
arricchiscono
in
fretta
,
secondo
il
suo
mito
.
Se
no
aria
,
la
buona
aria
del
Seveso
,
del
Lambro
e
dell
'
Olona
,
neanche
una
bollicina
di
ossigeno
,
neanche
un
'
erba
nelle
acque
bruciate
dagli
acidi
;
la
buona
aria
nei
villaggi
-
città
della
fascia
dove
nasce
il
«
libero
cittadino
milanese
»
,
questo
modello
in
fieri
,
che
c
'
è
e
che
non
c
'
è
,
così
composito
.
600
mila
di
regioni
e
di
culture
diverse
,
in
un
crogiolo
dove
i
gruppi
si
mescolano
,
ma
di
rado
si
amalgamano
.
Le
rare
fusioni
nella
carica
confusione
delle
mille
e
mille
aziende
che
si
spostano
verso
la
campagna
;
le
piccole
migrazioni
nella
grande
migrazione
,
gli
operai
cacciati
sempre
più
lontano
dal
centro
amministrativo
,
i
pendolari
,
i
gruppi
mobili
dell
'
edilizia
.
E
l
'
invasione
continua
,
ogni
giorno
centinaia
che
arrivano
,
molti
con
i
treni
del
Sud
,
biglietto
fino
a
Piacenza
,
gli
ultimi
chilometri
evitano
il
controllore
,
per
risparmiare
.
I
contadini
dell
'
Italia
povera
che
arrivano
nel
Milanese
immaginando
una
società
industriale
vagamente
marziana
e
poi
si
trovano
fra
gli
ex
contadini
,
ancora
contadini
nell
'
anima
,
di
un
'
Italia
un
po
'
meno
povera
.
Nella
fascia
il
mito
lombardo
rivela
la
modestia
delle
sue
pur
solide
strutture
,
qui
c
'
è
una
Lombardia
che
difende
i
suoi
privilegi
più
che
la
sua
cultura
.
Dietro
le
difese
lombarde
del
tipo
etnico
quasi
sempre
gli
affari
.
Otto
anni
fa
a
Cologno
,
Limbiate
,
Cusano
eccetera
si
comperava
con
60
mila
lire
il
terreno
per
la
casetta
,
250
metri
quadri
:
avanti
,
a
contanti
o
a
cambiali
,
qualsiasi
immigrato
.
Adesso
quel
terreno
costa
due
milioni
perciò
attenti
agli
immigrati
e
attentissimi
ai
meridionali
.
Non
perché
bruni
e
ricci
,
ma
perché
i
due
milioni
non
ce
li
hanno
e
difficilmente
li
avranno
.
Il
modello
lombardo
«
Se
verresti
qui
l
'
aria
è
pesante
,
ma
è
bello
vivere
nell
'industria.»
Vengono
e
incontrano
gli
ex
contadini
lombardi
,
brava
gente
,
laboriosa
,
quieta
,
onesta
,
rispettosa
di
Dio
e
dei
padroni
,
ma
non
gli
esseri
supercivili
immaginati
da
lontano
,
da
parlarne
a
«
bocca
grossa
»
.
Le
industrie
sono
apparse
nella
fascia
al
principio
del
secolo
e
l
'
hanno
visibilmente
modificata
fra
le
due
guerre
,
ma
il
costume
è
rimasto
contadino
arcaico
,
per
un
pezzo
:
gli
zoccoli
,
le
calze
nei
giorni
festivi
,
il
risotto
come
un
lusso
,
un
chicco
di
riso
appiccicato
sul
bavero
per
far
capire
che
se
ne
era
mangiato
.
Poi
naturalmente
gli
usi
più
arcaici
scompaiono
ma
le
maniere
sono
sempre
agresti
.
Quando
i
veneti
arrivano
a
Cinisello
,
in
questo
dopoguerra
,
scoprono
che
è
ancora
d
'
uso
pranzare
seduti
sui
gradini
di
casa
,
nella
strada
o
nella
corte
;
la
scodella
fra
le
ginocchia
colma
di
«
pumià
»
,
pane
di
segale
fatto
a
pezzi
nel
brodo
.
E
nel
1956
quasi
tutti
i
villaggi
hanno
sempre
le
strade
acciottolate
e
prive
di
illuminazione
.
Meglio
che
le
valli
nel
Delta
padano
,
meglio
che
l
'
Appennino
,
molto
meglio
che
il
feudo
meridionale
.
Ma
certe
cose
non
ignoriamole
e
non
dimentichiamole
,
per
esempio
queste
:
parecchi
villaggi
lombardi
restavano
fino
a
ieri
,
fino
all
'
arrivo
delle
immobiliari
,
proprietà
esclusiva
di
una
famiglia
,
i
Visconti
,
i
Suardi
,
i
Borromeo
;
in
certi
villaggi
a
sud
si
conserva
intatto
il
sistema
curtense
,
il
contadino
sfruttato
tre
volte
,
dall
'
orticoltore
,
dall
'
affittuario
,
dal
padrone
;
la
provincia
è
relativamente
povera
,
su
274
comuni
,
l
'
anno
scorso
ancora
121
privi
di
refezione
scolastica
,
148
senza
fognatura
,
182
senza
edilizia
sovvenzionata
,
22
mancanti
di
una
qualsiasi
sorveglianza
urbanistica
.
E
ciò
che
la
retorica
milanese
tenacemente
ignora
:
la
discriminazione
etnica
,
che
esiste
in
tutta
la
fascia
,
più
che
non
si
creda
.
È
la
sua
ipocrisia
.
«
Quando
si
arrabbiano
son
capaci
di
tutto
»
,
«
Sono
sporchi
,
non
hanno
voglia
di
lavorare
,
rubano
»
,
«
Se
scherzano
non
si
sa
come
va
a
finire
,
di
loro
non
ci
si
può
fidare
»
.
Le
accuse
che
ancora
si
ascoltano
mentre
tutti
sanno
che
gli
immigrati
,
specie
i
meridionali
,
lavorano
dalle
dodici
alle
quattordici
ore
al
giorno
,
sono
onesti
e
disonesti
come
tutti
gli
altri
delle
loro
condizioni
,
tengono
la
casa
più
pulita
di
molti
altri
,
certo
più
pulita
che
la
tradizionale
cascina
lombarda
.
E
allora
perché
?
Perché
mentire
serve
,
finché
serve
alla
conservazione
dei
grandi
come
dei
piccoli
privilegi
.
Vediamo
in
pratica
.
In
parecchi
comuni
della
fascia
i
dirigenti
locali
degli
enti
assistenziali
escludono
i
figli
degli
immigrati
dall
'
assistenza
«
perché
in
casa
hanno
la
televisione
e
sprecano
»
.
Il
moralismo
che
difende
la
fetta
di
torta
.
Dovunque
le
cooperative
e
i
circoli
rappresentano
altrettante
isole
di
conservazione
,
il
rifugio
delle
élites
operaie
.
Guardate
le
iscrizioni
negli
anni
della
grande
invasione
,
tra
il
1960
e
il
1962
.
Ferme
«
congelate
»
,
come
se
i
soci
si
fossero
chiusi
nel
loro
guscio
.
Iscritti
in
quegli
anni
:
0,2
per
cento
dei
soci
nella
cooperativa
di
Rogoredo
;
1
alla
Conquista
di
Milano
;
1,6
al
circolo
Cairoli
di
Sesto
;
1,7
ancora
a
Sesto
al
circolo
del
Rondò
.
E
comunque
anche
le
cooperative
che
in
quegli
anni
accettarono
parecchi
soci
,
vedi
Niguarda
,
diffidano
degli
immigrati
,
specie
dei
meridionali
che
restano
una
esigua
«
minoranza
»
:
3
su
cento
alla
Conquista
,
5
al
Centro
sociale
di
Cusano
Milanino
,
3
a
Rogoredo
,
8
a
Niguarda
.
E
dappertutto
cautela
,
pregiudizio
,
timori
nei
loro
confronti
.
«
Andavo
a
mangiare
in
una
cooperativa
di
quelli
di
Corsico
,
una
cosa
fatta
fra
di
loro
;
ma
un
giorno
Angelo
il
mio
amico
disse
che
gli
altri
non
volevano
vedere
terroni
.
»
Testimonianze
così
si
trovano
in
ogni
inchiesta
,
quasi
in
ogni
scheda
,
solo
i
comunisti
esitano
a
confessare
i
piccoli
egoismi
della
classe
operaia
,
ci
vuole
il
convegno
sull
'
immigrazione
del
1962
perché
si
osi
dire
«
che
anche
certi
settori
del
partito
stentano
a
capire
i
problemi
degli
immigrati
»
.
I
socialisti
sembrano
meno
inibiti
,
vi
dicono
subito
per
esempio
che
per
molti
anni
i
compagni
di
Pero
non
avevano
neanche
immaginato
che
si
dovessero
cercare
dei
contatti
con
gli
immigrati
impiegati
negli
orti
.
E
sono
i
partiti
degli
immigrati
quelli
che
si
son
mossi
per
primi
,
figuriamoci
gli
altri
.
Due
anni
fa
un
assessore
democristiano
alla
provincia
diceva
ancora
a
una
delegazione
di
immigrate
pugliesi
:
«
Mi
spiace
ma
avete
fatto
uno
sbaglio
,
non
dovevate
abbandonare
le
vostre
case
accoglienti
»
.
Il
neomeridionalismo
Poi
c
'
è
tutta
una
casistica
di
fatti
gravi
dove
l
'
interesse
di
classe
o
se
preferite
lo
sfruttamento
rompe
qualsiasi
copertura
etnica
e
si
mostra
per
ciò
che
è
.
A
Castiglione
Olona
un
medico
settentrionale
si
rifiuta
di
entrare
nella
baracca
di
immigrati
calabresi
«
perché
ci
hanno
sempre
i
pidocchi
»
;
in
un
cantiere
di
Busto
Arsizio
gli
immigrati
sardi
,
bergamaschi
,
bellunesi
pagano
un
posto
letto
in
baracca
15
mila
lire
al
mese
;
in
una
fornace
di
Lecco
si
ferisce
alla
gamba
un
manovale
immigrato
:
lo
portano
di
peso
,
fuori
dal
cancello
,
perché
quelli
della
Croce
Rossa
non
vedano
in
che
stato
sono
le
baracche
e
l
'
infermeria
.
«
A
noi
meridionali
ci
disprezzano
.
»
«
Basta
essere
meridionali
che
uno
sbaglia
poco
poco
e
lo
minacciano
.
Magari
uno
è
milanese
e
sbaglia
e
lo
prendono
subito
per
un
meridionale
.
»
Dicono
così
i
più
giovani
e
indifesi
.
Si
potrebbe
spiegargli
che
il
pregiudizio
etnico
fa
molto
comodo
ai
negozianti
,
agli
artigiani
,
ai
trasportatori
che
pagano
un
garzone
,
un
manovale
,
un
facchino
5
mila
o
6
mila
lire
la
settimana
.
Ma
il
loro
orgoglio
etnico
è
comunque
ferito
,
sorgono
le
inevitabili
reazioni
,
già
si
manifesta
nella
fascia
un
neomeridionalismo
ingenuo
ma
testardo
,
a
volte
irragionevole
che
trova
alimento
nella
lotta
politica
.
Per
cominciare
,
il
rifiuto
di
ogni
modello
meridionalistico
che
appaia
indecoroso
o
corrotto
.
Il
Visconti
di
Rocco
e
i
suoi
fratelli
e
il
Montaldi
di
Milano
Corea
sono
rifiutati
dai
meridionali
della
fascia
come
Pasolini
dagli
immigrati
delle
borgate
.
Poi
l
'
opinione
di
essere
più
che
necessari
(
e
necessari
certamente
lo
sono
)
indispensabili
e
più
che
indispensabili
redentori
e
provvidenziali
.
«
Ci
capita
di
vedere
Milano
.
Se
andiamo
via
noi
è
un
deserto
.
»
«
Io
voglio
dire
una
parola
.
Se
non
ci
siamo
noi
Milano
è
finita
.
»
E
poi
ancora
la
certezza
di
essere
sempre
più
numerosi
,
attivi
,
determinati
,
anche
se
nessuno
di
essi
è
mai
entrato
nella
«
camera
dei
bottoni
»
.
Certo
nei
comuni
della
fascia
otto
persone
su
dieci
che
entrano
in
un
municipio
sono
meridionali
:
quelli
del
luogo
non
hanno
bisogno
o
si
vergognao
a
chiedere
.
Così
i
meridionali
condizionano
le
amministrazioni
e
le
elezioni
.
Il
loro
numero
aumenta
:
rappresentano
nel
1956
il
21
per
cento
dell
'
immigrazione
e
oggi
sono
arrivati
al
35
per
cento
,
più
del
50
nei
villaggi
più
esterni
della
fascia
.
Aumenteranno
ancora
.
Il
pane
e
l
'
eguaglianza
I
villaggi
-
città
della
fascia
(
Sesto
più
di
80
mila
abitanti
)
ostili
e
agri
per
gli
immigrati
,
come
fu
l
'
America
per
gli
uomini
della
conquista
:
stesse
privazioni
,
infamie
,
sofferenze
e
delusioni
;
qui
come
nel
West
una
generazione
allo
sbaraglio
,
che
costruisce
le
sue
case
nella
notte
,
che
rischia
tutto
ciò
che
possiede
.
Ma
chi
pensa
che
qui
possa
uscire
un
nuovo
italiano
sicuro
,
fiducioso
,
orgoglioso
della
propria
epopea
come
l
'
americano
probabilmente
si
sbaglia
.
Nella
conquista
americana
,
nella
formazione
dell
'
americano
si
riconoscono
tre
elementi
decisivi
:
l
'
industria
,
la
democrazia
,
la
frontiera
.
Da
noi
manca
la
frontiera
e
tutto
ciò
che
essa
rappresenta
.
I
contadini
dell
'
Italia
povera
che
giungono
nel
Milanese
trovano
l
'
industria
e
si
iniziano
alla
democrazia
.
Qui
non
saranno
liberi
in
assoluto
,
qui
saranno
alla
resa
dei
conti
,
poco
liberi
,
ma
vengono
da
soggezioni
arcaiche
,
da
sudditanze
intollerabili
.
C
'
è
una
parola
usata
da
tutti
gli
immigrati
della
fascia
siano
lombardi
,
veneti
,
emiliani
,
meridionali
.
È
la
parola
«
confidenza
»
la
parola
magica
che
spiega
come
democrazia
e
industria
siano
legate
,
la
parola
che
sta
per
rispetto
nel
lavoro
,
per
fiducia
reciproca
nel
lavoro
,
per
un
minimo
di
civiltà
nei
rapporti
di
lavoro
:
«
Qui
il
capo
reparto
mi
tratta
con
confidenza
»
.
«
Mi
hanno
assunto
e
mi
hanno
dato
confidenza
.
»
Sotto
questo
aspetto
la
fascia
milanese
è
certamente
meglio
che
i
paesi
di
origine
,
sotto
questo
aspetto
si
può
dire
che
qui
c
'
è
davvero
«
un
'
idea
democratica
in
movimento
»
.
La
casa
,
il
lavoro
,
il
frigorifero
sono
le
grandi
aspirazioni
,
ma
la
conquista
maggiore
,
la
più
esaltante
,
è
la
libertà
fra
eguali
o
ciò
che
le
assomiglia
.
Uscire
in
piazza
,
in
strada
,
incontrare
un
sacco
di
gente
e
in
nessuno
riconoscere
il
padrone
o
i
sorveglianti
del
padrone
.
Tuffarsi
nell
'
anonimato
industriale
e
cittadino
,
sentirsi
fuori
dal
crudele
pettegolezzo
paesano
.
Ma
non
c
'
è
la
frontiera
,
manca
lo
spazio
sconosciuto
e
imprevedibile
che
solo
può
suscitare
le
grandi
speranze
.
Qui
l
'
immigrato
sente
subito
,
a
vista
e
a
naso
,
che
il
posto
è
piccolo
,
che
ognuno
dovrà
accontentarsi
della
sua
piccola
razione
.
Capisce
anche
,
sia
pure
oscuramente
,
che
il
tempo
del
capitalismo
individuale
e
delle
sue
epopee
è
finito
,
qui
nessun
Walt
Whitman
gli
ripete
le
parole
dell
'
indomito
ottimismo
:
«
Non
siamo
passati
attraverso
i
secoli
,
le
caste
,
le
migrazioni
e
la
miseria
per
fermarci
qui
»
.
Invece
fermarsi
è
proprio
il
desiderio
del
nostro
immigrato
:
sistemarsi
,
godere
di
ciò
che
si
è
ottenuto
,
chiamare
i
parenti
a
goderne
.
Con
i
modesti
desideri
dei
meridionali
.
«
Spero
di
diventare
cuoco
.
»
«
Spero
che
mi
passino
saldatore
.
»
Bisogna
interrogare
i
settentrionali
per
trovarne
uno
che
dica
:
«
Voglio
fare
fortuna
»
.
E
poi
,
si
scopre
che
ha
uno
zio
ingegnere
o
una
sorella
con
un
ottimo
impiego
.
Insomma
direi
che
manca
al
pionierismo
della
fascia
la
fiducia
emersoniana
del
successo
legato
al
merito
,
perché
«
ogni
uomo
è
la
sua
stella
»
.
Come
sarà
questo
uomo
nuovo
,
questo
«
libero
cittadino
milanese
»
nessuno
può
dirlo
con
precisione
.
Ma
si
può
già
dire
che
sarà
un
pioniere
rassegnato
.
Operaio
sì
,
ma
con
tutte
le
inibizioni
e
i
pregiudizi
dei
contadini
,
per
parecchi
anni
a
venire
.
Motorizzato
sì
,
ma
escluso
dalla
corrente
vitale
della
cultura
,
per
parecchi
anni
.
Mi
dicono
che
una
inchiesta
svolta
di
recente
fra
il
proletariato
londinese
ha
fatto
giustizia
delle
chiacchiere
più
o
meno
interessate
sulla
classe
unica
dove
borghesi
e
operai
non
si
riconoscono
.
Si
è
capito
che
anche
nella
civilissima
Londra
l
'
operaio
resta
operaio
,
escluso
dalla
maggior
parte
della
vita
culturale
,
pochissimi
libri
,
il
telefono
lo
ha
solo
il
9
per
cento
,
una
vita
sociale
monotona
e
misera
,
poca
corrispondenza
,
pochi
divertimenti
.
E
allora
figuriamoci
da
noi
,
figuriamoci
nella
fascia
.
Se
ne
parlerà
nei
prossimi
articoli
.
Ma
un
'
indicazione
dell
'
inchiesta
può
essere
anticipata
:
usciamo
dai
fumi
del
miracolo
,
guardiamoci
attorno
,
ricordiamoci
che
esistono
gli
«
altri
»
.
StampaQuotidiana ,
Seicentomila
in
più
,
fra
Milano
e
i
laghi
,
negli
ultimi
dieci
anni
:
il
popolo
degli
immigrati
adoperato
,
più
che
governato
;
tanti
uomini
-
muscolo
prima
che
dei
cittadini
.
Andò
così
e
peggio
anche
nell
'
America
della
conquista
,
ma
non
deve
essere
una
gran
consolazione
per
quelli
a
cui
tocca
,
adesso
.
Da
un
anno
la
Stazione
centrale
di
Milano
non
è
più
il
mercato
all
'
ingrosso
dei
muscoli
,
ma
il
commercio
comincia
sempre
lì
:
le
valigie
di
fibra
e
i
pacchi
davanti
le
cabine
telefoniche
,
dentro
gli
uomini
-
muscolo
appena
arrivati
che
telefonano
alle
pensioni
per
avere
«
alloggio
e
lavoro
»
.
Non
conviene
più
reclutarli
in
stazione
,
le
garanzie
sono
poche
e
i
rischi
tanti
.
Meglio
lasciar
fare
a
quelli
delle
pensioni
,
è
un
lavoro
più
pulito
e
più
tranquillo
.
Cinque
su
dieci
,
gli
immigrati
che
arrivano
a
Milano
fanno
quella
telefonata
a
cui
si
risponde
:
«
Aspetta
,
veniamo
a
prenderti
»
o
«
Stai
bene
attento
,
prendi
il
tram
numero
tale
»
.
E
intanto
che
aspetta
o
viaggia
quelli
delle
pensioni
han
già
telefonato
al
reclutatore
che
ne
è
arrivato
uno
da
Gioia
del
Colle
,
Trani
,
Porto
Tolle
,
Isernia
,
Foligno
,
comunque
uno
da
sfruttare
,
ciascuno
la
sua
parte
.
Nelle
pensioni
ci
sono
stanze
da
sei
,
otto
,
dieci
letti
.
Per
un
letto
si
pagano
dalle
sette
alle
otto
mila
lire
al
mese
,
più
mille
la
settimana
per
farsi
lavare
un
po
'
di
roba
.
In
molte
pensioni
bisogna
uscire
prima
delle
nove
,
le
brandine
chiuse
e
alzate
contro
le
pareti
e
fino
alle
ventuno
la
padrona
no
riapre
la
porta
.
In
una
pensione
di
corso
L
.
(
inchiesta
ILSES
)
un
operaio
con
la
gamba
rotta
passa
un
giorno
sulle
scale
,
la
padrona
non
transige
sul
regolamento
.
La
pensione
come
prima
scuola
dello
sfruttamento
e
lo
sfruttamento
del
prossimo
più
prossimo
come
la
tecnica
più
felice
.
Perciò
la
maggior
parte
degli
affittacamere
(
circa
16
mila
in
città
fra
legali
e
clandestini
)
sono
degli
immigrati
.
In
certi
casi
il
subaffitto
organizzato
può
rendere
300
,
400
mila
lire
al
mese
,
la
Questura
conosce
un
tale
che
è
riuscito
ad
avere
tra
appartamento
e
solaio
,
65
ospiti
.
Ci
sono
quelli
che
hanno
quattro
o
cinque
«
esercizi
»
,
li
affidano
a
uno
degli
inquilini
e
passano
ogni
qundici
giorni
a
ritirare
gli
affitti
.
Nella
città
e
nella
fascia
industriale
i
luoghi
delle
pensioni
si
riconoscono
dal
fiorire
delle
attività
collaterali
:
cinematografi
di
terza
visione
,
trattorie
modestissime
,
latterie
che
vendono
anche
bevande
gasate
ecc.
Le
generazioni
nere
Poi
la
mano
dello
sfruttamento
passa
ai
reclutatori
,
di
solito
immigrati
.
Quel
tale
che
tiene
famiglia
e
quattro
automobili
:
la
Seicento
per
il
lavoro
in
città
,
la
Millecento
per
i
suoi
,
la
Spider
per
portare
a
pranzo
i
signori
dell
'
edilizia
e
il
camioncino
per
trasportare
sui
cantieri
gli
uomini
-
muscolo
,
nei
casi
di
bisogno
urgente
.
Il
reclutatore
,
i
suoi
amici
,
gli
amici
degli
amici
:
la
piccola
mafia
trapiantata
al
Nord
di
cui
,
ogni
tanto
,
si
annuncia
la
fine
,
come
per
la
grande
.
Per
esempio
quando
si
scoprono
,
come
di
recente
,
sei
racket
legati
a
130
imprese
edili
.
Ma
sempre
la
mala
pianta
rispunta
;
in
una
inchiesta
della
federazione
comunista
si
legge
che
solo
quattro
immigrate
su
cento
vengono
assunte
attraverso
i
canali
regolari
e
le
indagini
delle
ACLI
lo
confermano
.
Del
resto
se
ne
ha
la
controprova
nei
luoghi
di
origine
:
l
'
anno
scorso
nove
mila
persone
partono
dalla
provincia
di
Cosenza
all
'
insaputa
degli
uffici
di
lavoro
.
La
piccola
mafia
prospera
,
le
sue
tangenti
non
sono
più
del
cinquanta
per
cento
come
nei
primi
anni
,
ma
sempre
redditizie
.
Sì
,
ogni
tanto
uno
dei
reclutatori
viene
«
pizzicato
»
,
denunciato
,
multato
lire
duemila
per
ogni
lavoratore
«
trattato
»
.
Ma
lui
paga
e
ricomincia
salvo
a
cambiare
aria
per
qualche
tempo
.
Naturalmente
le
serie
,
moderne
,
oneste
aziende
del
Nord
sono
all
'
oscuro
di
tutto
,
c
'
è
sempre
un
appaltatore
o
un
intermediario
per
salvare
la
faccia
.
Ma
anch
'
esse
,
specie
le
medie
e
piccole
,
conoscono
le
maniere
di
incoraggiare
il
miracolo
:
le
ore
di
lavoro
straordinario
fuori
busta
;
le
paghe
arbitrarie
ai
ragazzi
fra
i
quattordici
e
i
quindici
anni
(
non
più
a
scuola
,
non
ancora
impiegati
regolarmente
)
;
il
lavoro
appaltato
a
quantità
,
non
a
tempo
,
a
poveri
diavoli
che
credono
di
fare
un
ottimo
affare
impegnandosi
a
chili
o
a
metri
,
non
a
ore
,
e
poi
scoprono
di
avere
tutti
gli
oneri
degli
artigiani
ma
non
i
vantaggi
.
Per
non
dire
della
«
buona
occasione
»
a
cui
partecipa
l
'
intera
classe
imprenditoriale
del
Nord
,
usando
una
forza
lavoro
che
si
è
formata
,
trasferita
e
sistemata
a
spese
della
collettività
.
Detta
dai
propagandisti
politici
questa
«
buona
occasione
»
si
riduce
a
un
calcolo
elementare
:
«
Negli
ultimi
dieci
anni
gli
Enti
locali
del
Milanese
hanno
speso
circa
1000
miliardi
per
accogliere
gli
immigrati
.
Avendone
recuperato
solo
100
per
il
maggior
introito
fiscale
essi
hanno
fatto
agli
imprenditori
un
regalo
netto
di
900
miliardi
»
.
Non
è
così
,
questa
aritmetica
troppo
semplice
non
sopravvive
al
comizio
,
ma
,
nelle
linee
generali
,
la
«
buona
occasione
»
,
il
favore
,
lo
sfruttamento
,
la
necessità
dello
sviluppo
,
o
come
volete
chiamarla
,
esiste
e
una
visita
alla
fascia
industriale
serve
anche
a
questo
,
dico
a
capire
quanto
il
miracolo
economico
deva
a
questa
manodopera
avuta
per
niente
e
,
per
anni
,
sottopagata
.
Ne
fanno
parte
,
non
dimentichiamolo
,
anche
le
donne
.
Trentotto
su
cento
dicono
le
inchieste
,
non
arrivano
a
una
paga
di
20
o
25
mila
lire
al
mese
.
Che
miracolo
poco
galante
.
È
accaduto
anche
in
America
negli
anni
della
conquista
:
«
Per
tre
generazioni
abbiamo
rimboccato
le
maniche
»
.
Che
può
voler
dire
,
di
là
come
di
qua
dall
'
Atlantico
,
gente
logorata
e
ammazzata
di
lavoro
.
Oggi
i
reclutatori
del
Milanese
faticano
a
collocare
i
lavoratori
che
hanno
più
di
trentacinque
o
quarant
'
anni
.
A
quell
'
età
si
è
vecchi
e
finiti
per
certi
cantieri
edili
.
L
'
uomo
-
muscolo
accettato
solo
se
i
muscoli
sono
in
perfetta
efficienza
.
Gli
altri
come
Michele
,
il
muratore
:
«
Come
mi
vedono
che
zoppico
un
po
'
neanche
mi
provano
dicono
che
non
c
'
è
lavoro
,
sono
dei
mesi
che
giro
.
Eppure
a
casa
ero
muratore
fatto
»
.
Le
«
due
nazioni
»
.
Per
una
,
qui
a
Milano
,
la
settimana
corta
,
la
civiltà
degli
svaghi
,
la
seconda
casa
e
le
altre
belle
novità
di
cui
tutti
parlano
.
Per
l
'
altra
sempre
dodici
e
più
ore
al
giorno
e
settimane
lunghe
per
tipi
che
si
«
danno
da
fare
»
:
il
dopo
-
fabbrica
con
lei
che
taglia
cravatte
,
il
marito
che
lavora
a
una
pressa
nel
sottoscala
e
gli
altri
che
fanno
la
casa
propria
dopo
aver
fatto
quella
altrui
.
Tutti
questi
muratori
impiegati
da
un
'
industria
che
sarà
più
efficiente
della
romana
o
della
napoletana
,
ma
che
conosce
gli
stessi
rapporti
di
lavoro
:
50
o
60
mila
lire
al
mese
finché
si
lavora
e
poi
in
cerca
di
un
altro
cantiere
,
una
carriera
che
ricomincia
ogni
volta
,
poche
possibilità
di
migliorare
,
nessuna
sicurezza
per
la
vecchiaia
e
le
testimonianze
ossessive
di
questo
proletariato
permanente
,
come
il
volo
di
un
calabrone
chiuso
in
una
stanza
che
va
e
va
finché
cade
.
Tutti
questi
ex
contadini
immessi
da
un
giorno
all
'
altro
nel
sistema
del
successo
,
offerti
alle
sue
cinque
tentazioni
,
il
prestigio
,
il
denaro
,
il
potere
,
la
fama
,
la
sicurezza
,
ma
che
capiscono
quasi
subito
di
essere
confinati
ai
margini
e
destinati
alle
cose
peggiori
del
sistema
,
ai
lavori
più
umili
e
monotoni
.
Certo
vi
sono
parecchi
immigrati
che
raggiungono
,
in
fabbrica
e
fuori
,
una
buona
sistemazione
economica
,
qualcuno
anche
l
'
agiatezza
.
Ma
l
'
atteggiamento
generale
di
questi
«
novi
homines
»
rispetto
al
lavoro
manca
di
gioia
:
occupazione
senza
amore
,
fatica
senza
grandi
speranze
.
In
genere
il
lavoro
non
è
amato
.
Cambiano
le
condizioni
del
lavoro
,
ma
i
giovani
continuano
a
usare
le
definizioni
amare
degli
anziani
:
quel
reparto
nella
fabbrica
di
Rescaldina
è
sempre
«
Mauthausen
»
,
quel
magazzino
di
Sesto
è
sempre
«
la
galera
»
,
nei
cantieri
edili
gli
operai
parlano
sempre
di
se
stessi
come
di
oggetti
maltrattati
:
«
Dopo
averci
sbattuto
da
un
posto
all
'
altro
,
vengono
e
ci
tirano
fuori
dalla
baracca
»
.
Il
lavoro
in
una
civiltà
industriale
inedita
quasi
per
tutti
.
Fatta
come
ogni
civiltà
,
di
elementi
contraddittori
,
di
fervori
come
di
frustrazioni
.
Davanti
al
progresso
tecnologico
,
per
esempio
,
l
'
atteggiamento
degli
uomini
nuovi
è
incerto
e
diffidente
:
quasi
sapessero
che
la
tecnica
gli
dà
con
una
mano
,
ma
con
l
'
altra
gli
toglie
.
Gli
operai
interrogati
da
Pizzorno
e
dai
suoi
collaboratori
sul
tema
dell
'
uomo
di
fronte
alle
nuove
macchine
stanno
fra
opinioni
diverse
,
spesso
divergenti
:
sì
,
il
lavoro
è
meno
duro
,
«
ma
ci
vuole
troppa
attenzione
»
.
Sì
,
i
rapporti
gerarchici
sono
meno
sergenteschi
,
la
sorveglianza
meno
carceraria
,
«
seuno
sbaglia
non
vengono
subito
a
sgridarti
,
basta
la
lampadina
azzurra
che
si
accende
»
,
però
c
'
è
meno
amicizia
.
Anni
fa
,
per
esempio
,
le
operaie
potevano
starsene
a
casa
uno
o
due
anni
per
tirar
su
il
figlio
e
poi
tornare
in
fabbrica
:
adesso
chi
esce
dal
giro
fatica
a
rientrarci
,
i
rapporti
personali
contano
meno
.
L
'
Organizzazione
decide
a
freddo
.
È
ancora
l
'
eredità
contadina
,
l
'
insofferenza
all
'
orario
,
il
tentativo
ingenuo
di
ricostruire
nel
mondo
industriale
i
comportamenti
e
i
rapporti
di
quello
campagnolo
.
Tanto
lavoro
per
vivere
una
vita
quasi
incomprensibile
.
Il
popolo
laborioso
e
sradicato
.
La
città
tua
e
non
tua
«
E
tu
Luigi
come
la
vedi
a
Milano
?
»
«
Per
me
Milano
è
bella
,
dico
meglio
bellissima
,
come
la
vedono
i
turisti
.
»
Parecchi
rispondono
così
quasi
per
affermare
una
rottura
totale
,
anche
estetica
,
con
il
passato
.
Eppure
si
capisce
che
l
'
atteggiamento
estetico
della
maggioranza
verso
Milano
e
dintorni
è
di
indifferenza
su
un
fondo
di
pena
,
la
pena
fisica
del
contadino
inurbato
.
Qui
,
nei
dintorni
,
in
ogni
villaggio
-
città
c
'
erano
la
vecchia
e
la
nuova
borgata
.
Ma
dovunque
la
saldatura
è
già
avvenuta
,
il
magma
cementizio
ha
riempito
i
vuoti
e
si
divora
l
'
antico
:
scomparse
le
strade
radiali
da
duomo
a
duomo
;
impraticabili
,
per
il
traffico
,
i
sagrati
;
e
chi
se
non
la
dinamite
potrebbe
riportare
l
'
ordine
nelle
ventisette
coree
?
Tanti
suburbi
ma
nessuna
traccia
di
una
civiltà
suburbana
.
Niente
villaggi
residenziali
per
giovani
coppie
«
prigioniere
della
fraternità
»
;
solo
gli
accampamenti
degli
immigrati
e
le
fabbriche
in
un
mondo
di
sradicati
sospettosi
.
Ora
il
piano
intercomunale
dovrebbe
disegnare
in
questo
caos
una
geometria
razionale
ed
è
ancora
possibile
,
ci
sono
ancora
dei
vuoti
fra
la
fascia
e
la
città
e
fra
i
centri
della
fascia
.
Ma
in
giro
c
'
è
molto
pessimismo
,
pochi
credono
che
il
piano
prevarrà
sugli
egoismi
degli
interessi
privati
.
E
intanto
i
600
mila
che
abitano
la
città
informe
sentono
ogni
tanto
affiorare
la
pena
:
nelle
scuole
i
bambini
disegnano
marine
.
Già
,
brutta
ma
libera
.
Per
le
continue
incertezze
dell
'
immigrato
.
Non
sentirsi
cittadino
di
questa
città
,
assistere
alle
partite
di
calcio
senza
una
vera
passione
campanilistica
,
vivere
come
«
nel
posto
che
bene
o
male
ti
dà
il
pane
»
ma
poi
capire
che
,
tutto
sommato
questa
cosa
immensa
e
confusa
che
chiamano
Milano
,
è
un
luogo
dove
i
rapporti
umani
sono
migliori
che
altrove
.
«
Qui
vai
dove
ti
pare
e
nessuno
ti
dice
niente
.
A
Messina
ogni
cosa
che
facevo
subito
trovavano
a
ridire
»
.
«
Milano
mi
piace
perché
la
giri
a
testa
alta
»
.
«
Io
dico
questo
,
se
uno
si
fa
la
fidanzata
in
Sicilia
deve
portarsi
dietro
a
mangiare
anche
suo
padre
,
la
madre
,
i
fratelli
e
le
sorelle
.
Qui
a
Milano
si
va
con
la
ragazza
e
si
prende
un
caffè
»
.
La
Milano
dei
ricchi
li
ignora
?
La
Milano
della
borghesia
mercantile
gli
è
straniera
?
Può
darsi
,
ma
poi
scoprono
che
c
'
è
un
'
altra
Milano
popolare
e
no
che
ricorda
le
sue
origini
,
che
ha
voglia
di
eguaglianza
,
che
può
darti
una
mano
quando
meno
te
lo
aspetti
:
«
Uscii
dalla
stazione
e
non
sapevo
cosa
fare
.
Si
avvicinò
un
signore
e
mi
chiese
se
stavo
male
.
No
,
era
soltanto
che
camminavo
piano
e
non
riuscivo
ad
ambientarmi
.
Mi
diede
l
'
indirizzo
di
una
pensione
e
mi
accompagnò
al
tram
»
.
«
Ero
disperato
,
raccontavo
al
barista
che
non
trovavo
casa
e
una
vecchia
che
era
lì
a
sentire
dice
che
,
se
mi
accontento
posso
stare
in
casa
sua
che
c
'
è
suo
marito
pensionato
con
22
mila
lire
al
mese
.
Mi
hanno
tenuto
per
quattro
mesi
e
non
hanno
voluto
una
lira
»
.
Sradicati
,
incerti
,
sottoposti
alla
doccia
scozzese
di
una
città
così
diversa
,
membri
di
una
società
di
cui
non
vedono
il
corpo
,
sempre
esitanti
fra
l
'
assimilazione
e
l
'
ortodossia
règionale
:
vestirsi
alla
milanese
,
ma
poi
pretendere
tenacemente
il
pane
grosso
alla
siciliana
o
quello
lavorato
alla
mantovana
:
vantare
l
'
anzianità
,
«
io
sono
qui
da
sei
anni
e
quello
lì
neanche
da
tre
mesi
e
parla
»
ma
sentirsi
stranieri
al
luogo
,
restare
finché
si
può
legati
al
paese
(
a
San
Donato
su
12500
abitanti
ancora
quattro
mila
che
conservano
le
residenze
nei
paesi
di
origine
)
.
Ma
nessun
mitico
«
grande
ritorno
»
,
la
coscienza
che
laggiù
non
si
può
tornare
:
«
E
chi
ci
può
stare
laggiù
»
.
«
Vado
là
bascio
per
nu
poco
d
'
olio
,
ma
torno
subito
,
chi
ci
può
stare
»
.
La
nostalgia
che
durerà
per
tutta
la
vita
sotto
la
decisione
,
certa
in
quasi
tutti
dopo
uno
o
due
anni
,
di
non
tornare
.
Così
oggi
per
qualche
generazione
ancora
.
Un
uomo
nuovo
pieno
di
cose
antiche
,
ma
sotto
un
aspetto
almeno
integralmente
nuovo
e
inedito
in
Italia
.
Per
la
prima
volta
in
Italia
una
società
di
cittadini
indifferenti
come
lo
sono
dovunque
i
cittadini
delle
megalopoli
.
I
cittadini
delle
città
che
non
sono
più
città
ma
galassie
urbane
.
Fra
non
molto
Milano
si
estenderà
per
quaranta
chilometri
,
avrà
quattro
o
cinque
milioni
di
abitanti
.
Come
si
fa
ad
amarli
i
giganti
?
StampaQuotidiana ,
«
E
ballare
ti
piace
,
Michele
?
»
«
Per
dire
la
cosa
giusta
nessuno
di
noi
sapeva
.
Così
passiamo
in
piazza
Duomo
vediamo
la
scritta
ed
entriamo
.
Professor
Puccio
,
novemila
lire
per
venti
lezioni
di
mezz
'ora.»
Michele
l
'
immigrato
,
mangia
pane
e
«
bologna
»
,
dorme
su
una
branda
nel
corridoio
di
una
pensione
,
non
compera
giornali
,
va
al
cinema
due
volte
l
'
anno
,
«
l
'
ultima
fu
all
'
Aurora
,
80
lire
,
quaranta
per
film
»
,
ma
per
il
ballo
deve
spendere
se
no
chi
lo
tira
fuori
dai
ghetti
paesani
e
regionali
?
Il
ballo
vero
,
con
le
luci
al
neon
e
il
jazz
,
che
vogliono
i
giovani
della
fascia
industriale
.
Lo
hanno
capito
persino
i
conservatori
delle
cooperative
e
dei
circoli
popolari
,
chi
li
studia
nota
:
«
Attività
culturale
scarsa
,
sporadica
,
nulla
»
;
ma
sempre
:
«
Curano
molto
il
ballo
,
ci
tengono
al
ballo
»
.
E
fanno
bene
,
forse
il
ballo
,
da
noi
,
non
ha
mai
avuto
una
funzione
così
importante
.
Non
lo
spettacolo
rituale
della
civiltà
contadina
e
neppure
il
surrogato
erotico
che
piacque
fra
le
due
guerre
,
ma
qualcosa
che
è
promozione
e
profilassi
sociale
,
l
'
occasione
,
per
l
'
immigrato
,
di
sentirsi
eguale
agli
altri
,
«
non
fanno
differenza
se
sai
ballare
»
in
una
società
che
già
si
adatta
alla
parità
dei
sessi
,
«
adesso
è
cambiato
,
magari
son
le
ragazze
che
invitano
chi
balla
bene
»
.
«
Il
ballo
lo
curano
molto
»
:
chi
per
guadagnare
soldi
e
chi
per
guadagnare
voti
.
E
fanno
bene
,
il
ballo
è
una
cosa
molto
importante
per
il
giovane
che
nasce
dalla
mescolanza
,
diciamo
che
lo
aiuta
a
nascere
,
come
il
catalizzatore
delle
sue
reazioni
sociali
:
il
ballo
e
l
'
amore
,
il
ballo
e
le
canzoni
,
il
ballo
e
i
vestiti
.
L
'
amore
viene
dopo
Un
ballo
privo
di
erotismo
o
quasi
,
come
introduzione
a
un
amore
privo
di
passione
o
quasi
.
Che
conosce
rapporti
relativamente
facili
e
frequenti
secondo
la
regola
americana
di
Kinsey
«
più
sesso
nei
ceti
popolari
che
nelle
élites
»
;
che
si
libera
progressivamente
dalle
inibizioni
paesane
per
diventare
un
fatto
comune
e
naturale
come
lo
sono
il
mangiare
e
il
camminare
.
Ma
proprio
per
questo
o
anche
per
questo
un
amore
meno
problematico
,
meno
rituale
,
meno
mitologico
,
meno
poetico
e
,
diciamo
pure
,
meno
importante
.
Spesso
un
amore
epidermico
che
sceglie
per
suo
simbolo
i
baci
,
anzi
i
baci
quantitativi
delle
canzoni
:
«
Dammi
i
tuoi
baci
,
dammi
i
tuoi
baci
amor
,
per
tutta
la
vita
e
un
giorno
ancor
»
.
«
Con
24
mila
baci
»
.
«
Un
milione
di
baci
»
.
Questo
amore
che
non
ha
più
segreti
,
neppure
per
le
ragazze
venute
dal
meridione
e
subito
istruite
nelle
fabbriche
,
questi
luoghi
di
una
educazione
sessuale
magari
priva
di
rigore
scientifico
,
ma
rapida
e
inevitabile
.
In
tutte
le
fabbriche
le
operaie
anziane
e
sposate
che
ammaestrano
le
giovani
e
nubili
,
volenti
o
nolenti
,
con
una
sincerità
a
volte
così
brutale
che
sembra
rispondere
a
un
istinto
sadico
.
E
magari
è
così
,
ma
la
faccenda
è
antica
,
queste
iniziazioni
fra
operaie
rappresentano
il
trasferimento
,
nel
mondo
industriale
,
di
ciò
che
un
tempo
era
affidato
ai
riti
e
alle
farse
agresti
,
o
alle
storie
e
alle
favole
.
Un
amore
subordinato
ai
grandi
valori
della
nuova
società
operaia
,
meno
importante
del
lavoro
,
della
sicurezza
,
dell
'
uguaglianza
.
Ed
è
questa
la
chiave
giusta
del
gallismo
che
si
manifesta
nella
fascia
;
stateci
attenti
e
capirete
che
l
'
ossessione
erotica
si
accompagna
all
'
affermazione
sociale
e
che
l
'
equivoco
sociale
è
spesso
più
determinante
che
la
carica
vitalistica
:
«
Per
me
la
ragazza
che
andava
in
giro
da
sola
era
poco
seria
perciò
le
dicevo
cose
per
la
strada
»
.
«
Al
mio
paese
non
si
usa
fermare
le
ragazze
per
strada
.
Magari
se
provi
ti
costa
caro
.
Allora
qui
,
essendo
libero
cittadino
,
avevo
voglia
di
fermarle
tutte
»
.
Questo
povero
amore
maltrattato
dalle
migrazioni
e
dalle
privazioni
;
tirato
giù
dal
suo
piedestallo
magico
o
romantico
,
retrocesso
nella
scala
dei
valori
:
«
Di
fidanzarmi
non
ho
tempo
»
;
«
Ad
avere
la
ragazza
fissa
ci
penserò
quando
avrò
la
casa
»
;
«
Con
quella
stop
,
domenica
si
è
fatta
portare
a
casa
in
taxi
,
600
lire
che
io
ci
mangio
cinque
volte
alla
mensa
»
.
E
si
ha
la
impressione
che
l
'
amore
,
fra
i
giovani
della
fascia
industriale
,
conti
meno
che
l
'
amicizia
,
che
essi
sentano
più
il
bisogno
di
integrarsi
in
una
compagnia
numerosa
che
di
isolarsi
nella
coppia
.
Molte
canzoni
raccolgono
questa
sete
di
amicizia
che
è
anche
solidarietà
di
generazione
e
patriottismo
di
gruppo
.
Certe
canzoni
«
forse
mi
vogliono
bene
perché
,
hanno
la
mia
stessa
età
,
hanno
giocato
per
strada
con
me
,
quelli
di
porta
Romana
»
sembrano
addirittura
copiate
da
una
scheda
di
inchiesta
«
sono
legato
agli
amici
,
andiamo
da
Pietro
in
via
Lomazzo
,
siamo
della
stessa
età
»
.
È
sempre
stato
così
,
i
giovani
con
i
giovani
,
da
che
mondo
è
mondo
,
ma
ora
per
una
necessità
più
consapevole
:
i
giovani
di
un
anno
zero
,
di
un
'
esperienza
sconosciuta
ai
genitori
contadini
;
la
prima
generazione
cresciuta
nella
grande
città
e
vicino
alle
fabbriche
,
questi
ragazzi
che
credono
di
portare
in
sé
e
solo
in
sé
la
scienza
del
nuovo
mondo
.
Per
esempio
di
un
mondo
dove
l
'
amicizia
può
contare
più
dell
'
amore
,
in
tutte
le
testimonianze
degli
immigrati
gli
interventi
liberatori
e
risolutori
dell
'
amicizia
:
«
Ero
appena
arrivato
non
sapevo
dove
battere
la
testa
,
passo
davanti
il
supermarket
di
viale
Monterosa
e
riconosco
Gaetano
.
Lui
parla
con
il
direttore
e
subito
mi
prendono
»
.
«
Ora
faccio
venire
su
il
mio
amico
.
Finché
non
lavora
può
tenerci
in
ordine
la
casa
.
»
«
Ora
aggiungo
un
letto
e
chiamo
un
amico
che
sta
in
pensione
»
.
E
,
ovviamente
,
anche
l
'
amicizia
come
segno
di
una
affermazione
sociale
:
lo
devono
sapere
in
paese
che
uno
può
già
provvedere
a
un
amico
.
I
giochi
dei
vecchi
Bisogno
di
amicizia
,
di
comunicazione
in
una
società
urbana
e
industriale
che
logora
i
sodalizi
e
spinge
alla
solitudine
.
Gli
ex
contadini
immessi
repentinamente
in
questo
campo
di
forze
contraddittorie
dove
tutti
son
sempre
insieme
e
tutti
son
sempre
soli
.
Fuori
dalle
sale
da
ballo
e
dai
bar
,
la
vita
associativa
tradizionale
declina
.
Le
cooperative
e
i
circoli
popolari
della
fascia
industriale
sono
nella
crisi
tipica
di
una
società
in
rapida
transizione
.
I
giovani
non
capiscono
più
gli
anziani
,
hanno
dei
gusti
diversi
.
Se
ai
primi
piacciono
le
bocce
e
la
scopa
ai
secondi
,
invece
,
il
biliardino
e
il
juke
-
box
.
Ma
gli
anziani
hanno
il
potere
,
se
il
suono
del
juke
-
box
disturba
le
loro
partite
se
ne
liberano
.
Allora
i
giovani
si
annoiano
e
se
ne
vanno
.
Sessanta
su
cento
i
soci
hanno
più
di
quarantacinque
anni
,
il
declino
delle
associazioni
è
inevitabile
.
Cambiano
i
gusti
.
Il
vino
piace
di
meno
e
«
non
lega
più
»
.
Al
punto
che
le
ACLI
hanno
fondato
a
San
Giuseppe
una
«
società
della
tazza
»
,
ogni
socio
la
sua
,
ma
per
berci
la
birra
,
chi
lo
avrebbe
detto
nella
terra
dove
i
circoli
vinicoli
erano
la
struttura
fondamentale
del
socialismo
.
Così
decadono
anche
i
riti
del
vino
,
la
liturgia
per
la
fabbricazione
del
vino
:
i
soci
che
andavano
a
comperare
le
uve
,
soci
che
le
pigliavano
,
il
primo
bicchiere
assaggiato
dal
socio
più
anziano
.
Meno
vino
,
meno
osterie
.
Le
osterie
dove
si
beveva
il
vino
e
si
discuteva
di
politica
chiuse
una
dopo
l
'
altra
e
sostituite
dai
bar
dove
si
ascolta
la
musica
e
si
bevono
i
liquori
.
Per
gli
immigrati
l
'
acquisto
dei
liquori
ha
anche
un
significato
di
miglioramento
sociale
,
chi
si
fa
un
piccolo
bar
in
casa
si
sente
molto
arrivato
e
molto
settentrionale
,
anche
nelle
feste
conviviali
,
fra
paesani
,
i
liquori
e
i
vermuth
sostituiscono
spesso
il
vino
.
Non
ci
sono
più
le
epiche
ciucche
collettive
delle
serate
festive
,
ma
sale
il
numero
di
alcolizzati
,
il
professor
Virginio
Porta
ha
notato
,
fra
gli
immigrati
,
più
casi
di
ebbrezza
acuta
e
di
delirium
tremens
.
Meno
vino
,
meno
bocce
:
la
bocciofila
di
Cascina
Olona
ha
chiuso
;
sui
campi
di
Metanopoli
cresce
l
'
erba
;
qualche
anno
fa
,
la
domenica
,
si
faceva
la
coda
per
giocare
a
bocce
sui
campi
di
Bolgiano
adesso
ce
n
'
è
sempre
uno
libero
;
gli
esperti
calcolano
che
un
campo
su
tre
è
scomparso
negli
ultimi
cinque
anni
.
E
nessuno
piangerebbe
sul
declino
degli
svaghi
paesani
se
esistesse
l
'
attrezzatura
per
gli
svaghi
urbani
,
ma
l
'
attrezzatura
non
c
'
è
,
a
Milano
e
nella
fascia
il
verde
sportivo
è
inesistente
,
ogni
corsa
ciclistica
ripete
lo
spettacolo
comico
di
quei
tali
con
bandiere
che
si
sbracciano
per
aprire
un
varco
ai
pedalanti
in
mezzo
alle
colonne
dei
motorizzati
.
E
nella
metropoli
il
verde
pubblico
è
ridotto
a
1,7
metri
quadrati
per
abitante
,
che
è
roba
da
ridere
,
anzi
da
piangere
di
fronte
ai
100
metri
di
Stoccolma
e
agli
80
di
Londra
.
Bisogno
di
amicizie
,
di
comunicazione
in
una
società
consumistica
che
invita
e
spesso
obbliga
ai
consumi
e
ai
piaceri
individuali
.
La
cooperativa
di
Corsico
si
prova
ad
organizzare
delle
gite
turistiche
,
ma
la
cosa
non
funziona
,
i
soci
preferiscono
viaggiare
per
conto
loro
in
macchina
o
in
motoretta
.
Salvo
il
ballo
,
piacciono
gli
svaghi
individuali
,
procurati
con
lo
strumento
di
proprietà
individuale
,
macchina
,
transistor
,
televisore
.
E
anche
negli
svaghi
collettivi
l
'
impressione
di
essere
sempre
in
qualche
modo
isolato
dietro
una
sostanza
vitrea
e
translucida
,
sia
schermo
o
video
o
parabrezza
.
Secondo
la
legge
del
consumatore
passivo
che
non
fabbrica
il
suo
svago
e
non
vi
partecipa
,
ma
vi
assiste
.
Tutto
cambia
tutto
si
scambia
Si
dice
che
la
Padania
in
genere
e
il
Milanese
in
particolare
debbano
gratitudine
agli
immigrati
specie
meridionali
per
lo
scampato
pericolo
della
«
svizzerizzazione
»
il
benessere
al
prezzo
di
una
noia
compatta
.
Si
dice
poi
che
l
'
immigrazione
ha
dato
al
settentrione
una
«
profondità
emozionale
»
,
una
capacità
di
stupore
,
di
gioia
,
di
commozione
prima
sconosciuta
,
certo
una
voglia
di
vivere
,
di
godere
,
di
provare
mai
così
evidente
.
In
tutta
la
fascia
è
come
se
la
temperatura
sociale
fosse
salita
di
parecchi
gradi
,
le
notti
sono
più
vive
,
più
illuminate
,
uscire
di
sera
è
l
'
affermazione
di
un
buon
diritto
:
«
Si
è
liberi
alla
sera
quando
uno
può
dire
alla
moglie
:
domani
vado
a
lavorare
e
questo
è
sicuro
»
.
E
c
'
è
anche
un
gusto
nuovo
per
il
colore
,
per
il
vistoso
,
gli
immigrati
infiocchettano
e
ornano
le
loro
motorette
,
mettono
sul
manubrio
un
mazzo
di
roselline
di
plastica
,
poi
specchietti
,
bandierine
,
pennacchi
.
Alcuni
abbelliscono
anche
la
bicicletta
,
questa
macchina
che
molti
scoprono
al
Nord
;
gli
esperti
riconoscono
subito
l
'
immigrato
che
ha
appena
imparato
e
pedala
rigido
rigido
,
si
sa
sempre
tutto
sull
'
Italia
povera
,
ma
mai
abbastanza
,
chi
ci
pensava
più
alla
bicicletta
come
a
una
macchina
da
scoprire
?
Quindi
tutte
le
osmosi
,
i
compromessi
,
gli
adattamenti
di
una
società
nuova
,
composita
,
in
rapida
trasformazione
.
I
meridionali
si
adattano
ad
alcune
usanze
dei
milanesi
,
fanno
il
matrimonio
come
da
queste
parti
,
visita
alla
casa
degli
sposi
,
cerimonia
in
municipio
(
pochissimi
)
o
in
una
chiesa
(
la
maggioranza
)
,
grande
mangiata
e
spesso
il
«
ribattino
»
che
una
volta
poteva
durare
anche
tre
giorni
di
altre
mangiate
e
bevute
,
adesso
al
massimo
,
una
sera
.
Ma
i
settentrionali
rinunciano
gradualmente
alle
loro
feste
maschili
e
marziali
,
sempre
meno
coscritti
in
giro
per
i
paesi
della
fascia
e
neanche
uno
meridionale
perché
«
in
bassa
Italia
è
un
funerale
quando
si
va
a
soldato
»
e
chi
può
dargli
torto
.
A
loro
volta
i
meridionali
lasciano
cadere
il
gusto
per
i
fuochi
artificiali
,
il
municipio
di
Cinisello
si
accorge
che
ogni
anno
lo
spettacolo
piace
meno
anche
se
è
ogni
anno
più
ricco
.
A
Cologno
è
da
parecchio
che
non
chiedono
i
botti
,
la
mattina
del
primo
maggio
.
E
tutti
assieme
,
nella
scia
del
progresso
trasferiscono
le
feste
battesimali
dalle
case
alle
cliniche
,
si
liberano
il
più
presto
possibile
dei
morti
e
del
lutto
,
vestono
tutti
eguali
.
La
sociologia
,
che
consiste
nell
'
applicare
paro
paro
il
modello
americano
a
qualsiasi
paese
del
mondo
,
può
anche
dire
che
«
i
giovani
della
fascia
industriale
adottano
subito
i
blue
jeans
e
i
giacconi
di
cuoio
»
.
Sono
storie
che
piacciono
,
hanno
un
sapore
letterario
,
solo
che
non
sono
vere
.
Gli
immigrati
della
fascia
non
vestono
all
'
americana
,
vestono
come
possono
nel
giorno
del
lavoro
e
alla
maniera
della
borghesia
cittadina
nei
giorni
festivi
,
i
vestiti
grigi
o
scuri
,
la
camicia
bianca
e
la
cravatta
,
da
gente
rispettabile
.
Ogni
tanto
ne
arriva
qualcuno
con
i
pantaloni
bianchi
e
le
scarpe
bianco
e
nero
che
sono
segno
di
guapperia
,
ma
dopo
pochi
giorni
si
allineano
,
al
massimo
tengono
le
basette
.
Le
donne
fanno
anche
più
presto
,
subito
si
rifanno
la
bocca
,
poi
via
lo
scialle
(
appena
due
o
tre
che
abitano
alla
Certosa
)
e
finalmente
si
fanno
l
'
abito
buono
da
cittadina
,
scoprendo
senza
aver
letto
Emerson
che
«
la
coscienza
di
essere
ben
vestito
dà
una
tranquillità
interna
che
neppure
la
religione
sa
dare
»
.
No
,
in
fatto
di
abiti
,
il
paragone
fra
Nuova
York
e
il
Milanese
,
fra
i
giovani
del
Bronx
e
quelli
di
Paderno
Dugnano
proprio
non
regge
.
Gli
immigrati
non
vestono
alla
americana
per
la
semplice
ragione
che
il
Milanese
non
è
l
'
America
.
Laggiù
una
moda
maschile
aggressiva
,
rude
,
violenta
può
forse
adattarsi
a
dei
giovani
a
cui
si
predica
dal
mattino
alla
sera
:
«
Fa
il
tuo
cammino
,
battiti
,
conquista
,
diventa
un
successo
»
.
Ma
qui
anche
l
'
abito
deve
adattarsi
a
un
giovane
a
cui
la
vita
dice
:
«
Sii
prudente
,
cerca
di
farti
accettare
,
diventa
come
gli
altri
»
.
Un
'
America
da
poveri
Certo
per
molti
aspetti
l
'
immigrazione
nella
fascia
ricorda
l
'
America
della
conquista
,
salvo
,
come
si
è
detto
,
la
frontiera
e
ciò
che
rappresenta
.
Ma
è
una
mancanza
decisiva
.
Nella
conquista
i
pionieri
americani
cercavano
la
ricchezza
e
,
con
la
ricchezza
,
prima
il
confort
,
poi
la
pulizia
poi
la
novità
.
I
nostri
umili
pionieri
vogliono
prima
il
lavoro
,
poi
la
sicurezza
,
poi
l
'
uguaglianza
e
appena
ora
i
giovani
arrivano
al
confort
.
Tutti
assieme
poi
sono
ancora
lontani
dalle
sottoarti
del
successo
,
non
frequentano
le
scuole
di
personalità
e
non
leggono
Come
diventare
un
dirigente
.
Anche
perché
leggono
niente
.
StampaQuotidiana ,
«
Se
aveste
cinque
milioni
che
ne
fareste
?
»
Su
430
interrogati
in
un
villaggio
-
città
del
Milanese
,
372
dicono
subito
la
casa
,
prima
la
casa
poi
il
negozio
,
l
'
automobile
,
il
deposito
in
banca
.
È
«
la
febbre
del
mattone
»
,
qui
altissima
.
Se
in
dieci
anni
,
dal
1951
al
1961
,
l
'
attività
edilizia
dell
'
Italia
settentrionale
sale
da
100
a
170
,
qui
l
'
indice
supera
quota
340
.
Una
casa
per
gli
ex
contadini
locali
e
immigrati
cui
la
rivoluzione
industriale
ha
tolto
«
la
paura
di
esporsi
»
sostituendola
con
paure
più
grandi
.
Cittadini
di
una
età
di
transizione
,
eccoli
presi
dal
panico
dell
'
incerto
e
del
provvisorio
,
dall
'
ansia
di
trovare
qualcosa
di
sicuro
e
di
stabile
.
Se
prima
la
loro
vita
era
basata
sul
binomio
terra
-
sicurezza
,
ora
è
la
casa
-
sicurezza
che
cercano
.
Magari
una
sicurezza
illusoria
,
pagata
a
durissimo
prezzo
:
debiti
per
tutta
la
vita
,
un
castello
di
cambiali
che
sta
in
piedi
a
patto
che
non
ci
si
ammali
mai
,
che
si
abbia
sempre
lavoro
.
Quasi
una
scommessa
contro
tutto
e
tutti
.
Una
casa
,
non
un
alloggio
.
Non
dolce
e
accogliente
come
la
home
anglosassone
(
odore
di
torta
di
mele
e
nostalgia
)
,
ma
amica
e
necessaria
,
fuori
di
lei
il
pulviscolo
sociale
,
la
disintegrazione
.
Possibilmente
«
di
tipo
svizzero
»
,
che
poi
risulta
una
mescolanza
di
tetti
sghembi
,
di
terrazzini
meridionali
,
di
tenui
colori
veneti
.
La
casa
unifamiliare
,
sempre
più
difficile
ora
che
il
prezzo
dei
terreni
sale
alle
stelle
imponendo
i
condominii
a
molti
alloggi
.
Eppure
i
nuovi
arrivati
insistono
,
chiedono
aiuti
impossibili
,
si
indebitano
in
maniera
impossibile
,
vanno
a
lamentarsi
dai
sindaci
.
Quello
di
Cinisello
gli
dice
:
«
Ma
andiamo
,
siate
ragionevoli
,
perché
volete
una
casa
per
ogni
famiglia
?
Dovete
associarvi
,
non
avete
i
mezzi
,
il
comune
non
può
aiutarvi
»
.
I
più
tacciono
delusi
,
alcuni
danno
la
risposta
dei
bambini
:
«
Perché
di
sì
»
.
Il
collettivismo
forzato
della
fascia
industriale
,
il
gomito
a
gomito
urbano
è
pervaso
da
questo
desiderio
di
isolamento
familiare
.
E
dal
ripudio
di
ogni
solidarietà
del
tipo
contadino
.
L
'
istituto
delle
case
popolari
osserva
che
dovunque
gli
inquilini
aggiungono
«
chiusure
,
tramezze
divisorie
,
separazioni
»
.
E
si
sente
dire
:
«
Non
mi
piace
che
gli
altri
vedano
quel
che
abbiamo
nel
piatto
»
.
«
Ognuno
la
pensa
a
modo
suo
,
la
gente
adesso
non
è
come
una
volta
.
»
L
'
indice
«
conflittuale
»
come
lo
chiamano
i
sociologi
sale
nelle
vecchie
abitazioni
a
corte
,
le
cascine
trasformate
o
i
palazzi
decaduti
come
la
corte
degli
Arduino
,
a
Sesto
,
un
tempo
sede
comitale
,
poi
convento
,
filanda
,
caserma
e
ora
alloggio
di
immigrati
.
E
si
capisce
che
la
gente
delle
corti
litighi
,
si
guasti
:
finita
la
collaborazione
economica
della
comunità
contadina
,
finite
le
parentele
e
le
amicizie
che
nascevano
da
quella
collaborazione
,
gli
abitanti
della
corte
si
guardano
con
fastidio
e
sospetto
.
Sono
tipi
arrivati
da
regioni
e
da
culture
diversi
,
immessi
repentinamente
in
un
mondo
nuovo
diverso
.
Hanno
bisogno
di
qualcosa
che
li
difenda
dalla
disintegrazione
:
una
casa
loro
.
La
doppia
convenienza
Alla
prova
delle
migrazioni
la
famiglia
contadina
,
organica
,
a
più
generazioni
reagisce
in
modo
estremo
,
spezzandosi
o
rinsaldandosi
:
familiari
che
si
tengono
uniti
come
in
una
cordata
o
che
bruciano
anche
le
memorie
.
«
Queste
cose
o
le
fai
in
famiglia
o
non
le
fai
»
dice
l
'
immigrato
della
famiglia
«
in
cordata
»
che
si
costruisce
la
casa
nella
notte
.
«
A
sentire
la
famiglia
non
ci
saremmo
mai
mossi
»
dicono
gli
altri
,
anche
le
giovani
coppie
che
si
presentano
ai
parroci
per
raccontargli
come
sono
fuggiti
dal
Sud
e
dai
suoi
matrimoni
di
convenienza
.
Nella
regola
,
però
,
sono
i
matrimoni
convenienti
alla
civiltà
contadina
che
affrontano
il
brusco
mutamento
di
temperatura
sociale
uscendone
spezzati
o
rafforzati
come
da
una
tempra
.
Di
quelli
spezzati
,
a
volte
polverizzati
,
lui
e
lei
chi
sa
dove
,
restano
gli
«
orfani
dell
'
emigrazione
»
,
abbastanza
numerosi
negli
istituti
del
Milanese
.
Per
gli
altri
c
'
è
un
periodo
di
transizione
in
cui
muore
il
primo
matrimonio
,
della
convivenza
industriale
.
«
La
famiglia
»
dice
il
sociologo
Diena
«
è
,
nella
fascia
,
in
una
fase
polemica
.
Non
più
la
famiglia
allargata
,
ma
non
ancora
la
famiglia
nucleare
.
»
La
polemica
sembra
inevitabile
appena
la
famiglia
è
,
bene
o
male
,
sistemata
,
compiuto
il
trasferimento
a
catena
o
«
a
ciliegia
»
,
costruita
la
casa
,
l
'
unità
di
produzione
trasformata
in
una
unità
di
consumo
.
Allora
i
figli
cominciano
a
guardare
i
genitori
con
occhi
«
milanesi
»
,
dentro
noia
,
superiorità
e
un
po
'
di
affetto
,
mescolati
.
Sono
tempi
difficili
per
i
genitori
:
nel
nuovo
mondo
la
loro
autorità
è
scomparsa
o
tende
a
scomparire
,
come
nella
famiglia
americana
,
ma
il
cameratismo
che
dovrebbe
sostituirla
qui
non
si
vede
ancora
,
fra
anziani
e
giovani
non
c
'
è
convivenza
,
l
'
attaccamento
alle
tradizioni
contadine
degli
anziani
non
consente
dialoghi
amichevoli
.
Brutta
faccenda
,
per
gli
anziani
,
il
rapido
progresso
tecnologico
:
riescono
a
malapena
a
resistergli
,
se
riescono
,
comunque
non
hanno
più
niente
da
insegnare
ai
figli
.
Intanto
costoro
han
capito
che
il
lavoro
lo
trovano
più
facilmente
loro
che
gli
anziani
e
misurano
l
'
insufficienza
dei
padri
e
delle
madri
a
risolvere
i
problemi
economici
e
sociali
.
Anche
da
questo
nasce
il
desiderio
di
andarsene
,
di
mettere
su
casa
per
conto
proprio
:
spesso
i
giovani
cercano
nella
futura
moglie
o
nel
futuro
marito
proprio
ciò
che
manca
al
padre
o
alla
madre
,
che
è
un
'
altra
chiave
per
spiegare
la
«
febbre
del
mattone
»
,
la
ricerca
affannosa
della
casa
unifamiliare
,
questa
ultima
difesa
degli
anziani
contro
la
duplice
batosta
dei
cinquant
'
anni
quando
retrocedono
dal
salario
alla
pensione
e
gli
manca
l
'
aiuto
dei
figli
che
sposano
.
«
La
casa
l
'
abbiamo
fatta
pensando
all
'
avvenire
dei
figli
?
»
«
La
casa
ce
l
'
hai
,
cosa
cerchi
?
»
«
Non
pensateci
,
la
alzeremo
di
un
piano
.
»
È
l
'
ultima
ratio
,
l
'
ultimo
patetico
ricatto
:
«
Qui
almeno
i
figli
ve
li
guarderemo
noi
»
.
La
nuova
donna
Non
è
poi
mica
vero
che
la
donna
sia
soltanto
mobile
«
qual
piuma
»
,
almeno
non
lo
è
per
la
donna
nuova
che
si
forma
nella
fascia
,
un
misterioso
miscuglio
di
progresso
e
di
conservazione
,
di
stabilità
e
di
riformismo
,
ora
pungolo
ora
remora
nella
grande
avventura
del
trapianto
familiare
.
Più
ricettiva
dell
'
uomo
alle
mode
,
più
interessata
dell
'
uomo
,
naturalmente
,
alla
parità
fra
i
sessi
.
Ma
al
tempo
stesso
più
legata
alle
virtù
contadine
del
risparmio
,
del
sacrificio
,
della
pazienza
,
capace
di
chiusure
e
di
sacrifici
di
fronte
ai
quali
l
'
uomo
già
esita
:
«
Se
vivevamo
laggiù
con
20
mila
al
mese
vivremo
anche
qui
.
Con
il
resto
si
fa
la
casa
»
.
«
Di
che
ti
lamenti
?
Come
abitavamo
laggiù
abitiamo
qui
finché
conviene
.
»
Certi
osservatori
superficiali
del
mercato
credono
che
spetti
alle
donne
l
'
aumento
di
tutti
i
consumi
.
È
più
esatto
dire
,
nella
fascia
,
che
la
donna
decide
soprattutto
i
consumi
che
servono
la
famiglia
e
la
sua
difesa
,
anche
gli
strumenti
di
svago
:
«
Che
vuole
,
il
televisore
ho
dovuto
comperarlo
,
se
no
chi
le
teneva
in
casa
le
figlie
?
»
.
La
difesa
della
famiglia
anche
ricreando
,
come
si
può
,
le
occasioni
degli
svaghi
comuni
e
sorvegliati
:
certe
sale
doppio
cinematografiche
a
Cinisello
,
Desio
eccetera
si
trasformano
,
il
sabato
sera
,
in
club
regionali
dove
i
paesani
chiacchierano
,
ridono
e
negli
intervalli
consumano
il
cibo
portato
da
casa
.
Nell
'
interno
della
famiglia
,
si
diceva
,
l
'
azione
della
donna
è
molteplice
e
,
per
certi
aspetti
,
contraddittoria
.
I
pregiudizi
,
l
'
educazione
sentimentale
,
il
fardello
di
una
tradizione
antica
,
un
certo
calcolo
autoritaristico
la
legano
alla
famiglia
tradizionale
;
ma
intanto
non
perde
occasione
per
sottrarsi
alla
autorità
dispotica
dell
'
uomo
e
per
rivendicare
quella
parità
che
conduce
inevitabilmente
alla
famiglia
ristretta
.
Alcune
il
diritto
alla
parità
se
lo
sono
guadagnate
sul
campo
,
guidando
l
'
emigrazione
:
lei
che
viene
su
da
uno
zio
,
da
un
fratello
,
con
i
figli
per
dar
tempo
a
lui
di
vendere
la
casa
o
il
campo
.
Lei
che
trova
la
casa
e
il
lavoro
per
lui
,
che
gli
fa
da
guida
nel
nuovo
mondo
,
che
contribuisce
,
lavorando
essa
pure
,
al
mantenimento
della
famiglia
.
Allora
in
casa
ci
si
rende
conto
,
poco
a
poco
,
che
sono
finiti
i
lavori
collettivi
dei
contadini
e
dei
pescatori
,
che
la
famiglia
non
ha
più
introiti
propri
,
ma
una
somma
di
introiti
.
Gradualmente
si
fa
strada
il
concetto
che
il
guadagno
della
moglie
,
della
figlia
,
della
sorella
non
è
automaticamente
e
totalmente
un
guadagno
della
famiglia
.
Pian
piano
si
arriva
al
concetto
della
donna
che
dà
alla
famiglia
la
sua
quota
come
l
'
uomo
:
«
Ho
detto
a
mio
padre
che
ero
stufa
di
dare
tutto
in
casa
,
gli
ho
detto
di
fissarmi
la
mia
parte
,
lui
mi
ha
dato
uno
schiaffo
,
ma
adesso
si
è
abituato
»
.
E
si
diffonde
l
'
abitudine
delle
donne
a
farsi
intestare
beni
immobili
,
ad
avere
un
patrimonio
proprio
,
a
dividere
la
vita
sociale
del
marito
.
Avere
un
figlio
senza
essere
sposate
è
sempre
una
brutta
faccenda
,
ma
non
è
più
un
dramma
.
Qui
il
figlio
puoi
tenerlo
e
nessuno
trova
da
ridire
se
sei
in
grado
di
mantenerlo
.
Perché
qui
l
'
importante
è
questo
,
di
avere
sempre
una
copertura
economica
.
Le
donne
lo
capiscono
prima
degli
uomini
,
è
merito
loro
il
controllo
delle
nascite
,
quasi
automatico
di
fronte
alle
necessità
del
nuovo
mondo
:
«
Questo
e
poi
basta
»
.
Le
donne
fan
presto
a
capire
cosa
costa
allevare
un
figlio
nei
giorni
duri
e
caotici
della
rivoluzione
industriale
.
Su
cento
bimbi
di
immigrati
nel
Milanese
una
quarantina
vengono
affidati
ad
amici
o
parenti
,
una
decina
lasciati
nei
paesi
di
origine
,
venti
affidati
agli
asili
e
gli
ultimi
venti
,
anche
se
potrà
sembrare
incredibile
,
lasciati
senza
alcuna
custodia
.
Così
la
voglia
di
figliare
passa
:
se
la
media
delle
famiglie
in
arrivo
è
di
circa
quattro
figli
quella
delle
famiglie
costituite
qui
scende
a
due
.
La
civiltà
consumistica
ed
edonistica
non
ama
le
famiglie
troppo
numerose
.
O
almeno
non
le
ama
finché
non
sono
ricche
abbastanza
per
concedersi
quel
lusso
.
E
ci
vuole
tempo
,
parecchio
tempo
,
prima
che
gli
assetati
di
nuovi
piaceri
riscoprano
che
il
piacere
dei
figli
è
il
meno
illusorio
.
I
consumi
inesistenti
I
consumi
sono
aumentati
e
aumentano
,
in
tutta
la
fascia
.
Sicché
volendo
si
possono
applicare
anche
qui
i
teoremi
americani
del
consumo
concupiscente
e
simbolico
.
Solo
che
non
bisogna
perdere
il
senso
delle
proporzioni
:
siamo
ancora
,
nel
migliore
dei
casi
,
a
un
consumo
di
massa
continuativo
limitato
a
35
,
40
persone
su
100
,
le
altre
65
,
60
,
appena
al
livello
della
sussistenza
,
neanche
una
lira
dopo
quelle
necessarie
al
cibo
,
all
'
alloggio
e
a
un
vestito
.
E
la
preparazione
culturale
di
quelli
che
acquistano
è
talmente
bassa
che
bisogna
rivedere
e
adattare
i
sistemi
di
vendita
.
Per
esempio
quello
della
cornucopia
straripante
,
dell
'
abbondanza
a
portata
di
mano
,
tipica
dei
supermarket
sembra
peccare
,
a
volte
,
per
eccesso
di
fiducia
economica
e
culturale
.
A
Sesto
,
a
Monza
,
a
Legnano
,
i
direttori
dei
grandi
magazzini
osservano
sia
i
clienti
che
«
comprano
tutto
e
poi
si
arrabbiano
»
(
l
'
insufficienza
economica
dopo
il
raptus
consumistico
)
sia
quelli
«
tutti
stupiti
quando
devono
restituire
una
parte
degli
acquisti
perché
non
ce
la
fanno
a
pagare
»
(
Insufficienza
economica
,
ma
anche
analfabetismo
,
incapacità
di
leggere
i
prezzi
.
)
In
tutta
la
fascia
la
razionalità
dei
self
service
deve
fare
i
conti
con
l
'
ignoranza
del
pubblico
:
inutile
dividere
le
taglie
degli
abiti
secondo
il
colore
degli
attaccapanni
,
il
rosso
taglia
grande
,
il
giallo
taglia
media
,
il
verde
piccolo
,
se
poi
i
clienti
non
sanno
leggere
il
cartello
con
le
indicazioni
.
Ed
è
frutto
dell
'
ignoranza
,
più
che
della
povertà
,
l
'
equivoco
che
sta
alla
base
dei
numerosi
furti
:
servirsi
da
soli
eguale
a
mancanza
di
controlli
.
Poi
finisce
che
le
ragazze
vengono
trovate
con
addosso
il
costume
da
bagno
indossato
sotto
i
vestiti
,
nel
camerino
di
prova
;
e
gli
uomini
con
le
matite
,
gli
accenditori
,
i
portamonete
e
le
altre
cose
piccole
nelle
tasche
.
Ecco
un
altro
modo
di
definire
le
due
avventure
:
nel
West
della
conquista
,
furti
di
mandrie
e
di
cassette
d
'
oro
,
qui
furti
da
supermercato
.
Il
Milanese
è
molto
più
civile
del
West
:
perciò
vi
si
ruba
speculando
,
nei
limiti
del
codice
.