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> autore_s:"Bocca Giorgio"
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Mi chiedono una dichiarazione sul digiuno di Marco Pannella . La faccio qui pubblicamente . Il digiuno di Marco Pannella ha per me un chiaro significato demistificatorio , ricorda al rivoluzionarismo lagnoso e mitomane di casa nostra questo fatto incontrovertibile ma così spesso dimenticato : noi stiamo fra i ricchi della terra , la civiltà industriale , il capitalismo industriale , privato o di Stato , sarà quel " sistema di merda " che dicono i nostri supersinistri , ma in due secoli ha fatto ciò che non si era fatto nei millenni , quel non fatto per cui nel mondo muoiono ancora ogni anno quindici milioni di persone per fame . Diciamo che il digiuno di Marco Pannella ci restituisce un minimo di senso della proporzione e ci consiglia a smetterla con le varie mode luddiste , esotiche , antindustriali . Un amico economista mi scrive da Londra : " Leggo ogni tanto sui giornali italiani le tirate antindustriali e anticapitalistiche dei vostri rivoluzionari . Vorrei ricordargli quanto segue : l ' Europa ha impiegato ottocento anni per ritornare al tenore di vita del quinto secolo , alla fine dell ' impero romano e fino alla rivoluzione industriale inglese il tasso annuale di crescita è stato poco più di zero . Ancora nel 1800 in Francia quattro persone su cinque spendevano tutto il loro salario per l ' acquisto del pane e in tutta la Germania non c ' erano mille persone con un reddito pari a sei milioni di oggi . Le più grandi nazioni comuniste , la Russia e la Cina hanno dovuto inchinarsi all ' evidenza , hanno dovuto reintrodurre i meccanismi e i valori del capitalismo industriale . " Nei paesi dell ' Occidente " , prosegue l ' amico economista , " la crescita economica del 1945 ad oggi è stata sbalorditiva con aumenti annui del 4,2 per cento di investimenti superiori al 20 per cento . Lo strumento del benessere c ' è , l ' uomo lo ha finalmente trovato dopo i millenni della fame . Si tratta di farlo funzionare con un minimo di intelligenza e con un minimo di giustizia " . Sì , io credo che il gesto di Marco Pannella abbia proprio questo significato : di ricordarci che cosa è il mondo dei poveri veri , dei diseredati veri , degli affamati veri e che cosa siamo noi al confronto . A volte sembra di assistere , in questo nostro paese che pure ha i suoi problemi e magagne e sofferenze reali , a una sorta di culto o di revival delle piaghe che ci siamo lasciati alle spalle . Abbiamo smesso di fare stupide guerre ? In questa Europa che sembra rinsavita , austriaci , jugoslavi , francesi non desiderano più di spostare i segnali di confine al prezzo di milioni di morti ? Noi non abbiamo più delle Trento e delle Trieste da liberare con montagne di cadaveri , insomma non ci sono più i nemici ? Ce li inventiamo , ci spariamo l ' uno contro l ' altro . " Chi assiste alle assemblee " proletarie sa bene che i giovani di certe zone metropolitane hanno una vita grama , poche prospettive ; ma il modo barbone straccione in cui si vestono , gli abiti e le sciarpe , le barbe da lumpenproletariato appartengono in qualche modo al desiderio di un riflusso preindustriale , ai bei tempi in cui il proletariato aveva da perdere " solo le sue catene " . Non è più così , per fortuna , il proletariato italiano oggi ha da perdere molto , tutto ciò che gran parte del mondo gli invidia , quel livello di vita che i nostri sovversivi dicono " di merda " , ma di una merda che il Terzo mondo spalmerebbe volentieri sul suo pane . I giovani , rivoluzionari o meno , diranno che queste sono chiacchiere da guru rincoglionito . Può darsi : ma saremmo dei pazzi , degli stupidi , se rompessimo la macchina del benessere che abbiamo messo assieme con i sacrifici e le fatiche terribili di non so quante generazioni . In mancanza di argomenti più seri ogni tanto i nostri sovversivi dilettanti , nemici del capitalismo industriale , ci ricordano che esso fa ogni anno tremila morti sul lavoro . Perché non contano quanti morivano di fame , di stenti , di malattie nelle società preindustriali ? E a scanso di equivoci direi ancora : capitalismo industriale non significa i padroni delle ferriere , può voler dire società riformata e socialista .
StampaQuotidiana ,
Se capita a Milano , Alberto Sordi , di professione comico , alloggia con il segretario in un Grand Hôtel del centro . Esattamente come ventidue anni fa quando diceva agli amici : « Scrivetemi al Continentale » . Difatti ci stava tutto il santo giorno , con addosso un fracchettino , attento agli ordini dei clienti , nella sala degli ascensori . Il pronipote di Antonio Cecchi , esploratore africano , impiegato come lift . Ma fu una breve esperienza . « A questo ragazzo gli manca la coscienza della classe alberghiera » diceva il capo - lift . « Facevo quel lavoro per non morire di fame in attesa di diventare un attore » spiega Sordi . Si deve dire che c ' è riuscito . Ai tempi della compagnia Riccioli - Primavera egli era un fauno debitamente cornuto e semicoperto da una pelle di daino . Immobile su un piedestallo fra ninfe danzanti ; con Oliver Hardy e con Mario Pio fu una voce , abbastanza celebre , ma solo una voce ; nel primo dopoguerra un caratterista di quelli che oggi ci sono e domani nessuno se li ricorda ; con Za Bum un presentatore di successo ma sempre un presentatore . Oggi è l ' attore di cinema più popolare e perciò il più richiesto e il meglio pagato . Come a dire un uomo arrivato . In una stagione ha interpretato nove film , la sua media annuale non scende mai sotto i cinque . « Applico la teoria dei molti » dice . « Fai molti film , così impedisci agli altri di farne . » I : attore mi ha raggiunto in una saletta dell ' Hôtel ( Grand , si capisce ) in cui alloggia e risponde alle mie domande con amichevole cortesia . « Mica male la teoria dei molti » dico io . « Ma senta , una vena di crudeltà è indispensabile al suo umorismo ? » « Che vuol farci » risponde . « Io una vecchietta non la posso accarezzare . Con lo strazio nel cuore , mi creda , devo strapparle un orecchio . Se no di che ride la gente ? » Alberto Sordi si guarda le mani , compiaciuto , come se ci avesse versato sopra quel suo cinismo professionale all ' acqua di rose , che subito svapora . Lui sa bene che l ' orecchio della vecchietta sarà sempre finto : e dorme sonni tranquilli , non ha rimorsi . Si gira sul sofà , rotea i suoi occhi tondi . « Sa che diceva Flaiano l ' altra sera ? Che l ' umorismo è finito , che c ' è poco da ridere ai nostri giorni . Ma che vuole ! Che resti disoccupato ? E poi , mi dica lei , senza umorismo come li diffondiamo i messaggi importanti ? » Placido , le guance tonde , i capelli morbidi e scuri , il devoto segretario pronto a ogni ordine , i clienti del Grand Hôtel che lo osservano e sorridono , egli non sembra eccessivamente preoccupato per le sorti dell ' umorismo . E quando parla di messaggi importanti fa un vocione così profondo e occhioni così allusivi che io devo sorridere . Lui , impudicamente , se ne compiace . Per l ' ennesima volta il meccanismo segreto ha funzionato a dovere . Una inflessione di voce , un gesto , un ' espressione degli occhi ed io , che in questo momento sono il suo pubblico , ho reagito come dovevo : sorridendo . A quarant ' anni Alberto Sordi sta sulla cresta dell ' onda con l ' aria di chi vuol rimanerci per un pezzo e con bella serenità . Egli è così ricco di talento che può dilapidarlo in molti film mediocri . Gliene resta sempre abbastanza per essere il più notevole dei nostri attori cinematografici . « Stia a sentire , Sordi , se ora le dico che lei è il migliore attore italiano come si comporta ? Subisce la tentazione della falsa modestia o ci sta ? » « Be ' , vorresti che fossi proprio io a obbiettare ? Che vuoi che faccia ? Sorrido , scuoto un po ' il capo , ringrazio e dico che ci sto . Del resto non c ' è poi quella dovizia di buoni attori che sembra . Anche essere il primo , capisci ... » E ci fa su una delle sue risate ingenuo - sarcastiche , da uomo che non dimentica la gioia di ridere anche se ride di se stesso . Parliamo dei suoi personaggi . Gli chiedo come li crei . Osservando gli altri o guardandosi dentro ? Bozzettismo o autobiografia ? « Ho recitato » dice lui « le parti del ladro , del magnaccia , del magliaro , del bulletto e roba del genere . Posso dire che io sono quei personaggi ? Non potrei , ora che tengo una buona posizione , ma mica posso rinnegarmi . Certo c ' è una parte di me stesso dentro di loro . Quanta non saprei dirlo , è una cosa difficile . » La nostra sarà una conversazione breve : il segretario sta sfogliando il taccuino degli appuntamenti , un commendatore molto importante aspetta l ' attore a pranzo . E chi potrebbe in pochi minuti trovare la chiave di quel misterioso puzzle che è la creazione di un personaggio ? Tanti pezzi separati , di origine diversa , che l ' attore riesce a mettere insieme quando si ode il ronzio della macchina da presa . Sordi , certamente , è un osservatore acutissimo del ridicolo altrui . È poi un preparatore esigente del suo lavoro visto che riscrive o arricchisce quasi tutte le scene e i dialoghi che gli preparano . « Se un attore drammatico fa cilecca » spiega , « la gente lo perdona subito , dice che il poverino è stato sacrificato in una parte sbagliata . Ma se io non riesco a far ridere è finita , mi pigliano a pernacchi » . E insiste a raccontarmi che il suo è un « umorismo di situazioni » che fa ridere per ciò che accade più che per ciò che si dice . Sarà , ma io che lo osservo sarei tentato di pensare che il suo è un umorismo prevalentemente istintivo , una qualità infusa in ogni parte del suo ben nutrito corpo . Come se le guance , gli orecchi , le mani , il petto e persino le natiche sapessero reagire umoristicamente per conto loro , recitando ciascuna la sua parte . Sordi , è naturale , preferisce l ' aspetto ideologico del suo umorismo , dice e ripete che non si fa l ' attore comico improvvisando . Ma deve pur saperlo che al solo apparire sullo schermo del suo faccione infingardo una gaia eccitazione percorre la platea : e se non c ' è subito la risata c ' è sempre l ' aspettativa di una risata . Non esiste spettatore tanto opaco , voglio dire , che non reagisca in qualche modo alla sua presenza . Chi possiede questo dono comunicativo può anche sprecarlo se non lo sorregge con una intelligenza duttile e una preparazione seria . Ma non è il caso di Alberto Sordi , il più implacabile custode di se stesso che si conosca . Tanto da perdere ogni gusto dell ' ironia quando parla del suo successo , di come lo volle e lo ottenne , risultato categoricamente inevitabile e necessario . Ci fu un tempo , da ragazzo , che passava le mattine in casa esercitandosi nella danza resa famosa da Fred Astaire . Si affacciava nella stanza sua madre e diceva con una voce gentile , ma un po ' ironica : « Ma Alberto , perché pesti tanto con i piedi , che cosa è questo rumore ? » . Serissimo Alberto rispondeva : « Per tua regola , mamma , queste sono le claquettes » . Serio , come allora , dice a me che lo interrogo sulla sua fortuna : « Le assicuro che non è stata una vincita al lotto . La mia fortuna è fondata su basi vere . Prevista , ottenuta , durevole » . Non lo contraddico anche se ho il sospetto che un pochino esageri . Era proprio così sicuro di sé quella notte autunnale del '39 in cui si ritrovò piangente in un camerino del teatro Pace di Milano ? Lui e il suo partner Gaspare Sponticchia , decrepito danzatore di claquettes . Umiliati più che dai fischi , dal cupo silenzio di un pubblico che pure era di bocca buona . Lo era quando girava per Roma come agente assicuratore dell ' Alleanza , a percentuali invisibili e senza stipendio fisso ? Chi ha successo , è noto , ama proiettarlo anche nel suo passato e in quella che fu una lotta confusa e molto spesso casuale riesce a vedere disegni fermi e precisi . Per Alberto Sordi sono ormai lontani i tempi di Laura Nucci , del balletto Lorys , della pensione milanese a Porta Garibaldi dove una padrona ladra pagava il suo silenzio con magrissimi pasti . Triste acqua passata . Adesso Alberto ha la casa « più importante di Roma » , sul monte Ora , di fronte alle terme di Caracalla . Con la piscina e con il teatrino . Splendida . E a completare il trionfo il patriziato romano gli è largo di inviti e di simpatia . « Perché frequenta l ' alta società ? Divertimento , curiosità , gusto di rivincita ? » « Che le devo dire » fa lui , « a me questa gente che ha un bel nome e una bella ricchezza non mi dispiace . Chi la critica in genere non la conosce . Ce ne sono di spiritosi e di intelligenti , mi creda . Forse un pochino a corto di fantasia , ma a questo mondo , si sa , tutto non si può avere » . Mi dà un colpetto gentile su una spalla . « E poi » dice , « un po ' di sangue nobile ce l ' abbiamo tutti , non è vero ? E mica ci fa schifo se ce lo riconoscono . Te lo immagini un impiegatuccio o un operaio a cui arriva una patente di nobiltà che esce sul balcone strappandosi i capelli e gridando : mannaggia mi hanno fatto conte , li possino , proprio a me doveva capitare » . Si agita , è sul punto di saltar giù dal sofà , se non fossimo nel salone di un Grand Hôtel tradurrebbe subito in gesti e parole l ' intuizione comica che gli è venuta . E aggiungerebbe altri personaggi , altri episodi perché il suo umorismo è una reazione a catena difficile da controllare . « Dicono che qualche volta strafaccio . È vero , me ne accorgo anche io quando vedo il film . Ma ormai il film è una cosa che non mi appartiene più , devo già pensare al nuovo che sto girando . » Accenno a uno dei luoghi comuni delle sue biografie : l ' avarizia . « In casa mia » dice , « ho messo delle cose stupende , preziosissime . Alle mie sorelle e a chi mi sta a cuore non manca nulla . Io spendo molto , ma nel modo che preferisco . Se essere avaro significa avere un certo rispetto del denaro e un ' idiosincrasia per le spese inutili e cretine io sono un avaro . La verità è che questa storia è stata messa in giro da certi ambienti che conosco bene . Non gli va giù che io eviti via Veneto e certa gente di via Veneto . Alla malora ' sti , come li chiamano , rivoltati . Li possino » . « Se un attore badasse ai propri interessi dovrebbe andar cauto su certi temi » . « Sì , d ' accordo , so bene che sono loro , gli invertiti , che comandano nel nostro ambiente . Ma io dico che non se ne può più . E glielo dico in faccia . Se gli vado con le mie idee bene , se no vadano loro a quel paese » . « Pensa qualche volta alla vecchiaia ? Immagina come sarà , uomo ed attore , a sessant ' anni ? » Un attimo di riflessione , poi risponde : « Io evito con cura le persone in disfacimento . Ho il terrore della vecchiaia che corrompe il corpo e l ' intelligenza . Mi piacciono le persone anziane vivaci e benportanti . Spero che lo sarò . Non ho timori per la mia professione . Non sarò io a perdere il passo con i tempi . E poi mi sono conservato bene , non le pare ? A quarant ' anni sono ancora signorino . La mia regola è : vita attiva e buon umore . Ma qui a Milano come si fa ? Mamma mia guarda fuori , scuro che sembra notte , quasi quasi me ne torno in camera a dormire » . « Molte grazie , Sordi » . « Se vuol vedermi al lavoro » dice lui , « domattina " giro " in uno scalo ferroviario , si faccia dire dove dal mio segretario » . Lo scalo è quello di San Rocco dove c ' è una stazione per le locomotive . Ci vado , l ' indomani . Piove nella nebbia , l ' edificio è di un giallo sbiadito , fra il Cimitero Monumentale e lo scalo Farini . Intorno baracche , rotaie , orticelli tisici , fango , operai come ombre e tutti gli altri panni sporchi del neorealismo . Speriamo che sia almeno un film morale . Il titolo è Crimen ma ci recita Alberto Sordi , quello che fa ridere . Anche lui ha i suoi messaggi da diffondere . Magari più insidiosi e corrosivi di tanti altri che spaventano la censura . Comunque il censore potrà sempre dire : « Mica faceva sul serio . Era tutta roba da ridere » .
StampaQuotidiana ,
Gerusalemme , 11 aprile - Mi volto , e vedo Eichmann nella gabbia di vetro : il suo ingresso nell ' aula è stato rapido e discreto . È in piedi ; indossa un abito grigio ben stirato ; tiene il capo un po ' inclinato sulla spalla destra come un istitutore virtuoso e un po ' timido . « Siete voi Adolf Eichmann ? » chiede il presidente della Corte . « Jawohl » ( Sissignore ) , risponde lui , portando di scatto le mani tese sulla cucitura dei pantaloni . Ma poi le dita hanno un tremito , si agitano , si chiudono a pugno . Il gute Kamerade Adolf Eichmann deve aver visto sopra i giudici la menorah , il candelabro a sette braccia , che è il simbolo di Israele . Nella sala , gli occhi di cinquecento giornalisti sono fissi su di lui ; intorno al palazzo la folla preme contro le transenne , e fra scalpitii e urli i poliziotti a cavallo ne reprimono i rapidi tumulti . In ogni casa di Israele le radio portano le voci dell ' aula . Il medico visita l ' ammalato , il negoziante serve il cliente , l ' impiegato sbriga le sue pratiche , gli scolari stanno sui banchi , mentre le voci che giungono dalla Beit Haam , l ' edificio del tribunale , rievocano la tragedia che deturpa come una cicatrice il volto dell ' umanità . Nelle strade , nei bar le voci degli altoparlanti parlano di fatti avvenuti anni fa in quel continente chiamato Europa , che per molti israeliani significa , ormai , solo il cimitero delle loro famiglie . Mentre il presidente Landau sbriga i preliminari , Eichmann si accomoda su una sedia e rivolge alla sala uno sguardo calmo e meditabondo . Noto solo ora che ha una cravatta a strisce orizzontali su una camicia bianca . I suoi capelli sono radi e di un biondo sbiadito . Spesso si morde le labbra , ma a volte , forse per una curiosa contrazione nervosa , pare che sorrida . Due poliziotti , seduti alle sue spalle , non lo perdono d ' occhio ; un altro poliziotto spunta dalla scaletta che collega la gabbia ai locali sotterranei . Vedo Eichmann chinarsi sulle carte e sfogliarle , ma senza leggerle , solo per darsi un contegno . Qualcuno dirà che egli non ha nulla del mostro . Si è dimenticato troppo presto che la mostruosità nazista poteva celarsi - anzi di regola si celava - dietro una presenza dignitosa e professorale . Ora comincia la lettura dell ' atto di accusa . Il presidente legge i quindici capi d ' accusa con voce bassa e nasale per quasi un ' ora . Eichmann è accusato di avere provocato fra il 1939 e il 1945 , di concerto con altri , la morte di 6 milioni di ebrei , nella sua qualità di responsabile dell ' attuazione del piano nazista per lo sterminio fisico degli ebrei , noto sotto il nome di « soluzione finale del problema ebraico » . Scendono grevi nell ' aula le parole che parlano di torture , di denti d ' oro strappati ai morti , delle camere a gas . È l ' inferno tradotto in linguaggio burocratico , suddiviso ordinatamente in comma , paragrafi , motivazioni , postille . È il tentativo di ricondurre una strage tanto assurda da parere impunibile nelle definizioni di una giustizia penale capace di punire . L ' accusa contro Eichmann poteva ridursi a queste parole : egli fu il tecnico del genocidio . Invece si è voluto distinguere , catalogare , mettere nell ' elenco le successive stragi , ciascuna con il nome del luogo , le circostanze , il numero delle vittime , la loro provenienza , il sesso . E porre accanto all ' imputazione preminente della strage le altre imputazioni , apparentemente secondarie , di furto , coercizione , terrorismo , deportazione , persecuzione , associazione a delinquere . Non per semplice gusto pedantesco , non per il piacere di prolungare l ' accusa : ma con il preciso intento di porre il nazismo di fronte alle sue circostanziate , definite responsabilità penali . È troppo presto per dire se il processo riuscirà nel suo intento . Ma è chiaro sin d ' ora il suo meditato rifiuto alle astrazioni pseudofilosofiche e pseudostoriche , la sua precisa volontà di restare entro i limiti di quella giustizia e di quella morale che il mondo civile ha elaborato nei secoli . Non a caso nell ' atto di accusa si parla raramente di ideologia nazista e invece si ripete la frase : « L ' imputato , di concerto con altre persone , ha commesso ... » , che sembra tratta da un qualsiasi procedimento giudiziario . Quasi per sottolineare che egli non è il rappresentante di un ' ideologia filosoficamente discutibile , ma solo l ' esponente di una « anonima assassini » . Durante la lettura Eichmann rimane immobile , senza volgere uno sguardo alla sede e al pubblico del suo processo . Certo questa giustizia concede pochissimo agli effetti scenografici . La sala con la sua gabbia di vetro , il suo palcoscenico , i suoi mobili chiari e razionali , la sua spoglia funzionalità , ha l ' aspetto di uno studio televisivo . Se non fossero quei soldati armati dentro la gabbia , Eichmann potrebbe sembrare un tecnico del suono attento alla registrazione . Potrebbe , se la voce bassa e nasale del magistrato che legge i capi d ' accusa non ricordasse un ' altra immagine : un Adolf Eichmann più giovane , intento , nella primavera del '44 , ad osservare attraverso una feritoia la morte di centinaia di persone chiuse in una camera a gas , mentre fuori - come annotava il suo collaboratore Rudolf Hoss - « i frutteti di Auschwitz erano in fiore » . Terminata la lettura dell ' atto d ' accusa , il presidente chiede all ' imputato : « Avete compreso le accuse mossevi ? » . Eichmann assentisce . « Sì , naturalmente » , e il presidente lo invita a sedere . Ora tocca al difensore di Eichmann , l ' avvocato tedesco Robert Servatius . « Prima che Eichmann sia chiamato a rispondere se si ritiene colpevole oppure no » egli dice « vorrei fare alcune obiezioni . Esse riguardano la serenità e la competenza di questa Corte . » Servatius si interrompe per dar tempo ai traduttori di ripetere le sue parole in ebraico , seppure tutti i giudici capiscano perfettamente il tedesco . Servatius è un bell ' uomo , con i capelli d ' argento e l ' aspetto florido del ricco borghese della Renania . Quando può riprendere il discorso , egli svolge temi previsti ; questa giustizia non può essere serena . Uno dei giudici ( egli allude al giudice Halevy ) ha già espresso il suo giudizio sfavorevole sull ' imputato . Inoltre questo giudice ha avuto dei parenti uccisi dai nazisti . Tutti i giudici , del resto , nella loro qualità di ebrei sono parte in causa . Inoltre , a questo processo è stata data una pubblicità mondiale che non può non influenzare il giudizio : per la stampa mondiale la condanna dell ' imputato è già pronunciata . La Corte - prosegue Servatius - è incompetente a giudicare un cittadino straniero come Eichmann : solo la giustizia dello Stato tedesco , erede dello Stato al cui servizio era l ' imputato , può giudicarlo . È poi evidente - e la difesa si ripromette di darne la prova - che l ' imputato è stato rapito e condotto a forza in Israele . La lettera in cui dice di essere spontaneamente venuto a questo giudizio gli è stata estorta , e anche di ciò la difesa darà la prova . Servatius conclude le sue obiezioni invitando la Corte a riconoscere la sua incompetenza e ad accettare la legittima suspicione che infirmerebbe il suo giudizio . Gli risponde con tagliente ironia il procuratore generale , Hausner : se la difesa dell ' imputato cerca giudici di serenità e distacco di fronte a un delitto come il genocidio , è da temere che non li troverà né in questo né in un altro pianeta . Il popolo di Israele , atrocemente colpito dai delitti nazisti , ha pieno diritto di giudicare í colpevoli nazisti . La dichiarazione scritta dell ' imputato fu rilasciata spontaneamente . Nulla vieta alla giustizia di proseguire il suo corso . Alle 13 l ' udienza viene sospesa per proseguire alle 16.30 . L ' udienza pomeridiana si inizia alle 17 . Eichmann , attendendo l ' ingresso della Corte , ha scritto un biglietto che ha consegnato al suo difensore Servatius . Egli appare , come stamane , calmo e attento . Ogni tanto tira fuori da una tasca interna della giacca un fazzoletto bianco , si asciuga le labbra e il mento , e poi lo ripiega con cura . Il presidente invita il procuratore a concludere la sua risposta alle obiezioni della difesa . « La difesa » dice il procuratore « sostiene che questo processo ha , come premessa , un rapimento , cioè un atto illegale . E ne deduce che anche il processo è illegale . Come dimostra un ' ampia casistica , questa deduzione è già stata respinta dalle Corti supreme di molte nazioni civili . Anche ammessa la colpa di Israele nel rapimento di Eichmann non viene meno íl diritto di Israele , una volta che Eichmann è nel suo territorio , a giudicarlo . Io dico che è del tutto irrilevante stabilire in quali circostanze Eichmann fu condotto in Israele . L ' unica cosa importante per Israele è di giudicarlo per i milioni di ebrei che ha sterminato nei 180 campi di concentramento organizzati dalla Germania nazista . Per questa Germania egli non fu , come sostiene il suo avvocato , un funzionario di second ' ordine . In questa Germania egli ebbe il compito , come dimostreremo , di " liquidare " gli ebrei ed altri popoli " inferiori " . Quanto alla colpa di Israele , per ciò che si riferisce al rapimento di Eichmann , ricordo a questa Corte , che Israele ha già risolto la questione con l ' Argentina mediante trattative diplomatiche . Un documento pubblicato a Gerusalemme e a Buenos Aires , da entrambe le parti , afferma che il " caso Eichmann " è considerato chiuso . L ' udienza è rinviata a domattina alle 9.»
È sempre più un'isola ( Bocca Giorgio , 1961 )
StampaQuotidiana ,
Berlino , 16 agosto - Qui a Berlino , pioggia , freddo e reticolati : Ferragosto livido e ore cariche di ansia . I tedeschi - est ( due divisioni corazzate sovietiche si sono avvicinate durante la notte alla città ) continuano a rafforzare il blocco , alzano lastroni di cemento dietro il filo spinato , come se la chiusura della città dovesse diventare definitiva . In pratica , nessuno può ormai raggiungere legalmente l ' Occidente . I treni che viaggiano dalla Repubblica democratica alla Repubblica federale vengono fermati sulla linea di demarcazione ; anche se hanno il permesso , i cittadini della zona sovietica vengono fatti scendere . Intanto le grandi Potenze occidentali tacciono , la nota di protesta dei comandi alleati appare debole anche nella forma . Berlino non è mai stata così « insulare » . Solo sedici persone nelle ultime ventiquattr ' ore sono riuscite a passare nella Berlino occidentale : alcune a nuoto per canali che attraversano la città , alcune , come un soldato , saltando i rotoli di filo spinato . Ma ora í militi comunisti hanno ricevuto l ' ordine di sparare sui fuggiaschi ; adesso la porta sembra davvero sprangata . Degli 83 passaggi per cui fluiva la vita della grande città ne sono rimasti aperti praticamente solo tre . Ho provato stamane quello della Wollankstrasse : i militi comunisti , prima di lasciarmi passare , nonostante il passaporto straniero , hanno voluto telefonare a un loro comando . Si capisce che la promessa di libero transito , per i berlinesi occidentali che siano « pacifici cittadini » , è un impegno quanto mai vago ; certo che i berlinesi occidentali non sembrano disposti ad approfittarne , e le comunicazioni fra le due città appaiono congelate . Città insulare , la Berlino occidentale ha bisogno in queste ore di una voce che sappia confortarla e guidarla . Quella del cancelliere Adenauer è lontana e stonata : anche in quest ' ora drammatica non rinuncia alle polemiche elettorali . Resta la voce del borgomastro Willy Brandt , non un uomo di genio , ma un uomo di coraggio . Alle 16 duecentomila berlinesi si adunano nella Rudolf Wilde Platz : piove a folate , schiarite per pochi minuti e poi altre nubi nere vengono a sfilacciarsi fra queste case di vetro e di cemento . La folla è ordinata dietro i cartelli delle fabbriche e dei sindacati . Leggo alcuni patetici motti : « Con la carta stampata non si resiste ai carri armati » , « Sono trascorse novanta ore e l ' Occidente non ci ha rivolto nessuna parola » , « Dove sono le garanzie ? Le promesse sono solo promesse ? » . Continuando ad arrivare gente , l ' assembramento si inspessisce , qualcuno nella calca sviene , passano rapide fra ululii di sirene le autoambulanze . Durante le schiarite le facciate delle case sono di un bianco squallido , alla Utrillo , e i visi di un colore marrone scialbo . Poi con la pioggia tutto si perde nel grigio . La voce del borgomastro è rauca e commossa . « Il padrone rosso » esordisce « ha allentato di un anello la catena al cane Ulbricht e gli ha permesso di mandare i carri armati a Berlino . Noi siamo qui per dire al cane Ulbricht che difenderemo la nostra libertà e la nostra indipendenza . Questo raduno deve dimostrare al mondo che noi non abbiamo rinunciato alla libertà e all ' unità del popolo tedesco » . « In queste ore tristissime » prosegue il borgomastro « molti nostri fratelli arruolati loro malgrado nella milizia comunista sono costretti a rivolgere le armi contro i loro concittadini . Fratelli di Berlino - Est , noi facciamo appello alla vostra coscienza : non sparate in nessuna occasione contro chi è del vostro stesso popolo , evitate , come noi vogliamo evitarla , una guerra fratricida » . Brandt ha in seguito annunciato le prime misure prese dal Senato della città come rappresaglia al blocco comunista ; la soppressione del giornale comunista « Warheit » ; l ' espulsione dei corrispondenti tedeschi - est ; la soppressione del conguaglio pagato dai berlinesi occidentali che ancora lavorano nel settore comunista . Ha detto pure che i comandi militari alleati « considerano con favore la sua proposta di assumere l ' amministrazione della ferrovia sopraelevata del settore occidentale ; amministrazione fino ad ora tenuta dai sovietici » . ( Ma le autorità tedesche - est hanno prontamente risposto che questo gesto « condurrebbe inevitabilmente al blocco di Berlino - Ovest » ) . Ovviamente non sono queste misure poliziesco - amministrative che possono bloccare le ansie e le aspettative dei duecentomila adunati sulla piazza e dei milioni in ascolto di qua e di là dei reticolati . E Willy Brandt viene agli argomenti di fondo , alle iniziative politico - militari . Comunica la notizia della visita del generale Clarke a Berlino ( una visita - lampo : il comandante delle Forze americane in Europa si è incontrato con Brandt e ha compiuto una rapida ispezione ai reparti ) ; poi dice : « Ho mostrato a Clarke la sopraffazione commessa dai comunisti , gli ho fatto vedere le violazioni patenti che commettono ad ogni ora , ad ogni minuto . Egli sa qual è la situazione . Poi ho scritto una lettera al presidente Kennedy . Gli ho detto a nome vostro che Berlino non può più accontentarsi di incoraggiamenti e di note di protesta , gli ho detto che Berlino ha bisogno di un preciso impegno politico . Siamo arrivati al punto in cui non si può arretrare . Noi berlinesi vogliamo la pace , ma non capitoleremo mai . Il Senato della città ha deciso di investire del problema berlinese le Nazioni Unite . Intanto noi invitiamo i rappresentanti di tutte le Nazioni del mondo qui a Berlino . Vengano e vedano con i loro occhi che cosa significa per i comunisti il rispetto dei trattati e del diritto . » « Certo sarebbe stato bello e lo sarebbe se il Parlamento federale scegliesse questa occasione per riunirsi a Berlino » ha proseguito Brandt . « La prudenza che lo ha trattenuto finora dal farlo a quanto pare non è stata premiata . Se la situazione non muterà , la Germania federale dovrà prendere gravi misure contro la Germania di Pankow : interrompere ogni rapporto culturale , rifiutare ogni invito alla Fiera di Lipsia . Se ci sono degli uomini d ' affari che in questa congiuntura vogliono far denari coi nostri aguzzini vadano pure a Lipsia : ma non facciano più ritorno » . « È giunto » ha concluso Brandt « il momento della decisione . Ciascun uomo libero si renda conto che qui non si gioca solo il destino di Berlino , ma anche il suo destino . Non bisogna più mollare di un pollice . Noi siamo pronti a resistere anche da soli . » Il borgomastro Brandt aveva appena finito di parlare e già la radio comunista commentava in modo sarcastico il discorso . « Le proteste degli alleati e i fieri propositi del borgomastro hanno il peso di questo foglietto » diceva uno speaker della televisione sorridendo e agitando un pezzo di carta . Alle minacce di sanzioni economiche ( lo scambio di merci raggiunge una cifra di due miliardi e ottocento milioni di marchi ) le autorità comuniste hanno già risposto con la minaccia di un blocco totale di Berlino . Esse concederebbero il passaggio solo ai rifornimenti destinati alle truppe alleate e con il pretesto della « sospensione dei rapporti economici » bloccherebbero anche quelli destinati alla popolazione civile . Ma a questo punto il litigio fra i tedeschi ( questo assurdo litigio fra nemici , non si sa se veri o simulati ) può durare all ' infinito e non risolvere nulla . La verità è che a questo punto la decisione spetta alle due superpotenze , all ' America e alla Russia . Solo esse nei prossimi giorni possono dirci se ancora è possibile l ' accordo .
Mille fabbriche nessuna libreria ( Bocca Giorgio , 1962 )
StampaQuotidiana ,
Fare soldi , per fare soldi , per fare soldi : se esistono altre prospettive , chiedo scusa , non le ho viste . Di abitanti cinquantasettemila , di operai venticinquemila , di milionari a battaglioni affiancati , di librerie neanche una . Non volevo crederci . Poi mi hanno spiegato che ce n ' era una , in via del Popolo : se capitava un cliente , forestiero , il libraio lo sogguardava , con diffidente stupore . Chiusa per fallimento , da più di un anno . Diciamo che il leggere non si concilia con il correre e qui , sotto la nebbia che esala dal Ticino , è un correre continuo e affannoso . Tribù fameliche giungono dalle province venete e dalla Calabria ; sui prati che videro galoppare i falconieri di Francesco Sforza sorgono , nel consueto disordine , baracche , villette e condomini ; negli invasi delle risaie crescono i pioppi di pelle bianca e va spegnendosi il grido del sorvegliante « pianté ben tosann » . Ora anche i braccianti della Lomellina si inurbano in questa Vigevano dove i contadini possono diventare ciabattini e i ciabattini industriali nel volgere di poche settimane . Avanti popolo , la ricchezza è a portata di mano , di fallimento non si muore e se va bene va bene , il denaro circola , il disoccupato manca , le boutiques , i negozi di primizie , i fiorai sono gli stessi di via Montenapoleone e più cari , gli elettrodomestici e le automobili si vendono che è un piacere . « Ma dice sul serio ? Non c ' è neanche una libreria ? » « Dico sul serio , non c ' è » . « Vorrebbe sostenere che a Vigevano è impossibile acquistare un libro ? » « Non ho detto questo . A Vigevano ci sono molte cartolibrerie . Potete trovarci tutti i libri mastri che volete . E La monaca di Monza del Mazzucchelli , se non è esaurito » . « Via , la smetta con i paradossi . Dica piuttosto , sinceramente , che impressione le ha fatto questa provincia toccata dal miracolo economico » . Io lo dico . Dico un miracolo vero , per intervento soprannaturale . Togliete Dio , il demonio o un ' altra presenza metafisica e spiegatemi , se siete capaci , questo rigoglio economico sbocciato fra il disordine , il dilettantismo , il rifiuto di ogni regola associativa . Se non c ' è stata una Pentecoste , chi ha infiammato questi rappresentanti di commercio , meno che monoglotti , alla conquista dei mercati mondiali per le italian shoes ? Se non c ' è stata l ' illuminazione di uno spirito santo , chi consentirebbe al mio interlocutore , appena alfabeta , di sentenziare con sicurezza : « A me se mi chiudono il Congo me ne sbatto . Io ti penetro in Birmania e aumento le vendite » ? Commerci misteriosi per una misteriosa industria . Che a Vigevano si producano scarpe lo sanno tutti , ma quante siano le fabbriche e i fabbricanti , di preciso , non lo sa nessuno : solo un terzo degli operai è controllato dai sindacati , neppure un quarto degli industriali dalla loro associazione . Credeteci o meno , ma l ' unico elenco degli industriali che esista è quello telefonico . A fidarcisi potremmo dire che i fabbricanti di scarpe piccoli e grossi , con almeno dieci operai , sono più di novecento . Ma non ci si può fidare , nello spazio di un anno un centinaio almeno hanno fatto fallimento o hanno cambiato genere e va a sapere quanti li hanno sostituiti . Non più di quattro o cinque aziende sono guidate da criteri industriali . Il resto si regge sul lavoro furibondo , sull ' intuito commerciale , su un ottimismo indomabile . Una borghesia in formazione , dinamica , laboriosa e audace quanto zotica , eterogenea e , per certi aspetti , miope , conduce la confusa battaglia . I « padroncini » si strappano gli operai specializzati , riempiono di CERCASI ESPERTO le colonne della pubblicità , ma guai a parlargli di un qualsiasi contributo alla istruzione professionale . Due anni fa l ' assessore all ' istruzione pubblica ottenne dalla prefettura di Pavia la creazione di una scuola per segretari di azienda , contabili , corrispondenti in lingue estere . Allora chiese agli industriali un contributo di due milioni . « Ma l ' è matt , lu ! » gli dissero . Qui , per l ' amministrazione aziendale , basta e cresce la « signorina » che ha fatto l ' avviamento . Se qualcuno assume un ragioniere dà scandalo , lo aspettano al caffè Commercio per dirgli : « Un ragiunier in te n ' ufficina ! Ma chi te credes d ' es diventaa ? » . Quando si trattò di istituire un corso per orlatrici il Necchi di Pavia mise subito le macchine a disposizione , ma quelli di Vigevano neanche una lira , sicché le orlatrici , adesso , se le tirano su in fabbrica rimettendoci il quadruplo o il quintuplo . E non parliamo delle cooperative edilizie contribuendo alle quali avrebbero dato una casa ai loro operai . Su mille e passa aziende una sola ci ha pensato . Si dirà che Vigevano fa storia a sé . Può darsi , ma ho la vaga impressione che nella provincia italiana toccata dal miracolo la piccola industria sia in gran parte così , avventura e improvvisazione . Di certo essa sta mettendo quantità enormi di denaro nelle mani di neoborghesi impreparati a spenderlo , combattuti fra il desiderio di mostrarlo e quello di nasconderlo , terrorizzati al pensiero di perderlo . Questi neoborghesi ignorano la certezza metafisico - aristocratica di non poter mai , in nessun caso , vivere senza vantaggio e privilegio , dalla quale i signori di un tempo traevano il loro impeccabile stile . Gli è pure sconosciuto quel fiducioso , illimitato , persino candido rispetto per il denaro che dava serena imponenza al volto dei commendatori e cavalieri ufficiali . Il loro rapporto con il denaro è più difficile e ambiguo : un desiderio - vergogna , una avidità che non ama confessarsi , un continuo esitare fra lo scialo pacchiano e la forsennata conservazione . Il loro sogno è di sposare la figlia a un industriale figlio e nipote di industriali . Matrimonio celebrato da un cardinale , e se proprio non si può da un vescovo . Possibilmente con il ministro Pella fra gli invitati . Uno ci è riuscito sborsando non so quanti milioni a un ' opera pia . La sposa indossava un abito da mezzo milione , gli invitati erano un centinaio e don Gianni Scotti ( il fratello di don Beppe , generali e diplomatici in famiglia , un ' antica famiglia , un po ' a corto di grano , si sa ) era il maestro delle cerimonie . Però tutto si è svolto a debita distanza da Vigevano . A Vigevano prudenza . Sono finiti i tempi in cui i Masseroni e i Crespi ( del ramo scialacquatore ) spendevano e spandevano in gioconda pubblicità contendendosi le ballerine di Macario per i balli di Carnevale e ostruendo le strade con i loro macchinoni - cetacei . Adesso tutto è cambiato : c ' è dieci , venti volte più denaro di allora , si spende più di allora , ma senza mettersi in piazza . Certo qualche notizia in un modo o nell ' altro trapela : uno si è fatto una villa da un miliardo e duecento milioni con taverna , patio , piscina , giardino d ' inverno , colonne di Assuan e scimmie destinate a broncopolmoniti letali ; un altro va a correre in go - kart alle Bahamas o a Tokio come suo padre sarebbe andato , in bicicletta , a Casalpusterlengo o a Sartirana . In una casa sono raccolti duecento e cinquanta quadri del Magnasco e di buoni maestri ottocenteschi ( degli astrattisti in provincia non ci si fida ) ; in un ' altra quindici Fornara dei più importanti . Gli eletti , vicini all ' olimpo aristocratico di don Beppe e di don Gianni Scotti , hanno mobili antichi di notevole valore . Gli altri , la maggioranza , si accontentano di quel che passa la Brianza purché stracarico di marmi , dorature e cristalli . Le automobili sono quattromila . Aggiungete gli automezzi ad uso industriale , le motociclette , gli scooter e scoprirete una città fra le più motorizzate d ' Italia . La più motorizzata in fatto di Giuliette più o meno sprint . Però le grosse automobili di lusso non compaiono . Restano lontane , come le ville al mare o in montagna , come i motoscafi e i panfili che navigano sotto le lacere e gloriose bandiere del Panama e della Costarica . Volendo , anche dal poco che appare a Vigevano , ci si potrebbe fare una idea di un certo tenore di vita : signore che spendono in cure di bellezza , pettinatrice e profumi , centomila lire al mese ; un abito al mese per quelle modeste , uno ogni tre giorni per le maniache . Ma in giro si vedono poco , appena possono scappano a Milano o spariscono per mesi a Cortina , a Rapallo . A Vigevano restano i mariti per fare i soldi e occuparsi delle « relazioni umane » . Che sono in parte frutto di ipocrisia , ma in parte sincere : una certa modestia popolaresca non dispiace a questi ruvidi self made men . Se a Milano , per esempio , ti seguono il Loi dalle sedie di ring a Vigevano li trovi anche nei popolari . Modesti a Vigevano ! La pubblicità che può fargli comodo a Londra o a Düsseldorf , nella loro vecchia città la evitano . Capita il tipo che fa il numero unico per la festa patronale , gli rifilano un diecimila , ma a patto che non li nomini : « Sai com ' è , preferisco non mettermi in piazza » . E ogni sera eccoli al caffè Commercio o al Centrale per offrire e farsi offrire un moka dal fratello rimasto povero o dal compagno delle elementari rimasto operaio : le vecchie amicizie resistono alla lotta di classe , c ' è posto per tutti nel pentolone dialettale - paternalistico , e poi la provincia offre vantaggi non trascurabili . Le case sono a buon mercato , il terreno non supera al centro le trenta , trenta - cinquemila al metro quadrato , roba da ridere se pensi a Milano . La vita sociale non ti obbliga a grandi spese : con quarantottomila annui ti iscrivi al club Sport , il più caro , se no vai al Cai dove bastano tremila lire . E poi , scusate se è poco , in fatto di tasse si ragiona . Sapete , in provincia , nella provincia l ' economia ha leggi sue particolari . Nel 1961 l ' iniziativa privata ha messo in cantiere , a Vigevano , un migliaio di edifici per un valore che non dovrebbe essere lontano dai trenta miliardi . Nello stesso periodo l ' industria calzaturiera ha prodotto un terzo delle scarpe italiane e un quarto di quelle esportate : diciamo trenta milioni di paia per un fatturato sui cento miliardi . Gli affari sono andati a gonfie vele per le industrie cartotecniche , della gomma , del legno . Non è il denaro che manca in una città dove , nello spazio di tre anni , sono sorte centosessanta officine meccaniche che producono macchine utensili . Le aziende commerciali sono millequattrocento : per restare ai negozi ce ne saranno almeno quaranta al livello della Milano ricca . E non parlo dei professionisti numerosi e , mi si dice , floridi . Ebbene , se voi credete che la montagna dei capitali produca redditi adeguati vi sbagliate . Altrove i redditi industriali saranno del dieci , del venti per cento , qui neppure dell ' uno . Si vede che interi carichi di scarpe colano a picco nel tempestoso oceano , forse migliaia di macchine utensili vengono travolte dalle piene del Ticino , non è escluso che commerci e libere professioni si basino su un vorticoso scambio di assegni a vuoto . Sicché vi tocca leggere nel ruolo delle imposte comunali questo povero elenco : solo quattordici contribuenti sopra i dieci milioni di imponibile , solo ventisei dai cinque ai dieci , solo ottantasei dai tre ai cinque . L ' amministrazione , che è socialcomunista , non se ne lamenta . « Per otto anni » dice il sindaco , « l ' imposta di famiglia non venne toccata . Negli ultimi tre siamo passati da centosessanta a duecento milioni di introiti . » Mentre il signor sindaco mi raccontava queste piacevolezze io pensavo , quasi commosso , al professor Northcote Parkinson . Lui vive nel timore che le tasse « riducendo il numero dei ricchi facciano gravare tutto il peso fiscale sui poveri » . Quasi quasi gli consiglio di passare le ferie a Vigevano : il clima non è dei migliori ma il regime tributario può confortarlo . Dimenticavo di precisare che l ' amministrazione era socialcomunista anche negli otto anni di tregua fiscale . Forse l ' Italia sognata dai neoborghesi è spartita così : tutti i municipi ai rossi , tutti i seggi parlamentari ai neri . Sindaci di sinistra , onesti , nemici delle bustarelle ; e per ciascuno un deputato angelo custode che gli impedisca qualsiasi mattana , vedi pagamento delle tasse . A Vigevano il sogno dei possidenti si è quasi avverato : se gli amministratori falce e martello li tassano ricorrono in alto e ottengono rapida giustizia . Se li minacciano di gabelle replicano sdegnati : « Se è così mi trasferisco altrove con la fabbrica » . A Vigevano si è arrivati a questo : avendo un grande industriale deciso di spostare la sua azienda a Mortara , qualcuno dell ' amministrazione gli ha fatto chiedere se , per caso , non era scontento delle imposte . Al che il valentuomo ha avuto la bontà di rispondere che no , che le tasse non c ' entravano , che era proprio soddisfatto dei suoi cari amministratori frontisti . Pare che in Inghilterra e in America , paesi di ferrea disciplina fiscale , ci siano degli esteti scontenti : detestano il livellamento dei gusti conseguente al livellamento dei redditi , aborrono dalla grigia civiltà suburbana che si va formando . Però questi non li inviterei a Vigevano come il professor Northcote . Potrebbero scoprire che in fatto di gusto e di cultura la liberissima Vigevano è peggio che andar di notte . A Vigevano , credetemi , la noia è grande . Una delle città più ricche d ' Italia , quanto a denaro , è fra le più povere quanto a vita intellettuale e sociale . La torre del Bramante , la piazza gioiello ispirata ai cartoni di Leonardo , la mole del castello , le splendide chiese sono le testimonianze di un antico fervore intellettuale naufragato e spentosi sulle rive nebbiose del Ticino . Mille fabbriche e nessuna libreria , nessun circolo culturale , nessuno spettacolo teatrale decente . La stagione lirica dura tre giorni , lo spettacolo che ha avuto maggior successo è stato quello della « Wilmissima » , la famosa concittadina , la cantante De Angelis . Ho letto un resoconto di quella memorabile serata sul foglio locale a maggior diffusione . C ' era anche un editoriale intitolato : Più rigatoni e meno megatoni . È un corsivo sui carabinieri « che montano la guardia anche la notte di Natale sotto la neve che è fredda » . Seguivano pettegolezzi e facezie municipali . Quando mi hanno detto che se ne vendono ottomila copie , che è letto cioè dall ' intera cittadinanza , ho avuto un attimo di vertigine . La vita politica non è quel che si dice turbinosa : cento iscritti alla DC e poche decine al Partito liberale dimostrano il tiepido interesse della classe dirigente tutta presa , come si è detto , dalla incessante bisogna di fare soldi per fare soldi e ancora soldi . I soldi , tanto per essere chiari , piacciono a tutti , anche al sottoscritto . Che la neoborghesia di Vigevano e della provincia italiana in genere si dia da fare per arraffarne la maggior quantità possibile mi sembra , se non cristianamente esemplare , umanamente normale . Meno comprensibile è l ' esclusivismo , la cecità di questa corsa al benessere , il non preoccuparsi di ciò che significa , dei doveri che impone , delle previdenze che esige . Sembra incredibile che un ceto così ricco di fiuto merceologico , di attaccamento al lavoro , di ardimento commerciale , di gusto manufatturiero non riesca a capire che una società , la società in cui vive , non può continuare senza un solido assetto sociale , senza interessi ed iniziative intellettuali , senza un ordine . In altre parole senza una civiltà che non sia quella pura e semplice dei consumi .
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Nuova York , 18 aprile - La notte italiana del Madison resta nella memoria con tenebre e luci accecanti , con violenza e gloria . Notte generosa in cui tutti hanno bruciato ciò che avevano : bellezza atletica e volgarità , lacrime , urli , esaltazione , angosce , furori e quel nome scandito Nino Nino . Ha detto bene il « Daily News » : « È stato il più bel combattimento visto " in a long long time " » . Ora il problema è quello di ogni storico , raccontare il passato come se fosse un presente aperto e incerto . Proviamoci . Dunque , sono le ventidue di lunedì 17 aprile e sul ring del Madison sfilano le vecchie glorie , il Sugar Ray Robinson , magro , bello , amato da donne che hanno diamanti sulla pelle nera e abiti rosa e turchese , il Rocky Marciano , birraio ingrassato , e il Joe Louis , possente e melanconico . Il Madison è un ' arca pugilistica che naviga sul diluvio di Nuova York e dentro ci sono tutte le specie della nobile e decaduta arte , i giudici dal cranio lucido e dal naso schiacciato , che stanno in camicia bianca e farfalla blu , nella prima fila , i poliziotti mansueti , i secondi trasognati , i miliardari con i grandi sigari verdi , i radiocronisti con il cappelluccio a quadretti , i venditori di coca - cola con il prezzo scritto sul cappello di carta , i fotografi dai capelli rossi . Le sedie , i tavolini della stampa , i paletti del ring hanno il colore del vecchio Madison , quel marrone scurito dal sudicio e levigato dal tempo . La luce del ring illumina la sala fino alla balaustra della prima galleria , fino all ' orologio color avorio che segna il tempo dei rounds , più su c ' è la penombra densa di folla dove lampeggiano luci rosse e azzurre . Stasera il Madison è italiano o italo - americano . In platea è pieno di bandierine tricolori , la galleria si denuncia con il boato che accoglie Benvenuti , la sua vestaglia dorata , i capelli scomposti , il seguito trepido di allenatori e parenti . Mentre Nino sale sul ring , due pazzarielli corrono per le file di platea innalzando uno striscione che inneggia al nostro e siccome gran parte del pubblico si alza in piedi , il gran cerimoniere della serata che sta sul ring in abito da sera afferra il microfono e avverte « Ladies and Gentlemen , neh assettatevi guaglioni » . Il mio vicino è un giornalista negro , di mezza età , che porta alla mano sinistra una gran pietra viola . Mi guarda melanconico , io gli sorrido , abbiamo stabilito tacitamente un patto di neutralità . Ora osservo con calma la gente esagitata , attorno al ring , e la noto : c ' è una donna in abito verde dal viso lungo e inclinato , come le donne di Modigliani . Resterà tutta la sera così , fredda e lontana , nella tempesta . Griffith sale sul ring chiuso in un accappatoio bianco monacale , e sotto c ' è una tunica elegante su cui è scritto semplicemente Emile . Ora entrano in scena , a due passi da me , i suoi fratelli , grasso e ricciuto uno , magrissimo e spiritato l ' altro , con portavoce di cartone . Ma non chiamano Emile , chiamano Nino , Nino con voci concitate febbrili , e se Nino si volge miagolano , ridono miagolano , poi fanno gesti , abbaiano , lo maledicono , gli mostrano i denti . La gente e i poliziotti li lasciano fare , la loro faziosità è scoperta , persino commovente , quel fratello che saltella sul ring li ha tirati fuori dalla miseria . Per ora mamma Griffith si riserva , lei sta buona e seduta . Enorme , con un abito e un cappellino bianco e nero yé - yé , di quelli che si vendono al Village . Udito da pochi passi , il suono del gong è come quello di una nave in partenza , ma subito troncato , poi la goccia sonora della campana , i calzoncini rossi di Nino che danzano sul ring , Emile chiuso in guardia stretta , il mio cuore che parte nell ' emozione , ma non solo il mio , il match è subito stupendo , trascinante . Il primo pugno a segno è di Nino , un sinistro preciso , ma debole . Ma non è il pugno che conta , conta il modo con cui sta sul ring , sicuro , fra l ' imperio e la disinvoltura . E dà subito , nettissima , l ' impressione di essere degno del combattimento mondiale . Capace di resistere , magari di vincere , sciolto dalle sue ansie , liberato dai suoi timori , il pubblico italiano si sfoga nel grido ritmato di Nino , Nino che rimbomba nelle tenebre e sulle luci del Madison . Griffith , la pantera nera , chiude ancora più la guardia , ha occhi da animale inseguito e feroce . Ed ecco il suo fulmineo contrattacco , la scarica dei pugni , Nino che ne esce prima sbalordito , poi sorridente , ma con segni rossi sulle guance e sul fianco . E già parte con il sinistro , già spinge Emile alle corde . Una battaglia senza tregua , sarà così dal principio alla fine . « Nino bene » dice il giornalista negro , « ma un po ' lento con l 'uppercut.» « Emile mi sembra molto bravo » ricambio io . Mamma Griffith si è alzata , viene fino al ring , ma poi ci ripensa , torna al suo posto , non è ancora il momento , lascia gridare quegli stupidi cattivi italiani che vogliono togliere al suo Emile e a lei e ai fratelli questi anni buoni di abbondanza e di fama . Fra il secondo e il quarto round , si consuma il dramma pugilistico . La casualità di due colpi fortuiti , manda al tappeto prima Griffith poi Benvenuti . Per due volte il match è sull ' orlo di un epilogo ingiusto , per due volte questi atleti coraggiosi lo rifiutano . Non dico che l ' uppercut destro di Nino ad Emile e il diretto destro di Emile a Nino fossero colpi « trovati » per combinazione , ma erano certamente colpi aiutati da un imprevedibile casuale sbilanciamento dell ' avversario . Sarebbe stato triste che lo scontro terminasse così , credo proprio di poter dire che i due atleti non hanno permesso che finisse così . Eccoci al secondo round , dopo una rapida schermaglia Nino tira un uppercut poco convinto , mentre è già in movimento di disimpegno e trova il mento di Emile , sbilanciato a sinistra e un po ' all ' indietro . Emile non va giù di schianto , ma si siede , senza perdere mai la coscienza . È però stordito , sbalordito , con quella sua aria di cane bastonato ingiustamente . Lo contano , al tre è già in piedi , attende fino all ' otto e poi riprende il combattimento affidandosi al mestiere per sfuggire alla furia di Nino che lo tempesta alle corde . La risposta di Emile è al quarto round . Emile parte , come sa , in un attacco frontale , spinge Nino alle corde e lo colpisce con una serie lunga e martellante , cinque o sei pugni fulminei al corpo . Nino appare ben protetto dalla guardia , è già venuto fuori indenne da altre sfuriate così e improvvisamente , forse credendo che Emile si sia esaurito , apre la guardia , abbassa il viso e gli arriva al mento un ultimo diritto di Emile . È così sbilanciato che gira su se stesso e cade fra le due corde . Nello stordimento si appoggia male e scivola di nuovo sul ginocchio sinistro . Il nostro cuore scoppia , non è giusto che finisca così . Dai Nino , su Nino non deve finire così , non è giusto che finisca così . Ora Nino si volta , si alza e dalla maschera sofferente vien fuori , a poco a poco , quel sorriso sfottente che può renderlo antipatico quando l ' avversario è debole , quando fa il maramaldo davanti a un pubblico e a giudici di casa , ma che qui nella bolgia del Madison davanti al Griffith già pronto a colpirlo per il conto totale , è stupenda fierezza . « Courageous fighter » mormora un giornalista americano sin lì taciturno . Sì , combattente coraggioso e tenace e anche irridente nella sfortuna . Il giudice che lo conta è giunto a cinque e già Nino fa segno con una mano che è pronto a ricominciare . Non importa se la pantera infuriata lo trascinerà a colpi , a testate , a strattoni per tutto il ring , lui continuerà a sorridere a testa alta , anche se il sangue gli cola da una ferita al naso e spruzza sui calzoncini candidi di Emile e segna di macchie rosse la sua zazzera nera sempre protesa nel tentativo di graffiare come una dura spazzola il volto di Nino . Se Dio vuole , il gong , le lampadine rosse che si accendono sui paletti , i secondi che salgono sul ring come alla conquista di uno spalto con spugne , emostatici , acqua minerale , garze . Libero Golinelli , l ' allenatore , prende fra le mani il volto di Nino e lo guarda come se volesse ipnotizzarlo e gli parla fitto sottovoce , il gigantesco Amaduzzi , il procuratore , sta ritto in fronte a Griffith quasi volesse fare scudo a Nino , Aldo Spoldi tace preoccupato , lui ne ha già visti troppi di italiani finire così la loro avventura americana . Alle mie spalle sento la voce di Giuliana , la moglie di Nino che lo chiama . Lui si volta e sorride , sfottente e spavaldo , vada come vada , mi batto , sembra dire . Bravo Nino , uomo coraggioso . Attento come sono a Nino non mi sono accorto che mamma Griffith è entrata in scena , ma non importa , la guarderò bene nel riposo fra il quinto e il sesto round . Mamma Griffith deve avere un suo sicuro istinto pugilistico . Lei ha capito meglio di tutti i secondi e degli allenatori che questo è il momento decisivo della battaglia , che ora o mai più il suo Emile può vincere e conservare tutto ciò che Harlem le invidia . Emile è laggiù nel suo angolo , ansimante dopo il quinto round in cui ha gettato invano tutta la sua forza e la sua scienza , e la madre che è qui vicino a me , dal lato opposto del ring lo chiama . Non per nome ma con gemiti e guaiti e intanto fa dei gesti con le mani come lo invocasse a sé e porta le mani al suo gran petto come a dire , « bambino mio vieni dalla tua mamma , guarda la tua mamma che ti protegge , che è qui per aiutarti » . I due fratelli di Emile non si occupano più di Nino , forse sentono che le loro fatture non hanno avuto effetto ; forse intuiscono che l ' unica speranza è di raccomandare il fratello agli spiriti buoni delle Isole Vergini , quegli spiriti eterni che resistono ai missionari e alla civiltà dei bianchi e all ' America . « Emile , Emile » singhiozzano , « Emile » . Se lui alza gli occhi a guardarli , partono in una sarabanda di suoni , di fischi , di gesti rituali , di gemiti , di miagolii , come si fosse risvegliata tutta la foresta , come se tutte le creature della foresta soffrissero e implorassero la vittoria di Emile . « Nel sesto tempo » dirà Nino , « ho avuto la certezza di potere vincere » . Nel sesto tempo noi spettatori di parte abbiamo solo la certezza che Nino arriverà alla fine delle quindici riprese e la speranza di vederlo crescere . La prima a capire che Nino sta salendo è ancora mamma Griffith che sta in piedi anche durante il round , incurante degli urli degli spettatori a cui impedisce la vista e dei poliziotti che cercano di trascinarla via . Adesso deve gridare il nome di Emile e rigridarlo a voce bassa e dolente mentre con impeto e acutezza crescenti risuona lì accanto la voce fresca e gioiosa di Giuliana Benvenuti che incoraggia e grida « Forza Nino , Nino lascialo venire sotto , adesso , adesso , spazzalo via , è tuo Nino , è tuo » . No , non è ancora suo questo Griffith . Il pubblico italiano o italo - americano cede alla passione quando copre con i suoi « uuuuuh » di spregio e di minaccia i tentativi che Emile ripete per stringere le distanze e per evitare , con il corpo a corpo , il sinistro lungo di Nino che lo martella implacabile al viso , la gente italiana sbaglia a mormorare irridente se Emile viene evitato con grazia da Nino dopo una inutile sfuriata , la verità è che questo Griffith è un ottimo pugile , stilisticamente più completo di Benvenuti , capace di usare il diritto come il montante in modo più rapido , capace di colpire cinque o sei volte in una serie di colpi mentre Nino supera di rado l ' uno - due . Dove Nino gli è nettamente superiore è nella forza del pugno e , se è lecito dirlo , nella intelligenza strategica del combattimento , in quel suo senso degli eventi che , a un certo punto , lo rende sicuro di sé , padrone di sé . Nino non è quell ' intellettuale che hanno detto i cronisti sportivi di qui abituati a pugili stentatamente alfabeti , ma è un ragazzo intelligente che vede le occasioni e le coglie e le sfrutta . Per esempio con gli sguardi di sopportazione superiore che dedica ai giudici quando l ' avversario lo immobilizza o con i sorrisi che sottolineano i suoi periodi felici e fanno sembrare tollerabili quelli avversi . Il match corre sul filo della incertezza fino al decimo round , poi anche un profano come chi scrive capisce che il gioco è fatto . Si è stabilita come una regola matematica che risolve ogni scontro per due a uno in favore di Nino , il nostro colpisce secco quasi sempre con il diritto sinistro seguito dal montante destro , Emile raccogliendo le forze parte al contrattacco , tocca a sua volta Nino , ma deve desistere e una serie di pugni centrati lo riporta all ' inizio dell ' amaro e reiterato tema . La vittoria di Nino è di una fattura chiara onesta indiscutibile , va detto però senza alcuna intenzione di insinuare che negli ultimi rounds Emile cede a una rassegnazione strana , soprattutto per coloro che lo conoscono furibondo e implacabile nel finale dei match . Eccoci all ' ultimo round . Il viso di Nino è terso e disteso . Se la medicazione del naso tiene è perché Emile non riesce più a colpirlo . Dove sei mamma Griffith ? E voi fratelli Griffith ? Sono lì , seduti e fermi e desolati , guardano il loro Emile che retrocede , si difende da quel bianco cattivo venuto da un Paese chiamato Italia a portargli via , senza bisogno , l ' agiatezza e la gloria . La vittoria di Nino è un canto di battaglia che sale nella gola della folla e diventa inno trionfale nell ' attimo in cui il gong segna la fine . Il verdetto è chiaro , senza aspettare che i giudici lo pronuncino . Nino si volta esultante alla folla a braccia alzate , Emile il sovrano detronizzato compie spontaneamente il primo gesto di vassallaggio : corre ad abbracciarlo , lo riconosce campione dandogli con il guantone ancora lucido di sudore un colpo lieve sul capo . Non dimentichiamo la dignità e lo stile di questo negro nato nelle Isole Vergini , vissuto ad Harlem , molti dei nostri potrebbero imparare da lui come si perde . Ciò che avviene sul ring io non lo vedo . I fanatici venuti dall ' Italia con vessilli e striscioni sono partiti all ' attacco , hanno travolto giudici e poliziotti , si aggrappano alle corde , cadono giù , risalgono urlano frasi sconnesse ai giornalisti americani che li guardano sbalorditi , ce n ' è uno grasso e roseo che viene proprio davanti a noi a fare una sua scena da epilettico giuggiolone che un po ' trema e un po ' piange , un po ' strabuzza gli occhi , un po ' invoca Nino , il quale abilmente è scivolato via ed è già in salvo negli spogliatoi . Guardo con aria di scusa il mio vicino . È il giornalista negro di mezza età . « Davvero bravo Griffith » gli dico . « Sì » dice lui , con un lieve inchino , « ma il campione è Benvenuti . » Fuori piove a diluvio nella luce dei riflettori . Ray Sugar Robinson , bello e aitante , sorride ai fotografi fra donne splendide in abiti rosa , turchese , argento .
Il pioniere rassegnato ( Bocca Giorgio , 1963 )
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« Chi sono i milanesi , Antonio ? » « Io voglio chiedere scusa , ma Mario Riva , buonanima dove è , disse che Milano fa due milioni di abitanti , ma sapete i milanesi quanti sono ? 57 mila . E dove sono io non so , sono sempre in giro per turismo . » Poi Antonio , l ' immigrato , dirà come tanti altri di essere « libero cittadino milanese » , senza sapere bene che cosa sia questo tipo d ' uomo in cui si riconosce , nato dalla mescolanza : nella fabbrica dei nuovi italiani , fra Milano e i laghi , ogni cosa rimane indefinibile , provvisoria , mutevole . Ci arrivano , negli ultimi dieci anni , 600 mila persone , un terzo lombardi , un terzo meridionali , gli altri dal resto d ' Italia . Solo due su dieci vengono da città capoluogo , la maggioranza sono contadini poveri chiamati dalla promessa : « Ma cosa aspetti a muoverti , disse mio padre , c ' è Milano » . C ' è Milano , la grande città della ricchezza che accoglie tutti i poveri di ogni regione . Purché siano poveri che arricchiscono in fretta , secondo il suo mito . Se no aria , la buona aria del Seveso , del Lambro e dell ' Olona , neanche una bollicina di ossigeno , neanche un ' erba nelle acque bruciate dagli acidi ; la buona aria nei villaggi - città della fascia dove nasce il « libero cittadino milanese » , questo modello in fieri , che c ' è e che non c ' è , così composito . 600 mila di regioni e di culture diverse , in un crogiolo dove i gruppi si mescolano , ma di rado si amalgamano . Le rare fusioni nella carica confusione delle mille e mille aziende che si spostano verso la campagna ; le piccole migrazioni nella grande migrazione , gli operai cacciati sempre più lontano dal centro amministrativo , i pendolari , i gruppi mobili dell ' edilizia . E l ' invasione continua , ogni giorno centinaia che arrivano , molti con i treni del Sud , biglietto fino a Piacenza , gli ultimi chilometri evitano il controllore , per risparmiare . I contadini dell ' Italia povera che arrivano nel Milanese immaginando una società industriale vagamente marziana e poi si trovano fra gli ex contadini , ancora contadini nell ' anima , di un ' Italia un po ' meno povera . Nella fascia il mito lombardo rivela la modestia delle sue pur solide strutture , qui c ' è una Lombardia che difende i suoi privilegi più che la sua cultura . Dietro le difese lombarde del tipo etnico quasi sempre gli affari . Otto anni fa a Cologno , Limbiate , Cusano eccetera si comperava con 60 mila lire il terreno per la casetta , 250 metri quadri : avanti , a contanti o a cambiali , qualsiasi immigrato . Adesso quel terreno costa due milioni perciò attenti agli immigrati e attentissimi ai meridionali . Non perché bruni e ricci , ma perché i due milioni non ce li hanno e difficilmente li avranno . Il modello lombardo « Se verresti qui l ' aria è pesante , ma è bello vivere nell 'industria.» Vengono e incontrano gli ex contadini lombardi , brava gente , laboriosa , quieta , onesta , rispettosa di Dio e dei padroni , ma non gli esseri supercivili immaginati da lontano , da parlarne a « bocca grossa » . Le industrie sono apparse nella fascia al principio del secolo e l ' hanno visibilmente modificata fra le due guerre , ma il costume è rimasto contadino arcaico , per un pezzo : gli zoccoli , le calze nei giorni festivi , il risotto come un lusso , un chicco di riso appiccicato sul bavero per far capire che se ne era mangiato . Poi naturalmente gli usi più arcaici scompaiono ma le maniere sono sempre agresti . Quando i veneti arrivano a Cinisello , in questo dopoguerra , scoprono che è ancora d ' uso pranzare seduti sui gradini di casa , nella strada o nella corte ; la scodella fra le ginocchia colma di « pumià » , pane di segale fatto a pezzi nel brodo . E nel 1956 quasi tutti i villaggi hanno sempre le strade acciottolate e prive di illuminazione . Meglio che le valli nel Delta padano , meglio che l ' Appennino , molto meglio che il feudo meridionale . Ma certe cose non ignoriamole e non dimentichiamole , per esempio queste : parecchi villaggi lombardi restavano fino a ieri , fino all ' arrivo delle immobiliari , proprietà esclusiva di una famiglia , i Visconti , i Suardi , i Borromeo ; in certi villaggi a sud si conserva intatto il sistema curtense , il contadino sfruttato tre volte , dall ' orticoltore , dall ' affittuario , dal padrone ; la provincia è relativamente povera , su 274 comuni , l ' anno scorso ancora 121 privi di refezione scolastica , 148 senza fognatura , 182 senza edilizia sovvenzionata , 22 mancanti di una qualsiasi sorveglianza urbanistica . E ciò che la retorica milanese tenacemente ignora : la discriminazione etnica , che esiste in tutta la fascia , più che non si creda . È la sua ipocrisia . « Quando si arrabbiano son capaci di tutto » , « Sono sporchi , non hanno voglia di lavorare , rubano » , « Se scherzano non si sa come va a finire , di loro non ci si può fidare » . Le accuse che ancora si ascoltano mentre tutti sanno che gli immigrati , specie i meridionali , lavorano dalle dodici alle quattordici ore al giorno , sono onesti e disonesti come tutti gli altri delle loro condizioni , tengono la casa più pulita di molti altri , certo più pulita che la tradizionale cascina lombarda . E allora perché ? Perché mentire serve , finché serve alla conservazione dei grandi come dei piccoli privilegi . Vediamo in pratica . In parecchi comuni della fascia i dirigenti locali degli enti assistenziali escludono i figli degli immigrati dall ' assistenza « perché in casa hanno la televisione e sprecano » . Il moralismo che difende la fetta di torta . Dovunque le cooperative e i circoli rappresentano altrettante isole di conservazione , il rifugio delle élites operaie . Guardate le iscrizioni negli anni della grande invasione , tra il 1960 e il 1962 . Ferme « congelate » , come se i soci si fossero chiusi nel loro guscio . Iscritti in quegli anni : 0,2 per cento dei soci nella cooperativa di Rogoredo ; 1 alla Conquista di Milano ; 1,6 al circolo Cairoli di Sesto ; 1,7 ancora a Sesto al circolo del Rondò . E comunque anche le cooperative che in quegli anni accettarono parecchi soci , vedi Niguarda , diffidano degli immigrati , specie dei meridionali che restano una esigua « minoranza » : 3 su cento alla Conquista , 5 al Centro sociale di Cusano Milanino , 3 a Rogoredo , 8 a Niguarda . E dappertutto cautela , pregiudizio , timori nei loro confronti . « Andavo a mangiare in una cooperativa di quelli di Corsico , una cosa fatta fra di loro ; ma un giorno Angelo il mio amico disse che gli altri non volevano vedere terroni . » Testimonianze così si trovano in ogni inchiesta , quasi in ogni scheda , solo i comunisti esitano a confessare i piccoli egoismi della classe operaia , ci vuole il convegno sull ' immigrazione del 1962 perché si osi dire « che anche certi settori del partito stentano a capire i problemi degli immigrati » . I socialisti sembrano meno inibiti , vi dicono subito per esempio che per molti anni i compagni di Pero non avevano neanche immaginato che si dovessero cercare dei contatti con gli immigrati impiegati negli orti . E sono i partiti degli immigrati quelli che si son mossi per primi , figuriamoci gli altri . Due anni fa un assessore democristiano alla provincia diceva ancora a una delegazione di immigrate pugliesi : « Mi spiace ma avete fatto uno sbaglio , non dovevate abbandonare le vostre case accoglienti » . Il neomeridionalismo Poi c ' è tutta una casistica di fatti gravi dove l ' interesse di classe o se preferite lo sfruttamento rompe qualsiasi copertura etnica e si mostra per ciò che è . A Castiglione Olona un medico settentrionale si rifiuta di entrare nella baracca di immigrati calabresi « perché ci hanno sempre i pidocchi » ; in un cantiere di Busto Arsizio gli immigrati sardi , bergamaschi , bellunesi pagano un posto letto in baracca 15 mila lire al mese ; in una fornace di Lecco si ferisce alla gamba un manovale immigrato : lo portano di peso , fuori dal cancello , perché quelli della Croce Rossa non vedano in che stato sono le baracche e l ' infermeria . « A noi meridionali ci disprezzano . » « Basta essere meridionali che uno sbaglia poco poco e lo minacciano . Magari uno è milanese e sbaglia e lo prendono subito per un meridionale . » Dicono così i più giovani e indifesi . Si potrebbe spiegargli che il pregiudizio etnico fa molto comodo ai negozianti , agli artigiani , ai trasportatori che pagano un garzone , un manovale , un facchino 5 mila o 6 mila lire la settimana . Ma il loro orgoglio etnico è comunque ferito , sorgono le inevitabili reazioni , già si manifesta nella fascia un neomeridionalismo ingenuo ma testardo , a volte irragionevole che trova alimento nella lotta politica . Per cominciare , il rifiuto di ogni modello meridionalistico che appaia indecoroso o corrotto . Il Visconti di Rocco e i suoi fratelli e il Montaldi di Milano Corea sono rifiutati dai meridionali della fascia come Pasolini dagli immigrati delle borgate . Poi l ' opinione di essere più che necessari ( e necessari certamente lo sono ) indispensabili e più che indispensabili redentori e provvidenziali . « Ci capita di vedere Milano . Se andiamo via noi è un deserto . » « Io voglio dire una parola . Se non ci siamo noi Milano è finita . » E poi ancora la certezza di essere sempre più numerosi , attivi , determinati , anche se nessuno di essi è mai entrato nella « camera dei bottoni » . Certo nei comuni della fascia otto persone su dieci che entrano in un municipio sono meridionali : quelli del luogo non hanno bisogno o si vergognao a chiedere . Così i meridionali condizionano le amministrazioni e le elezioni . Il loro numero aumenta : rappresentano nel 1956 il 21 per cento dell ' immigrazione e oggi sono arrivati al 35 per cento , più del 50 nei villaggi più esterni della fascia . Aumenteranno ancora . Il pane e l ' eguaglianza I villaggi - città della fascia ( Sesto più di 80 mila abitanti ) ostili e agri per gli immigrati , come fu l ' America per gli uomini della conquista : stesse privazioni , infamie , sofferenze e delusioni ; qui come nel West una generazione allo sbaraglio , che costruisce le sue case nella notte , che rischia tutto ciò che possiede . Ma chi pensa che qui possa uscire un nuovo italiano sicuro , fiducioso , orgoglioso della propria epopea come l ' americano probabilmente si sbaglia . Nella conquista americana , nella formazione dell ' americano si riconoscono tre elementi decisivi : l ' industria , la democrazia , la frontiera . Da noi manca la frontiera e tutto ciò che essa rappresenta . I contadini dell ' Italia povera che giungono nel Milanese trovano l ' industria e si iniziano alla democrazia . Qui non saranno liberi in assoluto , qui saranno alla resa dei conti , poco liberi , ma vengono da soggezioni arcaiche , da sudditanze intollerabili . C ' è una parola usata da tutti gli immigrati della fascia siano lombardi , veneti , emiliani , meridionali . È la parola « confidenza » la parola magica che spiega come democrazia e industria siano legate , la parola che sta per rispetto nel lavoro , per fiducia reciproca nel lavoro , per un minimo di civiltà nei rapporti di lavoro : « Qui il capo reparto mi tratta con confidenza » . « Mi hanno assunto e mi hanno dato confidenza . » Sotto questo aspetto la fascia milanese è certamente meglio che i paesi di origine , sotto questo aspetto si può dire che qui c ' è davvero « un ' idea democratica in movimento » . La casa , il lavoro , il frigorifero sono le grandi aspirazioni , ma la conquista maggiore , la più esaltante , è la libertà fra eguali o ciò che le assomiglia . Uscire in piazza , in strada , incontrare un sacco di gente e in nessuno riconoscere il padrone o i sorveglianti del padrone . Tuffarsi nell ' anonimato industriale e cittadino , sentirsi fuori dal crudele pettegolezzo paesano . Ma non c ' è la frontiera , manca lo spazio sconosciuto e imprevedibile che solo può suscitare le grandi speranze . Qui l ' immigrato sente subito , a vista e a naso , che il posto è piccolo , che ognuno dovrà accontentarsi della sua piccola razione . Capisce anche , sia pure oscuramente , che il tempo del capitalismo individuale e delle sue epopee è finito , qui nessun Walt Whitman gli ripete le parole dell ' indomito ottimismo : « Non siamo passati attraverso i secoli , le caste , le migrazioni e la miseria per fermarci qui » . Invece fermarsi è proprio il desiderio del nostro immigrato : sistemarsi , godere di ciò che si è ottenuto , chiamare i parenti a goderne . Con i modesti desideri dei meridionali . « Spero di diventare cuoco . » « Spero che mi passino saldatore . » Bisogna interrogare i settentrionali per trovarne uno che dica : « Voglio fare fortuna » . E poi , si scopre che ha uno zio ingegnere o una sorella con un ottimo impiego . Insomma direi che manca al pionierismo della fascia la fiducia emersoniana del successo legato al merito , perché « ogni uomo è la sua stella » . Come sarà questo uomo nuovo , questo « libero cittadino milanese » nessuno può dirlo con precisione . Ma si può già dire che sarà un pioniere rassegnato . Operaio sì , ma con tutte le inibizioni e i pregiudizi dei contadini , per parecchi anni a venire . Motorizzato sì , ma escluso dalla corrente vitale della cultura , per parecchi anni . Mi dicono che una inchiesta svolta di recente fra il proletariato londinese ha fatto giustizia delle chiacchiere più o meno interessate sulla classe unica dove borghesi e operai non si riconoscono . Si è capito che anche nella civilissima Londra l ' operaio resta operaio , escluso dalla maggior parte della vita culturale , pochissimi libri , il telefono lo ha solo il 9 per cento , una vita sociale monotona e misera , poca corrispondenza , pochi divertimenti . E allora figuriamoci da noi , figuriamoci nella fascia . Se ne parlerà nei prossimi articoli . Ma un ' indicazione dell ' inchiesta può essere anticipata : usciamo dai fumi del miracolo , guardiamoci attorno , ricordiamoci che esistono gli « altri » .
L'uomo muscolo ( Bocca Giorgio , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Seicentomila in più , fra Milano e i laghi , negli ultimi dieci anni : il popolo degli immigrati adoperato , più che governato ; tanti uomini - muscolo prima che dei cittadini . Andò così e peggio anche nell ' America della conquista , ma non deve essere una gran consolazione per quelli a cui tocca , adesso . Da un anno la Stazione centrale di Milano non è più il mercato all ' ingrosso dei muscoli , ma il commercio comincia sempre lì : le valigie di fibra e i pacchi davanti le cabine telefoniche , dentro gli uomini - muscolo appena arrivati che telefonano alle pensioni per avere « alloggio e lavoro » . Non conviene più reclutarli in stazione , le garanzie sono poche e i rischi tanti . Meglio lasciar fare a quelli delle pensioni , è un lavoro più pulito e più tranquillo . Cinque su dieci , gli immigrati che arrivano a Milano fanno quella telefonata a cui si risponde : « Aspetta , veniamo a prenderti » o « Stai bene attento , prendi il tram numero tale » . E intanto che aspetta o viaggia quelli delle pensioni han già telefonato al reclutatore che ne è arrivato uno da Gioia del Colle , Trani , Porto Tolle , Isernia , Foligno , comunque uno da sfruttare , ciascuno la sua parte . Nelle pensioni ci sono stanze da sei , otto , dieci letti . Per un letto si pagano dalle sette alle otto mila lire al mese , più mille la settimana per farsi lavare un po ' di roba . In molte pensioni bisogna uscire prima delle nove , le brandine chiuse e alzate contro le pareti e fino alle ventuno la padrona no riapre la porta . In una pensione di corso L . ( inchiesta ILSES ) un operaio con la gamba rotta passa un giorno sulle scale , la padrona non transige sul regolamento . La pensione come prima scuola dello sfruttamento e lo sfruttamento del prossimo più prossimo come la tecnica più felice . Perciò la maggior parte degli affittacamere ( circa 16 mila in città fra legali e clandestini ) sono degli immigrati . In certi casi il subaffitto organizzato può rendere 300 , 400 mila lire al mese , la Questura conosce un tale che è riuscito ad avere tra appartamento e solaio , 65 ospiti . Ci sono quelli che hanno quattro o cinque « esercizi » , li affidano a uno degli inquilini e passano ogni qundici giorni a ritirare gli affitti . Nella città e nella fascia industriale i luoghi delle pensioni si riconoscono dal fiorire delle attività collaterali : cinematografi di terza visione , trattorie modestissime , latterie che vendono anche bevande gasate ecc. Le generazioni nere Poi la mano dello sfruttamento passa ai reclutatori , di solito immigrati . Quel tale che tiene famiglia e quattro automobili : la Seicento per il lavoro in città , la Millecento per i suoi , la Spider per portare a pranzo i signori dell ' edilizia e il camioncino per trasportare sui cantieri gli uomini - muscolo , nei casi di bisogno urgente . Il reclutatore , i suoi amici , gli amici degli amici : la piccola mafia trapiantata al Nord di cui , ogni tanto , si annuncia la fine , come per la grande . Per esempio quando si scoprono , come di recente , sei racket legati a 130 imprese edili . Ma sempre la mala pianta rispunta ; in una inchiesta della federazione comunista si legge che solo quattro immigrate su cento vengono assunte attraverso i canali regolari e le indagini delle ACLI lo confermano . Del resto se ne ha la controprova nei luoghi di origine : l ' anno scorso nove mila persone partono dalla provincia di Cosenza all ' insaputa degli uffici di lavoro . La piccola mafia prospera , le sue tangenti non sono più del cinquanta per cento come nei primi anni , ma sempre redditizie . Sì , ogni tanto uno dei reclutatori viene « pizzicato » , denunciato , multato lire duemila per ogni lavoratore « trattato » . Ma lui paga e ricomincia salvo a cambiare aria per qualche tempo . Naturalmente le serie , moderne , oneste aziende del Nord sono all ' oscuro di tutto , c ' è sempre un appaltatore o un intermediario per salvare la faccia . Ma anch ' esse , specie le medie e piccole , conoscono le maniere di incoraggiare il miracolo : le ore di lavoro straordinario fuori busta ; le paghe arbitrarie ai ragazzi fra i quattordici e i quindici anni ( non più a scuola , non ancora impiegati regolarmente ) ; il lavoro appaltato a quantità , non a tempo , a poveri diavoli che credono di fare un ottimo affare impegnandosi a chili o a metri , non a ore , e poi scoprono di avere tutti gli oneri degli artigiani ma non i vantaggi . Per non dire della « buona occasione » a cui partecipa l ' intera classe imprenditoriale del Nord , usando una forza lavoro che si è formata , trasferita e sistemata a spese della collettività . Detta dai propagandisti politici questa « buona occasione » si riduce a un calcolo elementare : « Negli ultimi dieci anni gli Enti locali del Milanese hanno speso circa 1000 miliardi per accogliere gli immigrati . Avendone recuperato solo 100 per il maggior introito fiscale essi hanno fatto agli imprenditori un regalo netto di 900 miliardi » . Non è così , questa aritmetica troppo semplice non sopravvive al comizio , ma , nelle linee generali , la « buona occasione » , il favore , lo sfruttamento , la necessità dello sviluppo , o come volete chiamarla , esiste e una visita alla fascia industriale serve anche a questo , dico a capire quanto il miracolo economico deva a questa manodopera avuta per niente e , per anni , sottopagata . Ne fanno parte , non dimentichiamolo , anche le donne . Trentotto su cento dicono le inchieste , non arrivano a una paga di 20 o 25 mila lire al mese . Che miracolo poco galante . È accaduto anche in America negli anni della conquista : « Per tre generazioni abbiamo rimboccato le maniche » . Che può voler dire , di là come di qua dall ' Atlantico , gente logorata e ammazzata di lavoro . Oggi i reclutatori del Milanese faticano a collocare i lavoratori che hanno più di trentacinque o quarant ' anni . A quell ' età si è vecchi e finiti per certi cantieri edili . L ' uomo - muscolo accettato solo se i muscoli sono in perfetta efficienza . Gli altri come Michele , il muratore : « Come mi vedono che zoppico un po ' neanche mi provano dicono che non c ' è lavoro , sono dei mesi che giro . Eppure a casa ero muratore fatto » . Le « due nazioni » . Per una , qui a Milano , la settimana corta , la civiltà degli svaghi , la seconda casa e le altre belle novità di cui tutti parlano . Per l ' altra sempre dodici e più ore al giorno e settimane lunghe per tipi che si « danno da fare » : il dopo - fabbrica con lei che taglia cravatte , il marito che lavora a una pressa nel sottoscala e gli altri che fanno la casa propria dopo aver fatto quella altrui . Tutti questi muratori impiegati da un ' industria che sarà più efficiente della romana o della napoletana , ma che conosce gli stessi rapporti di lavoro : 50 o 60 mila lire al mese finché si lavora e poi in cerca di un altro cantiere , una carriera che ricomincia ogni volta , poche possibilità di migliorare , nessuna sicurezza per la vecchiaia e le testimonianze ossessive di questo proletariato permanente , come il volo di un calabrone chiuso in una stanza che va e va finché cade . Tutti questi ex contadini immessi da un giorno all ' altro nel sistema del successo , offerti alle sue cinque tentazioni , il prestigio , il denaro , il potere , la fama , la sicurezza , ma che capiscono quasi subito di essere confinati ai margini e destinati alle cose peggiori del sistema , ai lavori più umili e monotoni . Certo vi sono parecchi immigrati che raggiungono , in fabbrica e fuori , una buona sistemazione economica , qualcuno anche l ' agiatezza . Ma l ' atteggiamento generale di questi « novi homines » rispetto al lavoro manca di gioia : occupazione senza amore , fatica senza grandi speranze . In genere il lavoro non è amato . Cambiano le condizioni del lavoro , ma i giovani continuano a usare le definizioni amare degli anziani : quel reparto nella fabbrica di Rescaldina è sempre « Mauthausen » , quel magazzino di Sesto è sempre « la galera » , nei cantieri edili gli operai parlano sempre di se stessi come di oggetti maltrattati : « Dopo averci sbattuto da un posto all ' altro , vengono e ci tirano fuori dalla baracca » . Il lavoro in una civiltà industriale inedita quasi per tutti . Fatta come ogni civiltà , di elementi contraddittori , di fervori come di frustrazioni . Davanti al progresso tecnologico , per esempio , l ' atteggiamento degli uomini nuovi è incerto e diffidente : quasi sapessero che la tecnica gli dà con una mano , ma con l ' altra gli toglie . Gli operai interrogati da Pizzorno e dai suoi collaboratori sul tema dell ' uomo di fronte alle nuove macchine stanno fra opinioni diverse , spesso divergenti : sì , il lavoro è meno duro , « ma ci vuole troppa attenzione » . Sì , i rapporti gerarchici sono meno sergenteschi , la sorveglianza meno carceraria , « seuno sbaglia non vengono subito a sgridarti , basta la lampadina azzurra che si accende » , però c ' è meno amicizia . Anni fa , per esempio , le operaie potevano starsene a casa uno o due anni per tirar su il figlio e poi tornare in fabbrica : adesso chi esce dal giro fatica a rientrarci , i rapporti personali contano meno . L ' Organizzazione decide a freddo . È ancora l ' eredità contadina , l ' insofferenza all ' orario , il tentativo ingenuo di ricostruire nel mondo industriale i comportamenti e i rapporti di quello campagnolo . Tanto lavoro per vivere una vita quasi incomprensibile . Il popolo laborioso e sradicato . La città tua e non tua « E tu Luigi come la vedi a Milano ? » « Per me Milano è bella , dico meglio bellissima , come la vedono i turisti . » Parecchi rispondono così quasi per affermare una rottura totale , anche estetica , con il passato . Eppure si capisce che l ' atteggiamento estetico della maggioranza verso Milano e dintorni è di indifferenza su un fondo di pena , la pena fisica del contadino inurbato . Qui , nei dintorni , in ogni villaggio - città c ' erano la vecchia e la nuova borgata . Ma dovunque la saldatura è già avvenuta , il magma cementizio ha riempito i vuoti e si divora l ' antico : scomparse le strade radiali da duomo a duomo ; impraticabili , per il traffico , i sagrati ; e chi se non la dinamite potrebbe riportare l ' ordine nelle ventisette coree ? Tanti suburbi ma nessuna traccia di una civiltà suburbana . Niente villaggi residenziali per giovani coppie « prigioniere della fraternità » ; solo gli accampamenti degli immigrati e le fabbriche in un mondo di sradicati sospettosi . Ora il piano intercomunale dovrebbe disegnare in questo caos una geometria razionale ed è ancora possibile , ci sono ancora dei vuoti fra la fascia e la città e fra i centri della fascia . Ma in giro c ' è molto pessimismo , pochi credono che il piano prevarrà sugli egoismi degli interessi privati . E intanto i 600 mila che abitano la città informe sentono ogni tanto affiorare la pena : nelle scuole i bambini disegnano marine . Già , brutta ma libera . Per le continue incertezze dell ' immigrato . Non sentirsi cittadino di questa città , assistere alle partite di calcio senza una vera passione campanilistica , vivere come « nel posto che bene o male ti dà il pane » ma poi capire che , tutto sommato questa cosa immensa e confusa che chiamano Milano , è un luogo dove i rapporti umani sono migliori che altrove . « Qui vai dove ti pare e nessuno ti dice niente . A Messina ogni cosa che facevo subito trovavano a ridire » . « Milano mi piace perché la giri a testa alta » . « Io dico questo , se uno si fa la fidanzata in Sicilia deve portarsi dietro a mangiare anche suo padre , la madre , i fratelli e le sorelle . Qui a Milano si va con la ragazza e si prende un caffè » . La Milano dei ricchi li ignora ? La Milano della borghesia mercantile gli è straniera ? Può darsi , ma poi scoprono che c ' è un ' altra Milano popolare e no che ricorda le sue origini , che ha voglia di eguaglianza , che può darti una mano quando meno te lo aspetti : « Uscii dalla stazione e non sapevo cosa fare . Si avvicinò un signore e mi chiese se stavo male . No , era soltanto che camminavo piano e non riuscivo ad ambientarmi . Mi diede l ' indirizzo di una pensione e mi accompagnò al tram » . « Ero disperato , raccontavo al barista che non trovavo casa e una vecchia che era lì a sentire dice che , se mi accontento posso stare in casa sua che c ' è suo marito pensionato con 22 mila lire al mese . Mi hanno tenuto per quattro mesi e non hanno voluto una lira » . Sradicati , incerti , sottoposti alla doccia scozzese di una città così diversa , membri di una società di cui non vedono il corpo , sempre esitanti fra l ' assimilazione e l ' ortodossia règionale : vestirsi alla milanese , ma poi pretendere tenacemente il pane grosso alla siciliana o quello lavorato alla mantovana : vantare l ' anzianità , « io sono qui da sei anni e quello lì neanche da tre mesi e parla » ma sentirsi stranieri al luogo , restare finché si può legati al paese ( a San Donato su 12500 abitanti ancora quattro mila che conservano le residenze nei paesi di origine ) . Ma nessun mitico « grande ritorno » , la coscienza che laggiù non si può tornare : « E chi ci può stare laggiù » . « Vado là bascio per nu poco d ' olio , ma torno subito , chi ci può stare » . La nostalgia che durerà per tutta la vita sotto la decisione , certa in quasi tutti dopo uno o due anni , di non tornare . Così oggi per qualche generazione ancora . Un uomo nuovo pieno di cose antiche , ma sotto un aspetto almeno integralmente nuovo e inedito in Italia . Per la prima volta in Italia una società di cittadini indifferenti come lo sono dovunque i cittadini delle megalopoli . I cittadini delle città che non sono più città ma galassie urbane . Fra non molto Milano si estenderà per quaranta chilometri , avrà quattro o cinque milioni di abitanti . Come si fa ad amarli i giganti ?
Prima il ballo ( Bocca Giorgio , 1963 )
StampaQuotidiana ,
« E ballare ti piace , Michele ? » « Per dire la cosa giusta nessuno di noi sapeva . Così passiamo in piazza Duomo vediamo la scritta ed entriamo . Professor Puccio , novemila lire per venti lezioni di mezz 'ora.» Michele l ' immigrato , mangia pane e « bologna » , dorme su una branda nel corridoio di una pensione , non compera giornali , va al cinema due volte l ' anno , « l ' ultima fu all ' Aurora , 80 lire , quaranta per film » , ma per il ballo deve spendere se no chi lo tira fuori dai ghetti paesani e regionali ? Il ballo vero , con le luci al neon e il jazz , che vogliono i giovani della fascia industriale . Lo hanno capito persino i conservatori delle cooperative e dei circoli popolari , chi li studia nota : « Attività culturale scarsa , sporadica , nulla » ; ma sempre : « Curano molto il ballo , ci tengono al ballo » . E fanno bene , forse il ballo , da noi , non ha mai avuto una funzione così importante . Non lo spettacolo rituale della civiltà contadina e neppure il surrogato erotico che piacque fra le due guerre , ma qualcosa che è promozione e profilassi sociale , l ' occasione , per l ' immigrato , di sentirsi eguale agli altri , « non fanno differenza se sai ballare » in una società che già si adatta alla parità dei sessi , « adesso è cambiato , magari son le ragazze che invitano chi balla bene » . « Il ballo lo curano molto » : chi per guadagnare soldi e chi per guadagnare voti . E fanno bene , il ballo è una cosa molto importante per il giovane che nasce dalla mescolanza , diciamo che lo aiuta a nascere , come il catalizzatore delle sue reazioni sociali : il ballo e l ' amore , il ballo e le canzoni , il ballo e i vestiti . L ' amore viene dopo Un ballo privo di erotismo o quasi , come introduzione a un amore privo di passione o quasi . Che conosce rapporti relativamente facili e frequenti secondo la regola americana di Kinsey « più sesso nei ceti popolari che nelle élites » ; che si libera progressivamente dalle inibizioni paesane per diventare un fatto comune e naturale come lo sono il mangiare e il camminare . Ma proprio per questo o anche per questo un amore meno problematico , meno rituale , meno mitologico , meno poetico e , diciamo pure , meno importante . Spesso un amore epidermico che sceglie per suo simbolo i baci , anzi i baci quantitativi delle canzoni : « Dammi i tuoi baci , dammi i tuoi baci amor , per tutta la vita e un giorno ancor » . « Con 24 mila baci » . « Un milione di baci » . Questo amore che non ha più segreti , neppure per le ragazze venute dal meridione e subito istruite nelle fabbriche , questi luoghi di una educazione sessuale magari priva di rigore scientifico , ma rapida e inevitabile . In tutte le fabbriche le operaie anziane e sposate che ammaestrano le giovani e nubili , volenti o nolenti , con una sincerità a volte così brutale che sembra rispondere a un istinto sadico . E magari è così , ma la faccenda è antica , queste iniziazioni fra operaie rappresentano il trasferimento , nel mondo industriale , di ciò che un tempo era affidato ai riti e alle farse agresti , o alle storie e alle favole . Un amore subordinato ai grandi valori della nuova società operaia , meno importante del lavoro , della sicurezza , dell ' uguaglianza . Ed è questa la chiave giusta del gallismo che si manifesta nella fascia ; stateci attenti e capirete che l ' ossessione erotica si accompagna all ' affermazione sociale e che l ' equivoco sociale è spesso più determinante che la carica vitalistica : « Per me la ragazza che andava in giro da sola era poco seria perciò le dicevo cose per la strada » . « Al mio paese non si usa fermare le ragazze per strada . Magari se provi ti costa caro . Allora qui , essendo libero cittadino , avevo voglia di fermarle tutte » . Questo povero amore maltrattato dalle migrazioni e dalle privazioni ; tirato giù dal suo piedestallo magico o romantico , retrocesso nella scala dei valori : « Di fidanzarmi non ho tempo » ; « Ad avere la ragazza fissa ci penserò quando avrò la casa » ; « Con quella stop , domenica si è fatta portare a casa in taxi , 600 lire che io ci mangio cinque volte alla mensa » . E si ha la impressione che l ' amore , fra i giovani della fascia industriale , conti meno che l ' amicizia , che essi sentano più il bisogno di integrarsi in una compagnia numerosa che di isolarsi nella coppia . Molte canzoni raccolgono questa sete di amicizia che è anche solidarietà di generazione e patriottismo di gruppo . Certe canzoni « forse mi vogliono bene perché , hanno la mia stessa età , hanno giocato per strada con me , quelli di porta Romana » sembrano addirittura copiate da una scheda di inchiesta « sono legato agli amici , andiamo da Pietro in via Lomazzo , siamo della stessa età » . È sempre stato così , i giovani con i giovani , da che mondo è mondo , ma ora per una necessità più consapevole : i giovani di un anno zero , di un ' esperienza sconosciuta ai genitori contadini ; la prima generazione cresciuta nella grande città e vicino alle fabbriche , questi ragazzi che credono di portare in sé e solo in sé la scienza del nuovo mondo . Per esempio di un mondo dove l ' amicizia può contare più dell ' amore , in tutte le testimonianze degli immigrati gli interventi liberatori e risolutori dell ' amicizia : « Ero appena arrivato non sapevo dove battere la testa , passo davanti il supermarket di viale Monterosa e riconosco Gaetano . Lui parla con il direttore e subito mi prendono » . « Ora faccio venire su il mio amico . Finché non lavora può tenerci in ordine la casa . » « Ora aggiungo un letto e chiamo un amico che sta in pensione » . E , ovviamente , anche l ' amicizia come segno di una affermazione sociale : lo devono sapere in paese che uno può già provvedere a un amico . I giochi dei vecchi Bisogno di amicizia , di comunicazione in una società urbana e industriale che logora i sodalizi e spinge alla solitudine . Gli ex contadini immessi repentinamente in questo campo di forze contraddittorie dove tutti son sempre insieme e tutti son sempre soli . Fuori dalle sale da ballo e dai bar , la vita associativa tradizionale declina . Le cooperative e i circoli popolari della fascia industriale sono nella crisi tipica di una società in rapida transizione . I giovani non capiscono più gli anziani , hanno dei gusti diversi . Se ai primi piacciono le bocce e la scopa ai secondi , invece , il biliardino e il juke - box . Ma gli anziani hanno il potere , se il suono del juke - box disturba le loro partite se ne liberano . Allora i giovani si annoiano e se ne vanno . Sessanta su cento i soci hanno più di quarantacinque anni , il declino delle associazioni è inevitabile . Cambiano i gusti . Il vino piace di meno e « non lega più » . Al punto che le ACLI hanno fondato a San Giuseppe una « società della tazza » , ogni socio la sua , ma per berci la birra , chi lo avrebbe detto nella terra dove i circoli vinicoli erano la struttura fondamentale del socialismo . Così decadono anche i riti del vino , la liturgia per la fabbricazione del vino : i soci che andavano a comperare le uve , soci che le pigliavano , il primo bicchiere assaggiato dal socio più anziano . Meno vino , meno osterie . Le osterie dove si beveva il vino e si discuteva di politica chiuse una dopo l ' altra e sostituite dai bar dove si ascolta la musica e si bevono i liquori . Per gli immigrati l ' acquisto dei liquori ha anche un significato di miglioramento sociale , chi si fa un piccolo bar in casa si sente molto arrivato e molto settentrionale , anche nelle feste conviviali , fra paesani , i liquori e i vermuth sostituiscono spesso il vino . Non ci sono più le epiche ciucche collettive delle serate festive , ma sale il numero di alcolizzati , il professor Virginio Porta ha notato , fra gli immigrati , più casi di ebbrezza acuta e di delirium tremens . Meno vino , meno bocce : la bocciofila di Cascina Olona ha chiuso ; sui campi di Metanopoli cresce l ' erba ; qualche anno fa , la domenica , si faceva la coda per giocare a bocce sui campi di Bolgiano adesso ce n ' è sempre uno libero ; gli esperti calcolano che un campo su tre è scomparso negli ultimi cinque anni . E nessuno piangerebbe sul declino degli svaghi paesani se esistesse l ' attrezzatura per gli svaghi urbani , ma l ' attrezzatura non c ' è , a Milano e nella fascia il verde sportivo è inesistente , ogni corsa ciclistica ripete lo spettacolo comico di quei tali con bandiere che si sbracciano per aprire un varco ai pedalanti in mezzo alle colonne dei motorizzati . E nella metropoli il verde pubblico è ridotto a 1,7 metri quadrati per abitante , che è roba da ridere , anzi da piangere di fronte ai 100 metri di Stoccolma e agli 80 di Londra . Bisogno di amicizie , di comunicazione in una società consumistica che invita e spesso obbliga ai consumi e ai piaceri individuali . La cooperativa di Corsico si prova ad organizzare delle gite turistiche , ma la cosa non funziona , i soci preferiscono viaggiare per conto loro in macchina o in motoretta . Salvo il ballo , piacciono gli svaghi individuali , procurati con lo strumento di proprietà individuale , macchina , transistor , televisore . E anche negli svaghi collettivi l ' impressione di essere sempre in qualche modo isolato dietro una sostanza vitrea e translucida , sia schermo o video o parabrezza . Secondo la legge del consumatore passivo che non fabbrica il suo svago e non vi partecipa , ma vi assiste . Tutto cambia tutto si scambia Si dice che la Padania in genere e il Milanese in particolare debbano gratitudine agli immigrati specie meridionali per lo scampato pericolo della « svizzerizzazione » il benessere al prezzo di una noia compatta . Si dice poi che l ' immigrazione ha dato al settentrione una « profondità emozionale » , una capacità di stupore , di gioia , di commozione prima sconosciuta , certo una voglia di vivere , di godere , di provare mai così evidente . In tutta la fascia è come se la temperatura sociale fosse salita di parecchi gradi , le notti sono più vive , più illuminate , uscire di sera è l ' affermazione di un buon diritto : « Si è liberi alla sera quando uno può dire alla moglie : domani vado a lavorare e questo è sicuro » . E c ' è anche un gusto nuovo per il colore , per il vistoso , gli immigrati infiocchettano e ornano le loro motorette , mettono sul manubrio un mazzo di roselline di plastica , poi specchietti , bandierine , pennacchi . Alcuni abbelliscono anche la bicicletta , questa macchina che molti scoprono al Nord ; gli esperti riconoscono subito l ' immigrato che ha appena imparato e pedala rigido rigido , si sa sempre tutto sull ' Italia povera , ma mai abbastanza , chi ci pensava più alla bicicletta come a una macchina da scoprire ? Quindi tutte le osmosi , i compromessi , gli adattamenti di una società nuova , composita , in rapida trasformazione . I meridionali si adattano ad alcune usanze dei milanesi , fanno il matrimonio come da queste parti , visita alla casa degli sposi , cerimonia in municipio ( pochissimi ) o in una chiesa ( la maggioranza ) , grande mangiata e spesso il « ribattino » che una volta poteva durare anche tre giorni di altre mangiate e bevute , adesso al massimo , una sera . Ma i settentrionali rinunciano gradualmente alle loro feste maschili e marziali , sempre meno coscritti in giro per i paesi della fascia e neanche uno meridionale perché « in bassa Italia è un funerale quando si va a soldato » e chi può dargli torto . A loro volta i meridionali lasciano cadere il gusto per i fuochi artificiali , il municipio di Cinisello si accorge che ogni anno lo spettacolo piace meno anche se è ogni anno più ricco . A Cologno è da parecchio che non chiedono i botti , la mattina del primo maggio . E tutti assieme , nella scia del progresso trasferiscono le feste battesimali dalle case alle cliniche , si liberano il più presto possibile dei morti e del lutto , vestono tutti eguali . La sociologia , che consiste nell ' applicare paro paro il modello americano a qualsiasi paese del mondo , può anche dire che « i giovani della fascia industriale adottano subito i blue jeans e i giacconi di cuoio » . Sono storie che piacciono , hanno un sapore letterario , solo che non sono vere . Gli immigrati della fascia non vestono all ' americana , vestono come possono nel giorno del lavoro e alla maniera della borghesia cittadina nei giorni festivi , i vestiti grigi o scuri , la camicia bianca e la cravatta , da gente rispettabile . Ogni tanto ne arriva qualcuno con i pantaloni bianchi e le scarpe bianco e nero che sono segno di guapperia , ma dopo pochi giorni si allineano , al massimo tengono le basette . Le donne fanno anche più presto , subito si rifanno la bocca , poi via lo scialle ( appena due o tre che abitano alla Certosa ) e finalmente si fanno l ' abito buono da cittadina , scoprendo senza aver letto Emerson che « la coscienza di essere ben vestito dà una tranquillità interna che neppure la religione sa dare » . No , in fatto di abiti , il paragone fra Nuova York e il Milanese , fra i giovani del Bronx e quelli di Paderno Dugnano proprio non regge . Gli immigrati non vestono alla americana per la semplice ragione che il Milanese non è l ' America . Laggiù una moda maschile aggressiva , rude , violenta può forse adattarsi a dei giovani a cui si predica dal mattino alla sera : « Fa il tuo cammino , battiti , conquista , diventa un successo » . Ma qui anche l ' abito deve adattarsi a un giovane a cui la vita dice : « Sii prudente , cerca di farti accettare , diventa come gli altri » . Un ' America da poveri Certo per molti aspetti l ' immigrazione nella fascia ricorda l ' America della conquista , salvo , come si è detto , la frontiera e ciò che rappresenta . Ma è una mancanza decisiva . Nella conquista i pionieri americani cercavano la ricchezza e , con la ricchezza , prima il confort , poi la pulizia poi la novità . I nostri umili pionieri vogliono prima il lavoro , poi la sicurezza , poi l ' uguaglianza e appena ora i giovani arrivano al confort . Tutti assieme poi sono ancora lontani dalle sottoarti del successo , non frequentano le scuole di personalità e non leggono Come diventare un dirigente . Anche perché leggono niente .
Questo e poi basta ( Bocca Giorgio , 1963 )
StampaQuotidiana ,
« Se aveste cinque milioni che ne fareste ? » Su 430 interrogati in un villaggio - città del Milanese , 372 dicono subito la casa , prima la casa poi il negozio , l ' automobile , il deposito in banca . È « la febbre del mattone » , qui altissima . Se in dieci anni , dal 1951 al 1961 , l ' attività edilizia dell ' Italia settentrionale sale da 100 a 170 , qui l ' indice supera quota 340 . Una casa per gli ex contadini locali e immigrati cui la rivoluzione industriale ha tolto « la paura di esporsi » sostituendola con paure più grandi . Cittadini di una età di transizione , eccoli presi dal panico dell ' incerto e del provvisorio , dall ' ansia di trovare qualcosa di sicuro e di stabile . Se prima la loro vita era basata sul binomio terra - sicurezza , ora è la casa - sicurezza che cercano . Magari una sicurezza illusoria , pagata a durissimo prezzo : debiti per tutta la vita , un castello di cambiali che sta in piedi a patto che non ci si ammali mai , che si abbia sempre lavoro . Quasi una scommessa contro tutto e tutti . Una casa , non un alloggio . Non dolce e accogliente come la home anglosassone ( odore di torta di mele e nostalgia ) , ma amica e necessaria , fuori di lei il pulviscolo sociale , la disintegrazione . Possibilmente « di tipo svizzero » , che poi risulta una mescolanza di tetti sghembi , di terrazzini meridionali , di tenui colori veneti . La casa unifamiliare , sempre più difficile ora che il prezzo dei terreni sale alle stelle imponendo i condominii a molti alloggi . Eppure i nuovi arrivati insistono , chiedono aiuti impossibili , si indebitano in maniera impossibile , vanno a lamentarsi dai sindaci . Quello di Cinisello gli dice : « Ma andiamo , siate ragionevoli , perché volete una casa per ogni famiglia ? Dovete associarvi , non avete i mezzi , il comune non può aiutarvi » . I più tacciono delusi , alcuni danno la risposta dei bambini : « Perché di sì » . Il collettivismo forzato della fascia industriale , il gomito a gomito urbano è pervaso da questo desiderio di isolamento familiare . E dal ripudio di ogni solidarietà del tipo contadino . L ' istituto delle case popolari osserva che dovunque gli inquilini aggiungono « chiusure , tramezze divisorie , separazioni » . E si sente dire : « Non mi piace che gli altri vedano quel che abbiamo nel piatto » . « Ognuno la pensa a modo suo , la gente adesso non è come una volta . » L ' indice « conflittuale » come lo chiamano i sociologi sale nelle vecchie abitazioni a corte , le cascine trasformate o i palazzi decaduti come la corte degli Arduino , a Sesto , un tempo sede comitale , poi convento , filanda , caserma e ora alloggio di immigrati . E si capisce che la gente delle corti litighi , si guasti : finita la collaborazione economica della comunità contadina , finite le parentele e le amicizie che nascevano da quella collaborazione , gli abitanti della corte si guardano con fastidio e sospetto . Sono tipi arrivati da regioni e da culture diversi , immessi repentinamente in un mondo nuovo diverso . Hanno bisogno di qualcosa che li difenda dalla disintegrazione : una casa loro . La doppia convenienza Alla prova delle migrazioni la famiglia contadina , organica , a più generazioni reagisce in modo estremo , spezzandosi o rinsaldandosi : familiari che si tengono uniti come in una cordata o che bruciano anche le memorie . « Queste cose o le fai in famiglia o non le fai » dice l ' immigrato della famiglia « in cordata » che si costruisce la casa nella notte . « A sentire la famiglia non ci saremmo mai mossi » dicono gli altri , anche le giovani coppie che si presentano ai parroci per raccontargli come sono fuggiti dal Sud e dai suoi matrimoni di convenienza . Nella regola , però , sono i matrimoni convenienti alla civiltà contadina che affrontano il brusco mutamento di temperatura sociale uscendone spezzati o rafforzati come da una tempra . Di quelli spezzati , a volte polverizzati , lui e lei chi sa dove , restano gli « orfani dell ' emigrazione » , abbastanza numerosi negli istituti del Milanese . Per gli altri c ' è un periodo di transizione in cui muore il primo matrimonio , della convivenza industriale . « La famiglia » dice il sociologo Diena « è , nella fascia , in una fase polemica . Non più la famiglia allargata , ma non ancora la famiglia nucleare . » La polemica sembra inevitabile appena la famiglia è , bene o male , sistemata , compiuto il trasferimento a catena o « a ciliegia » , costruita la casa , l ' unità di produzione trasformata in una unità di consumo . Allora i figli cominciano a guardare i genitori con occhi « milanesi » , dentro noia , superiorità e un po ' di affetto , mescolati . Sono tempi difficili per i genitori : nel nuovo mondo la loro autorità è scomparsa o tende a scomparire , come nella famiglia americana , ma il cameratismo che dovrebbe sostituirla qui non si vede ancora , fra anziani e giovani non c ' è convivenza , l ' attaccamento alle tradizioni contadine degli anziani non consente dialoghi amichevoli . Brutta faccenda , per gli anziani , il rapido progresso tecnologico : riescono a malapena a resistergli , se riescono , comunque non hanno più niente da insegnare ai figli . Intanto costoro han capito che il lavoro lo trovano più facilmente loro che gli anziani e misurano l ' insufficienza dei padri e delle madri a risolvere i problemi economici e sociali . Anche da questo nasce il desiderio di andarsene , di mettere su casa per conto proprio : spesso i giovani cercano nella futura moglie o nel futuro marito proprio ciò che manca al padre o alla madre , che è un ' altra chiave per spiegare la « febbre del mattone » , la ricerca affannosa della casa unifamiliare , questa ultima difesa degli anziani contro la duplice batosta dei cinquant ' anni quando retrocedono dal salario alla pensione e gli manca l ' aiuto dei figli che sposano . « La casa l ' abbiamo fatta pensando all ' avvenire dei figli ? » « La casa ce l ' hai , cosa cerchi ? » « Non pensateci , la alzeremo di un piano . » È l ' ultima ratio , l ' ultimo patetico ricatto : « Qui almeno i figli ve li guarderemo noi » . La nuova donna Non è poi mica vero che la donna sia soltanto mobile « qual piuma » , almeno non lo è per la donna nuova che si forma nella fascia , un misterioso miscuglio di progresso e di conservazione , di stabilità e di riformismo , ora pungolo ora remora nella grande avventura del trapianto familiare . Più ricettiva dell ' uomo alle mode , più interessata dell ' uomo , naturalmente , alla parità fra i sessi . Ma al tempo stesso più legata alle virtù contadine del risparmio , del sacrificio , della pazienza , capace di chiusure e di sacrifici di fronte ai quali l ' uomo già esita : « Se vivevamo laggiù con 20 mila al mese vivremo anche qui . Con il resto si fa la casa » . « Di che ti lamenti ? Come abitavamo laggiù abitiamo qui finché conviene . » Certi osservatori superficiali del mercato credono che spetti alle donne l ' aumento di tutti i consumi . È più esatto dire , nella fascia , che la donna decide soprattutto i consumi che servono la famiglia e la sua difesa , anche gli strumenti di svago : « Che vuole , il televisore ho dovuto comperarlo , se no chi le teneva in casa le figlie ? » . La difesa della famiglia anche ricreando , come si può , le occasioni degli svaghi comuni e sorvegliati : certe sale doppio cinematografiche a Cinisello , Desio eccetera si trasformano , il sabato sera , in club regionali dove i paesani chiacchierano , ridono e negli intervalli consumano il cibo portato da casa . Nell ' interno della famiglia , si diceva , l ' azione della donna è molteplice e , per certi aspetti , contraddittoria . I pregiudizi , l ' educazione sentimentale , il fardello di una tradizione antica , un certo calcolo autoritaristico la legano alla famiglia tradizionale ; ma intanto non perde occasione per sottrarsi alla autorità dispotica dell ' uomo e per rivendicare quella parità che conduce inevitabilmente alla famiglia ristretta . Alcune il diritto alla parità se lo sono guadagnate sul campo , guidando l ' emigrazione : lei che viene su da uno zio , da un fratello , con i figli per dar tempo a lui di vendere la casa o il campo . Lei che trova la casa e il lavoro per lui , che gli fa da guida nel nuovo mondo , che contribuisce , lavorando essa pure , al mantenimento della famiglia . Allora in casa ci si rende conto , poco a poco , che sono finiti i lavori collettivi dei contadini e dei pescatori , che la famiglia non ha più introiti propri , ma una somma di introiti . Gradualmente si fa strada il concetto che il guadagno della moglie , della figlia , della sorella non è automaticamente e totalmente un guadagno della famiglia . Pian piano si arriva al concetto della donna che dà alla famiglia la sua quota come l ' uomo : « Ho detto a mio padre che ero stufa di dare tutto in casa , gli ho detto di fissarmi la mia parte , lui mi ha dato uno schiaffo , ma adesso si è abituato » . E si diffonde l ' abitudine delle donne a farsi intestare beni immobili , ad avere un patrimonio proprio , a dividere la vita sociale del marito . Avere un figlio senza essere sposate è sempre una brutta faccenda , ma non è più un dramma . Qui il figlio puoi tenerlo e nessuno trova da ridire se sei in grado di mantenerlo . Perché qui l ' importante è questo , di avere sempre una copertura economica . Le donne lo capiscono prima degli uomini , è merito loro il controllo delle nascite , quasi automatico di fronte alle necessità del nuovo mondo : « Questo e poi basta » . Le donne fan presto a capire cosa costa allevare un figlio nei giorni duri e caotici della rivoluzione industriale . Su cento bimbi di immigrati nel Milanese una quarantina vengono affidati ad amici o parenti , una decina lasciati nei paesi di origine , venti affidati agli asili e gli ultimi venti , anche se potrà sembrare incredibile , lasciati senza alcuna custodia . Così la voglia di figliare passa : se la media delle famiglie in arrivo è di circa quattro figli quella delle famiglie costituite qui scende a due . La civiltà consumistica ed edonistica non ama le famiglie troppo numerose . O almeno non le ama finché non sono ricche abbastanza per concedersi quel lusso . E ci vuole tempo , parecchio tempo , prima che gli assetati di nuovi piaceri riscoprano che il piacere dei figli è il meno illusorio . I consumi inesistenti I consumi sono aumentati e aumentano , in tutta la fascia . Sicché volendo si possono applicare anche qui i teoremi americani del consumo concupiscente e simbolico . Solo che non bisogna perdere il senso delle proporzioni : siamo ancora , nel migliore dei casi , a un consumo di massa continuativo limitato a 35 , 40 persone su 100 , le altre 65 , 60 , appena al livello della sussistenza , neanche una lira dopo quelle necessarie al cibo , all ' alloggio e a un vestito . E la preparazione culturale di quelli che acquistano è talmente bassa che bisogna rivedere e adattare i sistemi di vendita . Per esempio quello della cornucopia straripante , dell ' abbondanza a portata di mano , tipica dei supermarket sembra peccare , a volte , per eccesso di fiducia economica e culturale . A Sesto , a Monza , a Legnano , i direttori dei grandi magazzini osservano sia i clienti che « comprano tutto e poi si arrabbiano » ( l ' insufficienza economica dopo il raptus consumistico ) sia quelli « tutti stupiti quando devono restituire una parte degli acquisti perché non ce la fanno a pagare » ( Insufficienza economica , ma anche analfabetismo , incapacità di leggere i prezzi . ) In tutta la fascia la razionalità dei self service deve fare i conti con l ' ignoranza del pubblico : inutile dividere le taglie degli abiti secondo il colore degli attaccapanni , il rosso taglia grande , il giallo taglia media , il verde piccolo , se poi i clienti non sanno leggere il cartello con le indicazioni . Ed è frutto dell ' ignoranza , più che della povertà , l ' equivoco che sta alla base dei numerosi furti : servirsi da soli eguale a mancanza di controlli . Poi finisce che le ragazze vengono trovate con addosso il costume da bagno indossato sotto i vestiti , nel camerino di prova ; e gli uomini con le matite , gli accenditori , i portamonete e le altre cose piccole nelle tasche . Ecco un altro modo di definire le due avventure : nel West della conquista , furti di mandrie e di cassette d ' oro , qui furti da supermercato . Il Milanese è molto più civile del West : perciò vi si ruba speculando , nei limiti del codice .