Saggistica ,
ÿþCANTÙ
E
CARMIGNANI
(
dagli
Opuscoli
di
Diritto
criminale
,
Lucca
,
1870
,
vol
.
II
,
597
ss
.
)
Cesare
Cantù
(
quel
potente
ed
infaticabile
ingegno
,
che
tanto
arrecò
di
onoranza
alla
patria
nostra
)
ha
dato
in
luce
un
frutto
novello
dei
suoi
studi
,
nel
libro
che
intitolò
Beccarìa
e
la
scienza
criminale
.
In
cotesto
scritto
l
'
illustre
autore
,
seguitando
un
sistema
altra
volta
da
lui
felicemente
sperimentato
,
prende
occasione
dalla
biografia
di
un
uomo
ad
intessere
la
storia
della
scienza
che
da
quello
si
coltivò
,
e
delle
opinioni
dei
tempi
che
lo
precedettero
,
e
lo
seguitarono
.
Così
dalla
vita
del
Beccarìa
coglie
il
Cantù
destramente
occasione
di
registrare
numerosa
serie
di
fatti
interessanti
la
scienza
penale
ed
esponendo
lo
stato
della
dottrina
che
precedette
e
susseguì
gli
scritti
del
suo
protagonista
,
viene
parlando
degli
uomini
che
poscia
meditarono
le
palpitanti
questioni
da
lui
sollevate
nel
magistero
punitivo
.
Non
intralascia
l
'
esimio
scrittore
di
esprimere
il
suo
pensiero
sulle
diverse
scuole
che
si
formarono
dipoi
nella
scienza
del
diritto
penale
;
e
di
mostrarci
sovente
come
sappia
la
sua
mente
acutissima
con
brevi
parole
demolire
una
intera
dottrina
.
Non
è
mio
intento
di
tessere
elogi
di
questo
scritto
pregevolissimo
e
benemerito
della
scienza
alla
quale
consacro
i
miei
studi
:
né
di
sindacare
le
opinioni
che
in
quello
trapelano
,
o
rilevarne
se
pur
vi
sono
i
difetti
.
Mio
solo
scopo
è
d
'
adempiere
un
sacro
dovere
di
gratitudine
.
E
in
vista
di
cotesta
cagione
spero
che
l
'
insigne
scrittore
vorrà
perdonare
alle
rispettose
mie
osservazioni
.
Evvi
in
quello
scritto
una
pagina
(
la
292
)
ove
il
Cantù
favella
di
colui
che
io
considero
come
decoro
d
'
Italia
,
luminare
e
maestro
della
dottrina
penale
:
Giovanni
Carmignani
.
Il
Cantù
,
che
tutti
novera
i
criminalisti
surti
in
Italia
fino
ai
dì
nostri
,
non
consacra
al
Carmignani
che
quella
pagina
.
Ed
anzi
la
maggior
parte
di
quella
pagina
è
ingombrata
da
una
satira
che
fu
lanciata
contro
Giovanni
Carmignani
mentre
a
Firenze
faceva
i
suoi
primi
infelicissimi
tentativi
nella
scienza
alla
quale
diede
poscia
tanto
incremento
.
Del
rimanente
non
altro
si
dice
del
Carmignani
tranne
accennare
la
sua
divergenza
con
Pellegrino
Rossi
(
al
quale
pure
il
Cantù
fa
in
altro
luogo
rimprovero
di
aver
bevuto
le
ispirazioni
francesi
da
Broglie
e
Guizot
)
ed
affermare
che
il
Carmignani
fino
al
1836
fu
un
caldo
propugnatore
della
pena
di
morte
.
Aggiungendo
che
solo
a
questo
ultimo
stadio
della
sua
vita
ei
cambiò
di
opinione
;
e
repentinamente
invitato
il
pubblico
a
straordinaria
lezione
,
si
diede
a
combatterla
.
Ora
questa
notizia
che
riferisce
il
Cantù
per
inesatte
informazioni
,
non
può
lasciarsi
inosservata
da
chi
meglio
conobbe
le
massime
insegnate
dal
professore
pisano
,
assai
difformi
da
quelle
che
si
vorrebbero
a
lui
attribuire
.
Rettificare
con
documenti
cotesto
equivoco
,
e
rivendicare
il
nome
di
quel
sapiente
dalla
taccia
di
incostanza
scientifica
,
è
un
debito
di
reverenza
in
chi
,
sebbene
indegnamente
,
siede
alla
cattedra
che
tanto
si
onorò
di
quel
grande
.
Giovanni
Carmignani
uscito
dalla
pisana
Università
con
la
laurea
dottorale
,
recavasi
per
sue
convenienze
alla
capitale
della
Toscana
e
trovava
colà
un
Ministero
,
che
impaurito
dell
'
uragano
minaccevole
d
'
oltremonte
,
ripristinava
con
la
legge
del
1795
la
pena
di
morte
,
e
riconduceva
in
generale
le
punizioni
a
più
severa
misura
.
È
naturale
in
tutti
i
Governi
,
che
promuovono
una
riforma
legislativa
,
di
cercare
attorno
qualche
scrittore
che
con
gli
elogi
suoi
si
studi
a
rendere
popolare
la
nuova
legge
,
e
persuada
il
pubblico
della
convenienza
,
e
saviezza
della
medesima
.
Se
pochi
sono
i
Legislatori
i
quali
,
ad
imitazione
del
Bavarese
,
recidano
il
pericolo
di
una
censura
con
lo
interdire
ogni
commento
sul
nuovo
codice
,
nessuno
di
loro
tollera
in
pace
la
critica
.
E
ciò
tanto
più
è
naturale
,
quanto
più
la
legge
novella
è
avversa
alle
opinioni
dominanti
nel
popolo
;
com
'
era
,
ed
è
sempre
stata
avversa
ai
toscani
la
pena
di
morte
.
E
bene
a
ragione
un
popolo
civile
doveva
osteggiare
la
pena
di
morte
.
Poiché
questa
altro
non
è
che
l
'
ultimo
residuo
della
barbara
idea
del
taglione
.
Singolare
esempio
di
pregiudizi
umani
!
Mentre
è
ormai
rejetta
la
erronea
dottrina
,
se
ne
venera
la
più
fatale
estrinsecazione
!
Nessuno
oggi
oserebbe
sul
serio
riproporre
il
taglione
come
misura
della
pena
.
E
non
si
vuol
vedere
che
la
idea
di
uccidere
l
'
uccisore
altro
non
è
che
la
prima
formula
del
taglione
!
Di
ciò
che
avvenne
il
1795
,
vedemmo
noi
stessi
ripetuto
l
'
esempio
nel
1853
alla
pubblicazione
del
nuovo
codice
penale
.
Il
Ministero
accarezza
coloro
che
elogiano
il
parto
della
sua
mente
,
come
una
tenera
madre
simpatizza
per
chiunque
rivolga
ai
suoi
bambini
parola
di
encomio
o
di
affetto
:
e
quelli
che
ambiscono
i
favori
dell
'
autorità
comprendono
ben
tosto
qual
è
la
via
che
si
deve
calcare
per
guadagnarseli
.
Narro
cosa
che
è
notoria
fra
noi
.
Anelava
il
Governo
Toscano
del
1795
trovar
modo
onde
vincere
l
'
antipatia
popolare
contro
la
pena
di
morte
.
Carmignani
ebbe
la
debolezza
di
cedere
alla
lusinga
:
ed
a
suggerimento
di
Lorenzo
Pignotti
,
pubblicò
nel
1795
a
Firenze
coi
tipi
della
Stamperia
Granducale
un
pessimo
libro
,
intitolato
Saggio
di
Giurisprudenza
criminale
:
ove
calorosamente
sostenne
la
utilità
e
la
giustizia
della
pena
di
morte
.
Ecco
il
peccato
capitale
di
Giovanni
Carmignani
:
ma
fu
il
peccato
del
giovine
dottore
,
inesperto
della
vita
;
e
balbettante
ancora
nell
'
atrio
della
scienza
.
Ma
fu
un
peccato
che
egli
pianse
amaramente
fino
a
che
visse
,
cercando
distruggere
come
poteva
ogni
esemplare
di
quel
libro
male
augurato
;
deplorando
con
gli
amici
l
'
error
giovanile
e
vergando
di
proprio
pugno
sull
'
esemplare
che
qua
si
conserva
degli
eredi
di
lui
,
solenni
parole
di
anatema
.
Ivi
in
testa
al
capitolo
quinto
,
intitolato
della
utilità
della
pena
di
morte
,
leggiamo
scritto
da
lui
-
orribile
intitolazione
!
!
Eppure
uscì
dalla
mia
penna
e
dalla
mia
mente
!
Fu
un
errore
giovanile
,
che
doveva
dirsi
redento
dai
fruttuosi
sudori
del
professore
pisano
;
e
dagli
sforzi
energici
coi
quali
combattè
sempre
i
falsi
principii
da
lui
disavvedutamente
seguitati
in
quell
'
opera
informe
.
L
'
albero
non
dee
giudicarsi
dai
frutti
immaturi
che
per
ridondanza
di
umore
vitale
egli
emetta
precocemente
,
come
l
'
uomo
non
dee
giudicarsi
sulle
aberrazioni
della
sua
giovinezza
.
Troppi
sarebbero
i
grandi
che
si
farebbero
impiccolire
,
misurandoli
col
criterio
dei
giovanili
conati
.
Chi
valutasse
l
'
Alfieri
sui
meriti
della
Cleopatra
,
lo
direbbe
un
ridicolo
tragico
.
Chi
giudicasse
Byronnei
suoi
versi
giovanili
,
direbbe
che
quel
gigante
fu
un
meschino
poeta
.
Del
resto
non
fu
tardo
il
Carmignani
a
conoscere
quella
trista
verità
,
che
chi
si
lascia
sedurre
dalle
aure
del
potere
,
se
qualche
volta
guadagna
fortuna
,
quasi
mai
profitta
nella
onoranza
e
nella
benevolenza
dei
cittadini
.
Non
solo
a
lui
piovve
addosso
il
madrigale
che
riporta
il
Cantù
,
e
che
fu
diretto
contro
il
dottore
Carmignani
e
non
contro
il
professore
pisano
;
ma
la
lepidezza
fiorentina
versò
contro
lui
un
torrente
di
satire
e
di
motteggi
,
di
cui
furon
pieni
persino
gli
angoli
delle
pubbliche
vie
.
E
fu
tale
e
tanto
il
gridare
contro
di
lui
,
che
chi
ne
meditò
allora
le
cause
,
non
iscorgendo
proporzionata
a
quelle
ire
la
inisignificanza
del
libro
,
e
la
oscurità
dell
'
autore
,
vi
riconobbe
piuttosto
una
manifestazione
contro
l
'
esoso
indietreggiare
del
governo
.
Tutt
'
altro
cuore
che
quel
di
Giovanni
sarebbesi
annientato
in
faccia
a
tanta
tempesta
.
Ma
il
Carmignani
dalla
infelicità
della
prima
esperienza
trasse
invece
argomento
a
meglio
approfondare
i
suoi
studi
nel
giure
penale
,
e
sostituire
i
concetti
proprii
e
il
risultato
delle
proprie
meditazioni
alle
inspirazioni
di
una
servile
deferenza
.
Laonde
,
quando
nel
1803
fu
chiamato
alla
lettura
del
diritto
criminale
nella
pisana
Università
,
ei
si
presentò
ai
suoi
alunni
,
non
più
parteggiatore
di
crudeli
dottrine
,
ma
deciso
sostenitore
della
mitezza
nei
gastighi
;
ed
appose
per
eserga
alle
sue
istituzioni
di
diritto
criminale
che
(
per
quanto
mi
è
dato
di
rintracciare
)
pubblicò
in
latino
la
prima
volta
nel
1808
,
questa
sentenza
-
temperatus
cohibet
timor
;
assiduos
acer
extrema
admovens
,
in
audaciam
jacentes
excitat
-
quasi
a
programma
e
solenne
professione
di
fede
,
quasi
a
segnale
della
bandiera
sotto
la
quale
ei
si
apparecchiava
a
pugnare
.
Salito
in
Cattedra
egli
sentì
il
debito
di
coscienza
d
'
insegnare
agli
alunni
suoi
quelle
che
riconosceva
come
grandi
verità
della
scienza
,
e
non
i
placiti
della
autorità
.
Fondatore
dell
'
insegnamento
filosofico
del
giure
penale
(
1
)
[
(
1
)
Del
giure
penale
fu
Giovanni
Carmignani
l
'
Apostolo
ed
il
Dottore
.
Ne
fu
l
'
Apostolo
,
perché
i
principii
umanitarii
propugnò
sempre
con
amore
caldissimo
,
ed
a
propagarli
volse
ogni
suo
studio
con
indefessa
operosità
.
Ne
fu
il
Dottore
,
perché
alla
civilizzazione
del
giure
punitivo
egli
diede
opera
utilissima
e
salda
col
ricostituirne
dalle
basi
lo
insegnamento
.
Già
i
pubblicisti
nella
seconda
metà
del
passato
secolo
avevano
fatto
crollare
lo
edifizio
barbaro
del
vecchio
giure
punitivo
,
e
già
Leopoldo
I
di
Toscana
,
convertendo
in
legge
le
nuove
dottrine
,
aveva
mostrato
come
potesse
senza
ferocia
di
pene
mantenersi
la
sicurezza
di
un
popolo
.
Ma
i
novatori
a
patrocinare
la
santa
causa
avevano
usato
e
forse
abusato
delle
patetiche
declamazioni
;
perché
in
quei
primi
attacchi
era
buono
fare
appello
al
cuore
per
commuovere
gli
animi
e
condurli
a
dimettere
le
tenebrose
abitudini
.
Se
però
l
'
impeto
giova
per
demolire
,
non
vale
altrettanto
a
ricostruire
;
ed
il
secolo
passato
,
che
fu
tremendo
demolitore
,
lasciava
al
presente
il
retaggio
della
ricostruzione
anche
nell
'
argomento
del
diritto
penale
.
E
poiché
gli
avversarii
non
posavano
le
armi
,
ma
appunto
,
pigliando
occasione
dal
metodo
della
aggressione
,
falsavano
la
situazione
della
lotta
e
screditando
i
novatori
come
sentimentalisti
vantavano
a
loro
pro
il
presidio
della
ragione
;
era
tempo
si
desse
loro
battaglia
sovra
più
severo
terreno
,
e
costringerli
,
se
fia
possibile
,
ad
un
perpetuo
silenzio
.
Questa
fu
la
mente
del
Carmignani
quando
nel
1807
dettò
nella
lingua
dei
dotti
i
suoi
elementi
di
diritto
criminale
ampliati
poscia
e
corretti
nelle
successive
edizioni
.
Riedificare
tutta
la
dottrina
penale
sulla
base
semplice
,
ma
sempre
vera
,
della
natura
delle
cose
onde
mostrare
che
le
riforme
,
chieste
dal
progresso
civile
,
non
si
volevano
per
un
sentimento
di
pietà
verso
i
colpevoli
ma
pei
rigorosi
precetti
di
assoluta
giustizia
,
era
il
bisogno
del
tempo
;
e
sorse
Carmignani
a
soddisfare
questo
bisogno
.
Aridi
come
una
matematica
,
e
denudati
dei
fiori
rettorici
,
dei
quali
pure
sapeva
egli
bene
usare
nel
foro
,
gli
scritti
didattici
del
Carmignani
ricondussero
il
giure
penale
ad
una
dottrina
ontologica
.
Tre
furono
i
cardini
sui
quali
egli
adagiò
la
scienza
filosofica
della
ragione
penale
.
Aderire
tenacemente
alla
distinzione
fra
imputazione
e
pena
.
Aderire
tenacemente
alla
distinzione
fra
quantità
e
grado
così
nel
delitto
come
nella
pena
.
Notomizzare
il
delitto
e
la
pena
decomponendoli
nelle
respettive
loro
forze
così
fisiche
come
morali
,
cercando
nelle
forze
oggettive
del
delitto
il
criterio
della
sua
quantità
,
e
nelle
soggettive
il
criterio
del
suo
grado
,
onde
trovare
la
quantità
e
grado
corrispondente
nelle
penalità
.
Fu
questo
il
tripode
sul
quale
egli
pose
la
conclusione
che
la
mitezza
delle
pene
come
generale
veduta
legislativa
non
era
chiesta
dalla
misericordia
ma
dalla
giustizia
,
e
che
debito
di
giustizia
distributiva
,
non
di
pietà
,
erano
le
mitigazioni
dei
castighi
nei
singoli
casi
.
Alla
dottrina
arbitraria
ed
empirica
delle
circostanze
attenuanti
non
fece
appelli
giammai
,
anzi
la
bandì
come
funesto
veleno
dal
suo
sistema
,
perché
volle
che
il
giudice
fosse
guidato
dallo
intelletto
e
non
soggiogato
dal
cuore
.
Punire
meno
,
perché
non
si
ha
diritto
di
punire
oltre
;
punire
meno
dovunque
si
trova
meno
nelle
condizioni
giuridiche
del
fatto
:
ecco
le
formule
alle
quali
da
capo
a
fondo
s
'
inspirò
lo
insegnamento
del
grande
maestro
:
insegnamento
che
può
spregiarsi
soltanto
da
chi
non
sa
o
non
vuole
comprenderlo
,
ma
che
compreso
una
volta
è
fonte
perenne
di
luce
in
ogni
problema
del
giure
punitivo
.
È
vero
che
nello
svolgimento
dei
singoli
problemi
lasciò
Carmignani
qualche
angolo
inesplorato
;
ma
le
linee
fondamentali
tracciate
da
lui
erano
facile
guida
alle
desiderate
soluzioni
.
È
vero
che
Carmignani
mostrò
qualche
volta
allearsi
alla
scuola
così
detta
politica
,
e
qualche
volta
chiedere
ajuti
alla
scuola
utilitaria
,
ma
non
pose
né
nell
'
una
e
né
nell
'
altra
la
vera
radice
delle
sue
dottrina
,
perché
troppo
era
libero
pensatore
per
farlo
.
Fu
questa
per
lui
una
necessità
di
situazione
.
Egli
si
trovava
alle
spalle
la
falsa
filosofia
del
secondo
decimottavo
,
si
vedeva
sorgere
al
fianco
(
troppo
potente
in
quel
periodo
)
la
falsa
ed
empirica
scuola
detta
utilitaria
capitanata
da
Bentham
.
Accintosi
egli
a
muover
guerra
senza
transazione
con
la
scuola
ascetica
e
con
la
scuola
terrorista
sentì
qualche
volta
il
bisogno
di
una
alleanza
;
ma
i
principii
che
egli
poneva
come
cardini
della
sua
dottrina
dovevano
per
necessità
logica
demolire
il
trono
dei
momentanei
alleati
.
Carmignani
fu
il
riordinatore
del
giure
punitivo
,
ed
il
suo
riordinamento
,
perché
strettamente
aderente
alla
nuda
verità
delle
cose
,
ha
dato
a
questa
scienza
una
base
solida
ed
imperitura
,
sulla
quale
bisogna
si
assida
ogni
svolgimento
ulteriore
della
teorica
per
parte
di
chiunque
cerchi
e
desideri
la
verità
.
E
qual
fosse
lo
mostrò
fino
dal
1807
ponendo
in
capo
al
suo
libro
il
significantissimo
eserga
temperatus
cohibet
timor
.
]
le
sue
letture
apparvero
una
novità
a
coloro
che
erano
usi
ad
intendere
il
nudo
commento
del
diritto
romano
e
delle
leggi
locali
;
o
la
descrizione
dei
diversi
modi
di
delinquenza
secondo
il
diritto
costituito
;
o
le
maniere
di
formare
un
processo
sulla
prammatica
inquisitoria
.
Ridurre
i
principii
del
Beccaria
a
formule
scientifiche
ed
a
metodo
didattico
fu
il
suo
precipuo
divisamento
:
e
le
sue
istituzioni
ne
fanno
solenne
testimonianza
.
E
quanto
alla
pena
di
morte
,
se
leggessi
ciò
che
ei
ne
scrisse
nella
edizione
del
1808a
pag
.
135
,
cesserà
per
sempre
la
fantasia
di
affermare
che
il
Carmignani
fosse
in
tutto
il
corso
del
suo
insegnamento
propugnatore
dell
'
estremo
supplizio
.
Fu
egli
che
in
quella
pagina
pose
innanzi
quel
potente
dilemma
contro
la
pena
capitale
;
dilemma
che
sotto
il
rapporto
della
pretesa
utilità
di
tal
pena
,
vale
assai
meglio
di
tante
altre
declamazioni
.
O
volete
adoprare
(
egli
scriveva
)
la
pena
estrema
contro
i
delitti
che
muovono
da
passioni
cieche
e
bollenti
;
e
l
'
uomo
furioso
sprezzerà
la
pena
più
atroce
,
come
sprezza
qualunque
pericolo
.
O
volete
adoperarla
contro
i
delitti
che
muovono
da
freddo
calcolo
;
e
dovete
riconoscere
che
in
questo
calcolo
entra
per
soverchia
misura
la
speranza
della
impunità
:
e
la
speranza
d
'
impunità
non
diminuisce
ma
si
moltiplica
per
la
ferità
di
un
castigo
,
che
eccita
commiserazione
,
e
che
per
la
sua
irreparabilità
accresce
il
dubitare
delle
coscienze
.
Laonde
se
l
'
uomo
che
delinque
per
freddo
calcolo
prevede
che
lo
colpisca
il
castigo
,
ha
nella
minaccia
della
perpetua
privazione
della
libertà
e
di
tutti
i
godimenti
della
vita
,
ostacolo
sufficiente
a
frenarlo
:
che
se
prevede
di
eludere
la
giustizia
,
e
calcola
sulla
impunità
,
la
pena
più
atroce
gli
presenta
una
ragione
di
maggiore
probabilità
per
confidarvi
.
Io
non
discuto
ora
cotesto
argomento
.
Ma
lo
ricordo
solo
perché
mi
sembra
irrecusabile
prova
a
mostrare
che
il
Carmignani
combatteva
fino
dai
primi
anni
del
suo
maestrato
la
pena
di
morte
.
È
vero
che
seguace
del
principio
della
politica
necessità
,
egli
opponeva
piuttosto
la
inutilità
che
la
illegittimità
radicale
di
cotesta
pena
.
O
,
a
meglio
dire
,
ei
voleva
desumerne
la
illegittimità
col
dimostrarla
non
necessaria
.
È
vero
che
codesto
ordine
d
'
idee
lo
condusse
ad
ammettere
la
pena
di
morte
nel
caso
estremo
del
perduelle
,
la
uccisione
del
quale
fosse
l
'
unico
mezzo
possibile
di
rendere
alla
pace
la
società
.
Ma
questa
concessione
(
o
a
meglio
dire
codesta
logica
deduzione
del
principio
assunto
da
lui
come
fondamento
del
diritto
di
punire
)
ei
la
fece
con
tali
restrizioni
,
da
ridurne
l
'
applicazione
all
'
esercizio
del
diritto
di
guerra
.
E
ciò
non
autorizza
per
fermo
a
noverare
il
Carmignani
fra
i
sostenitori
della
pena
di
morte
.
Questa
sua
dottrina
egli
riprodusse
nelle
consecutive
edizioni
che
fece
delle
sue
istituta
,
da
quella
del
1819
fino
all
'
ultima
.
E
più
latamente
la
svolse
nella
sua
opera
intitolata
Teoria
sulle
Leggi
della
sicurezza
Sociale
da
lui
pubblicata
nel
1831
.
Che
poi
dalla
Cattedra
in
tutto
il
corso
del
suo
insegnamento
combattesse
la
pena
di
morte
,
tutti
i
suoi
discepoli
possono
testificarlo
;
e
molti
ricordano
come
accorressero
anche
da
lunge
al
pisano
ateneo
numerosi
uditori
il
giorno
in
cui
correa
voce
che
Carmignani
avrebbe
detta
la
sua
lezione
contro
la
pena
di
morte
.
E
se
in
alcuni
anni
di
agitazioni
politiche
,
o
segreti
ordini
,
o
prudenza
lo
astrinsero
a
non
potere
senza
pericolo
ripetere
la
sua
dottrina
;
egli
se
ne
passò
dal
1831
al
1834
col
non
discutere
i
problema
,
piuttosto
che
risolverlo
in
un
modo
contrario
alle
sue
convinzioni
:
le
quali
anche
allora
con
quel
silenzio
eloquente
mostrò
bene
di
qual
tempra
si
fossero
.
La
lezione
da
lui
pubblicata
alle
stampe
contro
la
pena
di
morte
nel
1836
non
fu
dunque
una
inattesa
ritrattazione
di
quel
sapiente
,
fu
il
riassunto
delle
dottrina
che
per
oltre
trent
'
anni
e
con
gli
scritti
e
con
la
voce
caldamente
avea
sostenute
.
La
convocazione
straordinaria
a
quella
lezione
,
la
pubblicazione
mercè
la
stampa
di
quella
monografia
,
male
si
dipinge
come
segno
d
'
incostanza
e
di
ritrattazione
.
Se
da
quello
scritto
si
toglie
l
'
ornato
della
erudizione
,
e
l
'
orpello
del
retore
,
poco
o
niente
vi
si
riscontra
che
già
non
avesse
il
Carmignani
per
anni
ed
anni
ripetuto
,
o
parlando
,
o
scrivendo
.
Censurisi
pertanto
se
vuolsi
il
nostro
Professore
,
o
come
letterato
o
come
filosofo
.
Ma
come
criminalista
non
gli
si
neghi
il
pregio
di
essere
umanitario
,
come
non
può
negarglisi
il
merito
di
aver
recato
immenso
incremento
alla
scienza
penale
.
Sul
qual
proposito
in
non
intendo
già
di
applaudire
ai
principii
che
Giovanni
Carmignani
assunse
come
fondamentali
del
diritto
di
punire
.
Io
nol
potrei
,
poiché
ne
discordo
.
E
come
siano
coteste
basi
fallaci
,
bene
lo
mostrò
il
chiarissimo
Prof
.
Centofanti
in
un
suo
scritto
inserito
nell
'
ultimo
volume
dell
'
Antologia
;
che
lascia
tuttavia
a
desiderare
la
promessa
continuazione
.
Ma
il
Carmignani
doveva
bene
subire
la
influenza
dei
tempi
e
delle
false
dottrine
politiche
e
filosofiche
che
non
ancora
si
erano
rese
per
vinte
in
faccia
alla
luce
del
secolo
XIX
.
Ciò
peraltro
non
toglie
che
le
opere
di
quest
'
uomo
non
segnino
una
lunga
corda
nella
linea
saliente
del
progresso
della
scienza
penale
.
Alcuni
ardui
problemi
della
medesima
non
hanno
ancora
ricevuto
la
ultima
soluzione
,
e
forse
correranno
molti
anni
prima
che
sorga
il
nuovo
Neutòno
e
recarvi
la
luce
.
Ma
tutti
coloro
che
sudarono
utilmente
a
diradare
le
tenebre
,
debbono
dirsi
benemeriti
della
scienza
;
e
sovrattutti
il
Carmignani
che
per
quarant
'
anni
d
'
insegnamento
pertinace
si
affaticò
nell
'
opera
santa
:
né
il
merito
dei
benefizi
recati
può
menomarsi
,
perché
tali
benefizi
che
si
estesero
a
moltissimi
punti
della
dottrina
non
riuscissero
uguali
in
altre
parti
della
medesima
.
Se
un
uomo
od
un
libro
dovesse
elogiarsi
allora
soltanto
quando
ei
fosse
scevro
affatto
di
errori
,
noi
non
potremmo
elogiare
che
l
'
Uomo
Dio
,
e
le
pagine
del
Vangelo
.
Ciò
che
al
Carmignani
fruttò
l
'
ammirazione
dell
'
Europa
;
ciò
che
gli
assicura
distintissimo
saggio
nel
Panteon
dei
criminalisti
,
e
renderà
immortale
il
suo
nome
,
è
la
esattezza
del
metodo
,
e
l
'
ordine
preclaro
col
quale
egli
seppe
disporre
nelle
sue
Istituta
i
precetti
della
giustizia
penale
.
Metodo
ed
ordine
che
lo
condusse
per
forza
potente
di
logica
a
dileguare
una
folla
di
errori
,
che
aveva
fino
ai
suoi
giorni
dominato
nelle
scuole
e
nel
fôro
;
e
che
dopo
lui
nessuno
osò
più
riproporre
.
Metodo
ed
ordine
,
del
quale
(
oso
dire
)
è
impossibile
trovare
il
migliore
per
chiunque
voglia
dettare
un
libro
destinato
all
'
insegnamento
del
giure
penale
.
È
sotto
questo
aspetto
che
le
sue
istituzioni
sono
un
vero
gioiello
.
Onde
il
primo
titolo
che
al
Carmignani
si
deve
è
quello
di
riordinatore
dell
'
insegnamento
criminale
.
Egli
è
il
Linneo
della
nostra
scienza
.
Poterono
i
posteri
trovar
difetto
in
qualche
famiglia
:
poterono
discuoprire
qualche
specialità
da
aggiungersi
ad
una
o
ad
un
'
altra
classe
:
ma
Linneo
resterà
sempre
il
fondatore
del
sistema
.
La
lucidità
ed
esattezza
dell
'
ordine
doveva
,
com
'
è
naturale
,
aprire
al
Carmignani
la
via
per
illuminare
molti
punti
oscuri
e
perplessi
,
e
rettificare
parecchi
equivoci
.
E
difatti
noi
lo
vediamo
sfruttare
fino
all
'
ultima
conseguenza
la
radicale
distinzione
tra
la
violazione
della
morale
,
e
la
violazione
del
diritto
,
tra
la
imputazione
e
la
pena
;
separare
con
mano
ferma
la
quantità
del
delitto
dal
suo
grado
;
condurre
,
nelle
ultime
edizioni
dei
suoi
elementi
,
alla
più
completa
rettificazione
questa
differenza
normale
,
purgandosi
dagli
avanzi
dell
'
antica
confusione
che
aveva
lasciato
qualche
vestigia
di
sé
nei
primi
suoi
esperimenti
.
Noi
lo
vediamo
arrecare
fasci
di
splendida
luce
sulla
teoria
del
conato
,
che
fino
ai
suoi
giorni
,
vacillante
fra
gli
estremi
di
un
soverchio
rigore
e
di
una
eccessiva
lassezza
,
agitavasi
incerta
nelle
scuole
e
nel
fôro
,
come
nave
senza
nocchiero
.
Noi
lo
vediamo
assegnare
all
'
elemento
intenzionale
del
delitto
quel
primato
che
la
ragione
gli
attribuisce
,
e
che
lo
rende
dominatore
nel
calcolo
della
imputazione
,
e
nella
esatta
classazione
dei
diversi
reati
;
e
al
tempo
stesso
togliergli
la
balìa
di
cangiare
il
magistero
penale
in
un
sindacato
monastico
,
col
sottoporne
la
potenza
alla
necessità
di
una
estrinsecazione
politicamente
dannosa
.
Noi
lo
vediamo
delineare
coi
più
pronunziati
colori
i
diversi
metodi
di
procedura
,
e
dipingerne
al
vivo
i
respettivi
pregi
e
difetti
.
Noi
lo
vediamo
,
in
una
parola
,
ovunque
pone
la
mano
portarvi
uno
sviluppo
d
'
idee
,
e
tutte
concatenate
per
guisa
che
si
coadiuvano
come
forze
congiunte
.
Né
ad
insinuare
la
idea
che
il
Carmignani
fosse
mai
per
alcun
temo
della
sua
vita
cattedratica
parteggiatore
della
pena
di
morte
,
può
darsi
valore
al
fatto
,
che
pure
sembra
a
lui
rinfacciare
il
Cantù
,
di
avere
cioè
esso
Carmignani
nel
progetto
di
codice
penale
che
spontaneo
presentò
alle
Cortes
di
Portogallo
,
mantenuto
il
supplizio
capitale
.
È
vero
che
in
questo
schema
di
codice
mantenne
il
nostro
maestro
la
pena
di
morte
proponendone
la
esecuzione
col
mezzo
di
strangolamento
per
ossequio
alla
opinione
del
Cabanis
.
Ma
poco
vi
vuole
a
comprendere
che
aspirando
il
Carmiganni
a
vedere
attuato
il
suo
progetto
di
codice
,
era
nella
necessità
di
renderlo
possibile
.
E
sarebbe
stata
una
utopia
in
quell
'
epoca
il
credere
possibile
in
Portogallo
un
codice
penale
,
in
cui
per
i
più
gravi
reati
politici
non
si
fosse
minacciata
la
morte
.
Ond
'
è
che
in
questo
progetto
tolse
egli
affatto
la
pena
di
morte
per
tutti
i
delitti
contro
i
privati
,
serbandola
solo
nei
sommi
casi
contro
i
delitti
politici
.
E
che
anche
cotesta
concessione
il
Carmiganni
facesse
in
ossequio
alle
esigenze
del
momento
,
e
contro
le
sue
convinzioni
,
lo
mostra
ciò
che
egli
scrisse
nella
prefazione
a
quel
codice
-
ivi
-
Contro
la
propria
coscienza
lo
scrittore
ha
proposto
di
ritenerla
(
la
pena
di
morte
)
per
i
delitti
di
stato
.
La
ragione
ha
portato
ad
evidenza
la
ingiustizia
di
questa
pena
:
la
esperienza
della
Toscana
ove
niuno
si
uccide
,
ne
ha
dimostrato
la
inutilità
:
la
stessa
esperienza
in
paesi
ove
se
ne
fa
uso
,
come
Lucca
a
contatto
della
Toscana
,
mostra
quanto
ella
sia
impolitica
,
e
maestra
di
delitti
di
sangue
.
Questa
verità
si
conferma
dalla
nota
che
a
cotesto
luogo
appose
l
'
editore
di
quel
progetto
(
Carmignani
scritti
inediti
,
vol
.
5
,
pag
.
6
)
-
ivi
-
A
ragione
asserisce
l
'
autore
che
contro
la
propria
coscienza
ha
proposto
in
questo
progetto
la
pena
di
morte
per
i
delitti
di
stato
.
Poiché
tanto
nella
sua
teoria
delle
leggi
sulla
sicurezza
sociale
(
tom
.
3
pag
.
160
edizione
del
1832
)
quanto
nella
sue
lezioni
orali
,
ha
sempre
insegnato
:
-
1.°
-
Che
quando
trattasi
per
la
società
di
aggressione
presente
con
pericolo
della
di
lei
esistenza
,
che
venga
da
questo
delitto
minacciata
,
e
che
non
si
possano
disarmare
gli
aggressori
senza
ucciderli
,
la
morte
non
dee
riguardarsi
come
una
pena
,
ma
come
un
male
indispensabile
a
respingere
la
ingiusta
istantanea
aggressione
,
colla
teoria
stessa
della
incolpata
tutela
-
2.°
-
Che
quando
nel
delitto
politico
manca
l
'
istantaneità
del
pericolo
,
allora
soltanto
può
parlarsi
di
pena
:
e
i
delinquenti
cadendo
nella
classe
dei
delinquenti
ordinarii
,
non
vi
è
ragione
di
versare
il
loro
sangue
.
Io
non
dico
che
questo
progetto
del
Carmignani
avesse
grandi
pregi
,
né
che
giusti
fossero
li
sdegni
di
lui
al
non
vederlo
accettato
;
dico
solo
che
da
cotesto
fatto
male
se
ne
deduce
argomento
per
dubitare
che
Carmiganni
oscillasse
nelle
sue
convinzioni
,
le
quali
furono
sempre
recisamente
pronunziate
contro
il
supplizio
capitale
.
Non
è
d
'
altronde
meraviglia
se
il
Cantù
,
il
quale
nel
suo
libro
non
era
chiamato
a
far
parola
di
Carmignani
se
non
di
passaggio
,
fu
indotto
in
equivoco
sul
conto
della
più
vera
dottrina
del
nostro
professore
.
Non
è
meraviglia
,
poiché
noi
vediamo
che
quelli
stessi
che
si
sono
costituiti
biografi
del
grande
criminalista
hanno
spacciato
sul
conto
suo
tali
cose
che
non
potevano
neppur
sognarsi
da
chi
avesse
letto
i
suoi
scritti
.
A
modo
di
esempio
,
nella
biografia
dell
'
avvocato
Carmignani
che
il
prof
.
Caruana
Dingli
leggeva
all
'
Accademia
Maltese
alla
seduta
del
16
novembre
1847
(
biografia
che
poscia
venne
premessa
alla
versione
italiana
degli
Elementi
del
Carmignani
pubblicati
in
Malta
nello
stesso
anno
)
si
leggono
parecchie
specialità
in
ordine
al
movimento
delle
opinioni
del
nostro
professore
,
e
alle
diverse
vicende
di
quella
opera
insigne
.
Ora
chi
crederebbe
che
in
questa
biografia
,
la
quale
dicesi
desunta
da
un
'
altra
biografia
del
Carmignani
pubblicata
dal
prof
.
Pardini
(
scritto
che
io
non
ho
potuto
riscontrare
)
,
si
narrano
circostanze
totalmente
insussistenti
e
sbagliate
?
Enumerando
le
varie
edizioni
degli
elementi
del
Carmignani
,
quei
biografi
le
riducono
a
cinque
;
la
prima
di
Firenze
nel
1808
,
coi
tipi
Molini
,
contenente
soltanto
la
parte
generale
in
un
volume
:
la
seconda
di
Pisa
coi
tipi
Prosperi
nel
1819
,
in
due
volumi
,
completata
del
terzo
libro
sui
delitti
in
specie
,
e
di
un
quarto
sulla
prevenzione
diretta
:
la
terza
di
Pisa
coi
tipi
Nistri
nel
1822
:
la
quarta
di
Macerata
coi
tipi
Cortesi
nel
1829
:
la
quinta
di
Pisa
coi
tipi
Nistri
nel
1833
.
Ma
nel
confronto
delle
progressive
mutazioni
intervenute
in
quelle
ristampe
il
biografo
maltese
cade
in
equivoci
che
sono
fatti
palesi
ad
oculos
dal
testo
delle
diverse
edizioni
.
Così
egli
incomincia
dal
dire
che
nel
1808
il
Carmignani
pubblicò
le
sue
istituzioni
sotto
il
titolo
di
Elementa
JURISPRUDENTIALE
criminalis
,
e
che
soltanto
nella
successiva
terza
edizione
cambiò
quel
titolo
nell
'
altro
Elementa
JURIS
Criminalis
.
Donde
sia
tratta
questa
notizia
io
non
so
indovinarla
davvero
.
So
unicamente
esser
positivo
che
la
instituta
del
prof
.
Pisano
ebbero
sino
dalla
edizione
del
1808
il
battesimo
di
Elementa
juris
,
e
conservarono
cotesto
titolo
in
tutte
le
cinque
loro
riproduzioni
senza
modificazione
nessuna
;
e
basta
leggere
i
frontespizii
delle
edizioni
del
1808
e
del
1819
per
restarne
convinti
.
Inoltre
il
Caruana
racconta
che
soltanto
nella
quarta
edizione
romana
(
ossia
maceratese
)
e
così
al
1829
,
il
Carmignani
trovò
quella
celebre
distinzione
fra
la
intenzione
indiretta
positiva
,
e
indiretta
negativa
.
Ciò
leggiamo
nella
nota
20
a
pag
.
XVII
-
ivi
-
al
vol
.
1
pag
.
54
della
quarta
edizione
introdusse
una
originale
ed
importantissima
nomenclatura
,
della
intenzione
cioè
indiretta
negativamente
tale
.
Or
bene
,
il
§
.
97
che
trovasi
a
pag
.
54
della
quarta
edizione
,
non
è
che
la
letterale
riproduzione
del
§
.
97
della
terza
edizione
,
e
del
§
.
70
della
seconda
,
nel
quale
trovasi
negli
stessi
identici
termini
quella
originale
importantissima
nomenclatura
.
Cosicchè
tale
scoperta
erasi
fatta
dal
Carmignani
dieci
anni
innanzi
.
Inoltre
il
Caruana
dopo
aver
ricordato
quel
tristo
saggio
pubblicato
dal
Dott
.
Giovanni
il
1795
,
procede
a
dire
-
ivi
-
era
riserbato
alla
sua
età
più
provetta
l
'
onore
di
proscrivere
dalla
scienza
siffatti
errori
-
e
continua
nella
nota
15
-
ivi
-
il
Cav
.
Carmignani
nel
§
.
318
e
nella
nota
al
§
.
319
della
terza
edizione
dei
suoi
elementi
di
diritto
criminale
,
e
nella
nota
al
§
.
350
della
quinta
edizione
,
giustamente
si
corregge
di
una
erronea
opinione
nel
suo
saggio
adottata
,
di
attribuire
cioè
una
politica
efficacia
all
'
acerbità
delle
pene
.
Tutta
questa
canzone
della
resipiscenza
del
Cavalier
Carmignani
,
e
del
pentimento
della
più
provetta
età
è
una
fola
.
E
forse
può
congetturarsi
che
il
Cantù
abbia
incorso
nell
'
equivoco
da
me
sopra
notato
,
sulla
fede
dell
'
inesatto
biografo
del
Carmignani
.
Il
professore
Carmignani
non
aveva
errori
da
rinnegare
.
Esordì
la
carriera
cattedratica
con
bandiera
tutta
opposta
a
quella
che
avea
sedotto
il
neofito
nel
1795
.
E
quella
nota
che
il
biografo
suppone
aggiunta
dal
Carmignani
alla
terza
edizione
,
esiste
nella
prima
edizione
di
Firenze
del
1808
a
pag
.
137
nota
6
al
§
.
275
-
ivi
-
Quae
heic
exposuimus
principia
,
juris
criminalis
costituendi
regulas
dumtaxat
respiciunt
,
adeout
ubi
jus
constitutum
diversis
inniti
videatur
principiis
,
ibi
ulteriori
indagini
locus
non
patet
.
Putaveram
et
ipse
olim
aliquam
poenarum
acerbitati
politicam
inesse
efficaciam
;
postea
vero
meliora
edoctus
,
ac
re
rectius
perpensa
diversam
sententiam
amplexus
sum
;
confer
meam
quam
multis
abhinc
annis
edidi
opellam
,
saggio
di
giurisprudenza
criminale
,
Firenze
,
1795
.
Può
dunque
dirsi
con
tutta
verità
che
dal
primo
giorno
in
cui
nel
pisano
Ateneo
si
assise
Giovanni
Carmignani
come
professore
di
diritto
criminale
,
gli
alunni
ed
il
pubblico
non
salutarono
in
lui
un
criminalista
feroce
,
né
un
propugnatore
della
pena
di
morte
;
ma
bensì
invece
il
coraggioso
banditore
delle
dottrine
umanitarie
,
per
le
quali
combattè
finchè
visse
.
Né
la
pena
di
morte
osteggiò
soltanto
il
Carmignani
con
lo
insegnamento
della
Cattedra
;
né
con
quell
'
atto
di
solenne
protesta
,
con
cui
,
offertagli
nel
1808
una
magistratura
,
la
ricusò
,
dicendo
che
la
sua
coscienza
non
gli
consentiva
di
emettere
sentenze
di
morte
in
opposito
ai
principii
che
professava
;
né
soltanto
la
combattè
con
gli
scritti
,
e
coi
più
energici
conati
nelle
criminali
difese
,
ma
infaticabile
nella
sua
santa
missione
,
slanciossi
sovente
anche
oltre
il
confine
della
sua
patria
onde
arrestare
la
bipenne
,
che
pendea
sopra
il
capo
di
umane
creature
.
Di
questa
verità
io
ne
ebbi
solenne
testimonianza
,
ricordare
la
quale
parmi
doveroso
tributo
alla
memoria
del
grande
maestro
.
Nel
già
ducato
lucchese
erasi
da
parecchi
anni
costituita
una
società
di
malfattori
,
alla
quale
era
scopo
consumare
dei
rubamenti
specialmente
a
danno
di
Canoniche
e
Chiese
parrocchiali
della
campagna
.
Scoperti
i
principali
di
questa
masnada
,
che
già
parecchi
furti
avea
consumato
nel
contado
lucchese
,
furono
processati
,
convinti
,
e
sei
di
loro
condannati
di
morte
.
Ragione
per
il
capitale
supplicio
non
si
traeva
già
in
uccisioni
che
costoro
avessero
perpetrato
;
poiché
nelle
loro
ruberie
avevano
mai
sempre
rispettato
le
vite
.
Ma
si
desumeva
dalla
legge
penale
in
Francia
,
che
allora
continuava
ad
essere
regolatrice
nel
ducato
lucchese
.
Legge
che
punisce
di
morte
anche
il
furto
non
accompagnato
da
strage
,
quando
ci
concorrano
le
circostanze
di
violenza
contro
le
persone
,
violenza
contro
le
cose
in
luogo
abitato
,
tempo
notturno
,
delazione
di
armi
,
e
numero
di
persone
.
Difensori
dei
sei
condannati
erano
con
me
i
signori
avvocati
Michele
Mariani
,
Donato
Borromei
,
Carlo
Massei
,
Tommaso
Ghilarducci
,
e
dottore
Cherubino
Laurenzi
.
Palpitanti
della
grave
responsabilità
che
ci
pesava
sugli
omeri
,
nessuno
di
noi
risparmiava
dal
suo
canto
studio
ed
industria
per
allontanare
il
miserando
eccidio
.
L
'
Avv
.
Mariani
ed
io
,
che
più
particolare
conoscenza
avevamo
col
prof
.
Carmignani
,
lo
ricercavamo
dapprima
del
suo
consiglio
:
ma
ne
traemmo
la
scoraggiante
certezza
che
in
faccia
alla
legge
di
Francia
poteva
a
nome
dell
'
umanità
e
della
scienza
protestarsi
contro
la
esorbitanza
del
suo
rigore
,
ma
non
coltivare
speranza
che
la
giustizia
risparmiasse
cotesta
fiata
l
'
opera
del
carnefice
.
E
il
risultato
corrispose
al
vaticinio
pur
troppo
,
poiché
la
Rota
criminale
pronunziò
,
e
il
Supremo
Tribunale
di
revisione
confermò
,
la
condanna
a
morte
dè
sei
sciagurati
.
All
'
aspetto
della
imminente
carnificina
noi
tornammo
allora
ad
implorare
dal
maestro
aiuta
e
consiglio
.
Ed
egli
non
esitò
un
istante
ad
allearsi
con
noi
per
strappare
per
via
di
grazia
dal
Principe
ciò
che
per
via
di
giustizia
era
stato
vanità
lo
sperare
.
Fu
in
tale
occasione
,
che
il
Carmignani
dettò
sotto
il
titolo
di
supplichevole
ragionamento
quella
solenne
protesta
contro
la
pena
di
morte
,
che
poscia
si
pubblicò
coi
tipi
dei
Nistri
in
Pisa
nel
quarto
volume
delle
cause
celebri
del
Carmignani
,
a
pag
.
467
.
Egli
distese
la
supplica
al
Duca
Carlo
Ludovico
,
che
si
conserva
da
noi
nel
suo
autografo
:
supplica
che
dal
collegio
dei
difensori
si
presentava
al
principe
corredata
del
ragionamento
del
Carmignani
,
come
documento
di
appoggio
.
A
questa
fatica
,
a
questa
opera
generosa
,
all
'
attuazione
di
questo
audace
concetto
,
non
guidavano
il
Carmignani
sentimenti
comuni
.
Non
interesse
,
poiché
tutto
fu
gratuito
per
parte
sua
.
Non
relazioni
di
benevolenza
,
poiché
nessuno
dei
condannati
erasi
da
lui
conosciuto
personalmente
.
Egli
si
inspirava
soltanto
alla
religione
della
sua
fede
scientifica
,
che
facevalo
inorridire
al
pensiero
di
tanto
supplizio
,
e
sentire
come
debito
di
ogni
uomo
levare
la
voce
al
principe
ad
implorare
misericordia
.
Il
concetto
del
ragionamento
del
Carmignani
erasi
quello
di
censurare
rispettosamente
la
legge
punitiva
che
colpisce
del
capo
il
ladro
non
micidiale
;
e
così
persuadere
al
principe
che
la
grazia
in
questo
caso
non
era
facoltà
di
clemenza
,
ma
debito
di
giustizia
.
E
con
qual
cuore
,
e
con
quanta
ansietà
e
doloroso
desiderio
ei
si
gittasse
alla
caritatevole
impresa
,
si
rileva
dal
fitto
carteggio
con
noi
tenuto
in
quella
circostanza
,
e
specialmente
da
alcune
sue
lettere
indirizzate
all
'
avv
.
Mariani
,
e
che
furono
pubblicate
nel
Vol
.
I
del
giornale
contro
la
pena
di
morte
dell
'
esimio
Prof
.
Pietro
Ellero
.
Ogni
linea
di
quelle
lettere
palesa
i
palpiti
di
un
cuore
,
che
si
agita
all
'
imminenza
di
un
grande
pericolo
;
ogni
suo
motto
rivela
la
convinzione
profonda
di
questo
vero
,
che
ogni
esecuzione
capitale
è
una
sociale
calamità
.
E
quando
tornati
vani
tutti
gli
sforzi
per
la
irremovibilità
del
principe
,
giunse
al
Carmignani
l
'
annunzio
della
terribile
esecuzione
:
mostra
come
ei
ne
sentisse
strazio
profondo
la
lettera
di
conforto
che
a
me
scriveva
,
e
che
fu
pubblicata
nel
suddetto
giornale
.
Ad
altri
dunque
si
vada
narrando
che
Carmignani
fu
un
propugnatore
della
pena
di
morte
.
Ad
altri
si
insinui
che
soltanto
nel
1836
per
la
vanità
di
mercar
applauso
ad
una
solenne
lezione
,
rinnegasse
le
sue
credenze
.
A
noi
ciò
non
si
dica
,
che
lo
vedemmo
per
tutta
la
sua
vita
combatterla
.
E
dico
per
tutta
la
sua
vita
,
poiché
la
vita
del
professore
incomincia
dal
1803;
né
gli
svolazzi
del
giovane
possono
attribuirsi
al
cattedratico
,
che
pertinacemente
li
repudiò
.
A
Carmignani
si
attribuisca
il
titolo
di
acerrimo
oppositore
del
carnefice
;
dalla
assottigliata
schiera
dei
suoi
difensori
si
tolga
l
'
insigne
suo
nome
.
DANTE
CRIMINALISTA
(
1864
)
(
dagli
Opuscoli
di
Diritto
criminale
,
Lucca
,
1870
,
vol
.
II
,
647
ss
.
)
(
STUDIO
STORICO
)
E
non
nasconder
quel
ch
'
io
non
nascondo
.
(
Purg
.
C
.
XXIV
)
Il
concetto
che
Dante
avea
dei
poeti
non
era
certamente
circoscritto
alle
immagini
e
alla
rima
.
Per
l
'
Alighieri
,
poeta
era
colui
che
rivelava
con
l
'
incantevol
magistero
della
poesia
un
aspetto
della
verità
all
'
uman
genere
profittevole
;
era
colui
che
avanzando
il
proprio
secolo
o
combattendone
le
false
opinioni
,
spingeva
gli
uomini
alla
conquista
della
civiltà
.
A
suo
duce
per
i
regni
paurosi
dell
'
inferno
ed
per
quelli
mistici
del
Purgatorio
,
aveva
scelto
il
vate
dell
'
incivilimento
latino
:
a
Virgilio
egli
si
era
rivolto
con
quell
'
alto
e
gentilissimo
verso
,
O
tu
che
onori
ogni
scienza
ed
arte
!
È
per
questo
che
nella
Divina
Commedia
,
i
cultori
di
tutte
le
scienze
e
delle
arti
cercano
all
'
occasione
la
veneranda
autorità
;
quasi
ad
esempio
dei
sacri
oratori
che
ricercarono
nei
Vangeli
una
divina
sanzione
ai
loro
insegnamenti
.
E
bene
s
'
adoperano
,
avvegnachè
il
gran
poema
dell
'
Alighieri
sia
come
l
'
evangelio
della
civiltà
moderna
.
Dello
,
che
a
somiglianza
dei
giureconsulti
romani
,
i
quali
si
onoravano
di
citare
l
'
egregio
Virgilio
nel
testo
(
1
)
[
(
1
)
Instit
.
lib
.
I
,
tit
.
2
.
]
,
quelli
italiani
imitino
il
magno
esempio
con
Dante
,
il
quale
precorrendo
con
l
'
acceso
ingegno
le
nasciture
generazioni
sembra
profeta
;
onde
fu
assomigliato
al
Titone
della
favola
,
che
valica
i
secoli
senza
incanutire
,
e
invecchiando
ringiovanisce
.
Infatti
il
magno
poeta
,
innamorato
di
Roma
antica
,
non
poteva
trascurare
il
Diritto
;
ed
altri
dottamente
dimostrò
quanto
egli
ben
ragionasse
nell
'
alta
filosofia
civile
,
e
come
la
sua
definizione
del
Diritto
gareggiasse
con
quella
del
Digesto
,
e
quasi
precorresse
con
tale
dottrina
Emanuele
Kant
nel
misurare
le
individuali
libertà
,
onde
ne
resultasse
bene
ordinata
la
sociale
convivenza
(
2
)
[
(
2
)
Ecco
la
definizione
di
Dante
"
Jus
est
realis
et
personalis
hominis
ad
hominem
proportio
,
quae
servata
,
servat
societatem
:
corrupta
corrumpit
"
.
Vedasi
Saggi
di
filosofia
civile
dell
'
Accademia
Italica
,
pubblicati
per
Girolamo
Boccardo
,
Genova
,
1852
,
tom
.
I
,
86
.
]
.
Né
mancò
chi
più
specialmente
indagasse
come
nel
divino
poema
ei
spieghi
l
'
origine
della
forza
pubblica
e
la
gerarchia
dei
poteri
,
come
dipinga
graficamente
il
libero
arbitrio
,
esprima
la
nozione
delle
azioni
negativa
,
delinei
la
forza
morale
dell
'
offesa
e
l
'
indole
dell
'
intenzione
(
1
)
[
(
1
)
Carmignani
,
Teoria
delle
leggi
della
sicurezza
sociale
;
Tomo
I
,
pag
.
68;
II
,
pag
.
50
,
59
e
64
.
)
]
.
Né
infine
mancò
chi
si
affaticasse
a
dimostrarlo
sapientissimo
nell
'
analisi
morale
di
quegli
atti
umani
i
quali
scoppiano
,
per
dirla
col
Parini
.
.
.
dal
cupo
ove
gli
affetti
han
regno
;
e
anche
facesse
palese
come
studiandolo
filologicamente
si
potesse
ripulire
ed
accrescere
la
lingua
forense
,
oggi
tanto
oscura
e
barbara
(
2
)
[
(
2
)
Il
celebre
criminalista
Nicolini
in
tutte
le
sue
opere
,
e
specialmente
nelle
sue
note
alla
Procedura
penale
nel
regno
delle
due
Sicilie
.
]
.
Ancora
egli
dunque
,
magistrato
di
Firenze
,
ambasciatore
,
cittadino
,
in
cui
era
riposta
al
dir
del
Boccaccio
tutta
la
speranza
pubblica
,
fu
sacerdote
del
Diritto
.
Ma
siamo
franchi
;
non
crediamo
che
sempre
mettesse
quel
suo
straordinario
ingegno
sul
retto
sentiero
nella
contemplazione
filosofica
del
giure
penale
:
non
ascondiamo
in
circostanza
tanto
solenne
(
dirò
con
le
sue
parole
tolte
ad
epigrafe
di
questo
mio
breve
lavoro
)
quello
che
ei
non
nasconde
.
Il
diritto
penale
ai
tempi
di
Dante
era
cotanto
in
basso
caduto
da
rendere
quasi
impossibile
la
percezione
della
sua
idea
,
in
mezzo
al
fango
macchiato
di
sangue
nel
quale
giaceva
miseramente
sepolto
.
Troppo
erano
radicate
in
quelle
anime
fortemente
temperate
le
tradizioni
dè
secoli
che
per
la
loro
ferocia
furon
detti
di
ferro
:
né
potevano
certamente
aver
norma
dal
giure
romano
,
il
quale
veniva
ricostituendosi
in
autorità
,
poiché
in
esso
il
concetto
della
penalità
troppo
era
guasto
dai
sanguinari
editti
dei
Cesari
di
Oriente
;
né
gli
sparsi
lampi
che
tralucevano
dalle
opere
dei
Padri
della
Chiesa
,
né
gl
'
incipienti
tentativi
dei
romani
Pontefici
bastar
potevano
a
diradare
così
dense
tenebre
.
Il
magistero
penale
per
la
universale
credenza
di
allora
ritenevasi
come
un
atto
di
forza
,
non
già
come
una
santa
attuazione
del
Diritto
:
sua
guida
nel
divieto
il
bisogno
degl
'
imperanti
;
sua
misura
nel
gastigo
l
'
arbitrio
:
e
cotesto
bisogno
e
cotesta
misura
non
regolate
da
imparziale
ragione
,
ma
dalle
ispirazioni
della
vendetta
sospinte
.
Bene
il
Ghibellino
talvolta
si
avvide
,
che
quanto
rimaneva
delle
tradizioni
di
Roma
libera
intrecciato
col
traboccante
dispotismo
dei
Cesari
di
Oriente
,
si
rendeva
flagello
e
non
sostegno
del
Diritto
,
se
non
rinfocavasi
ai
supremi
principj
della
ragione
e
allo
spirito
di
carità
;
ma
relativamente
al
diritto
penale
,
sì
nel
divieto
che
nei
castighi
,
la
sua
mente
fu
pur
essa
quasi
in
tutto
mancipia
di
quell
'
universale
errore
.
E
questo
non
può
desumersi
ancora
dalla
maniera
onde
egli
si
comportò
nella
propria
causa
?
Chè
se
nella
santità
del
Diritto
avesse
l
'
Alighieri
ravvisato
il
supremo
giudice
della
punizione
inflitta
dagli
uomini
,
alle
ingiuste
sentenze
contro
di
lui
saettate
dai
dominatori
della
sua
patria
,
bene
altrimenti
avrebbe
risposto
.
Vero
,
che
era
necessità
l
'
esilio
per
scampare
la
vita
,
in
quanto
il
conte
dei
Gabbrielli
non
fosse
altro
che
un
giudice
ingiusto
e
prepotente
di
un
tribunale
rivoluzionario
;
ma
neanco
prese
la
penna
a
confutare
l
'
iniquo
giudicato
;
invece
impugnò
la
spada
e
mutò
parte
!
Anche
Dante
,
come
tutti
i
gagliardi
di
cotesti
tempi
,
aveva
in
cuore
il
motto
sublime
:
Dio
e
il
mio
Diritto
!
ma
quel
motto
avea
pur
egli
vergato
sopra
la
spada
.
No
,
il
maestro
del
sorriso
e
dell
'
ira
,
come
lo
chiamò
il
Manzoni
,
trasportato
da
più
alte
speculazioni
,
troppo
vicino
ai
tempi
eroici
della
politica
italiana
,
non
assorse
alla
piena
considerazione
della
sublime
idea
informante
la
odierna
giustizia
penale
.
Né
son
venuto
in
questa
opinione
esaminando
la
penalità
della
Divina
Commedia
.
Nelle
prime
due
cantiche
di
cotesta
opera
egli
trascende
dalla
personalità
creata
all
'
infinito
ideale
.
Egli
si
metteva
dentro
gli
ultramondani
regni
per
una
porta
sulla
quale
stava
scritto
:
Lasciate
ogni
speranza
,
o
voi
che
entrate
!
e
per
quanto
se
ne
disputi
in
contrario
,
la
sua
teologia
era
ben
diversa
da
quella
oggi
in
voga
di
Herder
,
di
Reynaud
,
di
Montanelli
,
i
quali
arditamente
cancellarono
dalla
porta
paurosa
Quelle
parole
di
colore
oscuro
.
Nella
sacra
epopea
non
avrebbe
forse
potuto
trovar
luogo
ai
buoni
precetti
dell
'
umano
giure
penale
neppure
un
criminalista
moderno
il
più
edotto
alle
speculazioni
della
scienza
novella
.
Non
i
rapporti
tra
l
'
uomo
e
l
'
uomo
,
ma
quelli
ben
diversi
tra
l
'
uomo
e
Dio
;
non
il
campo
giuridico
ma
il
campo
teologico
,
dovevasi
esplorare
nella
prima
cantica
.
Però
non
mi
sorprende
che
i
semplici
vizj
si
puniscano
colà
come
i
più
gravi
delitti
.
Per
la
qual
cosa
non
rimprovero
a
Dante
,
che
in
Pier
delle
Vigne
(
Inf
.
c
.
XIII
)
parifichi
il
nudo
consiglio
all
'
esecuzione
del
reato
:
che
in
Mordrec
(
Inf
.
c
.
XXXII
)
punisca
la
tentata
strage
paterna
quanto
il
parricidio
compiuto
,
quantunque
la
più
veloce
spada
del
genitore
rompendo
il
petto
e
l
'
ombra
di
quello
sciagurato
impedisse
il
nefando
delitto
.
In
faccia
al
giudizio
dell
'
Onniveggente
dee
ben
tenersi
più
conto
della
pravità
interiore
che
dello
esteriore
nocumento
.
E
come
sarebbe
cattivo
argomento
quello
di
chi
asseverasse
per
cotesti
luoghi
del
Poeta
,
che
umanamente
giudicando
esso
avrebbe
punito
e
vizj
e
conato
e
consiglio
con
severità
uguale
a
quella
che
è
riserbata
alle
più
malvage
delinquenze
,
così
sarebbe
ingiusta
la
censura
di
chi
per
questo
accusasse
il
Poeta
di
aver
disconosciuto
nel
diritto
penale
quelle
altissime
verità
,
che
oggimai
da
tutte
le
civili
nazioni
(
tranne
poche
ostinate
)
senza
dubitare
si
accettano
.
Io
non
ho
saputo
intendere
,
lo
confesso
,
né
per
meditazione
né
per
riscontro
un
passo
di
Vittor
Hugo
,
il
quale
spaccia
il
sistema
penale
di
Montesquieu
esser
esemplato
su
quello
Dantesco
(
1
)
[
(
1
)
William
Shakspeare
par
Victor
Hugo
;
Paris
,
1864
,
pag
.
94
.
]
.
Quando
Cristiano
di
Danimarca
venne
a
Firenze
nel
1474
si
fece
apportare
le
Pandette
e
gli
Evangelj
,
e
ponendovi
sopra
la
mano
,
ecco
disse
i
soli
tesori
degni
di
un
re
.
Ma
quella
mano
avea
coperta
dal
guanto
di
ferro
:
e
il
poeta
rendeva
la
grande
anima
il
1321
:
ancora
più
secoli
dovevano
volgersi
prima
che
nell
'
ingegno
del
Beccaria
splendesse
la
novella
idea
della
scienza
dei
delitti
e
delle
pene
.
Non
per
questo
io
intendo
di
negare
al
divino
Alighieri
l
'
attitudine
a
conoscere
alcune
verità
del
diritto
penale
,
perché
non
vi
è
ramo
di
scienza
o
d
'
arte
in
cui
egli
non
infuturasse
il
pensiero
e
non
ne
divinasse
molti
veri
.
Io
voglio
additarne
uno
da
lui
discoperto
e
proclamato
,
per
il
quale
non
gli
si
debba
né
possa
negare
prestanza
neppure
in
questa
disciplina
.
Sta
in
uno
dei
suoi
più
terribili
e
sublimi
episodj
,
la
morte
del
conte
Ugolino
e
dei
figli
suoi
(
Inf
.
c
.
XXXIII
)
.
Narra
il
Poeta
l
'
atroce
punizione
irrogata
al
traditore
di
Pisa
,
e
cotesto
tormento
ei
neppur
sembra
disapprovare
,
poiché
gravissima
era
sopra
tutte
la
colpa
;
né
avverso
l
'
atrocità
de
'
supplizi
soleva
ribellarsi
in
que
'
giorni
il
sentimento
generale
.
Ma
ciò
che
apertamente
disapprova
il
Poeta
è
la
condanna
dei
figli
innocenti
.
Se
il
Conte
,
egli
dice
,
avesse
pur
meritato
per
la
tradizione
delle
castella
così
vituperevole
e
crudel
pena
,
o
città
di
Pisa
,
non
dovevi
estenderla
ai
figli
suoi
innocenti
del
fallo
paterno
.
Ora
cotesta
splendida
apostrofe
rivela
in
Dante
l
'
emancipazione
dell
'
intelletto
suo
,
almeno
in
tal
parte
,
dalle
ferocissime
regole
che
niuno
,
tranne
pochi
solitari
pensatori
dei
chiostri
,
osava
in
quegli
oscurissimi
tempi
impugnare
.
Tutta
la
umanità
della
infaustamente
celebre
costituzione
di
Arcadio
si
venerava
in
quell
'
epoca
come
un
oracolo
di
giustizia
(
1
)
.
[
(
1
)
Vedasi
nella
dottissima
lettera
del
Carmignani
al
Rosini
sul
verso
,
Poesia
più
che
il
dolor
potè
il
digiuno
,
un
cenno
della
giurisprudenza
di
quell
'
età
sulle
pene
dei
figli
innocenti
,
per
i
delitti
dei
padri
.
La
seconda
ediz
.
di
Pisa
,
pag
.
58
,
n
.
2
.
]
.
I
figli
dei
perduelli
,
quantunque
scevri
d
'
ogni
partecipazione
nel
delitto
paterno
,
la
paterna
colpa
ereditavano
.
Dovevano
dessi
alla
pari
dei
genitori
proscriversi
come
peste
della
repubblica
e
involgersi
malgrado
la
loro
innocenza
nel
supplizio
paterno
.
Essi
,
scriveva
l
'
imperatore
,
dovrebbero
insieme
col
padre
morire
sul
patibolo
,
ed
è
solo
per
clemenza
nostra
,
se
loro
si
lascia
la
vita
a
condizione
però
che
questa
non
sia
per
loro
che
un
perpetuo
supplizio
.
Se
Dante
avesse
(
quando
dettava
il
suo
Paradiso
)
ricordato
cotesta
legge
,
per
la
quale
l
'
esecrando
principio
della
corruzione
del
sangue
ebbe
troppo
lungo
tempo
più
esecranda
sanzione
,
io
tengo
per
certo
che
ei
non
sarebbe
stato
così
benigno
verso
Giustiniano
,
il
quale
aveva
rinnovellata
nel
suo
codice
l
'
autorità
di
quella
costituzione
,
non
già
con
inchiostro
vergata
,
ma
come
disse
un
sapiente
,
vergata
col
sangue
.
Ma
anche
se
Dante
volle
obliare
cotesti
falli
di
Giustiniano
ei
non
se
ne
volle
almeno
render
partecipe
,
poiché
nel
luogo
di
che
favello
coraggiosamente
protestò
contro
l
'
ingiustizia
di
mescolare
i
figli
innocenti
nella
colpa
del
padre
.
E
quando
altro
in
Dante
non
si
trovasse
consentaneo
al
giure
moderno
,
questa
eloquente
protesta
basterebbe
considerate
le
condizioni
dei
tempi
né
quali
scriveva
,
a
farlo
citare
con
onore
nella
storia
del
diritto
penale
.
Se
non
che
taluno
potrebbe
a
questo
mio
pensiero
obiettare
che
il
Poeta
voleva
i
figli
del
conte
di
Donoratico
esenti
dalla
pena
non
per
la
loro
innocenza
,
bensì
per
la
tenera
età
in
cui
erano
:
Innocenti
facea
l
'
età
novella
!
Per
cui
può
sembrare
,
che
dove
un
'
età
più
matura
si
fosse
da
loro
raggiunta
avessero
potuto
venissimo
mescolarsi
nel
supplizio
del
genitore
.
Ed
anzi
potrebbe
dirsi
che
Dante
scientemente
falsasse
la
storia
onde
giustificare
il
severo
rimprovero
che
ei
volea
scagliare
contro
Pisa
;
temendo
forse
di
non
poterlo
dicevolmente
fare
senza
di
cotesta
ragione
.
L
'
obiezione
però
non
ha
saldezza
che
valga
,
se
si
rammenta
come
la
funesta
teoria
orientale
della
corruzione
del
sangue
non
ammettesse
distinzione
di
sorta
riguardo
all
'
età
dei
figli
,
e
i
pargoletti
insieme
cogli
adulti
nello
stesso
anatema
confondesse
.
Laonde
potrebbe
in
senso
contrario
ritorcersi
l
'
obiezione
e
sostenere
,
che
Dante
a
bella
posta
mentisse
alla
storia
per
fare
contro
l
'
errore
comune
una
più
solenne
protesta
,
la
quale
fosse
con
maggiore
efficacia
universalmente
e
velocemente
sentita
.
Imperocchè
se
nei
figli
adulti
potevasi
in
qualche
modo
sospettare
una
partecipanza
alla
nequizia
del
padre
,
ciò
non
si
poteva
né
figli
di
tenera
età
;
onde
più
chiaro
facendosi
che
Pisa
aveva
manomesso
quei
giovinetti
non
per
sospetto
di
reità
propria
(
che
impossibile
essa
era
per
la
novella
età
)
,
ma
unicamente
perché
figli
del
Conte
,
più
evidente
resultava
l
'
influsso
dell
'
orrendo
principio
della
corruzione
del
sangue
,
al
quale
lo
sdegnoso
Poeta
voleva
imprecare
;
e
forse
non
senza
particolari
motivi
,
dacchè
la
storia
contemporanea
doveva
a
lui
per
miserandi
esempj
aver
fatto
vivamente
sentire
tutte
le
funeste
conseguenze
di
quella
iniqua
teorica
.
Io
non
voglio
dunque
sofisticare
sul
vero
concetto
che
Dante
volle
esprimere
con
quelle
parole
"
età
novella
"
;
né
muover
dubbio
se
veramente
da
lui
volesse
significarsi
novella
l
'
età
per
rispetto
al
numero
degli
anni
,
ossivvero
per
rispetto
ai
costumi
tuttora
giovanili
per
il
candore
dell
'
animo
che
spesso
al
di
là
dell
'
ordinario
si
conserva
,
od
anche
se
vuoi
,
perché
nuovi
alla
politica
.
Comunque
s
'
intenda
,
l
'
anatema
contro
l
'
aberrazione
della
pena
,
bisogna
leggerlo
in
quei
due
versi
del
divino
nostro
Poeta
.
E
lo
stupendo
principio
,
come
tanti
altri
,
fu
in
prima
sentito
che
pensato
ed
approvato
.
Quando
poi
la
verità
,
secondo
la
bella
immagine
di
Romagnosi
,
condotta
per
mano
dal
Tempo
,
si
fece
più
aperta
agli
uomini
,
allora
si
cercarono
gli
autori
di
questi
principii
,
e
coloro
che
primi
gli
avevano
insegnati
:
le
nazioni
che
poterono
riguardarli
come
figli
propri
se
ne
onorarono
grandemente
.
Questo
mi
sembra
che
avvenga
dell
'
Alighieri
nel
giro
della
nostra
scienza
,
riguardo
alla
massima
di
diritto
penale
da
lui
per
il
primo
proclamata
:
proclamata
a
viso
aperto
nell
'
episodio
più
popolare
e
pieno
di
forte
poesia
che
abbia
la
Divina
Commedia
.
Francesco
Carrara
IL
CARCERE
PREVENTIVO
E
L
'
APPLICAZIONE
DELLA
PENA
(
LETTERA
ALL
'
AVV
.
GUSTAVO
SANGIORGI
)
(
1869
)
(
dagli
Opuscoli
di
Diritto
criminale
,
Lucca
,
1870
,
vol
.
II
,
495
ss
.
)
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
All
'
avv
.
Gustavo
Sangiorgi
-
Bologna
Tu
mi
hai
fatto
dono
del
tuo
libretto
intitolato
-
Il
carcere
preventivo
e
l
'
applicazione
della
pena
-
Te
ne
ringrazio
.
E
poiché
veggo
che
tu
pure
combatti
sotto
quella
bandiera
dello
umanitarismo
nel
giure
penale
che
fu
l
'
orifiamma
al
quale
consacrai
tutta
la
vita
,
io
ti
stringo
fraternamente
la
mano
come
ad
un
gagliardo
commilitone
.
Permetti
però
che
io
ti
richiami
un
istante
su
quanto
dici
a
pag
.
138
linea
3
.
Ivi
tu
accenni
con
dolore
(
e
il
dolore
sarebbe
giustissimo
)
:
non
ho
presente
che
esista
legislazione
che
abbia
fatto
applicazione
completa
del
principio
da
me
propugnato
,
vale
a
dire
del
principio
che
nell
'
applicazione
della
pena
ad
un
condannato
debba
imputarsi
la
carcere
preventiva
sofferta
a
causa
delle
procedure
.
Questa
legislazione
degna
di
esser
tolta
ad
esempio
,
esiste
.
Essa
la
trovi
nel
codice
Toscano
del
1856
agli
articoli
69
,
70;
e
la
troveresti
ancora
in
altre
più
antiche
leggi
della
Toscana
,
dove
sempre
si
è
tenuta
a
calcolo
la
carcere
preventiva
in
diminuzione
di
pena
.
Forse
neppure
le
leggi
toscane
soddisfanno
ai
tuoi
voti
,
perché
tu
vorresti
lo
scomputo
completo
mentre
quelle
leggi
non
prescrivono
che
uno
scomputo
parziale
.
Ma
ciò
nonostante
bisogna
confessare
che
il
principio
,
come
principio
,
è
da
quelle
leggi
riconosciuto
.
Tu
accenni
a
questo
luogo
al
Progetto
di
codice
penale
italiano
come
se
il
medesimo
avesse
proposto
una
nuovità
.
No
:
la
onorevole
Commissione
in
questo
argomento
,
come
in
molti
altri
,
non
ha
introdotto
nessuna
novità
,
ma
soltanto
ha
portato
ad
una
più
larga
applicazione
il
principio
già
da
lunga
stagione
proclamato
fra
noi
,
e
già
fra
noi
allargato
con
le
riforme
del
1859
.
Dovendo
essa
fare
un
Progetto
di
codice
penale
per
la
Italia
che
oggi
è
governata
da
quattro
codici
penali
diversi
,
cioè
l
'
Austriaco
per
la
Venezia
,
il
Toscano
per
la
Toscana
,
il
Napoletano
(
ossia
Sardo
riformato
)
per
le
Provincie
meridionali
,
ed
il
Gallo
Sardo
per
tutte
le
altre
Provincie
:
la
Commissione
si
è
stimata
in
dovere
di
portare
i
suoi
studi
principalmente
su
quasi
quattro
codici
vigenti
,
e
da
ciascuno
di
loro
prendere
il
meglio
.
Non
hanno
fatto
altrettanto
molti
di
coloro
che
postisi
a
scranna
nel
preconcetto
che
si
dovesse
censurare
il
nuovo
Progetto
perché
troppo
umanitario
,
e
quasi
direbbesi
,
precursore
della
rovina
d
'
Italia
hanno
dato
l
'
aria
di
novità
ad
alcuna
della
disposizioni
proposte
in
quello
senza
ricordare
che
tali
disposizioni
avevano
già
da
lunghi
anni
una
vita
reale
in
alcune
delle
precedenti
legislazioni
.
Costoro
in
tal
guisa
oltre
a
dar
segno
di
ferocia
d
'
animo
(
che
Dio
la
perdoni
loro
)
hanno
mostrato
o
ignoranza
o
dissimulazione
imperdonabile
:
ignoranza
se
si
accingevano
a
criticare
una
legge
senza
conoscere
i
fonti
dai
quali
era
tratta
:
dissimulazione
se
conoscendo
tali
fonti
ne
hanno
fatto
reticenza
per
artifizio
oratorio
.
Non
ragioniam
di
lor
,
ma
guarda
e
passa
.
Le
mie
parole
si
dirigono
a
te
solo
;
che
certamente
non
sei
fra
coloro
dei
quali
direbbe
Dante
Che
non
fur
mai
vivi
.
Ed
a
te
dirigo
parola
di
elogio
,
e
d
'
incoraggiamento
per
la
via
nella
quale
tu
prendi
le
mosse
con
tanto
senno
e
valore
.
Ed
a
te
porgo
amichevole
invito
a
voler
essere
in
questo
argomento
della
custodia
preventiva
(
che
tu
hai
preso
così
felicemente
a
trattare
)
anche
più
radicale
.
Non
è
soltanto
lo
scomputo
nella
pena
della
carcere
preventivamente
sofferta
,
la
proposizione
che
noi
dobbiamo
propugnare
perché
comandata
dalla
giustizia
.
Dobbiamo
attaccare
il
mostro
di
fronte
,
e
a
viso
scoperto
combattere
le
esorbitanze
tiranniche
della
legge
data
all
'
Italia
(
copiando
quella
di
Francia
del
14
agosto
1865
)
intorno
alla
custodia
preventiva
.
Ed
anche
qui
io
non
voglio
aprire
una
polemica
,
ma
soltanto
fare
lo
storico
lasciando
il
ragionamento
al
tuo
chiarissimo
senno
.
In
Toscana
non
solo
avevamo
da
lunghissimo
tempo
il
precetto
legislativo
dello
scomputo
della
carcere
punitiva
:
principio
che
quantunque
più
o
meno
allargato
nelle
sue
applicazioni
secondo
il
variare
dei
tempi
fu
sempre
fra
noi
proclamato
come
assoluto
e
riconosciuto
come
sacro
.
Noi
avevamo
di
più
da
lunga
stagione
e
con
frutto
buonissimo
l
'
altro
principio
,
dettato
come
precetto
legislativo
,
della
eccezionalità
del
carcere
preventivo
.
Non
si
poteva
(
per
letterale
disposto
di
legge
)
arrestare
preventivamente
un
cittadino
che
fosse
imputato
di
un
delitto
(
salvo
poche
speciali
eccezioni
)
il
quale
non
potesse
portare
ad
una
pena
superiore
a
due
anni
di
prigionia
:
ed
ogni
arresto
doveva
eseguirsi
per
decreto
il
Magistrato
,
e
non
per
arbitrio
di
un
birro
.
Sotto
questa
legge
vissero
tranquilli
i
due
milioni
di
uomini
che
popolano
la
Toscana
,
ed
era
legge
di
governo
dispotico
.
Noi
non
eravamo
felici
,
perché
infelici
ci
rendevano
le
piaghe
dei
nostri
fratelli
,
e
la
nazionale
aspirazione
compressa
dal
giogo
straniero
:
ma
eravamo
tranquilli
in
quanto
alla
libertà
individuale
che
non
poteva
venirci
tolta
meno
che
per
gravi
delitti
,
e
con
forme
prudentemente
ordinate
.
Venne
il
nuovo
ordine
di
cose
ed
esultammo
per
la
indipendenza
della
Nazione
e
per
la
grandezza
d
'
Italia
.
Ma
questa
a
noi
toscani
costò
il
sacrificio
della
libertà
individuale
,
giacchè
ci
trovammo
esposti
per
la
nuova
legge
di
procedura
ad
essere
carcerati
ad
arbitrio
di
un
uomo
anche
per
il
sospetto
di
lievissima
colpa
ed
anche
per
una
trasgressione
di
polizia
:
e
ci
trovammo
esposti
ad
essere
sostenuti
in
carcere
per
sei
o
dieci
mesi
per
dar
conto
di
un
fallo
che
incontra
dopo
la
sua
verificazione
appena
un
mese
di
carcere
.
Visita
le
carceri
d
'
Italia
,
e
vedrai
che
questa
è
storia
contemporanea
.
Derisoria
e
ipocrita
è
stata
la
formula
con
la
quale
siamo
stati
condotti
a
questa
condizione
pericolosa
,
poiché
si
è
detto
che
a
noi
si
portava
una
nuova
e
generosa
guarentigia
introducendo
il
sistema
della
scarcerazione
provvisoria
mediante
cauzione
.
Quando
ad
un
uomo
al
quale
jeri
la
legge
diceva
,
tu
non
potrai
essere
carcerato
se
non
a
titolo
di
pena
dopo
una
condanna
definitiva
;
si
è
detto
,
tu
dovrai
subito
andare
prigione
,
ma
io
ti
concedo
il
diritto
di
chiedere
di
essere
scarcerato
se
così
piacerà
ai
superiori
,
e
previo
deposito
di
quella
somma
che
ai
medesimi
piacerà
di
ordinare
:
dimmi
tu
se
può
essere
sincero
il
vanto
di
aver
migliorato
la
condizione
di
quell
'
uomo
in
quanto
al
prezioso
diritto
della
libertà
individuale
.
Ti
prego
meditare
su
questi
fatti
e
istituire
confronto
delle
leggi
nuove
con
le
precedenti
leggi
toscane
;
e
poiché
nel
tuo
scritto
hai
riconosciuto
che
la
Toscana
in
materia
di
diritto
penale
segnava
lo
avanzamento
maggiore
del
progresso
civile
,
prosegui
(
se
tali
sono
le
tue
convinzioni
)
a
combattere
con
la
voce
e
con
la
penna
questo
mostruoso
regresso
al
quale
si
vorrebbe
condurre
l
'
Italia
con
un
deplorabile
anacronismo
.
Pisa
7
ottobre
1869
.
SULLA
CRISI
LEGISLATIVA
IN
ITALIA
(
CONSIDERAZIONI
)
(
1863
)
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
In
risposta
al
quesito
propostomi
da
S
.
E
.
il
Ministro
Pisanelli
sulla
progettata
estensione
delle
leggi
Penali
sarde
alle
provincie
toscane
(
dagli
Opuscoli
di
Diritto
criminale
,
Lucca
,
1870
,
vol
.
II
,
167
ss
.
)
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
Dettando
queste
pagine
io
non
ho
l
'
intendimento
di
farmi
sostenitore
di
una
dottrina
,
o
avversatore
di
un
'
altra
;
né
di
assumere
il
patrocinio
di
particolari
opinioni
.
Intendo
soltanto
di
esprimere
le
mie
personali
convinzioni
;
e
di
ricordare
le
osservazioni
che
una
lunga
pratica
mi
ha
suggerito
.
E
ciò
senza
impegno
,
senza
animo
di
entrare
in
polemiche
,
senza
desiderio
di
imporre
ad
altri
le
opinioni
mie
;
contentandomi
di
serbarle
,
e
lasciare
le
opposte
a
cui
piacciono
.
Io
scendo
dall
'
altezza
delle
speculazioni
scientifiche
,
per
contemplare
le
cose
nelle
pratiche
applicazioni
:
poiché
bene
comprendo
che
non
tutte
le
teorie
dell
'
accademia
possono
trovar
plauso
nelle
discussioni
legislative
,
finchè
la
scienza
non
abbiale
completamente
elaborate
,
e
finchè
non
siano
rendute
possibili
dal
naturale
svolgimento
del
progresso
civile
.
Io
dimentico
i
pensieri
della
cattedra
,
per
non
ricordare
che
le
sensazioni
della
tribuna
defensionale
ove
mi
sono
per
oltre
trenta
anni
agitato
;
le
sensazioni
della
giudicatura
per
dieci
anni
ad
intervalli
esercitata
come
supplente
;
e
le
sensazioni
anche
più
vive
dei
confidenziali
colloquii
coi
rei
,
o
condannati
o
da
condannarsi
.
Clinica
penosa
,
ma
maestra
di
grandi
verità
,
che
non
si
apprendono
né
sui
libri
,
né
altrove
.
In
questo
concetto
non
desti
sorpresa
se
io
procederò
per
via
di
asserzioni
,
piuttostochè
per
via
di
diffuse
dimostrazioni
.
Io
non
disdegno
di
fare
un
trattato
;
ma
soltanto
di
palesare
ciò
che
penso
,
e
di
narrare
dei
fatti
.
La
unificazione
delle
leggi
penali
in
tutte
le
province
del
nuovo
Regno
d
'
Italia
è
senza
dubbio
un
desiderio
comune
.
È
un
desiderio
sensato
,
in
quanto
ciò
simboleggia
la
unità
,
nel
tempo
stesso
che
la
rassoda
.
È
un
desiderio
giusto
;
perché
veramente
non
è
a
lungo
tollerabile
che
un
'
azione
sia
delitto
per
un
cittadino
,
mentre
per
un
altro
non
lo
è
;
che
la
difesa
abbia
in
un
tribunale
guarentigie
e
favori
,
che
non
ha
in
altro
;
né
che
due
cittadini
sieno
disugualmente
puniti
,
solo
per
la
differenza
di
poche
spanne
nel
territorio
dello
stesso
regno
,
ove
le
respettive
azioni
si
consumarono
.
Pure
alla
unità
di
una
nazione
,
o
alla
grandezza
di
un
impero
,
non
è
condizione
assolutamente
necessaria
la
unità
(
1
)
[
(
1
)
Vedasi
in
questa
raccolta
l
'
opuscolo
XI
.
]
di
leggi
neppure
penali
.
Il
reame
di
Francia
fu
compatto
e
potente
malgrado
la
enorme
disparità
di
leggi
che
regolavano
le
sue
province
;
e
come
fossero
svariate
anche
le
procedure
penali
lo
ricorda
il
processo
Damiens
,
nel
quale
si
cercò
qual
fosse
nel
regno
il
tribunale
che
adoperava
mezzi
più
feroci
di
tortura
,
per
inviargli
,
in
grazia
di
questo
merito
,
quel
grande
scellerato
.
Il
reame
di
Prussia
dal
1814
al
1851
si
è
retto
con
tre
legislazioni
penali
diverse
;
e
quanto
diverse
!
Così
Svezia
e
Norvegia
;
così
Austria
fino
al
1852;
così
Baviera
fino
al
1861;
ed
altri
.
È
un
inconveniente
:
grave
inconveniente
.
Ma
quando
dalla
unificazione
dovesse
soffrirne
o
la
sicurezza
in
alcune
province
,
o
la
giustizia
in
altre
,
non
potrìa
negarsi
che
quello
inconveniente
fosse
un
male
minore
;
e
perciò
da
preferirsi
temporaneamente
agli
altri
maggiori
.
La
unificazione
potrebbe
compromettere
la
sicurezza
in
alcune
province
quando
le
condizioni
di
queste
fossero
tali
da
esigere
una
maggiore
energia
di
castighi
,
e
questi
si
dettassero
per
loro
più
miti
a
cagione
di
riguardi
ad
altre
province
che
non
ne
abbisognassero
.
E
potrebbe
invece
compromettere
la
giustizia
,
quando
per
riguardo
a
quelle
si
estendessero
a
queste
i
castighi
più
severi
dei
quali
esse
non
hanno
bisogno
.
Certamente
ogni
penalità
irrogata
oltre
il
bisogno
offende
,
a
tacere
d
'
altro
,
la
giustizia
.
Ora
evvi
egli
pericolo
che
a
questo
repentaglio
corrano
incontro
le
province
italiane
se
ad
un
solo
dettato
penale
si
compongano
?
Occasione
del
dubbio
è
precipuamente
la
pena
di
morte
:
ed
è
davvero
occasione
ben
grave
.
Io
tengo
per
fermo
che
la
pena
di
morte
di
Toscana
sia
una
inutile
crudeltà
.
Io
ho
esercitato
per
sedici
anni
la
difesa
criminale
in
Lucca
,
ove
rimaneva
il
codice
di
Francia
del
1810
nella
sua
originaria
crudezza
;
anzi
con
qualche
più
fiera
appendice
.
E
come
cotesto
codice
prodigasse
la
pena
di
morte
ognuno
lo
sa
.
Io
la
esercitai
poscia
dal
1847
al
1852
con
la
pena
di
morte
abolita
.
Io
la
esercitai
dal
1852
al
1859
con
la
pena
di
morte
ripristinata
.
Io
la
esercitai
dal
1859
fino
al
presente
con
la
pena
di
morte
novellamente
abolita
.
Ebbene
!
In
questo
avvicendarsi
di
esperienza
io
non
mi
avvidi
mai
dal
numero
dei
delitti
se
la
pena
di
morte
vi
fosse
o
no
.
Vidi
farsi
più
o
meno
frequenti
gli
omicidj
in
rissa
secondo
la
varietà
delle
occasioni
,
e
secondo
il
crescere
o
il
decrescere
della
crittogama
.
Vidi
farsi
più
o
meno
frequenti
i
furti
secondo
il
crescere
o
decrescere
delle
vigilanze
preventive
.
Ma
nei
casi
capitali
,
negli
omicidj
premeditati
,
non
potei
scorgere
variazione
.
Vidi
cospirare
in
faccia
al
carnefice
,
forse
più
che
nella
sua
assenza
.
Vidi
incendiare
luoghi
abitati
,
e
quando
si
giocava
la
testa
,
e
quando
si
rischiavano
pochi
anni
di
detenzione
.
Vidi
un
toscano
abbandonare
la
Toscana
,
dove
potea
falsare
monete
col
pericolo
di
temporanea
reclusione
;
e
recarsi
a
far
la
sua
opera
in
Lucca
,
dove
lo
minacciò
la
decapitazione
:
dalla
quale
potei
a
stento
salvarlo
mercè
la
insperata
accoglienza
di
una
sottigliezza
di
diritto
,
che
forse
ebbe
plauso
più
per
l
'
impero
del
cuore
sull
'
intelletto
,
che
per
la
mia
poca
eloquenza
o
per
rigore
di
principii
.
Io
mi
convinsi
perciò
che
la
pena
di
morte
non
è
necessaria
in
Toscana
.
Ed
oso
dire
che
cotesta
non
è
soltanto
opinione
particolare
mia
;
ma
opinione
generale
e
prevalente
fra
coloro
che
per
dottrina
ed
imparzialità
ne
sono
giudici
competenti
.
Ed
in
cotesto
pensiero
io
non
veggo
come
si
possa
dal
Governo
italiano
estendere
ala
provincia
toscana
il
codice
penale
che
governa
oggi
le
altre
province
del
regno
.
Estendere
la
pena
di
morte
ad
una
provincia
che
ha
dato
chiara
prova
di
non
volerne
e
di
non
averne
mestiero
,
e
che
ne
dà
prova
tuttodì
quantunque
sbrigliata
da
ogni
buona
legge
di
polizia
,
sarebbe
una
flagrante
ingiustizia
:
per
tacere
del
brutto
ricambio
che
ciò
farebbe
all
'
affratellamento
spontaneo
che
unisce
al
Regno
la
provincia
Toscana
.
È
vero
che
la
pena
di
morte
si
è
nel
codice
Sardo
ristretta
a
soli
nove
casi
:
ma
volendo
anche
prescindere
dai
primi
due
(
art
.
153
e
154
)
pei
quali
amo
imitare
il
pensiero
di
Solone
,
lo
introdurla
per
gli
altri
sette
in
Toscana
io
lo
considero
un
impossibile
morale
.
Se
è
impossibile
moralmente
di
unificare
la
Toscana
al
rimanente
del
regno
nella
pena
di
morte
,
sarà
egli
possibile
coordinare
il
sistema
punitivo
delle
altre
province
alla
moderazione
toscana
?
Io
non
sono
giudice
competente
di
ciò
.
Per
principio
generale
io
penso
non
necessaria
assolutamente
la
pena
capitale
ovunque
albeggi
un
qualche
bagliore
di
civiltà
,
e
dovunque
il
Governo
non
abbia
coscienza
della
propria
debolezza
.
Né
posso
credere
così
indietro
le
altre
province
,
da
esigere
imperiosamente
la
pedagogìa
del
carnefice
.
Ma
ascolto
da
tante
parti
,
e
da
persone
così
in
alto
locate
e
così
edotte
nella
vita
pratica
delle
città
dove
nacquero
e
vissero
;
ascolto
,
io
dissi
,
ripetere
con
tanta
sicurezza
essere
in
certe
province
la
pena
di
morte
una
necessità
locale
,
che
io
mi
resto
dubbioso
:
non
parendo
a
me
accettabile
cotesta
dolorosa
sentenza
,
e
non
potendo
d
'
altronde
comprendere
che
una
asseveranza
così
positiva
proceda
da
pregiudizj
,
ai
quali
permettasi
di
far
velo
all
'
intelletto
in
argomento
cotanto
grave
.
Certo
è
che
se
cotesta
opinione
non
fosse
il
sospetto
di
pochi
,
ma
veramente
la
opinione
generale
di
quelle
province
,
un
governo
saggio
dovrebbe
temporeggiare
;
e
dando
opera
attiva
a
dileguare
siffatti
timori
correggere
la
pubblica
opinione
,
al
fine
di
rendere
anche
là
possibile
la
proscrizione
della
pena
capitale
.
E
dico
ciò
perché
mia
opinione
è
che
la
misura
della
severità
nelle
pene
non
debba
cercarsi
nella
impressione
che
esse
recano
sui
malvagi
,
ma
nella
impressione
che
fanno
sugli
onesti
.
Lo
errore
che
la
pena
dovesse
raggiungere
tal
grado
di
severità
da
impedire
il
delitto
in
tutti
i
facinorosi
fu
la
causa
fatale
del
progressivo
inferocire
dei
supplizi
.
E
fu
un
errore
,
perché
procedeva
da
un
concetto
impossibile
.
È
impossibile
per
quanto
si
martori
il
colpevole
,
ottenere
che
non
si
commettano
delitti
:
perché
il
delitto
vi
sarà
sempre
per
difetto
della
umana
natura
:
e
perché
l
'
uomo
perduto
,
o
sia
che
lo
acciechi
disperata
passione
per
cui
vegga
nel
male
presente
il
peggiore
di
tutti
,
sia
che
lo
illuda
la
speranza
d
'
impunità
;
quando
la
sua
indole
è
corrotta
e
le
circostanze
che
lo
circondano
lo
spingono
imperiose
al
misfatto
,
vi
correrà
come
vi
è
sempre
corso
,
a
malgrado
di
tutti
i
più
terribili
supplizj
che
a
lui
minacci
la
legge
.
E
la
storia
fu
sollecita
coi
suoi
documenti
infallibili
a
far
la
riprova
di
quanto
fosse
fallace
il
sistema
della
intimidazione
.
Le
pene
devono
contentarsi
di
trattenere
i
male
inclinati
,
e
di
vincere
le
mezzane
cagioni
;
ed
a
quest
'
uopo
non
occorrono
estreme
.
Contro
i
grandi
scellerati
e
contro
le
prepotenti
cagioni
,
esse
rimasero
e
rimarranno
sempre
inefficaci
.
Ma
il
vero
,
il
costante
benefizio
del
magistero
penale
,
è
pel
lato
della
impressione
morale
che
egli
fa
sugli
onesti
.
È
in
questo
senso
che
desso
è
un
solido
cemento
della
civile
consociazione
.
Bisogna
che
ai
buoni
cittadini
sembri
di
essere
sicuri
nella
loro
vita
:
bisogna
che
sembri
loro
che
la
proprietà
,
la
famiglia
,
l
'
onore
loro
,
sia
protetto
dalla
legge
punitiva
.
Ciò
è
necessario
,
e
perché
divelga
dagli
animi
ogni
velleità
di
privata
vendetta
,
e
perché
i
consociati
esercitino
la
loro
attività
.
Questo
è
il
fine
primario
,
questo
è
il
risultamento
effettivo
del
maestrato
penale
.
Senza
di
lui
o
gli
uomini
si
getterebbero
disperati
in
una
inerzia
fatale
,
adoperando
alla
personale
custodia
dei
pochi
beni
che
hanno
quelle
forze
che
varrebbono
a
procacciarne
di
maggiori
,
o
deserterebbero
spaventati
una
città
dove
non
si
sentirebbero
sicuri
.
È
perciò
che
mentre
niente
affatto
credo
che
vi
siano
provincie
in
Italia
nella
quali
l
'
abolizione
della
pena
di
morte
facesse
cessare
ogni
sicurezza
reale
;
ammetto
che
vi
possano
essere
provincie
nelle
quali
l
'
abolizione
toglierebbe
la
sicurezza
opinata
.
Ciò
può
essere
per
la
ragione
della
trista
abitudine
.
Né
io
sono
in
grado
di
emettere
giudizio
se
ciò
veramente
sia
.
Dico
però
,
che
qualora
ciò
fosse
(
e
questa
è
cosa
della
quale
non
può
un
privato
essere
giudice
competente
,
ma
soltanto
l
'
alta
sapienza
di
chi
regge
lo
Stato
)
la
prudenza
governativa
non
tollererebbe
che
si
adottasse
un
metodo
di
unificazione
che
diminuisse
la
sicurezza
opinata
di
certi
paesi
;
quantunque
la
sicurezza
reale
ne
rimanesse
nel
medesimo
stato
di
inferiorità
,
al
quale
oggi
possono
condannarla
la
specialità
ed
i
costumi
di
alcune
province
.
Ma
essendo
debito
dei
governi
di
guidare
per
la
retta
via
la
pubblica
opinione
e
raddrizzare
i
torti
pensieri
,
se
ne
avrebbe
una
ragione
di
più
per
respingere
l
'
opposto
metodo
di
unificazione
.
Infatti
lo
estendere
alla
provincia
toscana
la
pena
di
morte
per
la
ragione
di
un
pregiudizio
dominante
in
altre
provincie
,
oltre
alla
ingiustizia
intollerabile
che
avrebbe
in
sé
,
sarebbe
cagione
infallibile
di
perpetuare
quel
pregiudizio
che
si
vorrebbe
correggere
.
Laddove
mantenendo
la
provincia
toscana
nella
mitezza
di
penalità
che
le
basta
,
l
'
esempio
di
quella
varrebbe
nel
giro
di
breve
tempo
a
procacciare
la
rettificazione
spontanea
degli
esagerati
timori
dei
popoli
affratellati
.
Sicchè
,
nella
supposta
ipotesi
,
obbedendo
alla
fatale
necessità
a
cui
l
'
uomo
soggiace
di
preferire
spessissimo
il
male
minore
al
maggiore
,
io
non
esiterei
piuttosto
a
respingere
un
affetto
di
simmetria
che
mi
condurrebbe
alla
ingiustizia
ed
alla
perpetuazione
dell
'
errore
;
e
nella
fiducia
di
impedire
l
'
una
e
l
'
altra
,
manterrei
precariamente
la
disparità
delle
pene
.
Brutta
cosa
per
certo
:
ma
sempre
meno
brutta
delle
altre
.
Meno
gravi
difficoltà
incontra
la
desiderata
unificazione
sotto
il
rapporto
delle
leggi
procedurali
.
Vi
ha
,
è
vero
,
in
Toscana
una
repugnanza
ai
giurati
;
ma
questa
repugnanza
si
limita
al
ceto
di
certi
magistrati
,
né
vale
indagare
le
cagioni
.
Nella
curia
prevale
il
desiderio
di
cotesta
istituzione
.
E
se
vi
sono
dei
dubbi
e
dei
timori
cadono
più
sulla
forma
speciale
della
giuria
,
com
'
è
costituita
oggi
in
Italia
,
di
quello
che
rispetto
alla
istituzione
in
sé
stessa
.
Senza
dubbio
lamentasi
giustamente
che
la
legge
piemontese
troppo
riproduca
i
difetti
della
giuria
francese
ed
in
special
modo
non
procacci
a
sufficienza
la
divisione
di
certe
questioni
complesse
,
e
la
separazione
vera
e
completa
del
fatto
dal
diritto
nelle
ricerche
da
sottoporsi
ai
giurati
.
Ma
tali
mende
,
che
la
dottrina
del
Ministero
ed
una
ferma
elaborazione
della
giurisprudenza
può
di
facile
toglier
via
,
non
sono
difficoltà
che
valgono
a
ritardare
la
unificazione
per
questo
lato
.
La
quale
a
parer
mio
potrebbe
pur
farsi
malgrado
rimanesse
qualche
diversità
nelle
sanzioni
penali
.
Se
vi
è
paese
che
non
debba
avere
repugnanza
ad
accettare
i
giurati
,
questo
è
la
Toscana
.
Perché
in
Toscana
già
da
cinque
lustri
si
tollera
quello
che
il
sommo
vizio
rimproverato
alla
giurìa
:
voglio
dire
che
i
giudici
criminali
si
convincano
e
condannino
senza
dar
ragione
in
sentenza
del
perché
condannano
e
si
convincono
.
Ove
le
maggiori
guarentigie
delle
prove
legali
o
semi
-
legali
vigessero
,
ove
almeno
si
avesse
avuto
il
riguardo
di
esigere
che
la
sentenza
facesse
fede
che
quelle
cognizioni
scientifiche
delle
quali
si
presumono
forniti
i
magistrati
,
furono
veramente
la
guida
delle
loro
determinazioni
(
esse
,
non
il
sentimento
dell
'
uomo
)
là
io
comprenderei
bene
che
si
facesse
viva
opposizione
ai
giurati
.
L
'
emblema
della
opposizione
sarebbe
una
dottrina
,
non
una
questione
di
persona
:
poiché
si
direbbe
,
vogliamo
esser
certi
di
esser
giudicati
con
la
mente
e
non
col
cuore
.
Ma
in
Toscana
,
dove
da
cinque
lustri
si
vive
sotto
il
singolare
sistema
del
magistrato
sapiente
a
cui
non
si
impone
di
render
conto
della
sua
sapienza
:
in
Toscana
,
dove
da
cinque
lustri
si
vedono
spesso
sorgere
convinzioni
inesplicabili
,
insostenibili
coi
dettami
della
ragione
e
della
scienza
,
eppure
incensurabili
benchè
paurose
,
l
'
avversione
contro
i
giurati
se
regna
in
qualche
animo
imparziale
non
può
regnarvi
come
dottrina
,
ma
come
sentimento
di
antipatia
:
al
quale
si
contrappone
gagliarda
la
simpatia
dei
più
verso
un
ordinamento
giudiciale
che
rappresenta
il
completamento
di
quelle
politiche
guarentigie
per
le
quali
si
ringagliardisce
la
civile
libertà
di
una
nazione
.
Io
dico
infine
che
la
maggiore
difficoltà
che
osteggi
i
giurati
potendo
nascere
dalla
ignoranza
del
popolo
,
è
oggi
un
vero
rovescio
di
idee
,
un
andare
a
ritroso
del
vero
,
negarli
alla
Toscana
mentre
si
sono
allargati
per
tutto
il
rimanente
del
Regno
.
E
poiché
sono
in
questo
argomento
dei
giudizj
criminali
,
osserverò
che
chiunque
mediti
lo
stato
attuale
di
rapporto
che
esiste
fra
le
due
frazioni
del
nostro
Reame
,
sorge
intuitivo
l
'
incontrastabile
controsenso
che
oggi
vi
domina
.
Abbiamo
penalità
più
miti
in
Toscana
:
abbiamo
penalità
più
severe
nel
resto
;
ciò
rimanendo
non
potrebbe
rimanere
che
come
segno
di
maggiore
civiltà
.
Ma
ammesso
ciò
,
come
si
concilia
che
in
quella
provincia
dove
la
penalità
più
mite
fa
per
l
'
oracolo
del
legislatore
testimonianza
di
maggiore
civiltà
,
si
conservino
forme
procedurali
che
più
avversano
i
sacri
diritti
della
difesa
,
e
che
meno
accordano
di
guarentigia
ai
cittadini
?
È
un
male
per
molti
anni
deplorato
in
Toscana
da
tutta
la
curia
,
non
che
da
tutti
coloro
che
poterono
sentire
l
'
intollerabile
peso
,
la
esorbitante
prevalenza
dell
'
arbitrio
magistrale
;
è
un
male
profondamente
sentito
lo
stato
di
annientamento
del
diritto
della
difesa
nelle
parti
più
vitali
del
suo
indispensabile
movimento
.
Possono
essi
ammettersi
in
un
popolo
civile
i
preventivi
processi
segreti
che
l
'
accusa
liberamente
compila
per
conto
proprio
,
e
chiude
nel
suo
cassetto
senza
farne
comunicazione
al
difensore
?
Non
nego
la
convenienza
di
precedenti
informazioni
che
si
procuri
l
'
accusa
prima
di
lanciarsi
alla
persecuzione
di
un
cittadino
.
Ma
perché
,
quando
i
testimoni
che
si
esaminarono
nella
informazione
segreta
si
ripetono
al
dibattimento
orale
,
non
deve
l
'
accusato
preventivamente
sapere
cosa
hanno
detto
nel
primo
esame
?
Può
egli
tollerarsi
là
dove
si
riconosce
in
principio
la
uguaglianza
(
per
lo
meno
)
dell
'
accusa
e
della
difesa
in
faccia
alla
legge
,
che
l
'
accusatore
alla
vigilia
del
dibattimento
citi
a
talento
suo
in
un
processo
indiziario
un
numero
di
testimoni
senza
far
noti
all
'
accusato
i
fatti
o
gl
'
indizi
novelli
che
intende
provare
al
mezzo
di
quei
testimoni
novellamente
indotti
e
sui
quali
si
propone
di
argomentare
?
L
'
accusato
,
si
dice
,
è
in
debito
di
capitolare
i
fatti
dei
quali
vuole
attingere
contezza
dai
singoli
testimoni
che
reca
al
giudizio
,
affinchè
il
pubblico
ministero
sostenitore
della
legge
conoscendo
tempestivamente
cotali
circostanze
,
che
altrimenti
a
lui
sarebbe
impossibile
d
'
indovinare
,
possa
preparare
ove
lo
creda
opportuno
la
controprova
,
e
non
sia
volto
a
sorpresa
.
Ottima
osservazione
;
alla
quale
io
pienamente
mi
sottoscrivo
.
Al
pubblico
ministero
,
si
soggiunge
,
non
fa
invece
bisogno
d
'
imporre
codesto
debito
in
ordine
ai
nuovi
testimoni
che
aggiunge
oltre
i
già
esaminati
,
perché
l
'
accusato
deve
conoscere
al
solo
udire
il
nome
del
testimone
,
quali
saranno
le
circostanze
delle
quali
verrà
a
deporre
.
Falsissima
osservazione
;
alla
quale
recisamente
mi
oppongo
come
a
pernicioso
sofisma
.
Ed
il
sofisma
sta
in
ciò
che
in
cosiffatto
argomento
si
presume
nientemeno
che
l
'
accusato
sia
colpevole
:
pensiero
ormai
anatemizzato
e
proscritto
dalla
odierna
civiltà
,
quantunque
inconsiderato
e
latente
rimanga
troppo
spesso
nel
cuore
di
alcuno
.
Se
l
'
accusato
si
presume
colpevole
,
ei
saprà
bene
che
Tizio
trovossi
presente
al
fatto
suo
criminoso
,
e
che
Sempronio
ebbe
da
lui
la
fiduciosa
rivelazione
del
delitto
commesso
.
Laonde
al
solo
udire
che
Tizio
e
Sempronio
sono
chiamati
dall
'
accusa
al
processo
orale
,
già
capirà
che
Tizio
sarà
a
deporre
di
ciò
che
vide
e
Sempronio
di
ciò
che
udì
.
Ma
presumete
invece
,
com
'
è
dovere
,
la
innocenza
dell
'
inquisito
,
e
ditemi
allora
come
può
egli
,
che
forse
mai
non
vide
Tizio
né
parlo
con
Sempronio
,
indovinare
cosa
verranno
a
dire
costoro
,
e
preordinarsi
alla
controprova
!
Il
sofisma
è
pertanto
palpabile
ed
il
sistema
è
vizioso
.
E
pur
vidi
talvolta
alla
vigilia
del
dibattimento
notificarsi
dal
pubblico
ministero
i
nomi
di
nuovi
testimoni
contro
un
accusato
di
due
o
tre
delitti
,
senza
neppure
rendergli
noto
su
quale
dei
diversi
reati
che
a
lui
si
rimproveravano
si
volessero
esaminare
quei
nuovi
testimoni
.
Il
sistema
è
vizioso
non
solo
perché
pecca
contro
la
uguaglianza
che
deve
essere
la
prima
legge
sovrana
di
ogni
buon
procedimento
;
ma
perché
ancora
ha
radice
su
due
presunzioni
entrambo
fallaci
.
La
presunzione
di
reità
dell
'
accusato
,
che
è
falsa
sempre
teoricamente
e
falsa
spessissimo
praticamente
;
e
la
presunzione
di
veridicità
dei
testimoni
,
e
di
esattezza
ed
infallibilità
del
loro
giudizio
,
la
quale
benchè
vera
teoricamente
essendo
spesso
falsa
praticamente
,
importa
il
bisogno
che
si
diano
mezzi
sufficienti
a
combatterla
.
Può
egli
tollerarsi
che
all
'
accusato
non
basti
capitolare
i
fatti
che
intende
provare
a
proprio
discarico
;
ma
la
facoltà
in
lui
di
avere
alla
udienza
i
testimoni
,
dai
quali
confida
essere
chiarito
innocente
,
dipenda
dall
'
assoluto
arbitrio
del
Presidente
?
Incensurabile
arbitrio
;
che
non
dà
ragione
di
sé
;
e
che
spesso
può
trovare
l
'
unico
suo
movente
nella
economia
del
tempo
o
del
denaro
del
fisco
.
Come
possono
gli
onesti
sentirsi
sicuri
dalle
conseguenze
di
una
calunnia
dove
la
legge
,
paga
di
concedere
loro
larghezza
di
ciarle
,
ammette
che
il
capriccio
di
un
uomo
possa
frapporre
insuperabile
barriera
alla
giustificazione
della
innocenza
!
Io
non
mi
turbo
,
né
mi
commuovo
per
un
grado
maggiore
di
severità
con
cui
si
ferisca
il
colpevole
,
perché
ho
fiducia
di
non
divenirlo
.
Ma
palpito
e
tremo
se
penso
che
quando
un
'
apparenza
fatale
mi
dipingesse
colpevole
,
lo
avere
aperta
la
via
a
produrre
la
mia
giustificazione
dipenderebbe
dalla
benignità
e
dall
'
arbitrio
di
un
uomo
.
Cosa
è
poi
la
oralità
nel
sistema
Toscano
?
La
legge
dispone
che
il
processo
scritto
non
abbia
alcun
valore
giuridico
:
che
solo
valga
il
processo
orale
della
ultima
udienza
.
Ma
chi
ha
potuto
vedere
addentro
nella
realtà
dei
fatti
,
ha
dovuto
troppe
volte
convincersi
non
essere
questa
una
verità
,
ma
una
pomposa
parola
.
Non
può
essere
una
verità
,
se
si
riflette
che
la
legge
toscana
mantiene
la
pena
dello
spergiuro
contro
il
testimone
che
abbia
nel
processo
scritto
mentito
:
e
così
rende
impossibile
la
ritrattazione
di
un
teste
mentitore
,
per
quanto
una
resipiscenza
salutare
lo
abbia
condotto
nella
determinazione
di
redimersi
alla
pubblica
udienza
palesando
la
verità
.
Perché
riesca
utile
codesto
metodo
bisogna
sperare
che
il
falso
testimone
non
solo
siasi
pentito
ma
sia
divenuto
un
santo
,
onde
affrontare
coraggioso
il
proprio
martirio
pria
che
persistere
nell
'
affermata
falsità
.
Sogni
sono
questi
e
guarentigie
di
mera
apparenza
.
Chè
anzi
codesta
posizione
non
solo
trattiene
dal
ritrattarsi
il
testimone
mendace
,
ma
ne
trattiene
eziandio
il
testimone
che
abbia
errato
e
fatto
poi
miglior
senno
;
non
che
il
testimone
le
cui
parole
si
siano
intese
a
traverso
dall
'
attuario
.
Spesso
è
avvenuto
ed
avviene
che
un
testimone
di
poco
spirito
all
'
udire
la
voce
severa
del
presidente
che
gli
ripete
la
consueta
contestazione
-
diceste
voi
il
vero
od
il
falso
nel
processo
scritto
?
-
si
intimidisca
del
proprio
pericolo
,
ed
affermi
come
verità
ciò
che
gli
vien
letto
su
quelle
pagine
,
quantunque
senta
che
quello
scritto
non
riprodusse
il
genuino
stato
delle
cose
,
né
il
vero
concetto
di
ciò
che
egli
intese
deporre
nel
suo
primo
esame
.
Non
è
sempre
,
né
può
essere
una
verità
questa
prevalenza
del
processo
orale
sopra
lo
scritto
,
perché
i
risultati
di
quello
non
si
raccolgono
esattamente
,
ma
si
consegnano
alla
memoria
dei
giudicanti
:
i
quali
debbono
poi
riprodurselo
fedelmente
,
spesso
dopo
uno
intervallo
di
parecchi
giorni
,
nella
camera
di
consiglio
;
dove
peraltro
sta
sul
tavolino
immutabile
il
processo
scritto
,
che
in
faccia
ai
giurati
niente
vale
.
Io
non
ebbi
che
poche
volte
occasione
di
esercitare
la
difesa
degli
accusati
nelle
altre
province
del
Regno
.
Ma
per
quanto
mi
addimostrò
codesto
esperimento
,
e
per
quanto
mi
rivela
lo
studio
di
quelli
ordinamenti
,
io
li
stimo
molto
migliori
delle
procedure
penali
toscane
;
le
quali
(
spiaccia
a
chi
vuolsi
la
mia
professione
di
fede
)
io
reputo
viziosissime
fra
le
viziose
.
È
poi
nuovamente
una
guarentigia
apparente
,
che
torna
a
discapito
della
guarentigia
reale
,
la
duplicazione
delle
Camere
d
'
invio
come
in
Toscana
si
esercita
.
Si
è
creduto
di
dare
una
tutela
maggiore
agli
imputati
dei
delitti
di
alto
criminale
,
con
lo
esigere
che
due
turni
successivi
ripetano
l
'
affermazione
della
sufficienza
degli
indizi
.
Ma
io
vidi
spesso
la
duplicità
delle
ruote
ritardare
non
solo
,
ma
rendere
inutile
il
movimento
della
macchina
.
Non
dirò
che
ciò
sempre
avvenga
:
perché
magistrati
coscienziosi
ed
illuminati
la
intendono
spesso
come
si
deve
.
Ma
è
avvenuto
ed
avviene
(
ed
io
ne
sono
testimonio
)
che
nei
giudici
della
camera
di
consiglio
della
prima
istanza
si
tenga
la
opinione
che
quando
il
titolo
del
reato
è
di
alto
criminale
,
non
possa
la
prima
camera
giudicare
della
sufficienza
degli
indizi
:
perché
,
come
io
mi
sono
sentito
parecchie
volte
obiettare
,
è
questo
un
invadere
la
giurisdizione
della
camera
di
accusa
,
alla
quale
esclusivamente
spetta
la
cognizione
del
fatto
.
Ed
è
avvenuto
poi
che
la
camera
delle
accuse
abbia
trovato
una
difficoltà
nel
decreto
d
'
invio
della
prima
camera
,
come
un
precedente
che
impaccia
,
necessitando
quasi
a
trovarvi
un
grave
errore
per
revocarlo
.
La
legge
sarda
,
per
quanto
a
me
pare
,
nell
'
ordinamento
di
cui
gli
art
.
244
,
414
e
seguenti
,
è
più
semplice
,
più
spedita
,
e
forse
meglio
sicura
.
Si
farà
il
solito
obietto
che
la
unica
camera
sarda
è
copiata
dalla
legge
francese
del
1856
.
Ma
le
due
camere
della
legge
toscana
del
1838
non
erano
esse
copiate
dall
'
antico
codice
Francese
!
Bensì
nel
grave
argomento
della
custodia
preventiva
mi
pare
che
ecceda
in
peggio
da
un
lato
la
legge
sarda
per
non
destinarle
dei
limiti
assoluti
,
come
la
legge
toscana
.
E
che
dall
'
altro
lato
prevalga
in
meglio
sulla
toscana
per
gli
ordinamenti
provvidi
sulla
cauzione
.
In
Toscana
siamo
avvezzi
a
non
vedere
andar
prigione
prima
della
condanna
altro
che
i
ladri
,
ed
i
prevenuti
di
delitti
che
espongono
a
carcere
oltre
i
due
anni
.
La
indefinita
carcerazione
preventiva
della
legge
sarda
sarebbe
intollerabile
.
Questa
è
copiata
dalla
legge
francese
.
Ma
si
guardi
un
momento
oltre
le
Alpi
.
E
vedrassi
che
in
questo
momento
le
grida
contro
cotesta
preventiva
carcerazione
sorgono
là
da
ogni
lato
.
Pullulano
oggi
gli
articoli
di
giornali
,
le
monografie
,
i
lamenti
di
ogni
genere
contro
questo
difetto
;
talchè
parmi
che
oggi
sia
questo
il
tema
là
divenuto
di
moda
.
E
ciò
significa
che
tra
poco
vedremo
sorgere
una
emenda
in
Francia
sul
tal
proposito
,
ed
accettarsi
alcuno
dei
tanti
diversi
piani
che
veggo
progettarsi
dagli
scrittori
.
Bella
gloria
sarebbe
andare
innanzi
ai
nostri
vicini
,
pria
che
aspettare
ad
imitarli
,
trascinati
dalla
prepotenza
del
vero
.
E
noi
ne
abbiamo
i
materiali
,
sol
che
agli
ordinamenti
toscani
sulla
carcerazione
preventiva
,
e
sulla
sua
valutazione
,
si
unissero
i
provvedimenti
sardi
sulla
cauzione
.
Io
non
vorrei
fidare
la
libertà
dell
'
innocente
né
a
questi
soli
,
né
a
quelli
.
Volgono
poche
sere
che
un
provetto
magistrato
toscano
(
e
non
era
dei
più
miti
)
mi
diceva
che
nella
pratica
aveva
trovato
il
sistema
toscano
della
carcerazione
preventiva
tropo
severo
e
impaccioso
.
Il
suo
completamento
deve
essere
la
cauzione
.
Esisteranno
forse
anche
nella
procedura
sarda
dei
difetti
notevoli
,
che
io
non
vi
scorgo
.
E
tengo
opinione
che
delle
leggi
procedurali
male
si
giudichi
a
tavolino
:
e
bisogni
studiarle
nella
loro
vita
e
nella
esperienza
.
Ma
nell
'
insieme
,
tolto
ciò
che
ho
notato
,
io
non
vedrei
ragione
di
dolermi
del
cambio
.
Ora
tornando
all
'
argomento
della
penalità
(
qualunque
sia
per
essere
la
soluzione
del
grande
preliminare
problema
sulla
pena
capitale
)
sarà
sempre
a
vedersi
se
rimpetto
al
codice
Toscano
che
si
toglierebbe
a
queste
province
,
possa
essere
accettabile
il
codice
Sardo
tal
quale
sta
:
se
sia
cioè
accettabile
rispetto
al
progresso
della
scienza
in
questa
provincia
;
se
sia
accettabile
rispetto
ai
suoi
bisogni
,
ed
alle
abitudini
che
la
governano
.
E
qui
di
nuovo
ripeterò
che
non
intendo
fare
un
trattato
scientifico
,
né
un
corso
di
codice
comparato
,
né
d
'
immergermi
nella
dimostrazione
di
speciali
teoriche
.
Il
cerchio
di
questo
scritto
,
e
la
pochezza
dei
miei
lumi
,
non
si
adattano
a
siffatto
lavoro
.
Intendo
solo
di
esprimere
senza
pretensioni
quello
che
io
penso
su
qualche
punto
dei
più
culminanti
,
sparpagliatamente
e
per
via
di
semplici
accenni
.
Incominciando
dalle
nozioni
e
dalle
generalità
,
dirò
che
la
definizione
del
delitto
mancato
,
quale
si
pone
all
'
articolo
97
del
codice
Sardo
,
non
è
all
'
unisono
con
gli
ultimi
pronunciati
della
dottrina
.
Ivi
si
confonde
il
conato
pretergresso
,
che
è
l
'
ultimo
stadio
del
tentativo
prossimo
,
col
delitto
mancato
:
ente
giuridico
,
ritrovato
della
scienza
moderna
e
creazione
tutta
Italiana
perché
figlia
di
quell
'
altissima
mente
di
Romagnosi
.
Il
delitto
mancato
sta
distinto
come
una
specialità
fra
il
conato
pretergresso
e
il
delitto
consumato
.
La
migliore
definizione
che
del
delitto
mancato
legga
nei
codici
contemporanei
(
ed
oso
dire
la
più
esatta
che
possa
darsi
)
è
quella
che
trovasi
all
'
articolo
46
del
codice
Toscano
.
Il
delitto
mancato
deve
presentare
perfetto
in
sé
stesso
l
'
elemento
subiettivo
;
il
quale
può
essere
imperfetto
anche
nel
conato
pretergresso
.
E
perché
l
'
elemento
subiettivo
sia
perfetto
,
bisogna
che
il
non
successo
sia
esclusivamente
attribuibile
ad
un
fortuito
imprevisto
:
e
che
sia
perciò
dipendente
affatto
dal
modo
di
agire
e
dalla
forma
di
determinazione
del
colpevole
.
Equiparare
il
conato
pretergresso
al
delitto
mancato
porta
alla
ingiustizia
:
perché
con
ciò
sulla
bilancia
politica
una
serie
di
atti
,
che
per
quante
volte
si
ripetessero
in
quelle
condizioni
dovrebbero
sempre
(
tranne
la
providenziale
interposizione
di
un
fortuito
)
consumare
la
infrazione
,
si
equipara
ad
una
serie
di
atti
che
per
la
legge
immutabile
delle
fisiche
relazioni
avevano
in
loro
stessi
la
probabilità
di
risultare
inetti
.
E
così
per
una
parità
del
mero
elemento
intenzionale
si
parificano
,
a
discapito
della
giustizia
politica
,
due
materialità
ontologicamente
diverse
,
e
rappresentanti
un
diversissimo
grado
di
pericolo
sociale
.
La
sostituzione
dell
'
art
.
46
toscano
all
'
art
.
97
sardo
sarebbe
un
omaggio
alla
scienza
ed
un
servizio
alla
giustizia
;
e
nulla
disturberebbe
la
economia
di
questo
codice
,
il
quale
d
'
altronde
nella
distribuzione
della
penalità
del
tentativo
offre
campo
bastevole
per
la
repressione
del
conato
pretergresso
.
Dissonante
coi
principii
della
scienza
,
ed
eccessivo
di
rigore
è
l
'
art
.
536
del
codice
penale
Sardo
;
il
quale
prevede
una
specialità
che
,
dove
presenti
i
termini
del
tentativo
,
troverà
congrua
repressione
nella
sua
sede
;
dove
non
li
presenti
,
non
può
essere
mai
meritevole
di
tanta
repressione
.
Nulla
osservò
sull
'
art
.
99
del
codice
Sardo
per
non
ripetere
le
censure
già
svolte
da
altri
.
In
quanto
alla
istigazione
a
delinquere
non
accolta
,
ricorderò
ciò
che
altra
volta
ebbi
occasione
di
dire
.
Se
spiace
ad
alcuno
che
il
codice
Sardo
non
abbia
nessuna
disposizione
speciale
contro
la
istigazione
non
accolta
,
è
però
esorbitante
l
'
art
.
54
del
codice
Toscano
che
ammette
la
punibilità
di
qualsiasi
istigazione
non
accolta
,
e
non
fa
le
debite
distinzioni
fra
il
dolo
di
proposito
ed
il
dolo
d
'
impeto
,
che
può
bene
verificarsi
anche
nell
'
istigatore
,
e
che
rende
scusabile
una
parola
proferita
in
un
momento
di
esaltazione
;
né
fa
la
debita
restrizione
per
la
levità
del
malefizio
a
cui
si
sarebbe
istigato
.
È
incontrastabile
che
tutti
i
buoni
criminalisti
i
quali
hanno
ammesso
la
punibilità
della
istigazione
non
accolta
,
l
'
ammettono
soltanto
in
atrocioribus
.
E
fu
un
vero
gioco
di
parole
l
'
argomento
che
vidi
adoperare
a
difesa
di
quell
'
art
.
54
,
dicendo
che
il
medesimo
non
dichiarava
punibile
qualsisia
istigazione
,
ma
soltanto
quelle
che
avessero
il
carattere
di
efficacia
.
In
verità
a
me
parve
priva
di
ogni
valore
cotale
risposta
,
poiché
se
la
istigazione
che
quell
'
articolo
vuol
punire
si
suppone
per
necessità
non
accolta
,
non
so
per
modo
alcuno
comprendere
come
possa
ella
dirsi
efficace
.
La
efficacia
di
una
istigazione
non
vuole
già
cercarsi
in
un
influsso
fisico
che
non
esiste
,
ma
soltanto
nella
pressione
che
esercitò
sulla
determinazione
criminosa
dell
'
autore
del
malefizio
.
Laonde
se
la
istigazione
non
fu
accolta
è
chiara
prova
che
non
ebbe
efficacia
sulla
determinazione
,
perché
non
persuase
colui
che
voleva
persuadere
al
delitto
.
Una
efficacia
astratta
disgiunta
dalla
efficacia
concreta
è
un
ente
così
indefinibile
ed
elastico
da
essere
quasi
impossibile
a
concepirsi
.
In
quanto
alla
recidiva
il
codice
Sardo
(
art
.
118
)
parifica
la
recidiva
vera
alla
finta
;
la
recidiva
propria
alla
impropria
;
e
rende
perpetuo
(
art
.
125
)
lo
stato
di
recidivanza
.
Il
codice
Toscano
(
art
.
82
)
non
considera
la
recidiva
finta
,
esigendo
la
piena
espiazione
della
pena
:
non
considera
la
recidiva
impropria
(
art
.
84
)
,
esigendo
un
delitto
congenere
:
non
riconosce
perpetuità
(
art
.
83
)
nello
stato
di
recidivanza
.
Nel
conflitto
delle
due
opposte
dottrina
io
tengo
una
opinione
eclettica
.
Non
trovo
giusto
che
si
parifichi
,
come
nel
codice
Sardo
,
la
recidiva
nell
'
istesso
reato
con
quella
in
reato
diverso
.
Né
che
si
parifichi
la
recidiva
dopo
la
espiazione
della
pena
,
alla
recidiva
dopo
una
semplice
condanna
.
Ma
trovo
insufficiente
ai
bisogni
della
pubblica
difesa
che
la
ricaduto
dopo
una
condanna
,
o
la
ripetizione
di
diversa
delinquenza
si
lascino
,
come
nel
codice
Toscano
,
affatto
inosservate
.
Nel
mio
modo
di
vedere
dovrebbe
esservi
una
gradazione
,
nella
quale
questi
due
ultimi
casi
dovrebbero
rappresentare
una
media
.
È
poi
assolutamente
risibile
l
'
aumento
di
penalità
che
il
codice
Toscano
(
art
.
85
)
infligge
contro
i
recidivi
,
senza
limite
alcuno
nel
minimo
.
E
la
dico
tale
,
perché
tale
me
l
'
ha
mostrata
la
pratica
;
vedendo
spesso
nei
giudizj
correzionali
risolversi
in
un
giorno
di
carcere
la
conseguenza
della
recidiva
contro
un
ladro
che
tornerà
forse
per
la
decima
volta
a
molestare
la
giustizia
.
Lodo
il
codice
Sardo
per
avere
ammesso
la
prescrizione
della
pena
,
che
dal
codice
Toscano
non
si
volle
riconoscere
per
una
soverchianza
di
rispetto
al
principio
morale
sul
principio
politico
.
E
noto
che
la
prescrizione
dello
stato
di
recidivanza
non
è
che
una
logica
deduzione
di
quel
principio
.
Adesso
faccio
passaggio
alla
considerazione
di
alcune
specialità
penali
;
sempre
procedendo
non
per
via
di
un
'
analisi
metodica
e
completa
,
ma
spezzatamente
annunziando
i
pensieri
miei
.
La
penalità
dell
'
omicidio
nel
codice
Toscano
(
articolo
310
)
è
troppo
mite
nel
suo
massimo
.
Non
sta
in
proporzione
con
le
penalità
dallo
stesso
codice
sancite
contro
il
furto
violento
(
art
.
390
)
e
contro
la
violenza
carnale
(
art
.
281
)
.
Non
sta
in
proporzione
con
la
importanza
di
tutelare
la
vita
umana
.
E
specialmente
è
troppo
dimesso
quel
massimo
,
perché
non
lascia
adito
a
proporzionare
la
repressione
ai
gradi
diversi
di
malvagità
della
proeresi
criminosa
;
gradi
che
nei
delitti
di
sangue
,
più
che
in
ogni
altra
specie
,
sono
infinitamente
variabili
di
variazioni
pronunciatissime
sotto
il
rapporto
della
moralità
dell
'
azione
.
L
'
omicidio
può
essere
predisposto
senza
giungere
a
presentare
quei
rigorosi
estremi
che
costituire
devono
la
premeditazione
.
L
'
omicidio
può
essere
conseguenza
d
'
istantanea
risoluzione
;
ma
figlio
di
una
crudele
proclività
,
perché
scompagnato
da
qualunque
concitazione
dell
'
animo
.
L
'
omicidio
può
essere
conseguenza
di
un
esaltamento
di
passione
istantanea
che
senza
presentare
i
caratteri
giuridici
della
provocazione
,
meriti
peraltro
un
riguardo
.
Tutte
queste
diverse
forme
dell
'
elemento
intenzionale
nei
delitti
di
sangue
si
riunirono
dal
codice
Toscano
in
un
fascio
,
unificate
sotto
la
generica
denominazione
di
omicidio
improvviso
.
E
per
la
ristretta
graduabilità
della
pena
che
quell
'
articolo
stringe
dai
7
anni
ai
12
di
casa
di
forza
non
rimase
a
sperare
che
la
prudenza
ed
equità
dei
magistrati
potesse
in
pratica
bastantemente
supplire
a
quella
proporzionata
distribuzione
,
che
giustizia
esige
e
che
ha
trascurato
di
fare
la
legge
.
Ma
d
'
altro
lato
il
codice
Sardo
con
la
sua
nozione
dell
'
omicidio
volontario
(
art
.
522
)
,
e
con
la
sua
penalità
(
art
.
534
)
affatto
ingraduabile
,
riproduce
sotto
altro
aspetto
anche
più
sensibili
questi
difetti
.
E
se
il
codice
Toscano
offende
la
giustizia
distributiva
per
la
troppa
mitezza
verso
i
micidiali
più
scellerati
;
il
codice
Sardo
la
offende
per
la
soverchia
severità
verso
i
micidiali
più
meritevoli
di
qualche
commiserazione
.
Stimo
viziosa
la
nozione
dell
'
infanticidio
quale
trovasi
nel
codice
Sardo
;
e
molto
migliore
e
più
conforme
alla
scienza
quella
del
codice
Toscano
(
art
.
316
)
.
Ad
ogni
modo
la
gradazione
della
penalità
nell
'
infanticidio
sembrami
troppo
ristretta
nell
'
art
.
532
del
codice
Sardo
:
non
potendo
,
per
quanto
mi
pare
,
discender
mai
per
la
madre
illegittimamente
fecondata
e
minacciata
di
sovrastanti
sevizie
,
al
disotto
dei
sette
anni
di
reclusione
.
Il
caso
previsto
dall
'
art
.
318
del
codice
Toscano
parmi
che
non
abbia
provvisione
speciale
nel
codice
Sardo
.
Tanto
il
codice
Sardo
quanto
il
Toscano
cadono
peraltro
ambedue
nel
difetto
di
definire
la
scusa
con
la
designazione
dello
stato
di
fatto
anziché
con
la
designazione
dello
stato
dell
'
animo
della
donna
colpevole
.
La
ragione
per
cui
secondo
l
'
uno
si
degrada
la
imputazione
dello
infanticidio
,
e
secondo
l
'
altro
se
ne
costruisce
la
nozione
speciale
,
non
risiede
nel
mero
stato
di
fatto
;
nello
essere
cioè
la
femmina
illecitamente
fecondata
.
La
ragione
della
scusa
sta
nel
bisogno
di
salvare
l
'
onore
,
e
nel
turbamento
e
nella
pressione
che
il
pericolo
dell
'
onore
e
di
gravi
danni
futuri
esercitò
sull
'
animo
della
sciagurata
e
la
sospinse
alla
strage
.
La
illecita
fecondazione
è
la
causa
della
causa
minorante
,
ma
non
rappresenta
in
sé
sola
la
minorante
,
se
non
le
tenne
dietro
la
vera
causa
di
questa
.
Ora
non
per
tutte
le
femmine
la
illecita
fecondazione
può
riconoscersi
come
causa
di
pericolo
nell
'
onore
,
e
così
come
causa
di
turbamento
meritevole
di
commiserazione
.
Non
lo
è
nella
donna
di
bordello
,
né
in
colei
che
già
fosse
altra
volta
punita
come
infanticida
.
Ora
se
la
minorante
si
annette
al
solo
stato
di
fatto
viene
per
necessità
a
vedersi
applicata
la
medesima
anche
a
coloro
per
le
quali
il
pericolo
dell
'
onore
era
un
epigramma
,
e
per
le
quali
in
conseguenza
la
vera
causa
che
minora
(
o
respettivamente
impropria
)
il
reato
non
ricorre
assolutamente
.
Non
bisogna
dunque
desumere
la
definizione
di
cotesto
caso
dalla
causa
,
quando
questa
può
qualche
volta
non
corrispondere
a
quella
.
Bisogna
definirlo
con
referenza
alla
vera
causa
prossima
;
che
è
il
pericolo
dell
'
onore
.
Quando
il
codice
Sardo
lasciata
da
parte
la
inutile
enunciativa
della
illecita
fecondazione
avesse
dichiarato
scusabile
l
'
infanticidio
commesso
per
salvare
l
'
onore
della
donna
:
e
quando
il
codice
Toscano
avesse
fatto
altrettanto
per
dare
la
nozione
speciale
del
titolo
d
'
infanticidio
,
avrebbero
l
'
uno
e
l
'
altro
esattamente
riprodotto
il
concetto
ed
intendimento
loro
;
ed
avrebbero
evitato
il
rischio
di
risultamenti
che
sono
un
vero
sconcio
ed
una
vera
contradizione
.
È
però
traboccante
di
rigore
il
codice
Toscano
(
art
.
310
§
.
2
)
in
ordine
alla
penalità
dell
'
omicidio
provocato
.
Esorbitante
di
rigore
in
faccia
ai
principj
;
esorbitante
in
faccia
alle
giurisprudenze
ed
a
tutti
i
codici
contemporanei
.
Lo
proclamo
tale
senza
esitazione
;
sì
perché
ammette
l
'
arbitrio
libero
ed
incensurabile
nei
giudici
,
malgrado
qualsiasi
veemente
provocazione
,
d
'
infliggere
la
pena
ordinaria
dei
sette
anni
di
casa
di
forza
;
sì
perché
quando
i
magistrati
consentano
ad
abbassare
la
pena
,
non
ammette
abbassamento
sotto
i
tre
anni
della
casa
di
forza
.
Onde
ne
avviene
in
pratica
la
conseguenza
che
quando
i
giudici
si
sentono
commossi
a
riguardo
di
un
imputato
,
debbono
scendere
ad
una
finzione
;
adoperando
il
rimedio
dell
'
art
.
64
.
E
dico
finzione
,
perché
la
provocazione
può
essere
veementissima
ed
intollerabile
,
quantunque
non
tolga
all
'
omicida
la
coscienza
dei
propri
atti
e
la
libertà
di
elezione
.
Tutti
i
codici
contemporanei
rispettano
questa
mal
frenabile
condizione
della
umana
natura
,
che
spinge
l
'
uomo
a
reagire
con
la
violenza
contro
la
ingiusta
violenza
.
E
senz
'
andare
a
supporre
perturbazione
di
mente
,
trovano
nella
giusta
indignazione
da
un
lato
,
e
nella
ingiusta
brutalità
dall
'
altro
lato
,
una
legittima
ragione
di
scusa
;
ed
abbassano
la
pena
dell
'
omicidio
provocato
,
i
più
severi
fino
ad
un
anno
di
carcere
;
i
più
miti
(
fra
i
quali
è
in
questo
punto
nell
'
art
.
562
il
codice
Sardo
)
fino
a
sei
mesi
di
carcere
secondo
il
grado
della
provocazione
.
Stimo
dunque
in
questa
parte
assai
di
gran
lunga
migliore
il
codice
Sardo
.
E
qui
mi
si
permetta
di
osservare
,
che
se
adopero
sempre
la
espressione
codice
Sardo
,
non
è
per
un
'
antitesi
municipale
,
ma
perché
non
posso
chiamarlo
codice
Italiano
mentre
di
fatto
non
lo
è
:
e
mi
giustifica
il
frontespizio
della
edizione
officiale
del
1859
.
In
proposito
delle
lesioni
trovo
meritevole
di
speciale
osservazione
l
'
art
.
544
del
codice
Sardo
§
.
3
,
il
quale
prevede
una
forma
di
ferimento
,
che
a
ragione
si
tiene
come
aggravata
per
la
causa
dalla
quale
procede
la
proeresi
criminosa
:
e
può
anche
dirsi
aggravata
per
il
risultato
politico
,
stante
il
periodo
che
ne
deriva
allo
svolgimento
della
pubblica
giustizia
.
L
'
articolo
548
del
codice
Sardo
è
una
vera
necessità
che
si
mantenga
,
com
'
è
una
vera
lacuna
lamentata
da
molti
la
omissione
di
questo
titolo
di
reato
nel
codice
Toscano
.
Questa
fatale
lacuna
fu
quella
che
eccitò
in
Toscana
una
vivissima
lotta
fra
le
esigenze
della
scienza
,
e
dirò
anche
della
verità
delle
cose
,
e
le
esigenze
della
pubblica
sicurezza
.
Queste
fecero
sentire
tutto
lo
inconveniente
di
lasciare
senza
repressione
la
esplosione
di
un
'
arma
da
fuoco
avvenuta
in
rissa
,
perché
fortunatamente
per
l
'
uno
,
ma
poi
sfortunatamente
per
l
'
altro
,
non
aveva
recato
nessuna
lesione
.
Ad
evitare
siffatta
bruttura
lo
zelo
dei
Magistrati
si
trovò
costretto
ad
allargare
la
nozione
del
tentato
omicidio
oltre
quei
confini
che
la
scienza
le
segnava
e
che
la
verità
delle
cose
imponeva
di
osservare
;
e
si
pretese
di
trovare
il
tentato
omicidio
nelle
esplosioni
senza
effetto
quantunque
commesse
per
impeto
istantaneo
ed
in
rissa
.
Così
il
non
avere
recato
offesa
fu
sventura
per
l
'
esploditore
,
perché
quando
egli
ebbe
ferito
si
tradusse
per
titolo
di
lesione
;
ma
quando
non
produsse
effetto
nessuno
si
tradusse
per
tentativo
,
perché
mancando
nella
legge
il
titolo
di
esplosione
contra
hominem
non
si
sapeva
qual
delitto
rimproverargli
,
e
pareva
sconcio
lasciato
impunito
:
ed
il
tentativo
non
volle
arrestarsi
alla
lesione
,
ma
referirsi
all
'
omicidio
.
Di
qui
la
discordia
che
tenne
divisi
i
magistrati
,
e
li
tiene
tuttora
.
Perché
i
più
affezionati
ai
veri
principii
della
dottrina
non
vogliono
sapere
di
considerazioni
politiche
che
rimandano
all
'
aula
legislativa
;
e
recisamente
fanno
omaggio
al
principio
che
nei
fatti
d
'
impeto
nega
potersi
riconoscere
tentato
omicidio
,
per
la
ragione
che
tale
è
l
'
insegnamento
presso
che
universale
dei
criminalisti
,
e
perché
il
concetto
del
tentativo
applicato
agli
atti
di
chi
non
calcola
e
non
riflette
è
un
'
assoluta
contradizione
psicologica
.
Di
qui
il
conflitto
di
giudicati
contradittorii
,
perché
altri
Magistrati
(
alla
cui
dottrina
fa
velo
l
'
apprensione
del
pericolo
sociale
)
ammettono
indistintamente
il
tentativo
nell
'
impeto
.
E
ammesso
questo
si
apre
una
strada
dolorosa
agli
errori
giudiciarii
,
sostituendosi
facilmente
lo
elemento
materiale
del
conato
al
suo
elemento
intenzionale
,
che
dovrebbe
essere
separato
ed
avere
la
sua
prova
specifica
:
ed
imprestandosi
dal
freddo
calcolo
del
magistrato
la
risoluzione
diretta
alla
uccisione
dell
'
avversario
ad
un
uomo
nella
cui
mente
,
nella
verità
delle
cose
,
il
pensiero
di
quella
uccisione
non
aveva
neppure
balenato
;
o
che
agendo
sotto
l
'
impulso
di
un
dolo
indeterminato
aveva
concepito
soltanto
l
'
idea
di
sfogare
la
sua
collera
recando
male
al
nemico
senza
speciale
previsione
,
senza
speciale
interesse
,
senza
speciale
desiderio
che
questo
male
fosse
precisamente
la
morte
.
Perché
la
considerazione
dell
'
affetto
prevalga
alla
considerazione
dell
'
effetto
nella
misura
della
penale
responsabilità
,
bisogna
che
l
'
affetto
sia
positivo
e
determinato
,
e
che
il
maggior
male
non
avvenuto
non
si
trovi
soltanto
nelle
possibilità
fisiche
del
fatto
materiale
,
ma
nel
resultato
del
giudizio
e
del
calcolo
dell
'
agente
:
giudizio
e
calcolo
che
negli
atti
impetuosi
non
può
essere
mai
netto
,
e
che
si
supplisce
dalle
congetture
del
giudice
con
una
divinazione
troppo
spesso
ingiusta
e
contraria
al
vero
.
Si
stabilisca
la
misura
della
responsabilità
negli
atti
materiali
che
in
loro
stessi
presentano
pericolo
di
un
male
maggiore
di
quello
prodotto
.
La
misura
cercata
in
questo
campo
procede
sovra
dati
positivi
,
dipendenti
dall
'
ordine
naturale
di
relazione
fra
causa
ed
effetto
,
secondo
la
esperienza
della
sua
maggiore
probabilità
.
Il
pericolo
è
nel
fatto
.
Chi
esegui
quel
fatto
non
può
lagnarsi
se
sulla
bilancia
della
giustizia
pesa
il
pericolo
di
codesto
fatto
,
che
egli
volle
ed
eseguì
.
Ma
quando
la
misura
della
sua
responsabilità
non
più
si
cerca
soltanto
negli
immutabili
rapporti
delle
cose
secondo
l
'
ordine
fisico
,
ma
in
una
intenzione
del
reo
che
si
vuol
supporre
più
brava
,
bisogna
che
di
tale
intenzione
si
porgano
riscontri
più
positivi
,
e
meno
fallibili
di
quelli
che
si
possono
desumere
dagli
atti
precipitosi
dell
'
uomo
che
agisce
sotto
la
istantanea
perturbazione
dello
sdegno
.
Quando
il
magistrato
dice
-
io
ti
condanno
perché
tu
hai
eseguito
un
atto
che
recava
pericolo
di
dar
morte
e
tu
dovevi
prevedere
questo
pericolo
-
il
condannato
non
può
ispondere
al
suo
giudice
-
tu
sei
ingiusto
.
Ma
quando
il
magistrato
dice
al
reo
-
io
ti
punisco
perché
tu
non
solo
eri
in
debito
di
conoscere
quel
pericolo
dell
'
atto
tuo
;
ma
perché
avevi
precisa
volontà
di
cagionare
quel
maggior
male
,
e
non
altro
-
il
condannato
che
ritorna
sovra
sé
stesso
e
ricorda
di
non
avere
a
quel
male
più
grave
fermato
il
pensiero
,
né
diretta
la
sua
volontà
,
risponde
al
suo
giudice
con
fronte
sicura
-
tu
hai
mentito
ed
io
ne
sono
certo
assai
meglio
di
te
.
Un
'
adequata
penalità
che
si
distribuisca
contro
certi
atti
gravemente
pericolosi
benchè
riuscissero
innocui
,
permette
di
rispettare
senza
esitanza
la
regola
che
nega
il
tentativo
nell
'
impeto
,
e
coordina
la
giustizia
pratica
con
la
giustizia
assoluta
,
la
tutela
del
diritto
col
rispetto
alla
verità
,
e
bandisce
per
sempre
i
voli
della
fantasia
dalle
meditazioni
dei
Magistrati
.
Procedendo
ad
altri
generi
di
delinquenze
,
io
trovo
che
troppo
meschina
la
repressione
del
furto
semplice
nel
codice
Toscano
(
art
.
376
)
;
non
che
,
per
alcuni
casi
,
quella
di
certi
furti
qualificati
(
art
.
386
lettera
b
.
)
Ammetto
che
debba
tenersi
conto
nella
penalità
del
furto
del
valore
del
tolto
,
ultima
misura
del
danno
immediato
in
tali
reati
.
Ma
dovrebbe
esservi
un
principio
di
penalità
preambula
ed
invariabile
,
relativa
alla
violazione
del
diritto
astratto
di
proprietà
e
di
domicilio
.
Su
ciò
è
notabile
una
singolarità
che
sorge
dal
confronto
dell
'
art
.
376
coll
'
art
.
363
del
codice
Toscano
.
Questo
ultimo
articolo
contempla
il
reato
di
violato
domicilio
,
e
sotto
questo
titolo
colpisce
con
la
carcere
fino
a
sei
mesi
chiunque
s
'
introduca
contro
volontà
di
chi
ha
diritto
di
escluderlo
nell
'
altrui
abitazione
o
nelle
sue
appartenenze
.
Chi
entra
in
casa
d
'
altri
,
anche
per
mera
curiosità
,
può
dunque
essere
punito
con
sei
mesi
di
carcere
.
Ma
l
'
art
.
376
punisce
col
carcere
di
un
mese
al
più
chi
commette
furto
minore
di
venti
lire
,
ancorchè
il
furto
sia
commesso
nell
'
abitazione
del
proprietario
o
nelle
sue
appartenenze
.
Chi
dunque
s
'
introdusse
in
casa
altrui
per
mera
curiosità
sarà
punito
sei
volte
più
di
colui
che
vi
s
'
introdusse
a
fine
di
rubare
e
rubò
!
E
quegli
che
si
trova
sotto
l
'
accusa
di
violato
domicilio
,
dovrà
esso
contro
la
verità
dichiarare
che
vi
si
era
introdotto
per
commettere
un
piccolo
furto
,
onde
uscirne
con
pena
minore
!
Non
mi
persuade
che
un
ladro
,
ogni
due
o
tre
mesi
chiamato
regolarmente
in
faccia
ad
un
tribunale
di
prima
cognizione
per
render
conto
di
un
furto
del
quale
è
riuscito
convincerlo
,
non
possa
soggettarsi
a
carcere
maggiore
di
un
mese
,
con
più
quindici
giorni
per
la
recidiva
,
perché
questo
mestierante
ha
avuto
l
'
accortezza
di
rubare
soltanto
venti
lire
.
Non
ammetto
che
quando
una
schiera
di
malviventi
ha
notturnamente
invaso
la
mia
casa
,
atterrandone
audacemente
le
chiusure
per
saccheggiarla
,
possa
,
incontrando
giudici
misericordiosi
,
uscirne
con
un
anno
di
carcere
perché
non
potè
rubare
più
di
cento
lire
.
I
diritti
di
proprietà
e
d
'
inviolabilità
di
domicilio
,
hanno
un
valore
reale
che
deve
ritrovare
il
suo
peso
sulla
bilancia
della
giustizia
politica
,
né
permettono
che
la
loro
tutela
si
abbassi
a
proporzioni
cotanto
elusorie
.
Se
si
medita
la
ultima
fattispecie
trovasi
ancora
che
il
concetto
del
tentativo
non
svolge
pariformi
conseguenze
nel
delitto
di
furto
come
negli
altri
reati
.
Riflettasi
infatti
se
egli
è
possibile
credere
che
una
mano
di
mariuoli
organizzino
la
invasione
di
una
casa
,
si
procaccino
chiavi
false
,
e
mezzi
idonei
per
atterrare
gli
usci
,
per
forzare
le
interne
chiusure
,
e
rubare
;
si
espongano
ai
rischi
della
impresa
;
e
tuttociò
per
rubare
cento
lire
!
Un
concetto
pazzo
non
può
imprestarsi
ad
alcuno
.
Bisogna
dunque
persuadersi
che
costoro
si
auguravano
di
rubare
migliaia
.
Ma
nol
poterono
perché
il
proprietario
aveva
di
là
tolto
gli
oggetti
di
ingente
prezzo
,
che
dovevano
costituire
l
'
agognato
bottino
,
e
vi
aveva
lasciato
soltanto
quel
meschino
valore
.
Laonde
per
la
regola
comunemente
accettata
,
che
ricusa
la
nozione
del
conato
dove
riscontrarsi
la
mancanza
del
soggetto
passivo
(
lascio
adesso
di
discutere
le
condizioni
che
secondo
me
dovrebbe
avere
questa
regola
)
non
è
possibile
condurre
costoro
a
pena
superiore
mediante
l
'
applicazione
del
tentativo
di
furto
magno
.
Che
ne
consegue
?
Che
un
fatto
di
questa
natura
resta
represso
con
poca
carcere
.
Ne
consegue
che
al
diritto
di
proprietà
e
di
domicilio
non
può
neppure
indirettamente
adattarsi
dai
magistrati
una
difesa
proporzionata
alla
loro
importanza
.
La
intenzione
in
una
parola
,
si
volle
che
fosse
tutta
nei
delitti
di
sangue
;
si
volle
nulla
nel
delitto
di
furto
.
L
'
effetto
insignificante
non
fu
che
di
poco
proficuo
nei
primi
;
fu
benefizio
grandissimo
nel
secondo
.
Ma
l
'
effetto
morale
più
grave
che
risulta
nell
'
animo
mio
è
egli
lo
spavento
che
mi
cagiona
la
invasione
del
mio
domicilio
,
o
il
dolore
che
mi
cagiona
la
perdita
di
cento
lire
?
Dal
lato
dell
'
elemento
intenzionale
nei
delitti
di
sangue
la
scusa
può
dirsi
la
regola
:
la
rissa
,
l
'
impeto
,
lo
irriflettuto
agire
sono
il
caso
più
frequente
;
la
brutalità
e
la
premeditazione
sono
la
eccezione
.
Nel
furto
invece
il
mestiere
,
e
il
deliberato
proposito
sono
la
regola
:
raro
ed
eccezionale
il
caso
di
scusa
.
Non
nego
che
anche
il
furto
non
abbia
le
sue
scusa
:
concordo
che
debbano
valutarsi
per
assoluta
giustizia
.
La
occasione
tentatrice
,
la
urgenza
di
gravi
bisogni
di
famiglia
,
non
possono
non
essere
valutati
.
Ma
questi
casi
estremi
che
prestarono
tanta
materia
di
declamazione
ai
romanzieri
contemporanei
,
io
ripeto
che
sono
una
rara
eccezione
:
a
cui
si
provvede
con
un
'
attenuanza
bene
ordinata
.
Ma
il
caso
ordinario
e
normale
nel
furto
è
quello
della
speculazione
;
è
quello
di
una
guerra
sistematica
alla
proprietà
:
guerra
alla
quale
deve
contrapporsi
una
difesa
proporzionata
alla
importanza
sociale
del
diritto
astratto
.
Gli
antichi
che
della
recidiva
nel
furto
fecero
un
caso
eccezionale
,
no
,
non
mancarono
di
filosofia
e
di
esperienza
benchè
trasmodassero
nelle
punizioni
.
Più
tenero
custode
della
proprietà
il
codice
Sardo
(
mentre
non
ha
esagerato
la
penalità
dei
furti
qualificati
,
ed
anzi
in
alcune
combinazioni
possa
risultare
più
mite
del
toscano
)
lascia
ai
magistrati
(
articolo
622
)
maggiore
larghezza
per
reprimere
i
furti
semplici
.
Soltanto
all
'
art
.
625
§
.
1
è
troppo
elevata
la
somma
di
lire
venti
,
la
quale
non
può
raggiungersi
che
in
casi
eccezionalissimi
nei
furti
campestri
.
In
questa
parte
la
proprietà
è
meglio
protetta
dal
codice
Toscano
(
art
.
376
lettera
a
)
.
Ed
io
non
vorrei
cambiarlo
:
e
solo
vorrei
con
la
provvisione
speciale
del
n
.
3
dell
'
art
.
625
Sardo
,
aggiungere
una
migliore
protezione
delle
proprietà
rurali
contro
il
flagello
dei
danneggiatori
.
Io
credo
perciò
che
in
questa
parte
la
estensione
delle
sanzioni
sarde
alla
Toscana
,
fatte
piccole
modificazioni
sulle
orme
della
teoria
toscana
dei
furti
aggravati
,
sarebbe
salutata
come
una
fortuna
tra
noi
da
tutti
i
proprietarii
.
Il
codice
Sardo
ha
capito
ciò
a
cui
non
pose
mente
il
legislatore
toscano
:
voglio
dire
che
se
non
è
a
prevedersi
che
alcuno
oggidì
eserciti
l
'
arte
di
feritore
,
è
pur
troppo
una
verità
che
molti
esercitano
il
furto
come
mezzo
d
'
industria
.
Ed
in
proposito
di
questa
idea
del
delitto
esercitato
come
industria
,
vorrei
si
meditasse
se
l
'
assoluta
irresponsabilità
del
minore
,
estesa
dal
codice
Toscano
,
sul
fac
-
simile
del
codice
Badese
,
agli
anni
dodici
(
art
.
36
)
non
sia
assai
pericolosa
.
Penso
io
pure
che
uno
stadio
di
assoluta
irresponsabilità
nell
'
aurora
della
intelligenza
umana
vi
debba
essere
;
e
che
sia
impolitica
una
procedura
criminale
contro
un
bambinello
.
Perciò
non
lodo
(
anzi
trovo
difettosissimo
)
il
codice
Sardo
,
ove
ad
imitazione
del
codice
di
Francia
,
e
contro
la
universale
pratica
contemporanea
,
ammette
(
art
.
88
)
che
possa
instaurarsi
,
se
così
piace
a
cui
spetta
,
la
solennità
di
un
giudizio
criminale
contro
un
fanciullo
di
quattro
o
sei
anni
.
Ma
lo
estendere
la
irresponsabilità
ai
dodici
,
parmi
cosa
gravida
di
pericolo
per
la
morale
pubblica
;
appunto
perché
in
certe
famiglie
,
nelle
quali
(
tristissima
verità
)
il
delitto
è
mestiero
,
può
esser
questo
un
impulso
a
precoce
demoralizzazione
:
per
l
'
avvio
che
può
farsi
dei
figliuoletti
al
furto
o
ad
altra
delinquenza
,
nella
certezza
di
non
vederli
perseguitati
con
regolare
procedimento
.
Lo
stadio
della
irresponsabilità
,
ammesso
da
tutte
le
altre
legislazioni
contemporanee
,
fu
esteso
dove
ai
sette
,
dove
agli
otto
anni
;
e
al
più
ai
nove
,
ed
ai
dieci
in
paesi
settentrionali
.
Era
veramente
la
Toscana
una
regione
,
sotto
il
cui
cielo
si
potesse
presumere
una
tardività
di
sviluppo
,
da
estendere
ai
12
anni
compiti
il
debito
di
rispettare
le
leggi
?
Il
povero
colono
che
trova
nel
suo
podere
una
schiera
di
giovinetti
vendemmiando
il
frutto
dei
suoi
sudori
,
è
un
barbaro
se
li
percuote
,
ed
è
punito
severamente
.
Ma
se
chiede
alla
giustizia
protezione
,
la
trova
egli
?
Io
penso
dunque
1.°
che
sia
un
difetto
del
codice
Sardo
il
non
avere
stabilito
uno
stadio
di
irresponsabilità
per
presunzione
juris
et
de
jure
in
un
primo
periodo
della
vita
-
2.°
che
sia
vizioso
il
codice
Toscano
che
estende
tale
stadio
a
12
anni
-
3.°
che
sia
difetto
in
questo
,
e
pregio
nel
codice
Sardo
(
art
.
91
)
lo
aver
previsto
come
minorante
la
età
dai
18
ai
21
:
sebbene
fra
i
casi
esclusi
dal
benefizio
di
questo
articolo
mi
parrebbe
doversi
annoverare
anche
il
furto
.
Saggio
mi
sembra
del
pari
il
codice
Sardo
,
quando
all
'
art
.
639
subordina
la
repressione
dei
ricettatori
di
cose
furtive
alle
varietà
criminose
del
furto
donde
quelle
cose
provennero
;
né
voglio
ripetere
le
critiche
già
da
me
pubblicate
su
ciò
contro
il
codice
Toscano
.
Onde
io
preferisco
il
criterio
assunto
dal
Sardo
per
la
misura
di
questo
malefizio
.
Al
codice
Sardo
può
farsi
rimprovero
di
difettare
nella
previsione
del
favoreggiamento
,
considerato
come
delitto
di
per
sé
stante
;
che
ha
il
suo
obietto
speciale
nella
pubblica
giustizia
,
da
lui
impedita
.
Ma
il
codice
Toscano
,
affezionato
alla
idea
del
favoreggiamento
,
ne
allargò
la
nozione
oltre
la
misura
della
sua
verità
,
estendendola
al
caso
della
partecipazione
posteriore
nel
lucro
di
un
delitto
(
art
.
60
)
;
e
poscia
con
una
singolare
predilezione
facendo
pei
compratori
dolosi
di
cose
furtive
(
art
.
418
)
una
benignissima
restrizione
di
penalità
.
Sicchè
il
compratore
doloso
,
anche
dei
giojelli
rubati
alla
Galleria
di
Firenze
,
non
potrebbe
colpirsi
col
carcere
al
di
sopra
di
un
anno
;
e
non
lo
potrebbe
quantunque
il
furto
fosse
accompagnato
dalle
circostanze
più
odiose
.
Laddove
chi
ad
uno
di
quei
mariuoli
avesse
pietosamente
agevolato
la
fuga
potrebbe
incorrere
nella
carcere
per
due
anni
.
Io
cerco
la
nozione
del
fatto
criminoso
nella
intenzione
dell
'
agente
,
e
nel
risultato
:
non
nei
voli
fantastici
di
una
dottrina
.
E
nella
intenzione
e
nel
risultamento
,
il
compratore
o
ricevitore
doloso
di
cosa
furtiva
vuole
violare
il
diritto
di
proprietà
;
ed
effettivamente
lo
viola
col
fatto
suo
.
Ed
è
perciò
(
non
si
questioni
del
nome
)
un
aiutatore
del
ladro
a
consumare
lo
spoglio
del
proprietario
,
ed
a
renderlo
irreparabile
.
L
'
art
.
137
del
codice
Toscano
,
che
nel
modo
con
cui
giace
fa
un
antagonismo
alle
disposizioni
dello
Statuto
fondamentale
,
aveva
il
suo
correlativo
nel
vecchio
codice
Sardo
al
capitolo
2;
dove
fu
cancellato
nella
nuova
promulgazione
del
1859
.
Cancellarlo
,
o
correggerlo
anche
in
Toscana
,
perché
il
codice
si
coordini
allo
Statuto
,
sarà
obbedienza
alla
logica
.
È
parimente
una
necessità
logica
la
provvisione
dell
'
art
.
188
del
codice
Sardo
;
se
non
che
parmi
che
questo
articolo
(
non
che
l
'
articolo
183
)
nella
misura
della
penalità
non
abbiano
tenuto
conto
abbastanza
della
gravità
del
mezzo
(
tumulti
)
che
si
presuppone
adoperato
a
disturbare
le
sacre
funzioni
.
Sembrami
poi
che
il
codice
Sardo
negli
articoli
dal
194
a
204
protegga
la
libertà
personale
del
cittadino
in
faccia
al
pericolo
di
abusi
della
pubblica
forza
(
non
che
il
domicilio
all
'
art
.
205
)
con
economia
più
prudente
di
quella
usata
dal
codice
Toscano
negli
art
.
184
,
190;
con
l
'
ultimo
dei
quali
adegua
la
perquisizione
arbitraria
all
'
arresto
arbitrario
della
persona
:
e
poi
scende
a
punire
con
una
multa
riducibile
a
trenta
lire
il
pubblico
ufficiale
che
per
capriccio
violi
il
domicilio
del
cittadino
;
o
tenga
indebitamente
in
carcere
(
art
.
184
)
un
individuo
.
Se
temevasi
di
rallentare
lo
zelo
di
questi
pubblici
ufficiali
,
valeva
meglio
tacere
di
tali
fatti
,
e
restarsene
ad
una
semplice
indennità
,
anziché
ridurli
a
così
meschine
proporzioni
.
Bensì
nel
codice
Sardo
mi
sembra
in
proposito
della
tutela
della
libertà
personale
sia
una
lacuna
.
Non
trovo
in
alcun
luogo
previsto
il
caso
della
violenza
privata
che
sia
fine
a
sé
stessa
;
vale
a
dire
che
non
abbia
servito
di
mezzo
a
commettere
un
altro
delitto
.
Questo
reato
,
ben
definito
,
e
congruamente
punito
dall
'
art
.
361
del
codice
Toscano
,
non
può
pretermettersi
.
Poiché
egli
è
ormai
pacifico
nella
scienza
che
anche
quando
facciasi
violenza
ad
alcuno
per
un
fine
non
delittuoso
,
poiché
si
lede
un
diritto
importante
dell
'
uomo
ed
a
lui
carissimo
,
voglia
bene
ragione
che
anche
codesto
diritto
si
protegga
dalla
legge
punitiva
.
Ugualmente
è
da
lamentarsi
nel
codice
Sardo
la
mancata
repressione
della
minaccia
semplice
,
adequatamente
prevista
e
punita
dall
'
art
.
362
del
Toscano
.
In
quanto
alla
resistenza
contro
la
pubblica
forza
,
il
codice
Toscano
è
mirabile
per
la
severità
con
cui
la
colpisce
nella
sua
minima
forma
:
quando
cioè
è
scompagnata
da
turba
,
da
lesioni
gravi
,
od
altre
aggravanti
.
Esso
dopo
un
massimo
di
quattro
anni
di
carcere
(
art
.
143
)
si
ferma
al
minimo
di
sei
mesi
.
E
così
pone
la
misura
del
minimo
dove
il
codice
di
Francia
(
art
.
212
)
pose
la
misura
del
massimo
!
Il
codice
Sardo
(
art
.
251
)
si
trattiene
come
il
Francese
al
massimo
di
sei
mesi
quando
la
resistenza
non
commettasi
da
riunione
armata
.
In
ciò
concorda
col
codice
Francese
e
con
altri
molti
.
E
qui
mi
piace
notare
che
anche
il
codice
che
Francesco
V
dettò
nel
1855
al
già
suo
Ducato
di
Modena
,
all
'
art
.
188
§
.
4
,
puniva
la
resistenza
semplice
col
carcere
non
mai
superiore
a
sei
mesi
.
Lo
speciale
rigore
del
codice
Toscano
contro
questo
delitto
,
che
spesso
si
estrinseca
con
moti
quasi
istintivi
diretti
a
conservare
la
libertà
propria
,
o
di
persona
a
sé
cara
,
non
può
trovare
ragione
in
una
speciale
fierezza
ed
insubordinazione
delle
popolazioni
toscane
;
come
non
ve
la
torva
l
'
eccessivo
rigore
contro
gli
omicidii
provocati
.
La
deconsiderazione
in
quel
codice
dell
'
impero
che
può
esercitare
sull
'
animo
anche
dei
più
onesti
l
'
istantaneo
sentimento
di
un
pericolo
,
o
un
giusto
sdegno
,
sembra
rivelare
un
arcano
pensiero
che
anela
spegnere
nei
sudditi
la
coscienza
dei
propri
diritti
,
e
mansuefarli
alla
monastica
tolleranza
delle
ingiurie
.
E
questa
osservazione
estendo
ancora
alla
valutazione
della
difesa
propria
ed
altrui
,
in
faccia
ad
un
grave
ed
ingiusto
pericolo
che
minacci
la
vita
o
la
pudicizia
di
un
cittadino
.
Ad
ogni
modo
la
estensione
alla
Toscana
delle
più
miti
penalità
sarde
verso
il
delitto
di
resistenza
,
e
della
giustissima
mitigazione
delle
medesime
prescritta
all
'
art
.
267
,
non
potrà
incontrare
disapprovazione
dai
dotti
,
né
eccitare
malcontento
.
Anche
qui
mi
assiste
una
reminiscenza
.
In
Lucca
ebbe
vigore
per
trent
'
anni
una
legge
speciale
dettata
nel
1816
dal
Governo
provvisorio
tedesco
:
che
alla
resistenza
senz
'
armi
con
lesione
lievissima
fulminava
un
minimo
di
vent
'
anni
di
galera
.
Malgrado
questa
legge
,
gelosamente
conservata
dal
Governo
borbonico
,
non
vidi
mai
poscia
tanto
frequenti
le
resistenze
alla
forza
quanto
in
allora
.
E
dovevano
esserlo
;
perché
la
severità
delle
pene
eccitava
maggior
desiderio
di
sottrarsi
all
'
arresto
.
Pretendere
con
qualche
mese
più
di
carcerazione
minacciata
alla
resistenza
,
che
un
reo
non
lotti
per
sottrarsi
alla
mano
che
vuol
condurlo
prigione
,
è
una
idea
vana
.
Il
reo
in
codesto
pauroso
momento
ha
nella
pena
che
vuole
evitare
troppa
ragione
di
scordare
la
pena
che
si
minaccia
alla
resistenza
;
ed
il
magistero
penale
elide
sé
stesso
.
Corre
sullo
stesso
ordine
d
'
idee
la
disparità
fra
il
rigore
eccessivo
del
codice
Toscano
(
art
.
344
)
e
la
mitezza
del
Sardo
(
art
.
589
)
in
proposito
del
duello
.
Non
voglio
a
questo
proposito
trattenermi
sulla
divergenza
relativa
alla
politica
imputabilità
dei
padrini
(
art
.
593
Sardo
,
art
.
348
Toscano
)
troppo
essendo
combattute
nella
dottrina
le
respettive
opinioni
.
E
solo
dirò
che
alla
prevenzione
meglio
provvede
il
codice
Toscano
.
Ma
la
pena
della
casa
di
forza
da
tre
a
dieci
anni
sancita
dall
'
art
.
344
Toscano
contro
l
'
omicidio
commesso
in
duello
mi
sembra
troppo
severa
,
e
preferirei
la
penalità
dell
'
art
.
589
Sardo
;
aggiungendovi
però
all
'
ultimo
alinea
la
limitazione
dell
'
art
.
343
Toscano
;
e
non
dimenticando
la
previsione
dell
'
art
.
595
Sardo
.
Il
quale
non
parmi
repugni
ai
principj
della
scienza
:
almeno
per
la
opinione
che
io
credo
più
vera
in
ordine
alla
estraterritorialità
del
giure
penale
.
Parmi
poi
che
sia
una
lacuna
nel
codice
Sardo
la
mancata
previsione
della
frode
(
art
.
346
Toscano
)
.
Non
può
esser
dubbioso
che
qualsiasi
slealtà
tolga
al
duello
il
criterio
psicologico
della
sua
specialità
,
vale
a
dire
la
obbedienza
ad
un
sentimento
di
onore
.
Prevede
il
codice
Sardo
(
art
.
286
e
segg
.
)
la
ragion
fattasi
di
privato
arbitrio
.
Procede
da
un
lato
con
una
discriminazione
di
casi
,
sotto
il
rapporto
della
penalità
,
più
diffusa
che
non
sia
quella
del
codice
Toscano
(
art
.
146
)
:
ma
dall
'
altro
lato
,
per
ciò
che
attiene
alla
indicazione
della
materialità
del
fatto
(
art
.
286
primo
alinea
)
il
codice
Sardo
restringe
la
nozione
di
quel
reato
a
certi
determinati
scopi
.
Ciò
sotto
un
aspetto
può
meritare
osservazione
per
la
parità
in
cui
si
pose
la
demolizione
dei
fabbricati
con
gli
altri
fatti
;
e
sotto
altro
aspetto
offre
il
pericolo
di
lasciare
scoperta
qualche
contingenza
speciale
di
ragion
fattasi
,
che
non
cada
sotto
le
tassative
descrizioni
colà
enumerate
.
La
definizione
toscana
è
molto
migliore
.
Sono
però
di
opinione
che
la
limitazione
dell
'
articolo
288
del
codice
Sardo
sia
lodevole
,
e
giusta
.
So
benissimo
che
questo
reato
non
trae
la
propria
essenza
da
un
principio
morale
,
ma
da
un
principio
puramente
politico
:
e
che
in
faccia
alla
dottrina
scientifica
la
nozione
della
ragion
fattasi
non
si
modifica
per
la
verità
o
insussistenza
del
diritto
arbitrariamente
esercitato
.
Ma
la
scienza
è
salva
quando
si
conserva
la
nozione
malgrado
la
verità
del
diritto
esercitato
.
Né
si
contradice
la
scienza
se
,
coordinando
il
principio
morale
al
principio
politico
,
si
ammette
una
minorante
nella
verità
del
diritto
esercitato
.
È
un
fatto
che
in
questo
caso
la
giustizia
è
lesa
solo
nella
forma
,
e
non
più
nella
forma
e
nella
sostanza
.
Anche
in
ordine
alla
vendita
di
fumo
il
codice
Sardo
(
art
.
313
,
e
314
)
colpisce
un
caso
che
il
codice
Toscano
(
art
.
200
)
non
prevede
.
Il
caso
cioè
delle
millantazioni
fatte
dal
sicofanta
non
per
estorcer
denaro
ma
solo
per
boria
,
per
acquistarsi
credito
,
o
per
malavoglienza
contro
gli
ufficiali
.
Il
codice
Toscano
lascia
scoperti
codesti
casi
,
tranne
quando
possano
trarsi
sotto
il
titolo
d
'
ingiuria
contro
il
pubblico
ufficiale
.
In
questo
punto
mi
pare
che
il
concetto
del
codice
Sardo
sia
più
conforme
ai
principii
della
scienza
:
per
la
quale
nel
punire
questo
delitto
non
si
vuol
proteggere
l
'
interesse
del
privato
,
che
mirando
ad
un
fine
illecito
non
può
meritare
protezione
.
Ma
si
guarda
al
discredito
della
pubblica
giustizia
nella
opinione
popolare
.
In
ordine
alla
falsa
moneta
il
codice
Sardo
(
art
.
316
e
seguenti
)
minaccia
pene
certamente
più
severe
di
quelle
toscane
(
art
.
222
e
seguenti
)
.
Ma
chiunque
rifletta
che
questo
delitto
è
sempre
premeditato
,
e
può
formare
argomento
di
una
speculazione
perniciosissima
,
non
trova
che
sia
male
collocata
una
certa
severità
.
D
'
altronde
l
'
art
.
222
lett
.
a
,
e
223
lett
.
a
del
codice
Toscano
(
malgrado
le
dichiarazioni
dell
'
art
.
240
)
sono
a
mio
parere
poco
sufficienti
alla
repressione
e
viziosi
.
E
là
infatti
si
ammette
il
possibile
che
un
fabbricante
abilissimo
di
falsa
moneta
d
'
oro
se
la
passi
con
sei
mesi
di
carcere
,
perché
per
avventura
non
sia
riuscita
l
'
accusa
a
sorprendere
gli
ordigni
(
che
d
'
altronde
sono
quasi
un
presupposto
necessario
)
ed
abbia
potuto
contestargli
soltanto
la
fabbricazione
di
una
moneta
.
Qui
evidentemente
esercitarono
l
'
influsso
loro
le
tradizioni
di
una
dottrina
inesatta
che
un
tempo
prevalse
in
Toscana
;
cioè
che
la
falsa
moneta
non
fosse
che
un
furto
qualificato
.
Ed
anzi
se
si
confronti
l
'
art
.
386
,
trovasi
la
fabbricazione
di
falsa
moneta
punita
meno
del
furto
domestico
;
quantunque
,
se
questo
viola
la
fede
privata
,
quella
violi
la
fede
pubblica
.
Anche
in
proposito
di
questo
delitto
io
penso
dunque
che
una
elevazione
di
rigore
non
potesse
eccitare
repugnanze
nella
popolazione
toscana
.
Per
il
delitto
di
adulterio
il
codice
Toscano
(
art
.
291
)
è
assai
più
severo
del
codice
Sardo
(
art
.
486
)
.
Carcere
da
tre
mesi
a
due
anni
per
questo
.
Carcere
da
due
anni
a
quattro
per
quello
.
Ma
su
ciò
non
dimoro
.
Perché
porto
opinione
che
dove
la
religione
,
la
morale
,
e
l
'
affetto
alla
famiglia
non
valga
,
nessuna
donna
si
asterrà
mai
dal
darsi
in
braccio
ad
altri
per
il
pensiero
di
una
pena
più
o
meno
prolungata
,
che
terrà
dietro
alla
sorpresa
,
allo
scuoprimento
,
alla
querela
maritale
,
ed
alla
persistenza
nella
medesima
.
Le
pene
contro
l
'
adulterio
vi
debbono
essere
per
evitare
le
vendette
maritali
.
Ecco
la
utilità
sociale
di
siffatte
punizioni
.
Sicchè
la
severità
maggiore
usata
dal
codice
nostro
contro
le
adultere
non
potrebbe
trovare
ragione
in
altro
che
nello
essere
i
mariti
toscani
più
risentiti
e
vendicativi
dei
sardi
;
onde
facesse
mestieri
offrir
loro
più
larga
soddisfazione
a
moderarne
lo
sdegno
.
Ma
questa
è
una
ipotesi
.
Non
bisogna
però
dimenticare
che
l
'
art
.
485
secondo
alinea
del
codice
Sardo
si
connette
con
le
disposizioni
del
codice
civile
in
ordina
alla
ricerca
della
paternità
.
Laonde
questo
articolo
non
avrebbe
senso
ove
tale
ricerca
fosse
permessa
dalle
leggi
civili
.
Fecondo
di
gravi
difficoltà
è
il
confronto
fra
l
'
articolo
300
del
codice
Toscano
,
ed
il
421
del
codice
Sardo
,
relativi
a
certi
delitti
contro
il
buon
costume
.
E
le
difficoltà
nascono
a
cagione
dell
'
urto
fra
il
rispetto
alla
libertà
individuale
,
ed
il
rispetto
alla
morale
pubblica
.
E
siffatto
urto
divide
la
dottrina
dei
criminalisti
in
Italia
e
fuori
.
Il
codice
Sardo
ha
provveduto
alla
tutela
del
buon
costume
soltanto
là
dove
si
congiunge
alla
tutela
del
diritto
.
per
punire
dove
non
concorse
violenza
esige
che
trattisi
di
persona
minore
dei
ventuno
anni
.
Guarda
alla
corruzione
della
gioventù
,
e
finquì
non
vi
è
nulla
da
censurare
.
Ma
il
codice
Toscano
va
oltre
alla
tutela
del
diritto
;
va
oltre
alla
tutela
delle
famiglie
;
va
oltre
all
'
impedimento
dello
scandalo
.
Qualifica
lenocinio
,
e
punisce
col
carcere
da
sei
mesi
a
tre
anni
chiunque
agevola
la
prostituzione
anche
di
una
cortigiana
.
E
la
giurisprudenza
ha
detto
che
somministrare
la
casa
o
il
luogo
alla
prostituta
cade
sotto
quest
'
articolo
.
Così
ho
veduto
in
pratica
(
non
con
gran
plauso
della
pubblica
opinione
)
condannare
a
lunga
prigionia
donne
di
mala
vita
,
non
per
ciò
che
esse
facevano
senza
opposizione
o
pericolo
abitualmente
,
ma
perché
avevano
preso
a
retta
un
'
altra
donna
della
lor
taglia
,
o
a
lei
affittato
una
camera
.
Provato
che
la
padrona
di
casa
sapeva
che
qualche
uomo
visitava
la
inquilina
,
vi
si
è
trovato
il
lenocinio
,
benchè
non
si
trattasse
di
giovinetti
,
né
di
allettamenti
usati
dalla
padrona
.
Tale
è
stata
la
conseguenza
logica
del
verbo
agevolare
adoperato
dalla
legge
.
Ciò
ha
portato
a
dei
pubblici
giudizi
,
nei
quali
si
sono
citati
come
testimoni
gli
uomini
visitatori
della
inquilina
,
non
senza
qualche
disturbo
delle
loro
famiglie
.
La
rozza
logica
del
volgo
non
si
persuase
che
la
padrona
di
casa
dovesse
essere
punita
perché
quegli
uomini
erano
andati
in
camera
della
inquilina
,
anziché
in
camera
della
padrona
.
E
taluno
che
troppo
spesso
riflette
come
siffatte
donne
quando
non
hanno
luogo
si
approfittino
delle
vie
solitarie
,
venne
nel
pensiero
che
per
tal
guisa
si
facesse
uno
scandalo
per
punire
un
fatto
che
aveva
evitato
uno
scandalo
.
Questo
argomento
eccita
serie
considerazioni
,
specialmente
in
quelle
città
dove
si
persiste
a
credere
impossibili
i
regolamenti
circa
le
tollerate
.
Finalmente
in
ordine
al
delitto
di
fallimento
doloso
o
colposo
è
deplorabile
la
trascuranza
del
codice
Toscano
nel
definire
i
casi
diversi
e
i
diversi
gradi
di
questo
importante
delitto
(
art
.
409
)
.
Ma
chi
sperasse
di
trovare
un
più
largo
svolgimento
nel
codice
Sardo
(
art
.
381
)
,
rimarrebbe
ugualmente
deluso
.
La
idea
di
non
invadere
le
materie
commerciali
è
probabilmente
il
motivo
di
tale
trascuranza
tropo
comune
ai
codici
moderni
.
Ma
è
una
lacuna
che
prima
o
poi
deve
essere
riempita
,
restituendo
al
giure
penale
il
suo
dovuto
dominio
anche
nel
regolamento
di
questa
materia
.
Riassumendo
i
pensieri
sparsi
in
questa
rapida
ed
incompleta
escursione
,
concluderò
:
1.°
Che
la
introduzione
della
pena
di
morte
in
Toscana
(
specialmente
pei
delitti
comuni
)
non
potrebbe
non
dar
luogo
a
gravi
lagnanze
e
disaffezioni
.
2.°
Che
la
introduzione
dei
giurati
in
Toscana
non
può
essere
argomento
di
gravi
difficoltà
;
ma
invece
salutare
occasione
al
sapiente
del
Governo
di
procurare
la
emenda
di
alcuni
difetti
del
relativo
ordinamento
.
3.°
Che
la
estensione
alla
Toscana
delle
altre
regole
di
procedura
punitiva
non
può
essere
,
comparativamente
considerata
,
che
un
benefizio
;
purchè
se
ne
modifichi
lo
illimitato
della
custodia
preventiva
.
4.°
Che
la
scala
delle
penalità
Sarde
modificata
leggermente
,
come
di
necessità
richiederebbe
il
toglimento
della
pena
di
morte
,
sarebbe
accettabile
.
5.°
Che
dovrebbe
però
non
procedersi
col
brusco
trasporto
del
codice
;
ma
con
una
specie
di
rifusione
;
nella
quale
per
ciò
che
attiene
a
certe
nozioni
,
ed
alla
esattezza
del
linguaggio
scientifico
,
non
potrebbe
farsi
meglio
che
prenderle
tali
quali
stanno
nel
codice
Toscano
.
Questo
è
un
omaggio
che
si
deve
alla
scienza
:
ed
un
rispetto
meritato
da
quella
provincia
;
nella
quale
e
per
lo
slancio
del
codice
Leopoldino
,
e
per
le
teoriche
delle
sue
giudiciali
osservanze
,
e
per
la
opera
perseverante
dell
'
immortale
Carmignani
,
bisogna
riconoscere
dal
1786
fino
al
1853
un
continuato
movimento
progressivo
della
dottrina
penale
.
6.°
Che
questa
fusione
,
nella
quale
potrebbe
pure
tenersi
conto
di
alcuni
lodevoli
provvedimenti
del
codice
Napoletano
,
non
dovrebbe
lasciarsi
in
mano
di
una
commissione
,
dove
si
aprirebbe
per
necessità
una
polemica
senza
fine
;
ma
farsi
per
opera
del
Ministero
.
7.°
Che
di
questo
codice
così
rifuso
dovrebbe
ottenersi
la
sanzione
dal
Parlamento
senza
discussione
di
articoli
,
onde
si
approvi
per
via
di
esperimento
;
decretandone
fin
da
ora
la
revisione
fra
tre
anni
almeno
;
e
proponendo
alle
Camere
di
nominare
nel
loro
seno
una
commissione
incaricata
di
preparare
gli
studi
per
questa
revisione
futura
.
Non
adottando
quest
'
ultimo
metodo
:
procedendo
per
via
di
commissioni
preambule
,
e
di
discussioni
per
articoli
,
si
getterà
tempo
,
e
fatica
:
e
se
la
discussione
darà
occasione
allo
svolgimento
di
maravigliose
polemiche
,
non
darà
sicuramente
per
anni
ed
anni
il
risultato
della
desiderata
unificazione
.
Questa
verità
la
proclama
la
stessa
ragione
,
e
la
conferma
la
storia
contemporanea
.
Questa
ci
addita
come
si
siano
prolungate
per
molti
lustri
le
relative
preparazioni
in
Prussia
,
Norvegia
,
Belgio
ed
altrove
;
ed
in
alcuni
di
questi
Reami
non
abbiano
ancora
condotto
la
opera
al
suo
compimento
.
Ripeterò
con
le
parole
del
compilatore
del
Progetto
Belga
(
il
celebre
Professore
Haus
)
che
la
scienza
penale
non
ha
ancora
fornito
la
metà
del
suo
cammino
.
Mentre
anche
le
sue
primordiali
verità
sono
tuttora
un
problema
,
sul
quale
i
più
sapienti
discordano
,
è
necessario
riconoscere
una
verità
pratica
:
cioè
che
è
vanità
sperare
oggi
che
un
dettato
in
questa
materia
si
riconosca
come
il
meglio
universalmente
;
e
bisogna
temere
che
il
desiderio
del
meglio
non
tolga
il
buono
.
In
mezzo
alla
rapidità
del
progresso
generale
contemporaneo
;
in
mezzo
alle
controversie
tra
cui
si
agita
nell
'
accademia
il
giure
penale
,
ed
alle
difficoltà
fra
le
quali
lotta
nel
foro
,
non
è
più
tempo
di
presumere
che
un
codice
penale
duri
intatto
per
lunga
stagione
.
Non
siamo
più
ai
tempi
della
Carolina
,
delle
Partidas
,
o
delle
Ordinanze
.
Qualunque
cosa
si
faccia
offrirà
il
fianco
alle
censure
contemporanee
,
ed
alle
modificazioni
future
.
Pisa
3
aprile
1863
.
Codicizzazione
(
STUDI
LEGISLATIVI
)
(
1869
)
(
dagli
Opuscoli
di
Diritto
criminale
,
Lucca
,
1870
,
vol
.
II
,
215
ss
.
)
I
codici
destinati
a
reggere
le
Nazioni
nascono
,
crescono
e
progrediscono
in
numero
,
in
bellezza
,
ed
autorità
,
nella
ragione
diretta
della
respettiva
civilizzazione
.
È
impossibile
che
i
popoli
primitivi
finchè
si
agitano
nella
barbarie
sentano
il
bisogno
di
ordinamenti
legislativi
completi
,
o
chiedano
codici
,
o
pensino
a
procacciarne
.
La
prima
idea
di
legge
che
appo
loro
si
sviluppa
si
estrinseca
nella
leggi
religiose
e
militari
,
perché
la
coscienza
giuridica
non
ha
ancora
assunto
una
forma
sensibile
in
quelli
animi
rozzi
.
Per
loro
la
idea
del
diritto
si
confonde
con
la
idea
della
forza
.
Una
legge
imposta
a
nome
di
Dio
(
forza
sovrumana
ed
ignota
)
a
nome
di
un
Duce
di
eserciti
(
forza
naturale
presente
e
temuta
)
esprime
per
loro
il
diritto
perché
esprime
una
potenza
alla
quale
non
è
dato
resistere
.
Essi
accettano
la
consociazione
come
un
fatto
:
vi
aderiscono
per
obbedienza
allo
istinto
della
socievolezza
che
la
legge
di
natura
provvidenzialmente
impose
alla
umanità
,
come
impose
la
legge
di
attrazione
ai
corpi
al
fine
di
condurre
questi
all
'
ordine
fisico
e
quelli
all
'
ordine
morale
:
vi
aderiscono
pel
sentimento
vago
dei
bisogni
:
se
la
tengono
cura
per
le
consuetudini
contratte
nelle
relazioni
necessitose
della
famiglia
.
Ma
il
concetto
giuridico
della
consociazione
non
cape
ancora
nella
mente
loro
selvaggia
,
perché
tuttora
incapaci
a
concepire
la
idea
del
diritto
nello
individuo
altro
che
come
forza
,
è
impossibile
che
in
loro
prenda
radice
il
pensiero
di
una
collezione
di
diritti
affidati
ad
una
personalità
morale
pel
fine
di
essere
da
questa
difesi
.
Obbediscono
al
sacerdote
,
perché
parla
a
nome
di
un
Dio
che
ha
mezzi
di
potenza
e
di
forza
superiore
ad
ogni
forza
e
potenza
umana
:
obbediranno
ad
un
Duce
,
perché
lo
veggono
cinto
di
un
numero
di
sgherri
volontariamente
alleatisi
a
lui
che
li
fa
conscii
della
loro
soggezione
:
ma
in
ciò
non
si
ha
l
'
opera
di
un
calcolo
di
ragione
che
a
tale
obbedienza
porga
la
forma
di
un
dovere
morale
;
bensì
unicamente
uno
stato
di
fatto
che
li
lega
in
ragione
della
loro
impotenza
a
resistere
,
a
meno
che
con
l
'
astuzia
non
riescano
ad
eludere
quella
forza
.
La
consociazione
non
è
per
loro
che
uno
stato
inavvertito
di
fatto
nel
quale
si
trovano
senza
saperne
il
perché
,
mentre
ne
approfittano
per
procacciarsi
anche
a
scapito
altrui
i
beni
agognati
a
soddisfacimento
degli
appetiti
proprii
senza
cercare
se
con
ciò
si
offenda
la
personalità
degli
altri
o
si
diminuisca
l
'
altrui
libertà
.
La
idea
pura
del
diritto
non
può
concepirsi
che
sotto
forma
complessa
e
reciproca
,
perché
il
riconoscimento
razionale
di
una
facoltà
pertinente
a
noi
come
diritto
ha
per
necessario
contenuto
il
riconoscimento
di
uguale
facoltà
in
ogni
altro
essere
simile
a
noi
;
lo
che
conduce
al
desiderio
di
una
legge
che
sia
vincolo
a
noi
medesimi
,
e
che
sia
vincolo
agli
altri
.
Ma
tale
idea
è
troppo
elevata
perché
possa
raggiungersi
da
genti
selvagge
per
le
quali
potestà
materiale
e
facoltà
morale
identificandosi
in
un
solo
concetto
,
viene
respinto
il
pensiero
di
un
vincolo
puramente
razionale
imposto
a
noi
medesimi
,
ai
proprii
appetiti
,
ai
proprii
bisogni
.
Ove
pure
appo
simili
genti
siasi
venuto
lentamente
formando
un
ceto
di
uomini
illuminati
ai
quali
trovisi
rivelato
il
concetto
della
giustizia
come
forza
morale
destinata
a
resistere
alla
forza
materiale
e
fatta
capace
a
dare
al
debole
prevalenza
e
ragione
sopra
il
forte
;
questa
rivelazione
conquistata
dagli
eletti
non
appartenendo
che
ad
una
minoranza
,
la
lotta
della
civiltà
contro
la
barbarie
si
combatte
sempre
con
disuguaglianza
,
per
cui
i
pochi
illuminati
dove
pure
concepiscono
la
idea
di
dare
una
legge
che
a
tutti
ugualmente
sovrasti
e
tutti
ugualmente
protegga
i
diritti
dei
consociati
,
non
possono
attuarla
,
e
neppure
osano
tentarne
la
prova
,
perché
siffatta
idea
non
è
intesa
né
accettata
dalla
maggioranza
.
Allora
soltanto
quando
nella
Nazione
si
è
sviluppato
il
senso
giuridico
in
una
maggioranza
capace
di
farsi
rispettare
,
nasce
il
desiderio
di
un
codice
universale
della
Nazione
regolatore
dei
diritti
di
ognuno
,
e
nasce
insieme
la
potestà
di
attuarlo
e
di
mantenerlo
in
una
vita
efficace
e
reale
.
È
allora
soltanto
che
il
popolo
insorge
e
chiede
i
Decemviri
e
le
tavole
permanenti
della
legge
comune
:
è
questa
l
'
epoca
dei
Soloni
,
dei
Licurghi
,
dei
Caronda
,
e
dei
Pittagora
;
uomini
che
saliti
in
fama
di
sapienza
hanno
ottenuto
la
fiducia
del
popolo
e
ricevono
invito
da
questo
di
segnar
loro
il
modo
col
quale
meglio
possa
avere
soddisfacimento
e
proclamazione
solenne
quella
coscienza
giuridica
che
si
è
maturata
nelle
moltitudini
.
È
allora
che
quel
popolo
muove
i
primi
passi
verso
la
civiltà
.
E
di
vero
cosa
è
dessa
la
civiltà
?
Tutti
gridano
civiltà
,
civiltà
;
tutti
parlano
di
progresso
civile
dei
popoli
:
ma
molti
non
si
avvicinano
al
concetto
che
chiudesi
sotto
quelle
parole
,
e
quello
rimane
per
loro
uno
indefinito
.
E
che
forse
la
civiltà
di
un
popolo
consiste
dessa
nell
'
orpello
dei
modi
,
nell
'
amore
delle
arti
,
nella
raffinatezza
dei
cibi
e
degli
agi
della
vita
,
nei
sontuosi
spettacoli
,
nelle
magnificenze
delle
fabbriche
,
ed
altre
simili
cose
?
Il
volgo
lo
pensa
,
e
non
si
avvede
che
scambia
la
cultura
esteriore
ed
il
lusso
con
la
civilizzazione
.
Cultura
e
civiltà
sono
due
cose
radicalmente
distinte
.
Ottima
l
'
una
per
certo
e
feconda
di
benefizi
purchè
non
avversi
alla
seconda
;
ma
questa
manca
sovente
dove
quella
grandeggia
,
e
questa
è
la
primaria
a
desiderarsi
da
un
popolo
che
ama
fondare
la
propria
felicità
e
la
propria
grandezza
sopra
il
rispetto
alla
dignità
dello
essere
umano
:
senza
questa
i
cittadini
possono
somigliarsi
alle
antiche
vittime
che
s
'
inviavano
al
sacrificio
inebriate
da
canti
festosi
,
dai
vapori
di
olezzanti
profumi
,
e
tutte
ornate
di
fiori
.
Civiltà
è
parola
che
trae
la
propria
etimologia
da
civis
,
Città
,
ed
ha
il
vero
concetto
proprio
nel
vero
concetto
di
questa
.
La
civiltà
consiste
nello
sviluppo
in
cuore
di
tutti
della
coscienza
giuridica
e
della
natura
giuridica
della
consociazione
.
Recognizione
del
diritto
non
come
forza
,
né
come
bisogno
,
ma
come
dettato
di
ragione
:
recognizione
universale
nelle
coscienze
della
pertinenza
del
diritto
a
tutti
ugualmente
;
recognizione
del
diritto
come
dettato
di
una
legge
superiore
imposta
da
Dio
alla
umanità
:
abitudine
nel
popolo
in
ogni
sua
classe
di
rispettare
quella
legge
con
religioso
affetto
anche
a
ritroso
dei
propri
appetiti
corporei
,
facendo
dell
'
amore
dei
nostri
simili
la
forma
preferita
dell
'
amore
di
noi
stessi
:
recognizione
della
missione
della
società
nel
tutelare
in
tutti
ugualmente
il
diritto
.
io
non
mi
esalto
la
mente
alla
contemplazione
della
piramidi
,
delle
meravigliose
statue
della
Grecia
,
degli
archi
superbi
dell
'
antica
Roma
.
Io
veggo
là
parecchi
milioni
di
umane
creature
tenute
da
un
numero
inferiore
di
potenti
nella
più
abietta
servitù
;
io
veggo
quella
folla
d
'
infelici
ridotti
alla
condizione
di
cose
e
vittime
della
negazione
del
diritto
;
e
dico
che
quei
popoli
per
quanto
giustamente
orgogliosi
della
loro
sapienza
nella
cultura
esteriore
non
furono
popoli
veramente
civili
.
La
ebrietà
dei
sensi
non
mi
fa
velo
allo
intelletto
,
quando
contemplo
la
squisitezza
delle
delizie
orientali
;
in
quelle
magiche
reggie
io
veggo
una
mano
di
uomini
che
si
stimano
esseri
superiori
agli
altri
,
e
vantano
illimitata
balìa
sovra
cose
e
persone
;
veggo
al
di
fuori
un
gregge
trepidante
che
al
giogo
reverente
si
curva
né
sente
in
sé
stesso
la
virtù
della
divina
scintilla
;
e
dico
che
quel
popolo
non
è
altrimenti
civile
.
Dimostrisi
pure
che
nelle
contrade
meridionali
di
America
si
hanno
più
gentili
i
costumi
,
più
ricercati
gli
agi
del
vivere
,
più
raffinati
i
piaceri
,
meno
bruschi
e
rozzi
i
modi
che
non
lo
siano
nelle
contrade
del
Nord
.
Io
veggo
che
di
là
si
pugna
per
mantenere
la
servitù
mentre
di
qua
si
sacrifica
generosamente
un
mare
di
sangue
al
fine
di
sopprimerla
,
e
di
porre
in
trono
il
programma
della
uguaglianza
completa
di
ogni
umana
creatura
;
e
dico
che
la
civiltà
è
maggiore
nel
settentrione
di
quello
nol
sia
nel
mezzogiorno
di
America
.
Fosse
pure
al
più
elevato
apogeo
la
industria
,
la
raffinatezza
dei
modi
,
la
cura
degli
agi
della
vita
e
di
ogni
più
delicato
soddisfacimento
dei
sensi
nella
vetusta
Sibari
divenuta
proverbiale
per
il
suo
lusso
,
io
veggo
i
signori
di
Sibari
mettere
a
morte
gli
ambasciatori
di
Crotone
ed
appendere
i
cadaveri
alle
loro
muraglie
;
e
veggo
al
tempo
stesso
i
cittadini
di
Crotone
quantunque
nemici
di
ogni
ricercatezza
di
lusso
proclamare
il
suffragio
universale
come
base
delle
loro
istituzioni
:
ed
a
tale
confronto
la
voce
della
ragione
dilegua
il
fascino
della
Sirena
,
e
nell
'
intimo
cuore
io
mi
sento
condotto
a
dire
che
fuvvi
civiltà
maggiore
in
Crotone
che
non
in
Sibari
.
Ecco
come
io
la
intendo
questa
parola
civiltà
,
che
per
molti
è
parola
diafana
e
per
altri
molti
un
prisma
fallace
.
E
tornando
ai
codici
,
io
ripeto
che
i
primi
trionfi
della
civiltà
rendono
soli
possibile
un
codice
:
ma
che
un
codice
perfetto
non
è
possibile
se
non
ove
la
civiltà
ha
raggiunto
quell
'
apogeo
che
è
sperabile
sulla
terra
;
cioè
dove
è
più
universale
ed
illimitata
la
recognizione
dello
imperativo
giuridico
così
nella
idea
come
nel
fatto
così
nelle
parole
come
nella
realtà
,
e
dove
quella
legge
regna
sovrana
nella
coscienze
come
sovrastante
a
tutti
ugualmente
,
e
per
tutti
ugualmente
patrona
.
Tale
recognizione
si
è
dopo
lotte
lunghissime
raggiunta
in
astratto
da
molti
popoli
i
quali
pertanto
possono
dirsi
maturi
per
dare
a
sé
medesimi
ottimi
codici
.
Ma
perché
i
codici
siano
buoni
bisogna
che
in
ogni
loro
linea
rispondano
a
quella
idea
,
e
che
all
'
astratta
recognizione
di
quella
si
coordini
la
sua
recognizione
concreta
e
la
sua
coraggiosa
proclamazione
per
parte
del
codice
;
il
quale
non
lasci
pertugio
per
dove
possa
introdursi
per
arte
o
potenza
nessuna
dei
pochi
la
supremazia
della
forza
,
perpetua
nemica
della
ragione
.
Lo
ideale
della
bontà
di
un
codice
è
questo
solo
di
essere
il
palladio
della
uguaglianza
per
tutti
.
Vi
dunque
da
un
codice
ogni
disposizione
che
con
modi
più
o
meno
aperti
disturbi
lo
equilibrio
giuridico
fra
i
cittadini
:
via
ogni
privilegio
per
cui
venga
una
classe
di
uomini
a
rendersi
più
ricca
di
diritti
,
più
scura
nello
esercizio
loro
,
e
più
insindacabile
nel
proprio
operato
a
discapito
o
pericolo
altrui
:
via
tutte
le
leggi
di
occasione
,
le
quali
possono
esser
buone
come
necessità
inevitabile
in
faccia
a
condizioni
eccezionalmente
calamitose
non
debbono
trovar
sede
in
un
ordinamento
stabile
destinato
ad
incarnarsi
nei
costumi
e
negli
effetti
del
popolo
.
Più
specialmente
un
codice
penale
deve
essere
il
catechismo
della
coscienza
civica
,
ove
si
raccolgano
le
tradizioni
della
giustizia
pratica
e
si
conservino
con
più
solenne
sanzione
e
con
autorità
più
gagliarda
.
Finchè
un
codice
non
può
farsi
tale
,
è
vanità
tentarne
la
prova
;
e
se
tale
non
vuol
farsi
per
segrete
cagioni
che
prevalgono
appo
coloro
cui
pertiene
il
reggimento
della
cose
pubblica
,
ella
è
una
ipocrisia
,
è
un
tradimento
darsi
vanto
di
codicizzare
le
leggi
di
uno
Stato
.
Si
ripari
allora
con
leggi
provvisorie
ai
bisogni
dei
tempi
nelle
materie
del
diritto
le
quali
portino
in
fronte
la
dichiarazione
della
loro
precarietà
e
rechino
contemporanea
alla
propria
nascita
la
speranza
della
loro
abolizione
.
Ad
una
Nazione
che
sente
la
propria
dignità
si
può
inculcare
la
tolleranza
di
un
provvedimento
temporaneo
quantunque
meno
buono
,
scusandolo
con
le
tristi
condizioni
di
una
fase
transitoria
in
cui
versi
lo
Stato
,
e
temperandone
la
innormalità
con
la
precarietà
della
sua
sanzione
.
Ma
è
un
insulto
porgere
a
lei
col
nome
di
codice
(
e
così
come
supremo
effato
della
coscienza
giuridica
)
precetti
e
sanzioni
che
alla
suprema
ragione
giuridica
non
siano
conformi
,
e
che
trovino
la
genesi
loro
nelle
vedute
di
un
partito
dominante
,
o
nei
bisogni
di
una
politica
transitoria
.
L
'
uomo
coscienzioso
e
leale
quando
si
faccia
convinto
di
una
necessità
che
gli
vieta
di
fare
una
cosa
come
dovrebbe
esser
fatta
,
si
astiene
piuttosto
dal
farla
anziché
farla
in
modo
riprovevole
.
Farisaica
parola
è
quella
di
chi
confessa
la
verità
di
un
supremo
principio
di
ragione
,
ed
al
tempo
stesso
viene
a
dettare
un
codice
che
lo
conculca
e
lo
rinega
,
scusandosi
con
le
condizioni
dei
tempi
e
con
quella
sentenza
perpetua
patrona
del
male
-
che
anche
la
verità
ha
la
sua
ora
.
Avrà
pur
troppo
la
sua
ora
anche
la
verità
;
perché
non
a
tutte
le
ore
degli
uomini
si
vuole
intendere
,
e
perché
essa
ha
bisogno
di
essere
intesa
da
coloro
che
debbono
proclamarla
,
e
che
sono
sovente
i
più
duri
o
i
più
tardi
ad
intenderla
.
Ma
,
se
la
verità
ha
la
sua
ora
,
perché
non
aspettare
che
sorga
,
e
frattanto
vivere
con
le
leggi
già
costituite
,
prorogando
a
quell
'
ora
il
generale
e
duraturo
riordinamento
delle
medesime
?
Perché
tanta
furia
di
codicizzare
,
mentre
si
confessa
che
le
incertezze
dei
tempi
sono
disadatte
a
quell
'
opera
?
Potrebbe
qui
bene
ripetersi
col
Menzini
-
in
questo
di
Procuste
orrido
letto
,
chi
ti
sforza
a
giacere
?
Un
principio
erroneo
ed
ingiusto
attuato
per
eccezionali
cagioni
in
un
regolamento
particolare
è
un
male
sensibile
ma
limitato
.
Il
male
diventa
troppo
più
grave
più
funesto
e
pernicioso
nelle
sue
conseguenze
quando
di
quel
principio
erroneo
l
'
autorità
sociale
fa
solenne
proclamazione
in
un
codice
:
perché
con
ciò
corrompe
la
coscienza
pubblica
presentandole
come
severo
e
costante
dettato
della
ragione
giuridica
quello
che
è
soltanto
un
provvedimento
empirico
che
si
accetta
per
le
transitorie
condizioni
dei
tempi
.
O
se
a
voi
preme
di
farvi
codicizzatori
e
volete
anche
in
questo
adulare
la
Nazione
che
da
voi
si
governa
dandole
a
credere
che
i
tempi
sono
maturi
per
un
codice
universale
,
ed
inebriandola
in
questo
pomposo
pensiero
,
abbiate
almeno
il
pudore
di
lasciare
in
disparte
quelli
argomenti
nei
quali
credete
di
non
poter
proclamare
la
suprema
giustizia
:
se
tali
argomenti
sono
molti
,
abbandonate
la
idea
della
codicizzazione
;
se
sono
pochi
lasciateli
sotto
la
direzione
di
leggi
particolari
:
ma
non
bruttate
il
catechismo
che
voi
date
alla
vita
esteriore
del
popolo
col
proclamarvi
una
menzogna
giuridica
.
Val
meglio
una
lacuna
che
l
'
apostolato
di
una
falsa
dottrina
.
Se
fuvvi
mai
una
epoca
che
apparisse
disadatta
alla
formazione
di
un
codice
universale
tale
era
lo
Stato
dello
Impero
Germanico
nei
primordi
del
secolo
decimosesto
.
Le
dissidenze
religiose
fra
i
diversi
Stati
di
quello
Impero
erano
vivacissime
allora
,
perché
grondavano
di
fresco
sangue
;
e
chiunque
fosse
stato
chiamato
a
dettare
un
codice
penale
per
lo
Impero
sarebbesi
sgomentato
in
faccia
a
quelle
dissidenze
dal
por
mano
nella
materia
dei
delitti
religiosi
.
Ma
Carlo
V
voleva
ad
ogni
costo
dettare
un
codice
universale
che
governasse
lo
Impero
e
che
portasse
il
suo
nome
.
Cosa
fece
egli
con
la
sua
celebre
costituzione
criminale
?
Dei
delitti
religiosi
non
tenne
che
fugace
parola
,
e
la
sua
costituzione
ebbe
plauso
concorde
nel
1532
alla
Dieta
di
Ratisbona
dai
Principi
colà
convenuti
così
cattolici
come
protestanti
:
e
la
sua
Nemesi
potè
durare
per
tre
secoli
come
codice
fondamentale
di
gran
parte
della
Germania
,
ed
adottarsi
e
mantenersi
persino
da
quelle
provincie
che
(
come
la
Svizzera
)
avevano
scosso
il
giogo
politico
dello
Impero
.
La
Convenzione
di
Francia
fu
prepotente
e
ferocissima
nella
sua
prepotenza
,
ma
fu
più
logica
di
molti
altri
Governi
quando
nel
tempo
stesso
che
le
sue
mannaie
mietevano
le
vite
dei
cittadini
proclamava
come
principio
l
'
abolizione
della
pena
di
morte
.
Essa
sentiva
la
differenza
che
passa
fra
la
proclamazione
di
un
principio
come
verità
giuridica
,
e
le
esigenze
o
vere
o
false
della
politica
del
momento
.
Ma
non
si
fu
altrettanto
logici
,
né
allora
né
poi
,
quando
le
leggi
di
occasione
si
vollero
convertire
in
articoli
di
un
codice
destinato
a
passare
alle
generazioni
future
.
Adesso
a
noi
italiani
si
è
iniziata
la
esecuzione
della
promessa
codicizzazione
universale
.
I
codici
regolatori
degli
interessi
civili
,
commerciali
,
e
procedurali
ebbero
ormai
la
respettiva
sanzione
,
e
spetta
all
'
avvenire
il
farsene
giudice
.
Ma
il
codice
penale
ha
incontrato
più
seri
ostacoli
.
E
gli
ostacoli
sorgono
non
solo
per
la
diversità
delle
scuole
giuridiche
che
prevalgono
nelle
diverse
provincie
del
Regno
;
non
solo
per
la
diversità
dei
costumi
più
o
meno
purificati
degli
effetti
del
dispotismo
religioso
e
civile
;
ma
più
specialmente
per
le
tradizioni
delle
leggi
penali
precedenti
che
alle
diverse
provincie
furono
dettate
dai
respettivi
reggitori
come
catechismo
della
vita
civile
.
È
una
verità
filosofica
che
i
costumi
fanno
le
leggi
,
ma
è
pur
troppo
una
verità
pratica
che
le
leggi
fanno
i
costumi
.
Più
che
è
feroce
un
popolo
più
sarà
feroce
il
suo
codice
;
più
sarà
feroce
un
codice
più
si
manterrà
il
popolo
nelle
consuetudini
della
ferocia
.
Queste
sono
due
verità
storiche
che
come
risultamento
di
un
imperativo
logico
impreteribile
si
danno
reciprocamente
la
mano
.
E
ciò
porta
ad
una
conseguenza
;
e
questa
conseguenza
,
quantunque
aspra
e
dura
a
proferirsi
,
bisogna
pur
proferirla
perché
è
verità
impreteribile
.
Questa
verità
è
che
le
attuali
condizioni
d
'
Italia
le
rendono
assolutamente
impossibile
di
ottenere
un
codice
penale
comune
che
sia
riconosciuto
universalmente
per
buono
,
e
sia
da
tutti
applaudito
.
L
'
abitudine
a
certe
penalità
eccessive
incarnatasi
nelle
genti
di
una
provincia
per
virtù
di
un
codice
che
per
lunga
stagione
le
fuorviava
dal
retto
col
proclamare
la
necessità
e
la
giustizia
delle
medesime
;
l
'
abitudine
a
certe
penalità
più
miti
ed
umane
incarnata
nelle
genti
di
altra
provincia
per
virtù
di
leggi
penali
che
seppero
mostrar
loro
come
quelle
fossero
più
che
sufficienti
ai
bisogni
della
pubblica
e
privata
sicurezza
,
e
per
virtù
della
consecutiva
esperienza
che
le
dimostrò
sufficienti
;
queste
abitudini
io
dico
non
si
cancellano
con
un
tratto
di
penna
dal
nuovo
legislatore
.
Dal
che
nasce
una
situazione
scabrosa
,
difficile
e
penosissima
per
la
coscienza
di
chiunque
sente
nell
'
animo
che
anche
il
legislatore
deve
avere
una
coscienza
;
la
quale
deve
inspirarsi
al
vero
ed
al
giusto
,
e
non
agli
abiti
od
alle
passioni
.
La
situazione
è
questa
:
o
inferocire
i
costumi
delle
provincie
meno
feroci
col
portarvi
leggi
esorbitantemente
severe
,
lo
che
sarebbe
operazione
vandalica
e
patente
regresso
;
o
tentare
di
raddolcire
i
costumi
delle
provincie
più
fiere
col
portarvi
più
miti
sanzioni
.
Questo
è
il
problema
interiore
che
tiene
oggi
incerti
gli
animi
dei
legislatori
penali
d
'
Italia
.
E
alla
difficoltà
interiore
che
tiene
esitanti
le
coscienze
per
riguardo
al
sentimento
del
proprio
dovere
rispondono
difficoltà
esteriori
che
procedono
da
quel
perpetuo
ostacolo
ad
ogni
ben
fare
,
voglio
dire
il
rispetto
umano
.
Avvegnacchè
all
'
apparizione
del
nuovo
progetto
di
codice
penale
del
Regno
d
'
Italia
siasi
verificato
ciò
che
i
veggenti
avevano
preveduto
da
lunga
mano
,
e
ciò
che
inevitabilmente
doveva
verificarsi
per
virtù
delle
condizioni
eccezionali
della
nuova
consociazione
;
voglio
dire
che
da
tutti
i
lati
sonosi
sollevati
anatemi
e
riprovazioni
contro
quel
disgraziato
progetto
,
del
quale
può
dirsi
che
ebbe
molti
censori
,
lodatori
pochissimi
.
Ma
chi
guardi
addentro
a
quelle
grida
di
riprovazione
,
e
le
congiunga
(
come
pur
devesi
)
in
un
insieme
,
forza
è
si
convinca
per
le
stesse
contradizioni
che
s
'
incontrano
fra
di
loro
che
il
progetto
subisce
gli
effetti
della
situazione
e
non
di
alcuna
colpa
dei
suoi
estensori
.
Se
nei
compilatori
di
quel
Progetto
può
trovarsi
una
colpa
(
e
se
questa
sia
colpa
lo
giudichino
gl
'
imparziali
)
essa
consiste
nel
non
avere
alzato
lo
stendardo
di
uno
dei
due
partiti
scientifici
che
oggi
si
contrastano
la
signoria
della
Italia
nell
'
argomento
della
penalità
;
il
partito
della
severità
e
della
intimidazione
,
ed
il
partito
della
mitezza
e
della
emenda
del
colpevole
.
Se
una
di
quelle
due
bandiere
si
fosse
recisamente
e
coraggiosamente
posta
in
fronte
al
nuovo
progetto
i
detrattori
sarebbero
stati
da
un
lato
ma
i
difensori
dall
'
altro
.
Ma
gli
uomini
chiamati
a
quello
arduo
ufficio
non
s
'
inspirarono
alle
abitudini
di
questa
o
di
quella
Provincia
;
non
alle
utopie
di
una
o
di
altra
Cattedra
,
non
alle
esigenze
delle
Curie
,
né
alle
pretese
di
coloro
che
rappresentano
l
'
autorità
e
che
tenacemente
intendono
non
solo
a
mantenerla
ma
a
circondarla
sempre
meglio
di
ferro
;
essi
s
'
inspirarono
allo
affetto
del
vero
e
del
buono
,
e
volenterosi
esposero
sé
medesimi
al
turbine
che
doveva
colpirli
.
Certamente
quel
lavoro
non
è
immune
da
errori
e
da
equivoci
,
particolarmente
nella
parte
speciale
,
e
nei
fatti
minimi
,
e
talvolta
anche
nella
forma
della
redazione
.
Ma
queste
non
sono
mende
che
possano
far
sorgere
serio
conflitto
in
un
'
aula
legislativa
.
La
questione
seria
e
di
altissimo
ed
universale
interesse
è
radicale
;
e
la
sua
soluzione
sta
per
esercitare
la
più
grande
influenza
sull
'
avvenire
d
'
Italia
:
la
questione
ridotta
ai
minimi
termini
verte
sul
concetto
fondamentale
del
nuovo
codice
.
La
questione
consiste
nel
decidere
se
debbasi
andare
innanzi
nella
via
del
progresso
civile
avvicinandosi
alla
Germania
che
seppe
trarre
così
buon
frutto
dalla
scuola
teorica
italiana
,
o
se
piuttosto
si
debba
tornare
indietro
avvicinandosi
alla
Francia
ed
a
quelle
provincie
italiane
che
più
si
lasciarono
andare
all
'
ossequio
di
quella
.
Non
è
questione
di
scienza
;
è
questione
di
civiltà
.
Ora
su
questo
palpitante
problema
io
dico
una
sola
parola
:
ed
è
che
se
deve
tornarsi
indietro
val
meglio
non
farsi
il
codice
,
e
lasciare
che
ogni
provincia
continui
a
reggersi
secondo
le
consuetudini
proprie
anziché
dare
una
solenne
sanzione
a
principii
retrivi
facendone
ingrata
importazione
in
quelle
terre
dove
non
è
più
possibile
generare
la
fede
della
loro
giustizia
senza
deteriorarne
i
costumi
,
e
così
manomettere
il
più
santo
,
il
più
bello
fra
i
doveri
dell
'
autorità
sociale
,
voglio
dire
la
missione
educativa
del
popolo
.
Questo
è
il
pensiero
che
già
adombrai
in
uno
scritto
(
1
)
[
(
1
)
Vedasi
in
questa
raccolta
l
'
opuscolo
XI
]
renduto
di
pubblica
ragione
quattro
anni
addietro
;
ed
ogni
ulteriore
osservazione
,
ogni
ulteriore
meditazione
mi
ha
confermato
in
tale
pensiero
.
Se
sia
vero
che
nei
delitti
atroci
non
si
debbano
ammettere
le
circostanze
attenuanti
(
Questioni
singolari
ad
occasione
della
Giuria
)
(
1868
)
(
dagli
Opuscoli
di
Diritto
criminale
,
Lucca
,
1870
,
vol
.
II
,
459
ss
.
)
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
Questa
proposizione
udii
cadere
dal
labbro
di
un
pubblico
Ministero
,
d
'
altronde
dottissimo
,
quando
egli
cercava
di
distogliere
i
giurati
da
ogni
movimento
di
pietà
verso
il
colpevole
di
un
omicidio
premeditato
commesso
con
un
colpo
di
coltello
.
Con
un
fino
artifizio
oratorio
declinando
ogni
discussione
sulle
circostanze
attenuanti
,
delle
quali
forse
non
era
penuria
in
quel
caso
,
egli
adagiò
la
sua
tesi
di
rigore
su
cotesta
generalità
da
lui
asserita
come
un
dettato
apodittico
di
giustizia
.
Egli
fece
bene
il
dovere
suo
come
vindice
della
società
offesa
.
Ma
se
i
giurati
allorchè
unanimi
respinsero
le
circostanze
attenuanti
si
lasciarono
sedurre
da
codesto
postulato
giuridico
,
io
dico
che
i
giurati
errarono
in
fatto
per
conseguenza
di
un
errore
di
diritto
.
Le
circostanze
attenuanti
disse
Eusebio
Selverte
essere
un
rimedio
provvisorio
.
Il
pensiero
al
quale
ispirossi
codesta
sentenza
è
sotto
il
punto
di
vista
dell
'
avvenire
l
'
identico
pensiero
al
quale
io
m
'
inspirava
anni
addietro
quando
sotto
il
punto
di
vista
del
presente
scriveva
che
le
circostanze
attenuanti
sono
un
rimedio
necessario
per
un
codice
cattivo
,
mentre
sono
una
flagrante
aberrazione
della
giustizia
sotto
un
codice
buono
.
Ma
se
le
due
sentenze
si
unificano
nel
concetto
radicale
non
è
peraltro
che
con
le
medesime
siasi
voluto
censurare
l
'
attenuanza
sotto
un
punto
astratto
di
vista
.
In
massima
nessuno
può
controvertere
questa
grande
verità
,
compenetrata
nel
sommo
principio
della
giustizia
distributiva
in
materia
penale
,
che
nel
misurare
la
imputazione
debba
aversi
riguardo
ad
ogni
più
piccola
circostanza
per
la
quale
si
modifichi
il
delitto
così
nella
sua
forza
oggettiva
come
nella
sua
forza
soggettiva
(
lo
che
noi
chiamiamo
quantità
e
grado
del
delitto
)
e
che
nel
tempo
stesso
debba
modificarsi
la
pena
per
virtù
di
certe
circostanze
estrinseche
al
delitto
,
ma
inerenti
allo
individuo
al
quale
vuole
applicarsi
la
pena
,
e
per
certe
specialità
per
le
quali
la
medesima
applicata
nel
suo
rigore
riuscirebbe
contraria
o
al
pubblico
bene
,
o
alla
coscienza
universale
;
lo
che
noi
chiamiamo
diminuenti
la
pena
.
Questo
non
può
in
punto
astratto
controvertersi
senza
immolare
impudentemente
la
giustizia
ad
uno
stoicismo
crudele
.
Ciò
che
da
noi
si
volle
criticare
è
unicamente
lo
indefinito
nel
quale
le
leggi
di
Francia
,
ed
i
codici
che
le
imitarono
,
lasciano
le
circostanze
attenuanti
.
Indefinito
terribile
per
cui
si
converte
spesso
in
una
operazione
del
cuore
quella
che
dovrebbe
essere
opera
della
ragione
;
e
si
ammettono
o
si
negano
le
attenuanti
sulla
guida
di
un
sentimento
o
di
pietà
o
di
ribrezzo
che
seppe
nell
'
animo
dei
giurati
eccitare
la
rettorica
del
difensore
,
o
quella
del
pubblico
Ministero
.
Sente
ognuno
come
per
siffatto
sistema
la
giustizia
abbandonisi
alla
balìa
di
un
'
onda
infida
e
variabile
,
e
debbano
vedersi
(
come
pur
troppo
si
veggono
in
pratica
)
delle
oscillazioni
di
pietà
e
di
rigore
le
quali
affievoliscono
nel
popolo
che
riflette
la
fede
della
punitiva
giustizia
.
Molti
moderni
legislatori
fecero
dei
lodevoli
tentativi
per
togliere
la
penalità
da
coteste
incertezze
.
Il
codice
Spagnuolo
del
1848
,
il
codice
Austriaco
del
1852
,
si
provarono
a
definire
ed
a
circoscrivere
quelle
circostanze
che
sole
potevano
ammettersi
,
a
parer
loro
,
come
attenuanti
:
il
progetto
Portoghese
andò
ancora
più
innanzi
;
ed
oltre
a
circoscrivere
le
attenuanti
e
le
aggravanti
volle
distinguerle
in
classi
diverse
ed
assegnare
a
ciascuna
di
loro
il
respettivo
valore
,
determinandone
per
cotal
guisa
e
la
ammissibilità
ed
il
grado
relativo
di
efficacia
minoratrice
.
Questi
tentativi
,
meritevoli
senza
dubbio
di
plauso
,
non
hanno
ancora
recato
peraltro
la
piena
luce
su
tale
argomento
,
perché
da
tutti
quei
legislatori
si
è
voluto
procedere
per
via
di
contemplazione
generale
,
e
definire
una
serie
di
attenuanti
che
fossero
comuni
a
tutti
i
malefizi
,
ed
in
tutti
dare
a
ciascuna
di
quelle
uno
eguale
influsso
.
E
questo
è
il
difetto
del
nuovo
sistema
;
difetto
minore
dello
indefinito
,
ma
pur
sempre
difetto
.
Perché
sebbene
alcune
circostanze
possano
accettarsi
come
generali
ed
attenuanti
qualsisia
forma
delittuosa
,
molte
ve
ne
ha
che
debbono
considerarsi
come
proprie
di
alcuni
reati
ed
indifferenti
in
reati
diversi
,
ed
altre
molte
ve
ne
ha
che
in
un
reato
funzionano
come
attenuanti
,
mentre
forse
in
un
reato
diverso
dovrebbero
funzionare
come
aggravanti
.
Ma
lasciamo
di
questo
che
è
troppo
grave
argomento
.
Le
leggi
che
governano
la
giustizia
penale
in
Italia
hanno
oggi
ad
imitazione
della
Francia
lasciato
alla
balia
dei
giurati
il
solo
riconoscimento
delle
circostanze
attenuanti
e
limitato
solo
entro
certi
confini
la
valutazione
della
loro
efficacia
,
consegnando
tale
valutazione
al
calcolo
e
giudizio
delle
Corti
.
In
questo
indefinito
potrà
essa
figgere
lo
sguardo
la
scienza
?
Potranno
i
cultori
del
giure
penale
studiarsi
di
tracciare
una
qualche
linea
che
serva
di
guida
alla
coscienza
del
giurato
,
onde
non
si
muova
per
un
solo
moto
di
simpatia
a
cui
dovrebbe
esser
sordo
,
o
per
una
contemplazione
della
pena
,
alla
quale
egli
non
dovrebbe
pensare
?
Io
credo
che
ciò
entro
certi
confini
si
possa
.
E
quel
pubblico
Ministero
che
pronunciò
la
sentenza
non
doversi
ammettere
le
circostanze
attenuanti
nei
delitti
atroci
evidentemente
cerò
di
segnare
una
linea
che
fosse
un
regolo
costante
alla
coscienza
dei
giurati
;
subordinando
così
ad
un
asserto
principio
giuridico
ciò
che
nel
concetto
della
nostra
legge
dovrebbe
essere
un
puro
giudizio
di
fatto
.
Ma
codesta
linea
a
mio
credere
è
falsa
e
pericolosa
.
E
tale
la
dimostra
la
ragione
,
e
l
'
autorità
.
In
primo
luogo
è
a
dimandarsi
cosa
s
'
intenda
per
delitto
atroce
?
Nel
linguaggio
degli
antichi
giuristi
si
dicevano
atroci
tutti
i
delitti
gravi
.
Si
disse
atroce
in
molti
casi
fino
la
ingiuria
.
Sicchè
anche
la
parola
atroci
altro
non
è
che
un
indefinito
il
quale
può
avere
un
senso
quando
si
adopra
in
un
punto
di
vista
comparatico
,
ma
non
può
averlo
giammai
in
un
senso
assoluto
.
In
faccia
al
sentimento
di
un
uomo
mite
e
civile
ogni
omicidio
è
un
delitto
atroce
;
più
atroce
ancora
se
fu
premeditato
.
Nessuno
potrà
ricusarsi
ad
un
sentimento
di
ribrezzo
verso
un
essere
tanto
aberrante
dalla
umanità
da
calcolare
freddamente
i
modi
di
spegnere
una
creatura
simile
a
lui
.
Ma
per
simile
ribrezzo
,
per
simile
atrocità
,
per
simile
aberrazione
della
umana
natura
dovrà
egli
dirsi
che
tutti
gli
omicidi
respingono
ogni
possibilità
di
attenuanza
,
o
che
la
respingono
almeno
tutti
gli
omicidi
commessi
con
fredda
deliberazione
?
La
pratica
universale
rinnega
codesta
dottrina
.
La
ragione
invece
suggerisce
spontaneo
il
pensiero
che
ai
delitti
più
gravi
minacciando
la
legge
una
pena
più
severa
,
e
spesso
la
più
severa
di
tutte
,
quella
cioè
nella
quale
si
estrinseca
lo
estremo
supplizio
sotto
qualunque
forma
lo
accolga
la
legge
;
si
può
appunto
nei
delitti
più
gravi
correre
con
minore
pericolo
ad
ammettere
le
attenuanze
.
Operandosi
per
queste
la
diminuzione
di
un
grado
,
la
pena
inferiore
rimarrà
sempre
gravissima
;
né
vi
sarà
luogo
a
temere
la
sua
inettitudine
ai
bisogni
della
pubblica
tranquillità
.
L
'
atrocità
di
un
delitto
non
potendo
al
fine
di
che
si
parla
ravvisarsi
nel
solo
fatto
di
avere
volontariamente
sparso
il
sangue
del
nostro
simile
,
potrà
essa
trovarsi
nei
modi
coi
quali
fu
consumato
l
'
omicidio
?
Alcuni
legislatori
lo
pensarono
.
E
(
sotto
la
formula
di
atti
di
barbarie
)
i
tormenti
esercitati
contro
la
vittima
,
e
le
crudeltà
raffinate
con
le
quali
il
colpevole
non
pago
di
toglier
la
vita
al
nemico
aveva
voluto
ancora
pascere
la
propria
immanità
nei
patimenti
di
quella
,
furono
agli
occhi
loro
sufficiente
ragione
per
costituire
una
speciale
qualifica
tanto
grave
da
condurre
di
per
sé
sola
allo
estremo
supplizio
.
Discordarono
altri
da
siffatto
modo
di
vedere
,
almeno
come
proposizione
generale
;
e
l
'
autore
del
codice
Spagnuolo
,
lo
illustre
e
dotto
Pacecho
troppo
presto
dallo
infausto
colera
rapito
alla
scienza
e
ai
desiderio
degli
amici
,
propugnò
la
opposta
dottrina
,
osservando
con
molta
verità
che
simili
eccessi
aberranti
dalla
umana
natura
quando
si
esercitavano
contro
un
nemico
mostravano
un
tal
grado
di
esaltazione
di
spirito
,
e
la
pressione
di
un
affetto
così
delirante
da
condurre
alla
conseguenza
del
tutto
contraria
nel
calcolo
della
imputazione
.
Ma
sia
che
vuolsi
delle
due
opposte
dottrina
,
per
la
questione
che
adesso
considero
mi
sembra
indifferente
:
perché
o
la
legge
che
governa
le
sorti
dello
accusato
non
ha
previsto
simile
circostanza
come
qualifica
dell
'
omicidio
,
o
l
'
ha
prevista
.
Se
non
l
'
ha
preveduta
in
presenza
di
tanti
codici
che
la
prevedono
vuol
dire
che
ha
trovato
giusto
di
non
farne
un
'
aggravante
assoluta
:
ed
il
pubblico
Ministero
che
volesse
imporre
ai
giurati
come
regola
costante
di
non
ammettere
le
attenuanti
dove
concorrono
atti
di
crudeltà
,
non
solo
anderebbe
oltre
la
lettera
della
legge
,
ma
anderebbe
apertamente
a
ritroso
del
pensiero
del
legislatore
,
il
quale
col
non
costituirne
un
'
aggravante
perpetua
mostrò
di
riconoscere
potervi
essere
non
infrequenti
casi
nei
quali
non
fosse
tale
.
Se
poi
la
legge
che
ci
governa
abbia
di
simile
concomitante
avuto
riguardo
per
costituirne
un
aggravamento
speciale
,
il
giurato
che
valuti
la
medesima
per
negare
le
attenuanti
pecca
della
più
flagrante
ingiustizia
.
Esso
ha
giù
tenuto
il
debito
calcolo
di
tale
concomitante
quando
ha
risposto
affermativamente
alla
relativa
questione
,
e
con
ciò
ha
portato
il
giudicabile
ad
una
pena
esasperata
.
Se
poscia
per
la
medesima
concomitante
egli
si
determina
a
negare
le
attenuanti
cade
in
una
ingiusta
duplicazione
del
calcolo
.
Lo
effetto
che
la
legge
voleva
si
operasse
da
siffatta
aggravante
,
la
legge
lo
ha
già
determinato
,
ed
ha
stabilito
un
'
aggiunta
al
castigo
senza
per
altro
negare
neppure
allora
al
giurato
la
facoltà
di
attenuare
.
Codesto
giurato
pertanto
si
mostra
più
severo
della
legge
e
pone
due
volte
sulla
propria
bilancia
lo
stesso
elemento
.
Questa
osservazione
può
esser
fatta
sotto
un
punto
di
vista
più
generale
;
essa
è
comune
tanto
alle
aggravanti
quanto
alle
minoranti
.
Ad
un
giurato
che
abbia
negato
le
attenuanti
in
un
omicidio
premeditato
,
e
le
abbia
ammesse
in
un
omicidio
provocato
,
dimandate
perché
abbia
agito
in
codesta
guisa
.
Se
egli
ingenuamente
vi
risponde
;
le
negai
nel
primo
caso
perché
vi
era
la
premeditazione
e
le
ammisi
nel
secondo
caso
perché
vi
era
la
provocazione
,
rispondete
francamente
che
esso
è
caduto
in
un
gravissimo
errore
,
ed
ha
in
ambo
i
casi
commesso
una
ingiustizia
duplicando
il
calcolo
o
della
aggravante
,
o
della
minorante
.
Ambedue
queste
circostanze
erano
già
valutate
dalla
legge
in
tutta
la
loro
portata
giuridica
;
al
giurato
la
legge
commetteva
di
riconoscerne
la
esistenza
di
fatto
,
non
già
di
farne
una
seconda
valutazione
.
Lo
stesso
ripetasi
dello
scasso
nel
furto
,
o
della
quantità
del
tolto
dove
la
medesima
fu
tenuta
a
calcolo
dal
legislatore
.
I
giurati
di
Francia
che
vivono
sotto
una
legge
la
quale
eguaglia
nella
pena
il
furto
di
un
franco
al
furto
di
diecimila
,
potranno
benissimo
nei
congrui
casi
trovare
l
'
attenuanza
nella
modicità
del
tolto
,
perché
quello
che
il
legislatore
respinse
come
criterio
assoluto
è
rilasciato
alla
libertà
della
loro
valutazione
come
criterio
speciale
.
Ma
errerebbero
a
mio
parere
i
giurati
che
procedessero
ugualmente
in
Toscana
dove
il
legislatore
ha
dato
alla
quantità
del
tolto
quella
valutazione
che
ha
creduto
doverosa
.
Ma
forse
tornerò
altra
volta
più
in
lungo
su
questo
argomento
.
Giovi
intanto
osservare
sotto
un
punto
di
vista
meramente
generale
che
le
circostanze
attenuanti
hanno
un
modo
di
essere
tutto
loro
proprio
e
spessissimo
indipendente
dalle
circostanze
essenziali
di
un
malefizio
e
da
quelle
concomitanti
che
ne
modificano
la
quantità
,
o
che
lo
degradano
nelle
sue
forze
.
Questo
modo
di
essere
tutto
intrinseco
può
avere
una
vita
indipendente
dalla
natura
del
reato
,
e
perciò
comune
a
tutti
i
reati
,
e
può
avere
una
vita
connessa
con
una
certa
forma
di
reati
in
quanto
possa
assumere
l
'
aspetto
di
causa
impellente
al
medesimo
,
o
di
conseguenza
derivatane
:
ma
sempre
per
un
'
indole
tutta
specifica
.
Giovi
mostrarlo
con
gli
esempi
.
La
ultronea
dedizione
in
mano
della
giustizia
,
la
spontanea
confessione
del
proprio
fallo
,
gli
atti
coi
quali
siasi
dal
colpevole
cercato
di
riparare
al
male
cagionato
,
la
buona
condotta
antecedente
scevra
di
macchia
,
la
trascurata
educazione
del
colpevole
,
che
nella
sua
giovinezza
fu
lasciato
miseramente
privo
di
ogni
cultura
morale
,
sono
circostanze
attenuanti
comuni
a
qualunque
malefizio
;
come
possono
essere
circostanze
speciali
nel
furto
la
urgenza
di
straordinari
bisogni
;
e
nei
delitti
di
sangue
una
eccezionale
e
quasi
morbosa
irritabilità
di
temperamento
.
Or
bene
:
se
la
ragione
consiglia
che
siffatte
circostanze
debbano
accogliersi
come
attenuanti
dov
'
è
il
plausibile
motivo
pel
quale
alle
medesime
debba
ogni
riguardo
negarsi
in
certi
delitti
perché
essi
sono
più
gravi
?
Se
sono
più
gravi
la
legge
gli
ha
anche
più
gravemente
puniti
;
sicchè
la
pena
diminuita
subisce
sempre
quel
rapporto
di
calcolo
proporzionale
che
la
legge
stabilì
per
la
pena
non
diminuita
.
E
se
sotto
il
pretesto
della
gravità
del
delitto
non
si
valuta
in
un
caso
quell
'
attenuante
che
si
valutò
in
altro
caso
si
pecca
contro
la
giustizia
distributiva
,
perché
si
porta
alla
identica
pena
i
due
autori
di
fatti
consimili
i
quali
presentavano
tra
loro
la
differenziale
che
l
'
uno
era
un
birbo
matricolato
,
e
l
'
altro
un
galantuomo
stimato
fino
a
quel
giorno
,
e
riverito
da
tutti
.
È
questa
la
considerazione
che
debbono
avere
i
giurati
sempre
fissa
nell
'
animo
loro
:
di
non
adeguar
mai
,
per
quanto
da
loro
si
può
,
i
giudicabili
che
versano
in
condizioni
disperate
.
Se
il
confronto
si
presentasse
ai
giurati
in
un
solo
tratto
e
congiuntamente
,
io
sono
certissimo
che
il
senso
morale
li
preserverebbe
da
tale
aberrazione
.
Suppongasi
che
abbiano
a
giudicare
due
correi
del
medesimo
delitto
,
e
sia
pure
un
delitto
atrocissimo
.
Ma
uno
degli
accusati
è
un
vecchio
scellerato
,
che
ha
pertinacemente
negato
,
e
dopo
il
fatto
non
ha
dato
segni
di
pentimento
;
l
'
altro
invece
era
un
onesto
padre
di
famiglia
;
mostrossi
amaramente
pentito
;
confessò
e
riprovò
ingenuamente
il
proprio
trascorso
;
e
cercò
per
quanto
poteva
di
ripararvi
.
Credete
voi
che
i
giurati
chiamati
in
tal
guisa
a
decidere
prima
sull
'
attenuanza
rispetto
all
'
uno
,
poi
sull
'
attenuanza
rispetto
all
'
altro
nel
medesimo
verdetto
,
non
sentissero
ribrezzo
di
dare
una
identica
risposta
negativa
per
ambedue
circa
le
attenuanti
?
Credete
voi
che
non
si
presentasse
agli
occhi
loro
palpabile
tutta
la
iniquità
di
parificare
nella
pena
uno
scellerato
ed
uno
infelice
vittima
di
momentanea
aberrazione
?
No
:
io
sono
certo
che
ogni
uomo
gentile
ponendo
la
mano
sulla
propria
coscienza
deve
rispondere
,
no
:
ciò
non
può
essere
,
ciò
non
si
farebbe
da
noi
:
si
negherebbero
le
attenuanti
al
primo
;
si
ammetterebbero
al
secondo
,
e
così
il
supremo
debito
della
giustizia
distributiva
sarebbe
soddisfatto
.
Ebbene
:
ciò
che
voi
avreste
repugnanza
a
fare
in
un
unico
verdetto
,
voi
siete
spinti
a
farlo
in
due
verdetti
successivi
,
quando
vi
si
grida
che
nei
delitti
atroci
non
dovete
ammettere
circostanze
attenuanti
.
Disingannatevi
da
tale
errore
.
La
legge
giudica
il
fatto
criminoso
e
non
l
'
uomo
,
chè
non
può
giudicarlo
perché
non
lo
conosce
.
Voi
giudicate
il
fatto
indipendentemente
dall
'
uomo
quando
vi
pronunziate
sulle
circostanze
materiali
che
accompagnarono
il
delitto
:
voi
dovete
poscia
giudicar
l
'
uomo
indipendentemente
dal
fatto
quando
siete
richiamati
a
decidere
se
l
'
accusato
sia
o
no
meritevole
d
'
indulgenza
.
Ecco
qual
'
è
lo
spirito
della
legge
che
vi
governa
;
ecco
ciò
che
la
ragione
vi
detta
.
Né
manca
alla
mia
tesi
il
presidio
dell
'
autorità
.
Né
tale
autorità
io
voglio
cercare
nella
storia
dei
verdetti
stranieri
,
perché
non
voglio
portare
come
autorità
classica
la
pratica
di
quegli
uomini
i
quali
possono
aver
subito
lo
influsso
d
'
impulsi
speciali
quando
procederono
ad
ammettere
l
'
attenuanza
per
Madama
Lafarges
che
col
sorriso
sulle
labbra
,
e
fra
gli
amplessi
di
amore
aveva
continuato
a
porgere
per
lunghi
mesi
al
fidente
marito
il
micidiale
veleno
,
e
per
tanti
altri
atrocissimi
delinquenti
di
troppo
famosa
celebrità
.
Io
tratto
le
questioni
di
fatto
sotto
un
punto
di
vista
giuridico
in
quanto
la
questione
giuridica
(
vogliasi
o
no
)
può
compenetrarsi
con
le
medesime
,
e
non
posso
proporre
come
autorità
decisioni
dettate
dal
sentimento
.
L
'
autorità
alla
quale
faccio
appello
è
quella
dei
tre
legislatori
,
di
Spagna
,
di
Austria
,
e
di
Portogallo
,
i
quali
fecero
precetto
che
si
dovesse
sempre
diminuire
la
pena
quando
concorreva
alcuna
delle
attenuanti
da
loro
definite
e
circoscritte
:
e
non
fecero
limitazione
nessuna
per
l
'
atrocità
del
delitto
.
Quando
segnarono
la
buona
condotta
antecedente
dell
'
accusato
come
circostanza
possibilmente
attenuante
ogni
e
qualunque
sorta
di
malefizio
,
quando
riconobbero
uguale
virtù
nella
trascurata
educazione
e
nella
mancata
cultura
del
giudicabile
senza
riguardo
alla
natura
delle
delinquenze
,
essi
fecero
solenne
protesta
contro
la
pretesa
regola
dell
'
inammissibilità
delle
attenuanti
nei
delitti
atroci
.
Il
giurato
non
meno
che
il
giudice
il
quale
vuole
distinguere
dove
non
distingue
la
legge
,
la
fa
da
legislatore
;
lo
che
,
specialmente
ad
effetto
odioso
,
da
lui
non
si
può
.
Se
i
legislatori
italiani
non
hanno
proceduto
con
uguale
circoscrizione
hanno
proceduto
però
ancor
essi
ugualmente
senza
distinguere
;
e
il
difetto
della
distinzione
arbitraria
con
cui
si
vogliano
intrudere
nella
legge
dei
limiti
che
la
medesima
non
dettò
e
tanto
più
intollerabile
quanto
più
fu
larga
la
libertà
che
la
legge
consegnò
ai
giudicanti
.
L
'
autorità
che
io
qui
invoco
è
quella
della
Suprema
Corte
di
giustizia
in
Vienna
.
Consesso
rispettabilissimo
per
sapienza
,
e
le
cui
decisioni
si
tengono
come
autorevolissime
in
tutta
Lamagna
.
Potrei
noverare
moltissimi
esempi
di
delitti
atrocissimi
nei
quali
senza
esitazione
quella
Corte
Suprema
ammise
le
attenuanti
.
Ma
troppo
mi
dilungherei
.
Mi
limiterò
ad
indicarne
uno
perché
in
termini
di
speciale
gravità
,
e
che
venne
recentemente
riprodotto
nell
'
Eco
dei
tribunali
al
N
.
1632
.
Una
donna
questuante
vagava
con
due
suoi
figli
frutto
di
illegittimi
amori
,
l
'
uno
dei
quali
aveva
dodici
anni
l
'
altro
ne
aveva
quattro
.
Il
piccolo
bambino
piangeva
per
via
a
causa
del
fastidio
che
lo
vessava
.
La
donna
irritata
di
quel
piangere
lo
minacciò
di
piantargli
un
coltello
nella
gola
se
non
taceva
.
Ma
il
miserello
continuava
nei
gemiti
suoi
.
La
barbara
madre
giunta
in
vicinanza
di
un
fosso
ripieno
di
acqua
ordinò
al
figlio
maggiore
che
il
fratello
quadrienne
togliesse
seco
,
e
lo
annegasse
in
quel
fosso
.
Il
piglio
puntualmente
obbedì
agli
ordini
della
novella
Medea
,
e
ricongiuntosi
con
la
madre
continuarono
entrambo
tranquillamente
il
loro
viaggio
.
Volle
fortuna
che
gente
sopravvenuta
salvasse
quel
bambino
;
onde
non
trattossi
di
altra
accusa
che
quella
di
tentato
omicidio
.
I
tribunali
inferiori
condannarono
quella
donna
a
sei
anni
di
carcere
duro
.
Ricorse
essa
alla
Suprema
Corte
di
giustizia
di
Vienna
,
e
questa
con
giudicato
del
15
aprile
1857
dichiarò
che
concorrevano
le
due
circostanze
attenuanti
della
mancata
cultura
,
e
della
antecedente
condotta
irreprensibile
,
e
ridusse
il
carcere
duro
a
quattro
anni
.
Poiché
ognuno
sente
nel
cuore
che
un
delitto
più
atroce
e
barbaro
di
questo
non
può
forse
immaginarsi
,
questo
giudicato
valga
a
mostrare
ciò
che
documentare
potrei
con
altri
innumerevoli
esempi
,
vale
a
dire
che
pei
tribunali
composti
di
giureconsulti
l
'
atrocità
del
crimine
non
si
tiene
come
buona
ragione
per
negare
le
circostanze
attenuanti
;
e
che
la
nuova
proposizione
di
diritto
che
nei
delitti
atroci
non
siano
ammissibili
le
circostanze
attenuanti
altro
non
è
che
uno
sleale
artifizio
oratorio
col
quale
un
accusatore
anelante
severità
cerca
d
'
illudere
la
inesperienza
della
giuria
.
Finalmente
io
non
ho
bisogno
di
cercare
altrove
il
conforto
dell
'
autorità
alla
mia
tesi
.
Io
la
trovo
eloquentissima
nello
stesso
codice
Toscano
.
Il
legislatore
toscano
aborrì
(
e
sapiente
com
'
era
non
poteva
non
aborrirlo
)
il
sistema
delle
circostanze
attenuanti
.
Ei
non
ammise
per
nessun
delitto
che
le
considerazioni
estrinseche
ed
i
riguardi
alla
persona
del
giudicabile
potessero
eliminare
la
pena
ordinaria
da
lui
stabilita
contro
ciascun
reato
.
Ad
onta
di
tanta
avversione
il
legislatore
toscano
una
sola
volta
,
all
'
art
.
309
§
.
2
,
accettò
il
sistema
delle
attenuanti
e
per
un
solo
caso
.
E
qual
caso
era
questo
?
Precisamente
l
'
omicidio
premeditato
.
Ora
si
venga
a
spacciare
ai
giurati
come
regola
di
assoluta
giustizia
che
nei
delitti
atroci
non
sono
ammissibili
le
attenuanti
!
Pisa
1868
.