StampaPeriodica ,
Tra
le
difficoltà
della
critica
letteraria
(
e
,
converrebbe
dire
,
di
ogni
discorso
)
è
che
non
si
può
nella
pratica
di
essa
non
introdurre
,
insieme
coi
concetti
scientificamente
rigorosi
,
altri
che
non
sono
tali
e
che
,
interpretati
poi
con
rigidezza
,
danno
origine
a
pedanterie
ed
errori
,
talvolta
assai
gravi
.
Sono
espedienti
,
senza
dubbio
,
alquanto
pericolosi
,
ma
dei
quali
non
si
può
far
di
meno
;
onde
non
rimane
altro
partito
che
aver
fiducia
nel
lettore
intelligente
.
Come
si
fa
a
scrivere
di
critica
senza
parlare
,
per
es
.
,
talvolta
o
spesso
,
di
metro
,
stile
,
ritmo
,
rima
,
metafore
,
figure
,
realismo
,
simbolo
,
romanzo
,
tragedia
,
lirismo
,
drammatismo
,
musicalità
,
pittoresco
,
scultorio
,
e
via
discorrendo
?
E
,
tuttavia
,
nessuno
di
questi
termini
risponde
a
un
concetto
scientifico
esatto
.
Il
proposito
di
tenersene
libero
e
immune
sarebbe
non
meno
ingenuo
della
pretesa
di
liberarsi
del
linguaggio
,
ossia
di
saltare
sulla
propria
ombra
.
Ciò
che
importa
è
che
quei
concetti
empirici
non
vengano
scambiati
per
teorie
scientifiche
;
che
di
quei
vocaboli
s
'
intenda
il
limite
,
ossia
l
'
ufficio
loro
,
che
è
di
vocaboli
e
non
già
di
pensieri
;
che
se
ne
faccia
uso
pratico
e
non
si
pretenda
,
col
possederli
,
possedere
insieme
una
dottrina
filosofica
.
Questo
e
non
altro
è
il
significato
della
polemica
che
vado
conducendo
da
un
pezzo
contro
di
essi
:
contro
di
essi
,
non
in
quanto
vocaboli
(
ché
anzi
intendo
riserbarmi
pienissimo
il
diritto
di
servirmene
anch
'
io
,
quando
mi
accomodano
)
,
ma
in
quanto
vocaboli
gonfiati
a
teorie
.
Nella
Miscellanea
di
studî
critici
in
onore
di
Arturo
Graf
si
legge
un
lavoro
del
Vossler
:
Stil
,
Rhythmus
und
Reim
in
ihrer
Wechselwirkung
bei
Petrarca
und
Leopardi
,
che
è
tutto
riempito
,
e
come
travagliato
,
dalla
coscienza
circa
il
valore
limitato
delle
distinzioni
,
che
pure
l
'
autore
foggia
e
adopera
.
Il
Vossler
,
analizzando
alcuni
sonetti
del
Petrarca
e
alcune
canzoni
del
Leopardi
,
e
facendo
osservazioni
circa
le
attitudini
poetiche
di
vari
popoli
e
le
forme
poetiche
proprie
di
determinati
tempi
e
di
determinati
temperamenti
di
poeti
,
distingue
,
per
comodo
d
'
indagine
,
una
versificazione
stilistica
e
una
versificazione
acustica
.
Posti
i
quattro
accenti
,
ritmico
,
tonico
,
sintattico
e
stilistico
,
egli
chiama
ritmo
rigorosamente
stilistico
quello
in
cui
tutti
i
quattro
accenti
vanno
d
'
accordo
;
ritmo
acustico
,
quello
in
cui
l
'
accento
stilistico
diverge
;
e
,
principali
casi
intermedi
tra
questi
estremi
,
quello
in
cui
coincidono
tre
accenti
ma
non
il
tonico
,
e
l
'
altro
in
cui
l
'
accento
sintattico
si
allontana
dal
ritmico
.
Analogamente
,
la
rima
si
può
distinguere
in
rima
stilistica
,
quando
cadono
sopra
di
essa
così
l
'
arsi
ritmica
come
quella
stilistica
;
e
in
rima
acustica
,
nel
caso
opposto
(
nell
'
enjambement
)
.
Vi
sono
tipi
di
poesie
in
prevalenza
acustiche
,
e
altre
in
prevalenza
stilistiche
;
e
tipi
misti
,
nei
quali
la
rima
è
acustica
e
il
ritmo
stilistico
,
o
la
rima
stilistica
e
il
ritmo
acustico
.
Ma
il
Vossler
non
solamente
sa
e
dichiara
a
più
riprese
che
codeste
distinzioni
non
sono
giudizi
estetici
,
potendo
essere
bellissima
così
una
poesia
di
tipo
stilistico
come
una
di
tipo
acustico
,
e
bellissimi
(
egli
dice
)
versi
,
in
cui
il
ritmo
sia
sacrificato
allo
stile
,
e
all
'
inverso
;
ma
sa
anche
,
e
dichiara
,
che
la
sua
distinzione
fondamentale
è
affatto
arbitraria
.
Non
esiste
dualismo
tra
acustico
e
psichico
o
stilistico
:
ogni
espressione
stilistica
è
insieme
acustica
,
e
all
'
inverso
:
la
distinzione
,
proposta
da
lui
,
è
semplice
espediente
verbale
(
Nothbehelf
)
.
Egli
si
rifiuta
perciò
di
moltiplicare
i
tipi
dei
sonetti
,
temendo
di
foggiare
un
troppo
pesante
schematismo
e
cadere
in
pedanterie
;
e
pedanteria
chiama
,
infine
,
la
sua
stessa
partizione
di
rima
e
ritmo
in
stilistici
e
acustici
,
mettendo
in
guardia
contro
la
pretesa
di
staccare
suono
e
significato
in
poesia
,
come
,
in
genere
,
contro
ogni
divisione
meccanica
di
ciò
che
è
organico
.
"
Pure
non
si
dimentichi
(
egli
aggiunge
)
che
il
modo
corrente
di
considerare
la
metrica
divisa
dallo
stile
è
pedanteria
egualmente
grande
;
e
ci
si
perdonerà
se
abbiamo
tentato
di
scacciare
il
diavolo
con
Belzebù
"
(
pp
.
480-1
)
.
Pedanteria
l
'
una
e
pedanteria
l
'
altra
;
ma
non
pedanteria
né
l
'
una
né
l
'
altra
,
quando
così
le
distinzioni
del
Vossler
come
quelle
della
metrica
usuale
si
adoperino
senza
attribuire
loro
quel
valore
di
verità
,
al
quale
non
pretendono
.
Il
punto
è
sempre
questo
:
se
la
letteratura
è
fatto
estetico
,
essa
non
può
essere
indagata
in
quanto
letteratura
se
non
in
modo
conforme
alla
sua
natura
,
cioè
esteticamente
(
critica
estetica
o
storia
artistica
,
da
una
parte
;
ed
estetica
o
filosofia
dell
'
arte
,
dall
'
altra
)
.
Ogni
altra
indagine
che
si
proponga
di
cogliere
in
qualsiasi
modo
la
letteratura
in
quanto
letteratura
e
insieme
di
evitare
lo
studio
estetico
non
ha
speranza
di
buona
riuscita
.
Sarà
un
espediente
(
un
Nothbehelf
,
come
ben
lo
denomina
il
Vossler
)
;
ma
adoperare
un
espediente
non
significa
compiere
un
'
indagine
scientifica
.
Perché
mai
il
Vossler
vuole
che
non
s
'
insista
troppo
su
quelle
sue
partizioni
,
e
che
esse
non
siano
usate
rigidamente
?
La
verità
è
rigorosa
,
e
non
le
si
fa
torto
con
l
'
osservarla
rigidamente
.
Ma
egli
ha
coscienza
che
quelle
partizioni
non
sono
scientifiche
,
e
che
trattarle
come
tali
sarebbe
abusarne
.
La
Metrica
,
se
non
vuoi
essere
cosa
assurda
,
non
ha
se
non
due
vie
dinanzi
:
o
rassegnarsi
a
essere
semplicemente
Metrica
,
cioè
schematismo
mnemonico
;
o
trasformarsi
in
Estetica
,
cioè
annullarsi
in
quanto
Metrica
.
II
Ma
io
ho
,
da
qualche
tempo
,
come
un
conto
aperto
col
mio
valoroso
amico
Vossler
,
e
voglio
liquidarlo
ora
che
me
ne
fornisce
egli
medesimo
i
fondi
.
Anni
addietro
,
discussi
con
lui
intorno
a
certe
teorie
del
Gröber
sulla
sintassi
e
la
stilistica
,
negando
a
quelle
teorie
carattere
di
scienza
e
di
criterio
valutativo
.
Sembrava
che
si
trattasse
di
una
questione
del
tutto
finita
;
ma
,
di
recente
,
a
proposito
di
alcuni
lavori
del
Lisio
e
del
Trabalza
,
il
Vossler
è
tornato
a
sostenere
,
almeno
in
parte
,
quelle
teorie
e
a
muovermi
alcune
obiezioni
.
Egli
dice
che
il
Gröber
non
vuole
fare
punto
critica
estetica
,
sì
bene
un
pretto
studio
grammaticale
.
Il
che
io
avevo
compreso
da
un
pezzo
;
ma
la
mia
obiezione
era
che
la
grammatica
non
possa
dar
luogo
a
concetti
rigorosi
,
speculativamente
validi
:
proprio
come
di
sopra
abbiamo
conchiuso
circa
la
Metrica
.
Prendo
un
esempio
che
il
Vossler
reca
.
Lo
svolgimento
storico
delle
lingue
romanze
(
egli
dice
)
condusse
a
porre
il
verbo
innanzi
all
'
oggetto
;
ma
restano
sparse
sopravvivenze
della
collocazione
latina
nel
francese
in
frasi
come
sans
coup
ferir
,
e
,
se
nell
'
italiano
moderno
non
si
conosce
nessuna
di
queste
sopravvivenze
,
nell
'
antico
se
ne
ha
qualche
esempio
.
Quando
perciò
Dante
dice
:
"
E
par
che
sia
una
cosa
venuta
Di
cielo
in
terra
a
miracol
mostrare
"
,
fa
una
inversione
affettiva
,
che
reca
insieme
un
leggiero
profumo
di
cosciente
arcaismo
.
E
di
rimando
io
osservo
:
-
Perché
inversione
affettiva
?
non
è
affettivo
lo
stile
di
Dante
,
anche
quando
non
adopera
siffatta
inversione
?
e
,
se
l
'
affettività
non
è
qualificata
necessariamente
dall
'
inversione
,
se
affettività
e
inversione
non
sono
il
medesimo
,
che
cosa
è
allora
l
'
inversione
?
come
si
stabilisce
?
rispetto
a
che
cosa
è
inversione
?
-
Fino
a
quando
non
si
risponde
a
codeste
obiezioni
scettiche
(
e
rispondervi
mi
sembra
difficile
)
,
una
scienza
grammaticale
e
non
estetica
della
forma
letteraria
rimane
priva
di
fondamento
.
Ed
ecco
un
altro
esempio
,
fornito
dallo
stesso
Vossler
.
Il
modo
congiuntivo
delle
parole
flessibili
serve
sempre
e
unicamente
in
tutte
le
lingue
romanze
a
esprimere
una
cosa
non
,
come
si
credeva
prima
,
in
quanto
irreale
o
in
quanto
ipotetica
,
ma
in
quanto
pensata
.
Onde
il
Gröber
dice
:
"
Der
Konjunktiv
ist
der
Modus
des
Gedachten
"
.
Scrive
il
Pellico
nel
principio
de
Le
mie
prigioni
:
"
Il
custode
...
si
fece
da
me
rimettere
con
gentile
invito
...
orologio
,
danaro
e
ogni
altra
cosa
ch
'
io
avessi
in
tasca
"
.
Il
custode
,
dunque
,
da
spia
e
aguzzino
ch
'
egli
è
per
natura
,
non
si
contenta
del
contenuto
reale
della
tasca
del
Pellico
;
desidera
non
quello
che
c
'
è
,
ma
quello
che
,
secondo
la
sua
sospettosa
immaginazione
,
ci
può
essere
.
Ora
non
c
'
è
congiuntivo
che
non
sia
adoperato
così
;
quantunque
il
Grbber
si
guardi
bene
dal
sostenere
l
'
inverso
,
ossia
che
,
per
esprimere
una
cosa
in
quanto
pensata
,
sia
indispensabile
il
congiuntivo
.
-
E
io
osservo
:
-
Ottimamente
;
ma
che
cosa
è
il
modo
?
e
che
cosa
è
il
congiuntivo
?
Avendo
il
congiuntivo
in
comune
con
altre
espressioni
l
'
espressione
del
pensato
,
definirlo
come
il
modo
del
pensato
non
è
sufficiente
.
Quando
,
dunque
,
mi
si
sarà
data
la
definizione
generale
dei
modi
,
nonché
quella
particolare
del
congiuntivo
,
ne
riparleremo
.
Ma
nessuno
me
le
darà
,
perché
quelle
definizioni
contrasterebbero
con
la
natura
delle
sempre
varie
e
individue
espressioni
linguistiche
.
Quale
scarso
valore
abbia
lo
schematismo
delle
parti
del
discorso
,
ho
detto
altra
volta
e
non
occorre
che
mi
ripeta
.
III
Al
Gröber
spetta
il
merito
di
aver
sentito
l
'
insufficienza
scientifica
della
Grammatica
usuale
;
ma
egli
tenta
,
a
parer
mio
,
l
'
impossibile
,
quando
vuole
correggerla
col
determinare
le
funzioni
delle
forme
espressive
,
laddove
converrebbe
abbandonarla
senz
'
altro
(
abbandonarla
,
dico
,
come
scienza
e
ricerca
rigorosa
)
.
Emanuele
Kant
nel
saggio
sulla
Falsa
sottigliezza
delle
quattro
figure
del
sillogismo
,
a
proposito
di
certe
correzioni
che
il
Crusius
aveva
cercato
d
'
introdurre
in
quella
teoria
,
esclama
:
"
Peccato
che
uno
spirito
superiore
si
dia
tanta
pena
per
migliorare
una
cosa
inutile
.
La
cosa
utile
sarebbe
non
già
di
migliorarla
,
ma
di
abolirla
"
(
Man
kann
nur
was
Nützliches
thun
,
wenn
man
sie
vernichtigt
)
.
Il
quale
detto
si
applica
esattamente
al
caso
presente
.
E
voglio
spiegare
anche
,
in
ultimo
,
perché
io
me
la
sia
presa
proprio
col
Gröber
.
Non
certo
pel
gusto
di
punzecchiare
e
tormentare
un
dotto
uomo
,
che
altamente
stimo
,
ma
per
atto
di
omaggio
.
Il
Gröber
riduce
la
Grammatica
a
cosa
tanto
lieve
,
tanto
sottile
,
tanto
evanescente
,
che
ormai
è
facile
soffiarvi
sopra
e
dissiparla
.
Il
perfezionamento
di
certe
cose
è
la
loro
morte
.
La
vecchia
Grammatica
normativa
era
un
muro
bronzeo
,
e
per
abbatterla
sarebbe
bisognato
il
martello
;
ma
il
Gröber
e
il
Vossler
l
'
hanno
ora
affinata
in
modo
che
è
diventata
un
sottilissimo
tramezzo
di
vetro
,
anzi
di
carta
velina
.
Sottile
,
sottilissimo
;
ma
sempre
impedimento
alla
visione
scientifica
precisa
,
con
l
'
annesso
pericolo
che
il
tramezzo
venga
rinsaldato
e
rifatto
muro
possente
.
Mandando
in
frantumi
quel
vetro
,
o
,
se
piace
meglio
,
con
un
lieve
colpo
di
mano
lacerando
quella
carta
velina
,
non
credo
di
avere
compiuto
una
grande
fatica
,
ma
nemmeno
di
aver
fatto
cosa
inutile
.
Bergamo
,
Istituto
italiano
d
'
arti
grafiche
,
1903
,
pp
.
453-481
.
Il
Vossler
parla
(
p
.
457
n
.
)
del
compenso
che
per
la
perdita
del
valore
acustico
si
ha
nel
guadagno
di
un
valore
stilistico
,
e
all
'
inverso
.
In
realtà
,
in
quei
casi
non
vi
ha
perdita
o
guadagno
,
non
vi
ha
sacrificio
di
una
parte
a
un
'
altra
:
un
'
espressione
bella
,
che
appartenga
al
tipo
detto
acustico
,
non
contiene
una
fiacchezza
stilistica
,
compensata
dal
piacere
acustico
,
ma
ciò
che
si
dice
acustico
è
,
a
guardar
bene
,
il
particolare
contenuto
psichico
di
essa
e
lo
stile
che
gli
è
proprio
.
I
due
casi
d
'
imperfezione
estetica
che
il
Vossler
considera
,
nel
primo
dei
quali
il
contenuto
sarebbe
guastato
dalla
rima
e
dal
ritmo
,
e
nell
'
altro
il
ritmo
e
la
rima
sarebbero
guastati
dal
contenuto
,
formano
un
caso
solo
,
e
contenuto
e
forma
(
rima
,
ritmo
,
ecc
.
)
si
guastano
sempre
vicendevolmente
.
Difetto
di
contenuto
è
difetto
di
forma
,
difetto
di
forma
è
difetto
di
contenuto
.
In
una
recensione
nell
'
"
Archiv
f
.
d
.
Studium
d
.
neu
.
Sprach
.
u
.
Lit
.
"
(
vol
.
112
,
pp
.
230-234
)
del
libro
di
L.E.
KASTNER
,
A
history
of
french
versification
(
Oxford
,
1903
)
,
il
Vossler
prende
apertamente
partito
per
una
riforma
estetica
della
Metrica
.
Egli
mostra
il
difetto
delle
solite
trattazioni
,
con
l
'
esempio
non
solo
del
libro
del
Kastner
,
ma
anche
di
quello
sul
medesimo
argomento
del
Tobler
,
e
delle
monografie
del
Biadene
e
di
altri
,
e
sostiene
che
non
si
possano
scindere
in
modo
netto
verso
e
prosa
,
che
lo
studio
dei
versi
si
debba
fare
guardando
al
fine
artistico
e
non
mercé
regole
estrinseche
,
e
che
perciò
la
loro
storia
non
sia
da
considerare
quasi
ramo
indipendente
del
sapere
,
ma
da
unire
alla
storia
della
poesia
.
Assurdo
è
il
procedere
dei
trattatisti
della
metrica
storica
,
che
prendono
un
verso
francese
antico
,
per
es
.
il
decasillabo
,
e
di
questo
una
determinata
varietà
,
per
es
.
,
quello
con
cesura
epica
dopo
la
sesta
,
e
costruiscono
su
tali
basi
un
più
antico
tipo
volgare
-
latino
con
cesura
e
terminazione
proparossitona
,
ricongiungendo
a
questo
modo
il
verso
francese
al
saturnio
latino
.
Come
se
la
metrica
storica
sia
in
grado
di
stabilire
una
continuità
di
schemi
metrici
,
indipendente
dalla
continuità
della
storia
letteraria
;
come
se
si
possano
,
così
semplicemente
,
restituire
i
termini
medi
,
andati
perduti
nella
storia
dello
spirito
;
come
se
,
guardando
solo
le
lettere
,
sia
dato
trovare
una
connessione
tra
alòpex
e
"
volpe
"
!
Conseguenza
del
modo
di
vedere
del
Vossler
è
(
come
si
è
detto
di
sopra
)
l
'
annullamento
della
Metrica
,
risoluta
,
in
quanto
teoria
,
nell
'
Estetica
,
e
,
in
quanto
storia
e
critica
,
nella
Storia
e
Critica
letteraria
.
-
Per
mia
parte
,
non
vedo
difficoltà
a
lasciare
vivere
una
Metrica
,
a
un
dipresso
del
vecchio
stampo
,
come
produzione
schematica
o
naturalistica
.
"
Zeitschr
.
für
roman
.
Philol
.
"
,
vol
.
XXVII
,
1903
,
pp
.
352-364
.
Anche
il
SAVI
LOPEZ
,
Un
nuovo
libro
di
sintassi
storica
e
psicologica
(
in
"
Nuovo
ateneo
siciliano
di
Catania
"
,
I
,
1904
,
pp
.
2-5
)
,
mi
spiega
qualcosa
di
simile
;
e
soggiunge
:
"
Sono
concetti
elementari
;
ma
si
direbbe
che
in
Italia
abbiano
ancor
bisogno
di
chi
ne
bandisca
la
verità
e
l
'
efficacia
"
.
Con
licenza
del
Savi
Lopez
,
credo
che
la
cosa
stia
proprio
all
'
inverso
:
cioè
,
che
i
concetti
elementari
,
dei
quali
conviene
che
si
"
bandisca
"
ancora
la
verità
,
non
siano
quelli
ricordati
da
lui
,
ma
questi
che
io
sostengo
.
La
verità
dei
quali
par
che
sia
da
"
bandire
"
non
solo
in
Italia
.
Il
Vossler
domanda
:
-
Se
l
'
uso
linguistico
,
come
vuole
il
Croce
,
è
un
ente
immaginario
,
in
qual
modo
è
possibile
l
'
apprendimento
di
una
lingua
,
che
cangia
sempre
rapidamente
da
individuo
a
individuo
?
-
L
'
obiezione
si
risolve
col
riflettere
che
noi
non
apprendiamo
la
lingua
che
parliamo
,
ma
apprendiamo
a
crearla
;
forniamo
,
sì
,
la
memoria
di
prodotti
linguistici
(
del
nostro
ambiente
storico
-
linguistico
)
,
ma
ciò
serve
come
base
e
presupposto
della
nuova
produzione
e
creazione
.
Così
la
lingua
cangia
da
individuo
a
individuo
e
da
una
proposizione
all
'
altra
dello
stesso
individuo
,
sebbene
a
chi
guarda
di
fuori
e
all
'
ingrosso
sembri
qualcosa
di
costante
:
come
costante
ci
appare
per
lunghi
tratti
di
tempo
il
nostro
corpo
,
che
pure
cangia
a
ogni
attimo
.
Ho
accolto
nel
volume
questo
scritto
e
i
due
che
lo
precedono
,
perché
giovano
a
risolvere
difficoltà
che
a
volte
si
riaffacciano
.
Ma
essi
non
serbano
più
valore
alcuno
nei
rapporti
del
Vossler
,
i
cui
concetti
sulla
lingua
e
lo
stile
hanno
preso
forma
nuova
e
ben
più
matura
nel
volume
:
Positivismo
e
idealismo
nella
scienza
del
linguaggio
(
trad
.
ital
.
,
Bari
,
Laterza
,
1908
)
;
intorno
al
quale
,
si
vedano
Conversazioni
critiche
,
I
,
87-105
.
StampaPeriodica ,
Lo
Steinthal
,
nella
polemica
contro
il
Becker
,
per
rendere
chiara
la
differenza
tra
Logica
e
Grammatica
si
vale
di
quest
'
esempio
:
"
Qualcuno
si
avvicina
a
una
tavola
rotonda
e
dice
:
Questa
tavola
rotonda
è
quadrata
.
Il
grammatico
tace
,
perfettamente
soddisfatto
;
ma
il
logico
grida
:
Assurdità
!
"
'
.
Che
il
logico
debba
dare
in
quel
grido
è
altrettanto
evidente
quanto
ragionevole
.
Il
concetto
geometrico
di
figura
rotonda
è
nettamente
distinto
da
quello
di
figura
quadrata
:
che
l
'
uno
sia
l
'
altro
è
in
geometria
,
o
in
una
certa
parte
almeno
della
geometria2
,
impensabile
.
Quelle
affermazioni
contradittorie
eccitano
la
mente
come
se
volessero
apprenderle
qualcosa
,
e
la
deludono
;
donde
l
'
impeto
d
'
insofferenza
contro
l
'
assurdo
che
si
vorrebbe
imporle
.
Anche
evidente
sembra
che
la
Grammatica
,
dinanzi
a
una
proposizione
di
quella
sorta
,
si
debba
mostrare
soddisfatta
.
Le
sue
regole
vi
sono
perfettamente
osservate
:
il
femminile
"
tavola
"
è
trattato
come
femminile
;
l
'
aggettivo
"
rotonda
"
è
accordato
col
sostantivo
in
genere
,
numero
e
caso
;
il
verbo
è
in
terza
persona
singolare
e
si
accorda
col
soggetto
,
come
col
soggetto
si
accorda
l
'
attributo
;
e
così
via
.
Senonché
lo
Steinthal
ha
dimenticato
di
proporsi
una
terza
domanda
:
"
Che
cosa
direbbe
dinanzi
a
quella
proposizione
l
'
estetico
?
"
.
O
,
piuttosto
,
non
si
pone
questa
domanda
a
causa
degli
insufficienti
concetti
di
teoria
estetica
che
portava
nelle
sue
indagini
,
pur
tanto
pregevoli
,
dei
rapporti
tra
linguaggio
e
pensiero
.
Proponendocela
,
noi
diciamo
che
l
'
estetico
,
a
differenza
dal
grammatico
e
in
pieno
accordo
col
logico
,
dichiarerà
anche
lui
assurda
quella
proposizione
.
Non
che
l
'
uomo
estetico
in
quanto
tale
si
dia
pensiero
dei
concetti
geometrici
e
della
loro
esattezza
e
verità
;
ma
,
entrati
che
si
sia
nella
sfera
di
quei
concetti
,
l
'
Estetica
,
come
la
Logica
,
esige
che
se
ne
segua
l
'
interna
necessità
.
Il
politeismo
sarà
,
come
concezione
filosofica
,
erroneo
;
ma
niente
vieta
che
s
'
immagini
una
società
di
esseri
potentissimi
,
che
vivano
in
un
certo
luogo
inattingibile
,
e
variamente
intervengano
nelle
cose
umane
,
come
gli
dèi
d
'
Omero
nelle
contese
degli
eroi
,
o
come
gli
abitanti
di
Marte
,
in
un
recente
romanzo
fantastico
,
scendono
sulla
terra
.
Onde
il
politeismo
,
fin
tanto
che
non
gli
si
attribuisca
valore
logico
e
filosofico
,
serba
valore
estetico
.
Ma
io
non
posso
immaginare
qualcosa
di
rotondo
che
sia
quadrato
.
Quelle
parole
sono
,
anche
pel
mio
spirito
estetico
,
vuote
:
non
sono
parole
ma
suoni
,
che
sembrano
promettermi
qualcosa
e
non
attengono
la
promessa
:
eccitano
il
pensiero
(
e
la
fantasia
che
si
lega
al
pensiero
)
e
lo
deludono
.
-
Se
voglio
dare
concretezza
d
'
immagine
a
quella
proposizione
,
debbo
considerarla
,
per
es
.
,
come
costruita
intenzionalmente
a
rappresentare
un
'
incoerenza
mentale
;
cioè
immaginare
l
'
atto
arbitrario
di
chi
combini
voci
prive
di
senso
:
il
che
facciamo
per
l
'
appunto
in
questo
momento
col
valercene
al
modo
dello
Steinthal
come
esempio
,
e
per
questo
ci
è
possibile
tenervi
sopra
fissa
la
mente
e
discorrerne
.
Ma
,
quando
non
se
ne
cangia
il
primo
significato
e
valore
,
la
proposizione
:
"
Questa
tavola
rotonda
è
quadrata
"
,
come
è
impensabile
così
non
è
immaginabile
,
come
è
illogica
così
è
inestetica
;
e
anzi
,
in
questo
caso
,
è
inestetica
,
perché
illogica
.
Ciò
importa
che
quella
proposizione
è
falsa
senza
remissione
:
falsa
nella
sfera
della
coscienza
estetica
,
falsa
nella
sfera
della
coscienza
logica
.
E
,
poiché
altra
forma
di
conoscenza
non
v
'
ha
fuori
dell
'
intuitiva
e
della
concettuale
,
quella
proposizione
è
respinta
fuori
della
cerchia
dello
spirito
teoretico
.
Pure
,
la
Grammatica
,
secondo
lo
Steinthal
,
si
è
dichiarata
e
persiste
a
dichiararsi
soddisfatta
.
Come
dunque
l
'
inimmaginabile
e
l
'
impensabile
può
essere
grammaticalmente
razionale
?
È
,
la
Grammatica
,
forma
speciale
di
conoscenza
?
Vi
è
forse
,
accanto
alla
verità
della
poesia
e
della
filosofia
,
la
verità
grammaticale
,
cioè
una
visione
grammaticale
delle
cose
?
Se
una
verità
delle
cose
secondo
Grammatica
si
confuta
col
suo
stesso
enunciato
,
cioè
con
un
sorriso
,
viene
di
conseguenza
che
le
regole
,
della
cui
applicazione
gode
il
grammatico
,
non
sono
leggi
di
verità
,
e
,
dunque
,
che
la
Grammatica
non
ha
valore
teoretico
e
scientifico
.
Il
dilemma
è
:
-
o
porre
quella
tale
verità
secondo
Grammatica
o
negare
valore
di
scienza
alla
Grammatica
;
-
e
dal
canto
nostro
già
sappiamo
,
per
esservi
giunti
per
altra
via
,
quel
che
sia
da
pensare
della
Grammatica
,
complesso
di
astrazioni
e
di
arbitri
di
uso
affatto
pratico
.
Ma
,
poiché
taluni
non
riescono
a
persuadersi
di
codesta
mancanza
di
verità
scientifica
nella
Grammatica
,
è
bene
invitarli
a
meditare
sull
'
esempio
arrecato
e
esortarli
a
risolvere
i
seguenti
problemi
:
-
Come
mai
quel
che
è
assurdo
logicamente
ed
esteticamente
,
può
essere
grammaticalmente
soddisfacente
?
Come
mai
sarebbe
scienza
quella
che
farebbe
la
teoria
di
prodotti
del
genere
di
"
Una
tavola
rotonda
è
quadrata
"
,
ossia
di
voci
vuote
di
senso
?
Appunto
se
fosse
scienza
,
la
Grammatica
sarebbe
la
scienza
della
"
tavola
rotonda
che
è
quadrata
"
,
l
'
Estetica
di
una
poesia
,
che
avrebbe
per
tipo
i
versi
famosi
,
grammaticalmente
e
metricamente
impeccabili
:
C
'
era
una
volta
un
ricco
pover
'
uomo
,
che
cavalcava
un
nero
caval
bianco
;
salìa
scendendo
il
campanil
del
Duomo
poggiandosi
sul
destro
lato
manco
...
L
'
Etica
teorizza
le
azioni
degli
eroi
e
dei
santi
,
l
'
Estetica
,
i
poemi
e
le
sculture
dei
Danti
e
dei
Michelangeli
,
la
Logica
,
i
sistemi
filosofici
dei
Platoni
e
dei
Kant
:
la
Grammatica
come
scienza
teorizzerebbe
,
invece
,
la
"
tavola
rotonda
-
quadrata
"
e
il
"
ricco
pover
'
uomo
"
.
Ma
la
Grammatica
non
è
nata
e
non
vive
per
essere
scienza
e
filosofia
e
critica
,
né
a
tal
fine
dirige
i
suoi
sforzi
.
Al
qual
proposito
conviene
tornare
in
parte
sull
'
affermazione
dello
Steinthal
,
perché
,
a
dir
vero
,
dinanzi
a
un
detto
del
tipo
:
"
Questa
tavola
rotonda
è
quadrata
"
,
il
grammatico
che
sia
veramente
consapevole
del
proprio
ufficio
,
il
grammatico
che
non
varchi
i
limiti
della
propria
competenza
,
non
si
dichiara
soddisfatto
,
come
crede
lo
Steinthal
,
e
neppure
insoddisfatto
.
Egli
sa
che
suo
ufficio
non
è
di
pronunziare
giudizio
alcuno
,
ma
di
porre
certe
regole
,
che
hanno
una
determinata
utilità
.
Dinanzi
a
una
pagina
qualsiasi
,
che
venga
sottoposta
al
suo
giudizio
,
non
si
domanda
dunque
se
sia
approvabile
o
no
,
secondo
che
le
regole
grammaticali
vi
siano
sta
-
te
o
no
applicate
;
ma
dichiara
la
propria
incompetenza
,
scrivendo
nel
margine
di
quelle
pagine
:
Videat
logicus
,
videat
aestheticus
.
Se
facesse
altrimenti
,
si
cangerebbe
in
critico
grammaticale
dell
'
arte
o
della
scienza
,
in
pedante
degno
di
quella
irrisione
onde
è
stato
tante
volte
colpito
.
Questo
passaggio
dalla
Grammatica
alla
pedanteria
è
,
in
verità
,
accaduto
e
accade
spesso
;
ma
,
tuttavia
,
non
v
'
ha
ragione
alcuna
intrinseca
per
la
quale
un
grammatico
debba
essere
di
necessità
pedante
,
non
essendovi
ragione
intrinseca
che
lo
spinga
a
confondere
il
campo
pratico
con
quello
filosofico
,
e
a
convertirsi
da
costruttore
di
tipi
astratti
in
giudice
di
realtà
concreta
e
viva
.
H
.
STEINTHAL
,
Grammatik
,
Logik
und
Psychologie
,
ihre
Principien
und
ihr
Verhältniss
zu
einander
(
Berlino
,
Dümmler
,
1855
)
,
p
.
220
.
Sotto
un
certo
aspetto
,
il
geometra
non
rifugge
da
quelle
unioni
di
contrari
,
e
,
come
diceva
lo
Hegel
criticando
il
principio
del
terzo
escluso
:
"
Per
quanto
a
siffatto
principio
ripugni
un
circolo
poligonale
o
un
arco
di
cerchio
rettilineo
,
i
geometri
non
si
fanno
scrupolo
di
considerare
e
trattare
un
circolo
come
un
poligono
di
lati
rettilinei
"
(Encykl.,
§
119
Anm
.
)
.
Ma
tali
considerazioni
,
come
le
disquisizioni
dello
Stuart
Mill
e
di
altri
sulla
possibilità
di
un
mondo
dove
si
abbiano
circoli
rettangoli
e
via
discorrendo
,
non
hanno
che
vedere
con
la
questione
presente
.
StampaPeriodica ,
Le
leggi
fonetiche
sono
legittime
e
utili
,
e
sono
anche
un
grave
errore
di
teoria
del
linguaggio
,
secondo
che
in
uno
o
in
altro
modo
vengano
intese
.
Legittime
e
utili
,
quando
servono
solamente
a
presentare
in
compendio
e
per
approssimazione
certe
diversità
che
si
notano
nei
linguaggi
da
un
tempo
a
un
altro
o
da
un
popolo
a
un
altro
.
La
loro
utilità
è
in
tal
caso
quella
medesima
della
Grammatica
;
e
anzi
,
esse
nell
'
intrinseco
non
sono
altro
che
Grammatica
.
Né
a
rigore
è
dato
neppure
distinguere
Grammatica
storica
e
Grammatica
dell
'
uso
vivo
,
perché
anche
l
'
"
uso
vivo
"
che
cos
'
altro
è
se
non
un
momento
storico
?
Neppure
si
può
porre
divario
nell
'
intrinseco
tra
Grammatica
storica
e
Grammatica
normativa
,
perché
la
forma
di
norma
o
comando
,
che
sia
data
all
'
enunciazione
di
una
regolarità
,
non
ne
cangia
la
natura
teoretica
.
Quando
invece
,
dimenticandosi
la
loro
origine
arbitraria
e
di
comodo
,
quelle
leggi
vengono
ipostatate
e
considerate
come
leggi
reali
del
parlare
,
si
entra
nell
'
errore
.
L
'
uomo
,
nel
parlare
,
non
ubbidisce
alle
leggi
fonetiche
,
ma
alla
legge
dello
spirito
estetico
,
che
gli
fa
trovare
volta
per
volta
l
'
espressione
adatta
di
quel
che
gli
si
agita
nell
'
animo
:
espressione
sempre
nuova
,
perché
il
sentimento
da
esprimere
è
sempre
nuovo
.
Considerare
le
leggi
fonetiche
come
leggi
reali
significa
compiere
l
'
indebito
passaggio
dai
concetti
empirici
ai
filosofici
,
che
è
proprio
dell
'
empirismo
e
materialismo
.
L
'
esattezza
di
quanto
si
è
ora
osservato
trova
conferma
in
ogni
punto
di
uno
studio
di
Eduardo
Wechssler
,
che
vorrebbe
essere
favorevole
alla
realtà
e
verità
delle
leggi
fonetiche
.
Il
Wechssler
comincia
dal
ricordare
un
'
osservazione
dello
Schuchardt
:
che
"
la
tesi
dell
'
assolutezza
delle
leggi
fonetiche
e
quella
della
classificabilità
dei
dialetti
,
sono
strettamente
congiunte
tra
loro
"
.
In
effetto
,
senza
questo
primo
.
arbitrio
grammaticale
onde
gli
svariatissimi
prodotti
linguistici
di
un
paese
e
di
un
'
epoca
o
serie
di
epoche
vengono
trattati
come
entità
costanti
e
distinguibili
per
segni
certi
da
altre
entità
siffatte
,
mancherebbe
la
materia
per
qualsiasi
legge
fonetica
.
Ma
non
basta
:
il
Wechssler
è
costretto
anche
ad
ammettere
l
'
esistenza
delle
parole
isolate
.
Certamente
,
egli
si
rende
conto
di
tutte
le
obiezioni
dei
linguisti
in
proposito
,
ma
finisce
con
l
'
acconciarsi
alla
conclusione
"
che
ciò
che
noi
parliamo
sono
,
sì
,
proposizioni
o
espressioni
(
Äusserungen
)
,
ma
ciò
con
cui
parliamo
,
ossia
il
materiale
linguistico
,
sono
parole
"
(
p
.
369
)
.
L
'
arbitrio
è
qui
nell
'
immaginare
che
l
'
uomo
adoperi
come
mezzi
le
parole
isolate
:
arbitrio
subito
svelato
quando
si
consideri
che
la
coscienza
della
parola
isolata
proviene
dalla
Grammatica
empirica
.
Per
l
'
uomo
primitivo
,
o
pregrammaticale
che
si
dica
,
ossia
nella
spontaneità
del
parlare
,
la
proposizione
è
un
continuum
,
e
non
sussistono
parole
staccate
,
quasi
pietre
con
cui
si
costruisca
un
edifizio
:
vi
sono
nient
'
altro
che
impressioni
o
commozioni
,
sintetizzate
e
oggettivate
in
una
formola
o
proposizione
.
Nell
'
analfabeta
può
mancare
,
o
essere
debolissima
,
la
coscienza
delle
parole
staccate
,
e
nondimeno
il
parlare
raggiungere
un
alto
grado
di
perfezione
.
Né
basta
ancora
:
il
Wechssler
deve
compiere
un
terzo
arbitrio
e
parlare
dell
'
esistenza
del
suono
singolo
(
Einzellaut
)
.
Anche
qui
egli
si
rende
conto
dell
'
impossibilità
di
distinguere
tra
loro
i
suoni
che
passano
l
'
uno
nell
'
altro
per
infinite
gradazioni
;
ma
pur
si
appiglia
al
mezzo
termine
,
che
sia
lecito
stabilire
gruppi
o
categorie
di
suoni
affini
e
considerarli
come
suoni
singoli
(
pp
.
369-374
)
.
Il
procedere
affatto
arbitrario
è
designato
in
questa
sua
arbitrarietà
con
chiarezza
tale
che
parole
non
vi
appulcro
.
E
anzi
il
Sievers
,
al
quale
il
Wechssler
si
appoggia
,
dice
nella
sua
Phonetik
proprio
così
:
"
Dies
Verfahren
ist
an
sich
willkürlich
,
sondern
praktisch
berechtigt
"
.
Che
poi
gli
uomini
,
nel
parlare
e
ascoltare
apprendano
codeste
categorie
arbitrarie
,
o
codeste
medie
di
suoni
singoli
,
e
non
invece
ciascun
suono
nella
sua
particolare
sfumatura
,
mi
sembra
asserzione
gratuita
e
anche
contradittoria
.
Movendo
da
questi
supposti
(
pratici
e
non
scientifici
)
,
si
possono
ben
notare
mutamenti
di
suoni
,
cioè
il
triplice
fenomeno
della
sostituzione
dei
suoni
(
Lautersatz
)
,
della
sparizione
(
Lautschwund
)
e
dell
'
accrescimento
(
Lautzuwachs
)
;
e
si
può
ben
chiamarli
"
leggi
fonetiche
"
.
Si
compie
per
tal
modo
una
finzione
concettuale
,
la
cui
validità
è
dentro
i
limiti
della
finzione
,
ma
che
,
trasportata
in
scienza
pura
o
filosofia
,
perde
ogni
valore
,
o
,
se
ci
si
ostina
a
serbarglielo
,
si
converte
in
errore
.
Lasciamo
da
parte
le
cause
dei
mutamenti
(
delle
quali
il
Wechssler
enumera
dodici
)
;
e
prendiamo
un
esempio
di
codesti
mutamenti
,
già
formolato
dall
'
Ascoli
e
dal
Nigra
:
le
variazioni
cui
andò
soggetta
la
lingua
romana
nel
passare
sulla
bocca
dei
celti
pel
fatto
che
questi
erano
abituati
a
pronunziare
una
diversa
lingua
.
Trattando
come
qualcosa
di
fisso
la
lingua
romana
e
le
abitudini
di
pronunzia
dei
celti
,
si
possono
stabilire
le
leggi
fonetiche
di
questi
mutamenti
.
Ma
non
bisogna
dimenticare
che
queste
leggi
non
son
altro
che
il
compendio
dei
fatti
osservati
,
e
che
la
realtà
spetta
a
questi
fatti
,
non
al
compendio
che
li
impoverisce
e
falsifica
.
Un
qualcosa
,
comune
più
o
meno
ai
celti
e
più
o
meno
assente
nei
romani
,
c
'
era
di
certo
;
ma
circoscriverlo
e
determinarlo
in
astratto
non
si
può
se
non
per
atto
di
arbitrio
.
In
concreto
,
quel
qualcosa
è
determinabile
,
ma
solo
come
individualità
,
per
diretta
e
individua
percezione
.
Se
il
Wechssler
non
si
forma
un
concetto
giusto
delle
leggi
fonetiche
,
la
ragione
è
da
cercare
nel
concetto
poco
esatto
che
egli
ha
del
linguaggio
.
Si
veda
la
dottrina
sulla
origine
o
natura
del
linguaggio
,
esposta
nel
primo
capitolo
del
suo
lavoro
,
e
che
consiste
nel
riattaccare
il
linguaggio
ai
movimenti
riflessi
(
Reflexbewegungen
)
.
Vi
sarebbero
,
secondo
lui
,
cinque
classi
di
movimenti
espressivi
umani
:
1
)
quelli
originarî
dell
'
eccitamento
interno
,
come
l
'
impallidire
e
l
'
arrossire
,
poco
suscettibili
di
essere
sottomessi
alla
volontà
;
2
)
il
gioco
della
fisionomia
,
anche
difficile
a
dominare
;
3
)
i
cenni
o
gesti
,
più
dominabili
,
tanto
che
si
discorre
di
un
linguaggio
di
gesti
;
4
)
il
linguaggio
in
senso
proprio
,
in
cui
prevalgono
i
movimenti
volontarî
;
e
5
)
i
movimenti
espressivi
secondarî
,
come
quegli
ottici
,
che
danno
origine
alle
varie
scritture
.
In
una
convivenza
umana
si
vedono
e
si
odono
spesso
ripetuti
un
determinato
gesto
(
per
es
.
,
scuotere
il
capo
in
segno
di
contrarietà
)
o
un
determinato
grido
(
per
es
.
,
di
orrore
)
;
e
si
forma
la
facile
osservazione
,
che
il
medesimo
segno
accompagna
sempre
un
medesimo
stato
di
coscienza
.
E
alcuni
,
i
meglio
dotati
,
compiono
il
breve
passo
che
resta
ancora
da
compiere
,
e
riproducono
quel
gesto
o
quel
suono
come
movimento
volontario
;
ed
ecco
nascere
il
linguaggio
(
p
.
353
)
.
-
Con
questa
teoria
,
si
torna
al
concetto
(
che
pareva
morto
e
sotterrato
)
del
linguaggio
convenzione
o
associazione
di
due
rappresentazioni
volontariamente
messe
in
rapporto
.
Più
importante
della
debole
dottrina
del
linguaggio
e
delle
leggi
fonetiche
è
la
parte
storica
che
il
Wechssler
aggiunge
alla
sua
trattazione
e
che
si
aggira
segnatamente
su
tre
punti
:
sul
concetto
delle
leggi
fonetiche
,
su
quello
del
linguaggio
come
organismo
,
e
sulla
divisione
della
storia
del
linguaggio
in
due
periodi
,
il
periodo
di
formazione
e
il
periodo
di
svolgimento
.
Potrà
sembrare
strano
che
il
concetto
di
leggi
fonetiche
risalga
(
come
dimostra
il
Wechssler
)
proprio
a
Guglielmo
di
Humboldt
,
il
quale
lo
accenna
per
la
prima
volta
in
una
lettera
al
Bopp
del
1826
.
Ma
lo
Humboldt
non
portò
mai
a
compiuta
chiarezza
le
sue
geniali
idee
di
filosofia
linguistica
;
donde
le
frequenti
contradizioni
che
in
lui
si
notano
.
Dopo
avere
avuta
molta
fortuna
in
principio
,
le
leggi
fonetiche
cominciarono
a
suscitare
dubbi
nel
campo
stesso
dei
glottologi
e
filologi
,
e
furono
assai
discusse
segnatamente
negli
anni
tra
il
1876
e
il
1885
.
Da
quel
tempo
,
sebbene
si
seguiti
a
farne
uso
pratico
(
attenuandone
spesso
il
nome
pomposo
nell
'
altro
di
"
regole
"
o
di
"
mutamenti
fonetici
"
)
,
sono
in
teoria
molto
scosse
.
Sfavorevole
,
tra
gli
altri
,
si
dimostra
ad
esse
un
linguista
dell
'
acume
di
Hugo
Schuchardt
.
L
'
errore
del
linguaggio
come
organismo
culmina
nello
Schleicher
,
il
quale
,
sedotto
dal
metaforico
vocabolo
"
organismo
"
che
lo
Humboldt
adoperava
in
significato
idealistico
,
pretese
trattare
la
Linguistica
come
scienza
naturale
,
cioè
cadde
nell
'
accennato
errore
materialistico
.
Allo
Schleicher
risalgono
anche
i
tentativi
di
una
"
fisiologia
del
linguaggio
"
.
"
La
storia
della
dottrina
dell
'
organismo
in
Linguistica
(
dice
il
Wechssler
)
si
può
considerare
in
sostanza
come
la
storia
di
una
metafora
presa
alla
lettera
ed
elevata
a
teoria
"
.
Del
terzo
errore
,
cioè
di
quello
onde
la
storia
del
linguaggio
viene
divisa
in
due
periodi
,
non
rimasero
immuni
del
tutto
né
lo
Humboldt
né
lo
Steinthal
;
ma
se
ne
sono
avveduti
e
lo
hanno
accusato
di
recente
lo
Scherer
e
il
Paul
.
Contro
le
leggi
fonetiche
,
contro
il
principio
di
pigrizia
degli
organi
e
di
comodità
quale
spiegazione
dei
mutamenti
fonetici
,
contro
le
pretese
dei
linguisti
di
farla
da
fisiologi
(
ossia
di
compilare
i
risultati
del
sapere
altrui
invece
di
dare
quelli
del
campo
loro
proprio
di
studi
)
è
rivolto
un
breve
scritto
del
prof
.
Scerbo
.
Gli
odierni
trattati
di
Linguistica
cominciano
sovente
col
descrivere
l
'
apparato
della
gola
e
della
bocca
,
cioè
con
un
capitolo
tolto
alla
Fisiologia
.
Nell
'
Università
di
Pisa
,
è
stato
fondato
un
gabinetto
fisioglottologico
;
nel
Collegio
di
Francia
,
un
laboratorio
di
fonetica
sperimentale
.
Opponendosi
alle
confusioni
e
stravaganze
di
cui
codeste
nuove
istituzioni
danno
prova
,
lo
Scerbo
sostiene
che
il
linguaggio
ha
leggi
spirituali
e
non
fonetiche
;
che
non
domina
in
esso
la
pigrizia
o
la
comodità
,
ma
,
tutt
'
al
più
,
l
'
economia
,
forma
spirituale
anch
'
essa
;
che
nessun
concetto
utile
al
linguista
è
stato
finora
fornito
dalla
Fisiologia
.
Il
linguaggio
(
egli
dice
ripetutamente
)
è
opera
dello
spirito
:
l
'
intelligenza
,
la
volontà
,
la
memoria
,
l
'
attenzione
,
la
fantasia
spiegano
,
esse
solamente
,
il
suo
prodursi
.
Ma
le
varie
attività
spirituali
che
lo
Scerbo
chiama
a
raccolta
entrano
poi
davvero
tutte
,
e
alla
pari
,
nella
produzione
del
linguaggio
?
Egli
non
dà
sufficiente
rilievo
all
'
intuizione
(
o
fantasia
)
come
atto
spirituale
primitivo
,
dal
quale
soltanto
si
origina
il
linguaggio
e
che
,
anzi
,
è
il
linguaggio
stesso
.
L
'
intelletto
(
inteso
come
intelletto
logico
)
non
ha
nel
linguaggio
parte
primaria
;
la
memoria
non
è
una
speciale
categoria
o
attività
dello
spirito
;
la
volontà
può
entrare
nel
linguaggio
solamente
nel
fatto
esterno
della
comunicazione
agli
altri
,
ma
non
è
essenziale
,
costitutiva
e
peculiare
della
formazione
linguistica
.
E
se
lo
Scerbo
,
come
ne
siamo
sicuri
,
affinerà
in
questa
parte
i
suoi
pensieri
,
non
scriverà
più
come
ha
scritto
in
principio
,
che
"
la
parola
qual
puro
segno
convenzionale
(
se
non
nell
'
origine
,
certo
in
progresso
di
tempo
,
allorché
le
primitive
accezioni
,
massime
degli
elementi
formali
del
linguaggio
,
si
sono
oscurate
o
dimenticate
)
non
ha
verun
intimo
e
necessario
rapporto
con
l
'
idea
"
.
In
verità
,
la
parola
non
è
mai
segno
convenzionale
,
e
,
se
tale
non
era
in
principio
,
tale
non
può
divenire
nel
séguito
,
perché
le
attività
spirituali
non
cangiano
natura
;
e
ha
sempre
rapporto
strettissimo
con
l
'
idea
in
quanto
è
rappresentazione
,
benché
non
ne
abbia
alcuno
con
l
'
idea
in
quanto
concetto
.
Poniamo
(
tanto
per
intenderci
)
che
un
uomo
primitivo
o
selvaggio
esprima
l
'
apparire
di
un
cane
con
la
proposizione
:
"
Ecco
un
baubau
"
.
Questa
proposizione
non
ha
verun
rapporto
col
concetto
(
con
la
verità
scientifica
)
del
cane
;
ma
ne
ha
uno
diretto
con
le
impressioni
che
l
'
apparire
del
cane
desta
nell
'
uomo
primitivo
.
Un
uomo
moderno
dirà
invece
:
"
Ecco
un
cane
"
.
Neanche
questo
detto
ha
alcun
rapporto
col
concetto
astratto
del
cane
,
ma
anch
'
esso
ha
rapporto
con
le
impressioni
che
il
fatto
desta
nell
'
uomo
moderno
;
il
quale
,
diverso
dal
selvaggio
,
fornito
di
un
ricco
patrimonio
di
rappresentazioni
e
idee
,
all
'
apparizione
del
cane
prova
impressioni
diverse
da
quelle
provate
dall
'
uomo
primitivo
:
donde
le
parole
:
"
Ecco
un
cane
"
,
e
non
le
altre
:
"
Ecco
un
baubau
"
.
Se
l
'
uomo
dell
'
ipotesi
fosse
un
naturalista
,
vivente
tutto
nella
sua
scienza
,
le
impressioni
suscitate
in
lui
dalla
vista
del
cane
potrebbero
dare
luogo
addirittura
a
un
detto
come
:
"
Ecco
un
canis
familiaris
"
.
E
queste
parole
sarebbero
tanto
poco
convenzionali
,
quanto
poco
convenzionali
e
affatto
spontanee
erano
le
ipotetiche
parole
del
selvaggio
.
Ciò
che
diciamo
qui
in
modo
quasi
popolare
è
semplice
conseguenza
dell
'
importante
principio
onde
è
stata
abolita
la
distinzione
di
periodo
originario
e
periodo
posteriore
del
linguaggio
.
Il
periodo
originario
di
creazione
non
è
stato
mai
,
perché
è
stato
,
è
e
sarà
sempre
;
il
periodo
di
puro
svolgimento
senza
creazione
non
c
'
è
,
e
non
è
stato
né
sarà
mai
.
La
creazione
primitiva
(
Urschöpfung
)
e
il
parlare
quotidiano
sono
una
sola
e
medesima
cosa
.
Sempre
che
si
parla
,
si
crea
il
linguaggio
;
e
,
come
lo
creò
l
'
immaginario
uomo
primitivo
che
aprì
la
bocca
la
prima
volta
a
parlare
,
così
lo
creiamo
noi
,
in
ogni
istante
della
vita
,
ripetendo
all
'
infinito
il
gran
miracolo
,
che
è
poi
il
miracolo
stesso
della
realtà
.
Gibt
es
Lautgesetze
?
(
Halle
,
1900
:
nelle
Forsch
.
z
.
roman
.
Philol
.
,
Festgabe
f
.
H
.
Suchier
,
pp
.
349-538
)
.
F
.
SCERBO
,
Spiritualità
del
linguaggio
(
Firenze
,
Tip
.
della
"
Rassegna
nazionale
"
,
1902
)
.
StampaPeriodica ,
Il
mio
trattato
di
Estetica
ha
richiamato
,
pei
rapporti
che
stabilisce
tra
Filosofia
dell
'
arte
e
Filosofia
del
linguaggio
,
l
'
attenzione
degli
studiosi
del
linguaggio
.
Ciò
mi
fa
piacere
,
perché
contribuirà
a
trasportare
i
problemi
estetici
in
ambienti
di
cultura
e
di
scienza
,
togliendoli
dalle
mani
degli
sfaccendati
sin
oficio
ni
beneficio
(
assai
simili
a
quegli
hombres
honrados
,
che
Sancho
trovò
nell
'
isola
di
Barataria
)
,
i
quali
,
a
tempo
perso
,
si
mettono
a
cercare
"
che
cosa
è
il
Bello
"
.
Ed
essendo
il
mio
libro
uscito
quasi
contemporaneamente
alla
vasta
opera
del
Wundt
sul
linguaggio
non
è
maraviglia
che
sia
accaduto
come
un
urto
tra
l
'
indirizzo
del
Wundt
,
e
quello
,
assai
diverso
,
che
io
cerco
di
promuovere
.
Anche
ciò
non
mi
dispiace
:
l
'
urto
,
ossia
il
confronto
,
metterà
in
mostra
le
virtù
e
le
deficienze
dell
'
uno
e
dell
'
altro
indirizzo
.
Una
manifestazione
di
questo
contrasto
è
nell
'
esame
che
il
dr
.
O
.
Dittrich
(
autore
di
un
'
opera
:
Grundzüge
der
Sprachpsychologie
,
e
di
uno
scritto
:
Die
Grenzen
der
Sprachwissenschaft
)
ha
rivolto
testé
al
mio
libro
,
ai
due
volumetti
del
Vossler
e
all
'
opera
del
Wundt
,
nella
"
Zeitschrift
für
romanische
Philologie
"
.
Il
Dittrich
,
seguace
del
Wundt
,
riconosce
che
la
mia
trattazione
è
"
logisch
straffe
und
lückenlose
"
(
p
.
472
)
,
o
,
come
dice
anche
,
che
ha
una
"
innere
logische
Geschlossenheit
"
(
p
.
476
)
;
e
mi
risparmia
(
e
di
ciò
gli
sono
grato
)
quelle
critiche
di
particolari
,
che
spesso
si
fondano
su
fraintendimenti
.
Ma
egli
afferma
che
le
mie
tesi
riposano
sopra
una
"
psicologia
da
lungo
tempo
superata
"
,
e
sopra
"
una
teoria
del
valore
affatto
inadoprabile
"
(
p
.
473
)
;
e
,
per
queste
due
ragioni
,
stima
di
gran
lunga
preferibile
l
'
indirizzo
del
Wundt
.
Non
che
il
Dittrich
non
nutra
qualche
speranza
di
portare
a
un
certo
componimento
le
mie
teorie
con
la
"
Psicologia
moderna
"
(
p
.
476
)
.
Il
punto
di
unione
a
lui
sembra
che
ci
sia
:
è
il
mio
concetto
dell
'
espressione
,
che
egli
mette
in
rapporto
col
concetto
wundtiano
dell
'
appercezione
.
Per
il
Wundt
,
l
'
appercezione
è
appunto
"
quella
forma
di
sintesi
creatrice
nella
quale
,
con
l
'
attenzione
come
sintomo
soggettivo
,
viene
in
atto
la
chiarezza
e
distinzione
oggettiva
di
singoli
elementi
e
gruppi
di
elementi
di
un
'
unità
totale
associativa
che
riempie
il
momento
della
coscienza
"
.
Senonché
questo
concetto
del
Wundt
è
meramente
psicologico
;
e
se
il
Croce
(
dice
il
Dittrich
)
accetta
l
'
identificazione
di
esso
col
suo
concetto
dell
'
espressione
,
entra
sì
,
in
rapporto
col
"
sistema
della
Psicologia
moderna
"
,
ma
è
un
uomo
perduto
;
o
,
meglio
,
salvato
,
ma
la
cui
teoria
estetica
e
linguistica
è
totalmente
fallita
.
Infatti
(
come
il
Dittrich
prova
)
,
dato
il
carattere
psicologico
dell
'
appercezione
del
Wundt
,
non
si
può
più
sostenere
,
come
io
sostengo
,
che
il
valore
estetico
sia
il
fatto
stesso
della
sintesi
,
ma
così
per
i
fatti
estetici
come
per
quelli
logici
e
morali
bisogna
porre
valori
transubiettivi
,
in
conformità
della
moderna
teoria
dei
valori
.
"
Il
valore
,
come
si
attua
o
si
deve
attuare
nell
'
oggetto
che
si
valuta
esteticamente
,
logicamente
o
eticamente
,
e
la
legge
del
valore
,
giacciono
di
là
della
psiche
dell
'
individuo
valutatore
;
e
valore
e
legge
del
valore
hanno
da
fare
con
questa
psiche
solamente
in
quanto
debbono
venire
riconosciuti
da
essa
in
forma
di
sentimento
di
valore
,
al
fine
di
esistere
per
essa
.
Per
tal
modo
l
'
estetico
deve
stabilire
le
leggi
transubiettive
della
intuizione
pregevole
(
wertvolle
)
,
il
logico
quelle
del
concetto
pregevole
(
partendo
per
ciò
dal
giudizio
pregevole
)
,
e
l
'
etico
quelle
del
volere
pregevole
"
(
p
.
479
)
.
Determinato
così
il
rapporto
tra
Psicologia
ed
Estetica
,
e
fermato
il
principio
della
transubiettività
dei
valori
,
è
chiaro
che
cade
l
'
identificazione
da
me
affermata
di
Estetica
e
Filosofia
del
linguaggio
.
L
'
importanza
delle
mie
teorie
dunque
(
per
quel
che
pare
al
Dittrich
)
sta
nell
'
accentuare
la
parte
della
psichicità
e
spiritualità
nel
linguaggio
;
il
che
,
per
altro
,
aveva
già
fatto
il
Wundt
medesimo
con
la
sua
teoria
del
linguaggio
come
funzione
psicofisica
(
p
.
486
)
.
Per
ogni
altro
rispetto
,
quel
tanto
che
c
'
è
di
buono
nella
mia
Estetica
,
pubblicata
nel
1902
,
si
trova
già
nell
'
Estetica
di
Jonas
Kohn
,
pubblicata
nel
1901
.
Mi
libero
subito
da
quest
'
ultima
osservazione
col
controsservare
,
non
già
,
come
potrei
,
che
la
parte
teorica
della
mia
Estetica
fu
pubblicata
nel
1900
e
perciò
un
anno
innanzi
il
libro
del
Kohn
(
non
mi
è
gradevole
portare
la
questione
su
questo
terreno
)
;
ma
che
le
parti
,
in
cui
il
Kohn
e
io
siamo
d
'
accordo
,
non
sono
altro
che
alcune
tesi
kantiane
,
la
cui
data
è
il
1790
.
Quanto
al
resto
,
il
Dittrich
ragiona
benissimo
:
se
io
ammettessi
l
'
identificazione
della
mia
sintesi
espressiva
con
l
'
appercezione
del
Wundt
,
ne
verrebbero
tutte
le
conseguenze
che
egli
trae
,
e
io
sarei
un
uomo
esteticamente
e
linguisticamente
perduto
.
Ma
proprio
quella
identificazione
io
non
ammetto
,
perché
la
mia
sintesi
espressiva
ha
valore
gnoseologico
e
non
psicologico
.
Se
le
si
vuole
trovare
precedenti
,
bisogna
pensare
non
all
'
appercezione
wundtiana
,
ma
alla
kantiana
attività
sintetica
dello
spirito
:
concetto
,
com
'
è
noto
,
niente
affatto
psicologico
,
e
che
valse
a
stabilire
la
profonda
distinzione
tra
Filosofia
dello
spirito
e
Psicologia
.
La
mia
psicologia
è
poco
moderna
?
Non
direi
,
perché
,
per
essere
antiquata
o
moderna
,
dovrebbe
essere
,
anzitutto
,
psicologia
.
Il
Dittrich
,
se
non
se
n
'
era
avveduto
prima
,
intenderà
da
quello
che
dico
ora
che
io
non
mi
aggiro
nel
campo
della
Psicologia
,
ma
in
quello
della
Gnoseologia
e
della
Filosofia
dello
spirito
;
e
perciò
gli
annunzi
delle
"
novità
"
psicologiche
non
possono
recarmi
nessuna
sorpresa
piacevole
o
spiacevole
,
e
anzi
mi
lasciano
indifferente
.
Vediamo
,
invece
,
se
sia
poco
moderna
la
mia
teoria
del
valore
,
la
quale
è
antidualistica
,
fondata
sul
concetto
che
la
realtà
e
il
valore
sono
il
medesimo
.
Ho
esposto
con
le
parole
stesse
del
Dittrich
la
teoria
che
egli
le
contrappone
come
modernissima
,
e
che
consiste
nel
porre
i
valori
come
transubiettivi
.
I
valori
starebbero
fuori
dello
spirito
press
'
a
poco
(
ho
scritto
una
volta
in
un
momento
di
buon
umore
)
come
lo
stellone
caudato
,
che
accompagna
i
re
magi
nel
presepe
.
Questa
"
modernissima
"
teoria
è
dunque
la
dottrina
herbartiana
,
o
addirittura
quella
scolastica
.
Sono
sicuro
che
il
Dittrich
,
se
continuerà
a
meditarvi
intorno
,
si
avvedrà
della
stranezza
di
codesto
intrudere
nello
spirito
dell
'
uomo
valori
transubiettivi
e
trascendenti
;
e
,
per
fargli
animo
,
gli
confesserò
che
anch
'
io
,
da
giovane
,
seguivo
siffatto
modo
di
vedere
,
ma
dovetti
poi
abbandonarlo
,
perché
una
più
attenta
e
prolungata
meditazione
me
ne
dimostrò
le
contradizioni
e
l
'
impossibilità
.
Concludo
.
A
intendere
la
natura
del
linguaggio
e
dell
'
arte
occorre
filosofia
e
non
già
psicologia
;
e
il
Wundt
è
psicologo
.
Per
liberare
dalle
difficoltà
preliminari
la
tesi
dell
'
identità
del
linguaggio
con
l
'
arte
bisogna
concepire
dialetticamente
il
problema
del
bello
e
del
brutto
,
del
valore
e
del
disvalore
;
e
il
Wundt
è
intellettualista
,
non
dialettico
.
Per
fare
che
codesti
studî
progrediscano
è
necessario
risalire
alla
migliore
tradizione
del
pensiero
tedesco
;
e
il
Wundt
,
per
l
'
origine
e
pel
metodo
del
suo
lavoro
,
più
che
a
quello
si
congiunge
al
pensiero
empirico
inglese
e
americano
.
Non
è
stato
per
l
'
appunto
il
prof
.
Wundt
,
che
è
passato
sopra
con
iscarsa
reverenza
alle
teorie
linguistiche
del
geniale
Guglielmo
di
Humboldt
,
imitando
i
diportamenti
dell
'
americano
Whitney
?
E
non
sono
stato
io
(
in
questo
più
tedesco
di
lui
,
ma
tedesco
del
buon
vecchio
tempo
)
a
prendere
le
parti
dello
Humboldt
contro
l
'
americanizzante
professore
tedesco
?
Riuniti
ora
nel
volume
citato
:
Idealismo
e
positivismo
nella
scienza
del
linguaggio
(
Bari
,
Laterza
,
1908
)
.
Vol
.
XXX
,
1906
,
fasc
.
4
,
pp
.
472-487
.
-
il
VOSSLER
ha
risposto
,
per
la
parte
che
lo
concerne
,
nell
'
"
Archiv
für
das
Studium
der
neueren
Sprachen
und
Literaturen
"
,
CXVIII
,
pp
.
253-257
.
StampaPeriodica ,
L
'
idea
di
una
lingua
universale
è
la
sublimazione
del
falso
concetto
che
si
è
avuto
per
il
passato
e
si
ha
ancora
d
'
ordinario
circa
il
linguaggio
.
Questo
falso
concetto
consiste
nel
credere
che
il
linguaggio
sia
un
congegno
che
l
'
uomo
si
è
foggiato
per
comunicare
ai
suoi
simili
il
proprio
pensiero
.
Secondo
siffatto
modo
di
vedere
,
il
pensiero
starebbe
dapprima
,
nella
mente
dell
'
uomo
,
senza
linguaggio
:
il
linguaggio
gli
si
aggiungerebbe
poi
,
per
atto
pratico
,
in
vista
dell
'
utile
e
del
comodo
.
E
poiché
i
congegni
nascono
rozzi
e
si
perfezionano
via
via
nel
corso
dei
secoli
,
non
è
maraviglia
che
,
assimilato
a
essi
,
il
parlare
effettivo
degli
uomini
,
cioè
il
linguaggio
quale
si
è
storicamente
formato
,
appaia
quasi
un
lavorare
con
istrumenti
vecchi
o
addirittura
barbarici
,
riadattati
alla
meglio
ma
sempre
pesanti
e
incomodi
,
e
sorga
il
desiderio
di
sostituire
a
quei
vecchi
strumenti
o
di
possedere
accanto
a
quelli
uno
strumento
nuovo
,
costruito
di
sana
pianta
.
Pel
quale
si
farà
tesoro
,
sì
,
delle
esperienze
secolari
,
ma
ci
si
atterrà
a
criterî
razionali
che
permettano
di
raggiungere
più
facilmente
e
meglio
il
fine
della
comunicazione
.
I
fucili
a
ripetizione
hanno
sostituito
quelli
a
pietra
;
i
treni
-
lampo
le
vecchie
diligenze
:
perché
mai
il
linguaggio
ultimo
-
modello
non
sostituirebbe
il
rappezzato
neolatino
,
il
frondoso
tedesco
e
l
'
ibrido
inglese
?
Il
falso
concetto
del
linguaggio
è
evidente
in
tutti
i
vagheggiatori
e
promotori
di
una
lingua
universale
:
dal
Cartesio
e
dal
Leibniz
,
giù
giù
fino
al
dottor
Zamenhof
,
inventore
dell
'
Esperanto
,
e
ai
signori
Couturat
e
Léau
,
membri
della
"
Delegazione
per
l
'
adottamento
di
una
lingua
internazionale
ausiliare
"
e
autori
della
Histoire
de
la
langue
universelle
.
A
Cartesio
(
com
'
è
noto
)
pareva
cosa
agevole
foggiare
una
lingua
universale
,
nella
quale
si
avesse
un
modo
solo
di
declinare
,
di
coniugare
e
di
costruire
le
parole
,
e
non
fossero
verbi
difettivi
o
irregolari
,
"
qui
sont
toutes
choses
venues
de
la
corruption
de
l
'
usage
"
.
Il
dottor
Zamenhof
,
fin
dal
tempo
che
seguiva
gli
studi
letterarî
nel
ginnasio
di
Varsavia
,
si
persuase
che
"
la
complexité
des
grammaires
naturelles
était
une
richesse
vaine
et
encombrante
,
et
se
mit
à
élaborer
une
grammaire
simplifiée
"
.
I
signori
Couturat
e
Léau
accettano
in
proposito
la
conclusione
a
cui
pervenne
già
nel
1855
il
Renouvier
:
che
una
lingua
internazionale
debba
essere
"
empirique
par
son
vocabulaire
et
philosophique
(
c
'
est
-
à
-
dire
,
rationnelle
)
par
sa
grammaire
"
.
Ed
ecco
che
cosa
essi
pensano
dei
linguaggi
esistenti
:
"
toute
langue
littéraire
est
,
plus
ou
moins
,
artificielle
"
.
E
della
poesia
:
"
qu
'
y
a
-
t
-
il
de
plus
artificiel
,
en
tout
cas
,
que
la
poésie
?
et
dans
quel
pays
est
-
il
naturel
de
parler
en
vers
?
"
.
Dinanzi
a
codeste
affermazioni
si
rimane
sbalorditi
.
Che
Cartesio
e
Leibniz
non
avessero
ancora
inteso
la
natura
del
linguaggio
,
si
spiega
per
le
condizioni
del
pensiero
ai
tempi
loro
.
Ma
,
sulla
fine
del
secolo
decimonono
o
sui
principi
del
ventesimo
,
udire
ripetere
ancora
che
le
lingue
sono
irrazionali
,
che
contengono
elementi
inutili
,
che
possono
venir
semplificate
per
mezzo
della
logica
,
che
la
poesia
è
un
fatto
artificiale
,
è
cosa
non
sopportabile
.
I
moderni
dissertatori
intorno
al
linguaggio
universale
,
che
si
valgono
di
concetti
come
quelli
dei
quali
si
è
dato
saggio
,
dovrebbero
,
a
mio
parere
,
non
già
essere
ammessi
alla
discussione
,
ma
rimandati
puramente
e
semplicemente
a
studiare
che
cosa
il
linguaggio
sia
.
È
chiaro
che
sulla
Filosofia
del
linguaggio
non
debbono
aver
mai
meditato
sul
serio
.
L
'
hanno
creduta
facile
,
di
quelle
cognizioni
che
si
posseggono
come
per
buon
senso
naturale
;
ed
è
invece
difficile
e
di
faticoso
acquisto
.
I
promotori
della
lingua
universale
dichiarano
di
avere
ormai
affatto
abbandonato
l
'
antica
pretesa
di
una
lingua
filosofica
,
rispondente
ai
concetti
esattamente
determinati
delle
cose
:
quella
lingua
filosofica
della
quale
Cartesio
diceva
per
l
'
appunto
:
"
l
'
invention
de
cette
langue
dépend
de
la
vraye
philosophie
"
.
E
non
hanno
difficoltà
a
riconoscere
che
,
non
essendo
ancora
la
scienza
bella
e
fatta
,
e
mutando
anzi
di
continuo
,
una
lingua
di
tal
sorta
è
impossibile
.
Ma
con
ciò
non
si
è
superato
l
'
errore
,
il
quale
non
nasceva
già
dal
presupposto
della
scienza
perfetta
:
la
lingua
desiderata
sarebbe
stata
certamente
tanto
più
perfetta
quanto
più
perfetta
la
scienza
che
le
servisse
di
base
,
ma
avrebbe
,
anche
nell
'
ipotesi
di
una
scienza
imperfetta
,
rappresentato
pur
sempre
un
progresso
grande
rispetto
al
linguaggio
volgare
,
perché
la
scienza
degli
scienziati
,
imperfetta
che
sia
,
vale
sempre
meglio
delle
credenze
del
volgo
.
L
'
errore
,
invece
,
in
quella
idea
di
una
lingua
filosofica
era
né
più
né
meno
il
medesimo
in
cui
s
'
incorre
ora
con
l
'
idea
della
lingua
universale
;
vale
a
dire
,
concepire
il
linguaggio
come
qualcosa
d
'
estrinseco
e
di
fissabile
.
Questo
errore
non
è
stato
punto
superato
.
Supposti
due
individui
i
quali
abbiano
gli
stessissimi
pensieri
intorno
a
un
oggetto
,
non
per
ciò
essi
potranno
mai
parlare
una
lingua
comune
a
entrambi
,
identica
in
entrambi
.
Ciascuno
dei
due
parlerà
a
modo
suo
,
cioè
in
modo
corrispondente
al
proprio
animo
e
alla
propria
fantasia
;
ciascuno
con
certe
immagini
,
certi
suoni
,
certi
giri
di
periodi
,
certi
gesti
e
certe
enfasi
,
che
non
possono
essere
identici
alle
immagini
,
ai
suoni
,
ai
periodi
,
ai
gesti
e
alle
enfasi
,
con
cui
si
esprime
l
'
altro
.
Il
linguaggio
,
insomma
,
cioè
il
parlare
,
è
nella
sua
realtà
spontaneo
,
individuale
,
variabile
;
e
il
linguaggio
,
che
si
domandava
,
quel
linguaggio
comune
,
sarebbe
dovuto
essere
artificiale
,
universale
e
fisso
,
negando
così
la
natura
universale
del
linguaggio
,
contradicendo
con
l
'
aggettivo
il
sostantivo
.
E
(
si
noti
bene
)
la
diversità
del
parlare
secondo
gl
'
individui
e
le
.
situazioni
psicologiche
in
cui
ciascuno
di
essi
si
trova
,
non
esclude
il
reciproco
intendersi
;
perché
intendere
vuol
dire
appunto
adeguarsi
alla
psicologia
altrui
movendo
dalla
propria
e
a
questa
tornando
.
Se
gli
uomini
potessero
parlare
tutti
allo
stesso
modo
,
sarebbero
tutti
identici
;
con
che
non
s
'
intenderebbero
già
meglio
,
ma
si
scioglierebbero
tutti
insieme
nell
'
indistinto
,
e
il
mondo
non
esisterebbe
.
Per
le
ragioni
che
ho
esposte
o
ricordate
,
l
'
idea
di
una
lingua
universale
resterà
sempre
un
'
utopia
della
specie
più
stolta
,
perché
utopia
del
contradittorio
.
Essa
non
cesserà
di
esercitare
un
certo
fascino
su
qualche
spirito
irriflessivo
;
così
come
vi
sarà
sempre
taluno
che
si
domanderà
perché
mai
,
consistendo
la
musica
in
combinazioni
di
note
,
e
la
pittura
in
combinazioni
di
colori
,
e
la
poesia
in
combinazioni
di
parole
,
non
si
possono
ottenere
nuove
e
meravigliose
musiche
,
pitture
,
poesie
mercé
macchine
combinatorie
,
facendo
a
meno
di
quella
rara
e
costosa
materia
prima
,
che
si
chiama
la
genialità
dell
'
artista
.
E
come
vi
sarà
sempre
qualche
fanciullo
che
si
domanderà
perché
mai
i
popoli
facciano
le
guerre
distruggendo
pazzamente
vite
umane
e
ricchezze
con
tanta
fatica
prodotte
,
laddove
potrebbero
decidere
le
loro
contese
con
duelli
singolari
,
al
modo
di
quello
degli
Orazi
e
dei
Curiazi
e
degli
altri
,
che
non
poterono
avere
effetto
,
tra
Pietro
d
'
Aragona
e
Carlo
d
'
Angiò
,
tra
Francesco
I
e
Carlo
V
.
Ma
,
ai
giorni
nostri
,
sembra
che
la
ricerca
del
linguaggio
universale
abbia
mutato
carattere
.
Una
lingua
universale
,
o
,
come
volentieri
la
chiamano
,
una
"
lingua
internazionale
sussidiaria
"
,
viene
richiesta
da
politici
e
commercianti
,
da
scienziati
(
di
quelli
che
girano
per
tutti
i
congressi
)
,
da
logici
matematici
(
inventori
di
specifici
pel
retto
e
comodo
pensare
)
,
e
da
altri
di
simigliante
genìa
;
e
la
richiesta
è
confortata
dall
'
osservazione
di
certi
fatti
che
già
esistono
e
che
si
approssimano
a
quel
che
si
desidera
:
quali
sarebbero
le
lingue
franche
o
i
sabir
della
costa
mediterranea
e
di
altri
paesi
,
la
fortuna
e
la
diffusione
prima
del
Volapük
e
ora
dell
'
Esperanto
,
la
crescente
quantità
di
parole
comuni
che
si
osserva
nei
linguaggi
della
civiltà
europea
,
le
terminologie
e
notazioni
scientifiche
internazionali
;
e
altrettali
.
Perché
mai
un
autorevole
consesso
,
come
l
'
Accademia
delle
accademie
(
bel
nome
,
che
par
modellato
su
quello
del
Cantico
dei
cantici
)
,
o
altro
che
sia
,
composto
di
delegati
dei
varî
Stati
,
non
potrebbe
fissare
un
complesso
di
segni
fonici
,
scelti
con
pratico
buon
senso
,
e
agevolare
con
tale
deliberato
la
comunicazione
dei
pensieri
tra
persone
di
diverso
linguaggio
?
Qual
'
è
l
'
impossibilità
intrinseca
di
questo
desiderio
?
Non
si
vede
.
Senza
dubbio
,
l
'
enunciato
desiderio
non
ha
alcuna
impossibilità
intrinseca
,
e
anzi
si
è
già
in
parte
effettuato
e
si
potrà
effettuare
in
séguito
anche
più
largamente
.
Ma
,
in
ogni
caso
,
quel
che
si
ottiene
a
questo
modo
(
ecco
il
punto
importante
)
o
non
è
lingua
o
non
è
universale
.
Mettere
in
corrispondenza
certi
suoni
,
arbitrariamente
foggiati
,
con
certe
idee
ed
espressioni
non
è
propriamente
parlare
,
ma
formare
una
convenzione
.
Si
può
convenire
,
per
es
.
,
che
quel
che
gl
'
italiani
chiamano
"
pane
"
,
e
i
francesi
"
pain
"
,
e
i
tedeschi
"
brot
"
,
e
gl
'
inglesi
"
bread
"
,
sia
indicato
col
suono
"
puk
"
;
quel
che
si
dice
"
voglio
,
je
veux
,
ich
will
,
I
will
"
,
sia
indicato
col
suono
"
ro
"
;
onde
"
ro
puk
"
si
tradurrà
nelle
rispettive
lingue
:
"
io
voglio
un
pezzo
di
pane
"
.
Ma
con
questa
convenzione
non
si
è
data
vita
a
nessun
linguaggio
:
il
linguaggio
è
l
'
uomo
che
parla
,
nell
'
atto
che
parla
.
La
convenzione
può
avere
pretese
di
universalità
ed
essere
universalmente
imposta
o
universalmente
accettata
;
ma
l
'
aggettivo
"
universale
"
cerca
qui
invano
il
sostantivo
"
linguaggio
"
.
Perché
questo
sostantivo
sia
al
suo
posto
,
perché
si
abbia
linguaggio
,
è
necessario
che
i
vari
individui
,
che
compongono
l
'
ipotetica
società
aderente
alla
convenzione
,
prendano
a
parlare
,
dicendo
:
"
ro
puk
"
,
per
dire
che
vogliono
il
pane
.
Ma
,
non
appena
quella
convenzione
si
traduce
in
linguaggio
,
ecco
che
cessa
di
esser
convenzione
,
diventa
un
semplice
dato
naturale
,
un
'
impressione
,
un
fatto
psichico
,
che
lo
spirito
di
ciascun
parlante
risente
ed
elabora
a
suo
modo
:
un
dato
,
il
quale
è
entrato
con
altri
nella
psiche
del
parlante
,
che
lo
trasforma
in
linguaggio
vivo
,
facendone
la
sintesi
estetica
insieme
con
le
altre
impressioni
,
che
parimente
sono
entrate
in
lui
.
La
convenzione
cessa
per
tal
modo
di
essere
convenzione
,
perché
si
è
individualizzata
.
In
ciascun
individuo
,
e
in
ciascun
atto
del
parlare
,
quei
suoni
"
ro
puk
"
acquistano
un
particolare
significato
o
,
ch
'
è
lo
stesso
,
una
particolare
sfumatura
di
significato
.
Prima
si
aveva
l
'
universale
,
ma
non
la
lingua
;
ora
si
ha
bensì
la
lingua
,
ma
non
più
l
'
universale
.
Questa
obiezione
,
che
la
parola
convenuta
perda
la
sua
fissità
,
quando
entra
nell
'
uso
vivo
del
parlare
;
che
quel
solido
,
per
così
dire
,
caduto
nel
flusso
di
un
liquido
,
si
liquefaccia
anch
'
esso
;
-
è
stata
mossa
ai
sostenitori
della
lingua
universale
o
è
stata
in
qualche
modo
adombrata
,
quando
si
è
notato
che
la
lingua
universale
sarà
variamente
pronunciata
dai
vari
individui
,
e
che
sarà
alterata
dai
vari
popoli
secondo
le
tendenze
e
i
precedenti
di
ciascuno
e
secondo
tutte
le
circostanze
e
vicende
storiche
.
I
difensori
della
lingua
universale
,
non
avvertendo
forse
la
gravità
dell
'
obiezione
,
hanno
risposto
:
che
,
ammesso
pure
che
la
pronunzia
sia
causa
di
alterazioni
,
la
lingua
universale
resterà
sempre
utile
per
le
comunicazioni
scritte
;
che
le
alterazioni
temute
non
avranno
luogo
,
com
'
è
provato
da
esperienze
fatte
col
Volapüik
e
con
l
'
Esperanto
;
che
la
lingua
artificiale
non
sarà
sottomessa
agli
stessi
motivi
di
alterazione
,
operanti
nelle
lingue
storiche
,
perché
dovrà
servire
solo
per
certi
determinati
scambi
e
sarà
frenata
da
una
tradizione
e
da
una
letteratura
di
modelli
classici
;
che
le
mutazioni
,
riconosciute
opportune
,
potranno
essere
introdotte
,
cautamente
,
dall
'
autorità
medesima
,
costitutrice
di
quel
linguaggio
;
e
così
via
.
Ma
sono
tutte
risposte
le
quali
,
come
si
vede
,
non
giungono
a
eliminare
l
'
obiezione
in
quel
che
ha
di
sostanziale
.
Il
vero
è
che
nessuna
parola
è
qualcosa
di
fissabile
astrattamente
,
ma
ciascuna
attinge
significato
dalla
connessione
in
cui
si
trova
,
e
da
cui
non
è
separabile
se
non
per
violenta
mutilazione
.
E
quel
che
accade
per
le
parole
delle
così
dette
lingue
naturali
,
accade
del
pari
per
quelle
che
hanno
,
sì
,
il
loro
motivo
extralinguistico
in
una
convenzione
,
ma
il
cui
motivo
linguistico
è
,
come
per
tutte
le
altre
,
nella
spontaneità
e
naturalità
del
parlare
,
ritraente
le
svariate
e
mutabili
impressioni
dell
'
animo
umano
.
Non
si
tratta
,
dunque
,
di
quelle
sole
alterazioni
che
s
'
introdurrebbero
saltuariamente
e
accidentalmente
nel
corso
degli
anni
o
dei
secoli
;
ma
di
quelle
,
continue
,
che
s
'
introducono
a
ogni
attimo
.
La
mutabilità
incoercibile
del
linguaggio
,
e
della
convenzione
divenuta
che
sia
anch
'
essa
linguaggio
,
non
esclude
,
certamente
,
che
la
convenzione
,
tradotta
in
linguaggio
,
possa
avere
qualche
utilità
.
Per
certi
fini
pratici
,
quel
che
importa
è
non
la
fissità
rigorosa
,
ma
quella
approssimativa
,
nella
quale
si
trascurano
le
sfumature
e
si
considera
un
'
espressione
all
'
ingrosso
.
Epperò
l
'
Esperanto
,
e
altre
convenzioni
dello
stesso
genere
,
potranno
avere
la
loro
utilità
,
piccola
o
grande
che
sia
,
per
certi
tempi
e
per
certi
luoghi
.
Ridotta
la
cosa
in
questi
confini
,
essa
è
d
'
interesse
e
di
competenza
dei
pratici
,
alle
cure
dei
quali
bisogna
commetterla
e
lasciarla
.
Ma
,
sotto
l
'
aspetto
scientifico
,
conviene
insistere
nell
'
affermazione
che
la
così
detta
lingua
universale
si
risolve
in
un
processo
diviso
in
due
stadî
,
il
primo
dei
quali
(
convenzione
)
è
universale
ma
non
è
lingua
,
il
secondo
(
parlare
effettivo
)
è
lingua
ma
non
più
universale
.
Perché
,
al
filosofo
importa
che
l
'
umile
questione
pratica
di
un
possibile
espediente
atto
ad
agevolare
certi
generi
di
scambî
spirituali
non
faccia
sorgere
,
o
non
rafforzi
,
idee
false
(
e
già
troppe
ne
vanno
in
giro
)
intorno
alla
natura
del
linguaggio
.
Paris
,
Hachette
,
1903
,
8°
gr
.
,
pp
.
xxx-576
.
Op
.
cit
.
,
p
.
305
.
Op
.
cit
.
,
p
.
514
.
Op
.
cit
.
,
p
.
566
.
Op
.
cit
.
,
pp
.
113-115
,
548
.
Purtroppo
il
gran
Leibniz
,
in
conseguenza
dei
suoi
errati
concetti
circa
il
linguaggio
,
fu
uno
di
questi
"
taluni
"
e
sognò
di
poter
comporre
con
metodo
infallibile
e
quasi
dimostrativo
poemi
e
canti
"
très
beaux
"
;
al
modo
stesso
che
un
predecessore
di
lui
,
il
padre
Kircher
,
nella
Musurgia
,
pretendeva
insegnare
l
'
arte
di
comporre
arie
senza
sapere
di
musica
.
Si
veda
La
logique
de
Leibniz
,
d
'
après
des
documents
inédits
,
par
L
.
COUTURAT
(
Paris
,
Alcan
,
1901
)
,
p
.
63
.
Op
.
cit
.
,
pp
.
559
e
565
.
Cfr
.
la
rivista
"
Leonardo
"
,
fasc
.
di
novembre
1904
,
p
.
37
.
Op
.
cit
.
,
pp
.
559-569
.
StampaPeriodica ,
Il
Trombetti
pubblica
i
principali
risultati
del
lavoro
al
quale
attende
da
molti
anni
,
diretto
a
dimostrare
l
'
unità
d
'
origine
del
linguaggio
.
Ma
poiché
,
sia
per
il
premio
reale
dei
Lincei
conferito
nel
passato
anno
all
'
autore
,
e
per
il
gran
discorrere
che
ne
seguì
nei
giornali
,
e
per
la
cattedra
speciale
per
lui
istituita
,
sia
per
altre
cause
che
indicheremo
,
si
è
fatta
molta
confusione
intorno
alla
natura
,
al
significato
e
all
'
importanza
del
problema
che
il
Trombetti
si
è
proposto
,
a
noi
sembra
opportuno
(
prescindendo
qui
dal
valore
maggiore
o
minore
delle
sue
dimostrazioni
)
di
determinare
e
circoscrivere
il
valore
del
problema
stesso
.
E
diciamo
subito
che
si
tratta
di
un
problema
di
nessuna
importanza
filosofica
.
Pel
filosofo
,
domandare
se
il
linguaggio
abbia
avuto
una
o
più
origini
,
se
bisogni
tenere
per
la
monogenesi
o
per
la
poligenesi
,
non
ha
significato
.
Il
filosofo
sa
che
le
diversità
dei
linguaggi
sono
infinite
,
perché
infinite
sono
le
individuazioni
dello
spirito
.
Né
ammette
che
si
possa
discutere
dell
'
origine
storica
del
linguaggio
,
perché
il
linguaggio
non
è
fatto
storico
,
particolare
e
contingente
,
ma
categoria
.
Ciò
si
è
voluto
esprimere
nella
moderna
linguistica
e
filosofia
del
linguaggio
col
profondo
detto
,
che
il
problema
dell
'
origine
del
linguaggio
si
risolve
in
quello
della
sua
eterna
natura
.
Il
problema
del
Trombetti
è
nient
'
altro
che
una
ricerca
di
preistoria
.
Supponiamo
che
egli
sia
riuscito
a
provare
il
suo
assunto
dell
'
origine
di
tutti
i
linguaggi
esistenti
da
un
ceppo
comune
;
che
cosa
avrebbe
provato
?
Questo
:
che
le
società
ora
sparse
sulla
terra
,
delle
quali
la
lacunosa
e
assai
recente
tradizione
storica
non
ci
mostra
le
connessioni
,
dovettero
in
un
certo
tempo
(
=
tante
migliaia
d
'
anni
addietro
)
formare
un
'
unica
società
.
E
prima
di
quel
tempo
?
E
prima
di
prima
?
L
'
ulteriore
domanda
non
appartiene
al
tema
del
Trombetti
.
Se
la
potenza
romana
avesse
potuto
assorbire
o
distruggere
tutte
le
altre
società
esistenti
,
la
civiltà
presente
,
e
con
essa
i
suoi
linguaggi
,
non
avrebbero
altra
origine
che
Roma
.
Immaginiamo
un
antichissimo
gruppo
umano
,
il
quale
,
sostituendosi
a
esseri
inferiori
o
assorbendoli
,
si
sia
poi
diramato
per
tutta
la
terra
,
nell
'
Eurasia
,
nell
'
Africa
,
nell
'
Oceania
,
nelle
Americhe
;
e
avremo
la
costruzione
preistorica
,
giustificata
o
no
che
sia
,
rispondente
all
'
ipotesi
del
Trombetti
.
L
'
ipotesi
non
ha
nulla
d
'
impossibile
;
ma
,
ammessa
come
vera
,
non
tocca
nessuno
dei
grandi
problemi
che
interessano
lo
spirito
umano
.
Anzi
,
dirò
di
più
:
a
considerarla
nei
suoi
limiti
di
ricerca
preistorica
,
essa
ha
ben
modesto
interesse
,
perché
modesto
è
in
genere
l
'
interesse
della
preistoria
,
di
questa
scienza
analfabeta
(
come
il
Mommsen
scherzosamente
la
chiamava
)
,
la
quale
indaga
le
zone
grige
,
l
'
indistinto
,
il
rudimentale
,
il
povero
,
laddove
la
storia
ci
pone
di
fronte
ai
grandi
fatti
dello
svolgimento
umano
.
Credo
tutt
'
altro
che
trascurabili
le
ricerche
sulla
vascolaria
primitiva
;
ma
mi
permetto
di
reputare
alquanto
più
interessante
lo
studio
di
un
vaso
attico
,
di
un
piatto
di
mastro
Giorgio
o
di
una
porcellana
cinese
.
Se
l
'
interessamento
comune
sembra
testimoniare
del
contrario
e
si
accende
vivacissimo
innanzi
a
ogni
rivelazione
che
concerna
il
"
primitivo
"
,
ciò
accade
,
a
mio
parere
,
perché
nel
pensiero
comune
si
suole
scambiare
l
'
angusta
ricerca
preistorica
con
la
ricerca
filosofica
e
si
aspetta
dalla
prima
la
risposta
ai
problemi
della
seconda
.
Per
non
dire
che
talvolta
,
come
in
questo
caso
,
operano
in
quell
'
interessamento
motivi
religiosi
,
sonnecchianti
in
fondo
agli
animi
di
tutti
e
anche
di
molti
professionali
dell
'
irreligione
.
La
monogenesi
fa
pensare
,
confusamente
,
a
padre
Adamo
;
e
,
si
ha
voglia
a
essere
miscredenti
,
certe
cose
fanno
piacere
.
Di
qui
gran
parte
della
curiosità
che
ha
destata
,
e
della
popolarità
che
si
è
acquistata
fin
dal
primo
annunzio
,
la
così
detta
scoperta
del
Trombetti
.
Il
quale
,
purtroppo
,
non
si
è
saputo
guardare
esso
stesso
dall
'
esagerare
il
valore
della
sua
ricerca
e
dall
'
intorbidarne
l
'
indole
.
Il
Trombetti
crede
,
per
esempio
,
che
,
dimostrata
la
monogenesi
del
linguaggio
,
sarà
possibile
studiare
ben
altrimenti
"
quali
relazioni
intercedano
fra
il
segno
e
la
cosa
significata
"
(
p
.
VI
,
e
cfr
.
pp
.
41-3
)
;
si
dice
"
conscio
della
straordinaria
importanza
,
che
ha
l
'
affermazione
contenuta
nel
titolo
del
suo
libro
"
(
p
.
VI
)
;
asserisce
che
"
solo
con
l
'
unità
di
origine
del
linguaggio
sia
possibile
la
Glottologia
generale
comparativa
,
disciplina
la
quale
può
gettare
viva
luce
sulle
questioni
che
più
agitano
lo
spirito
umano
"
(
p
.
53
)
.
A
questo
modo
egli
mostra
di
possedere
concetti
poco
esatti
sul
rapporto
della
Glottologia
con
la
Filosofia
del
linguaggio
,
e
manchevole
intelligenza
di
quel
che
egli
chiama
segno
e
che
divide
dalla
cosa
significata
.
"
La
Glottologia
(
dice
altrove
,
p
.
VIII
)
,
avendo
per
oggetto
il
linguaggio
,
è
il
miglior
legame
tra
le
due
grandi
divisioni
in
cui
sta
ancora
ripartito
il
sapere
"
.
Né
ha
concetti
esatti
su
quel
che
sia
scienza
:
"
Scienza
vera
,
per
quel
che
riguarda
il
rigore
delle
dimostrazioni
,
ammessi
certi
postulati
,
è
soltanto
la
Matematica
:
le
altre
scienze
devono
tendere
ad
una
rappresentazione
matematica
o
simbolica
delle
cose
,
dalla
quale
però
sono
ancora
ben
lontane
"
(
p
.
10
)
.
Che
più
?
Egli
immagina
perfino
che
la
monogenesi
del
linguaggio
,
con
la
conseguente
monogenesi
degli
uomini
,
sia
atta
a
recare
consolazione
morale
.
"
La
scienza
e
l
'
arte
,
quando
non
siano
accompagnate
ad
un
ideale
di
bontà
,
sono
,
per
lo
meno
,
cose
imperfette
.
Perciò
richiamo
l
'
attenzione
su
certe
deduzioni
morali
,
che
vengono
spontanee
dall
'
esame
dei
fatti
;
ma
,
soprattutto
,
sulla
conclusione
generale
,
che
può
ricavarsi
in
favore
dell
'
unità
della
specie
umana
,
e
,
per
conseguenza
,
anche
in
favore
della
fratellanza
reale
degli
uomini
.
Tutti
i
buoni
debbono
augurarsi
che
non
abbiano
a
trionfare
le
teorie
,
messe
fuori
in
forma
dogmatica
,
sulla
pluralità
delle
specie
umane
,
e
che
,
piuttosto
,
anche
per
opera
della
scienza
,
venga
confermato
il
concetto
sublime
della
fratellanza
degli
uomini
,
frutto
della
intuizione
e
del
sentimento
,
religioso
o
altro
"
(
p
.
VIII
)
.
L
'
introduzione
del
libro
si
chiude
con
le
parole
:
"
Tutti
gli
uomini
appartengono
a
una
sola
specie
e
sono
realmente
fratelli
"
(
p
.
58
)
.
Come
se
gli
uomini
non
siano
fratelli
pel
fatto
stesso
che
sono
uomini
,
cioè
esseri
pensanti
;
o
come
se
l
'
asserita
preistoria
unitaria
dei
linguaggi
storici
abbia
virtù
d
'
ingenerare
un
sentimento
nuovo
e
più
efficace
di
fratellanza
,
impedendo
qualche
guerra
o
addolcendo
qualche
spietata
concorrenza
commerciale
.
Della
identità
e
dei
nessi
stabiliti
dal
Trombetti
tra
le
lingue
dell
'
Eurasia
,
dell
'
Africa
e
dell
'
Oceania
,
e
da
lui
presupposti
anche
per
le
lingue
d
'
America
,
discuteranno
i
competenti
.
Odo
insistentemente
susurrare
da
filologi
e
glottologi
che
nel
giudizio
circa
questa
parte
del
suo
lavoro
si
è
molto
esagerato
,
e
che
le
affermazioni
del
Trombetti
vanno
soggette
a
continue
riserve
.
Ma
l
'
esagerazione
,
che
si
potrà
dimostrare
per
questo
rispetto
,
sarà
sempre
minore
di
quella
che
si
è
fatta
col
falsare
,
come
abbiamo
veduto
,
il
significato
stesso
della
ricerca
.
Con
che
non
si
vuole
essere
severi
verso
il
Trombetti
,
il
quale
in
gran
parte
,
piuttosto
che
autore
,
è
stato
vittima
delle
esagerazioni
;
né
si
vuole
negargli
il
merito
che
gli
spetta
per
avere
consacrato
tutto
l
'
ardore
della
sua
laboriosa
giovinezza
a
una
ricerca
,
la
quale
,
se
ha
natura
diversa
e
importanza
assai
minore
di
quel
che
egli
ha
creduto
,
è
pur
sempre
ricerca
da
non
trascurare
.
ALFREDO
TROMBETTI
(
prof
.
ordin
.
nell
'
Università
di
Bologna
)
,
L
'
unità
d
'
origine
del
linguaggio
(
Bologna
,
Beltrami
,
1905
)
.
Mi
viene
a
mano
un
articolo
del
prof
.
A
.
MOCHI
,
intorno
al
libro
del
T
.
(
"
Giornale
d
'
Italia
"
,
del
20
agosto
1905
)
,
che
mostra
aperta
la
confusione
da
me
lamentata
dell
'
ipotesi
del
T
.
coi
concetti
di
umanità
,
origine
dell
'
umanità
,
fratellanza
umana
,
ecc
.
:
"
Agli
argomenti
favorevoli
alla
dottrina
dell
'
originaria
fratellanza
di
tutti
gli
uomini
(
dice
il
M
.
)
se
ne
aggiunge
oggi
uno
capitale
:
la
primitiva
unità
del
linguaggio
.
La
vecchia
ed
ardente
questione
,
che
tenne
diviso
per
secoli
il
campo
scientifico
,
si
chiude
finalmente
per
merito
d
'
un
glottologo
.
È
perciò
che
l
'
opera
di
lui
assume
una
grande
importanza
anche
all
'
infuori
delle
discipline
linguistiche
e
richiama
l
'
attenzione
di
ogni
cultore
della
storia
umana
;
anzi
,
per
dir
meglio
,
di
tutti
gli
uomini
che
si
sono
posti
un
giorno
la
tormentosa
domanda
:
donde
veniamo
?
"
.
E
si
veda
anche
,
nello
stesso
"
Giornale
"
,
num
.
del
22
agosto
,
la
lettera
di
"
un
Cattolico
"
.
StampaPeriodica ,
Testé
ho
compiuto
la
lettura
di
parecchi
scritti
di
linguistica
e
mi
sono
rimesso
alquanto
al
corrente
in
questo
campo
di
studî
,
al
quale
da
circa
venti
anni
non
avevo
quasi
più
rivolto
l
'
occhio
,
occupato
com
'
ero
in
altri
problemi
e
indagini
.
E
ho
provato
il
compiacimento
di
notare
che
la
scienza
del
linguaggio
si
trova
adesso
in
piena
benefica
crisi
,
e
che
i
concetti
,
che
,
oltre
vent
'
anni
fa
,
io
avevo
sostenuti
in
tale
materia
,
sono
stati
tutti
confermati
o
riscoperti
da
recenti
studiosi
.
Non
già
che
quei
miei
concetti
non
avessero
precedenti
presso
gli
stessi
cultori
di
Linguistica
,
perché
i
dubbî
circa
la
validità
delle
cosidette
leggi
fonetiche
,
e
la
polemica
contro
i
neogrammatici
,
potevano
vantare
nomi
insigni
,
come
quelli
dell
'
Ascoli
e
dello
Schuchardt
.
Tali
dubbi
sono
poi
riapparsi
e
hanno
,
per
così
dire
,
esploso
nello
Gilliéron
e
nella
sua
scuola
,
operando
un
rivolgimento
nel
modo
di
studiare
la
storia
delle
parole
.
Ma
io
mi
avvidi
forse
per
il
primo
che
le
teorie
allora
correnti
nella
Lingusitica
erano
una
delle
forme
del
positivismo
e
dipendevano
dalla
concezione
meccanica
o
naturalistica
del
parlare
e
,
più
in
particolare
,
dalla
ignoranza
circa
il
concetto
della
creazione
poetica
e
la
natura
dell
'
arte
.
In
qual
modo
era
,
allora
,
considerata
la
Linguistica
dai
filosofi
,
e
non
da
quelli
volgari
ma
da
filosofi
di
molto
acume
e
dottrina
,
irretiti
nel
naturalismo
,
nel
determinismo
e
nello
psicologismo
?
Può
vedersi
in
una
pagina
della
importante
prelezione
,
che
nel
1887
il
mio
maestro
Antonio
Labriola
tenne
all
'
università
di
Roma
sui
problemi
della
filosofia
della
storia
.
Il
Labriola
guardava
alla
storia
delle
lingue
come
a
quella
parte
della
storia
che
s
'
era
innalzata
a
scienza
e
splendeva
quasi
faro
a
segnar
la
via
di
salvezza
alle
altre
parti
.
"
La
storiografia
tradizionale
(
egli
scriveva
)
,
che
usa
del
criterio
prospettico
della
successione
nel
tempo
per
dati
di
cronologia
uniforme
,
si
risolve
da
sé
come
in
tanti
processi
di
formazioni
specifiche
,
aventi
il
proprio
ritmo
,
e
indipendenti
dalle
divisioni
convenzionali
di
Oriente
e
Occidente
,
di
antico
,
di
medievale
e
di
moderno
,
o
come
altro
si
dicano
.
E
,
difatti
,
lo
studio
specifico
di
alcuno
degli
ordini
precisi
di
fatti
omogenei
e
graduati
,
ci
ha
dato
ai
nostri
tempi
i
primi
serî
tentativi
di
scienza
storica
;
e
se
non
in
tutte
le
maniere
di
studî
fu
sino
ad
ora
possibile
di
raggiungere
l
'
esattezza
della
Linguistica
,
e
specie
dell
'
ariana
,
non
è
improbabile
,
a
giudicare
dagli
avviamenti
,
che
il
medesimo
debba
accadere
di
altre
forme
e
di
altri
prodotti
dell
'
attività
umana
.
Con
questi
studî
,
come
con
vero
e
proprio
oggetto
di
scienza
il
filosofo
della
storia
deve
simpatizzare
,
se
non
vuole
che
le
sue
elucubrazioni
e
il
suo
insegnamento
divengano
presto
esercizio
di
rettorica
speculativa
"
.
Nel
rileggere
ora
questa
pagina
,
si
prova
l
'
impressione
di
assistere
a
una
delle
non
infrequenti
"
ironie
della
storia
"
.
Il
grande
edifizio
della
Linguistica
,
con
le
sue
esatte
leggi
fonetiche
,
è
ora
mezzo
in
rovina
;
e
i
linguisti
,
anziché
prestare
il
modello
alle
altre
parti
degli
studî
storici
,
chiedono
a
queste
la
regola
per
rinnovare
e
correggere
le
indagini
loro
proprie
.
È
stato
notato
che
la
crisi
è
sorta
non
tanto
nel
campo
della
grammatica
storica
,
quanto
in
quello
dell
'
etimologia
.
La
cosa
è
affatto
ovvia
.
La
legge
fonetica
,
che
prima
si
concepiva
come
legge
naturale
nel
senso
di
una
legge
"
reale
"
,
e
che
è
invece
naturalistica
e
astratta
,
scopre
la
sua
impotenza
o
i
suoi
limiti
innanzi
al
concreto
etimologizzare
,
cioè
al
problema
storico
effettivo
,
che
è
sempre
individuato
.
E
quando
lo
Gilliéron
intitola
uno
dei
suoi
scritti
:
"
La
faillité
de
l
'
Étymologie
phonétique
"
,
che
cosa
fa
egli
se
non
ripetere
la
formola
che
abbiamo
udito
risuonare
ogni
volta
che
qualche
parte
della
filosofia
o
della
storia
ripigliava
la
sua
libertà
di
movimenti
,
scotendo
via
la
brutale
violenza
procustea
del
positivismo
:
a
cominciare
da
una
certa
celebre
Banqueroute
de
la
Science
,
che
fu
annunziata
in
un
paese
in
cui
la
Science
aveva
avuto
,
forse
più
che
in
altri
,
senso
e
predominio
esclusivamente
positivistico
?
Per
questa
ragione
godo
che
alcuno
dei
recenti
linguisti
(
e
degli
italiani
ricordo
il
Bartoli
e
il
Bertoni
,
il
quale
più
di
ogni
altro
si
è
fatto
presso
di
noi
l
'
apostolo
del
nuovo
avviamento
)
abbiano
espressamente
riattaccato
le
loro
critiche
e
le
loro
indagini
ai
concetti
della
nuova
Estetica
e
della
nuova
Filosofia
dello
spirito
,
che
riporta
il
linguaggio
all
'
esprimersi
(
all
'
espressione
in
senso
teoretico
e
non
già
all
'
espressione
in
senso
pratico
,
che
è
mero
indizio
o
sintomo
)
e
,
per
questa
via
,
lo
identifica
con
la
poesia
e
con
l
'
arte
in
genere
,
e
tutti
i
problemi
del
linguaggio
ritrova
sostanzialmente
identici
a
quelli
teoretici
e
storici
della
poesia
e
dell
'
arte
.
Tale
ricongiungimento
al
metodico
e
sistematico
pensiero
filosofico
ha
il
vantaggio
non
solo
di
rendere
più
rigorose
e
perspicue
le
dottrine
,
ma
anche
d
'
impedire
le
esagerazioni
o
unilateralità
a
cui
facilmente
si
lasciano
andare
gli
specialisti
novatori
,
acuti
e
anche
geniali
,
ma
non
altrettanto
esperti
in
concetti
speculativi
.
Dei
quali
specialisti
io
riconosco
l
'
opera
utile
ed
efficace
,
e
li
preferisco
,
pur
coi
loro
eccessi
o
coi
loro
difetti
,
agli
astratti
filosofanti
,
e
ho
detto
più
volte
che
la
loro
audace
e
arrischiata
filosofia
,
nascente
dalla
considerazione
delle
cose
particolari
e
ritenente
qualcosa
di
particolare
e
contingente
,
vale
di
gran
lunga
più
di
quella
,
avveduta
e
assottigliata
ma
arida
,
di
molti
filosofi
di
mestiere
,
anzi
quella
vale
e
questa
non
vale
,
perché
quella
è
viva
e
questa
è
morta
.
Ma
ciò
non
toglie
che
il
meglio
sia
riunire
la
virtù
della
specialità
a
quella
dell
'
universalità
.
Parlo
qui
,
in
generale
,
della
presente
fase
degli
studî
sul
linguaggio
,
e
perciò
non
entro
in
un
esame
critico
delle
dottrine
che
ora
si
propugnano
:
esame
che
,
del
resto
,
altri
va
facendo
e
con
preparazione
specifica
migliore
della
mia
.
Ma
,
se
dovessi
dare
un
esempio
della
necessità
di
rendere
più
perspicui
certi
concetti
della
nuova
scuola
,
mi
fermerei
su
quello
di
etimologia
popolare
,
che
essa
adopera
con
molto
buon
frutto
,
ma
che
,
così
come
è
formulato
,
non
va
esente
da
dubbiezze
e
confusioni
.
"
Vous
travaillez
à
l
'
étymologie
(
dice
lo
Gilliéron
ai
suoi
uditori
)
,
mais
souvenez
-
vous
que
le
peuple
y
a
travaillé
avant
vous
"
.
Ora
quell
'
etimologizzare
onde
si
forma
la
nuova
parola
ossia
il
nuovo
significato
e
il
nuovo
fonema
non
è
altro
che
l
'
opera
stessa
della
fantasia
espressiva
,
la
quale
,
come
in
una
piccola
parola
o
piccola
frase
così
in
una
grande
opera
di
poesia
,
crea
sempre
sul
passato
,
e
perciò
volge
a
nuovo
uso
gli
elementi
del
passato
e
ne
dà
una
nuova
sintesi
in
cui
quel
passato
è
e
non
è
quello
di
prima
,
e
,
in
fondo
,
ha
ceduto
il
posto
al
presente
e
nuovo
.
Ma
l
'
etimologizzare
propriamente
detto
è
,
invece
,
l
'
opera
riflessa
dello
storico
,
che
ripercorre
criticamente
l
'
anzidetto
processo
formativo
.
E
,
se
dovessi
dare
un
esempio
delle
cautele
da
osservare
,
vorrei
mettere
in
guardia
contro
lo
spregio
delle
cosiddette
leggi
fonetiche
,
della
grammatica
storica
e
normativa
,
e
anche
dell
'
Académie
,
come
la
chiama
lo
Gilliéron
.
In
verità
,
le
leggi
fonetiche
sono
utili
in
quel
che
possono
,
come
tutte
le
leggi
empiriche
;
e
della
grammatica
normativa
e
dell
'
accademia
non
si
potrà
far
mai
di
meno
,
perché
sono
discipline
e
istituti
che
si
sforzano
a
serbare
o
a
far
muovere
lo
svolgimento
linguistico
in
un
certo
indirizzo
,
che
merita
di
essere
difeso
se
anche
non
deve
avere
,
e
non
ha
poi
mai
nel
fatto
,
prevalenza
assoluta
.
Quel
che
importa
combattere
non
è
quegli
istrumenti
d
'
indagine
o
di
scuola
,
ma
l
'
ibridismo
dei
metodi
che
si
tira
dietro
problemi
insolubili
o
soluzioni
immaginarie
,
e
talvolta
ridevoli
.
La
Linguistica
idealistica
,
o
meglio
la
nuova
filosofia
e
storia
del
parlare
,
sarà
tanto
più
consapevole
e
sicura
della
propria
verità
,
quanto
più
sarà
moderata
.
Colgo
l
'
occasione
per
manifestare
un
desiderio
.
Anni
sono
,
cercai
di
mettere
sotto
miglior
luce
gli
storici
e
filologi
,
ligi
all
'
antico
,
che
,
nella
prima
metà
del
secolo
decimonono
,
riluttavano
e
si
opponevano
violentemente
alle
teorie
e
ai
metodi
della
Linguistica
indoeuropea
,
e
additai
quel
che
di
ragionevole
mi
pareva
che
fosse
nella
loro
opposizione
.
Gioverebbe
meglio
lumeggiare
quelle
parti
del
loro
scetticismo
che
coglievano
nel
giusto
e
quelle
esigenze
legittime
che
essi
rappresentavano
.
A
questo
modo
non
solo
si
adempirebbe
un
dovere
di
pietà
,
ma
si
otterrebbe
qualche
istruzione
;
e
forse
,
talvolta
,
i
dotti
linguisti
odierni
si
rivedrebbero
innanzi
,
autenticati
dai
fatti
,
i
"
pareri
di
Perpetua
"
.
Ristampata
da
me
in
LABRIOLA
,
Scritti
varî
di
filosofia
e
politica
(
Bari
,
Laterza
,
1906
)
;
cfr
.
pp
.
211-2
.
Études
sur
la
défectivité
des
verbes
.
La
faillité
de
l
'
Étymologie
phonétique
.
Résumé
de
conférences
faites
à
I
'
École
pratique
des
hautes
études
par
J
.
GILLIÉRON
,
Neuveville
(
Berne
)
,
1919
.
A
proposito
di
queste
:
perché
mai
anche
il
MEYER
-
LÜBKE
,
Roman
.
Etym
.
Wörterb
,
n
.
1721
,
si
ostina
a
derivare
carosello
o
carrousel
,
con
fonetica
etimologia
,
da
carrum
,
quando
io
ho
dimostrato
che
l
'
origine
è
tutt
'
altra
e
assai
più
complicata
(
v
.
La
Spagna
nella
vita
italiana
durante
la
Rinascenza
,
pp
.
194-5
)
?
Per
quel
vocabolo
si
potrebbe
scrivere
una
divertente
storia
alla
Gilliéron
(
dove
forse
entrerebbe
,
ma
assai
tardi
,
anche
il
carrum
)
.
Della
quale
storia
delle
parole
come
storia
della
fantasia
voglio
segnare
qui
uno
spontaneo
avviamento
o
desiderio
che
ho
trovato
in
un
vecchio
scrittore
napoletano
,
nelle
annotazioni
(
1588
)
di
Tommaso
Costo
alla
Storia
di
Napoli
del
Collenuccio
.
Il
Costo
,
esaminando
la
disputata
etimologia
di
"
Terra
di
lavoro
"
(
dai
"
campi
leborini
"
o
leboriae
,
ovvero
da
"
lavoro
"
?
)
,
accetta
tutte
e
due
le
derivazioni
in
contrasto
e
osserva
:
"
Suole
spesso
accadere
che
si
darà
un
nome
ad
una
cosa
a
un
proposito
,
ed
in
processo
poi
di
tempo
succederà
qualche
accidente
di
così
strana
conformità
che
,
investendosi
dello
stesso
nome
,
lo
tira
ad
un
altro
proposito
assai
diverso
dal
primo
"
;
e
aggiunge
di
questo
processo
altri
esempi
:
"
Gravina
"
,
dalle
"
gravine
"
,
valloni
,
e
dal
grano
e
vino
onde
abbonda
;
"
Montevergine
"
,
da
"
Virgilio
"
e
da
Maria
Vergine
,
ecc
.
(
v
.
nell
'
ediz
.
della
Istoria
del
Collenuccio
,
Napoli
,
1771
,
I
,
12-13
)
.
V
.
ora
la
mia
Storia
della
storiografia
italiana
nel
secolo
XIX
,
I
,
58-60
,
218-19
.
StampaPeriodica ,
Il
libro
di
Edmondo
de
Amicis
è
l
'
ultima
manifestazione
letteraria
di
un
problema
che
ha
molto
occupato
le
menti
degli
italiani
attraverso
i
secoli
:
il
problema
della
lingua
.
Se
i
soli
eruditi
ricordano
i
periodi
più
remoti
di
quella
grande
controversia
(
dal
De
vulgari
eloquentia
alle
polemiche
cinquecentesche
,
e
giù
giù
ai
libri
del
Cesarotti
e
del
Napione
dell
'
ultimo
Settecento
,
e
a
quelli
del
Monti
e
del
Perticari
e
di
tanti
altri
dei
primi
dell
'
Ottocento
)
,
tutti
hanno
fresca
la
memoria
della
più
recente
guerra
provocata
dalla
lettera
del
Manzoni
al
Di
Broglio
,
e
variamente
combattuta
tra
manzoniani
,
antimanzoniani
e
moderati
.
Quelle
dispute
,
considerate
sotto
l
'
aspetto
rigorosamente
teorico
e
scientifico
,
non
mancano
di
pregio
e
d
'
importanza
.
Entrano
in
gruppo
con
altre
dispute
letterarie
(
sul
poema
epico
,
sulla
tragedia
,
sulla
tragicommedia
,
sul
melodramma
,
sulla
commedia
in
prosa
,
sulle
varie
forme
dello
stile
,
sull
'
imitazione
,
e
via
dicendo
)
,
che
nei
tempi
moderni
l
'
Italia
,
prima
di
ogni
altra
nazione
,
formolò
e
agitò
,
e
che
dall
'
Italia
passarono
agli
altri
paesi
neolatini
e
germanici
.
Senza
codeste
dispute
sulle
regole
e
sui
generi
della
poesia
e
della
letteratura
,
non
si
sarebbe
svolta
la
teoria
filosofica
della
poesia
e
dell
'
arte
che
si
disse
poi
Estetica
;
e
senza
le
dispute
intorno
alla
lingua
non
sarebbe
sorta
quella
che
si
disse
più
particolarmente
Filosofia
del
linguaggio
.
Nello
sforzo
per
dominare
col
pensiero
la
massa
dei
fatti
e
penetrarne
la
natura
,
la
mente
umana
non
può
non
urtare
e.impigliarsi
dapprima
nelle
comuni
e
volgari
classificazioni
,
e
provarsi
a
sistemarle
e
a
renderle
razionali
,
proponendosi
problemi
insolubili
;
fintanto
che
non
si
accorge
come
,
per
intendere
davvero
la
verità
dei
fatti
che
indaga
,
convenga
abbandonare
del
tutto
quelle
categorie
empiriche
,
e
collocarsi
in
un
punto
di
vista
affatto
diverso
.
Sarebbe
perciò
da
intelletti
superficiali
considerare
con
dispregio
quegli
sforzi
del
passato
,
i
quali
,
per
falliti
che
siano
,
rappresentano
uno
stadio
di
progresso
,
un
errore
in
cui
giovò
essersi
dibattuti
per
qualche
tempo
,
perché
ebbe
efficacia
esemplare
,
e
a
suo
modo
contribuì
all
'
avvenimento
della
verità
.
Dalla
contradizione
nasce
la
soluzione
;
dalla
indifferente
quiete
non
nasce
nulla
.
E
opportunamente
gl
'
indagatori
della
storia
delle
idee
vanno
rivolgendo
la
loro
attenzione
alle
dottrine
letterarie
e
grammaticali
italiane
dei
secoli
passati
,
le
quali
a
noi
sembrano
,
come
sono
in
effetto
,
pedantesche
,
ma
che
,
pur
con
la
loro
pedanteria
,
si
dimostrano
feconde
.
Quei
pedanti
furono
,
se
non
i
nostri
padri
,
certamente
i
nostri
antenati
spirituali
.
Riconosciuto
tutto
ciò
,
non
è
men
vero
che
così
le
dispute
sulla
lingua
come
quelle
sulle
regole
letterarie
,
hanno
perduto
da
lungo
tempo
ogni
valore
positivo
.
Il
sistema
delle
regole
letterarie
venne
rotto
e
spazzato
via
dal
moto
intellettuale
del
romanticismo
,
che
abbozzò
la
nuova
idea
della
poesia
e
dell
'
arte
;
e
il
suo
proprio
romanticismo
ebbe
anche
la
teoria
del
linguaggio
col
Vico
,
con
lo
Hamann
,
con
lo
Herder
,
con
lo
Humboldt
,
pensatori
dopo
i
quali
non
sarebbe
stato
più
lecito
ragionare
intorno
a
quella
materia
coi
vecchi
criterî
.
Sotto
questo
aspetto
,
la
posizione
manzoniana
del
problema
linguistico
non
può
non
apparire
anacronistica
e
retriva
,
perché
il
Manzoni
non
si
liberò
mai
,
nelle
sue
teorie
sul
linguaggio
,
da
certe
idee
da
intellettualista
ed
enciclopedista
del
secolo
decimottavo
:
come
si
può
desumere
in
ispecie
dai
frammenti
,
pubblicati
alcuni
anni
orsono
,
del
suo
libro
sulla
lingua
,
che
meriterebbero
di
essere
studiati
con
cura
.
Qual
'
era
la
fallacia
del
vecchio
concetto
del
linguaggio
,
quale
il
contrasto
tra
esso
e
il
concetto
nuovo
,
formolato
o
almeno
adombrato
nei
filosofi
dei
quali
abbiamo
fatto
cenno
?
-
Si
potrebbe
delineare
questo
contrasto
brevemente
così
:
il
vecchio
concetto
considerava
il
linguaggio
come
segno
;
il
nuovo
lo
considera
come
rappresentazione
.
Secondo
la
prima
concezione
,
la
lingua
è
quasi
una
raccolta
di
utensili
che
ciascuno
adopera
a
volta
a
volta
per
comunicare
agli
altri
il
proprio
pensiero
;
secondo
la
concezione
nuova
,
la
lingua
non
è
già
mezzo
per
comunicare
le
idee
o
le
rappresentazioni
,
ma
è
l
'
idea
o
la
rappresentazione
stessa
,
qualcosa
che
non
si
può
concepire
mai
distinto
o
staccato
dal
moto
del
pensiero
.
Secondo
la
prima
,
bisogna
mettersi
alla
ricerca
della
lingua
ottima
,
concordare
segni
ben
definiti
,
di
significato
preciso
e
non
equivoco
,
costanti
per
tutti
gl
'
individui
della
comunione
linguistica
;
secondo
l
'
altra
,
siffatta
ricerca
è
vana
,
perché
ciascun
individuo
si
crea
,
volta
per
volta
,
la
sua
propria
lingua
,
e
quella
che
io
parlo
e
scrivo
oggi
non
è
quella
di
ieri
,
e
quella
che
conviene
a
me
,
non
conviene
ad
altri
.
Secondo
la
prima
,
è
possibile
giudicare
un
parlante
o
uno
scrivente
in
modo
oggettivo
,
confrontando
il
suo
parlare
e
scrivere
col
modello
linguistico
,
e
determinando
con
questo
confronto
se
egli
adoperi
lingua
buona
o
cattiva
;
secondo
l
'
altra
,
questo
giudizio
è
impossibile
,
perché
il
preteso
modello
linguistico
è
un
'
astrazione
,
e
ogni
prodotto
linguistico
ha
la
propria
legge
e
il
proprio
modello
in
sé
stesso
.
Tra
le
due
concezioni
chiunque
abbia
qualche
coscienza
del
modo
moderno
d
'
intendere
l
'
arte
,
non
esiterà
nel
prendere
partito
.
Ed
è
appena
necessario
soggiungere
che
,
accettando
che
alcuni
,
troppo
facili
a
confondersi
e
a
spaurirsi
,
temono
:
quasi
che
si
venga
ad
abolire
in
forza
di
essa
ogni
distinzione
tra
scriver
bene
e
scriver
male
,
parlar
bene
e
parlar
male
.
Il
parlare
bene
o
male
si
giudica
non
con
la
misura
estrinseca
della
lingua
oggettiva
,
ma
con
quella
intrinseca
e
affatto
intuitiva
del
gusto
.
Così
si
è
fatto
e
si
farà
sempre
:
da
che
il
mondo
è
mondo
,
vi
sono
stati
scrittori
buoni
,
scrittori
cattivi
e
scrittori
mediocri
,
e
sempre
vi
saranno
:
la
concezione
individualistica
o
estetica
del
linguaggio
non
cancella
la
loro
differenza
,
che
è
affatto
intuitiva
.
Scriver
bene
è
nient
'
altro
che
una
forma
d
'
intensità
spirituale
;
scriver
male
è
debolezza
spirituale
.
Le
questioni
intorno
alla
lingua
si
convertono
nelle
altre
intorno
alla
vivezza
e
coerenza
estetica
della
rappresentazione
,
guardata
nella
sua
individualità
.
Perciò
la
teoria
moderna
accetta
autori
e
modi
di
scrivere
che
i
vecchi
grammatici
e
critici
consideravano
ibridi
,
rozzi
,
scorretti
,
o
che
accettavano
collocandoli
nella
comoda
quanto
irrazionale
categoria
delle
eccezioni
.
Sotto
il
dominio
del
vecchio
concetto
del
linguaggio
è
ancora
il
De
Amicis
.
Tutto
il
suo
libro
è
informato
al
pensiero
che
la
lingua
si
studî
o
,
com
'
egli
dice
,
che
non
basti
"
amare
"
la
lingua
del
proprio
paese
,
ma
convenga
"
studiarla
"
.
E
già
lo
stesso
amore
per
la
lingua
nazionale
è
in
lui
non
bene
ragionato
e
alquanto
rettoricamente
declamato
,
affermando
egli
che
si
ami
dagli
italiani
la
lingua
italiana
e
per
le
memorie
gloriose
che
reca
con
sé
e
perché
essa
è
bellissima
,
ricchissima
,
potentissima
,
e
altre
cose
siffatte
.
E
non
è
vero
:
io
sfido
a
trovare
un
uomo
che
ami
la
lingua
,
cioè
che
faccia
all
'
amore
con
un
'
astrazione
.
Ciò
che
si
ama
è
la
parola
nella
sua
concretezza
,
la
poesia
,
la
pagina
eloquente
.
Dante
,
Ariosto
,
Machiavelli
;
e
perciò
quest
'
amore
supera
i
limiti
della
regione
e
della
nazione
,
e
,
secondo
la
varia
cultura
di
cui
si
dispone
,
abbraccia
Orazio
o
Sofocle
,
Goethe
o
Shelley
,
la
lingua
latina
,
la
greca
,
la
tedesca
o
l
'
inglese
.
Ma
non
insisterò
su
questo
punto
,
perché
mi
preme
insistere
sull
'
altro
:
sulla
raccomandazione
di
studiare
la
lingua
.
Che
cosa
significa
studiare
la
lingua
?
L
'
uomo
intelligente
studia
quanto
aiuta
il
suo
svolgimento
mentale
e
morale
,
ma
non
ciò
che
gli
è
inutile
a
questo
fine
.
Il
De
Amicis
consiglia
d
'
imparare
i
nomi
di
tutte
le
cose
che
accade
ogni
giorno
di
vedere
o
adoperare
,
e
di
mandarli
a
mente
;
di
meditare
i
prontuarî
,
dove
sono
registrati
i
vocaboli
degli
oggetti
di
uso
domestico
;
di
fare
la
nomenclatura
della
roba
che
si
porta
addosso
,
per
passare
via
via
a
quella
degli
oggetti
che
si
maneggiano
,
ai
mobili
della
propria
camera
,
alla
mensa
,
allo
scrittorio
,
agli
arredi
e
utensili
di
tutta
la
casa
,
alle
varie
parti
della
casa
stessa
;
di
leggere
e
spogliare
il
vocabolario
.
E
rafforza
i
suoi
consigli
col
mostrare
quanto
sia
vasta
l
'
ignoranza
che
ordinariamente
si
trova
anche
nelle
persone
colte
intorno
alla
terminologia
esatta
delle
più
modeste
occupazioni
della
vita
:
per
es
.
,
del
riempire
e
vuotare
un
fiasco
di
vino
.
Ma
ha
egli
pensato
che
cosa
importi
questo
consiglio
?
Ecco
un
giovane
nel
tempo
in
cui
il
suo
cuore
si
gonfia
di
passioni
gagliarde
e
la
sua
mente
si
viene
travagliando
sui
problemi
più
alti
della
vita
e
della
realtà
;
un
giovane
,
che
sarà
poeta
,
filosofo
,
uomo
d
'
azione
.
E
a
questo
giovane
,
che
ha
tanta
materia
di
lavoro
nel
suo
spirito
(
e
che
per
ciò
stesso
,
si
noti
bene
,
ha
tutto
il
linguaggio
che
gli
occorre
,
tutto
il
linguaggio
che
è
correlativo
a
quel
lavoro
,
non
essendo
concepibile
pensiero
senza
linguaggio
)
,
a
questo
poeta
,
filosofo
o
uomo
pratico
in
germe
e
in
formazione
,
si
vuole
imporre
,
o
almeno
consigliare
,
di
baloccarsi
a
imparare
le
cento
denominazioni
delle
cento
parti
di
un
vestito
,
e
le
dugento
della
stanza
da
studio
,
o
le
trenta
e
quaranta
delle
svariate
e
minute
operazioni
che
si
compiono
per
riempire
e
vuotare
un
fiasco
di
vino
?
Che
cosa
interessa
a
quell
'
uomo
,
che
forse
infilerà
distrattamente
il
suo
soprabito
,
e
tracannerà
il
suo
vino
,
e
maneggerà
quasi
macchinalmente
gli
oggetti
del
suo
scrittorio
,
soffermarsi
col
pensiero
nella
contemplazione
e
nell
'
analisi
di
quelle
piccinerie
?
Se
alcuno
gliene
dice
i
vocaboli
,
li
ascolterà
con
fastidio
,
e
li
dimenticherà
poco
dopo
.
E
se
non
prova
fastidio
,
se
si
lascia
sedurre
dal
giochetto
,
cattivo
segno
:
segno
di
spirito
non
serio
,
non
concentrato
,
non
fervido
,
ma
frivolo
o
passivo
.
Leggere
il
vocabolario
,
è
"
passatempo
piacevole
"
(
ripete
ancora
una
volta
il
De
Amicis
)
.
Sarà
;
ma
è
anche
perditempo
.
C
'
è
di
meglio
da
fare
che
leggere
vocabolarî
e
imparare
a
mente
nomenclature
.
C
'
è
da
studiare
e
leggere
il
mondo
;
verba
sequentur
,
e
non
potranno
non
seguire
.
Il
sarto
o
chi
parli
del
mestiere
del
sarto
,
la
massaia
o
chi
descriva
un
cervello
di
massaia
,
un
servitore
che
spazzi
la
casa
o
chi
descriva
un
servitore
in
quell
'
operazione
,
si
rappresenteranno
insieme
le
parole
rispondenti
alle
cose
che
concernono
quei
vari
personaggi
:
le
parole
dei
vestiti
,
dei
fiaschi
di
vino
,
delle
parti
e
dei
mobili
della
stanza
.
Ma
è
un
'
idea
curiosa
voler
mutare
codesti
apprendimenti
incidentali
e
relativi
alle
condizioni
e
riflessioni
di
questo
o
quell
'
individuo
in
un
obbligo
di
cultura
:
quasi
al
modo
stesso
che
si
consiglia
lo
studio
della
poesia
e
della
storia
,
delle
matematiche
e
della
filosofia
,
per
ottenere
uno
svolgimento
mentale
completo
.
Il
De
Amicis
espone
,
non
senza
esagerazioni
,
i
molti
impacci
in
cui
si
càpita
quando
non
si
conoscono
le
parole
italiane
o
toscane
degli
oggetti
di
uso
domestico
:
viaggiando
,
cangiando
paese
,
c
'
è
rischio
di
non
essere
intesi
e
di
non
intendere
.
Ma
queste
difficoltà
sono
pur
delle
tante
nelle
quali
c
'
imbattiamo
nella
vita
;
e
l
'
ovviarvi
non
è
ufficio
di
educatore
.
Altrimenti
converrebbe
spendere
qualche
semestre
di
lezioni
per
insegnare
alla
gioventù
il
gergo
dei
cuochi
e
le
corrispondenti
voci
(
posto
che
vi
siano
)
italiane
o
toscane
,
affinché
non
accada
ciò
che
accade
spesso
a
me
(
e
certamente
a
molti
altri
uomini
letterati
)
,
che
quando
siedo
a
una
tavola
di
trattoria
e
do
i
miei
ordini
al
cameriere
sulla
carta
,
non
so
precisamente
che
cosa
sarà
per
essere
la
pietanza
di
cui
ho
indicato
il
titolo
,
avendo
un
'
idea
molto
approssimativa
di
quel
che
quel
titolo
significa
.
Ma
è
preferibile
,
di
certo
,
provar
di
tanto
in
tanto
qualche
delusione
gastronomica
all
'
improba
fatica
di
studiare
le
creazioni
linguistiche
dei
cuochi
.
Un
uomo
di
buon
senso
,
come
il
De
Amicis
,
non
avrebbe
sprecato
il
fiato
in
queste
raccomandazioni
,
ora
superflue
ora
puerili
,
circa
lo
studio
della
lingua
,
se
non
fosse
stato
,
come
dicevo
,
dominato
inconsapevolmente
dalla
vecchia
e
falsa
idea
che
il
parlare
e
scrivere
bene
abbia
per
condizione
il
possesso
completo
del
cosiddetto
arsenale
dei
cosiddetti
utensili
linguistici
:
cioè
,
se
non
avesse
creduto
che
la
lingua
sia
un
utensile
.
"
Ogni
vocabolo
che
s
'
impara
(
egli
dichiara
espressamente
)
è
come
uno
di
quegli
utensili
da
nulla
,
dei
quali
non
s
'
ha
bisogno
quasi
mai
,
ma
che
,
una
o
due
volte
in
molt
'
anni
,
son
necessarî
,
e
,
se
non
si
ritrovano
,
non
si
sa
che
pesci
pigliare
"
.
"
Quel
che
più
preme
,
per
riuscire
nell
'
uno
o
nell
'
altro
modo
,
nell
'
una
o
nell
'
altra
delle
due
forme
di
stile
a
scrivere
bene
,
è
che
tu
possegga
da
padrone
la
lingua
"
.
Le
tracce
di
questo
falso
concetto
si
osservano
quasi
in
ogni
parte
del
suo
libro
.
Così
egli
biasima
il
pudore
fuori
di
luogo
,
che
ci
trattiene
dall
'
adoperare
vocaboli
bellissimi
,
efficacissimi
e
toscanissimi
,
come
"
striminzire
"
,
"
spiaccicare
"
,
"
baluginare
"
,
"
stintignare
"
:
la
paura
del
ridicolo
che
ci
fa
codardi
nell
'
uso
della
"
buona
lingua
"
.
Ma
non
si
accorge
che
ciò
che
egli
chiama
falso
pudore
e
codardia
può
pur
essere
,
a
volte
,
un
sano
senso
estetico
,
che
ci
vieta
di
usare
vocaboli
i
quali
non
sarebbero
coerenti
con
la
nostra
personalità
,
con
la
nostra
psicologia
,
con
la
fisionomia
generale
del
nostro
parlare
.
Se
un
determinato
vocabolo
suona
spiccatamente
toscano
o
fiorentino
,
io
,
napoletano
,
non
posso
,
senza
sconcezza
,
incastrarlo
in
una
mia
prosa
spontaneamente
concepita
,
dalla
quale
la
mia
napoletanità
è
tanto
ineliminabile
quanto
la
patavinità
dalla
prosa
di
Livio
o
l
'
ibericità
da
quella
di
Seneca
.
Se
mi
ostino
a
incastrarvelo
,
la
più
manzoniana
delle
teorie
sulla
lingua
non
mi
salverà
dal
senso
che
provo
in
me
(
e
che
gli
altri
proveranno
di
me
)
di
essere
caduto
in
un
peccato
d
'
affettazione
.
Per
questa
ragione
,
nelle
scuole
,
poniamo
,
del
Napoletano
sorge
spontaneo
e
irrefrenabile
tra
gli
alunni
un
coro
di
canzonature
,
quando
un
loro
compagno
si
mette
a
toscaneggiare
:
il
vocabolo
"
toscaneggiare
"
è
per
sé
stesso
canzonatorio
.
Santa
canzonatura
,
che
a
me
non
è
stata
risparmiata
e
che
io
ricordo
di
avere
a
mia
volta
spietatamente
e
beneficamente
esercitata
sopra
i
miei
compagni
.
Come
questo
sentimento
di
ripugnanza
è
inesattamente
interpretato
e
biasimato
dal
De
Amicis
,
così
egli
non
si
rende
esatto
conto
del
valore
estetico
che
hanno
talvolta
quelle
che
a
lui
sembrano
inesattezze
e
povertà
di
lingua
e
che
sono
invece
indeterminazioni
di
pensiero
,
che
debbono
restare
così
:
di
pensieri
,
cioè
,
la
cui
determinazione
estetica
è
per
l
'
appunto
quella
indeterminazione
.
Allo
stesso
modo
un
pittore
accademico
trova
mal
disegnate
o
non
disegnate
le
figure
di
un
quadro
,
la
cui
bellezza
sta
proprio
in
quel
certo
che
di
vago
e
vaporoso
,
che
a
lui
sembra
difetto
:
in
quell
'
abbozzato
,
che
è
un
finito
,
e
che
diventerebbe
una
sconciatura
,
se
fosse
disegnato
minutamente
in
conformità
dei
canoni
accademici
.
La
lingua
approssimativa
può
essere
,
senza
dubbio
,
grave
errore
d
'
arte
,
ma
può
essere
,
anche
,
forza
d
'
arte
:
secondo
i
casi
.
Per
mio
conto
,
credo
che
a
volte
parli
benissimo
anche
chi
presenti
con
frequenza
i
varî
aspetti
delle
sue
percezioni
confusi
nel
vago
vocabolo
di
"
cose
"
:
il
"
signor
Coso
"
,
del
bozzetto
satirico
del
De
Amicis
.
A
molti
,
in
certe
situazioni
,
accade
appunto
di
vedere
indistintamente
o
di
non
vedere
certi
oggetti
,
ai
quali
lo
spirito
non
s
'
interessa
,
tutto
ripiegato
com
'
è
su
sé
stesso
;
e
l
'
espressione
di
questo
disinteresse
tradirebbe
sé
stessa
,
se
si
effondesse
altrimenti
che
con
abbondanza
dell
'
indeterminato
"
cosa
"
.
Perfino
il
"
signor
La
Nuance
"
,
dell
'
altro
bozzetto
satirico
del
De
Amicis
,
non
ha
tutti
i
torti
nel
sostenere
che
ogni
frase
francese
ha
una
nuance
,
che
non
si
trova
nella
corrispondente
italiana
.
Anzi
,
questa
è
appunto
la
rigorosa
verità
.
E
se
colui
aveva
appreso
a
far
l
'
amore
in
francese
,
quale
meraviglia
che
trovasse
poi
nell
'
"
au
revoir
"
una
dolcezza
,
che
non
trovava
nell
'
"
a
rivederci
"
italiano
?
Ed
è
serio
obbiettargli
che
l
'
"
au
revoir
"
è
tanto
poco
dolce
,
che
è
pieno
di
r
?
O
vogliamo
credere
ancora
all
'
onomatopea
e
all
'
armonia
imitativa
,
quali
le
concepivano
i
retori
?
Certamente
,
il
De
Amicis
conosce
criterî
più
retti
di
quelli
che
si
desumono
dai
luoghi
citati
e
da
altri
,
che
potrei
citare
.
Egli
è
scrittore
innamorato
della
sincerità
e
semplicità
:
è
manzoniano
,
non
solamente
nelle
idee
intorno
alla
lingua
,
ma
anche
in
talune
di
quelle
verità
,
che
gl
'
italiani
moderni
debbono
ad
Alessandro
Manzoni
;
e
nel
suo
libro
si
troveranno
sagge
avvertenze
sull
'
affettazione
,
sui
pericoli
dello
studiare
la
lingua
,
sul
modo
di
comporre
e
di
correggere
le
proprie
scritture
.
Vi
si
troveranno
,
perfino
,
teorie
che
sono
l
'
effettiva
negazione
di
quelle
da
noi
contrastate
,
come
:
"
Ecco
il
più
utile
dei
precetti
:
pensare
,
prima
di
mettersi
a
scrivere
"
.
Questi
criterî
,
operando
da
freno
,
hanno
evitato
che
il
libro
somministrasse
da
cima
a
fondo
una
dottrina
falsa
.
Chi
legge
i
capitoli
e
i
bozzetti
,
di
cui
esso
si
compone
,
incontra
molte
cose
alle
quali
è
portato
a
dare
pieno
assenso
;
e
altre
,
che
non
gli
paiono
accettabili
,
vede
nel
corso
stesso
del
libro
opportunamente
temperate
.
Senonché
questi
medesimi
criterî
retti
,
entrando
in
dissidio
col
criterio
generale
che
è
errato
,
hanno
impedito
che
l
'
Idioma
gentile
riuscisse
quel
che
si
dice
un
bel
libro
.
Gli
scritti
del
Manzoni
intorno
alla
lingua
sono
maraviglie
di
ragionamento
e
di
prosa
:
si
può
rifiutare
la
dottrina
,
si
ammira
lo
scrittore
,
che
sapeva
bene
quel
che
voleva
.
Ma
nel
libro
del
De
Amicis
si
sente
il
vuoto
.
"
Non
scrivo
un
trattato
(
dichiara
l
'
autore
)
:
non
scenderò
a
disquisizioni
grammaticali
minute
,
né
salirò
a
questioni
alte
di
filologia
...
Tratterò
la
materia
semplicemente
e
praticamente
...
"
E
sia
pure
.
Ma
,
se
non
quella
di
un
trattato
,
il
libro
dovrebbe
avere
un
'
altra
qualsiasi
connessione
di
idee
;
e
non
l
'
ha
.
L
'
autore
non
ha
saputo
essere
profondo
,
ma
non
ha
voluto
essere
pedante
.
E
non
vi
sono
se
non
gli
scrittori
profondi
,
o
i
pedanti
logici
e
in
buona
fede
,
che
riescano
attraenti
.
Il
"
limbo
dei
bambini
"
credo
che
non
sia
divertente
neppure
pei
bambini
.
Io
auguro
che
quest
'
ultima
manifestazione
della
questione
della
lingua
,
che
ci
è
data
dal
libro
del
De
Amicis
,
sia
anche
definitivamente
l
'
ultima
,
e
che
il
vecchio
e
vuoto
dibattito
muoia
con
l
'
Idioma
gentile
.
Morrebbe
così
tra
le
mani
di
uno
dei
nostri
più
amati
e
amabili
scrittori
.
Il
De
Amicis
nella
prefazione
alla
nuova
edizione
dell
'
Idioma
gentile
polemizza
,
senza
far
nomi
,
coi
suoi
critici
;
e
principalmente
contro
l
'
autore
del
presente
scritto
(
pubblicato
la
prima
volta
nel
"
Giornale
d
'
Italia
"
del
7
luglio
1905
)
.
Prendo
occasione
da
questa
polemica
per
aggiungere
un
'
avvertenza
,
che
dimenticai
nell
'
esame
del
libro
.
L
'
Idioma
gentile
,
oltre
a
fondarsi
sopra
un
concetto
errato
del
linguaggio
,
è
uno
schietto
prodotto
della
fissazione
linguaiola
,
triste
eredità
della
decadenza
italiana
,
e
della
decadenza
di
quella
regione
che
fu
il
cuore
dell
'
Italia
poetica
e
artistica
,
la
Toscana
.
La
fissazione
linguaiola
pone
un
interesse
esageratissimo
,
tutto
il
più
fervido
interesse
della
propria
anima
,
nel
dissertare
e
sottilizzare
sulle
denominazioni
delle
più
piccole
cose
e
più
materiali
;
e
fa
che
uno
si
reputi
letterariamente
disonorato
se
,
per
es
.
,
non
riesca
a
sapere
esattamente
come
si
dica
in
Toscana
,
o
nei
circoli
autorizzati
dei
ben
parlanti
,
la
"
granata
"
,
e
come
questa
si
denomini
variamente
secondo
che
sia
fatta
di
"
scopa
"
o
di
"
saggina
"
o
di
"
crine
di
cavallo
"
,
e
a
dare
in
ismanie
se
oda
un
napoletano
chiamare
tutte
queste
sorte
di
granate
,
indistintamente
,
"
scope
"
.
Par
che
caschi
il
mondo
!
In
compenso
,
poi
,
l
'
indifferenza
è
somma
per
quel
che
riguarda
le
distinzioni
dei
fatti
psicologici
e
morali
,
dei
concetti
filosofici
e
simili
.
Si
tratta
,
dunque
,
non
tanto
di
raffinamento
estetico
,
quanto
,
oso
dire
,
di
restringimento
mentale
.
Sulla
natura
e
la
genesi
di
questa
fissazione
ci
sarebbe
ancora
non
poco
da
notare
;
ma
i
lettori
non
avranno
forse
bisogno
delle
mie
osservazioni
e
dei
miei
ragionamenti
per
avvertire
quel
che
v
'
ha
di
comico
nelle
fatiche
e
ambasce
dei
linguai
.
All
'
effetto
del
chiarimento
ha
provveduto
lo
stesso
De
Amicis
col
promuovere
l
'
interminabile
dibattito
,
che
si
è
svolto
tra
l
'
ottobre
e
il
novembre
del
1906
nelle
colonne
del
"
Giornale
d
'
Italia
"
,
sull
'
alta
,
grave
e
profonda
questione
della
migliore
parola
che
serva
a
esprimere
il
"
rumore
del
pan
fresco
"
.
A
una
conclusione
,
veramente
,
questa
volta
non
si
è
giunti
;
e
come
si
potrebbe
concludere
in
questioni
così
alte
,
così
gravi
e
così
profonde
?
Ma
non
voglio
scherzare
:
la
verità
è
che
io
,
nel
leggere
quelle
proposte
e
risposte
e
controrisposte
,
mi
vergognavo
non
poco
.
Tanta
mollezza
e
oziosità
mentale
c
'
è
dunque
ancora
in
Italia
?
.
StampaPeriodica ,
Nel
libro
del
De
Amicis
sono
affermazioni
e
sottintesi
che
,
a
mio
parere
,
si
fondano
sopra
un
vecchio
e
falso
concetto
del
linguaggio
.
E
poiché
quel
libro
,
pel
nome
del
suo
autore
,
era
destinato
a
molta
divulgazione
,
volli
mettere
in
guardia
i
lettori
,
contrapponendo
il
modo
in
cui
si
produce
l
'
arte
dagli
artisti
e
si
giudica
dagli
uomini
di
gusto
alle
viete
concezioni
dei
linguai
,
che
in
quel
libro
ricomparivano
non
certo
con
coerenza
sistematica
e
intolleranza
pedantesca
,
ma
in
forma
temperata
e
perciò
più
insinuante
.
Sono
lieto
che
il
Gargàno
(
al
quale
nessuno
vorrà
negare
gusto
di
poesia
e
finezza
di
giudizio
)
si
sia
manifestato
d
'
accordo
con
me
e
abbia
inteso
perfettamente
che
la
mia
protesta
era
mossa
in
nome
dell
'
arte
contro
coloro
che
esibiscono
parole
e
frasi
come
merciaiuoli
ambulanti
i
nastri
e
le
matassine
.
Nondimeno
ad
alcuno
è
sembrato
che
gli
scolaretti
negligenti
d
'
Italia
dovessero
promuovere
una
dimostrazione
di
gratitudine
verso
di
me
;
ad
altri
,
che
volessi
rendere
superflue
le
cattedre
d
'
italiano
,
col
relativo
personale
insegnante
;
altri
ancora
ha
gridato
all
'
anarchia
;
finanche
il
mio
venerato
amico
prof
.
D
'
Ancona
mi
ha
fatto
un
mezzo
rabuffo
:
"
La
lingua
non
è
una
metafisicheria
campata
in
aria
,
ad
apprender
la
quale
e
ad
usarla
bastino
dei
concetti
astratti
...
Chi
non
la
vuole
studiare
,
non
la
studî
;
ma
non
ambisca
al
vanto
di
scrittore
,
ecc
.
ecc
.
"
.
-
"
Pace
,
o
esacerbati
spiriti
fraterni
!
"
.
Se
volete
proporre
,
come
si
dice
,
uno
"
stringimento
di
freni
"
e
rendere
la
scuola
più
rigorosa
e
laboriosa
,
accoglietemi
,
vi
prego
,
tra
i
vostri
gregarî
.
Io
non
ho
pensato
niente
di
ciò
che
mi
attribuite
.
La
scuola
,
si
sa
,
non
può
procedere
se
non
con
le
leggi
stesse
dello
svolgimento
dello
spirito
umano
;
e
la
teoria
da
me
sostenuta
sarebbe
falsa
,
se
non
avesse
rispondenza
in
quel
che
ogni
bravo
insegnante
fa
da
sé
,
senz
'
aspettare
la
mia
parola
,
per
naturale
dirittura
di
mente
.
Ogni
bravo
insegnante
non
insegna
la
lingua
,
ma
fa
leggere
e
gustare
gli
scrittori
;
comunica
,
dunque
,
non
la
lingua
astratta
,
ma
la
lingua
incarnata
.
Non
corregge
sopra
un
modello
arbitrario
e
meccanicamente
gli
scritti
dei
suoi
alunni
,
ma
,
mettendosi
nello
spirito
di
ciascuno
,
mostra
a
ciascuno
quel
che
veramente
intendeva
dire
e
non
ha
detto
.
Non
uccide
l
'
individualità
degli
scolari
,
ma
fa
sì
che
ciascuno
ritrovi
veramente
sé
stesso
.
-
Mi
è
stato
domandato
:
deve
o
no
un
insegnante
correggere
una
parola
dialettale
che
sia
nello
scritto
di
un
suo
alunno
,
e
sostituirvi
la
parola
esatta
italiana
?
e
,
se
sì
,
ciò
non
contrasta
con
la
vostra
teoria
?
-
Che
cosa
debba
correggere
,
l
'
insegnante
intelligente
deve
saperlo
lui
,
caso
per
caso
:
"
vocabolo
dialettale
"
è
determinazione
troppo
vaga
perché
vi
si
possa
fondare
sopra
una
legge
:
sì
,
no
,
secondo
i
casi
.
Ecco
perché
quell
'
eventuale
"
correzione
"
addotta
in
esempio
non
sta
contro
la
tesi
che
io
sostengo
.
Quanto
agli
insegnanti
pedanti
per
fanatismo
o
per
comodo
(
essere
pedanti
è
talvolta
comodo
,
perché
risparmia
fatiche
d
'
indagini
)
,
quelli
,
senza
dubbio
,
le
stanno
contro
,
come
la
mia
tesi
sta
contro
di
loro
.
Ma
non
sarà
poi
da
dolersi
,
se
taluno
di
quegli
insegnanti
verrà
scosso
nel
suo
fanatismo
e
nella
sua
pigrizia
e
costretto
a
un
esame
di
coscienza
e
,
per
avventura
,
a
cangiare
strada
.
Pure
(
s
'
incalza
,
ed
è
questa
l
'
obiezione
che
sembra
assai
grave
)
,
nelle
scuole
non
si
può
far
di
meno
di
vocabolari
,
di
frasarî
,
di
nomenclature
;
bisogna
che
l
'
alunno
si
fornisca
di
una
certa
provvista
di
ricordi
linguistici
,
che
comporrà
il
fondo
della
sua
cultura
letteraria
.
-
E
qui
io
non
so
che
cosa
mi
dire
,
perché
ogni
qual
volta
(
e
sono
già
parecchie
)
ho
criticato
l
'
assurdità
teorica
della
Rettorica
,
della
Grammatica
,
delle
Istituzioni
letterarie
e
di
altrettali
formazioni
didascaliche
,
non
ho
lasciato
mai
di
avvertire
che
,
nel
rispetto
pratico
,
quelle
costruzioni
hanno
la
loro
buona
ragione
e
la
loro
utilità
;
che
non
se
ne
può
far
di
meno
come
validi
sussidî
.
alla
memoria
;
e
che
giovano
,
non
solamente
nella
scuola
,
ma
anche
fuori
di
essa
,
nella
vita
.
In
quali
proporzioni
e
modi
bisogni
usarne
nella
scuola
è
un
altro
problema
,
che
solamente
l
'
insegnante
intelligente
può
risolvere
e
,
sempre
,
caso
per
caso
.
Ma
ciò
che
è
sussidio
alla
memoria
dà
la
parte
,
per
così
dire
,
materiale
ed
estrinseca
dell
'
insegnamento
;
e
invece
il
nostro
discorso
si
aggirava
intorno
all
'
insegnamento
vero
e
proprio
.
Se
si
esce
dalla
questione
,
si
potrà
sostenere
perfino
(
e
non
si
sosterrà
poi
il
falso
)
che
per
l
'
insegnamento
dell
'
italiano
sia
necessario
che
gli
alunni
non
giungano
a
scuola
con
lo
stomaco
vuoto
.
Il
male
è
che
,
laddove
nessuno
(
salvo
forse
qualche
lombrosiano
)
pretende
giudicare
una
pagina
secondo
che
lo
scrittore
l
'
abbia
scritta
o
no
a
stomaco
digiuno
,
moltissimi
invece
,
per
confusione
mentale
,
si
fanno
a
cangiare
i
sussidî
meccanici
dell
'
apprendimento
in
criterî
di
produzione
e
in
giudizî
sull
'
arte
.
E
questo
è
il
nodo
,
molto
semplice
ma
molto
stretto
,
della
questione
.
Nel
"
Marzocco
"
del
23
e
del
30
luglio
1905
.
"
Rass
.
bibliogr
.
d
.
lett
.
ital
.
"
,
XIII
,
p
.
268
.
StampaPeriodica ,
In
un
opuscolo
testé
pubblicato
il
Trabalza
espone
quale
a
suo
modo
di
vedere
dovrebbe
essere
l
'
ufficio
dell
'
insegnamento
di
Stilistica
,
che
negli
ultimi
anni
si
è
venuto
istituendo
presso
le
Facoltà
di
lettere
di
parecchie
Università
italiane
.
Quando
udii
per
la
prima
volta
quel
nome
imposto
alle
nuove
cattedre
,
il
mio
pensiero
corse
ai
lavori
di
simile
titolo
che
escono
dalle
scuole
di
Germania
e
che
hanno
intento
meramente
filologico
;
e
mi
parve
strano
che
si
volesse
così
presto
dar
forma
di
speciale
insegnamento
a
ricerche
ancora
alquanto
vaghe
e
di
valore
dubbio
.
Ma
poi
,
raccolte
informazioni
,
seppi
che
si
trattava
nient
'
altro
che
d
'
insegnamento
destinato
ad
ammaestrare
nell
'
arte
dello
scrivere
.
E
ciò
riceve
conferma
dallo
scritto
del
Trabalza
.
Il
quale
crede
che
il
programma
di
quell
'
insegnamento
dovrebbe
,
oltre
gli
esercizî
di
composizione
,
contenere
altre
due
parti
:
l
'
una
,
teorica
,
di
principî
generali
della
forma
letteraria
,
con
la
critica
delle
teorie
rettoriche
che
ancora
infestano
i
manuali
e
i
cervelli
;
e
l
'
altra
,
di
lettura
e
comento
delle
opere
letterarie
.
"
Così
(
egli
dice
)
,
mentre
l
'
insegnamento
della
Stilistica
continuerebbe
con
nuove
applicazioni
e
più
minute
e
profonde
analisi
l
'
istituzione
letteraria
della
scuola
media
,
verrebbe
a
connettersi
,
per
un
lato
,
a
quello
dell
'
Estetica
,
per
un
altro
a
quello
della
Storia
letteraria
,
appendice
o
complemento
di
essi
"
.
E
,
come
esempio
,
offre
il
sommario
di
un
corso
da
lui
disegnato
.
Si
Pergama
dextra
defendi
possent
...
,
-
ho
pensato
nel
leggere
le
motivazioni
e
il
programma
;
e
a
lettura
finita
non
sono
rimasto
persuaso
circa
la
legittimità
delle
cattedre
nuovamente
istituite
.
Qualche
insegnante
universitario
che
ho
interrogato
sulle
ragioni
che
avevano
indotto
a
proporre
quella
istituzione
,
mi
ha
detto
che
essa
rispondeva
a
un
bisogno
ormai
generalmente
avvertito
,
di
rimediare
cioè
all
'
impreparazione
letteraria
che
si
nota
nella
maggior
parte
dei
giovani
che
il
Liceo
manda
all
'
Università
.
Perfino
i
laureandi
presentano
tesi
con
errori
di
grammatica
,
e
talora
di
ortografia
.
-
Se
è
così
,
il
rimedio
mi
sembra
peggiore
del
male
.
Il
Liceo
non
prepara
i
giovani
come
dovrebbe
?
E
si
corregga
e
migliori
il
Liceo
;
ma
non
si
ricorra
al
poco
legittimo
espediente
di
rimediare
alle
deficienze
del
Liceo
nell
'
Università
,
con
l
'
effetto
di
snaturare
questa
e
col
rischio
di
mettersi
sopra
una
cattiva
china
.
Dopo
la
scuola
di
grammatichetta
e
composizione
,
converrebbe
istituire
nell
'
Università
una
scuola
di
cultura
generale
,
ossia
più
o
meno
un
Liceo
completo
;
e
poi
(
perché
no
?
)
un
piccolo
Ginnasio
,
o
anche
una
quinta
classe
elementare
,
o
addirittura
una
scoletta
serale
complementare
.
Ragioni
in
apparenza
almeno
più
sode
si
recano
da
altri
.
Si
è
abusato
dell
'
indirizzo
storico
e
filologico
:
è
tempo
(
si
dice
)
di
promuovere
più
che
non
si
sia
fatto
finora
la
cultura
estetica
.
Non
basta
che
i
giovani
conoscano
la
biografia
dello
scrittore
o
le
fonti
di
un
'
opera
letteraria
:
occorre
che
sappiano
gustare
questa
sotto
il
rispetto
artistico
.
Non
basta
che
lavorino
su
tali
e
tali
opere
letterarie
particolari
;
occorre
che
essi
sappiano
che
cosa
è
letteratura
,
che
cosa
è
stile
e
che
cosa
è
forma
in
generale
.
Non
basta
che
i
giovani
scrivano
senza
spropositi
:
è
necessario
che
scrivano
bene
,
con
eleganza
e
sapore
letterario
.
E
a
queste
esigenze
viene
incontro
,
in
qualche
modo
,
l
'
insegnamento
della
Stilistica
.
Senonché
tutto
ciò
di
cui
ora
si
fa
richiesta
dovrebbe
essere
già
nell
'
Università
.
Intendere
esteticamente
gli
scrittori
?
Ma
ogni
professore
di
letteratura
consapevole
del
suo
ufficio
deve
farli
intendere
a
quel
modo
,
e
non
restringersi
alla
mera
erudizione
:
altrimenti
,
viene
meno
al
proprio
dovere
.
Dar
concetti
esatti
circa
la
letteratura
e
l
'
arte
?
Ma
questo
è
oggetto
dell
'
Estetica
,
parte
della
filosofia
che
non
dovrebbe
essere
trascurata
dal
professore
di
filosofia
teoretica
;
il
quale
,
poi
,
non
può
trattare
di
psicologia
e
di
logica
,
né
della
natura
del
linguaggio
,
senza
trattare
insieme
della
natura
dell
'
arte
.
Esprimere
con
semplicità
ed
eleganza
,
ossia
con
proprietà
,
il
pensiero
?
Ma
ogni
professore
,
nell
'
insegnare
la
sua
scienza
,
deve
insieme
insegnare
a
esprimersi
intorno
a
essa
con
quella
proprietà
,
con
quell
'
eleganza
,
che
non
è
lenocinio
,
ma
parte
e
compimento
del
vero
.
"
Deve
,
dovrebbe
...
Questo
è
il
punto
(
ribattono
i
sostenitori
delle
nuove
cattedre
)
.
Il
vostro
è
un
ragionare
in
astratto
.
Voi
avete
in
mente
un
ideale
di
Università
dal
quale
la
realtà
è
ben
lontana
.
Nella
realtà
,
i
professori
di
letteratura
sono
di
solito
meri
ricercatori
ed
eruditi
;
i
professori
di
filosofia
non
toccano
mai
del
problema
estetico
,
linguistico
,
letterario
,
come
se
non
esistesse
;
i
professori
in
genere
parlano
e
scrivono
come
Dio
vuole
,
e
comunicano
la
loro
scienza
in
forma
affatto
rozza
e
approssimativa
.
Poiché
questo
stato
di
cose
non
si
può
cangiare
d
'
un
tratto
,
e
non
c
'
è
neppure
speranza
che
muti
presto
,
bisogna
aiutarsi
con
gli
espedienti
.
Ed
ecco
la
necessità
di
una
cattedra
,
che
serva
da
supplemento
a
tutte
le
altre
da
voi
ricordate
:
la
cattedra
di
Stilistica
"
.
Come
si
vede
,
è
il
medesimo
argomento
ricavato
dall
'
asserita
impreparazione
degli
scolari
del
Liceo
;
solamente
qui
esso
è
invertito
,
e
l
'
impreparazione
è
affermata
come
condizione
di
fatto
non
più
degli
studenti
ma
dei
professori
stessi
di
Università
.
Credo
che
la
descrizione
degli
studî
letterari
nelle
Università
sia
alquanto
esagerata
nel
colore
.
Ma
,
ammettendola
come
vera
,
anche
qui
bisogna
guardare
che
il
rimedio
non
riesca
peggiore
del
male
.
Infatti
,
la
considerazione
estetica
delle
opere
letterarie
non
può
essere
separata
dalla
considerazione
storica
,
che
ne
forma
la
base
.
Le
teorie
sulla
letteratura
diventano
false
o
inintelligibili
,
quando
vengono
distaccate
dall
'
Estetica
,
nella
quale
trovano
la
loro
ragione
e
il
pieno
loro
significato
.
E
quanto
allo
studio
dell
'
espressione
e
all
'
esercizio
dello
scrivere
bene
,
come
mai
può
svolgersi
sanamente
,
disgiunto
dallo
studio
delle
materie
da
esprimere
?
Non
c
'
è
pericolo
che
,
a
questo
modo
,
si
ricaschi
nella
vecchia
malattia
italiana
della
rettorica
?
Il
Trabalza
avverte
in
un
certo
punto
(
p
.
21
n
)
:
"
La
ricerca
del
decoro
della
forma
potrebbe
essere
egualmente
dannosa
,
perché
fare
dello
stile
non
è
dare
a
un
dato
contenuto
la
forma
che
gli
conviene
"
.
Proprio
così
;
e
io
soggiungo
che
da
alcune
nostre
Università
,
nelle
quali
hanno
efficacia
insegnanti
che
curano
assai
la
forma
,
vengono
fuori
scrittori
ora
tronfi
e
leziosi
,
ora
sforzatamente
spiritosetti
e
arguti
,
ripetitori
ed
esageratori
dei
maestri
,
dai
quali
hanno
preso
la
maniera
.
La
sciatteria
è
un
male
;
ma
male
non
minore
è
l
'
affettazione
letteraria
.
E
,
considerato
il
temperamento
italiano
,
il
secondo
,
forse
,
è
da
temere
più
del
primo
.
Queste
sono
le
obiezioni
che
,
sotto
l
'
aspetto
pedagogico
,
si
possono
muovere
alle
cattedre
di
Stilistica
.
Desta
,
a
ogni
modo
,
maraviglia
che
una
riforma
com
'
è
quella
effettuata
con
l
'
istituzione
delle
cattedre
anzidette
e
che
implica
,
come
ho
mostrato
,
problemi
di
non
poca
importanza
,
sia
stata
introdotta
alla
chetichella
,
senza
la
larga
e
viva
discussione
,
che
avrebbe
dovuto
precederla
.
L
'
opuscolo
del
Trabalza
è
il
primo
,
a
mia
notizia
,
che
affronti
di
proposito
l
'
argomento
e
porga
insieme
raccolti
gli
elementi
necessarî
per
discuterlo
.
C
.
TRABALZA
,
La
stilistica
e
l
'
insegnamento
di
essa
nell
'
Università
(
Roma
,
Società
Dante
Alighieri
,
1903
)
.