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L''IDIOMA GENTILE' ( CROCE BENEDETTO , 1907 )
StampaPeriodica ,
Il libro di Edmondo de Amicis è l ' ultima manifestazione letteraria di un problema che ha molto occupato le menti degli italiani attraverso i secoli : il problema della lingua . Se i soli eruditi ricordano i periodi più remoti di quella grande controversia ( dal De vulgari eloquentia alle polemiche cinquecentesche , e giù giù ai libri del Cesarotti e del Napione dell ' ultimo Settecento , e a quelli del Monti e del Perticari e di tanti altri dei primi dell ' Ottocento ) , tutti hanno fresca la memoria della più recente guerra provocata dalla lettera del Manzoni al Di Broglio , e variamente combattuta tra manzoniani , antimanzoniani e moderati . Quelle dispute , considerate sotto l ' aspetto rigorosamente teorico e scientifico , non mancano di pregio e d ' importanza . Entrano in gruppo con altre dispute letterarie ( sul poema epico , sulla tragedia , sulla tragicommedia , sul melodramma , sulla commedia in prosa , sulle varie forme dello stile , sull ' imitazione , e via dicendo ) , che nei tempi moderni l ' Italia , prima di ogni altra nazione , formolò e agitò , e che dall ' Italia passarono agli altri paesi neolatini e germanici . Senza codeste dispute sulle regole e sui generi della poesia e della letteratura , non si sarebbe svolta la teoria filosofica della poesia e dell ' arte che si disse poi Estetica ; e senza le dispute intorno alla lingua non sarebbe sorta quella che si disse più particolarmente Filosofia del linguaggio . Nello sforzo per dominare col pensiero la massa dei fatti e penetrarne la natura , la mente umana non può non urtare e.impigliarsi dapprima nelle comuni e volgari classificazioni , e provarsi a sistemarle e a renderle razionali , proponendosi problemi insolubili ; fintanto che non si accorge come , per intendere davvero la verità dei fatti che indaga , convenga abbandonare del tutto quelle categorie empiriche , e collocarsi in un punto di vista affatto diverso . Sarebbe perciò da intelletti superficiali considerare con dispregio quegli sforzi del passato , i quali , per falliti che siano , rappresentano uno stadio di progresso , un errore in cui giovò essersi dibattuti per qualche tempo , perché ebbe efficacia esemplare , e a suo modo contribuì all ' avvenimento della verità . Dalla contradizione nasce la soluzione ; dalla indifferente quiete non nasce nulla . E opportunamente gl ' indagatori della storia delle idee vanno rivolgendo la loro attenzione alle dottrine letterarie e grammaticali italiane dei secoli passati , le quali a noi sembrano , come sono in effetto , pedantesche , ma che , pur con la loro pedanteria , si dimostrano feconde . Quei pedanti furono , se non i nostri padri , certamente i nostri antenati spirituali . Riconosciuto tutto ciò , non è men vero che così le dispute sulla lingua come quelle sulle regole letterarie , hanno perduto da lungo tempo ogni valore positivo . Il sistema delle regole letterarie venne rotto e spazzato via dal moto intellettuale del romanticismo , che abbozzò la nuova idea della poesia e dell ' arte ; e il suo proprio romanticismo ebbe anche la teoria del linguaggio col Vico , con lo Hamann , con lo Herder , con lo Humboldt , pensatori dopo i quali non sarebbe stato più lecito ragionare intorno a quella materia coi vecchi criterî . Sotto questo aspetto , la posizione manzoniana del problema linguistico non può non apparire anacronistica e retriva , perché il Manzoni non si liberò mai , nelle sue teorie sul linguaggio , da certe idee da intellettualista ed enciclopedista del secolo decimottavo : come si può desumere in ispecie dai frammenti , pubblicati alcuni anni orsono , del suo libro sulla lingua , che meriterebbero di essere studiati con cura . Qual ' era la fallacia del vecchio concetto del linguaggio , quale il contrasto tra esso e il concetto nuovo , formolato o almeno adombrato nei filosofi dei quali abbiamo fatto cenno ? - Si potrebbe delineare questo contrasto brevemente così : il vecchio concetto considerava il linguaggio come segno ; il nuovo lo considera come rappresentazione . Secondo la prima concezione , la lingua è quasi una raccolta di utensili che ciascuno adopera a volta a volta per comunicare agli altri il proprio pensiero ; secondo la concezione nuova , la lingua non è già mezzo per comunicare le idee o le rappresentazioni , ma è l ' idea o la rappresentazione stessa , qualcosa che non si può concepire mai distinto o staccato dal moto del pensiero . Secondo la prima , bisogna mettersi alla ricerca della lingua ottima , concordare segni ben definiti , di significato preciso e non equivoco , costanti per tutti gl ' individui della comunione linguistica ; secondo l ' altra , siffatta ricerca è vana , perché ciascun individuo si crea , volta per volta , la sua propria lingua , e quella che io parlo e scrivo oggi non è quella di ieri , e quella che conviene a me , non conviene ad altri . Secondo la prima , è possibile giudicare un parlante o uno scrivente in modo oggettivo , confrontando il suo parlare e scrivere col modello linguistico , e determinando con questo confronto se egli adoperi lingua buona o cattiva ; secondo l ' altra , questo giudizio è impossibile , perché il preteso modello linguistico è un ' astrazione , e ogni prodotto linguistico ha la propria legge e il proprio modello in sé stesso . Tra le due concezioni chiunque abbia qualche coscienza del modo moderno d ' intendere l ' arte , non esiterà nel prendere partito . Ed è appena necessario soggiungere che , accettando che alcuni , troppo facili a confondersi e a spaurirsi , temono : quasi che si venga ad abolire in forza di essa ogni distinzione tra scriver bene e scriver male , parlar bene e parlar male . Il parlare bene o male si giudica non con la misura estrinseca della lingua oggettiva , ma con quella intrinseca e affatto intuitiva del gusto . Così si è fatto e si farà sempre : da che il mondo è mondo , vi sono stati scrittori buoni , scrittori cattivi e scrittori mediocri , e sempre vi saranno : la concezione individualistica o estetica del linguaggio non cancella la loro differenza , che è affatto intuitiva . Scriver bene è nient ' altro che una forma d ' intensità spirituale ; scriver male è debolezza spirituale . Le questioni intorno alla lingua si convertono nelle altre intorno alla vivezza e coerenza estetica della rappresentazione , guardata nella sua individualità . Perciò la teoria moderna accetta autori e modi di scrivere che i vecchi grammatici e critici consideravano ibridi , rozzi , scorretti , o che accettavano collocandoli nella comoda quanto irrazionale categoria delle eccezioni . Sotto il dominio del vecchio concetto del linguaggio è ancora il De Amicis . Tutto il suo libro è informato al pensiero che la lingua si studî o , com ' egli dice , che non basti " amare " la lingua del proprio paese , ma convenga " studiarla " . E già lo stesso amore per la lingua nazionale è in lui non bene ragionato e alquanto rettoricamente declamato , affermando egli che si ami dagli italiani la lingua italiana e per le memorie gloriose che reca con sé e perché essa è bellissima , ricchissima , potentissima , e altre cose siffatte . E non è vero : io sfido a trovare un uomo che ami la lingua , cioè che faccia all ' amore con un ' astrazione . Ciò che si ama è la parola nella sua concretezza , la poesia , la pagina eloquente . Dante , Ariosto , Machiavelli ; e perciò quest ' amore supera i limiti della regione e della nazione , e , secondo la varia cultura di cui si dispone , abbraccia Orazio o Sofocle , Goethe o Shelley , la lingua latina , la greca , la tedesca o l ' inglese . Ma non insisterò su questo punto , perché mi preme insistere sull ' altro : sulla raccomandazione di studiare la lingua . Che cosa significa studiare la lingua ? L ' uomo intelligente studia quanto aiuta il suo svolgimento mentale e morale , ma non ciò che gli è inutile a questo fine . Il De Amicis consiglia d ' imparare i nomi di tutte le cose che accade ogni giorno di vedere o adoperare , e di mandarli a mente ; di meditare i prontuarî , dove sono registrati i vocaboli degli oggetti di uso domestico ; di fare la nomenclatura della roba che si porta addosso , per passare via via a quella degli oggetti che si maneggiano , ai mobili della propria camera , alla mensa , allo scrittorio , agli arredi e utensili di tutta la casa , alle varie parti della casa stessa ; di leggere e spogliare il vocabolario . E rafforza i suoi consigli col mostrare quanto sia vasta l ' ignoranza che ordinariamente si trova anche nelle persone colte intorno alla terminologia esatta delle più modeste occupazioni della vita : per es . , del riempire e vuotare un fiasco di vino . Ma ha egli pensato che cosa importi questo consiglio ? Ecco un giovane nel tempo in cui il suo cuore si gonfia di passioni gagliarde e la sua mente si viene travagliando sui problemi più alti della vita e della realtà ; un giovane , che sarà poeta , filosofo , uomo d ' azione . E a questo giovane , che ha tanta materia di lavoro nel suo spirito ( e che per ciò stesso , si noti bene , ha tutto il linguaggio che gli occorre , tutto il linguaggio che è correlativo a quel lavoro , non essendo concepibile pensiero senza linguaggio ) , a questo poeta , filosofo o uomo pratico in germe e in formazione , si vuole imporre , o almeno consigliare , di baloccarsi a imparare le cento denominazioni delle cento parti di un vestito , e le dugento della stanza da studio , o le trenta e quaranta delle svariate e minute operazioni che si compiono per riempire e vuotare un fiasco di vino ? Che cosa interessa a quell ' uomo , che forse infilerà distrattamente il suo soprabito , e tracannerà il suo vino , e maneggerà quasi macchinalmente gli oggetti del suo scrittorio , soffermarsi col pensiero nella contemplazione e nell ' analisi di quelle piccinerie ? Se alcuno gliene dice i vocaboli , li ascolterà con fastidio , e li dimenticherà poco dopo . E se non prova fastidio , se si lascia sedurre dal giochetto , cattivo segno : segno di spirito non serio , non concentrato , non fervido , ma frivolo o passivo . Leggere il vocabolario , è " passatempo piacevole " ( ripete ancora una volta il De Amicis ) . Sarà ; ma è anche perditempo . C ' è di meglio da fare che leggere vocabolarî e imparare a mente nomenclature . C ' è da studiare e leggere il mondo ; verba sequentur , e non potranno non seguire . Il sarto o chi parli del mestiere del sarto , la massaia o chi descriva un cervello di massaia , un servitore che spazzi la casa o chi descriva un servitore in quell ' operazione , si rappresenteranno insieme le parole rispondenti alle cose che concernono quei vari personaggi : le parole dei vestiti , dei fiaschi di vino , delle parti e dei mobili della stanza . Ma è un ' idea curiosa voler mutare codesti apprendimenti incidentali e relativi alle condizioni e riflessioni di questo o quell ' individuo in un obbligo di cultura : quasi al modo stesso che si consiglia lo studio della poesia e della storia , delle matematiche e della filosofia , per ottenere uno svolgimento mentale completo . Il De Amicis espone , non senza esagerazioni , i molti impacci in cui si càpita quando non si conoscono le parole italiane o toscane degli oggetti di uso domestico : viaggiando , cangiando paese , c ' è rischio di non essere intesi e di non intendere . Ma queste difficoltà sono pur delle tante nelle quali c ' imbattiamo nella vita ; e l ' ovviarvi non è ufficio di educatore . Altrimenti converrebbe spendere qualche semestre di lezioni per insegnare alla gioventù il gergo dei cuochi e le corrispondenti voci ( posto che vi siano ) italiane o toscane , affinché non accada ciò che accade spesso a me ( e certamente a molti altri uomini letterati ) , che quando siedo a una tavola di trattoria e do i miei ordini al cameriere sulla carta , non so precisamente che cosa sarà per essere la pietanza di cui ho indicato il titolo , avendo un ' idea molto approssimativa di quel che quel titolo significa . Ma è preferibile , di certo , provar di tanto in tanto qualche delusione gastronomica all ' improba fatica di studiare le creazioni linguistiche dei cuochi . Un uomo di buon senso , come il De Amicis , non avrebbe sprecato il fiato in queste raccomandazioni , ora superflue ora puerili , circa lo studio della lingua , se non fosse stato , come dicevo , dominato inconsapevolmente dalla vecchia e falsa idea che il parlare e scrivere bene abbia per condizione il possesso completo del cosiddetto arsenale dei cosiddetti utensili linguistici : cioè , se non avesse creduto che la lingua sia un utensile . " Ogni vocabolo che s ' impara ( egli dichiara espressamente ) è come uno di quegli utensili da nulla , dei quali non s ' ha bisogno quasi mai , ma che , una o due volte in molt ' anni , son necessarî , e , se non si ritrovano , non si sa che pesci pigliare " . " Quel che più preme , per riuscire nell ' uno o nell ' altro modo , nell ' una o nell ' altra delle due forme di stile a scrivere bene , è che tu possegga da padrone la lingua " . Le tracce di questo falso concetto si osservano quasi in ogni parte del suo libro . Così egli biasima il pudore fuori di luogo , che ci trattiene dall ' adoperare vocaboli bellissimi , efficacissimi e toscanissimi , come " striminzire " , " spiaccicare " , " baluginare " , " stintignare " : la paura del ridicolo che ci fa codardi nell ' uso della " buona lingua " . Ma non si accorge che ciò che egli chiama falso pudore e codardia può pur essere , a volte , un sano senso estetico , che ci vieta di usare vocaboli i quali non sarebbero coerenti con la nostra personalità , con la nostra psicologia , con la fisionomia generale del nostro parlare . Se un determinato vocabolo suona spiccatamente toscano o fiorentino , io , napoletano , non posso , senza sconcezza , incastrarlo in una mia prosa spontaneamente concepita , dalla quale la mia napoletanità è tanto ineliminabile quanto la patavinità dalla prosa di Livio o l ' ibericità da quella di Seneca . Se mi ostino a incastrarvelo , la più manzoniana delle teorie sulla lingua non mi salverà dal senso che provo in me ( e che gli altri proveranno di me ) di essere caduto in un peccato d ' affettazione . Per questa ragione , nelle scuole , poniamo , del Napoletano sorge spontaneo e irrefrenabile tra gli alunni un coro di canzonature , quando un loro compagno si mette a toscaneggiare : il vocabolo " toscaneggiare " è per sé stesso canzonatorio . Santa canzonatura , che a me non è stata risparmiata e che io ricordo di avere a mia volta spietatamente e beneficamente esercitata sopra i miei compagni . Come questo sentimento di ripugnanza è inesattamente interpretato e biasimato dal De Amicis , così egli non si rende esatto conto del valore estetico che hanno talvolta quelle che a lui sembrano inesattezze e povertà di lingua e che sono invece indeterminazioni di pensiero , che debbono restare così : di pensieri , cioè , la cui determinazione estetica è per l ' appunto quella indeterminazione . Allo stesso modo un pittore accademico trova mal disegnate o non disegnate le figure di un quadro , la cui bellezza sta proprio in quel certo che di vago e vaporoso , che a lui sembra difetto : in quell ' abbozzato , che è un finito , e che diventerebbe una sconciatura , se fosse disegnato minutamente in conformità dei canoni accademici . La lingua approssimativa può essere , senza dubbio , grave errore d ' arte , ma può essere , anche , forza d ' arte : secondo i casi . Per mio conto , credo che a volte parli benissimo anche chi presenti con frequenza i varî aspetti delle sue percezioni confusi nel vago vocabolo di " cose " : il " signor Coso " , del bozzetto satirico del De Amicis . A molti , in certe situazioni , accade appunto di vedere indistintamente o di non vedere certi oggetti , ai quali lo spirito non s ' interessa , tutto ripiegato com ' è su sé stesso ; e l ' espressione di questo disinteresse tradirebbe sé stessa , se si effondesse altrimenti che con abbondanza dell ' indeterminato " cosa " . Perfino il " signor La Nuance " , dell ' altro bozzetto satirico del De Amicis , non ha tutti i torti nel sostenere che ogni frase francese ha una nuance , che non si trova nella corrispondente italiana . Anzi , questa è appunto la rigorosa verità . E se colui aveva appreso a far l ' amore in francese , quale meraviglia che trovasse poi nell ' " au revoir " una dolcezza , che non trovava nell ' " a rivederci " italiano ? Ed è serio obbiettargli che l ' " au revoir " è tanto poco dolce , che è pieno di r ? O vogliamo credere ancora all ' onomatopea e all ' armonia imitativa , quali le concepivano i retori ? Certamente , il De Amicis conosce criterî più retti di quelli che si desumono dai luoghi citati e da altri , che potrei citare . Egli è scrittore innamorato della sincerità e semplicità : è manzoniano , non solamente nelle idee intorno alla lingua , ma anche in talune di quelle verità , che gl ' italiani moderni debbono ad Alessandro Manzoni ; e nel suo libro si troveranno sagge avvertenze sull ' affettazione , sui pericoli dello studiare la lingua , sul modo di comporre e di correggere le proprie scritture . Vi si troveranno , perfino , teorie che sono l ' effettiva negazione di quelle da noi contrastate , come : " Ecco il più utile dei precetti : pensare , prima di mettersi a scrivere " . Questi criterî , operando da freno , hanno evitato che il libro somministrasse da cima a fondo una dottrina falsa . Chi legge i capitoli e i bozzetti , di cui esso si compone , incontra molte cose alle quali è portato a dare pieno assenso ; e altre , che non gli paiono accettabili , vede nel corso stesso del libro opportunamente temperate . Senonché questi medesimi criterî retti , entrando in dissidio col criterio generale che è errato , hanno impedito che l ' Idioma gentile riuscisse quel che si dice un bel libro . Gli scritti del Manzoni intorno alla lingua sono maraviglie di ragionamento e di prosa : si può rifiutare la dottrina , si ammira lo scrittore , che sapeva bene quel che voleva . Ma nel libro del De Amicis si sente il vuoto . " Non scrivo un trattato ( dichiara l ' autore ) : non scenderò a disquisizioni grammaticali minute , né salirò a questioni alte di filologia ... Tratterò la materia semplicemente e praticamente ... " E sia pure . Ma , se non quella di un trattato , il libro dovrebbe avere un ' altra qualsiasi connessione di idee ; e non l ' ha . L ' autore non ha saputo essere profondo , ma non ha voluto essere pedante . E non vi sono se non gli scrittori profondi , o i pedanti logici e in buona fede , che riescano attraenti . Il " limbo dei bambini " credo che non sia divertente neppure pei bambini . Io auguro che quest ' ultima manifestazione della questione della lingua , che ci è data dal libro del De Amicis , sia anche definitivamente l ' ultima , e che il vecchio e vuoto dibattito muoia con l ' Idioma gentile . Morrebbe così tra le mani di uno dei nostri più amati e amabili scrittori . Il De Amicis nella prefazione alla nuova edizione dell ' Idioma gentile polemizza , senza far nomi , coi suoi critici ; e principalmente contro l ' autore del presente scritto ( pubblicato la prima volta nel " Giornale d ' Italia " del 7 luglio 1905 ) . Prendo occasione da questa polemica per aggiungere un ' avvertenza , che dimenticai nell ' esame del libro . L ' Idioma gentile , oltre a fondarsi sopra un concetto errato del linguaggio , è uno schietto prodotto della fissazione linguaiola , triste eredità della decadenza italiana , e della decadenza di quella regione che fu il cuore dell ' Italia poetica e artistica , la Toscana . La fissazione linguaiola pone un interesse esageratissimo , tutto il più fervido interesse della propria anima , nel dissertare e sottilizzare sulle denominazioni delle più piccole cose e più materiali ; e fa che uno si reputi letterariamente disonorato se , per es . , non riesca a sapere esattamente come si dica in Toscana , o nei circoli autorizzati dei ben parlanti , la " granata " , e come questa si denomini variamente secondo che sia fatta di " scopa " o di " saggina " o di " crine di cavallo " , e a dare in ismanie se oda un napoletano chiamare tutte queste sorte di granate , indistintamente , " scope " . Par che caschi il mondo ! In compenso , poi , l ' indifferenza è somma per quel che riguarda le distinzioni dei fatti psicologici e morali , dei concetti filosofici e simili . Si tratta , dunque , non tanto di raffinamento estetico , quanto , oso dire , di restringimento mentale . Sulla natura e la genesi di questa fissazione ci sarebbe ancora non poco da notare ; ma i lettori non avranno forse bisogno delle mie osservazioni e dei miei ragionamenti per avvertire quel che v ' ha di comico nelle fatiche e ambasce dei linguai . All ' effetto del chiarimento ha provveduto lo stesso De Amicis col promuovere l ' interminabile dibattito , che si è svolto tra l ' ottobre e il novembre del 1906 nelle colonne del " Giornale d ' Italia " , sull ' alta , grave e profonda questione della migliore parola che serva a esprimere il " rumore del pan fresco " . A una conclusione , veramente , questa volta non si è giunti ; e come si potrebbe concludere in questioni così alte , così gravi e così profonde ? Ma non voglio scherzare : la verità è che io , nel leggere quelle proposte e risposte e controrisposte , mi vergognavo non poco . Tanta mollezza e oziosità mentale c ' è dunque ancora in Italia ? .