StampaQuotidiana ,
«
Mettete
un
bel
Padre
Nostro
in
fondo
a
una
commedia
,
poi
tirate
subito
il
sipario
e
avrete
un
subisso
di
applausi
»
potrebbe
essere
la
prima
norma
di
un
decalogo
dedicato
da
Diego
Fabbri
ai
giovani
commediografi
italiani
.
È
avrebbe
ragione
,
visto
l
'
esito
che
ha
avuto
,
ieri
sera
,
Figli
d
'
arte
a
Milano
.
Figli
d
'
arte
è
un
copione
che
Luchino
Visconti
ha
preso
a
pretesto
per
uno
spettacolo
.
Lo
spettacolo
è
vario
,
vivo
,
ha
il
fascino
delle
immagini
riprodotte
da
una
lanterna
magica
:
un
po
'
di
maniera
,
per
chi
se
ne
intenda
,
ma
rivelatrici
,
per
la
maggioranza
,
d
'
un
mondo
sempre
affascinante
,
quello
del
palcoscenico
.
La
commedia
,
invece
,
è
irrimediabilmente
mancata
.
Anzi
,
più
che
mancata
diremmo
inconsistente
,
un
'
enorme
macchina
,
un
grosso
mulino
a
vento
,
le
cui
grandi
pale
s
'
allargano
come
le
braccia
di
una
croce
nel
cielo
del
solito
spiritualismo
di
maniera
;
e
macinano
il
consueto
aneddoto
culminante
in
una
conclusione
miracolosa
e
un
paio
di
ideuzze
di
mistica
interpretativa
fra
Pirandello
e
Stanislavskij
.
Riprendendo
un
tema
che
gli
è
evidentemente
caro
,
il
Fabbri
ha
voluto
di
nuovo
raccontare
la
redenzione
di
un
adultero
attraverso
la
fede
.
Più
che
di
adultero
si
tratta
,
questa
volta
,
di
un
libertino
,
ché
tale
è
l
'
Osvaldo
di
questa
commedia
,
capocomico
-
mattatore
d
'
una
compagnia
di
prosa
che
si
prepara
a
presentare
(
e
le
prove
si
svolgono
nel
teatro
di
Cesena
,
e
si
finge
che
sia
quello
stesso
in
cui
accadde
il
famoso
episodio
del
Passatore
)
il
testo
di
un
autore
defunto
.
Costui
ha
scritto
tre
atti
che
si
richiamano
,
secondo
modi
parodistico
-
grotteschi
,
al
mito
di
Don
Giovanni
;
il
protagonista
della
commedia
in
prova
è
infatti
un
barbiere
di
paese
che
,
di
successo
in
successo
sulla
strada
della
galanteria
,
arriva
a
compromettere
la
moglie
di
un
ambasciatore
,
ed
è
costretto
a
rifugiarsi
in
un
convento
dove
incontra
,
suora
conversa
,
una
sua
antica
fidanzata
.
Il
dilemma
,
per
il
regista
e
gli
attori
che
stanno
provando
,
è
qui
:
il
perfido
Don
Giovanni
deve
uscire
dalla
commedia
con
una
piroetta
blasfema
o
un
miracolo
veramente
accade
e
il
seduttore
se
ne
andrà
convertito
?
Nel
primo
caso
,
secondo
il
regista
,
avremmo
un
«
grottesco
»
sacrilego
,
nel
secondo
un
dramma
«
spirituale
»
,
proprio
alla
maniera
di
Diego
Fabbri
.
Il
miracolo
accade
anche
sul
palcoscenico
di
quel
teatro
di
provincia
dove
,
intorno
al
mattatore
libertino
,
ruotano
la
moglie
,
da
cui
vive
separato
,
illustre
e
patetica
attrice
,
l
'
ex
-
amante
,
un
'
attricetta
parigina
del
«
boulevard
»
,
e
una
ragazzina
uscita
fresca
da
una
scuola
d
'
arte
drammatica
e
pronta
a
lasciare
aperta
,
all
'
importante
seduttore
,
la
porta
della
sua
camera
d
'
albergo
.
Il
miracolo
avviene
,
favorito
dall
'
intervento
della
madre
del
capocomico
,
ostinata
visitatrice
di
santuari
;
e
dal
Pater
Noster
finale
.
A
furia
di
impuntarsi
sui
miracoli
,
Diego
Fabbri
s
'
è
precluso
l
'
unico
miracolo
che
per
un
artista
conti
,
quello
dell
'
ispirazione
.
In
questa
commedia
tutto
è
falso
,
o
,
per
lo
meno
,
convenzionale
:
il
trombonesco
libertinaggio
del
protagonista
,
il
fiducioso
attendismo
di
quella
sua
moglie
pallida
e
scocciatrice
,
l
'
isterico
sentimentalismo
della
francese
,
il
titubante
sperimentalismo
del
regista
.
E
tutto
questo
meccanismo
,
poi
,
tutto
questo
artificio
complicato
,
questo
spaccare
in
quattro
il
capello
delle
teorie
interpretative
(
e
Stanislavskij
e
Pirandello
e
via
citando
)
,
per
arrivare
a
che
?
A
far
cambiare
d
'
albergo
,
riportandolo
quindi
nel
talamo
legittimo
,
al
protagonista
.
Sappiamo
benissimo
che
le
intenzioni
del
Fabbri
erano
diverse
e
assai
più
ambiziose
:
arrivare
all
'
identificazione
del
miracolo
scenico
col
miracolo
religioso
,
dimostrare
che
,
non
potendo
l
'
attore
veramente
incarnarsi
col
personaggio
se
non
partecipando
della
sua
vita
interna
,
per
interpretare
un
dramma
di
fede
occorre
un
atto
di
fede
.
Ma
dietro
quale
traliccio
di
approssimazione
,
di
sotterfugi
e
di
ingenuità
sentimentali
,
queste
intenzioni
si
nascondono
.
Il
miracolo
vero
lo
ha
fatto
,
con
la
sua
regia
,
Visconti
,
che
ha
inoltre
amplificato
le
risonanze
del
testo
dando
,
con
acuta
sensibilità
,
le
suggestioni
di
quella
vita
di
palcoscenico
,
il
senso
della
favola
che
sempre
si
rinnova
;
e
sottolineando
gli
effettismi
comici
,
le
cose
migliori
della
commedia
.
Aggiungi
l
'
interpretazione
impeccabile
,
un
Paolo
Stoppa
che
,
nei
toni
del
grande
gigionismo
teatrale
,
fa
una
felice
parodia
di
tutta
una
tradizione
,
la
sempre
sincera
e
sensibile
Rina
Morelli
,
anche
in
un
personaggio
così
falso
,
la
bella
e
ardente
Françoise
Spira
(
che
a
un
certo
punto
rimane
in
«
dessous
»
,
un
po
'
di
spogliarello
non
fa
male
anche
in
un
dramma
cattolico
)
,
la
fresca
e
decisamente
maturatasi
Ilaria
Occhini
,
Teresa
Franchini
,
Sergio
Fantoni
,
attendibilissimo
come
giovane
regista
.
Bella
la
scena
di
Garbuglia
.
Dell
'
esito
,
s
'
è
detto
.
È
comparso
anche
l
'
autore
.