StampaQuotidiana ,
È
andata
in
scena
questa
sera
,
nel
teatro
all
'
aperto
dei
Giardini
alla
Biennale
,
la
seconda
novità
italiana
del
Festival
Internazionale
del
Teatro
:
La
rosa
di
zolfo
di
Antonio
Aniante
.
Molti
erano
i
motivi
di
curiosità
che
si
intrecciavano
intorno
a
questo
spettacolo
:
innanzitutto
,
l
'
esordio
in
grande
stile
,
nel
teatro
,
in
un
'
occasione
particolare
,
dello
scrittore
siciliano
che
,
sì
,
alla
letteratura
drammatica
si
era
avvicinato
,
negli
anni
dal
'25
al
'30
,
ai
tempi
dello
Sperimentale
di
Bragaglia
;
ma
che
poi
si
era
prevalentemente
dedicato
alla
narrativa
(
anche
La
rosa
di
zolfi
è
tratta
da
un
romanzo
)
.
Inoltre
per
la
prima
volta
,
si
sarebbe
visto
all
'
opera
un
complesso
come
il
Teatro
Stabile
della
città
di
Trieste
col
quale
,
per
la
sua
stessa
posizione
periferica
,
non
è
facile
l
'
incontro
;
nel
caso
,
poi
,
dello
spettacolo
diretto
da
Franco
Enriquez
,
c
'
erano
due
altri
elementi
di
interesse
:
la
partecipazione
di
Domenico
Modugno
,
che
non
solo
recita
,
ma
canta
,
naturalmente
,
e
ha
composto
anche
le
musiche
che
accompagnano
il
testo
,
su
terni
popolari
siciliani
;
e
di
quell
'
attrice
sempre
entusiasta
ed
ardente
che
è
Paola
Borboni
.
Cos
'
è
la
rosa
di
zolfo
?
È
il
simbolo
di
una
Sicilia
remota
,
perduta
nella
memoria
e
per
questo
intrisa
dagli
umori
della
nostalgia
.
Fiore
arido
e
splendido
lo
regala
,
alla
bella
e
svagata
moglie
Rosalia
,
lo
zolfataro
Colao
e
vuol
significare
il
suo
amore
,
infuocato
e
geloso
.
La
virtù
di
Rosalia
è
insidiata
dal
conte
di
Pagnolo
,
il
giovane
padrone
della
zolfara
.
Inevitabile
il
duello
rusticano
,
a
lampi
di
coltello
.
Ucciso
il
rivale
,
Colao
brucia
la
zolfara
e
Rosalia
fugge
,
disperata
ma
anelante
l
'
avventura
,
sulle
montagne
delle
Madonie
.
Qui
,
sentinella
a
una
sorgente
d
'
acqua
,
incontra
il
Carabiniere
,
che
altri
non
è
che
una
diversa
immagine
di
Colao
;
lo
zolfataro
è
rivestito
d
'
una
fiammante
,
un
po
'
fiabesca
divisa
dell
'
Italia
umbertina
;
così
come
,
a
contenderla
al
Carabiniere
,
avvolto
in
un
non
meno
fiabesco
mantello
azzurro
,
con
cappello
a
pan
di
zucchero
e
trombone
,
appare
il
Brigante
,
vale
a
dire
il
Pagnolo
.
Sfuggita
anche
ai
rischi
di
questo
scontro
,
che
si
risolve
,
per
i
due
eterni
rivali
,
in
una
reciproca
beffa
,
Rosalia
,
sempre
seguita
dalla
Pilucchera
,
vecchia
serva
fedele
ed
ex
-
nutrice
,
ripara
nel
basso
porto
di
Palermo
,
decisa
a
darsi
alla
«
vita
»
.
E
qui
,
nuove
incarnazioni
dei
due
uomini
che
se
la
contendono
.
Ecco
,
da
una
parte
,
lo
scaricatore
Colao
,
dall
'
altra
il
capo
-
mafia
Pagnolo
:
la
tratta
delle
bianche
,
l
'
ombra
del
poliziotto
Petrosino
,
la
nave
che
aspetta
nel
porto
;
con
la
stiva
piena
di
fresche
e
giovani
donne
...
ma
non
è
stato
che
un
sogno
,
Rosalia
non
s
'
è
mai
mossa
in
realtà
dalla
casa
dello
zolfataro
,
ecco
che
gli
prepara
la
minestra
della
sera
e
alza
la
pentola
,
piena
di
selvagge
ortiche
,
spezie
e
pan
secco
,
verso
il
cielo
asciutto
,
che
le
mandi
l
'
acqua
.
È
chiaro
il
senso
della
favola
:
fra
i
fuochi
dell
'
amore
e
della
gelosia
,
che
zampillano
dalla
terra
come
la
gialla
lingua
dello
zolfo
,
Rosalia
,
nel
suo
sogno
canicolare
,
va
in
cerca
dell
'
acqua
,
che
è
comprensione
,
civiltà
e
balsamo
sugli
inferni
della
passione
e
della
miseria
.
Tutto
ciò
è
detto
più
che
rappresentato
,
con
molta
eloquenza
(
si
sente
più
il
narratore
,
anzi
il
popolaresco
rapsodo
che
lo
scrittore
di
teatro
)
,
con
uno
stile
oscillante
fra
richiami
dannunziani
e
aperture
liriche
alla
Garcia
Lorca
,
con
canti
presi
all
'
epos
locale
e
lunghi
interventi
descrittivi
del
coro
.
È
insomma
un
'
opera
composita
,
un
'
idillio
a
tre
che
si
ripete
tre
volte
,
generando
forse
una
sorta
di
immobilità
,
una
certa
monotonia
.
Ma
i
punti
di
poesia
autentica
non
mancano
:
diremo
che
sono
sparsi
,
come
improvvisi
granelli
di
fuoco
,
nella
polpa
di
questa
prosa
dal
sapore
noto
.
Franco
Enriquez
ha
montato
uno
spettacolo
movimentato
,
sullo
sfondo
delle
scene
,
forse
eccessivamente
realistiche
,
dovute
a
Nino
Perizi
:
uno
spettacolo
che
,
tuttavia
,
non
ha
toccato
l
'
autentica
vena
dell
'
opera
;
uno
spettacolo
fantasioso
ma
pesante
,
che
ha
preso
le
sue
risorse
più
poetiche
da
un
'
antica
riserva
di
malinconia
e
musica
.
Degli
interpreti
,
il
migliore
è
stato
Modugno
che
ha
recitato
e
cantato
con
una
tristezza
solare
,
antica
;
Enrica
Corti
ha
dato
alla
protagonista
un
ardore
sulfureo
(
ma
il
personaggio
non
richiedeva
anche
umorismo
e
malinconia
?
)
;
troppo
realista
Ottorino
Guerrini
ha
però
dato
estro
e
ironia
alle
varie
figurazioni
del
Pagnolo
:
la
Borboni
ha
caratterizzato
con
tenerezza
sordida
la
figura
della
Pilucchera
.
La
monotonia
dell
'
opera
ha
ingenerato
alla
lunga
una
certa
stanchezza
e
gli
applausi
alla
fine
sono
stati
freddini
,
non
mancando
qualche
contrasto
.
StampaQuotidiana ,
L
'
estro
del
poeta
di
Eugene
O
'
Neill
,
presentato
ieri
sera
all
'
Odeon
dalla
compagnia
Ricci
-
Magni
,
con
la
regia
di
Virginio
Puecher
,
non
è
l
'
ultima
opera
del
drammaturgo
americano
.
L
'
ultimo
suo
testo
è
quella
Luna
per
i
bastardi
che
venne
presentata
in
Italia
nella
scorsa
stagione
;
se
ne
ebbe
un
'
edizione
a
Milano
,
al
Convegno
,
e
una
,
americana
,
a
Spoleto
,
per
il
Festival
dei
due
Mondi
.
L
'
estro
del
poeta
è
l
'
unico
dramma
,
di
un
ciclo
di
nove
dedicato
alla
storia
di
una
famiglia
americana
di
origine
irlandese
,
che
O
'
Neill
abbia
salvato
dalla
distruzione
dei
suoi
manoscritti
incompiuti
,
prima
di
morire
.
È
di
pochi
giorni
fa
la
sua
presentazione
a
Broadway
.
Diciamo
subito
che
è
un
'
opera
riuscita
,
non
soltanto
per
ciò
che
vuol
significare
nella
complessa
tematica
di
O
'
Neill
e
di
quel
grugno
autobiografico
,
in
quel
groviglio
di
storie
di
famiglia
che
caratterizza
la
sua
produzione
degli
ultimi
anni
;
ma
soprattutto
per
la
felice
rappresentazione
del
personaggio
protagonista
,
di
quel
Cornelius
Melody
,
che
sembra
vivere
autonomo
,
staccato
dal
dramma
,
tanto
è
prepotente
e
vivo
come
creazione
.
Chi
è
Cornelius
Melody
?
È
il
figlio
di
un
bettoliere
irlandese
,
arricchitosi
a
furia
di
strozzinaggio
e
ruberie
;
nato
in
un
castello
,
proprio
come
il
rampollo
di
un
aristocratico
,
Cornelius
Melody
diventa
,
nell
'
Inghilterra
che
si
batte
contro
Napoleone
,
un
brillante
ufficiale
dei
dragoni
di
Wellington
.
La
battaglia
di
Talavera
in
Spagna
,
eroismi
,
duelli
,
sbronze
e
amori
.
Ma
il
dramma
ci
presenta
l
'
ex
-
ufficiale
dei
dragoni
di
sua
Maestà
quando
,
andato
completamente
in
malora
,
invecchiato
e
intristito
nell
'
alcool
,
è
ridotto
a
gestire
,
con
la
moglie
e
la
figlia
,
una
miserabile
locanda
nei
pressi
di
Boston
.
Della
nuova
società
,
che
sta
sorgendo
,
mercantile
e
attivista
,
il
relitto
di
Talavera
è
,
naturalmente
,
un
escluso
.
Lo
irrita
persino
la
presenza
della
moglie
,
che
non
è
altro
che
una
contadina
irlandese
,
ex
-
bella
ragazza
,
succuba
e
innamoratissima
di
lui
;
la
figlia
,
poi
,
è
tutta
ribellione
e
protesta
contro
quel
padre
ubriacone
e
gigione
,
che
declama
Byron
contemplandosi
malinconicamente
negli
specchi
tarlati
della
locanda
,
non
paga
i
fornitori
per
mantenere
,
simbolo
del
suo
passato
splendore
,
una
cavalla
purosangue
,
in
sella
alla
quale
si
pavoneggia
fra
i
sogghigni
della
zotica
gente
dei
dintorni
:
quel
padre
che
poi
,
quando
cade
l
'
anniversario
della
famosa
battaglia
di
Talavera
,
tira
fuori
da
un
baule
la
fiammante
divisa
rossa
dei
dragoni
di
Wellington
,
l
'
indossa
e
offre
da
bere
a
tutti
gli
scrocconi
del
villaggio
.
Il
dramma
,
lungo
e
complesso
-
nell
'
edizione
di
ieri
sera
è
stato
abbondantemente
tagliato
-
rappresenta
il
brusco
risveglio
alla
realtà
di
Cornelius
Melody
,
la
sua
rinuncia
a
quell
'
illusoria
immagine
di
sé
.
Perché
,
innamoratasi
la
figlia
di
un
giovane
,
ospite
della
locanda
,
figlio
ribelle
(
e
toccato
anche
lui
dall
'
«
estro
del
poeta
»
)
di
un
riccone
di
Boston
,
egli
fa
ignominiosamente
scacciare
un
inviato
di
costui
,
che
voleva
costringerlo
ad
accettare
una
somma
perché
la
ragazza
rinunciasse
a
qualsiasi
pretesa
sul
giovanotto
:
e
caracolla
poi
a
sfidare
a
duello
il
riccone
,
riuscendo
solo
ad
azzuffarsi
coi
suoi
domestici
e
a
farsi
bastonare
dalla
polizia
.
È
allora
che
capisce
:
pesto
e
sanguinante
,
simile
a
un
grande
«
clown
»
nella
fiammante
uniforme
dei
dragoni
,
scende
nella
stalla
e
con
un
colpo
di
pistola
uccide
la
cavalla
,
segno
araldico
,
ben
si
potrebbe
dire
,
del
suo
passato
,
immagine
di
una
stagione
irripetibile
.
Il
gesto
equivale
a
un
suicidio
,
così
l
'
eroe
di
Talavera
si
è
ucciso
,
resta
l
'
oste
ubriacone
e
volgare
che
parla
con
forte
accento
dialettale
e
tracanna
whisky
con
gli
scrocconi
del
paese
.
Alla
figlia
,
intanto
,
è
riuscito
di
conquistarsi
il
suo
ragazzo
,
ma
ora
s
'
accorge
che
quell
'
immagine
byroniana
del
padre
e
i
ricordi
del
passato
,
tutto
ciò
che
insomma
è
stato
fino
a
quel
momento
oggetto
del
suo
odio
,
faceva
anche
parte
del
suo
orgoglio
;
e
in
ciò
sta
il
risvolto
psicologico
più
interessante
di
questo
personaggio
,
che
ha
una
sua
carica
singolare
.
In
ciò
sta
anche
,
a
nostro
parere
,
il
significato
ultimo
del
dramma
:
il
declinare
,
in
un
'
aria
di
tramonto
,
di
certi
valori
,
il
brutale
assorbimento
,
in
una
società
nuova
,
nell
'
America
del
primo
Ottocento
,
di
una
società
di
immigrati
ancora
raffinatamente
europei
,
con
le
loro
illusioni
,
gli
effimeri
pennacchi
,
gli
estri
poetici
e
le
cavalle
purosangue
.
Il
dramma
è
,
come
spesso
in
O
'
Neill
,
assai
più
verboso
di
quanto
occorrerebbe
;
pieno
di
compiacenze
,
anche
l
'
autore
si
guarda
spesso
allo
specchio
,
come
l
'
ex
-
ufficiale
dei
dragoni
.
Ma
c
'
è
quel
personaggio
centrale
che
da
solo
vale
tutta
l
'
opera
;
c
'
è
la
precisa
costruzione
di
tutti
gli
altri
personaggi
,
in
primo
luogo
la
figlia
e
la
moglie
del
protagonista
;
c
'
è
un
romanticismo
acceso
,
una
passionalità
veemente
,
che
rompe
talvolta
gli
argini
della
misura
,
ma
O
'
Neill
è
così
,
si
sa
.
A
non
contare
,
poi
,
l
'
aspra
,
efficace
teatralità
,
da
vecchio
lupo
di
palcoscenico
,
che
fa
da
cemento
,
pur
fra
tanto
fiume
di
parole
,
ai
quattro
lunghi
atti
.
La
regia
di
Virginio
Puecher
non
ci
è
parsa
proprio
felice
,
tutta
puntata
su
una
specie
di
dinamismo
drammatico
,
un
alto
effettismo
vocale
,
degli
attori
.
Perché
?
Che
bisogno
c
'
era
?
Questo
non
è
un
dramma
realistico
,
questo
è
un
dramma
di
apparenze
e
di
ricordi
.
E
se
mai
proprio
un
dramma
di
atmosfera
,
perché
i
fatti
sono
pochissimi
.
Quanto
ai
singoli
attori
,
Renzo
Ricci
ha
preso
il
personaggio
dal
di
fuori
,
facendone
un
grande
virtuoso
della
modulazione
verbale
e
riuscendo
a
trovare
i
toni
autentici
del
dramma
solo
nel
terzo
atto
,
dove
è
stato
così
dolorosamente
semplice
.
Di
una
verità
ed
umanità
esemplari
ci
è
parsa
,
nell
'
interpretazione
di
Lina
Volonghi
,
la
,
figura
della
moglie
;
Bianca
Toccafondi
,
che
era
la
figlia
,
ha
,
pur
con
qualche
grido
di
troppo
,
vittoriosamente
superato
la
prova
di
un
personaggio
acre
e
tenero
nello
stesso
tempo
.
Eva
Magni
ha
detto
con
aristocratica
malinconia
le
parole
di
un
personaggio
di
sfondo
,
ma
utile
alla
comprensione
dell
'
atmosfera
del
dramma
.
Bene
il
Pisu
,
Ermanno
Roveri
e
gli
altri
,
sebbene
tutti
un
po
'
troppo
agitati
,
o
troppo
macchiettistici
.
Ottima
la
scena
di
Luciano
Damiani
.
Pubblico
folto
,
applausi
alla
fine
di
tutti
gli
atti
,
con
qualche
lieve
zittio
dopo
l
'
ultimo
.
StampaQuotidiana ,
Requiem
per
una
monaca
,
riduzione
di
Albert
Camus
dal
romanzo
di
Faulkner
,
è
l
'
esempio
più
autentico
che
si
possa
dare
oggi
d
'
una
tragedia
moderna
;
affermazione
dovuta
allo
stesso
Camus
,
in
una
breve
presentazione
scritta
allo
spettacolo
da
lui
messo
in
scena
a
Parigi
,
con
Catherine
Sellers
e
Michel
Auclair
e
le
scene
di
Léonor
Fini
,
spettacolo
che
tenne
il
cartellone
per
oltre
due
anni
.
Camus
cita
anzi
un
giudizio
di
André
Malraux
,
a
proposito
di
Santuario
,
il
romanzo
di
cui
Requiem
per
una
monaca
costituisce
il
seguito
:
Malraux
diceva
che
Faulkner
aveva
introdotto
il
romanzo
poliziesco
nella
tragedia
antica
.
È
vero
.
Ma
non
si
potrebbe
anche
dire
che
,
per
esempio
,
Edipo
e
Amleto
hanno
,
a
loro
volta
,
una
progressività
e
persino
una
tecnica
da
romanzo
poliziesco
?
Requiem
per
una
monaca
fu
scritta
da
Faulkner
in
forma
dialogata
,
intercalate
ai
tre
capitoli
che
rappresentano
i
tre
atti
della
tragedia
lunghe
parti
descrittive
,
evocanti
la
storia
e
il
destino
della
città
di
Jefferson
,
nella
contea
Yoknapatawpha
,
nome
immaginario
dato
dallo
scrittore
ai
luoghi
nei
quali
sono
di
solito
ambientate
le
sue
storie
.
Vi
si
riprende
la
vicenda
di
Temple
Drake
,
la
ragazza
di
Santuario
,
la
studentessa
che
,
rapita
dal
«
gangster
»
Popeye
,
era
stata
da
questi
chiusa
in
una
casa
di
tolleranza
di
Memphis
.
Tutto
ciò
non
era
accaduto
a
caso
,
Temple
si
era
lasciata
catturare
da
Popeye
,
dopo
che
la
sua
fuga
dal
collegio
col
giovane
Gowan
Stevens
era
miseramente
finita
in
un
incidente
di
macchina
,
provocato
dall
'
ubriachezza
del
giovane
che
all
'
alcool
-
tipica
risorsa
,
nel
puritano
mondo
anglosassone
,
per
liberarsi
dai
complessi
-
aveva
chiesto
il
coraggio
necessario
a
impadronirsi
della
donna
desiderata
.
Questo
è
l
'
atroce
antefatto
di
Requiem
per
una
monaca
:
la
volontaria
abiezione
di
Temple
,
prigioniera
di
un
anormale
impotente
che
la
concede
,
sotto
i
propri
occhi
,
a
un
suo
complice
;
salvo
poi
a
sopprimere
costui
quando
tenta
di
rendere
«
indipendente
»
la
tresca
con
la
ragazza
;
il
ritorno
di
Temple
alla
vita
normale
,
moglie
di
Gowan
Stevens
,
che
l
'
ha
sposata
per
una
sorta
di
riparazione
,
ma
che
non
può
dimenticare
quanto
è
accaduto
e
che
,
chiuso
nella
torre
del
suo
orgoglio
,
metterà
in
dubbio
anche
che
il
figlio
,
nato
dopo
il
matrimonio
,
sia
veramente
suo
.
La
parte
«
teatrale
»
,
le
«
pagine
dialogate
»
del
romanzo
,
che
ne
costituiscono
il
nocciolo
essenziale
,
si
aprono
nel
tribunale
di
Jefferson
-
l
'
edificio
che
,
con
la
prigione
,
diede
l
'
avvio
al
nascere
della
città
,
fatto
chiaramente
simbolico
-
al
momento
in
cui
viene
pronunciata
la
sentenza
contro
Nancy
Mannigoe
,
che
l
'
ascolta
impassibile
,
ringraziando
anzi
Dio
.
Nancy
Mannigoe
è
l
'
antica
prostituta
negra
che
divise
con
Temple
i
torbidi
giorni
nella
casa
di
Memphis
.
Temple
,
una
volta
sposatasi
,
l
'
ha
poi
accolta
in
casa
come
cameriera
;
in
realtà
per
avere
,
nel
deserto
bianco
creatole
intorno
dall
'
orgoglio
ferito
del
marito
,
dalla
sua
impossibilità
a
perdonare
e
dimenticare
,
«
qualcuno
con
cui
parlare
»
,
un
essere
umano
fornito
di
un
uguale
,
miserabile
patrimonio
di
oscure
memorie
;
che
per
Nancy
,
poi
,
non
rappresentano
nemmeno
il
male
,
costituiscono
se
mai
l
'
unica
realtà
offertale
dalla
vita
.
Nancy
ha
ucciso
,
ha
strangolato
con
le
sue
mani
la
figlia
più
piccola
di
Temple
,
una
bambina
di
sei
mesi
;
ha
compiuto
il
gesto
orribile
per
impedire
a
Temple
di
fuggire
con
un
suo
amante
ricattatore
,
fratello
di
colui
che
la
aveva
avuta
,
complice
Popeye
,
nella
casa
di
Memphis
.
In
quell
'
inferno
di
«
gelata
»
rispettabilità
che
è
il
«
ménage
»
con
Gowan
Stevens
,
il
losco
giovanotto
la
fa
almeno
vibrare
come
donna
;
e
poi
la
sua
è
un
'
antica
,
pervicace
vocazione
al
male
:
in
questo
senso
anche
lei
,
come
Nancy
,
è
una
«
monaca
»
;
monaca
del
peccato
,
un
crisma
la
segna
.
Nancy
ha
tentato
tutto
,
per
trattenerla
,
le
ha
persino
rubato
i
gioielli
e
il
denaro
che
l
'
amante
ricattatore
esigeva
;
non
le
è
restato
,
alla
fine
,
che
ricorrere
all
'
infanticidio
.
In
questo
gesto
sta
la
chiave
di
volta
della
tragedia
.
Perché
Nancy
ha
ucciso
?
Su
questo
interrogativo
è
basata
la
grande
indagine
morale
che
Gawin
Stevens
,
lo
zio
di
Gowan
,
avvocato
difensore
di
Nancy
-
ma
in
realtà
immagine
sensibile
della
coscienza
di
questi
personaggi
-
conduce
lentamente
,
accompagnando
Temple
,
nottetempo
,
dal
Governatore
dello
Stato
,
non
già
a
chiedere
la
grazia
per
Nancy
(
che
non
potrà
essere
concessa
)
,
ma
a
rivelare
le
pieghe
oscure
di
una
vicenda
così
atroce
,
a
vuotare
il
sacco
dei
propri
rimorsi
.
Nancy
ha
ucciso
,
ma
è
lei
,
Temple
,
che
si
sente
responsabile
.
Senonché
,
a
poco
a
poco
,
capisce
che
il
delitto
di
Nancy
era
l
'
unico
modo
per
spezzare
la
catena
della
colpa
,
l
'
orrendo
cordone
ombelicale
che
la
unisce
'
al
bordello
di
Memphis
,
e
ritrovare
la
pace
accanto
al
marito
distrutto
.
Quanto
a
Nancy
,
crede
,
lei
;
crede
nel
fratello
delle
prostitute
e
dei
ladri
,
nell
'
amico
degli
assassini
:
in
Colui
,
insomma
,
che
è
stato
ucciso
con
loro
.
Era
necessario
raccontare
con
una
certa
minuzia
,
contrariamente
alle
nostre
abitudini
,
la
vicenda
immaginata
dal
grande
americano
,
per
dare
un
'
idea
della
potente
originalità
di
questa
tragedia
che
arriva
,
alla
fine
,
a
conclusioni
cristiane
,
sulla
misura
dei
grandi
romanzi
di
Dostoevskij
e
di
Tolstoi
.
Camus
,
che
affermò
«
d
'
essersi
completamente
cancellato
davanti
a
Faulkner
»
,
ha
dato
al
romanzo
dialogato
una
chiara
,
rigorosa
,
quasi
classica
dimensione
teatrale
,
senza
,
si
può
dire
,
aggiungere
nulla
,
spostando
soltanto
alcune
parti
,
chiarendo
alcuni
punti
che
alla
ribalta
non
potevano
essere
lasciati
nell
'
indeterminatezza
suggestiva
della
pagina
scritta
.
Certo
,
la
chiarezza
formale
,
dialettica
,
in
cui
lo
scrittore
francese
cala
l
'
oscura
,
sconvolgente
tragedia
,
può
non
poco
limitarla
;
e
riduce
infatti
le
proporzioni
di
ciò
che
nel
romanzo
ha
la
forza
ciclica
di
un
evento
della
storia
umana
.
Ma
a
Camus
bisogna
essere
grati
,
per
aver
costretto
l
'
espressione
teatrale
a
far
da
tramite
,
sì
da
portarla
a
un
pubblico
più
vasto
,
a
questa
allucinante
ricerca
dei
significati
che
nella
nostra
vita
possono
assumere
la
sofferenza
e
il
peccato
.
Lo
spettacolo
,
realizzato
da
Orazio
Costa
,
-
il
Costa
dei
Dialoghi
delle
Carmelitane
-
è
di
un
'
intensità
drammatica
e
di
un
rigore
stilistico
che
non
hanno
nulla
da
invidiare
a
quello
realizzato
a
Parigi
dallo
stesso
Camus
;
in
certi
punti
,
anzi
,
se
ne
stacca
nettamente
,
per
certe
trovate
registiche
,
per
un
'
aria
di
fondo
,
evocata
dalle
musiche
di
Roman
Vlad
,
che
vuole
evidentemente
alludere
a
certe
pagine
descrittive
del
romanzo
,
al
plasma
d
'
oscura
prosa
che
scopre
fra
i
tre
grandi
capitoli
-
atti
.
Anna
Proclemer
è
una
Temple
di
violenta
forza
drammatica
,
che
giunge
alla
consapevolezza
di
quanto
è
accaduto
intorno
a
lei
e
dentro
di
lei
attraverso
una
specie
di
stupore
disperato
.
Non
ha
dunque
bisogno
di
piangere
;
e
non
piange
,
infatti
,
se
non
in
qualche
breve
istante
.
Insomma
,
è
riuscita
a
dar
maschera
teatrale
a
un
dolore
secco
,
di
pietra
.
Giorgio
Albertazzi
,
diventato
biondo
per
l
'
occasione
,
dà
alla
figura
umiliata
e
dolorante
del
marito
un
'
angoscia
nervosa
,
un
orgoglio
pallido
e
amaro
.
Edda
Albertini
era
la
negra
assassina
;
è
un
personaggio
immobile
,
rudimentale
,
fatto
di
parole
al
confine
dell
'
espressione
;
un
personaggio
,
dunque
,
difficilissimo
,
che
l
'
attrice
ha
reso
con
una
intensa
semplicità
,
un
'
emozione
rattenuta
,
solo
prorompente
alla
fine
.
Da
segnalare
,
infine
,
l
'
umanissimo
avvocato
Stevens
di
Filippo
Scelzo
.
Le
scene
di
Piero
Zuffi
,
molto
semplici
ma
funzionali
e
suggestive
,
specialmente
quella
della
prigione
.
Testo
o
spettacolo
,
una
serata
di
forte
teatro
.
Lietissimo
il
successo
.
StampaQuotidiana ,
Gino
Cervi
è
tornato
a
cingere
la
gran
pancia
di
Falstaff
come
nel
1939
quando
,
della
stessa
commedia
shakespeariana
,
diede
una
non
dimenticata
interpretazione
con
la
compagnia
dell
'
Eliseo
(
la
Morelli
,
la
Pagani
,
Stoppa
;
fu
un
fatto
teatrale
che
tutti
ricordano
)
e
la
regia
di
Pietro
Sharoff
,
come
oggi
.
Gino
Cervi
ha
,
per
il
personaggio
di
Falstaff
,
un
'
inclinazione
,
diremmo
,
eroicomica
,
come
per
il
personaggio
di
Cirano
(
stabilite
,
fra
il
primo
e
il
secondo
,
le
necessarie
proporzioni
,
s
'
intende
)
.
Ma
è
un
'
inclinazione
eroicomica
di
natura
borghese
;
mi
pare
proprio
che
,
anche
sotto
la
pancia
di
Falstaff
,
come
sotto
il
giustacuore
di
Cirano
,
il
Cervi
rimanga
quel
borghese
solido
e
dimesso
,
attivista
e
bonario
che
è
nei
personaggi
in
panni
moderni
,
non
dà
mai
nei
toni
del
tenore
o
del
baritono
e
si
porta
sempre
sulle
spalle
o
,
come
ieri
sera
,
nella
pancia
posticcia
,
il
suo
bravo
carico
di
concreta
malinconia
.
La
malinconia
di
Falstaff
,
e
lo
si
sente
nelle
ultime
battute
,
è
quella
del
grassone
beffato
e
velleitario
,
scorbacchiato
e
senile
;
e
ciò
che
appunto
l
'
interprete
sottolinea
in
modo
preciso
,
senza
per
questo
mandarla
al
tragico
.
E
ci
piace
assai
più
quest
'
ombra
,
che
è
nelle
sue
parole
,
di
tutta
l
'
alta
buffoneria
che
viene
prima
,
il
pancione
nella
cesta
della
biancheria
,
il
grosso
stolto
nel
parco
di
Windsor
,
con
in
testa
le
corna
di
cervo
e
ai
reni
i
pungoli
dei
beffeggiatori
travestiti
da
folletti
e
fate
del
bosco
,
il
deluso
amatore
costretto
a
camuffarsi
da
donna
senza
per
questo
riuscire
a
evitare
le
bastonate
del
marito
geloso
.
Ora
non
vi
intratterrò
sulle
Allegre
comari
di
Windsor
grande
commedia
sanguigna
e
ambigua
(
quelle
comari
,
quelle
borghesi
di
Windsor
,
che
si
prendono
gioco
di
Falstaff
perché
come
mogli
sono
oneste
,
sì
,
ma
il
diavolo
in
corpo
ce
l
'
hanno
lo
stesso
,
sarebbe
bello
da
vedere
se
,
a
insidiare
le
loro
virtù
fosse
non
già
il
ridicolo
grassone
ma
il
bel
Fanton
,
giovane
signore
)
;
non
vi
intratterrò
su
un
testo
reso
popolare
fra
l
'
altro
dalla
musica
di
Verdi
,
su
un
testo
che
,
a
stare
alla
tradizione
,
Shakespeare
scrisse
in
quindici
giorni
per
ubbidire
a
un
ordine
della
regina
Elisabetta
.
Detto
che
forse
,
come
personaggio
,
Sir
John
Falstaff
,
gentiluomo
pingue
,
squattrinato
e
spaccone
,
è
più
realizzato
nella
prima
e
nella
seconda
parte
dell
'
Enrico
IV
,
quando
,
in
chiave
di
burla
,
il
poeta
lo
mette
persino
a
sedere
,
per
qualche
minuto
,
sul
trono
d
'
Inghilterra
,
bisogna
aggiungere
che
qui
c
'
è
,
però
,
intorno
a
lui
,
la
commedia
,
la
descrizione
beffarda
delle
due
comari
e
di
quella
signora
Quickly
,
trafficona
e
pronuba
,
mezzana
e
complice
,
e
di
quel
Franco
Ford
che
è
proprio
un
«
cocu
»
mancato
,
e
di
quella
buffa
società
provinciale
;
c
'
è
insomma
la
grande
commedia
tratta
,
nell
'
articolazione
della
sua
vicenda
,
dalla
novellistica
italiana
,
dalle
Notti
dello
Straparola
;
Shakespeare
era
nei
suoi
anni
migliori
,
gli
anni
dell
'
Amleto
e
del
Giulio
Cesare
.
Parliamo
ora
dello
spettacolo
.
I
confronti
sono
sempre
odiosi
,
come
si
sa
,
ma
in
questo
caso
è
dovere
del
critico
minimamente
aggiornato
sui
più
recenti
fatti
teatrali
italiani
,
stabilire
un
parallelo
,
per
esempio
,
fra
questa
regia
di
Sharoff
e
quella
,
firmata
da
Luigi
Squarzina
,
al
Teatro
Stabile
di
Genova
,
di
un
'
altra
commedia
shakespeariana
,
quella
Misura
per
misura
che
non
era
mai
stata
rappresentata
in
Italia
e
che
l
'
anno
scorso
il
pubblico
genovese
e
quello
romano
poterono
conoscere
.
Sì
,
Misura
per
misura
è
un
'
opera
più
macchinosa
e
complessa
e
anche
meno
logorata
dalle
interpretazioni
e
si
presta
forse
di
più
alle
escogitazioni
registiche
,
alle
invenzioni
e
alle
fantasie
di
un
estro
spettacolare
;
ma
chi
per
avventura
abbia
assistito
a
tutt
'
e
due
le
realizzazioni
,
non
potrà
non
aver
constatato
quanto
lo
spettacolo
di
Genova
fosse
più
approfondito
e
preciso
,
come
rivelasse
la
ricerca
di
uno
stile
e
di
un
significato
che
andasse
al
di
là
dell
'
interesse
melodrammatico
della
trama
,
al
nocciolo
di
quello
Shakespeare
che
,
appunto
in
Misura
per
misura
,
nel
punto
più
alto
della
commedia
,
parla
della
«
stella
che
apre
gli
ovili
»
,
al
mattino
.
Nello
spettacolo
cui
abbiamo
assistito
ieri
sera
,
con
bei
costumi
e
buone
scene
(
ma
non
tutte
,
due
o
tre
non
ci
sono
piaciute
)
dovute
a
John
More
e
a
Veniero
Colasanti
,
c
'
è
qualcosa
di
approssimativo
,
di
non
ben
fuso
,
qualcosa
che
sa
un
poco
di
«
routine
»
vecchio
stile
;
restano
intatti
,
naturalmente
,
colore
e
buffoneria
.
Ciò
va
detto
,
per
scrupolo
di
verità
,
senza
togliere
una
briciola
del
suo
merito
a
un
'
interpretazione
,
come
quella
di
Cervi
,
che
non
potrebbe
essere
più
festante
e
fastosa
,
sempre
restando
ben
raccolta
,
come
una
polpa
,
intorno
a
quel
nocciolo
d
'
umanità
di
cui
si
diceva
all
'
inizio
;
accanto
a
lui
,
nelle
parti
delle
due
comari
,
un
'
Olga
Villi
irridente
e
ammiccante
e
una
Anna
Miserocchi
sostenuta
e
cauta
,
come
portata
per
forza
alla
beffa
dal
gioco
della
commedia
;
la
signora
Quickly
di
Vittorina
Benvenuti
,
pur
efficace
,
la
si
sarebbe
voluta
più
argutamente
caratterizzata
;
pastosamente
comico
Glauco
Mauri
,
veramente
a
suo
agio
nel
personaggio
di
Ford
;
degli
altri
,
sono
da
ricordare
Adriana
Vianello
,
amorosetta
un
poco
acerba
,
Ennio
Balbo
,
Tullio
Valli
,
Raoul
Grassilli
,
Armando
Bandini
,
pittoresco
ma
un
po
'
troppo
caricato
,
Gianfranco
Ombuen
,
Alfredo
Censi
e
Renato
Mori
.
Adattamenti
musicali
di
Gian
Luca
Tocchi
e
Bruno
Nicolai
,
una
bella
coreografia
finale
e
molti
applausi
.
StampaQuotidiana ,
Esiste
,
da
lunedì
scorso
,
sul
palcoscenico
d
'
un
teatro
d
'
Italia
,
un
misterioso
dramma
,
che
si
è
presentato
senza
clamore
,
senza
alone
mondano
intorno
,
senza
cicaleccio
snobistico
,
senza
brusio
di
scandalo
,
senza
che
nessuno
citasse
Proust
o
Pierre
Choderlos
De
Laclos
(
che
in
genere
non
c
'
entrano
per
niente
e
in
questo
caso
poi
meno
che
mai
,
ma
sono
nomi
grati
al
palato
dei
letterati
che
frequentano
,
fingendo
di
snobbarle
,
le
sale
di
spettacolo
)
.
Esiste
questo
dramma
,
nella
sua
realizzazione
scenica
,
da
lunedì
scorso
e
noi
siamo
ben
lieti
che
questo
accada
:
è
un
dramma
,
intendiamoci
,
non
perfetto
,
che
può
dare
persino
la
sensazione
di
qualcosa
di
non
finito
,
d
'
oscuro
,
di
chiuso
nella
notte
d
'
una
fatica
creativa
ancora
non
placata
.
È
La
Giustizia
di
Giuseppe
Dessì
,
che
si
rappresenta
in
questi
giorni
al
Teatro
Stabile
di
Torino
,
con
la
regia
di
Giacomo
Colli
,
primo
testo
drammatico
di
un
narratore
che
al
teatro
non
s
'
era
avvicinato
mai
e
che
lo
ha
fatto
ora
,
non
per
vanità
o
per
desiderio
di
facile
fama
,
ma
proprio
perché
la
natura
dei
fatti
che
s
'
era
accinto
a
narrare
lo
ha
irresistibilmente
portato
verso
una
ribalta
.
La
Giustizia
,
è
lo
stesso
Dessì
che
lo
scrive
,
stava
lentamente
nascendo
come
lungo
racconto
.
Ma
quei
personaggi
,
quella
gente
d
'
un
paese
del
centro
della
Sardegna
,
presi
nel
vortice
d
'
una
inchiesta
giudiziaria
che
scava
faticosamente
nel
passato
,
alla
ricerca
del
responsabile
d
'
un
delitto
consumato
quindici
anni
prima
,
non
sopportavano
d
'
essere
chiusi
entro
certi
schemi
narrativi
,
volevano
a
tutti
i
costi
parlare
,
muoversi
,
agire
.
«
Infatti
ciò
che
mi
piaceva
,
nel
mio
racconto
o
romanzo
che
fosse
,
era
il
dialogo
.
Là
,
nel
dialogo
,
il
tono
era
giusto
»
.
Genesi
dell
'
opera
che
all
'
occhio
dello
spettatore
si
fa
chiara
solo
che
egli
pensi
come
i
fatti
rappresentati
siano
tolti
di
peso
dai
rapporti
di
un
giudice
istruttore
;
e
che
corrispondono
,
nella
loro
apparenza
esteriore
,
a
fatti
realmente
accaduti
.
In
un
paese
primitivo
,
fra
i
monti
della
Gallura
,
una
ragazza
,
una
piccola
serva
di
diciassette
anni
,
ha
un
giorno
una
visione
terrificante
:
vede
,
in
un
boschetto
dietro
le
case
,
col
volto
squarciato
e
coperto
di
sangue
,
la
vecchia
madre
delle
sue
padrone
,
due
tetre
sorelle
invecchiate
nel
silenzio
,
nel
sospetto
e
in
una
squallida
avarizia
da
poveri
;
la
vecchia
della
visione
,
in
quella
sua
agonia
,
pronuncia
dei
nomi
,
che
sembrano
altrettante
accuse
.
Il
delitto
è
accaduto
,
in
realtà
,
ma
quindici
anni
prima
.
Una
lunga
indagine
era
stata
condotta
dal
maresciallo
dei
carabinieri
allora
di
stanza
nel
paese
;
e
un
grosso
fascicolo
istruttorio
s
'
era
di
giorno
in
giorno
gonfiato
sul
tavolo
di
un
giudice
.
Un
uomo
del
paese
,
vicino
di
casa
delle
due
sorelle
,
era
stato
accusato
dell
'
assassinio
,
aveva
subito
dieci
mesi
di
carcere
preventivo
,
poi
era
stato
prosciolto
.
E
la
macchia
del
delitto
impunito
,
era
restata
sulla
comunità
.
La
visione
della
ragazza
(
che
può
sembrare
frutto
di
isteria
ma
in
realtà
non
lo
è
,
come
si
vedrà
poi
nello
sviluppo
del
dramma
)
rimette
tutto
in
discussione
,
l
'
indagine
e
l
'
istruttoria
sul
vecchio
crimine
vengono
riprese
dal
nuovo
maresciallo
e
da
un
altro
giudice
.
Ecco
:
non
accade
molto
di
più
e
trattandosi
,
poi
,
nella
sua
costruzione
esteriore
,
d
'
un
dramma
di
«
suspense
»
,
non
è
bene
rivelare
gli
scioglimenti
dei
fatti
ai
lettori
che
possono
domani
diventare
spettatori
.
Ma
ciò
che
conta
,
qui
,
è
la
rappresentazione
corale
di
quella
società
primitiva
;
è
,
per
quanto
concerne
l
'
indagine
nelle
coscienze
,
il
,
senso
che
ne
scaturisce
,
di
colpe
antichissime
,
di
torti
remoti
e
reciproci
,
mai
perdonati
né
risarciti
;
è
l
'
immagine
della
solitudine
umana
,
dell
'
incomprensione
,
dell
'
innocenza
tradita
sulla
terra
indifferente
,
nel
paesaggio
nemico
:
il
sacrificio
di
Abele
(
ma
un
Abele
non
scevro
di
colpe
)
che
si
ripete
in
un
mondo
restato
alle
lontananze
mitiche
del
Vecchio
Testamento
.
(
Ed
è
Italia
di
oggi
)
.
Tutto
ciò
è
ottenuto
con
una
semplicità
di
linguaggio
che
prende
dalla
cronaca
,
dalla
grande
inchiesta
oggettiva
,
il
suo
passo
perento
rio
,
perché
condizionato
dai
fatti
.
E
con
tutto
ciò
,
nonostante
questa
chiarezza
,
insieme
fredda
e
accalorata
,
proprio
da
requisitoria
di
giudice
istruttore
,
l
'
opera
resta
misteriosa
,
serrata
in
un
grumo
d
'
ombra
,
un
segno
simbolico
sul
muro
d
'
una
catacomba
;
che
è
,
mi
pare
,
la
prova
della
sua
qualità
.
Aggiungi
a
questi
dati
positivi
uno
spettacolo
,
rigoroso
,
austero
,
non
ancora
perfetto
in
certe
parti
accessorie
,
ma
significativo
nella
sua
aderenza
al
testo
;
aggiungi
quella
scena
di
Michele
Scandella
,
un
miracolo
di
prospettive
poetiche
(
oltre
che
un
miracolo
tecnico
,
dato
il
minuscolo
palcoscenico
del
Gobetti
,
sul
quale
riescono
a
muoversi
più
di
una
trentina
di
personaggi
)
;
e
l
'
interpretazione
sobria
,
patita
,
piena
di
umiltà
e
di
malinconia
,
di
Gianni
Santuccio
;
la
potente
figurazione
ieratica
di
Paola
Borboni
;
la
caratterizzazione
di
Gina
Sammarco
;
il
prodigarsi
di
tutti
gli
altri
,
da
Mario
Bardella
a
Giulio
Oppi
.
Insomma
,
un
risultato
.
Ora
,
si
pensi
che
il
dramma
di
Dessì
fu
pubblicato
su
«
Botteghe
Oscure
»
nel
1948;
e
che
ci
ha
messo
dieci
anni
per
arrivare
a
una
ribalta
.
Altro
che
far
polemiche
sui
giornali
;
se
dipendesse
da
noi
,
manderemmo
i
pezzi
grossi
del
teatro
italiano
,
gli
alti
papaveri
impresariali
,
in
viaggio
d
'
istruzione
per
l
'
Italia
,
paese
che
hanno
dimostrato
,
ad
usura
,
di
non
conoscere
.
StampaQuotidiana ,
Se
questi
tre
atti
di
Vitaliano
Brancati
fossero
stati
rappresentati
nel
1932
o
giù
di
lì
,
cioè
quando
apparvero
sul
«
Convegno
»
di
Enzo
Ferrieri
,
si
sarebbero
forse
accese
discussioni
sulle
interessanti
prospettive
che
il
teatro
degli
scrittori
giovani
andava
aprendo
nel
logoro
panorama
della
scena
nazionale
.
Ma
,
in
Italia
,
le
cose
che
devono
accadere
,
ecco
qua
,
accadono
sempre
con
un
minimo
di
venticinque
anni
di
ritardo
.
Ed
ecco
che
la
riesumazione
di
questo
dramma
giovanile
dello
scrittore
scomparso
,
intitolato
Il
viaggiatore
dello
sleeping
n
.
7
era
forse
Dio
?
appare
oggi
destituito
di
quasi
tutti
quei
motivi
di
interesse
che
avrebbe
avuto
una
volta
.
Perché
?
Ma
perché
risulta
tutto
tremendamente
legato
a
quel
tempo
allusivo
,
a
quella
stagione
in
cui
,
anche
una
virgola
,
messa
in
un
certo
modo
,
assumeva
un
valore
spropositato
,
una
eco
che
probabilmente
era
soltanto
nelle
intenzioni
,
se
non
nei
desideri
,
di
chi
leggeva
.
Così
,
la
storia
di
questo
vecchio
signore
siciliano
,
malato
di
cuore
,
che
sul
vagone
-
letto
Siracusa
-
Roma
(
si
reca
nella
capitale
per
sottoporsi
alle
visite
di
importanti
specialisti
)
incontra
uno
sconosciuto
che
,
per
burla
,
gli
si
spaccia
per
cardiologo
e
,
facendo
finta
di
visitarlo
,
lo
rassicura
sullo
stato
della
sua
salute
,
tanto
da
ridargli
fiducia
e
speranza
nella
vita
;
questa
storia
scopre
troppo
presto
la
corda
del
suo
simbolismo
.
Chi
è
lo
sconosciuto
viaggiatore
dello
«
sleeping
»
?
Per
il
vecchio
uomo
malato
è
un
'
incarnazione
di
Dio
,
una
proiezione
,
in
forma
umana
,
della
sua
immagine
,
un
modo
escogitato
per
mandargli
,
da
una
regione
misteriosa
,
un
messaggio
che
lo
aiuti
a
vivere
.
Accanto
a
questa
storia
,
poi
,
se
ne
sviluppa
un
'
altra
:
quella
della
figlia
dell
'
anziano
uomo
,
bella
e
perversa
,
che
dice
di
no
a
un
suo
patetico
innamorato
e
se
ne
scappa
con
un
giovanotto
sufficientemente
imbecille
e
prestante
,
oltre
che
sbrigativo
e
di
pochi
scrupoli
.
Il
tutto
accade
nella
«
hall
»
di
un
albergo
di
Roma
,
una
Roma
molto
1930
,
in
cui
circola
l
'
aria
dei
primi
racconti
di
Moravia
e
balena
,
a
tratti
un
po
'
di
realismo
magico
alla
Bontempelli
.
Il
vecchio
signore
muore
,
come
viene
la
sua
ora
,
senza
sapere
che
nel
frattempo
in
una
stanza
di
quello
stesso
albergo
,
dunque
a
pochi
passi
da
lui
,
si
trova
lo
sconosciuto
del
vagone
-
letto
,
l
'
uomo
che
egli
aveva
inutilmente
cercato
,
in
tutto
quel
tempo
,
e
al
quale
aveva
attribuito
una
così
misteriosa
funzione
.
Tocca
a
questo
personaggio
di
concludere
la
commedia
;
è
un
uomo
assolutamente
comune
,
che
viaggia
per
affari
(
quando
l
'
abbiamo
conosciuto
,
sul
vagone
-
letto
,
ci
è
stato
presentato
come
commerciante
d
'
arance
)
ma
,
non
appena
gli
viene
raccontata
la
singolare
storia
,
egli
la
inquadra
nei
suoi
termini
,
diciamo
filosofici
:
tutto
è
inspiegabile
,
egli
dice
,
tutto
è
mistero
.
Ma
accade
talvolta
che
la
nostra
volontà
coincida
con
quella
di
Dio
.
È
allora
l
'
atto
che
compiamo
e
l
'
inconsapevole
bene
che
ne
deriva
non
ci
appartengono
più
,
diventano
un
«
avvenimento
del
mondo
»
.
Eccoci
dunque
davanti
a
un
Brancati
che
fa
del
patetico
e
lirico
panteismo
ed
è
immerso
per
di
più
in
una
atmosfera
vagamente
crepuscolare
,
con
un
valzer
sullo
sfondo
e
un
monotono
scroscio
di
pioggia
sui
vecchi
tetti
di
Roma
.
Si
sentono
in
questi
tre
atti
un
'
infinità
di
influssi
,
da
Pirandello
al
singhiozzante
Fausto
Maria
Martini
.
È
un
'
opera
ancora
incerta
,
confusa
,
con
qualche
grazia
,
esclusivamente
letteraria
,
nel
dialogo
(
e
nelle
lunghe
didascalie
)
;
con
due
personaggi
persino
un
tantino
ridicoli
,
nella
loro
sentimentale
convenzione
:
quello
della
ragazza
perversa
e
quello
dell
'
innamorato
ardente
e
umiliato
.
Sono
insomma
tre
atti
legati
a
quegli
anni
irrecuperabili
,
a
una
provincia
letteraria
definita
e
remota
.
Perché
,
dunque
,
riesumarli
?
Non
si
è
reso
un
buon
servizio
a
Vitaliano
Brancati
,
del
quale
ci
interessano
altre
cose
,
in
teatro
e
in
narrativa
.
E
poi
,
per
presentarli
così
,
tanto
valeva
lasciar
dormire
questi
tre
atti
fra
le
pagine
della
vecchia
rivista
che
li
pubblicò
nel
lontano
1932
.
Legata
com
'
è
al
suo
tempo
,
una
commedia
del
genere
andava
messa
in
scena
preoccupandosi
di
dare
soprattutto
l
'
aroma
e
il
colore
di
quegli
anni
.
Niente
.
E
quanto
all
'
interpretazione
,
salvo
Raffaele
Giangrande
,
che
è
riuscito
a
dare
plausibilità
al
personaggio
del
protagonista
,
salvo
qualche
anziano
attore
come
Pier
Paolo
Porta
,
per
il
resto
,
nebbia
.
Il
teatro
,
uno
studioso
come
Enzo
Ferrieri
dovrebbe
saperlo
,
non
si
può
fare
coi
ragazzi
.
Quando
poi
,
come
nel
caso
del
«
Convegno
»
,
non
è
un
teatro
di
esperimento
e
di
ricerca
,
ma
si
parte
con
Steinbeck
e
Montherlant
e
si
arriva
a
una
«
novità
»
italiana
che
ha
ventisette
anni
sulle
spalle
.
L
'
esito
della
serata
è
stato
buono
,
numerosi
gli
applausi
.
StampaQuotidiana ,
Il
fascino
del
personaggio
di
Mercadet
,
nella
commedia
di
Balzac
presentata
ieri
sera
dal
Piccolo
Teatro
di
Milano
,
sta
nel
suo
nucleo
autobiografico
.
Mercadet
è
Balzac
per
lo
meno
nelle
sue
apparenze
esterne
,
quelle
consegnateci
dalla
tradizione
:
il
grand
'
uomo
al
centro
del
turbine
di
cambiali
in
scadenza
,
la
fantasia
eccitata
dalle
stesse
difficoltà
in
cui
si
dibatte
.
Che
poi
il
personaggio
sia
la
rappresentazione
d
'
un
certo
tipo
di
borghesia
francese
che
andava
affermando
i
suoi
concreti
ideali
di
denaro
e
di
potenza
negli
anni
che
seguirono
la
Rivoluzione
di
luglio
,
questo
è
talmente
palese
da
sembrare
persino
ovvio
.
Se
esistette
mai
uno
scrittore
il
cui
esclusivo
campo
di
indagine
fu
proprio
la
società
del
suo
tempo
,
questi
è
proprio
da
identificarsi
nel
creatore
della
Comédie
humaine
.
È
chiaro
perciò
che
il
teatro
dovette
esercitare
una
forte
suggestione
su
Balzac
,
essere
una
continua
tentazione
della
sua
fantasia
.
I
biografi
,
Théophile
Gautier
in
testa
,
dicono
che
,
in
realtà
,
nel
teatro
egli
vedeva
una
comoda
e
copiosa
fonte
di
guadagno
,
da
sfruttare
sull
'
esempio
di
certi
mediocri
e
fortunati
commediografi
dell
'
epoca
.
Ma
un
po
'
di
scetticismo
,
su
questi
suoi
pittoreschi
atteggiamenti
(
buttava
giù
,
scrivono
,
un
dramma
in
una
notte
,
con
la
collaborazione
di
quattro
o
cinque
amici
,
convocati
all
'
ultimo
momento
;
così
sarebbe
nata
la
versione
teatrale
del
Vautrin
)
,
è
necessario
.
Mercadet
l
'
affarista
,
(
titolo
originale
Le
Faiseur
)
è
,
secondo
la
maggioranza
degli
studiosi
,
la
prima
in
ordine
di
tempo
,
delle
sei
commedie
firmate
da
Balzac
;
secondo
altri
,
l
'
ultima
.
È
senza
dubbio
la
migliore
,
la
più
completa
e
realizzata
.
Perché
anche
Le
Faiseur
,
nella
riduzione
del
De
Ennery
(
l
'
autore
de
Le
due
orfanelle
!
)
,
venne
rappresentata
postuma
,
un
anno
dopo
la
morte
di
Balzac
,
nel
1851
.
E
si
dovette
arrivare
,
verso
il
1934
,
alla
riesumazione
che
ne
fece
Dullin
,
perché
l
'
opera
fosse
rivalutata
.
Le
Faiseur
è
la
rappresentazione
d
'
un
grande
personaggio
,
un
vero
e
proprio
«
carattere
»
al
centro
di
un
'
immensa
burla
finanziaria
,
un
'
accesa
parodia
dei
giochi
di
borsa
,
delle
speculazioni
,
delle
avventure
economiche
insieme
fantasiose
e
concrete
cui
cominciava
ad
abbandonarsi
la
borghesia
del
tempo
di
Luigi
Filippo
.
Mercadet
è
assediato
dai
creditori
,
ha
l
'
acqua
alla
gola
;
angosciate
gli
sono
accanto
la
moglie
e
la
figlia
;
infidi
,
pettegoli
e
non
pagati
,
i
servi
lo
sorvegliano
.
Con
tutto
ciò
,
dal
disastro
imminente
,
come
dal
fondo
d
'
un
cappello
di
prestigiatore
,
egli
trae
gli
estri
della
sua
fantasia
di
grande
avventuriero
dei
titoli
non
riscuotibili
,
delle
cambiali
protestate
,
dei
sequestri
giudiziari
.
Chimeriche
imprese
,
con
tutte
le
vele
spiegate
al
vento
delle
illusioni
,
navigano
nell
'
atmosfera
eccitata
di
quella
sua
casa
-
trabocchetto
da
grande
uomo
d
'
affari
senza
uno
spicciolo
in
tasca
.
Ha
però
i
suoi
assi
nella
manica
:
il
matrimonio
della
figlia
con
un
giovane
che
egli
crede
ricchissimo
(
ed
è
invece
uno
spiantato
,
carico
di
debiti
e
di
iniziative
truffaldine
)
e
il
ritorno
di
Godeau
,
il
socio
in
affari
che
,
vent
'
anni
prima
,
egli
racconta
,
se
ne
fuggì
con
la
cassa
.
Gli
va
fallito
il
colpo
del
matrimonio
della
figlia
(
che
si
sposerà
con
un
giovanotto
fra
sentimentale
e
prudentemente
calcolatore
,
cui
alla
fine
è
affidata
la
funzione
di
Deus
ex
machina
dello
scioglimento
)
,
e
starebbe
per
andargli
a
vuoto
anche
la
fantastica
trovata
del
grande
ritorno
di
Godeau
,
da
lui
organizzato
con
truffaldina
genialità
,
se
il
socio
fantasma
,
poi
,
a
conclusione
della
favola
,
non
tornasse
per
davvero
,
dalle
Indie
,
carico
d
'
oro
,
a
sistemare
tutto
.
Tutto
ciò
sarebbe
sulla
linea
d
'
un
macchinoso
vaudeville
,
alla
Scribe
,
o
addirittura
alla
Labiche
,
se
non
ci
fosse
quel
grosso
personaggio
centrale
,
quel
Mercadet
,
ipotesi
che
Balzac
sembra
prospettarsi
di
se
stesso
(
e
in
tal
senso
si
è
detto
sopra
che
il
fascino
di
questo
protagonista
ha
i
bagliori
d
'
una
delle
biografie
più
poetiche
dell
'
Ottocento
)
.
Manca
però
a
Mercadet
un
antagonista
che
lo
condizioni
.
Allora
,
questa
sarebbe
davvero
una
grande
commedia
.
Gli
altri
personaggi
,
infatti
,
sono
tutti
convenzionali
o
non
escono
,
al
più
,
dai
limiti
della
macchietta
.
Un
certo
rilievo
psicologico
hanno
la
moglie
e
la
figlia
del
protagonista
,
con
la
loro
misura
umana
,
piccolo
-
borghese
;
ma
si
tratta
di
figure
che
restano
approssimative
.
La
vera
scoperta
è
lui
,
Mercadet
;
la
cui
presenza
determina
un
paio
di
scene
per
cui
è
senz
'
altro
esagerato
citare
Molière
,
ma
che
sono
indubbiamente
belle
.
Aggiungi
il
gusto
dell
'
aforisma
,
la
viva
parodia
scenica
delle
opinioni
politiche
e
morali
del
tempo
.
È
destino
che
non
ascolteremo
mai
la
commedia
di
Balzac
nella
sua
stesura
originale
(
si
tratta
d
'
altronde
di
cinque
atti
lunghissimi
e
piuttosto
mal
calibrati
per
il
gusto
di
uno
spettatore
moderno
)
.
Della
riduzione
presentata
dal
Piccolo
si
è
incaricato
Carlo
Terron
,
che
ha
forse
abbondato
,
seppure
con
gusto
,
nelle
modifiche
e
nei
ritocchi
.
Ha
tra
l
'
altro
leggermente
alterato
il
personaggio
della
moglie
di
Mercadet
,
per
fare
di
quel
suo
spicciolo
moralismo
un
contrappeso
teatralmente
efficace
al
cinismo
avventuroso
del
marito
;
e
ha
cambiato
il
finale
,
spiritoso
arbitrio
per
cui
dovrà
intendersela
direttamente
con
l
'
ombra
di
Balzac
;
ma
in
complesso
la
riduzione
è
efficace
e
finisce
con
giovare
al
testo
.
A
differenza
di
quanto
fece
Jean
Vilar
quando
,
due
anni
fa
,
mise
in
scena
e
recitò
Le
Fausier
,
tenendosi
a
metà
tra
i
ritmi
della
commedia
seria
e
di
quella
giocosa
,
Virginio
Puecher
,
regista
dello
spettacolo
,
ha
puntato
sull
'
interpretazione
satirica
del
testo
,
cavandone
quindi
effetti
grotteschi
e
momenti
di
tensione
drammatica
e
giocando
in
chiave
ironica
sull
'
attesa
del
mitico
Godeau
.
Se
c
'
è
un
difetto
,
sta
nell
'
andatura
un
po
'
lenta
,
specialmente
nella
seconda
parte
.
Uno
spettacolo
,
comunque
,
approfondito
e
,
a
tratti
,
rivelatore
.
Al
centro
della
serata
,
Tino
Buazzelli
,
che
s
'
era
combinata
un
'
efficacissima
faccia
alla
Balzac
e
che
ha
recitato
,
ha
riso
,
pianto
,
si
è
mosso
,
con
una
corposa
evidenza
,
una
versatilità
di
toni
e
di
mimica
notevolissima
;
Mercadet
sembra
cucito
sulle
sue
spalle
;
accanto
a
lui
,
brillante
quantunque
un
po
'
manierato
,
Aldo
Giuffré
,
Gabriella
Giacobbe
,
che
ha
dato
una
patetica
misura
alla
figura
della
moglie
,
Giulia
Lazzarini
,
che
era
la
malinconica
figlia
da
maritare
,
il
comicamente
violento
Tarascio
e
tutti
gli
altri
,
da
Gastone
Moschin
ad
Andrea
Matteuzzi
,
assai
efficaci
.
Una
festosa
scena
di
Damiani
,
musiche
di
Carpi
.
Molti
applausi
,
alla
fine
delle
due
parti
.
StampaQuotidiana ,
Ieri
sera
il
pubblico
,
raccolto
nella
conchiglia
del
Gerolamo
-
platea
e
palchi
gremiti
-
ha
salutato
,
cori
fittissimi
applausi
,
la
nascita
di
un
nuovo
interprete
,
nella
difficile
specializzazione
del
teatro
parodistico
-
satirico
.
Chi
è
il
giovanissimo
Giancarlo
Cobelli
,
unico
protagonista
di
Cabaret
'59
,
lo
spettacolo
andato
in
scena
nel
minuscolo
teatro
su
testi
di
Giancarlo
Fusco
,
dello
stesso
interprete
e
di
Quinto
Parmeggiani
e
con
le
musiche
di
Fiorenzo
Carpi
,
Gino
Negri
e
Jacqueline
Perrotin
?
È
un
mimo
,
si
potrebbe
dire
,
poiché
la
sua
vocazione
al
teatro
affonda
le
radici
,
prevalentemente
,
nella
tecnica
e
nell
'
arte
del
mimo
;
ma
è
anche
un
attore
,
bisogna
subito
aggiungere
,
poiché
dell
'
attore
,
e
dell
'
attore
comico
in
particolare
,
sono
quei
suoi
toni
violentemente
caratterizzati
,
che
superano
la
stretta
misura
,
di
solito
soltanto
allusiva
,
dei
«
diseurs
»
,
da
una
parte
,
dei
macchiettisti
tradizionali
dall
'
altra
.
Egli
riesce
in
realtà
ad
evocare
veri
e
propri
personaggi
,
naturalmente
sintetizzandoli
,
trasformandoli
in
simboli
con
un
crudo
segno
espressionistico
.
Aggiungete
le
possibilità
,
che
egli
possiede
,
di
cantare
e
danzare
,
e
avrete
l
'
immagine
di
questa
specie
di
elettrico
«
clown
»
recitante
;
né
vi
meraviglierete
che
egli
possa
,
sulle
giovani
spalle
,
sostenere
l
'
intero
peso
di
uno
spettacolo
che
dura
due
ore
buone
.
Naturalmente
,
come
la
maggior
parte
degli
spettacoli
di
questo
genere
,
anche
Cabaret
'59
è
basato
soprattutto
sugli
spunti
di
attualità
,
un
'
attualità
guardata
attraverso
il
prisma
deformante
dell
'
ironia
.
Così
,
dal
primo
quadro
,
che
si
intitola
Ciampino
,
cinturino
e
Rugantino
,
all
'
ultimo
,
Valzer
d
'
addio
,
sono
gli
aspetti
del
costume
italiano
contemporaneo
che
vengono
presi
di
mira
:
il
cinema
,
gli
interpreti
di
canzonette
,
quei
singolari
,
morbidi
,
apparentemente
svaniti
,
in
realtà
attentissimi
divi
del
tempo
nostro
che
sono
i
grandi
creatori
della
moda
femminile
,
il
giornalismo
,
i
«
teddy
-
boys
»
,
le
televisive
anime
gemelle
,
gli
eroi
del
pugilato
e
così
via
.
Ma
bisogna
dire
che
,
salvo
un
paio
di
notazioni
,
che
appaiono
strettamente
per
iniziati
(
l
'
esilarante
parodia
di
Paolo
Grassi
,
per
esempio
)
,
tutto
il
resto
è
su
una
chiave
di
comicità
largamente
accessibile
,
elegante
ma
popolare
.
Si
veda
per
esempio
la
parodia
del
grande
balletto
scaligero
,
in
cui
il
Cobelli
,
con
nervoso
fregolismo
(
per
usare
una
definizione
tradizionale
,
ma
efficace
)
si
trasforma
in
una
serie
di
personaggi
(
mimi
e
ballerini
)
imitati
con
una
sorta
di
comica
,
affettuosa
crudeltà
.
Giancarlo
Fusco
,
cui
si
devono
la
maggior
parte
dei
testi
,
ha
accompagnato
col
«
pizzicato
»
pungente
del
suo
umorismo
,
le
felici
evoluzioni
interpretative
del
Cobelli
;
fra
i
suoi
sketches
,
tutti
spiritosi
e
mordenti
,
ci
sono
particolarmente
piaciuti
quelli
dedicati
al
giornalismo
,
al
grande
sarto
e
al
funerale
,
con
rassegna
di
buone
azioni
,
trasformate
in
ottimi
affari
,
del
grosso
imprenditore
.
Ma
tutto
lo
spettacolo
è
vivo
.
Nella
seconda
parte
,
accanto
a
qualche
momento
di
stanchezza
,
ci
sono
però
anche
le
cose
migliori
,
le
più
inedite
.
Mario
Missiroli
,
un
altro
giovane
,
ha
curato
la
regia
dei
due
tempi
;
le
musiche
sono
apparse
tutte
diversamente
efficaci
.
Insomma
,
è
stato
un
successo
,
con
moltissimi
applausi
,
come
s
'
è
detto
,
all
'
interprete
unico
,
che
alla
fine
appariva
un
po
'
provato
.
Bisogna
capirlo
:
due
ore
sulla
corda
.
StampaQuotidiana ,
Scandalo
sotto
la
luna
di
Eugenio
Ferdinando
Palmieri
fu
rappresentata
per
la
prima
volta
a
Milano
nel
1940;
e
venne
scritta
due
anni
prima
.
È
dunque
una
commedia
di
più
che
vent
'
anni
fa
e
appartiene
all
'
esiguo
gruppetto
delle
quattro
o
cinque
(
sulle
dodici
che
scrisse
per
la
scena
veneta
)
che
Palmieri
,
critico
rigoroso
di
sé
come
degli
altri
,
non
rifiuti
a
distanza
di
tanti
anni
.
La
ripresa
che
ne
ha
fatto
ieri
sera
,
al
teatro
Nuovo
,
Cesco
Baseggio
,
con
la
regia
di
Carlo
Lodovici
,
è
stata
opportuna
perché
ha
riaperto
uno
spiraglio
su
un
teatro
veneto
ingiustamente
dimenticato
.
Il
Palmieri
,
che
del
dialetto
ha
la
vocazione
e
l
'
istinto
(
la
sua
stagione
poetica
si
è
svolta
sotto
il
mutevole
cielo
della
parlata
polesana
)
si
è
sempre
battuto
,
con
saggi
e
articoli
,
per
un
teatro
veneto
moderno
che
superasse
le
dolcezze
e
le
lividure
(
crepuscolari
le
une
e
le
altre
)
di
Giacinto
Gallina
e
di
Gino
Rocca
;
per
un
teatro
veneto
che
non
fosse
fatto
di
epigoni
bonari
,
malinconici
o
gai
con
lacrimetta
;
un
teatro
che
,
d
'
una
provincia
italiana
antica
,
irrequieta
e
cupa
d
'
ombre
molteplici
,
non
ripetesse
un
'
immagine
convenzionale
.
Scandalo
sotto
la
luna
è
in
questo
senso
una
commedia
sufficientemente
indicativa
.
Ma
nella
produzione
di
Palmieri
commediografo
è
certo
una
delle
sue
opere
più
cordiali
,
meno
anarchiche
;
infatti
,
il
suo
mondo
più
autentico
è
quello
rapsodico
,
vagamente
picaresco
e
comunque
ribelle
,
della
sua
giovinezza
polesana
,
il
mondo
che
si
può
ritrovare
in
un
'
altra
commedia
,
I
lazzaroni
,
recentemente
pubblicata
in
un
fascicolo
di
«
Sipario
»
dedicato
al
teatro
veneto
.
Qui
viene
dipinto
l
'
affresco
satirico
dell
'
aristocrazia
veneta
e
lo
spunto
è
offerto
da
un
matrimonio
andato
a
monte
perché
la
nobile
sposina
se
ne
scappa
con
un
altro
,
un
pittore
povero
e
di
natali
alquanto
umili
.
Il
matrimonio
,
principesco
,
era
stato
predisposto
,
per
la
sorella
minore
,
da
Marina
Ravazzin
,
agra
zitella
ambiziosa
,
capofamiglia
,
praticamente
,
della
nobile
casata
,
che
comanda
a
bacchetta
anche
sui
due
fratelli
,
un
gentiluomo
che
fa
il
deputato
conservatore
,
tanto
per
occuparsi
di
qualcosa
(
il
primo
atto
della
commedia
è
datato
1914
)
,
e
un
giovanotto
tonto
,
che
è
ufficiale
dei
lancieri
e
corre
dietro
,
come
di
rigore
,
alle
stelle
del
café
chantant
.
La
commedia
racconta
lo
scandalo
,
e
lo
sdegno
ipocrita
,
provocati
in
quell
'
ambiente
di
nobili
parrucconi
,
dal
gesto
di
rivolta
della
promessa
sposa
che
preferisce
,
all
'
ebete
rampollo
di
un
principe
(
d
'
altronde
,
squattrinato
e
avaro
)
un
proletario
artista
.
Ventidue
anni
dopo
i
Ravazzin
,
cui
per
quello
scandalo
era
stato
dato
l
'
ostracismo
e
che
hanno
vissuto
in
solitudine
,
ma
badando
a
saggiamente
amministrare
il
patrimonio
,
vengono
riammessi
nel
«
giro
»
,
per
iniziativa
del
principe
il
cui
figlio
s
'
ebbe
a
suo
tempo
il
rovente
smacco
;
in
realtà
,
perché
si
ha
bisogno
di
loro
e
,
soprattutto
,
dei
loro
aristocratici
quattrini
.
Nel
frattempo
una
figlia
della
fuggitiva
è
felicemente
rientrata
nella
famiglia
e
Gasparo
,
lo
zio
ex
-
deputato
,
se
ne
serve
per
fare
,
in
uno
,
le
vendette
dei
Ravazzin
e
la
felicità
di
lei
che
,
come
la
madre
,
s
'
è
innamorata
di
un
giovanotto
di
nome
oscuro
.
Là
per
là
,
su
due
piedi
,
il
principe
sussiegoso
e
ipocrita
viene
«
comperato
»
dai
milioni
di
Gasparo
;
offrirà
alla
nuova
coppia
la
protezione
,
squattrinata
ma
blasonata
,
della
sua
autorità
di
«
padre
spirituale
»
di
tutto
il
sangue
blu
che
scorre
fra
la
laguna
e
il
Garda
.
I
tre
atti
sono
sagacemente
costruiti
su
tre
visite
,
del
principe
,
alla
famiglia
nemica
;
e
questo
,
del
principe
,
è
anche
il
personaggio
più
felice
.
Come
il
miglior
atto
della
commedia
è
il
secondo
,
quando
la
nobiltà
fa
il
suo
ingresso
solenne
,
dopo
ventidue
anni
,
nella
casa
degli
«
esiliati
»
.
Qui
,
prende
rilievo
il
ritratto
satirico
di
quella
provincia
,
di
quelle
figure
per
museo
da
statue
di
cera
;
e
la
comicità
diventa
cattiva
.
Del
resto
,
la
trama
,
alquanto
forzata
(
sta
qui
il
difetto
della
commedia
,
che
cioè
a
quelle
solenni
e
patetiche
mummie
non
si
contrappongono
antagonisti
veramente
vivi
)
,
è
il
pretesto
per
la
rappresentazione
beffarda
di
un
mondo
post
-
fogazzariano
.
È
in
questa
satira
che
il
Palmieri
è
davvero
riuscito
;
e
in
un
«
parlato
»
dialettale
vivo
,
semplice
,
rigoroso
,
sparso
di
intelligenti
battute
comiche
.
L
'
interpretazione
,
guidata
dalla
regia
di
Carlo
Lodovici
,
è
stata
buona
,
quantunque
l
'
avremmo
preferita
più
aspra
,
più
risentita
;
colpa
forse
dell
'
eccessiva
preoccupazione
di
volgere
in
lingua
un
dialetto
per
sé
chiarissimo
.
Cesco
Baseggio
ha
felicemente
tratteggiato
l
'
ipocrisia
avida
e
ghiotta
del
vecchio
principe
,
il
Lodovici
ha
fatto
con
disinvoltura
,
ma
anche
con
qualche
approssimazione
,
la
parte
del
Deus
ex
machina
;
e
hanno
ben
recitato
,
come
di
consueto
,
Elsa
Vazzoler
,
Luisa
Borseggio
,
Rina
Franchetti
,
il
Cavalieri
,
Giorgio
Gusso
e
tutti
gli
altri
.
Un
bel
successo
.
StampaQuotidiana ,
Meno
male
,
bisogna
dire
che
l
'
essere
venuti
a
Bologna
per
assistere
al
pallido
congresso
internazionale
dei
critici
conclusosi
oggi
,
ci
ha
offerto
l
'
occasione
di
ascoltare
stasera
al
Teatro
Comunale
,
in
sede
di
Festival
della
prosa
,
una
singolare
commedia
italiana
,
Il
benessere
,
di
Franco
Brusati
e
Fabio
Mauri
,
rappresentata
con
la
regia
di
Luigi
Squarzina
dal
complesso
del
«
Teatro
d
'
arte
italiano
»
.
È
una
commedia
singolare
che
,
e
per
come
è
condotta
e
per
quello
che
vuol
dire
,
esce
con
un
giovanile
colpo
di
reni
dal
cerchio
ristretto
del
conformismo
teatrale
più
aggiornato
,
cioè
del
neorealismo
,
dal
teatro
-
cronaca
,
dalla
più
o
meno
larvata
intenzione
dei
temi
e
delle
tecniche
brechtiane
.
Vi
si
rappresentano
,
per
due
atti
,
il
gioco
cinico
,
l
'
ambiguità
festevole
e
,
sotto
sotto
,
disperata
,
d
'
una
coppia
di
coniugi
che
si
concedono
una
reciproca
libertà
d
'
esperienze
amorose
.
Ma
qualcosa
li
unisce
e
non
è
soltanto
la
complicità
nel
peccato
,
piuttosto
una
specie
d
'
amore
sudicio
e
intenso
,
un
legame
sordido
e
,
alla
sua
maniera
,
puro
.
Tutto
ciò
è
raccontato
per
due
atti
in
una
serie
di
scene
sotto
la
cui
effettiva
,
intelligente
comicità
,
sotto
una
spregiudicatezza
persino
urtante
,
per
ciò
che
vi
è
in
essa
di
allusivo
e
di
ironico
,
si
comincia
tuttavia
ad
avvertire
lo
scorrere
di
una
sotterranea
freschezza
;
è
chiaro
che
l
'
alba
di
una
morale
disperata
sorgerà
alla
fine
su
un
così
desolato
paesaggio
umano
.
È
il
trapasso
che
avviene
al
terzo
atto
quando
,
separati
,
i
due
coniugi
esperimentano
l
'
inferno
della
solitudine
in
un
mondo
ormai
diventato
incomprensibile
,
risonante
di
avvertimenti
arcani
.
Il
finale
,
con
la
donna
che
si
fa
ammazzare
da
un
cameriere
idiota
,
una
specie
di
bruto
che
inconsapevolmente
diventa
giustiziere
,
è
alquanto
truculento
,
fa
pensare
a
certi
sadismi
del
teatro
espressionista
tedesco
;
ma
intanto
,
ciò
che
agli
autori
premeva
di
esprimere
,
la
scoperta
della
coscienza
da
parte
di
due
condannati
alla
cecità
morale
,
viene
lividamente
a
galla
,
come
il
relitto
di
un
naufragio
.
Perché
bisogna
dire
che
questi
due
giovani
possiedono
una
dote
importante
:
la
possibilità
di
far
scaturire
da
un
vero
umorismo
,
tipo
Osborne
,
il
lampo
dell
'
insoddisfazione
morale
.
Insomma
,
ci
pare
che
,
già
annunciata
da
diverse
avvisaglie
,
da
testi
per
esempio
come
D
'
amore
si
muore
,
cominci
in
Italia
un
teatro
degli
«
arrabbiati
»
.
Ben
venga
,
anche
con
tutti
i
difetti
e
le
intemperanze
di
una
commedia
come
questa
.
I
tre
atti
sono
stati
assai
bene
recitati
da
una
Laura
Adani
scatenata
in
un
genere
di
comicità
che
le
riesce
perfettamente
:
la
buffoneria
cinica
,
ammiccante
e
a
suo
modo
romantica
;
da
Vittorio
Sanipoli
,
che
ha
descritto
con
vivezza
un
tipo
di
libertino
perplesso
,
ombroso
,
in
conclusione
disperato
;
da
Franco
Parenti
,
efficacissimo
in
una
parodia
dell
'
innocenza
patetica
e
stupida
.
Notevole
il
successo
.
Questo
è
dunque
l
'
anno
delle
commedie
italiane
;
il
primo
di
una
serie
,
forse
.
C
'
è
un
'
ondata
che
arriva
,
attenzione
.