StampaQuotidiana ,
«
Mettete
un
bel
Padre
Nostro
in
fondo
a
una
commedia
,
poi
tirate
subito
il
sipario
e
avrete
un
subisso
di
applausi
»
potrebbe
essere
la
prima
norma
di
un
decalogo
dedicato
da
Diego
Fabbri
ai
giovani
commediografi
italiani
.
È
avrebbe
ragione
,
visto
l
'
esito
che
ha
avuto
,
ieri
sera
,
Figli
d
'
arte
a
Milano
.
Figli
d
'
arte
è
un
copione
che
Luchino
Visconti
ha
preso
a
pretesto
per
uno
spettacolo
.
Lo
spettacolo
è
vario
,
vivo
,
ha
il
fascino
delle
immagini
riprodotte
da
una
lanterna
magica
:
un
po
'
di
maniera
,
per
chi
se
ne
intenda
,
ma
rivelatrici
,
per
la
maggioranza
,
d
'
un
mondo
sempre
affascinante
,
quello
del
palcoscenico
.
La
commedia
,
invece
,
è
irrimediabilmente
mancata
.
Anzi
,
più
che
mancata
diremmo
inconsistente
,
un
'
enorme
macchina
,
un
grosso
mulino
a
vento
,
le
cui
grandi
pale
s
'
allargano
come
le
braccia
di
una
croce
nel
cielo
del
solito
spiritualismo
di
maniera
;
e
macinano
il
consueto
aneddoto
culminante
in
una
conclusione
miracolosa
e
un
paio
di
ideuzze
di
mistica
interpretativa
fra
Pirandello
e
Stanislavskij
.
Riprendendo
un
tema
che
gli
è
evidentemente
caro
,
il
Fabbri
ha
voluto
di
nuovo
raccontare
la
redenzione
di
un
adultero
attraverso
la
fede
.
Più
che
di
adultero
si
tratta
,
questa
volta
,
di
un
libertino
,
ché
tale
è
l
'
Osvaldo
di
questa
commedia
,
capocomico
-
mattatore
d
'
una
compagnia
di
prosa
che
si
prepara
a
presentare
(
e
le
prove
si
svolgono
nel
teatro
di
Cesena
,
e
si
finge
che
sia
quello
stesso
in
cui
accadde
il
famoso
episodio
del
Passatore
)
il
testo
di
un
autore
defunto
.
Costui
ha
scritto
tre
atti
che
si
richiamano
,
secondo
modi
parodistico
-
grotteschi
,
al
mito
di
Don
Giovanni
;
il
protagonista
della
commedia
in
prova
è
infatti
un
barbiere
di
paese
che
,
di
successo
in
successo
sulla
strada
della
galanteria
,
arriva
a
compromettere
la
moglie
di
un
ambasciatore
,
ed
è
costretto
a
rifugiarsi
in
un
convento
dove
incontra
,
suora
conversa
,
una
sua
antica
fidanzata
.
Il
dilemma
,
per
il
regista
e
gli
attori
che
stanno
provando
,
è
qui
:
il
perfido
Don
Giovanni
deve
uscire
dalla
commedia
con
una
piroetta
blasfema
o
un
miracolo
veramente
accade
e
il
seduttore
se
ne
andrà
convertito
?
Nel
primo
caso
,
secondo
il
regista
,
avremmo
un
«
grottesco
»
sacrilego
,
nel
secondo
un
dramma
«
spirituale
»
,
proprio
alla
maniera
di
Diego
Fabbri
.
Il
miracolo
accade
anche
sul
palcoscenico
di
quel
teatro
di
provincia
dove
,
intorno
al
mattatore
libertino
,
ruotano
la
moglie
,
da
cui
vive
separato
,
illustre
e
patetica
attrice
,
l
'
ex
-
amante
,
un
'
attricetta
parigina
del
«
boulevard
»
,
e
una
ragazzina
uscita
fresca
da
una
scuola
d
'
arte
drammatica
e
pronta
a
lasciare
aperta
,
all
'
importante
seduttore
,
la
porta
della
sua
camera
d
'
albergo
.
Il
miracolo
avviene
,
favorito
dall
'
intervento
della
madre
del
capocomico
,
ostinata
visitatrice
di
santuari
;
e
dal
Pater
Noster
finale
.
A
furia
di
impuntarsi
sui
miracoli
,
Diego
Fabbri
s
'
è
precluso
l
'
unico
miracolo
che
per
un
artista
conti
,
quello
dell
'
ispirazione
.
In
questa
commedia
tutto
è
falso
,
o
,
per
lo
meno
,
convenzionale
:
il
trombonesco
libertinaggio
del
protagonista
,
il
fiducioso
attendismo
di
quella
sua
moglie
pallida
e
scocciatrice
,
l
'
isterico
sentimentalismo
della
francese
,
il
titubante
sperimentalismo
del
regista
.
E
tutto
questo
meccanismo
,
poi
,
tutto
questo
artificio
complicato
,
questo
spaccare
in
quattro
il
capello
delle
teorie
interpretative
(
e
Stanislavskij
e
Pirandello
e
via
citando
)
,
per
arrivare
a
che
?
A
far
cambiare
d
'
albergo
,
riportandolo
quindi
nel
talamo
legittimo
,
al
protagonista
.
Sappiamo
benissimo
che
le
intenzioni
del
Fabbri
erano
diverse
e
assai
più
ambiziose
:
arrivare
all
'
identificazione
del
miracolo
scenico
col
miracolo
religioso
,
dimostrare
che
,
non
potendo
l
'
attore
veramente
incarnarsi
col
personaggio
se
non
partecipando
della
sua
vita
interna
,
per
interpretare
un
dramma
di
fede
occorre
un
atto
di
fede
.
Ma
dietro
quale
traliccio
di
approssimazione
,
di
sotterfugi
e
di
ingenuità
sentimentali
,
queste
intenzioni
si
nascondono
.
Il
miracolo
vero
lo
ha
fatto
,
con
la
sua
regia
,
Visconti
,
che
ha
inoltre
amplificato
le
risonanze
del
testo
dando
,
con
acuta
sensibilità
,
le
suggestioni
di
quella
vita
di
palcoscenico
,
il
senso
della
favola
che
sempre
si
rinnova
;
e
sottolineando
gli
effettismi
comici
,
le
cose
migliori
della
commedia
.
Aggiungi
l
'
interpretazione
impeccabile
,
un
Paolo
Stoppa
che
,
nei
toni
del
grande
gigionismo
teatrale
,
fa
una
felice
parodia
di
tutta
una
tradizione
,
la
sempre
sincera
e
sensibile
Rina
Morelli
,
anche
in
un
personaggio
così
falso
,
la
bella
e
ardente
Françoise
Spira
(
che
a
un
certo
punto
rimane
in
«
dessous
»
,
un
po
'
di
spogliarello
non
fa
male
anche
in
un
dramma
cattolico
)
,
la
fresca
e
decisamente
maturatasi
Ilaria
Occhini
,
Teresa
Franchini
,
Sergio
Fantoni
,
attendibilissimo
come
giovane
regista
.
Bella
la
scena
di
Garbuglia
.
Dell
'
esito
,
s
'
è
detto
.
È
comparso
anche
l
'
autore
.
StampaQuotidiana ,
Presentando
,
con
un
titolo
che
assomiglia
a
quelli
di
alcuni
drammi
di
Gorki
(
per
esempio
,
Egor
Buly
?
ev
e
altri
)
,
quest
'
opera
giovanile
di
?
echov
,
Giorgio
Strehler
,
autore
di
una
non
dimenticata
regia
del
Giardino
dei
ciliegi
,
e
il
Piccolo
Teatro
hanno
voluto
evidentemente
rivalutare
,
con
rigore
critico
,
un
testo
rimasto
per
molti
anni
sconosciuto
e
poi
presentato
ai
pubblici
occidentali
in
versioni
e
riduzioni
più
o
meno
arbitrarie
.
Questo
dramma
,
infatti
,
«
apre
»
in
modo
impressionante
su
quelli
che
saranno
i
quattro
capolavori
del
teatro
cecoviano
;
al
punto
di
assomigliare
,
per
certe
particolarità
dell
'
ambiente
e
certe
volute
della
trama
,
a
uno
d
'
essi
,
forse
il
più
alto
,
Il
giardino
dei
ciliegi
.
L
'
azione
di
questo
Platonov
e
altri
è
ambientata
in
un
villaggio
della
provincia
russa
,
dove
il
protagonista
figura
come
maestro
di
scuola
.
È
uno
di
quei
tipici
intellettuali
di
?
echov
,
falliti
a
trent
'
anni
,
prosciugati
da
una
vita
mediocre
,
con
improvvise
rivolte
velleitarie
cui
seguono
stati
di
prostrazione
inerte
,
di
deriva
.
Egli
ha
però
dalla
sua
una
specie
di
grazia
decadente
e
misteriosa
che
gli
fa
crollare
ai
piedi
tutte
le
donne
.
Sposato
con
una
ragazza
candida
e
ottusa
,
ecco
che
gli
sono
tutte
intorno
,
le
donne
di
quella
provincia
grigia
e
perduta
,
Anna
Petrovna
,
la
ancora
attraente
vedova
d
'
un
generale
,
proprietaria
d
'
una
tenuta
sommersa
dalle
ipoteche
e
dalle
cambiali
(
personaggio
che
ha
più
d
'
un
punto
di
contatto
,
appunto
,
con
la
Ljubov
'
Andreevna
del
Giardino
dei
ciliegi
)
;
la
moglie
del
figliastro
di
costei
,
Sof
'
ja
;
Marija
Grekova
,
un
'
altra
possidente
del
circondario
.
Non
è
da
credere
,
però
,
che
si
tratti
d
'
una
commedia
di
intrecci
e
di
capricci
amorosi
.
È
la
commedia
di
un
'
alienazione
.
Come
il
protagonista
di
Uomo
e
Superuomo
di
Shaw
,
Platonov
non
va
in
cerca
dell
'
avventura
amorosa
ma
è
catturato
dalle
donne
.
Questo
lasciarsi
prendere
compiaciuto
e
inerte
gli
serve
però
a
crearsi
degli
«
altrove
»
,
delle
possibilità
fantastiche
in
cui
evadere
dalla
consapevolezza
del
proprio
fallimento
intellettuale
e
morale
;
gli
«
altrove
»
erotici
si
alternano
agli
«
altrove
»
provocati
dal
bere
e
in
questo
vagheggiamento
fra
l
'
incoscienza
dei
sogni
e
una
fin
troppo
consapevole
autoironia
,
il
personaggio
percorre
l
'
arco
dei
cinque
atti
finché
si
imbatte
nel
colpo
di
rivoltella
esploso
da
Sof
'
ja
,
colei
cui
aveva
promesso
la
grande
fuga
romantica
(
lei
era
stata
,
d
'
altronde
,
un
suo
amore
di
gioventù
e
ora
l
'
ha
ritrovata
,
moglie
d
'
un
patetico
sciocco
)
.
In
realtà
,
questa
vicenda
non
è
che
il
punto
focale
di
ciò
che
giustamente
,
in
una
nota
di
regia
,
Strehler
ha
definito
un
«
grottesco
balletto
»
.
Da
quel
Trileckij
,
cognato
di
Platonov
,
medico
del
villaggio
,
idealista
ferito
e
sognatore
deluso
,
che
fa
il
pagliaccio
ubriaco
per
non
pensare
,
anch
'
egli
si
rifugia
in
un
«
altrove
»
;
a
quel
Porfirij
Glagòlev
,
vecchio
riccone
che
si
accorge
di
non
aver
mai
vissuto
;
a
quel
Vojnicev
,
marito
tradito
e
proprietario
in
dissesto
;
è
un
girotondo
di
personaggi
che
ruota
intorno
a
Platonov
e
ognuno
d
'
essi
può
,
nel
fallimento
di
costui
,
rispecchiare
il
proprio
.
Una
società
in
crisi
vien
colta
nel
suo
momento
più
delicato
(
ecco
la
vendita
della
proprietà
,
come
nel
Giardino
(
lei
ciliegi
)
e
in
uno
dei
suoi
personaggi
più
pittoreschi
e
patetici
,
la
grande
donna
non
più
giovanissima
,
raffinata
,
indolente
,
voluttuoso
,
evoluta
e
frustrata
nelle
sue
ambizioni
,
piena
di
fascino
e
di
desideri
,
inutilmente
innamorata
:
quella
Anna
Petrovna
,
che
è
forse
l
'
immagine
più
riuscita
di
quest
'
opera
sconcertante
e
ineguale
,
ma
già
così
autentica
,
già
così
precisa
nei
suoi
obbiettivi
ultimi
.
Ciò
che
vi
è
,
infatti
,
di
sorprendente
in
questo
dramma
giovanile
dello
scrittore
,
nell
'
edizione
presentata
ieri
sera
dal
Piccolo
Teatro
,
è
la
consapevolezza
di
quel
che
fin
da
allora
egli
voleva
ottenere
col
teatro
:
non
il
dramma
indirizzato
al
pensiero
razionale
,
come
nota
l
'
americano
Fergusson
,
il
più
moderno
indagatore
dei
modi
di
Cechov
,
ma
alla
sensibilità
poetica
e
istrionica
.
Cioè
:
anche
qui
,
come
nei
grandi
dramma
dell
'
età
matura
,
gli
avvenimenti
,
le
battute
,
il
progredire
delle
scene
sembrano
casuali
.
Invece
,
tutto
è
calcolato
al
millimetro
ma
secondo
un
ritmo
che
non
è
più
quello
del
teatro
naturalistico
(
o
ideologico
alla
Ibsen
)
di
fine
secolo
.
Ci
si
incomincia
ad
affrancare
dalla
schiavitù
convenzionale
dell
'
intrigo
,
il
realismo
di
?
echov
inserisce
le
sue
note
sommesse
,
il
suo
istrionismo
delicato
.
È
logico
,
poi
,
che
,
a
traduttori
e
riduttori
,
la
commedia
sia
parsa
soprattutto
comica
;
o
,
almeno
,
parodistica
.
Perché
,
pur
coi
loro
difetti
,
le
loro
intemperanze
,
certe
sovrabbondanze
,
qualche
squilibrio
,
questi
cinque
atti
sono
del
più
puro
e
tipico
teatro
cecoviano
;
teatro
cioè
di
«
mutamenti
patetici
»
,
con
inevitabili
risvolti
comici
,
lampi
grotteschi
,
persino
insinuazioni
satiriche
.
Giorgio
Strehler
ha
dato
un
'
alta
prova
di
sé
,
con
questa
regia
.
Egli
ha
montato
lo
spettacolo
come
una
grande
antologia
cecoviana
,
una
specie
di
ricapitolazione
dei
motivi
ricorrenti
nello
scrittore
,
dalla
disperazione
alla
noia
all
'
inutilità
della
vita
.
Le
scene
di
Luciano
Damiani
rievocano
con
poetica
immediatezza
quella
provincia
fra
le
betulle
.
Lo
spazio
è
avaro
,
per
i
bravissimi
interpreti
.
Va
citata
per
prima
Sarah
Ferrati
,
un
'
Anna
Petrovna
carica
d
'
un
vitalismo
assetato
e
insieme
deluso
,
una
morbida
figura
crepuscolare
;
poi
Tino
Carraro
,
che
,
dopo
qualche
rigidezza
iniziale
ha
ben
descritto
la
sfuggente
indeterminatezza
del
protagonista
;
lo
splendido
,
pittoresco
e
tristissimo
Buazzelli
;
una
patetica
Valentina
Cortese
,
alle
prese
con
le
velleità
sentimentali
e
l
'
isterismo
di
Sof
'
ja
;
la
perfetta
caratterizzazione
di
Olindo
Cristina
,
l
'
ansia
roca
e
canuta
di
Augusto
Mastrantoni
.
E
poi
tutti
gli
altri
,
dalla
Giulia
Lazzarini
a
Cesare
Polacco
,
al
Moschin
,
al
Bentivegna
,
al
Dettori
,
alla
Giacobbe
,
perfettamente
fusi
in
un
grande
spettacolo
che
ha
avuto
un
vibrante
e
meritato
successo
;
e
il
torto
di
finire
-
esagerati
-
alle
due
di
notte
.
StampaQuotidiana ,
La
riduzione
scenica
di
I
demoni
(
ovvero
Gli
ossessi
)
di
Dostoevskij
,
fatta
da
Alberto
Camus
e
rappresentata
questa
sera
alla
Fenice
dal
gruppo
del
Théâtre
Antoine
,
è
un
grande
spettacolo
e
una
scarnificazione
del
tempestoso
romanzo
all
'
osso
dei
fatti
.
Questo
,
della
diminuzione
quasi
a
termini
didascalici
,
a
quadri
illustrativi
,
è
un
destino
comune
alle
riduzioni
teatrali
delle
grandi
opere
di
narrativa
.
Figuriamoci
poi
nel
caso
di
Dostoevskij
,
scrittore
quant
'
altri
mai
legato
agli
ardori
e
ai
geli
,
agli
ideologici
inferni
e
paradisi
delle
sue
pagine
.
Già
la
riduzione
fatta
da
Gaston
Baty
di
Delitto
e
castigo
rischiava
di
ridurre
il
grande
romanzo
alle
dimensioni
di
un
dramma
poliziesco
;
e
quando
Copeau
e
Croué
si
misero
a
rimaneggiare
per
le
scene
I
fratelli
Karamazov
si
videro
costretti
a
brutalizzare
Dostoevskij
,
a
fargli
pronunciare
,
come
essi
un
poco
ingenuamente
scrissero
,
le
parole
estreme
,
quelle
che
nel
romanzo
aveva
detto
,
per
il
semplice
motivo
che
il
loro
significato
usciva
da
tutto
il
contesto
.
Gli
ossessi
definito
da
Gide
libro
straordinario
,
«
il
più
potente
»
del
grande
romanziere
,
non
è
certamente
riassumibile
.
In
esso
Dostoevskij
svolge
alcuni
dei
suoi
temi
preferiti
,
il
tema
dell
'
umiltà
e
dell
'
orgoglio
,
il
tema
del
superuomo
,
il
tema
dell
'
ateismo
,
e
conseguentemente
del
suicidio
,
come
manifestazione
di
libertà
,
il
tema
del
Cristianesimo
più
puramente
evangelico
,
staccato
da
qualsiasi
chiesa
.
Tutti
questi
motivi
vengono
inseriti
in
una
sarcastica
satira
sui
rivoluzionari
che
,
intorno
al
1871
,
caratterizzavano
la
scena
politica
russa
,
quella
società
colta
e
inconcludente
,
orientata
verso
il
liberalismo
e
il
radicalismo
,
che
Dostoevskij
aveva
già
in
parte
simboleggiato
nel
Raskolnikov
di
Delitto
e
castigo
.
Ma
più
che
le
grandi
asserzioni
ideologiche
e
morali
contano
,
come
in
ogni
opera
d
'
arte
realizzata
,
il
gioco
,
nello
scrittore
russo
quasi
sempre
terribile
,
delle
passioni
e
la
concreta
rappresentazione
dei
personaggi
;
per
cui
alla
satira
e
alla
discussione
metafisica
s
'
aggiunge
il
dramma
.
E
abbiamo
così
la
figura
di
Stavrogin
,
certamente
una
delle
più
sconcertanti
di
Dostoevskij
,
col
suo
titanismo
,
la
sua
irrequieta
disponibilità
morale
,
il
suo
splendore
romantico
,
la
sua
dolente
lucidità
intellettuale
;
l
'
ambiguo
Verchovenskij
,
l
'
«
anima
nera
»
dei
«
nichilisti
»
;
Kirillov
,
l
'
apostolo
dell
'
ateismo
puro
e
del
suicidio
come
atto
gratuito
;
atov
,
il
personaggio
nel
quale
è
celata
la
figura
storica
dello
studente
Ivanov
,
che
fu
veramente
assassinato
dagli
aderenti
a
un
'
associazione
segreta
.
Abbiamo
insomma
le
varie
figurazioni
degli
Ossessi
;
cui
sono
da
aggiungere
quella
patetica
e
grottesca
incarnazione
dell
'
eloquenza
e
della
viltà
che
è
Stepan
Trofimovi
?
,
l
'
inutilmente
imperiosa
Varvara
Petrovna
,
l
'
allucinata
inferma
Maria
Labjadkin
.
Camus
afferma
che
portare
sulla
scena
questi
personaggi
era
un
suo
sogno
vecchio
di
vent
'
anni
.
Camus
è
lo
scrittore
de
Lo
straniero
,
La
peste
,
Il
malinteso
,
Il
mito
di
Sisifo
;
di
opere
cioè
in
cui
i
terni
del
nichilismo
e
dell
'
assurdo
,
i
temi
della
non
-
speranza
,
tipici
di
alcune
filosofie
del
nostro
tempo
,
sono
trattati
con
una
lucidità
che
tiene
forse
più
del
saggista
che
del
poeta
.
Davanti
a
Dostoevskij
s
'
è
trovato
,
come
fu
giustamente
scritto
in
Francia
,
davanti
al
suo
mondo
intellettuale
realizzato
fantasticamente
;
davanti
a
qualcuno
insomma
che
lo
ha
grandiosamente
preceduto
.
Da
ciò
,
forse
,
diversamente
da
quanto
gli
era
accaduto
con
Faulkner
(
ricordate
Requiem
per
una
monaca
)
nasce
il
rispetto
di
Camus
riduttore
davanti
al
romanziere
Dostoevskij
.
Egli
dà
l
'
impressione
di
non
osare
.
Sta
,
nei
confronti
dell
'
opera
originale
,
religiosamente
alla
lettera
.
Ma
di
Dostoevskij
mancano
l
'
ambiguità
,
la
complicità
coi
personaggi
,
quel
sudore
di
sangue
,
quel
madore
preagonico
che
pare
spremersi
dalle
pagine
.
Era
inevitabile
.
Come
s
'
è
detto
in
principio
.
Tanto
più
che
il
Cristianesimo
di
Dostoevskij
lascia
aperto
uno
spiraglio
che
non
si
intravede
nell
'
esistenzialismo
di
Camus
.
Lo
spettacolo
è
perfetto
.
La
serie
,
dal
sapore
vagamente
didascalico
,
dei
numerosi
quadri
su
cui
la
riduzione
si
articola
,
si
svolge
con
un
bel
ritmo
narrativo
sullo
sfondo
delle
ottime
scene
di
Mayo
.
E
poi
c
'
è
un
«
cast
»
formidabile
di
attori
,
che
la
regia
di
Camus
,
presente
allo
spettacolo
,
ha
guidato
con
mano
sicura
.
Basterebbe
ricordare
la
poetica
,
struggente
caratterizzazione
di
Pierre
Blanchar
nella
parte
di
Stepan
Trofimovi
?
;
la
figurazione
fra
elegante
e
tenebrosa
di
Pierre
Vaneck
,
che
era
Stavrogin
;
la
beffarda
lucidità
di
Michel
Bouquet
nel
personaggio
di
Verchovenskij
;
la
bravissima
,
drammatica
Katherine
Sellers
(
quella
di
Requiem
per
una
monaca
)
che
ha
accettato
la
breve
parte
della
sciancata
Maria
Labjadkin
;
e
poi
,
Michel
Maurette
,
il
narratore
,
Roger
Blin
,
che
vedemmo
l
'
anno
scorso
qui
a
Venezia
in
Fin
de
partie
di
Beckett
,
Tania
Balachova
,
Alain
Mottet
,
Marc
Eyraud
,
Nadine
Basile
,
Janine
Patrich
e
tutti
gli
altri
.
Lo
spettacolo
,
che
è
lunghissimo
(
è
finito
,
nel
caldo
soffocante
della
Fenice
,
oltre
l
'
una
di
notte
)
,
ha
raccolto
molti
applausi
.
Camus
camminava
intanto
nervosamente
su
e
giù
in
Campo
San
Fantin
,
davanti
all
'
ingresso
del
Teatro
.
StampaQuotidiana ,
Direttore
del
Piccolo
Teatro
,
Paolo
Grassi
,
presentando
questa
commedia
,
primo
tentativo
di
Cesare
Zavattini
in
teatro
,
ha
scritto
che
non
si
tratta
tanto
di
una
commedia
quanto
d
'
una
conferenza
biografica
,
d
'
una
specie
di
«
mostra
personale
»
dell
'
autore
.
È
giusto
.
Se
qualcuno
,
questa
sera
,
si
è
recato
alla
«
Fenice
»
per
la
prima
rappresentazione
di
Come
nasce
un
soggetto
cinematografico
aspettandosi
di
assistere
ad
una
commedia
costruita
secondo
i
moduli
normali
(
la
cui
gamma
varia
,
naturalmente
,
dalla
tradizione
all
'
avanguardia
)
non
può
che
esserne
rimasto
deluso
.
Ma
costui
dimostrerebbe
di
non
aver
capito
lo
spirito
dell
'
iniziativa
presa
dal
Piccolo
Teatro
:
che
era
di
portare
alla
prova
del
palcoscenico
la
particolarissima
fantasia
di
questo
scrittore
:
non
uno
Zavattini
drammaturgo
,
regolarmente
inquadrato
entro
le
tecniche
(
e
le
convenzioni
)
,
uno
Zavattini
cioè
che
probabilmente
non
avremo
mai
;
ma
la
sua
fantasia
,
surreale
,
tenera
,
crepuscolare
,
con
la
lacrima
;
stupefacente
e
un
tantino
meccanica
.
Nella
sua
non
folta
produzione
letteraria
Zavattini
,
lo
sanno
tutti
,
ha
un
versante
diaristico
,
autobiografico
.
Egli
ha
il
gusto
della
confessioncella
quotidiana
,
del
giornalismo
privato
.
Come
nasce
un
soggetto
cinematografico
è
una
lunga
pagina
di
quei
suoi
diari
portata
in
termini
drammatici
.
Se
sfrondiamo
lo
spettacolo
di
tutti
i
particolari
accessori
(
che
sono
molti
,
alcuni
funzionali
,
numerosi
altri
no
)
,
esso
si
riduce
a
questo
:
Antonio
,
scrittore
di
cinema
,
che
ha
raggiunto
con
il
suo
lavoro
l
'
agiatezza
,
che
ha
una
bella
moglie
in
procinto
di
dargli
un
bambino
,
una
comoda
casa
,
insomma
una
solida
posizione
borghese
,
morde
il
freno
della
censura
e
del
conformismo
,
sente
la
punta
della
solidarietà
sociale
,
il
«
dolore
del
mondo
»
,
insomma
,
o
come
volete
chiamarlo
,
che
gli
arriva
,
se
appena
tende
l
'
orecchio
,
simile
al
rombo
del
mare
in
una
conchiglia
.
Che
può
fare
?
Come
due
carabinieri
gli
stanno
ai
fianchi
,
mentre
lavora
,
da
una
parte
il
censore
,
dall
'
altra
il
produttore
,
voci
alleate
,
quantunque
a
volte
discordi
,
della
convenzione
morale
e
dell
'
utile
economico
.
In
uno
stato
di
esterrefatto
fervore
,
che
si
prolunga
per
una
buona
metà
del
primo
tempo
,
egli
propone
ai
due
diversi
spunti
e
idee
che
vengono
regolarmente
bocciati
,
finché
trova
la
storia
dell
'
occhio
.
Un
disoccupato
,
Giacomo
N
.
,
accetta
di
vendere
uno
dei
propri
occhi
a
un
guercio
riccone
,
un
grosso
industriale
che
si
sente
gravemente
menomato
nella
condotta
dei
propri
affari
dal
fatto
di
vederci
da
una
parte
sola
.
Sennonché
,
già
pattuito
il
compenso
,
dodici
milioni
,
un
istante
prima
che
l
'
operazione
venga
eseguita
,
Giacomo
e
sua
moglie
si
pentono
e
fuggono
.
Vengono
inseguiti
e
ripresi
.
È
la
società
che
non
permette
loro
di
uscire
dal
cerchio
di
un
crudele
dare
e
avere
.
A
una
conclusione
simile
del
progettato
film
sia
il
produttore
che
il
censore
,
naturalmente
,
si
oppongono
.
Ed
è
allora
che
Antonio
si
ribella
,
abbandona
la
casa
,
la
comoda
posizione
borghese
,
la
bella
moglie
e
torna
alla
sua
vecchia
abitazione
e
condizione
,
di
quando
ancora
non
era
celebre
e
ricco
,
fra
la
gente
del
popolo
.
A
questo
punto
però
si
rivela
la
sua
insufficienza
morale
.
Perché
capitolerà
alla
fine
,
Antonio
?
Cosa
lo
piega
alla
sconfitta
?
Sono
le
insinuazioni
dei
ricordi
,
dirà
qualcuno
,
la
nostalgia
della
vita
di
prima
,
le
memorie
e
gli
affetti
abbandonati
.
Ma
altri
potrà
affermare
,
con
uguali
probabilità
di
non
sbagliarsi
:
è
l
'
impossibilità
di
vivere
tra
gli
uomini
,
lo
dice
lui
stesso
.
Questa
è
comunque
la
parte
più
confusa
della
liricizzante
sceneggiatura
;
inconveniente
pericoloso
,
siamo
alla
svolta
dialettica
della
vicenda
.
Antonio
finirà
con
l
'
immaginare
di
uccidersi
.
In
realtà
non
lo
farà
,
quello
della
morte
sarà
,
nella
commedia
,
un
tetro
sogno
didascalico
per
dar
la
possibilità
all
'
autore
di
dire
determinate
cose
.
Il
falso
ribelle
tornerà
,
invece
,
nel
comodo
alveo
del
compromesso
,
accanto
alla
moglie
esigente
e
dolce
,
fra
i
due
angeli
custodi
della
sua
condizione
economica
e
sociale
:
il
produttore
e
il
censore
.
È
il
film
dell
'
uomo
che
doveva
vendere
un
occhio
avrà
la
conclusione
ottimistica
suggerita
da
costoro
.
Questo
è
il
traliccio
della
sceneggiatura
,
cui
sono
appesi
,
come
a
un
albero
,
le
«
gags
»
,
gli
«
sketches
»
le
«
punte
secche
»
,
i
piccoli
fulmini
satirici
tipici
dello
Zavattini
del
cinema
;
e
,
soprattutto
,
dell
'
umorista
stupefatto
di
I
poveri
matti
e
Parliamo
tanto
di
me
.
Un
orecchio
attento
troverà
anche
,
in
tutto
questo
,
una
certa
dose
di
cattiva
letteratura
;
ma
anche
molto
coraggio
,
vedi
il
quadro
del
prete
che
viene
per
richiamare
il
protagonista
alla
coscienza
religiosa
e
si
lascia
convincere
a
confessarsi
:
Io
ascoltiamo
versare
nell
'
orecchio
del
laico
i
propri
sussurri
di
penitente
.
Le
nostre
riserve
non
sono
su
certi
aspetti
formali
del
poemetto
teatrale
-
cinematografico
,
sappiamo
benissimo
che
Zavattini
è
questo
,
intuizioni
e
lampi
geniali
su
uno
sfondo
di
sentimentalismo
.
Il
fatto
è
piuttosto
che
l
'
individuale
caso
di
coscienza
messo
in
scena
non
riesce
a
diventare
processo
per
tutti
,
richiamo
a
una
responsabilità
collettiva
,
come
deve
essere
sempre
del
teatro
impegnato
sulle
verità
morali
.
Ma
sulla
felicità
inventiva
e
l
'
audacia
polemica
,
specialmente
nella
prima
parte
,
non
ci
sono
dubbi
.
Un
testo
del
genere
lascia
al
regista
una
libertà
solo
apparente
;
in
realtà
determina
la
linea
stilistica
dello
spettacolo
.
Zavattini
ha
inserito
in
questo
suo
lungo
monologo
proiezioni
di
diapositive
,
.
un
impressionante
via
vai
di
«
barzellette
animate
»
,
alcune
canzoni
e
due
minuti
buoni
di
pellicola
al
finale
.
Virginio
Puecher
ha
messo
ordine
nel
mobile
plasma
e
lo
spettacolo
con
le
scene
di
Damiani
e
le
musiche
di
Carpi
ha
l
'
indubbio
marchio
di
fabbrica
delle
produzioni
del
«
Piccolo
»
,
ma
dovrà
essere
rodato
e
snellito
.
Quanto
agli
interpreti
bisognerebbe
esaminarli
in
una
occasione
più
tranquilla
:
ci
limiteremo
a
sottolineare
l
'
appassionato
impegno
di
tutto
il
complesso
,
nel
quale
spiccano
Tino
Buazzelli
,
il
protagonista
,
per
quella
sua
lirica
ironica
concitazione
,
Enzo
Tarascio
e
Andrea
Matteuzzi
suoi
vibranti
antagonisti
dialettici
,
il
recuperato
interprete
di
Ladri
di
biciclette
,
Lamberto
Maggiorani
,
che
supera
con
popolaresca
sincerità
l
'
impaccio
dell
'
esordiente
,
la
bella
Luisa
Rossi
,
Elena
Borgo
,
Lia
Rainer
,
Ottavio
Fanfani
e
Gabriella
Giacobbe
.
StampaQuotidiana ,
Ogni
anno
l
'
Istituto
del
Dramma
Popolare
di
San
Miniato
sceglie
un
testo
di
accento
cristiano
da
mettere
in
scena
,
tra
luglio
ed
agosto
,
nell
'
antica
piazza
della
cittadina
.
Quest
'
anno
la
scelta
è
caduta
sull
'
ultima
opera
di
T.S.
Eliot
,
Il
grande
statista
(
traduzione
piuttosto
libera
del
titolo
originale
,
The
Elder
Statesman
)
,
che
fu
recitata
per
la
prima
volta
l
'
estate
scorsa
al
Festival
di
Edimburgo
.
Lo
spettacolo
diretto
questa
sera
da
Luigi
Squarzina
nella
piazza
della
cittadina
toscana
può
dunque
essere
considerato
come
la
prima
continentale
dell
'
opera
di
Eliot
.
Il
grande
statista
è
la
rappresentazione
simbolica
della
fine
di
una
vita
.
Definizione
alquanto
approssimativa
,
soprattutto
se
si
pensa
alla
quantità
di
significati
che
si
possono
attribuire
alle
vicende
,
in
genere
solo
apparenti
,
svolte
da
Eliot
nelle
sue
pièces
teatrali
,
esemplificazione
drammatica
della
sua
poesia
.
Definizione
che
ha
,
qui
,
uno
scopo
puramente
didascalico
,
e
alla
quale
potremmo
aggiungere
,
precisando
,
che
tema
dell
'
opera
è
una
espiazione
,
una
redenzione
attraverso
il
tempo
,
motivo
fondamentale
in
Eliot
.
Il
vecchio
statista
è
Lord
Claverton
-
Ferry
.
Raggiunto
il
culmine
degli
onori
,
nella
politica
e
nell
'
economia
,
costretto
da
incerta
salute
a
ritirarsi
a
vita
privata
,
egli
fa
la
sua
apparizione
nel
primo
atto
con
in
mano
un
'
agenda
le
cui
pagine
sono
bianche
,
più
nessun
impegno
,
più
nessun
gesto
da
compiere
,
il
tempo
è
vuoto
.
Lord
Claverton
ha
accanto
una
figlia
,
amorosa
e
sensibile
,
e
il
fidanzato
di
costei
uomo
retto
e
onesto
.
Ma
queste
dolci
apparenze
della
vita
che
continua
,
vengono
ben
presto
respinte
ai
limiti
di
un
cerchio
d
'
ombra
.
Cala
infatti
sul
vecchio
uomo
l
'
ombra
del
passato
,
apportatrice
di
fantasmi
,
è
dapprima
un
suo
vecchio
compagno
di
Oxford
,
Fred
Culverwell
,
che
ora
si
presenta
sotto
il
nome
di
Federico
Gomez
.
Il
destino
di
costui
,
ragazzo
povero
e
assetato
di
successo
,
era
stato
modificato
dalla
vicinanza
del
giovane
che
sarebbe
poi
diventato
Lord
Claverton
.
Il
pernicioso
esempio
di
una
intelligente
e
ironica
dissolutezza
lo
aveva
condotto
sulla
via
di
compromessi
morali
.
Cosa
vuole
?
Apparentemente
,
soltanto
l
'
amicizia
dell
'
antico
compagno
di
studi
e
d
'
orgie
.
In
realtà
,
è
venuto
a
esigere
qualcosa
di
più
,
la
moneta
del
rimorso
che
saldi
i
vecchi
conti
.
La
stessa
amara
moneta
chiede
,
dolcemente
sorridendo
,
come
campita
in
aria
esterrefatta
,
antica
,
Maisie
Batterson
,
la
donna
che
Claverton
-
Ferry
aveva
illuso
in
giovinezza
e
poi
abbandonata
.
Essi
,
i
fantasmi
,
gli
porteranno
via
il
figlio
,
Michael
,
che
è
,
sì
,
ribelle
al
dispotismo
paterno
,
ma
che
è
anche
,
di
giovanili
difetti
e
vizi
paterni
,
una
tenera
reincarnazione
,
l
'
immagine
proiettata
in
uno
specchio
,
di
un
'
amata
e
odiata
giovinezza
.
Ora
,
rimasto
solo
,
accanto
alla
figlia
fedele
e
all
'
austero
fidanzato
di
lei
,
il
vecchio
uomo
potrà
finalmente
riaccettare
se
stesso
,
confessare
ad
alta
voce
le
proprie
colpe
segrete
,
e
avviarsi
,
sotto
lo
sguardo
dei
due
,
che
continueranno
la
vita
nell
'
amore
,
verso
la
«
tenebra
di
Dio
»
,
così
Eliot
stesso
chiama
la
morte
in
uno
dei
suoi
Quartetti
.
Tutto
ciò
avviene
,
(
secondo
e
terzo
atto
)
nel
giardino
di
una
clinica
o
,
meglio
,
di
una
casa
di
riposo
,
di
un
albergo
per
ricchi
estenuati
,
luogo
evidentemente
allegorico
.
Come
sempre
nei
drammi
di
Eliot
(
Assassinio
nella
Cattedrale
a
parte
)
il
linguaggio
è
quello
della
vita
quotidiana
,
i
modi
sono
quelli
convenzionali
ed
eleganti
della
buona
società
inglese
.
La
carica
simbolica
è
sotto
le
parole
,
rompe
qua
e
là
ad
opera
dei
personaggi
consapevoli
,
dei
veggenti
.
A
nostro
parere
il
fascino
di
quest
'
opera
,
specialmente
nel
terzo
atto
,
il
più
alto
e
compiuto
,
deriva
da
dati
tutti
moderni
di
cultura
,
non
ultimi
i
contributi
della
psicoanalisi
portati
a
livello
della
poesia
.
Anche
per
questo
la
traduzione
di
Desideria
Pasolini
,
pulita
e
prosastica
,
è
sembrata
insufficiente
anche
a
chi
-
e
sono
i
più
,
l
'
opera
è
nuova
-
non
conosce
il
testo
inglese
originale
.
Ciò
che
appare
veramente
notevole
,
invece
,
,
è
la
regia
di
Squarzina
.
Specialmente
nel
secondo
e
terzo
atto
,
egli
ha
saputo
sfruttare
l
'
incanto
naturale
e
architettonico
della
piazza
di
San
Miniato
.
In
questa
cornice
l
'
apparato
scenico
di
Luciano
Damiani
,
aveva
una
sua
suggestione
di
incubo
,
ma
un
incubo
bianco
,
leggero
,
nelle
sue
cadenze
geometriche
,
simili
a
rime
.
Ivo
Garrani
era
il
protagonista
e
ha
recitato
con
una
pensosa
interiorità
,
Gianrico
Tedeschi
,
plastico
,
efficiente
,
è
stato
un
po
'
troppo
realistico
nel
personaggio
dell
'
amico
tornato
sotto
le
apparenze
del
rimorso
.
Più
di
tutti
ci
è
piaciuta
Laura
Adani
,
che
sotto
la
guida
di
Squarzina
va
evidentemente
scoprendo
una
sua
nuova
,
assai
fine
,
personalità
.
Completavano
il
gruppo
degli
interpreti
Corrado
Pani
,
Franco
Graziosi
,
la
ben
caratterizzata
Giusy
Dandolo
e
una
giovane
allieva
dell
'
Accademia
,
Giovanna
Pellizzi
,
inevitabilmente
acerba
ma
certamente
sincera
.
Anfiteatro
gremito
e
molti
applausi
.