StampaQuotidiana ,
Incontrai
Fred
Buscaglione
,
la
prima
volta
,
a
Viareggio
,
nell
'
estate
del
1946
.
A
quel
tempo
dirigevo
un
night
-
club
piuttosto
importante
,
il
vecchio
Kursaal
,
al
centro
della
passeggiata
a
mare
.
Stagione
intensa
,
turbinosa
.
Americani
negri
e
bianchi
ciondolavano
dappertutto
.
Avventurieri
d
'
ogni
calibro
,
tipo
ed
età
circolavano
sul
litorale
tirrenico
,
fra
Livorno
e
Forte
dei
Marmi
,
attirati
da
quella
affascinante
«
fata
morgana
»
ch
'
erano
gli
enormi
magazzini
militari
di
Tombolo
.
Più
che
magazzini
,
una
specie
di
metropoli
polverosa
,
improvvisata
fra
la
spiaggia
e
la
via
Aurelia
:
fatta
di
casse
accatastate
a
centinaia
di
migliaia
,
di
jeeps
nuove
di
zecca
allineate
e
coperte
di
teli
mimetici
,
di
camions
,
di
cannoni
,
di
gabinetti
dentistici
da
campo
,
di
tutti
i
materiali
necessari
a
un
esercito
moderno
.
I
biglietti
grigi
da
1000
«
amlire
»
avevano
,
in
quei
giorni
,
il
valore
di
stuzzicadenti
.
L
'
estrema
coda
occidentale
dell
'
ex
linea
gotica
era
una
specie
di
cornucopia
traboccante
di
frutti
succulenti
.
Gli
affaristi
del
Nord
,
muniti
di
credenziali
rilasciate
dalle
più
bizzarre
e
impensate
autorità
partigiane
,
erano
scesi
in
Versilia
,
e
vi
si
erano
stabiliti
per
arraffare
e
sperperare
milioni
.
Nel
mio
locale
,
ancora
spruzzato
di
schegge
e
arredato
alla
meglio
,
suonava
il
«
Quintetto
Gaio
»
,
che
più
tardi
emigrò
in
Brasile
e
tuttora
è
l
'
orchestra
numero
1
di
Copacabana
;
cantava
e
ballava
una
signorina
di
buona
famiglia
,
pressoché
debuttante
,
di
nome
Katina
Ranieri
;
intratteneva
il
pubblico
,
fra
un
ballo
e
l
'
altro
,
con
monologhi
umoristici
e
barzellette
,
un
giovane
,
indemoniato
fantasista
,
magro
,
occhialuto
,
annunciato
sui
manifesti
come
«
Mario
Carotenuto
-
L
'
irresistibile
causeur
»
;
si
esibiva
Casoni
,
vestito
mezzo
in
abito
da
sera
femminile
e
mezzo
in
frac
,
il
quale
mandava
in
visibilio
gli
ufficiali
americani
,
ballando
un
tango
con
se
stesso
,
abbracciandosi
,
accarezzandosi
.
Fu
appunto
Casoni
a
presentarmi
Buscaglione
,
torinese
come
lui
.
Mi
trovai
davanti
,
una
sera
,
mentre
i
«
Gai
»
suonavano
Apri
la
porta
,
Riccardo
,
un
giovanotto
magro
,
dagli
occhi
fiammeggianti
e
dai
capelli
ricadenti
sulla
fronte
in
un
ciuffo
vagamente
hitleriano
.
Suonava
il
piano
,
la
tromba
,
eventualmente
la
batteria
.
Cantava
.
Sapeva
«
arrangiare
»
.
All
'
occorrenza
,
se
la
sarebbe
cavata
anche
in
pista
,
come
ballerino
.
Fu
l
'
incontro
di
una
sera
,
anzi
di
mezz
'
ora
,
fra
due
whisky
di
dubbia
origine
.
Nel
mio
locale
non
c
'
era
posto
per
quel
giovanotto
che
un
giorno
(
chi
poteva
immaginarlo
?
)
avrebbe
avuto
milioni
di
fans
.
Nell
'
autunno
del
1956
,
quando
anche
in
Italia
dilagò
,
improvvisamente
,
la
moda
del
juke
-
box
,
i
distributori
di
macchine
automatiche
e
di
dischi
notarono
che
molte
monete
da
50
e
da
100
lire
finivano
nei
loro
ordigni
in
virtù
di
una
voce
strana
,
rauca
,
aggressiva
,
completamente
diversa
dal
cliché
nazionale
,
sia
pure
aggiornato
dai
primi
«
urlatori
»
di
successo
.
Quella
voce
,
sospesa
fra
il
canto
e
la
recitazione
,
rivelò
ai
patiti
della
musica
leggera
un
nuovo
idolo
:
Fred
Buscaglione
.
Che
bambola
!
,
coi
suoi
cinguettii
e
il
suo
gergo
da
«
bulleria
»
periferica
,
si
piazzò
subito
ai
primi
posti
,
nella
graduatoria
dei
successi
attentamente
vigilata
dagli
editori
musicali
e
dai
fabbricanti
di
dischi
.
Pochissimi
conoscevano
quel
bizzarro
cantante
-
attore
,
dalla
voce
rauca
,
viziata
,
ossessiva
.
Per
via
del
nome
,
Fred
,
molti
credettero
che
si
trattasse
di
un
italo
-
americano
:
come
Mike
Bongiorno
o
Joe
Di
Maggio
.
In
realtà
,
quel
Fred
,
non
si
sa
come
,
anziché
stare
per
Federico
,
stava
per
Ferdinando
e
in
America
,
Buscaglione
,
nato
a
Torino
nel
1921
,
non
era
mai
stato
.
Erano
stati
gli
americani
a
raggiungerlo
,
nell
'
autunno
del
1943
,
quand
'
era
soldato
in
Sardegna
,
e
preferiva
divertire
i
commilitoni
cantando
alle
esercitazioni
di
tiro
e
al
percorso
di
guerra
.
Furono
i
marines
statunitensi
,
preceduti
da
scrosci
di
bombe
e
immancabilmente
seguiti
da
orchestre
e
da
casse
di
whisky
,
a
ribattezzarlo
Fred
,
a
suggerirgli
lo
stile
«
duro
»
,
a
insegnargli
a
bere
.
Aveva
frequentato
,
quattordicenne
,
i
corsi
di
violino
e
di
viola
al
conservatorio
Giuseppe
Verdi
di
Torino
.
Dopo
un
biennio
di
scrupolosa
fedeltà
al
«
classico
»
,
nel
1937
si
accorse
che
la
sua
vera
passione
era
il
jazz
.
Una
passione
alimentata
dalle
riviste
cinematografiche
americane
,
dagli
arrangiamenti
«
sinfonici
»
di
Paul
Whiteman
,
dai
ritmi
scanditi
da
Fred
Astaire
,
il
ballerino
dai
piedi
di
acciaio
.
Dopo
1'8
settembre
1943
,
mentre
i
tedeschi
si
ritiravano
verso
la
Maddalena
e
Olbia
,
per
trasferirsi
in
Corsica
,
Buscaglione
conquistò
gli
americani
.
Qualche
settimana
prima
,
nel
penultimo
«
quadro
»
di
una
rivistina
organizzata
dal
comando
di
Divisione
per
distrarre
la
truppa
,
aveva
cantato
Vincere
:
sull
'
attenti
,
serio
,
su
sfondo
nero
,
illuminato
da
un
riflettore
«
gentilmente
»
prestato
per
l
'
occasione
dal
Genio
fotoelettricisti
.
Ma
non
se
ne
ricordava
già
più
.
Ora
,
finalmente
,
era
venuto
il
momento
del
boogie
-
woogie
(
ritmo
pari
a
giro
«
chiuso
»
)
,
di
Gilda
,
di
T
'
ho
incontrata
a
Napoli
.
Il
torinese
Buscaglione
assimilò
presto
il
nuovo
stile
.
Ritirò
in
gola
la
voce
.
Alzò
il
sopracciglio
.
Accentuò
la
strafottenza
del
ciuffo
.
Ma
nonostante
ciò
,
il
venticinquenne
cantante
non
ebbe
il
suo
boom
.
Continuò
a
essere
uno
dei
tanti
orchestrali
«
con
voce
»
da
locale
notturno
dietro
i
divi
di
quel
tempo
:
Nilla
Pizzi
,
Norma
Bruni
,
Natalino
Otto
,
Oscar
Carboni
,
Narciso
Parigi
,
eccetera
.
Bruno
Quirinetta
importatore
della
«
raspa
»
messicana
,
dominava
nelle
notti
dell
'
élite
nazionale
.
Ci
vollero
dieci
anni
,
perché
il
nome
di
Buscaglione
,
la
sua
voce
ingolata
e
le
sue
trovate
mimiche
diventassero
popolari
.
Dieci
anni
,
la
televisione
e
i
juke
-
box
.
Che
bambola
!
,
Eri
piccola
,
Ho
il
whisky
facile
,
Guarda
che
luna
,
Che
notte
!
,
Teresa
non
sparare
.
Una
serie
ininterrotta
di
successi
.
Fino
all
'
ultima
canzone
:
I
sette
spiriti
.
Girerà
nelle
macchine
a
gettone
quando
l
'
autore
sarà
soltanto
un
ricordo
.
StampaQuotidiana ,
L
'
Officina
Militare
Pirotecnica
,
a
Porta
Mazzini
,
sulla
strada
di
Imola
,
era
,
per
quei
tempi
,
uno
stabilimento
più
che
rispettabile
.
Vi
lavoravano
circa
2000
operai
.
Si
pensi
che
nel
1876
un
censimento
economico
aveva
assodato
che
le
maestranze
impiegate
nell
'
industria
vera
e
propria
comprendevano
in
tutto
460
mila
individui
.
L
'
Ansaldo
di
Genova
,
per
esempio
,
ne
occupava
dai
1500
ai
1600
nei
momenti
di
punta
.
All
'
Officina
Militare
di
Bologna
,
i
due
terzi
della
mano
d
'
opera
era
femminile
:
addetta
al
dosaggio
delle
polveri
e
al
caricamento
delle
cartucce
.
Direttore
dello
stabilimento
era
il
generale
Luigi
Stampacchia
,
pugliese
,
tipico
rappresentante
della
vecchia
classe
militare
,
generosamente
baffuto
,
paternamente
burbero
.
Ma
il
colonnello
Garau
,
un
sardo
dagli
occhi
di
fuliggine
sotto
sopracciglia
folte
e
quasi
sempre
aggrottate
,
capo
del
reparto
sperimentale
,
aveva
tutt
'
altro
carattere
.
Oltracciò
,
come
tutti
gli
ufficiali
nati
sotto
la
bandiera
del
regno
sabaudo
,
non
vedeva
troppo
di
buon
occhio
i
colleghi
meridionali
.
La
saldatura
fra
«
piemontesi
»
e
«
borbonici
»
era
,
d
'
altronde
,
assai
fresca
.
Vincenzo
Muricchio
capì
fin
dal
primo
incontro
che
la
convivenza
col
colonnello
sarebbe
stata
spinosa
.
Non
avendo
simpatia
per
la
vita
d
'
ufficio
,
espresse
timidamente
il
desiderio
di
occupare
la
carica
meno
sedentaria
dell
'
officina
.
Il
colonnello
,
dopo
averlo
fulminato
da
sotto
le
sopracciglia
,
gli
troncò
la
parola
:
«
Capitano
!
Non
l
'
hanno
mandato
a
Bologna
per
ballare
il
valzer
.
Non
spetta
a
lei
decidere
dove
stare
e
cosa
fare
.
Favorisca
raggiungere
immediatamente
l
'
Ufficio
Metalli
,
al
quale
l
'
ho
già
destinata
!
»
.
L
'
Ufficio
Metalli
aveva
il
compito
di
calcolare
e
saggiare
l
'
efficienza
di
materiali
impiegati
nella
confezione
delle
cartucce
,
in
rapporto
agli
effetti
balistici
.
Proprio
in
quei
giorni
,
il
personale
che
vi
era
addetto
stava
studiando
un
problema
assai
grave
.
Da
qualche
settimana
,
la
sostituzione
della
polvere
nera
con
un
esplosivo
antifumogeno
era
un
fatto
compiuto
.
Ma
soltanto
in
teoria
.
Il
posto
dei
due
grammi
di
polvere
,
che
costituivano
la
carica
delle
cartucce
Weterly
,
era
stato
preso
dalla
«
balistite
»
.
Questa
nuova
sostanza
eliminava
completamente
le
vecchie
,
acri
fumate
:
presentava
,
però
,
un
inconveniente
non
meno
preoccupante
.
La
polvere
nera
(
che
i
soldati
chiamavano
«
tabacco
»
)
era
ben
lontana
dall
'
avere
la
forza
dirompente
della
balistite
.
Qualche
imperfezione
nei
bossoli
era
stata
,
perciò
,
sempre
tollerabile
.
Ma
la
pressione
esercitata
dallo
scoppio
delle
nuove
cariche
sulla
parete
del
bossolo
era
talmente
violenta
,
da
provocare
incidenti
sanguinosi
,
solo
che
l
'
ottone
fosse
minimamente
incrinato
.
Durante
le
prove
al
poligono
di
tiro
,
molte
delle
10.000
cartucce
adoperate
avevano
provocato
l
'
esplosione
del
fucile
e
cinque
o
sei
soldati
ci
avevano
rimesso
le
dita
.
Essendo
assolutamente
impossibile
aumentare
lo
spessore
dei
bossoli
,
condizionati
al
calibro
dell
'
arma
,
non
restava
che
scartare
rigorosamente
i
bossoli
incrinati
.
Visto
oggi
,
il
problema
è
di
una
semplicità
addirittura
infantile
;
ma
basta
riportarsi
al
1889
,
per
capire
,
una
volta
di
più
,
quanta
strada
abbia
fatto
la
tecnica
,
e
con
che
vertiginosa
velocità
,
in
meno
di
settant
'
anni
.
Per
le
operaie
bolognesi
addette
alla
confezione
delle
cartucce
,
individuare
le
incrinature
capillari
dell
'
ottone
era
compito
difficilissimo
,
quasi
impossibile
.
Per
quanto
le
disgraziate
si
consumassero
gli
occhi
sui
bossoli
,
senza
peraltro
rallentare
il
ritmo
del
lavoro
,
era
talmente
fioca
e
vaga
la
luce
che
scendeva
dalle
finestre
polverose
,
protette
da
grate
,
scavate
come
feritoie
nei
muri
spessi
due
metri
,
da
togliere
ogni
garanzia
al
controllo
più
volenteroso
.
Né
l
'
aggiunta
di
luce
artificiale
poteva
giovare
granché
.
Escluse
per
ovvie
ragioni
le
lampade
a
petrolio
o
a
gas
,
furono
appese
sui
banconi
di
caricamento
alcune
lampadine
elettriche
:
modeste
bolle
di
vetro
,
nelle
quali
i
filamenti
di
carbone
,
simili
a
vermiciattoli
incandescenti
,
emettevano
un
bagliore
rossiccio
e
sbadiglioso
.
Curve
attorno
ai
banconi
di
rozzo
castagno
,
le
operaie
sgranavano
gli
occhi
sui
tubetti
d
'
ottone
.
Li
scrutavano
talmente
da
vicino
,
che
le
ciglia
sfioravano
il
metallo
.
D
'
altronde
,
correva
voce
che
la
Duplice
stesse
architettando
un
'
aggressione
proditoria
ai
danni
della
Triplice
.
Il
ministro
della
guerra
,
Bertolè
Viale
,
era
inquieto
.
Sollecitava
,
con
lunghi
dispacci
cifrati
,
una
maggior
produzione
di
cartucce
.
Si
era
già
raggiunta
la
«
prodigiosa
»
sfornata
di
500.000
pezzi
al
giorno
.
Troppi
,
per
un
lavoro
tanto
delicato
.
Fu
allora
che
il
capitano
Vincenzo
Muricchio
,
il
quale
non
aveva
affatto
l
'
aria
di
un
topo
da
esperimenti
,
rivelò
per
la
prima
volta
le
sue
migliori
qualità
;
le
stesse
che
di
lì
a
poco
dovevano
affrettare
la
nascita
del
«'91»
.
Il
colonnello
Garau
non
era
tipo
da
prendere
in
considerazione
le
questioni
sociali
o
da
lasciarsene
impietosire
.
Il
suo
motto
,
durante
le
agitazioni
popolari
,
era
quello
del
generale
Bava
-
Beccaris
:
«
Voi
cantate
i
vostri
inni
,
noi
spariamo
i
nostri
cannoni
»
.
Per
eliminare
i
bossoli
difettosi
ritenne
buon
sistema
tempestare
di
multe
le
operaie
.
Molte
di
quelle
disgraziate
,
pagate
una
lira
al
giorno
,
arrivavano
ogni
mattina
in
diligenza
dai
paesi
vicini
.
Alcune
si
facevano
,
all
'
alba
,
perfino
sei
o
sette
chilometri
a
piedi
,
e
altrettanti
la
sera
.
A
partire
dal
1880
,
specialmente
in
Emilia
,
erano
sorti
circoli
,
associazioni
e
cooperative
di
lavoratori
.
La
parola
di
Costa
,
Lazzari
,
Bissolati
e
Turati
alimentava
un
socialismo
in
cui
si
mescolavano
l
'
arditismo
garibaldino
,
il
cuore
di
De
Amicis
e
la
commozione
civile
di
Pascoli
.
Era
un
socialismo
molto
lontano
da
Marx
,
ma
più
vicino
alla
natura
degli
italiani
e
alla
riscossa
del
Risorgimento
.
Tutto
sommato
,
controllava
le
masse
assai
meno
dell
'
attuale
comunismo
.
Le
autorità
provinciali
vivevano
meno
tranquille
di
quelle
d
'
oggi
.
Specialmente
fra
la
Romagna
e
il
Po
.
Le
multe
a
catena
del
colonnello
Garau
stavano
per
creare
pasticci
nello
stabilimento
di
Bologna
,
allorché
il
capitano
Muricchio
,
rammentandosi
degli
specchi
ustori
ideati
da
Archimede
a
Siracusa
,
trovò
il
sistema
di
quintuplicare
la
luminosità
delle
lampade
a
filamento
di
carbone
.
Bastava
avvitarle
in
una
conchiglia
foderata
di
metallo
ben
lucidato
o
addirittura
di
specchio
.
Nacquero
così
,
in
embrione
,
i
primi
«
riflettori
parabolici
»
usati
dall
'
Esercito
.
Puntati
sui
tavoloní
dello
stabilimento
,
permisero
alle
operaie
di
scartare
la
quasi
totalità
dei
bossoli
difettosi
.
In
conseguenza
di
ciò
,
il
colonnello
Garau
chiamò
a
rapporto
il
suo
ingegnoso
capitano
e
gli
disse
così
:
«
Dovrei
punirla
per
aver
adoperato
,
nelle
sue
esperienze
ottiche
,
materiale
dello
stato
senza
riempire
l
'
apposito
modulo
di
richiesta
e
aspettarne
l
'
approvazione
,
debitamente
vistata
dalla
sezione
staccata
di
artiglieria
.
Ma
in
considerazione
dell
'
utilità
dei
suoi
riflettori
,
mi
limito
a
un
rimprovero
verbale
semplice
.
Debbo
tuttavia
significarle
la
mia
soddisfazione
per
il
suo
attaccamento
all
'
Officina
.
Vada
pure
»
.
E
il
capitano
,
battuti
seccamente
i
tacchi
,
andò
.
Oggi
,
a
distanza
di
quasi
settant
'
anni
,
rammenta
benissimo
quella
giornata
di
marzo
;
i
tetti
bolognesi
ancora
screziati
di
neve
;
le
operaie
,
dalle
mani
screpolate
dal
freddo
,
che
ormai
gli
sorridevano
,
timidamente
,
come
a
un
amico
.
Rammenta
anche
la
vaga
tristezza
che
le
parole
asciutte
del
colonnello
gli
avevano
lasciato
nell
'
anima
.
Tanto
che
quella
sera
,
anziché
spassarsela
allegramente
coi
colleghi
più
brillanti
nei
soliti
locali
di
via
Indipendenza
,
via
Rizzoli
e
via
Galliera
,
si
ritirò
presto
nella
stanzetta
a
pigione
(
lire
venti
mensili
compresa
la
lavatura
della
biancheria
e
il
riscaldamento
)
e
si
sprofondò
nelle
letture
preferite
.
Testi
e
riviste
di
balistica
,
naturalmente
;
e
in
modo
speciale
alcune
pubblicazioni
assai
recenti
che
trattavano
un
argomento
di
appassionante
attualità
:
i
fucili
militari
a
ripetizione
di
piccolo
calibro
.
Quello
,
e
non
le
lampade
a
riflettore
,
era
l
'
obiettivo
da
raggiungere
!
Il
Weterly
,
a
parte
il
suo
peso
eccessivo
(
kg.
4,100
)
e
la
mole
ingombrante
delle
munizioni
,
non
era
un
cattivo
fucile
.
Creato
nel
1870
,
l
'
esercito
olandese
lo
adottò
contemporaneamente
al
nostro
.
Nato
come
arma
a
retrocarica
a
un
solo
colpo
,
il
capitano
d
'
artiglieria
Vitali
lo
aveva
modernizzato
,
qualche
anno
dopo
,
applicandovi
un
meccanismo
a
«
ripetizione
»
.
È
vero
che
lo
scontro
di
Dogali
,
nell'87
,
avrebbe
forse
potuto
risolversi
in
modo
meno
disastroso
per
la
nostra
truppa
se
ogni
soldato
avesse
avuto
con
sé
maggior
numero
di
cartucce
;
ma
è
altrettanto
vero
che
contro
i
nostri
500
morti
caddero
ben
1800
seguaci
di
ras
Alulà
.
Il
Weterly
era
,
dunque
,
assai
preciso
e
munito
di
un
ordigno
di
caricamento
difficilmente
inceppabile
.
La
strage
di
Dogali
non
portò
,
comunque
,
a
una
seria
revisione
del
nostro
apparato
militare
.
Gli
strali
dell
'
opinione
pubblica
sfiorarono
lo
stato
maggiore
,
allora
capeggiato
dal
generale
Enrico
Cosenz
,
e
andarono
a
piantarsi
nella
redingote
di
Francesco
Crispi
.
Gli
aedi
nazionali
si
allearono
con
gli
avversari
del
ministro
siciliano
.
D
'
Annunzio
,
che
in
seguito
doveva
diventare
il
«
cantore
»
ufficiale
di
ogni
impresa
«
d
'
oltremare
»
,
definì
«
bruti
di
Dogali
»
i
soldati
caduti
attorno
al
tenente
colonnello
De
Cristoforis
.
Carducci
si
rifiutò
d
'
inaugurare
il
monumento
a
quei
valorosi
,
dichiarando
che
non
avrebbe
speso
una
parola
per
le
«
vittime
di
una
spedizione
inconsulta
»
.
Nel
maggio
del
1890
,
quando
il
collonnello
Garau
si
recò
a
Roma
,
Vittorio
Emanuele
,
ventunenne
,
assunse
il
suo
primo
comando
di
reggimento
:
il
l
°
fanteria
,
di
stanza
a
Napoli
.
Il
principe
scriveva
spesso
al
colonnello
Osio
,
che
era
stato
suo
«
governatore
»
,
le
sue
impressioni
di
comandante
.
Leggendole
oggi
,
si
ha
la
sensazione
di
quanto
il
futuro
re
fosse
amareggiato
e
deluso
.
Eccone
una
:
«
Mi
rincresce
di
fare
il
terribile
,
mi
secca
di
fare
il
cane
,
ma
il
giorno
di
Pasqua
ho
fatto
una
vera
catastrofe
,
alla
12a
Compagnia
,
dove
una
piccola
inchiesta
da
me
fatta
fece
risultare
gravi
irregolarità
nell
'
ordinare
il
servizio
di
picchetto
armato
:
ho
punito
il
furiere
e
cinque
graduati
;
inoltre
ho
inflitto
il
massimo
di
45
giorni
,
come
prima
punizione
,
a
un
soldato
avellinese
,
classe
1869
,
che
si
era
fatto
esentare
dal
picchetto
,
imponendosi
a
due
suoi
compagni
.
Ho
potuto
far
cogliere
un
ladro
e
consegnarlo
al
tribunale
.
Ho
potuto
mettere
la
mano
su
quattro
ladri
che
infestavano
la
compagnia
:
a
uno
ho
inflitto
i
45
giorni
a
due
i
15
di
rigore
e
per
uno
convoco
oggi
la
commissione
di
disciplina
.
Poco
fa
ho
inflitto
í
30
giorni
(
15
più
15
)
a
un
soldato
che
pagava
un
compagno
per
farsi
sostituire
di
'
corvée
'
,
minacciandolo
se
non
lo
sostituiva
.
Il
mio
plotone
allievi
ufficiali
ha
raggiunto
il
numero
di
ben
104
allievi
:
fra
breve
saranno
103
,
perché
ne
ho
scacciato
uno
per
aver
rubato
un
libro
a
un
compagno
.
Oggi
un
consiglio
di
disciplina
reggimentale
ha
all
'
unanimità
deciso
per
la
rimozione
del
tenente
Baríola
(
nipote
del
generale
)
per
grave
mancanza
contro
l
'
onore
:
mi
sono
dovuto
decidere
a
fare
questa
esecuzione
:
è
il
secondo
ufficiale
che
liquido
dal
principio
dell
'
anno
e
temo
che
testé
un
paio
d
'
altri
saranno
per
avere
la
stessa
fine
»
.
Ed
ecco
un
'
altra
lettera
del
colonnello
Vittorio
Emanuele
allo
stesso
Osio
,
ancora
più
significativa
:
«
Oggi
ho
visto
a
San
Potito
i
lavori
che
il
Genio
sta
facendo
.
Un
mese
fa
mi
fu
riferito
che
nella
volta
del
camerone
occupato
dalla
1a
Compagnia
si
erano
formate
delle
lesioni
.
Andai
subito
a
vedere
e
non
essendo
rassicurato
da
quanto
vidi
,
mandai
subito
a
chiamare
il
capitano
del
Genio
(
ora
l
'
hanno
fatto
maggiore
)
che
aveva
i
quartieri
dalla
parte
superiore
della
città
.
Questo
egregio
signore
vide
e
pronunciò
essere
lesioni
limitate
al
solo
intonaco
.
Non
essendo
ancora
tranquillo
per
la
pelle
dei
miei
soldati
,
feci
chiamare
il
colonnello
del
Genio
che
verificò
esservi
forse
qualche
pericolo
.
Non
ancora
contento
,
parlai
della
cosa
al
generale
Corvetto
,
che
,
quando
ero
a
Persano
,
fece
visitare
il
fabbricato
al
generale
De
Benedictis
;
a
farla
breve
,
la
volta
fu
dichiarata
in
pericolo
imminente
;
furono
fatte
sgombrare
e
mandate
in
Castel
dell
'
Ovo
due
mie
compagnie
;
e
tolto
l
'
intonaco
,
si
scoprirono
numerose
e
profonde
lesioni
.
Incredibile
ma
vero
!
»
.
Esistono
,
nel
carteggio
fra
il
principe
e
Osio
,
altre
annotazioni
e
osservazioni
,
dalle
quali
risulta
in
modo
trasparente
che
Vittorio
,
nel
biennio
'90-92
,
si
accorse
,
per
diretta
esperienza
,
quanto
fosse
lontano
il
suo
esercito
da
quello
ideale
che
aveva
sognato
,
giovinetto
,
leggendo
i
classici
greci
e
romani
.
Gli
ufficiali
carichi
di
debiti
,
ricattati
dagli
strozzini
,
impegolati
con
gente
di
malaffare
,
ivi
compresi
i
«
camorristi
»
,
erano
una
quantità
.
Le
soperchierie
dei
sottufficiali
furieri
,
all
'
ordine
del
giorno
.
La
tranquilla
,
oleografica
ignoranza
di
molti
ufficiali
d
'
alto
grado
,
una
piaga
profonda
.
Il
colonnello
Garau
,
preannunciato
da
un
dispaccio
protocollato
«
segretissimo
»
,
non
fece
anticamera
.
Fu
subito
ammesso
alla
presenza
del
ministro
Bertolè
Viale
,
il
quale
,
per
la
circostanza
,
aveva
convocato
il
capo
di
S
.
M
.
Cosenz
e
il
tenente
generale
Cesare
Ricotti
Magnani
,
una
delle
colonne
dell
'
Esercito
,
futuro
ministro
.
Il
colonnello
esibì
il
materiale
che
si
era
portato
da
Bologna
e
illustrò
ai
tre
generali
i
meriti
del
nuovo
calibro
7
,
nonché
i
vantaggi
presentati
dalle
pallottole
incamiciate
di
acciaio
.
Fece
la
sua
relazione
mantenendo
una
secca
posizione
di
attenti
,
a
fronte
alta
,
con
militare
sobrietà
.
I
tre
generali
,
sul
cui
petto
spiccavano
le
decorazioni
guadagnate
nelle
battaglie
per
l
'
unità
patria
,
esaminarono
piuttosto
freddamente
fucili
,
proiettili
,
bersagli
e
pallottole
.
Le
pupille
acute
del
generale
Cosenz
,
che
nel
'60
aveva
risalito
l
'
Italia
meridionale
assieme
a
Garibaldi
e
Bixío
,
lampeggiavano
dietro
gli
occhiali
cerchiati
di
semplice
metallo
bianco
.
Ricotti
,
reduce
di
Crimea
,
si
pizzicava
,
di
tanto
in
tanto
,
la
punta
dei
baffetti
brizzolati
.
Alla
fine
,
i
tre
si
appartarono
in
fondo
al
salone
barocco
,
parlamentarono
una
decina
di
minuti
,
quindi
pronunciarono
il
loro
responso
per
bocca
del
ministro
:
«
Caro
colonnello
,
mi
compiaccio
per
quanto
è
riuscito
a
portarci
.
Siamo
sulla
buona
strada
.
Ma
la
faccenda
dei
proiettili
rivestiti
d
'
acciaio
,
purtroppo
non
va
bene
.
C
'
è
di
mezzo
quella
benedetta
Convenzione
di
Ginevra
!
Non
è
mica
più
come
al
nostro
bel
tempo
,
che
la
guerra
si
faceva
come
si
voleva
e
,
perbacco
!
,
si
vinceva
come
si
poteva
!
Ora
c
'
è
Ginevra
:
una
città
che
ha
un
nome
da
vivandiera
.
A
Ginevra
hanno
stabilito
,
tutti
d
'
accordo
,
che
non
si
possono
usare
pallottole
di
ferro
o
d
'
acciaio
,
perché
possono
arrugginire
e
infettare
le
ferite
.
Figuriamoci
!
Infettare
!
Noi
,
che
ai
nostri
giorni
ci
medicavamo
le
ferite
con
la
saliva
!
Ma
lasciamo
andare
...
Perciò
,
il
suo
fucile
è
una
bella
cosa
,
ma
le
pallottole
non
vanno
.
Bisogna
trovare
qualche
altra
diavoleria
,
per
accontentare
madama
Ginevra
.
Torni
a
Bologna
e
ci
tenga
informati
.
Ciarea
»
.
Altro
che
promozione
a
generale
!
Il
colonnello
Garau
prese
il
primo
diretto
per
Bologna
,
non
senza
aver
appioppato
alcuni
giorni
di
rigore
ai
militari
del
suo
seguito
.
Durante
il
viaggio
,
preparò
accuratamente
il
«
cicchetto
»
da
somministrare
a
Muricchio
e
agli
altri
dell
'
Ufficio
Metalli
;
colpevoli
di
non
avergli
ricordato
la
Convenzione
di
Ginevra
,
stramaledetta
invenzione
di
vecchie
zitelle
!
Come
se
in
guerra
,
dove
ci
si
ammazza
più
che
si
può
,
le
infezioni
fossero
una
preoccupazione
seria
!
Roba
da
matti
!
Nel
'93
,
quando
Menelik
II
denunciò
il
patto
di
Uccialli
,
il
primo
«'91»
non
era
ancora
stato
consegnato
all
'
esercito
.
Nel
1894
apparvero
sull
'
«
Illustrazione
Italiana
»
le
prime
immagini
«
ufficiali
»
del
nuovo
fucile
,
assieme
alla
notizia
che
in
certe
vetrine
di
armaioli
,
a
Milano
e
Bologna
,
erano
apparsi
dei
fucili
dello
stesso
calibro
e
modello
,
adattati
per
la
caccia
al
camoscio
e
allo
stambecco
.
Dopo
aver
accusato
un
po
'
tutti
di
«
tradimento
»
e
«
spionaggio
»
(
reati
allora
di
moda
)
,
si
scoprì
che
alcuni
fucili
e
moschetti
non
perfettamente
riusciti
,
e
che
pertanto
l
'
armeria
di
Terni
avrebbe
dovuto
immediatamente
distruggere
a
colpi
dí
maglio
,
erano
stati
«
intrallazzati
»
da
un
capo
tecnico
,
il
quale
se
li
era
portati
a
casa
,
li
aveva
trasformati
e
ceduti
a
un
armaiolo
.
Il
capo
tecnico
,
avente
a
carico
moglie
,
madre
,
suocera
e
cinque
figli
,
il
tutto
con
una
paga
giornaliera
di
circa
tre
lire
,
chiese
perdono
in
ginocchio
,
ma
finì
in
prigione
per
un
numero
d
'
anni
superiore
a
quello
dei
fucili
sottratti
.
L
'
anno
seguente
,
1895
,
il
7
dicembre
,
Menelik
II
(
che
cinque
anni
prima
aveva
coniato
monete
con
la
testa
di
re
Umberto
)
mandò
una
colonna
di
20.000
uomini
a
liquidare
i
2500
soldati
che
,
agli
ordini
del
maggiore
Toselli
,
occupavano
l
'
Amba
Alagi
,
sulla
frontiera
dello
Scioa
.
Gli
abissini
,
provenienti
dalle
montagne
dell
'
Amara
,
erano
scalzi
ma
muniti
di
quegli
ottimi
fucili
Weterly
che
il
negus
aveva
ottenuto
col
trattato
di
Uccialli
;
i
nostri
,
a
parte
qualche
centinaio
di
«'91»
ricevuti
,
con
contagocce
,
dalla
madre
patria
,
erano
anch
'
essi
armati
di
Weterly
,
ma
non
così
in
buono
stato
come
quelli
del
nemico
.
Dopo
una
mischia
furibonda
,
uno
contro
dieci
,
tutti
í
nostri
uomini
caddero
sul
campo
,
nessuno
escluso
,
dal
comandante
all
'
ultimo
conducente
di
muli
.
I
feriti
vennero
passati
a
fil
di
spada
.
Fu
certamente
il
più
fosco
Natale
della
nostra
storia
.
Il
generale
Baratieri
,
che
in
seguito
alle
sue
modeste
vittorie
contro
i
Dervisci
e
ras
Mangascià
era
considerato
come
un
misto
di
Scipione
e
Alessandro
Magno
,
diventò
bersaglio
di
attacchi
giornalistici
,
vignette
umoristiche
e
sberleffi
popolari
.
Restò
tuttavia
in
Africa
,
poiché
il
suo
vecchio
amico
Crispi
,
divenuto
presidente
del
Consiglio
nonostante
la
Banca
Romana
,
ne
difese
caldamente
la
posizione
.
Il
7
gennaio
1896
,
al
Barattieri
che
gli
chiedeva
uomini
,
migliaia
di
fucili
«'91»
e
un
forte
quantitativo
di
munizioni
,
Críspi
inviò
il
seguente
telegramma
:
«
Il
Paese
aspetta
da
te
una
vittoria
risolutiva
.
Quanto
alle
tue
richieste
,
Mocenni
(
ministro
della
Guerra
)
mi
fa
notare
che
un
invio
di
nuove
truppe
sarebbe
non
soltanto
inutile
ma
dannoso
,
poiché
non
avremmo
da
armarle
e
approvvigionarle
convenientemente
.
Ti
abbraccio
Francesco
»
.
Era
un
po
'
poco
.
Infatti
,
qualche
settimana
dopo
,
ai
primissimi
di
marzo
,
una
valanga
urlante
di
abissini
,
che
già
ci
avevano
tolta
Macallè
,
si
abbatté
sulle
nostre
truppe
nella
conca
di
Adua
,
capitale
del
conteso
Tigrè
.
Non
fu
,
come
molti
credono
,
un
'
unica
battaglia
campale
durata
alcuni
giorni
:
fu
un
carosello
di
scontri
e
mischie
feroci
combattute
,
fra
imboscate
e
sorprese
tattiche
,
nell
'
altopiano
attorno
al
Monte
Sullotà
.
I
guerrieri
di
Menelik
,
dopo
aver
accorciate
le
distanze
con
una
nutrita
massa
di
fuoco
,
attaccarono
in
ogni
luogo
all
'
arma
bianca
,
col
pugnale
e
la
scimitarra
.
Il
più
grave
,
fu
che
il
nostro
schieramento
non
era
affatto
difensivo
,
ma
in
formazione
d
'
avanzata
:
poiché
i
tre
comandanti
in
sottordine
del
corpo
di
spedizione
Arimondi
,
Dabormida
e
Albertone
avevano
ricevuto
dal
comandante
in
capo
,
Baratieri
,
l
'
improvviso
ordine
di
marciare
sul
grosso
degli
abissini
,
ciascuno
a
capo
di
una
colonna
.
L
'
ordine
scritto
era
accompagnato
da
un
foglietto
a
quadretti
,
su
cui
il
generale
aveva
schizzato
a
matita
,
un
piano
molto
sommario
dell
'
operazione
.
Quell
'
attacco
non
aveva
,
a
conti
fatti
,
alcuna
giustificazione
strategica
;
ma
il
Baratieri
temeva
di
essere
sostituito
dal
collega
Baldissera
,
arrivato
dall
'
Italia
invece
delle
armi
richieste
,
e
perciò
aveva
fretta
di
brillare
.
La
colonna
Albertone
,
investita
per
prima
,
sulla
sinistra
,
tentò
di
ripiegare
al
centro
,
dove
travolse
la
colonna
Arimondi
mentre
si
stava
attestando
su
posizioni
di
resistenza
.
La
colonna
Dabormida
,
sulla
destra
,
non
sapendo
dove
esattamente
si
trovassero
gli
altri
nostri
reparti
,
si
mosse
a
casaccio
,
perse
l
'
orientamento
,
sbagliò
strada
,
s
'
isolò
completamente
e
venne
sopraffatta
.
La
mattina
del
5
marzo
1896
,
giunse
a
Roma
il
rapporto
di
Baratieri
e
Baldissera
(
«
Non
ti
fidar
di
quella
gente
nera
!
»
cantavano
i
contadini
e
gli
operai
lavorando
)
sull
'
esito
della
battaglia
.
Rapporto
spaventoso
,
nonostante
le
prime
cifre
fossero
alquanto
ammaestrate
:
10.000
soldati
uccisi
,
feriti
o
prigionieri
,
sui
17.000
che
avevano
combattuto
;
200
ufficiali
,
compreso
il
Dabormida
,
rimasti
sul
campo
di
battaglia
.
Tutte
le
artiglierie
e
il
90%
delle
armi
individuali
e
delle
munizioni
,
rimasti
in
mano
nemica
.
Baratieri
,
rimosso
dal
comando
,
si
ebbe
,
volta
a
volta
,
per
diversi
anni
,
le
seguenti
qualifiche
:
imbelle
,
imbecille
,
tardo
,
fellone
,
inetto
,
rammollito
e
traditore
.
Baldissera
,
che
lo
sostituì
,
ebbe
l
'
incarico
dal
ministro
Di
Rudinì
,
successore
di
Crispi
,
di
sganciarsi
ripiegando
cautamente
.
Strada
facendo
,
Adigrat
e
Cassala
furono
liberate
dall
'
assedio
.
Nell
'
ottobre
del
'96
,
la
pace
fu
firmata
.
A
Menelik
fu
riconosciuta
«
un
'
indipendenza
assoluta
e
senza
riserve
»
,
più
la
sovranità
del
Tigrè
,
più
10
milioni
a
titolo
d
'
indennizzo
.
Nei
mesi
che
seguirono
,
le
statistiche
ministeriali
segnalarono
che
la
fabbricazione
del
«'91»
aveva
acquistato
,
finalmente
,
un
ritmo
encomiabile
.
Il
tenente
generale
Tancredi
Saletta
,
capo
di
stato
maggiore
,
ne
prese
atto
con
viva
soddisfazione
.
Se
mai
il
«'91»
,
nato
nell
'
Officina
Pirotecnica
di
Bologna
dalle
intuizioni
del
capitano
Muricchío
e
dal
lavoro
paziente
di
tanti
tecnici
,
fu
protagonista
assoluto
di
una
pagina
militare
,
ciò
avvenne
proprio
fra
l
'
estate
del
1916
e
quella
del
1917
:
quando
lo
stato
maggiore
,
capeggiato
da
Luigi
Cadorna
,
si
ostinò
a
spezzare
con
battaglie
frontali
,
assalti
all
'
arma
bianca
continui
e
tentativi
di
sfondamento
diretto
,
la
resistenza
di
un
nemico
arroccato
su
posizioni
di
resistenza
formidabili
,
annidato
dietro
il
ventaglio
micidiale
delle
mitragliatrici
e
i
grovigli
spinosi
dei
reticolati
.
A
distanza
di
quarant
'
anni
,
riesaminando
le
testimonianze
più
obiettive
del
primo
conflitto
mondiale
,
si
resta
ancora
sgomenti
,
immaginando
quelle
onde
brulicanti
di
uomini
«
oscuri
»
infrangersi
invano
contro
le
difese
nemiche
,
al
grido
disperato
dei
loro
motti
guerreschi
.
Gli
alpini
del
«
Susa
»
che
cadevano
a
plotoni
quasi
affiancati
sull
'
Ortigara
,
gridando
«
A
brusa
,
souta
'
l
Susa
!
»
;
quelli
dell
'
«
Ivrea
»
,
che
scattavano
alla
baionetta
urlando
il
loro
«
Tuic
un
!
»
,
tutti
per
uno
.
Coloro
che
riferendosi
alla
rotta
di
Caporetto
,
nell
'
autunno
del
'17
,
emettono
giudizi
avventati
sull
'
efficienza
media
del
soldato
italiano
,
ignorano
o
dimenticano
che
soltanto
nella
stolta
battaglia
della
Bainsizza
perdemmo
150.000
uomini
,
con
impressionante
percentuale
di
caduti
.
E
a
giudicare
severamente
il
generale
Cadorna
basterebbe
il
comunicato
diramato
dal
Comando
Supremo
il
28
ottobre
1917
,
per
annunciare
il
rovescio
di
Caporetto
:
«
La
mancata
resistenza
dei
reparti
della
seconda
Armata
,
vilmente
ritiratisi
senza
combattere
o
ignominiosamente
arresisi
al
nemico
,
ha
permesso
alle
forze
austrogermaniche
di
rompere
la
nostra
ala
sinistra
sulla
fronte
Giulia
»
.
Così
,
mentre
nelle
retrovie
sconvolte
i
«'91»
erano
adoperati
per
fucilare
sul
posto
i
retrocedenti
della
seconda
Armata
,
si
cercava
,
come
primo
provvedimento
,
di
addossare
ogni
responsabilità
del
disastro
alla
«
viltà
»
degli
uomini
«
oscuri
»
che
per
mesi
e
mesi
erano
stati
gettati
,
come
cose
,
nella
fornace
di
ostinate
e
stupide
battaglie
frontali
.
A
Caporetto
,
perdemmo
circa
400.000
uomini
,
centinaia
di
migliaia
di
armi
individuali
,
centinaia
di
batterie
d
'
artiglieria
leggera
e
pesante
,
innumerevoli
depositi
di
materiali
d
'
ogni
genere
.
Nonostante
la
maggioranza
dei
nostri
soldati
in
rotta
avesse
conservato
le
armi
(
come
,
a
distanza
di
23
anni
,
avvenne
in
Albania
,
in
Africa
e
perfino
nel
calvario
del
fronte
russo
)
,
la
strada
di
Caporetto
,
fra
colonne
di
profughi
sconvolti
,
civili
e
villaggi
abbandonati
,
apparve
tristemente
disseminata
di
fucili
,
affusti
,
carriaggi
,
munizioni
.
Ai
posti
di
blocco
,
i
soldati
inermi
venivano
molto
spesso
sottoposti
alla
decimazione
.
I
«
vili
»
dell
'
ottobre
'17
dimostrarono
di
essere
tutt
'
altro
che
tali
nel
giugno
del
1918
,
allorché
gli
austriaci
,
sia
pure
stremati
,
trovarono
inflessibile
resistenza
ai
loro
violenti
attacchi
su
tutto
il
nuovo
fronte
,
dagli
Altipiani
al
mare
,
sul
Grappa
e
sul
Piave
.
Ma
Vittorio
Veneto
,
nonostante
l
'
ebbrezza
della
vittoria
,
non
riuscì
a
chiudere
la
piaga
che
quattro
anni
di
una
guerra
mal
diretta
da
generali
in
polemica
fra
loro
e
minata
alle
spalle
da
esibizionismi
politici
avevano
aperta
nel
popolo
italiano
.
Un
solco
profondo
divideva
le
masse
deluse
e
insoddisfatte
e
una
classe
dirigente
che
nascondeva
sotto
astratti
schemi
politici
la
sua
mancanza
d
'
idee
e
di
convinzioni
.
Gli
uomini
«
oscuri
»
che
Cadorna
aveva
additati
al
disprezzo
degli
italiani
nell
'
autunno
del
'17
tornarono
a
casa
con
una
polizza
da
1000
lire
e
un
vestituccio
blu
di
cattiva
stoffa
elargito
dallo
stato
.
Erano
in
stragrande
maggioranza
contadini
,
poiché
la
gran
massa
degli
operai
siderurgici
era
stata
esonerata
e
,
sia
pure
nelle
strettoie
della
militarizzazione
,
era
rimasta
nelle
officine
.
I
giovani
ufficiali
di
complemento
,
alcuni
dei
quali
erano
partiti
per
la
guerra
imberbi
e
ne
ritornavano
maturi
ma
senza
precise
capacità
professionali
,
sprofondavano
nell
'
abbandono
morale
.
Tutti
contro
tutti
,
per
un
vago
ma
profondo
senso
di
rancore
.
Non
rientra
nei
limiti
di
questa
storia
l
'
analisi
del
«
fenomeno
»
fascista
.
Ma
c
'
interessa
l
'
apparizione
delle
armi
in
dotazione
all
'
esercito
fra
le
mani
degli
squadristi
,
in
camicia
nera
,
che
parteciparono
alle
spedizioni
punitive
dell
'
immediato
dopoguerra
e
nell
'
ottobre
del
1922
presero
parte
,
nel
numero
di
oltre
30.000
,
alla
marcia
su
Roma
.
L
'
armamento
dei
seguaci
di
Mussolini
era
,
per
lo
più
,
quello
degli
«
arditi
»
di
guerra
,
le
«
fiamme
nere
»
costituite
per
operazioni
d
'
assalto
:
bombe
«
sipe
»
a
forma
di
pigna
,
pugnali
da
tenere
«
fra
i
denti
»
,
rivoltelle
Glisenti
o
Mauser
,
con
fodero
di
legno
,
trovate
nei
magazzini
austriaci
o
addosso
agli
ufficiali
nemici
fatti
prigionieri
.
Ma
basta
avere
sott
'
occhio
la
testimonianza
fotografica
delle
«
spedizioni
punitive
»
e
della
«
marcia
»
finale
,
per
constatare
che
numerosi
squadristi
erano
armati
con
fucili
e
moschetti
«'91»
.
Non
vi
è
dubbio
che
molti
di
essi
furono
«
passati
»
,
sotto
mano
,
alle
camicie
nere
da
ufficiali
che
simpatizzavano
col
movimento
mussoliniano
.
Non
esistono
a
tutt
'
oggi
prove
concrete
che
nel
1921-22
le
autorità
militari
,
facenti
capo
al
ministero
della
Guerra
,
abbiano
ufficialmente
favorito
gli
squadristi
rifornendo
di
armi
.
Sappiamo
soltanto
che
alcuni
comandanti
di
reparto
«
lasciarono
socchiusi
»
i
magazzini
e
le
armerie
,
assumendosi
personalmente
il
rischio
(
del
resto
assai
limitato
)
di
tale
operato
.
Sappiamo
che
a
Firenze
,
il
colonnello
comandante
l'84a
Fanteria
,
con
caserma
in
corso
Tintori
,
concesse
agli
squadristi
locali
alcuni
camion
«18
BL
»
in
sovrannumero
e
un
certo
quantitativo
di
«'91»
con
le
relative
munizioni
;
sappiamo
che
diversi
fucili
,
un
paio
di
mitragliatrici
«
Saint
-
Etienne
»
e
un
certo
numero
di
bombe
uscirono
di
notte
tempo
da
una
caserma
di
Cremona
,
comandata
da
un
colonnello
legato
da
vecchia
amicizia
con
Roberto
Farinacci
;
una
quantità
abbastanza
rilevante
di
armi
,
rivoltelle
e
fucili
,
fu
consegnata
ai
fascisti
da
singoli
ufficiali
,
anche
di
Marina
,
alla
Spezia
,
a
Napoli
,
ad
Ancona
:
ma
specialmente
a
Foggia
e
a
Bari
,
dove
le
«
spedizioni
»
per
annientare
le
«
leghe
»
dei
braccianti
della
Capitanata
erano
più
frequenti
che
altrove
.
A
Bologna
,
un
maggiore
dei
bersaglieri
fece
avere
un
quantitativo
abbastanza
modesto
di
armi
ai
giovanotti
col
teschio
cucito
sul
petto
che
obbedivano
a
Leandro
Arpinati
e
Arconovaldo
Bonaccorsi
.
Ma
è
doveroso
dire
che
nel
1921
,
sotto
la
presidenza
del
Consiglio
dell
'
onorevole
Bonomi
,
fu
aperta
un
'
inchiesta
a
carico
degli
ufficiali
delle
Forze
Armate
che
avevano
procurato
armi
alle
camicie
nere
.
Non
bisogna
del
resto
dimenticare
che
almeno
quattro
generali
facevano
parte
,
fin
dalla
così
detta
«
vigilia
»
,
delle
formazioni
fasciste
:
De
Bono
,
Fara
,
Ceccherini
e
Zamboni
,
i
quali
parteciparono
regolarmente
alla
«
marcia
»
del
28
ottobre
;
e
che
altri
generali
e
ufficiali
superiori
,
benché
più
cautamente
,
avevano
aderito
al
fascismo
fin
dalle
sue
prime
avvisaglie
.
A
Mussolini
e
ai
suoi
«
quadrumviri
»
non
mancavano
certo
autorevoli
intermediari
presso
i
magazzini
militari
.
Ma
non
furono
certo
i
«'91»
,
le
bombe
e
le
mitragliatrici
che
aprirono
la
strada
della
capitale
agli
squadristi
per
i
quali
Oscar
Uccelli
,
più
tardi
prefetto
,
preparò
una
base
logistica
a
Perugia
.
L
'
Appia
,
la
Salaria
,
l
'
Aurelia
,
la
Flaminia
,
le
Ferrovie
dello
Stato
,
furono
facile
cammino
per
coloro
che
parevano
la
salvezza
giovanile
,
entusiasta
e
disinteressata
di
un
mondo
stanco
e
confuso
.
In
Etiopia
,
dall
'
ottobre
del
1935
al
maggio
del
'36
,
fra
truppe
di
primo
impiego
,
complementi
e
riserve
,
combatterono
circa
250.000
uomini
.
Il
«'91»
di
Adua
,
di
Tripoli
,
della
Bainsizza
e
del
Píave
,
nato
nella
Bologna
di
Carducci
,
costruito
a
Terni
e
nelle
armerie
ausiliarie
del
Garda
,
nelle
due
taglie
di
fucile
e
moschetto
,
fu
l
'
arma
degli
uomini
incorporati
nella
«
Tevere
»
,
nella
«
Gavinana
»
,
nella
«
Peloritana
»
,
nella
«
XIII
Marzo
»
;
dei
genieri
partiti
dai
centri
di
mobilitazione
di
Firenze
,
Bologna
,
Roma
,
Santa
Maria
Capua
Vetere
,
Piacenza
;
degli
alpini
,
dei
carristi
,
dei
«
dubat
»
.
Quanto
alle
armi
di
reparto
e
di
copertura
,
affluirono
a
Massaua
e
Mogadiscio
in
numero
assai
considerevole
:
5700
mitragliatrici
,
155
batterie
d
'
artiglieria
e
145
carri
armati
,
fra
i
quali
molti
veloci
,
del
tipo
«C.L.»,
«
Carden
Loyd
»
.
In
quanto
tempo
aveva
calcolato
di
concludere
la
sua
impresa
imperiale
,
Mussolini
?
Essendosi
autonominato
nel
luglio
del
1933
ministro
della
Guerra
,
la
cosa
lo
riguardava
doppiamente
.
Suo
capo
di
stato
maggiore
era
un
generale
designato
d
'
Armata
,
che
spesso
aveva
cantato
Giovinezza
di
fronte
alle
truppe
inquadrate
e
che
un
giorno
aveva
presentato
al
«
duce
»
la
«
rispettosa
e
unanime
domanda
degli
ufficiali
in
s.p.e.
»
di
ottenere
l
'
onore
della
tessera
fascista
.
Mussolini
lo
aveva
ascoltato
con
espressione
austera
,
poi
,
come
soffocando
un
'
onda
di
commozione
,
aveva
risposto
:
«
Fate
sapere
agli
ufficiali
,
superiori
e
subalterni
,
che
sono
fiero
di
loro
.
Il
fascismo
è
fiero
di
accogliere
,
all
'
ombra
delle
insegne
legionarie
,
i
quadri
dell
'
Esercito
»
.
Aveva
taciuto
un
momento
,
quindi
si
era
alzato
,
aveva
fatto
il
giro
della
scrivania
e
,
dopo
un
abbraccio
virile
,
più
che
altro
un
brusco
urto
spalla
contro
spalla
,
aveva
concluso
:
«
Quanto
a
voi
,
camerata
Baistrocchi
,
siete
degno
di
quest
'
ora
solenne
»
.
Con
la
collaborazione
entusiasta
di
Baistrocchi
,
e
quella
alquanto
più
cauta
del
sottosegretario
Pariani
,
di
Graziani
,
Badoglio
e
De
Bono
,
fu
stabilito
il
piano
d
'
operazioni
in
Etiopia
.
Attacco
massiccio
e
violento
nel
settore
eritreo
,
perno
di
resistenza
,
con
manovre
di
disturbo
e
puntate
di
alleggerimento
sul
fronte
somalo
.
Il
tutto
doveva
concludersi
in
un
massimo
di
otto
mesi
,
per
non
incappare
nella
stagione
delle
piogge
.
Ma
Mussolini
,
che
amava
le
coincidenze
storiche
,
aveva
già
fermamente
stabilito
che
la
proclamazione
dell
'
Impero
avvenisse
il
21
aprile
,
natale
di
Roma
.
Invece
,
gli
fu
possibile
annunciare
al
mondo
il
grande
evento
soltanto
il
9
maggio
:
e
di
quei
18
giorni
di
ritardo
non
perdonò
mai
il
vecchio
,
disgraziato
De
Bono
,
nonostante
lo
avesse
nominato
maresciallo
d
'
Italia
per
meriti
eccezionali
,
dopo
avergli
tolto
il
comando
delle
truppe
eritree
,
nel
novembre
'35
,
e
aver
messo
al
suo
posto
Badoglio
.
In
realtà
,
dopo
le
prime
,
incontrastate
operazioni
,
la
facile
occupazione
di
Adigrat
,
Axum
,
Adua
e
Macallè
,
non
dissimilmente
da
quanto
era
accaduto
quarant
'
anni
prima
a
Baratieri
nello
stesso
teatro
di
guerra
,
i
due
ras
più
avveduti
dell
'
armata
etiopica
attaccarono
con
circa
80.000
uomini
il
nostro
schieramento
offensivo
,
costringendoci
a
un
frettoloso
ripiegamento
su
Axum
e
minacciando
di
accerchiare
i
reparti
dislocati
attorno
a
Macallè
.
Il
povero
De
Bono
,
tormentato
dalle
fitte
dell
'
artrite
(
lui
le
chiamava
«
le
mie
camolette
»
)
,
già
sfiduciato
riguardo
l
'
andamento
fascista
,
non
aveva
previsto
tutto
ciò
e
non
aveva
quindi
predisposto
una
precisa
linea
di
arroccamento
.
Il
vecchio
generale
d
'
Armata
lasciò
l
'
Eritrea
,
fu
promosso
ma
da
quel
momento
messo
praticamente
in
disparte
.
Sul
fronte
somalo
,
Graziani
riuscì
a
rintuzzare
un
attacco
in
forze
di
ras
Destà
e
lo
inseguì
fino
a
Neghelli
,
sottoponendo
le
truppe
alla
fatica
di
due
marce
forzate
,
per
concludere
l
'
operazione
prima
che
Badoglio
,
nel
suo
settore
,
ottenesse
i
primi
successi
.
Fu
in
febbraio
che
le
forze
eritree
,
con
le
due
battaglie
decisive
del
Tembien
,
riuscirono
a
mettere
in
rotta
le
forze
di
ras
Cassa
e
ad
aprirsi
la
strada
verso
Addis
Abeba
.
Ma
furono
necessari
poderosi
interventi
d
'
aviazione
e
,
spiace
ricordarlo
,
l
'
uso
degli
aggressivi
chimici
.
Il
9
maggio
1936
,
in
un
tardo
e
piovoso
pomeriggio
,
Mussolini
annunciò
al
balcone
di
Palazzo
Venezia
,
che
í
«
Sette
colli
di
Roma
»
tornavano
ad
essere
illuminati
,
dopo
19
secoli
,
dalla
gloria
imperiale
.
Allo
stesso
modo
che
nel
1911
,
al
principio
della
campagna
di
Libia
,
Elvira
Donnarumma
aveva
lanciato
Tripoli
sarà
italiana
,
la
soubrette
Nikuzza
,
accompagnata
dalla
chitarra
di
Mario
Latilla
,
padre
di
Gino
,
rese
popolare
Faccetta
nera
.
Nelle
vetrine
dei
profumieri
apparve
il
«
Tabacco
d
'
Harar
»
.
Il
tè
,
sottoposto
a
sanzioni
,
fu
sostituito
dal
«
karkadè
»
,
coltivato
sull
'
altopiano
abissino
.
Si
cominciò
a
chiedere
,
sotto
banco
,
il
«
caffè
di
caffè
»
.
La
campagna
d
'
Etiopia
costò
complessivamente
allo
stato
dai
600
agli
800
miliardi
in
valuta
attuale
.
Servì
a
rinverdire
la
fiducia
dell
'
uomo
della
strada
nel
fascismo
;
ma
rivelò
agli
esperti
di
cose
militari
,
come
Vincenzo
Muricchio
,
che
la
potenza
delle
nostre
armi
,
dopo
14
anni
di
fascismo
,
era
aumentata
in
senso
scenico
,
ma
non
sostanziale
.
Sotto
le
squadriglie
da
caccia
e
da
bombardamento
,
valorizzate
dalle
imprese
di
De
Pinedo
,
Balbo
,
Valle
e
Maddalena
,
le
fanterie
non
erano
cambiate
.
Gli
«
spallacci
»
adottati
nell'11
segavano
ancora
le
collottole
come
guinzagli
.
Anche
se
la
giacca
aveva
perso
il
soffocante
colletto
chiuso
,
le
fasce
gambiere
restavano
,
inutili
,
a
far
prudere
i
polpacci
.
E
nessuno
ancora
pensava
che
il
vecchio
«'91»
fosse
ormai
inadeguato
ai
propositi
di
aggressione
e
di
«
guerra
lampo
»
che
il
«
regime
»
,
non
pago
dell
'
avventura
etiopica
,
andava
maturando
e
minacciando
.
La
seconda
guerra
mondiale
dimostrò
,
infatti
,
che
i
singoli
soldati
,
nella
cornice
della
retorica
imperiale
,
erano
rimasti
gli
stessi
di
trent
'
anni
prima
,
con
un
po
'
meno
voglia
di
morire
.
Il
12
settembre
1943
,
quattro
giorni
dopo
l
'
illusorio
armistizio
annunciato
da
Badoglio
,
la
Divisione
«
Puglie
»
costituita
dal
71°
e
72°
reggimento
fanteria
,
motto
:
«
Ad
summum
»
,
alle
sommità
,
mostrine
bianche
e
verdi
,
si
trovava
dislocata
nel
Kossovo
,
regione
a
nordest
dell
'
Albania
,
e
dell
'
Albania
divenuta
provincia
dopo
il
crollo
della
Jugoslavia
,
il
18
aprile
1941
.
La
Divisione
,
che
durante
la
campagna
di
Grecia
si
era
valorosamente
battuta
nel
settore
di
Clisura
,
partecipando
all
'
epica
difesa
di
«
quota
731»
,
accettò
compatta
l
'
ordine
di
Badoglio
,
legittimato
dal
giuramento
al
re
e
alla
bandiera
.
I
diecimila
uomini
della
grossa
unità
erano
fermamente
disposti
a
combattere
contro
i
tedeschi
,
qualora
l
'
ex
-
alleato
avesse
assunto
un
atteggiamento
provocatorio
.
Il
grosso
della
«
Puglie
»
era
a
Prizren
,
capitale
del
Kossovo
.
Nei
quattro
giorni
che
seguirono
il
messaggio
di
Badoglio
,
nell
'
ostinata
calma
dell
'
ultima
estate
,
compagnie
e
battaglioni
si
prepararono
a
fronteggiare
un
eventuale
attacco
germanico
.
Si
parlava
di
una
divisione
corazzata
«
Goering
»
,
a
riposo
sui
confini
della
vicina
Bulgaria
,
pronta
a
marciare
contro
gli
italiani
.
In
vista
di
tale
possibilità
,
furono
approntate
postazioni
per
mitragliatrici
,
mortai
e
cannoni
anti
-
carro
alla
periferia
orientale
della
città
,
dove
era
possibile
dominare
d
'
infilata
il
lungo
e
polveroso
stradale
candido
e
deserto
,
dal
quale
i
tedeschi
avrebbero
dovuto
per
forza
arrivare
.
Ma
la
mattina
del
giorno
14
giunse
l
'
ordine
,
dai
superiori
comandi
di
Corpo
d
'
Armata
e
di
Armata
,
di
cessare
ogni
preparativo
di
difesa
ed
offesa
,
poiché
i
tedeschi
avevano
dichiarato
di
rispettare
l
'
armistizio
e
di
non
volere
in
alcun
modo
ostacolare
un
eventuale
rimpatrio
dei
reparti
italiani
.
Anzi
,
per
dimostrare
la
loro
perfetta
buonafede
,
le
truppe
germaniche
in
Albania
erano
disposte
a
consegnare
provvisoriamente
le
armi
ai
nostri
comandi
,
mentre
noi
avremmo
fatto
altrettanto
.
Dopo
le
trattative
,
ognuno
avrebbe
ripreso
le
sue
e
tutto
si
sarebbe
svolto
nel
reciproco
rispetto
.
Nel
pomeriggio
,
si
vide
un
velo
di
polvere
alzarsi
dal
rettilineo
proveniente
dal
confine
bulgaro
,
Non
erano
i
carri
della
«
Goering
»
:
si
trattava
di
una
modesta
camionetta
color
canarino
,
sulla
quale
si
trovavano
un
maresciallo
della
Wehrmacht
,
un
sergente
e
due
soldati
semplici
.
Nonostante
l
'
atteggiamento
fermo
e
l
'
aria
baldanzosa
,
si
vedeva
che
i
quattro
,
sotto
sotto
,
erano
piuttosto
preoccupati
.
Si
passavano
la
lingua
sulle
labbra
e
si
scambiavano
occhiate
furtive
.
Erano
i
quattro
incaricati
di
assistere
al
disarmo
«
provvisorio
»
della
Divisione
.
Il
che
avvenne
,
sotto
una
pioggia
leggerissima
e
uggiosa
,
la
mattina
presto
del
giorno
dopo
,
15
settembre
.
Tutti
gli
effettivi
della
«
Puglie
»
,
fanti
,
genieri
,
artiglieri
,
militari
di
sussistenza
e
di
sanità
,
sfilarono
(
per
la
prima
volta
cinque
per
cinque
,
secondo
il
sistema
tedesco
)
di
fronte
a
un
tavolino
piazzato
nel
centro
di
un
vastissimo
e
brullo
spiazzo
.
Dietro
al
tavolino
,
il
maresciallo
germanico
,
assistito
dai
suoi
commilitoni
,
consultava
i
quaderni
di
carico
e
scarico
relativi
alle
armi
e
alle
munizioni
.
Plotone
dopo
plotone
,
compagnia
dopo
compagnia
,
i
soldati
abbandonavano
,
su
diversi
mucchi
,
i
loro
«'91»
,
le
baionette
,
i
pacchi
rosa
di
munizioni
,
le
giberne
e
gli
spallacci
.
Lontano
,
alle
spalle
del
maresciallo
,
che
si
era
messo
occhiali
cerchiati
di
acciaio
,
i
monti
erano
fantasmi
color
bistro
,
sfumati
nei
vapori
del
maltempo
.
Un
enorme
silenzio
pesava
sotto
il
fruscio
lieve
della
pioggia
.
Qualche
ragazzo
serbo
,
fermo
agli
estremi
confini
dello
spiazzo
,
osservava
la
scena
.
Accatastati
sulla
fanghiglia
gialla
,
i
«'91»
nereggiavano
come
vecchi
rottami
.
Ancora
i
soldati
non
lo
sapevano
:
ma
intuivano
che
quello
era
il
primo
passo
verso
due
anni
di
doloroso
e
umiliante
internamento
in
Germania
.
E
capirono
che
ciò
li
aspettava
,
dopo
tanti
sacrifici
e
tanti
rischi
affrontati
,
allorché
un
«
anziano
»
del
'12
,
uno
degli
ultimi
della
lunghissima
processione
,
al
momento
di
consegnare
il
fucile
,
ci
ripensò
e
fece
l
'
atto
di
allontanarsi
tenendoselo
.
Il
maresciallo
si
alzò
,
gli
corse
dietro
,
lo
afferrò
per
una
spalla
berciando
invettive
incomprensibili
e
gli
abbozzò
un
ceffone
.
Lo
abbozzò
soltanto
:
perché
subito
si
guardò
attorno
e
rise
sgangheratamente
,
fingendo
di
aver
scherzato
.
Anche
quelli
della
«
Puglie
»
arrivarono
ai
campi
di
concentramento
tedeschi
dopo
sette
giorni
e
sette
notti
di
spaventoso
viaggio
in
carri
bestiame
,
attraverso
l
'
Ungheria
,
la
Carinzia
,
l
'
Austria
,
la
Baviera
e
la
Prussia
occidentale
.
Quanto
ai
«'91»
abbandonati
sul
fango
di
Prizren
,
i
tedeschi
li
utilizzarono
per
armare
le
bande
montanare
arruolate
nel
Dibrano
con
la
promessa
di
«
carta
bianca
»
nel
saccheggio
.
Ma
molti
di
quei
fucili
passarono
,
dopo
qualche
settimana
,
nelle
mani
dei
soldati
italiani
,
rimasti
alla
macchia
in
Jugoslavia
e
Montenegro
,
che
attraverso
stenti
infiniti
,
fame
freddo
e
malattie
,
andarono
a
ingrossare
i
reparti
partigiani
comandati
da
Giuseppe
Broz
,
non
ancora
conosciuto
come
«
maresciallo
Tito
»
.
Furono
quelli
,
oggi
raramente
ricordati
,
i
primi
italiani
che
fra
la
deportazione
e
il
collaborazionismo
scelsero
la
lotta
contro
il
nazismo
.
Primi
,
con
gli
sventurati
soldati
della
«
Acqui
»
a
Cefalonia
,
passati
per
le
armi
senza
misericordia
dai
tedeschi
,
che
invece
ancora
rispettavano
e
onoravano
i
«
pezzi
grossi
»
,
soli
veri
responsabili
del
nostro
crollo
disastroso
.
Primi
,
accanto
ai
marinai
del
Dodecanneso
,
agli
allievi
dell
'
Accademia
Navale
,
portati
in
massa
da
Venezia
a
Brindisi
dal
loro
intrepido
comandante
,
ammiraglio
Bacci
di
Capaci
.
Per
quasi
due
anni
,
sino
al
maggio
del
1945
,
le
formazioni
partigiane
e
i
reparti
ricostituiti
dagli
Alleati
nel
Corpo
Volontario
di
Liberazione
,
si
batterono
contro
i
tedeschi
e
gli
italiani
,
spesso
addirittura
adolescenti
,
che
a
fianco
dei
tedeschi
continuavano
a
combattere
.
I
«'91»
,
moschetti
e
fucili
,
che
i
partigiani
si
erano
procurati
dai
reparti
dell
'
esercito
discioltisi
dopo
1'8
settembre
o
con
colpi
di
mano
contro
caserme
e
depositi
,
incontrarono
sui
monti
della
Lombardia
,
del
Piemonte
,
della
Toscana
,
del
Veneto
,
dell
'
Emilia
,
dell
'
Umbria
,
i
«'91»
che
i
giovani
soldati
di
Salò
,
inquadrati
e
addestrati
parte
nell
'
Italia
settentrionale
parte
in
Germania
,
avevano
ricevuto
dai
tedeschi
.
Lunghi
mesi
di
inevitabile
guerra
civile
perfezionarono
la
rovinosa
conclusione
di
una
guerra
mal
preparata
,
stoltamente
dichiarata
,
diretta
con
ineffabile
imperizia
.
Ma
era
già
cominciata
la
stagione
dei
«
mitra
»
:
quelli
che
nell
'
ultimo
anno
di
guerra
,
i
soldati
avevano
soltanto
intravisto
,
e
molto
di
rado
,
sulla
spalla
di
qualche
ufficiale
della
«
Milizia
M.M.
»
,
i
così
detti
«
lupi
di
Galbiati
»
.
Mitra
dalla
sovracanna
bucherellata
,
mitra
tedeschi
corti
da
tenere
sospesi
sul
ventre
,
mitra
americani
e
inglesi
paracadutati
sulle
Alpi
e
sugli
Appennini
.
E
col
mitra
,
venne
in
uso
corrente
un
'
espressione
dura
,
cinica
,
agghiacciante
:
«
far
fuori
»
.
L
'
Italia
del
«'91»
,
coi
suoi
errori
,
le
sue
glorie
,
le
sue
illusioni
,
le
sue
ingenuità
,
i
suoi
impettiti
luoghi
comuni
,
era
per
sempre
finita
.
StampaQuotidiana ,
Sono
le
tre
e
mezzo
.
Il
cielo
di
maggio
,
sul
gomito
lucente
di
via
Veneto
,
accenna
vagamente
a
schiarire
.
Cinque
macchine
,
due
delle
quali
americane
,
stanno
allineate
davanti
al
Giardino
d
'
Europa
,
dove
concludono
la
notte
i
frequentatori
abituali
dei
night
-
clubs
situati
nei
paraggi
:
Jicky
Club
,
Pipistrello
,
Club
84
,
Kit
Kat
.
Sprofondata
nei
cuscini
di
cuoio
marrone
di
una
Dodge
decappottabile
,
una
ragazza
bionda
,
dalla
bocca
larghissima
,
tempestata
di
lentiggini
grosse
come
coriandoli
,
un
fazzoletto
di
crespo
nero
stretto
attorno
al
collo
,
singhiozza
dolcemente
.
Accanto
a
lei
,
scamiciato
,
un
giovanotto
bruno
,
dalle
braccia
pelose
,
fuma
con
aria
di
estrema
noia
.
I
suoi
occhi
nerissimi
,
lucenti
come
scarafaggi
,
scappano
,
ogni
tanto
,
verso
due
bellissime
negre
sedute
al
fresco
.
Nell
'
interno
del
locale
,
dove
si
possono
acquistare
orchidee
,
tuberose
e
garofani
da
offrire
alle
signore
,
altri
negri
,
giovanotti
e
ragazze
,
ascoltano
i
dischi
di
una
macchina
a
gettoni
.
Sono
serissimi
,
quasi
estatici
.
Soltanto
le
spalle
,
con
sussulti
lievi
come
brividi
,
accompagnano
il
ritmo
della
musica
.
Nella
sala
interna
,
abbandonati
su
sofà
verdi
,
sotto
dipinti
pretenziosi
e
insignificanti
,
alcuni
giovani
intellettuali
,
prevalentemente
di
sinistra
,
mangiucchiano
polpette
e
patate
fritte
,
ragionando
di
letteratura
e
di
teatro
.
Si
esprimono
nel
gergo
,
ormai
vuoto
e
stantio
,
ch
'
ebbe
fortuna
venticinque
anni
fa
:
quando
Giuseppe
Bottai
,
per
distinguersi
da
Ricci
e
da
Starace
,
covava
le
uova
culturali
di
un
vago
antifascismo
.
«
Appoggiarsi
al
contenuto
,
esclusivamente
come
tale
»
,
predica
un
trentenne
dal
ciuffo
aggressivo
,
«
è
un
ricatto
.
Il
contenuto
,
ridotto
all
'
informazione
,
ristretto
alle
esperienze
di
un
'
umanità
troppo
compiaciuta
della
propria
condizione
,
è
la
negazione
della
poesia
.
La
poesia
non
può
limitarsi
al
contenuto
.
La
poesia
è
l
'
alone
del
contenuto
.
Siamo
matti
!
Leggete
le
poesie
di
Penna
,
per
favore
.
Che
,
Penna
è
contenuto
?
Penna
è
l
'
alone
del
suo
contenuto
umano
,
ragazzi
!
»
.
«
E
Saba
?
»
,
azzarda
timidamente
un
tipo
macilento
,
d
'
età
indefinibile
,
il
cui
viso
è
divorato
per
metà
dagli
occhiali
scuri
.
Il
predicatore
dal
ciuffo
ribelle
resta
un
momento
perplesso
.
Butta
giù
un
sorso
di
birra
,
poi
,
solennemente
,
dice
:
«
Saba
,
in
un
certo
senso
,
è
il
contenuto
dell
'
alone
.
Non
so
se
mi
spiego
...
»
.
Fuori
è
già
chiaro
.
Le
due
negre
,
immobili
,
con
le
lunghe
gambe
accavallate
,
guardano
il
cielo
.
Nella
Dodge
decappottabile
,
la
ragazza
lentigginosa
continua
a
singhiozzare
nel
dormiveglia
.
Il
giovanotto
bruno
,
al
suo
fianco
,
dorme
profondamente
,
con
la
bocca
socchiusa
.
Basta
uno
sguardo
,
per
capire
con
che
sforzi
cerchi
di
somigliare
a
Maurizio
Arena
,
bello
cinematografico
di
moda
.
Due
ore
fa
,
prima
che
sul
palcoscenico
dei
«
quartieri
alti
»
restassero
soltanto
le
squallide
comparse
e
le
controfigure
anonime
,
il
vero
Maurizio
Arena
,
l
'
ex
-
muratore
Di
Lorenzo
,
era
con
me
,
nell
'
angolo
più
nascosto
del
Club
84
,
a
cento
metri
da
via
Veneto
.
Guardavamo
in
silenzio
le
coppie
che
a
malapena
riuscivano
a
muoversi
sulla
pista
da
ballo
gremita
.
L
'
orchestra
di
Armandino
Zingone
,
chitarrista
napoletano
,
trentaquattrenne
,
padre
di
otto
figli
,
modulava
un
ritmo
lento
.
Nell
'
angolo
opposto
al
nostro
,
attorno
a
due
tavoli
ravvicinati
,
stavano
,
già
ammutoliti
per
la
stanchezza
,
i
più
assidui
frequentatori
del
locale
:
Vittorio
Caprioli
,
Franca
Valeri
,
Beppino
Patroni
-
Griffi
,
Nora
Ricci
.
Ugo
Tognazzi
stava
pilotando
in
pista
un
'
americana
altissima
e
rigida
.
S
'
intravedeva
,
al
di
là
di
un
pilastro
,
il
ciuffo
nervoso
di
Walter
Chiari
.
Erano
le
due
e
un
quarto
:
l
'
ora
in
cui
un
lento
sipario
di
noia
comincia
a
calare
,
ogni
notte
,
sulla
mondanità
romana
.
Un
viso
massiccio
,
occhialuto
,
ombreggiato
da
una
barba
leggera
,
si
affacciò
all
'
ingresso
del
locale
.
I
denti
di
Arena
scricchiolarono
.
Vidi
il
profilo
del
giovane
attore
tendersi
,
quasi
assottigliarsi
in
una
crisi
d
'
improvviso
furore
.
Poi
,
a
fior
di
labbra
,
più
parlando
a
se
stesso
che
a
me
,
il
giovanotto
prese
a
sfogarsi
:
«
Eccolo
,
puntuale
»
,
disse
.
«
Mica
,
dopotutto
,
è
colpa
sua
,
poveraccio
.
E
nemmeno
è
colpa
nostra
,
se
anche
lui
è
finito
qui
.
Una
volta
era
il
re
d
'
Egitto
in
esilio
,
sua
maestà
Faruk
.
Ormai
è
Faruk
.
Anzi
,
Farucche
.
Qualcuno
lo
chiama
perfino
Faruccone
.
Anche
Orson
Welles
,
quella
volta
che
scese
a
Ciampino
,
era
un
fenomeno
.
Era
quello
che
aveva
fatto
impazzire
Nuova
York
annunciando
per
radio
l
'
arrivo
dei
marziani
.
Un
pezzo
grosso
!
Dopo
una
settimana
,
lo
chiamavano
già
Orson
.
Poi
diventò
Orso
.
Il
primo
a
gridargli
:
'
Orsaccio
,
viè
qua
!
'
fu
il
guardiano
di
un
posteggio
,
a
piazza
di
Spagna
.
A
Roma
,
non
resiste
nemmeno
l
'
aria
!
Le
persone
si
sciolgono
come
gelati
.
Meglio
essere
nessuno
.
Eccolo
là
,
come
tutte
le
notti
,
all
'
ora
sua
!
Era
il
re
d
'
Egitto
.
Se
ne
sta
dimenticando
pure
lui
»
.
Il
faccione
di
Faruk
sparì
dalla
cornice
della
porta
.
Arena
tacque
di
colpo
.
I
suoi
pugni
solidi
,
da
popolano
,
restarono
,
minacciosi
,
sul
tavolo
.
L
'
orchestra
di
Armandino
attaccò
a
richiesta
Tu
che
ti
senti
divina
:
la
canzone
che
l
'
estate
prossima
,
in
Versilia
,
farà
forse
dimenticare
La
più
bella
del
mondo
.
Ugo
Tognazzi
tornò
in
pista
,
sospingendo
l
'
americana
dritta
impalata
.
Ci
arrivava
,
dalla
penombra
,
la
voce
di
Walter
Chiari
,
in
vena
di
raccontare
storielle
.
Franca
Valeri
si
era
addormentata
sulla
spalla
di
Caprioli
,
il
quale
,
a
sua
volta
,
si
era
assopito
sulla
spalla
di
Patroni
-
Griffi
.
Maurizio
Arena
si
alzò
,
soffiò
l
'
aria
dalle
narici
,
violentemente
,
come
fanno
i
pugili
,
mi
guardò
con
intensità
infantile
,
poi
disse
:
«
Lo
sai
che
faccio
,
una
mattina
?
Esco
di
qua
,
prendo
il
treno
e
vengo
a
Milano
a
fare
il
muratore
»
.
Le
notti
primaverili
romane
,
fra
il
Tritone
e
Porta
Pinciana
,
si
assomigliano
tutte
.
Cominciano
,
fra
le
dieci
e
le
undici
,
da
Rosati
allo
Strega
,
al
Café
de
Paris
,
da
Doney
,
con
le
conversazioni
degli
intellettuali
;
finiscono
nella
tristezza
delle
mondane
sorprese
dalla
luce
del
sole
,
timorose
della
polizia
,
tormentate
dalle
scarpe
strette
,
piene
di
segreti
rimorsi
.
Notti
che
per
una
settimana
interessano
,
ma
in
capo
a
quindici
giorni
non
hanno
più
segreti
.
I
protagonisti
del
carosello
notturno
,
fra
i
cinque
o
sei
locali
più
frequentati
,
sono
sempre
i
medesimi
.
Le
compagnie
si
riformano
puntualmente
ogni
sera
e
riprendono
i
discorsi
interrotti
la
sera
avanti
.
Nel
cuore
di
una
metropoli
che
al
prossimo
censimento
conterà
due
milioni
tondi
di
abitanti
,
se
non
qualcosa
di
più
,
alcune
migliaia
di
persone
vivono
come
nel
quartiere
europeo
di
una
città
coloniale
.
Nessun
legame
concreto
esiste
fra
i
«
quartieri
alti
»
e
le
borgate
periferiche
.
Via
Veneto
,
luccicante
di
automobili
mostruose
,
al
tramonto
,
è
più
vicina
a
Nuova
York
che
alla
Garbatella
,
a
Londra
che
al
Quarticciolo
.
Roma
,
piccola
e
familiare
di
notte
,
diventa
,
appena
fa
giorno
,
un
'
enorme
piovra
di
cemento
.
La
mancanza
di
ciminiere
e
di
grandi
fabbriche
la
rende
inconsistente
come
un
miraggio
.
StampaQuotidiana ,
Tre
del
pomeriggio
.
Roma
digerisce
in
silenzio
.
Via
Condotti
è
assopita
nel
sole
già
caldo
.
Un
sacerdote
americano
,
alto
quasi
due
metri
,
poderoso
,
sta
fotografando
da
angoli
diversi
le
azalee
che
invadono
e
sommergono
la
gradinata
di
piazza
di
Spagna
.
In
fondo
all
'
ultima
saletta
del
Caffè
Greco
,
dove
aleggia
un
vago
odore
di
cioccolato
in
tazza
e
di
anice
,
il
dottor
P
.
e
l
'
avvocato
C
.
,
ambedue
siciliani
e
cineasti
,
mi
parlano
della
situazione
cinematografica
.
Ne
ragionano
con
l
'
amarezza
un
po
'
ironica
degli
amanti
delusi
ma
non
ancora
completamente
disamorati
.
L
'
avvocato
C
.
,
produttore
,
sceneggiatore
,
soggettista
,
è
un
longilineo
quasi
calvo
,
dagli
occhi
malinconici
e
intelligenti
.
Il
dottor
P
.
,
procuratore
di
una
produzione
piuttosto
importante
,
è
calmo
e
tarchiato
,
ferratissimo
in
fatto
di
cifre
e
di
statistiche
.
Ma
imprigionare
nei
numeri
il
problema
del
cinema
italiano
,
ossia
romano
,
è
impresa
difficile
:
come
mettersi
a
contare
le
onde
del
mare
o
le
foglie
di
un
bosco
.
«
Attorno
alla
nostra
produzione
»
,
dice
il
dottor
P
.
,
«
vegeta
e
s
'
intreccia
una
jungla
di
luoghi
comuni
e
di
valutazioni
errate
.
Per
esempio
,
tutti
,
da
un
paio
d
'
anni
a
questa
parte
,
parlano
di
`
crisi
'
.
Come
se
da
una
situazione
sicura
e
florida
,
si
fosse
improvvisamente
passati
al
dissesto
,
all
'
arenamento
.
Baggianate
.
La
vera
crisi
,
fatta
di
marasma
economico
e
d
'
imprese
pazze
,
l
'
abbiamo
avuta
quando
si
producevano
allegramente
130
film
all
'
anno
.
Quella
che
oggi
viene
definita
'
crisi
'
,
non
è
che
il
fatale
ridimensionamento
di
una
situazione
anarchica
,
basata
sulla
presunzione
dei
dilettanti
,
alimentata
da
riserve
finanziarie
più
che
altro
immaginarie
.
Crisi
per
eccesso
,
ma
crisi
.
L
'
effetto
non
va
confuso
con
la
causa
.
Quando
la
'
Minerva
'
fallì
,
erano
già
diversi
anni
che
stava
dibattendosi
come
Laocoonte
,
fra
i
serpenti
di
un
'
amministrazione
caotica
,
fra
miliardi
ch
'
erano
soltanto
fantasmi
di
miliardi
.
Lo
stesso
discorso
vale
per
la
distribuzione
.
Nei
dieci
`
distretti
'
cinematografici
italiani
,
da
Padova
a
Catania
,
pullularono
distributori
improvvisati
,
senza
radici
come
denti
di
latte
.
In
mezzo
ad
essi
,
ogni
`
distretto
'
poteva
contare
su
un
paio
di
ditte
serie
»
.
La
conversazione
procede
,
pacata
,
sul
terreno
delle
cifre
.
Il
dottor
P
.
analizza
,
lapis
alla
mano
,
le
percentuali
in
cui
si
scompone
,
nei
botteghini
degli
11.000
cinema
italiani
,
il
prezzo
del
biglietto
.
Soltanto
18
lire
ogni
cento
vanno
al
produttore
,
dopo
un
'
attesa
di
anni
.
Ci
addentriamo
nel
meccanismo
complicato
dei
premi
governativi
;
nel
labirinto
alquanto
misterioso
dell
'
Anica
(
Associazione
nazionale
industrie
cinematografiche
e
affini
)
,
dove
gli
interessi
contrastanti
dei
produttori
,
dei
distributori
e
dei
proprietari
di
sale
(
spesso
rappresentati
da
una
sola
persona
)
si
conciliano
,
o
fingono
di
conciliarsi
,
in
una
specie
di
limbo
corporativistico
.
L
'
avvocato
C
.
mi
spiega
perché
il
mercato
respinge
i
film
a
basso
costo
:
«
E
chi
volete
che
si
muova
di
casa
,
per
andare
a
vedere
,
pagando
dalle
500
alle
800
lire
,
le
stesse
cose
che
può
vedersi
tranquillamente
in
casa
,
alla
Tv
,
senza
scomodarsi
e
quasi
gratis
?
Oggi
,
in
Italia
come
in
America
,
come
dovunque
,
il
cinema
può
attirare
il
pubblico
soltanto
con
spettacoli
eccezionali
:
offrendo
colore
,
masse
sbalorditive
,
paesaggi
affascinanti
:
tutto
ciò
che
la
Tv
non
può
dare
.
L
'
America
è
corsa
ai
ripari
nove
anni
fa
,
dilatando
gli
schermi
,
lanciando
il
'
Cinerama
'
,
rinnovando
la
suggestione
del
`
western
'
col
Cinemascope
e
il
Vistavision
.
Da
noi
,
che
non
possiamo
contare
sui
miliardi
di
Hollywood
,
la
lotta
è
dura
,
disperata
.
Dopo
i
trionfi
del
'
neorealismo
'
,
stiamo
assaggiando
le
amarezze
della
realtà
»
.
Negli
anni
dell
'
immediato
dopoguerra
,
sembrò
che
gli
americani
avessero
perso
la
guerra
del
cinema
vincendo
quella
degli
eserciti
.
Assistendo
alla
proiezione
di
Roma
città
aperta
,
di
Paisà
,
Ladri
di
biciclette
eccetera
,
il
pubblico
di
Nuova
York
o
di
Chicago
si
dimenticava
perfino
di
masticare
la
sua
gomma
.
Per
gli
americani
,
nel
'46
,
Stalin
era
ancora
'
lo
zio
Giuseppe
'
.
I
critici
annidati
nel
Greenwich
Village
potevano
ancora
farsi
la
barba
ogni
due
giorni
,
portare
maglioni
rossi
e
scrivere
che
'
il
neorealismo
sociale
italiano
stava
alla
produzione
americana
come
Omero
sta
a
Spillane
'
.
Rossellini
poteva
divagare
quanto
voleva
.
Più
divagava
,
più
faceva
testo
.
Il
'
racconto
'
,
la
`
trama
'
erano
giudicati
'
casi
limite
'
'
,
espedienti
vili
,
compromesso
,
lenocinio
.
A
parte
i
suoi
meriti
sostanziali
,
il
così
detto
'
neorealismo
'
fu
la
grande
stagione
degli
improvvisatori
.
Imitando
Rossellini
,
De
Sica
e
gli
altri
`
istintivi
'
di
talento
,
una
quantità
di
mediocri
si
credettero
in
grado
di
far
capolavori
senza
le
rotaie
di
un
soggetto
:
raccattando
immagini
'
valide
di
per
sé
'
e
cucendole
insieme
alla
meglio
.
I
soggettisti
non
si
sentirono
più
impegnati
a
inventare
una
storia
,
a
immaginare
situazioni
concatenate
,
coerenti
.
Si
trasformarono
in
ideatori
di
'
gags
'
,
di
episodi
isolati
,
di
trovatine
divertenti
o
commoventi
,
a
seconda
dei
casi
.
Poi
,
improvvisamente
,
quando
gli
intellettuali
del
Greenwich
Village
cominciarono
a
rifarsi
la
barba
tutte
le
mattine
e
a
rimettersi
la
cravatta
per
non
dar
nell
'
occhio
al
senatore
Mac
Carthy
,
gli
americani
aggiunsero
ai
contratti
di
60
pagine
stipulati
coi
produttori
italiani
una
formuletta
umiliante
che
suona
pressappoco
così
:
'
Il
film
deve
consistere
in
una
serie
di
sequenze
cinematografiche
connesse
fra
loro
in
modo
logico
:
ogni
sequenza
,
cioè
,
deve
essere
legata
alla
precedente
in
modo
comprensibile
.
Il
tutto
deve
costituire
un
racconto
che
abbia
indiscutibile
valore
narrativo
'
.
La
lunga
stagione
romana
delle
cicale
e
delle
lontre
era
finita
.
Cominciava
quella
,
assai
più
scomoda
,
delle
formiche
e
dei
castori
.
A
parte
le
cifre
e
le
statistiche
;
a
prescindere
dall
'
obbiettiva
consultazione
del
«
Bollettino
generale
dei
protesti
»
,
alla
cui
mole
solenne
certa
produzione
cinematografica
dà
un
generoso
contributo
;
le
varie
,
allegre
e
malinconiche
avventure
del
nostro
cinema
hanno
la
loro
chiave
nell
'
aria
stessa
di
quella
stupefacente
,
affascinante
,
irritante
,
scoraggiante
,
inafferrabile
città
che
ha
nome
Roma
.
La
nostra
industria
cinematografica
,
nata
a
Torino
nel
novembre
del
1904
,
per
iniziativa
di
Arturo
Ambrosio
(
il
Venchi
della
celluloide
nazionale
)
,
ebbe
il
suo
primo
germoglio
romano
meno
di
un
anno
dopo
,
nella
primavera
del
'905
,
ad
opera
di
Filoteo
Alberini
,
produttore
-
sceneggiatore
-
soggettista
-
regista
-
operatore
.
Nel
1906
,
dalla
società
dell
'
Alberini
con
tale
Santoni
,
nacque
la
Cines
:
quella
stessa
che
andò
in
liquidazione
l
'
anno
passato
.
Ma
tutto
ciò
appartiene
alla
preistoria
.
La
vera
storia
del
cinema
romano
ebbe
inizio
con
l
'
avvento
del
fascismo
:
trovò
la
sua
prima
cornice
nella
società
piccolo
-
borghese
,
oziosa
,
assetata
di
lussi
,
tracotante
,
formatasi
attorno
ai
seguaci
di
Mussolini
.
Quando
si
dice
che
l
'
industria
cinematografica
italiana
non
poteva
stabilirsi
che
a
Roma
,
per
ragioni
climatiche
,
per
sfruttarne
la
lunga
primavera
,
si
dice
una
grossa
stupidaggine
.
Altrimenti
le
grandi
case
del
nord
-
Europa
,
di
Londra
,
Berlino
e
Parigi
,
non
sarebbero
mai
nate
.
La
verità
è
che
,
nel
1925
,
superate
le
paure
della
Quartarella
,
operato
lo
strangolamento
totale
dell
'
opposizione
,
Mussolini
volle
che
l
'
«
industria
delle
ombre
»
si
concentrasse
nel
suo
immediato
raggio
d
'
azione
.
Egli
aveva
capito
perfettamente
tre
cose
:
che
quella
era
l
'
unica
industria
da
cui
Roma
potesse
trarre
vantaggio
economico
,
senza
il
pericolo
di
una
crescente
concentrazione
operaia
;
che
prima
o
poi
sarebbe
servita
ad
acquetare
e
impastoiare
gli
intellettuali
;
che
sarebbe
stato
più
facile
indirizzare
alla
propaganda
una
cinematografia
ambientata
nella
capitale
.
Non
basta
.
Il
«
regime
»
,
nato
dal
risentimento
e
dal
tedio
della
gioventù
provinciale
,
esaltava
ufficialmente
le
aspre
opere
dei
campi
e
la
fecondità
delle
massaie
:
ma
segretamente
sognava
calze
di
seta
,
sottovesti
di
pizzo
,
avventure
scabrose
.
Fingeva
d
'
interessarsi
a
Oriani
,
a
Machiavelli
,
a
Pareto
:
ma
di
nascosto
rileggeva
Da
Verona
,
Mariani
e
Pitigrilli
.
Perfino
Kiribiri
.
Proclamava
la
grandezza
di
Augusto
,
ma
sognava
Trimalcione
.
Quanti
furono
i
gerarchi
che
non
ebbero
il
loro
nome
mescolato
alle
storie
galanti
di
Cinecittà
?
Mentre
l
'
Italia
agonizzava
pietosamente
,
dopo
1'8
settembre
,
sotto
i
mille
problemi
che
la
schiacciavano
,
una
delle
prime
preoccupazioni
delle
autorità
repubblichine
fu
il
trasloco
a
Venezia
di
Cinecittà
.
E
Alessandro
Pavolini
,
trasferitosi
a
Verona
,
tutto
nero
con
un
teschio
sul
petto
,
non
si
lasciava
forse
carezzare
l
'
affaticata
fronte
da
Doris
Duranti
?
E
lo
stesso
Mussolini
non
preferì
,
anche
in
extremis
,
il
profilo
fotogenico
di
Clara
Petacci
alle
tagliatelle
di
«
donna
»
Rachele
?
Nel
1925
,
quando
nacque
l
'
Istituto
Luce
,
ente
parastatale
«
per
la
propaganda
e
la
cultura
a
mezzo
della
cinematografia
»
,
un
peccato
originale
,
impresso
negli
uomini
e
nelle
cose
,
segnò
il
destino
del
cinema
italiano
,
costituzionalmente
fascista
.
Le
esperienze
estetiche
,
le
polemiche
dei
critici
e
dei
registi
,
non
bastano
a
cancellarne
l
'
impronta
iniziale
.
Tutto
andrebbe
rifatto
da
capo
.
Gli
innumerevoli
episodi
e
aneddoti
umoristici
relativi
al
mondo
cinematografico
romano
,
da
trent
'
anni
a
questa
parte
,
non
sono
che
un
corollario
.
Rispecchiano
un
ambiente
dove
il
caso
è
diventato
legge
,
dove
la
conciliazione
degli
opposti
è
un
dovere
e
l
'
approssimazione
è
obbligatoria
.
Dove
,
fatte
rarissime
eccezioni
,
buoni
scrittori
e
bravi
giornalisti
hanno
imparato
a
scrivere
in
quindici
giorni
le
stesse
cose
che
sotto
forma
di
racconto
o
di
articolo
richiedono
un
lavoro
di
poche
ore
.
Altrimenti
,
il
produttore
,
pur
risparmiando
danaro
(
spesso
non
suo
)
,
non
darebbe
la
dovuta
importanza
all
'
opera
dei
suoi
sceneggiatori
.
I
quali
,
per
essere
presi
nella
giusta
considerazione
,
debbono
in
qualche
modo
uniformarsi
alle
abitudini
dei
registi
,
degli
aiutoregisti
,
dei
segretari
di
produzione
,
delle
«
dive
»
,
dei
«
divi
»
,
degli
operatori
,
perfino
degli
elettricisti
:
essere
poco
puntuali
,
capricciosi
,
puntigliosi
,
ombrosi
,
esigenti
,
volubili
,
preziosi
.
Inflessibili
nel
pretendere
grossi
anticipi
prima
ancora
che
il
film
sia
entrato
in
quella
fase
di
discussione
che
precede
la
preparazione
della
prelavorazione
.
Checché
se
ne
dica
,
la
bizzarra
casistica
del
cinema
romano
non
riguarda
soltanto
gli
«
artigianoni
»
,
in
fondo
bonari
,
della
produzione
:
gli
Amato
,
i
Misiano
ecc.
Coinvolge
anche
personalità
vigili
,
sensibili
,
ricche
di
talento
.
Anni
or
sono
,
un
noto
produttore
italiano
accettò
di
finanziare
,
in
coproduzione
francese
,
un
film
progettato
da
Marcel
Carné
:
«
Le
barrage
»
.
Il
soggetto
era
ancora
allo
stato
fluido
;
si
sapeva
soltanto
che
tutto
doveva
imperniarsi
sull
'
allagamento
di
una
valle
alpina
,
in
seguito
all
'
apertura
di
una
diga
:
in
francese
«
barrage
»
.
Nella
valle
,
completamente
sommersa
,
restava
un
antico
villaggio
,
tempestivamente
sfollato
.
Da
ciò
,
la
possibilità
d
'
immaginare
situazioni
patetiche
e
drammatiche
.
Condizione
fondamentale
,
preparare
il
soggetto
entro
una
certa
data
,
perché
l
'
apertura
della
diga
andava
ripresa
dal
vero
.
Carné
accettò
con
entusiasmo
la
collaborazione
di
Cesare
Zavattini
,
propostagli
dal
produttore
romano
.
Zavattini
trovò
eccellente
lo
spunto
del
film
.
Dopo
rapide
trattative
,
il
regista
parigino
e
i
suoi
sceneggiatori
arrivarono
a
Roma
.
Tutta
l
'
équipe
,
compreso
Zavattini
,
si
stabilì
all
'
Hôtel
Excelsior
,
fra
stucchi
color
panna
e
turisti
di
gran
lusso
.
Era
stabilito
che
Carné
,
Zavattini
e
gli
sceneggiatori
francesi
dovessero
creare
il
soggetto
e
un
primo
abbozzo
di
sceneggiatura
attraverso
conversazioni
libere
e
animate
,
scambi
d
'
idee
e
di
vedute
,
registrate
nei
minimi
particolari
,
anche
apparentemente
insignificanti
,
da
tre
stenografe
,
due
italiane
e
una
francese
,
costantemente
presenti
alle
riunioni
.
Si
andò
avanti
,
così
,
per
circa
tre
mesi
.
I
minuziosi
verbali
trascritti
dalle
stenografe
avevano
già
empito
un
armadio
e
stavano
già
traboccando
da
un
baule
.
Pareva
che
,
in
linea
di
massima
,
un
soggetto
ci
fosse
:
basato
sull
'
amore
di
una
fanciulla
,
abitante
nel
paese
sacrificato
alla
diga
,
per
un
giovane
ingegnere
addetto
ai
lavori
.
Se
non
che
,
il
vecchio
padre
della
ragazza
,
attaccato
come
un
'
ostrica
alla
sua
casa
,
si
rifiutava
ostinatamente
di
sfollare
.
Invano
supplicato
dalla
figlia
,
si
appostava
sul
tetto
,
armato
di
fucile
,
pronto
a
far
fuoco
su
chiunque
si
avvicinasse
.
Solo
all
'
ultimo
momento
,
pochi
minuti
prima
che
si
aprisse
la
diga
,
l
'
ingegnere
riusciva
a
smuovere
il
cocciuto
vegliardo
e
a
trarlo
in
salvo
assieme
alla
ragazza
.
Tutto
bene
,
fin
qui
.
Ma
proprio
sulle
ultime
sequenze
,
Zavattini
e
francesi
non
si
trovarono
d
'
accordo
.
Zavattini
esigeva
che
il
vecchio
,
girato
in
controcampo
,
sparasse
sull
'
ingegnere
;
che
il
pubblico
,
per
un
momento
,
restasse
col
cuore
sospeso
,
per
poi
rallegrarsi
constatando
che
il
colpo
era
andato
a
vuoto
.
Secondo
lo
sceneggiatore
italiano
,
tale
effetto
non
era
soltanto
consigliabile
,
ma
addirittura
indispensabile
.
Carné
e
i
suoi
assistenti
lo
giudicavano
,
invece
,
banale
ed
assurdo
,
tanto
da
gettare
nel
ridicolo
l
'
intero
film
.
La
discussione
andò
avanti
per
due
settimane
,
registrata
dalle
stenografe
.
Il
produttore
cercò
di
conciliare
le
parti
,
una
domenica
,
invitando
tutti
a
colazione
fuori
di
porta
.
Nulla
da
fare
.
«
O
il
vecchio
spara
,
o
mi
ritiro
!
»
gridava
Zavattini
,
palpeggiandosi
il
basco
.
«
Se
quel
vecchio
della
malora
fa
solo
l
'
atto
di
premere
il
grilletto
»
,
ruggiva
Carné
,
«
io
pianto
tutto
»
.
Inutile
insistere
,
supplicare
,
promettere
.
«
Le
barrage
»
andò
a
monte
.
Al
produttore
non
restò
che
pagare
il
grosso
conto
dell
'
Excelsior
e
gli
onorari
dovuti
per
contratto
al
regista
,
a
Zavattini
e
tutti
gli
altri
.
Quel
colpo
di
fucile
,
sparato
o
no
,
venne
a
costargli
circa
cinquanta
milioni
.
«
Colpa
mia
»
,
ammise
in
seguito
il
produttore
.
«
Invece
di
portare
Carré
a
Roma
,
dovevo
portare
a
Parigi
Zavattini
»
.
StampaQuotidiana ,
È
difficile
sottrarsi
alla
suggestione
culinaria
di
Roma
,
come
è
praticamente
impossibile
non
seguirne
gli
orari
.
Ingrid
Bergman
,
che
aveva
visto
in
Roberto
Rossellini
il
cittadino
e
l
'
interprete
di
una
città
«
aperta
»
a
drammatiche
esperienze
e
a
forti
passioni
,
imparò
in
pochi
mesi
a
distinguere
gli
agnolotti
gratinati
del
Pastarellaro
da
quelli
dei
Tre
scalini
.
L
'
incantevole
nordica
che
alcuni
anni
prima
,
in
Intermezzo
,
ci
era
sembrata
incorporea
,
dimostrò
di
saper
demolire
montagne
di
fettuccine
e
abbacchi
da
mettere
in
soggezione
un
camionista
.
Premurosamente
assistita
da
'
Alfredo
alla
Scrofa
'
o
dal
'
Re
degli
Amici
'
,
Ava
Gardner
mise
in
ombra
le
più
rinomate
«
forchette
»
di
via
della
Croce
.
Nel
1956
,
conobbi
a
Milano
una
giovane
signora
americana
,
bellissima
,
alta
,
bionda
,
buona
amica
dell
'
attore
Bruce
Cabot
.
Come
molte
sue
connazionali
,
pareva
che
vivesse
sotto
una
campana
di
cristallo
.
La
maggior
preoccupazione
di
Cabot
,
suo
fedele
cavalier
servente
,
era
quella
di
farla
mangiare
.
Nessuna
pietanza
,
per
delicata
e
leggera
che
fosse
,
riusciva
a
stuzzicare
l
'
appetito
della
signora
e
a
farle
dimenticare
per
un
momento
la
sua
preziosissima
linea
.
Creme
scolorite
di
legumi
,
verdure
estenuate
dalla
lunga
cottura
,
sugo
di
pompelmo
e
d
'
arancia
,
costituivano
il
malinconico
pasto
della
bionda
.
Il
povero
Bruce
Cabot
,
seduto
di
fronte
a
lei
,
era
costretto
a
tirare
la
cinghia
per
non
rischiare
un
benservito
.
La
signora
,
ricordando
il
marito
dal
quale
aveva
appena
divorziato
,
era
solita
definirlo
«
uno
di
quegli
orribili
uomini
che
mangiano
mostruose
bistecche
e
spaventose
uova
fritte
sul
lardo
affumicato
»
.
Il
simpatico
Bruce
sacrificava
lo
stomaco
al
cuore
:
ma
a
questo
mondo
ho
visto
poche
cose
più
tristi
dei
suoi
occhi
azzurri
,
di
fronte
ai
piatti
striminziti
cui
era
condannato
.
Qualche
mese
dopo
,
incontrai
Bruce
Cabot
a
Roma
.
Era
solo
e
aveva
un
'
ottima
cera
.
Gli
chiesi
notizie
della
signora
.
Il
celebre
protagonista
della
Jena
di
Barlow
mi
disse
sogghignando
:
«
Margy
è
tornata
a
Nuova
York
.
Irriconoscibile
.
Tutta
piena
di
foruncoli
terribili
,
in
tutto
il
corpo
.
Un
foruncolo
andava
,
uno
veniva
.
Intossicazione
.
Qualche
giorno
dopo
il
nostro
arrivo
a
Roma
,
la
farfalla
è
diventata
un
coccodrillo
.
Passava
le
giornate
a
scoprire
nuove
trattorie
.
Prenotava
tavoli
la
mattina
per
la
sera
,
la
sera
per
la
mattina
dopo
.
Fritti
enormi
.
Centinaia
di
foruncoli
.
Partita
»
.
Un
saggio
storiografico
,
rigoroso
e
documentato
,
sulla
gastronomia
romana
e
sulle
trattorie
più
antiche
e
rinomate
della
capitale
,
non
sarebbe
opera
trascurabile
.
Evitando
i
luoghi
comuni
e
il
colore
locale
,
frugando
nella
cronaca
,
ne
verrebbe
fuori
un
'
apprezzabile
serie
di
ritratti
:
visti
di
scorcio
ma
vivi
.
Nel
maggio
del
1938
,
quando
Hitler
trascorse
sei
giorni
a
Roma
assieme
a
un
gruppo
di
gerarchi
accompagnati
dalle
mogli
,
il
programma
delle
accoglienze
non
si
limitò
alle
luminarie
stradali
,
alle
adunate
oceaniche
e
alle
parate
militari
.
Gli
specialisti
del
Quirinale
e
di
Palazzo
Venezia
si
diedero
molto
da
fare
anche
per
studiare
i
menu
dei
pranzi
e
delle
cene
ufficiali
:
in
modo
che
il
dittatore
tedesco
e
il
suo
seguito
gustassero
,
volta
per
volta
,
le
specialità
locali
,
senza
il
fastidio
di
ripetizioni
.
Mussolini
,
com
'
è
noto
,
non
dava
molta
importanza
al
cibo
.
È
ancora
incerto
se
davvero
fosse
afflitto
da
ulcera
gastrica
,
e
comunque
se
si
trattasse
di
un
'
ulcera
grave
;
ma
è
un
fatto
che
per
almeno
i
primi
dieci
anni
del
suo
regime
mangiò
soltanto
ciò
che
gli
cucinava
un
'
anziana
,
fedele
domestica
romagnola
.
Può
darsi
che
il
ricordo
dei
manicaretti
serviti
dai
Borgia
ai
loro
nemici
non
fosse
estraneo
alle
abitudini
casalinghe
del
duce
,
specialmente
nel
quinquennio
in
cui
scampò
a
diversi
attentati
.
Ma
anche
più
tardi
,
quando
l
'
opposizione
rinunciò
ai
metodi
violenti
e
non
si
parlò
più
della
famosa
ulcera
,
a
parte
qualche
semplice
e
sbrigativo
«
rancio
»
,
Mussolini
mangiò
in
pubblico
rarissime
volte
.
Le
sue
soste
più
calme
e
lunghe
davanti
a
una
tavola
imbandita
,
le
fece
al
ristorante
del
Furlo
,
sul
passo
omonimo
,
dove
talvolta
arrivava
senza
preavviso
,
dopo
aver
pilotato
la
macchina
,
a
gran
velocità
,
sulla
via
Flaminia
.
Ordinava
,
invariabilmente
,
un
piatto
di
tagliatelle
all
'
uovo
,
e
mezzo
pollo
alla
diavola
.
Beveva
alcuni
bicchieri
di
acqua
minerale
,
non
troppo
gelata
,
e
mezza
bottiglia
di
vino
di
pramontana
.
A
parte
tali
soste
sul
confine
tra
Lazio
e
Marche
,
Mussolini
,
pur
ostentando
gusti
e
sentimenti
popolari
,
pur
abbracciando
covoni
e
sculacciando
massaie
,
dimostrò
sempre
una
certa
insofferenza
per
gli
indugi
culinari
e
per
l
'
impegno
che
molti
suoi
collaboratori
mettevano
nei
riti
della
mensa
.
Una
volta
,
che
gli
si
proponeva
di
valorizzare
un
certo
gerarca
provinciale
,
affidandogli
un
alto
incarico
in
Etiopia
,
disse
bruscamente
:
«
L
'
ho
visto
mangiare
.
Bocconi
troppo
grossi
e
lenti
.
Non
va
!
»
.
In
altra
occasione
,
avendo
saputo
che
un
generale
della
milizia
,
attempato
,
dall
'
aspetto
alquanto
scimmiesco
,
era
stato
visto
,
in
divisa
,
a
colazione
con
una
giovanissima
aspirante
diva
,
al
ristorante
dello
Zoo
,
convocò
l
'
ufficiale
a
Palazzo
Venezia
e
,
mezzo
burbero
mezzo
ironico
,
lo
redarguì
:
«
Non
fate
più
bambinate
del
genere
.
E
,
soprattutto
,
evitate
lo
Zoo
.
Potreste
cedere
al
richiamo
della
foresta
»
.
Mussolini
,
che
pure
amava
controllare
le
cose
di
persona
,
trascurò
,
dunque
,
il
programma
gastronomico
preparato
per
Hitler
.
Avvenne
così
che
il
capo
dei
nazisti
si
trovasse
davanti
,
la
mattina
del
5
maggio
1938
,
un
paio
di
carciofi
(
verdura
quasi
sconosciuta
in
Germania
)
rovesciati
sul
piatto
,
col
gambo
in
aria
,
un
po
'
somiglianti
ad
elmetti
chiodati
.
Chiese
come
si
chiamasse
la
pietanza
,
e
gli
fu
risposto
che
quelli
erano
i
celebri
,
classici
carciofi
«
alla
giudia
»
.
Specialità
del
ghetto
:
Hitler
,
saputo
ciò
,
s
'
irrigidì
.
Un
guizzo
di
contrarietà
gli
passò
nei
baffetti
rossi
.
Dimenticò
i
carciofi
nel
piatto
,
imitato
dai
suoi
fidi
.
La
topografia
gastronomica
della
capitale
,
rispettata
dalla
guerra
,
non
ha
subìto
trasformazioni
rilevanti
negli
ultimi
trent
'
anni
.
Soltanto
il
piccone
fascista
,
nel
quinquennio
che
precedette
la
guerra
abissina
,
cancellò
le
antiche
osterie
sparse
nel
quartiere
popolare
un
tempo
ammonticchiate
fra
piazza
Venezia
e
il
Colosseo
.
Qualche
antica
bettola
di
Trastevere
,
incastrata
fra
í
vicoli
angusti
e
le
piazzette
oscure
,
si
è
mondanizzata
,
ma
bisogna
convenire
che
ciò
non
ha
guastato
la
cucina
.
Perfino
i
«
posteggiatori
»
con
chitarra
,
nonostante
la
giacca
blu
e
la
cravatta
argentata
,
benché
guadagnino
una
media
di
cinque
,
seimila
lire
al
giorno
per
sette
mesi
all
'
anno
,
sono
rimasti
abbastanza
fedeli
all
'
antica
vena
popolare
.
I
terzetti
più
noti
,
quelli
«
fissi
»
da
Galeassi
,
da
Corsetti
,
dal
Pastarellaro
,
alla
Rifiorita
,
da
Ottavio
,
accontentano
ancora
con
visibile
soddisfazione
quei
clienti
che
,
invece
di
chiedere
canzoni
moderne
,
vogliono
ascoltare
le
vecchie
serenate
.
In
qualche
caso
,
i
cantanti
in
«
farsetto
»
e
i
chitarristi
sono
stati
soppiantati
da
indovini
,
cartomanti
,
grafologi
.
Il
più
rinomato
,
attualmente
,
è
il
così
detto
«
Mago
»
,
che
si
fa
consultare
(
tariffa
base
lire
500
)
dagli
avventori
del
ristorante
La
Sacrestia
,
dietro
il
Pantheon
.
Siede
in
un
angolo
della
sala
,
dietro
un
paravento
.
Risponde
senza
leggerle
alle
domande
che
il
cliente
scrive
su
una
strisciolina
di
carta
.
Non
sbaglia
quasi
mai
.
Soltanto
alcune
settimane
prima
delle
elezioni
lesse
nell
'
avvenire
di
Achille
Lauro
circa
un
milione
di
voti
monarchici
in
più
.
StampaQuotidiana ,
Al
processo
Montesi
presenziarono
una
quarantina
di
inviati
speciali
.
Nelle
prime
settimane
,
quando
l
'
istruttoria
contro
Piccioni
,
Montagna
e
Polito
non
aveva
ancora
cominciato
a
traballare
,
alcuni
grandi
giornali
inglesi
,
tedeschi
e
francesi
tennero
a
Venezia
i
loro
resocontisti
.
In
seguito
la
stampa
estera
si
limitò
ai
servizi
di
agenzia
.
Fra
gli
inviati
dei
giornali
stranieri
ve
n
'
era
uno
assai
simpatico
e
vivace
,
la
cui
tessera
grigia
,
rilasciata
dalla
cancelleria
,
era
intestata
alla
«
Gazette
de
Lausanne
»
.
Spesso
,
facendo
colazione
coi
colleghi
,
il
rappresentante
del
quotidiano
svizzero
raccontava
di
aver
accettato
quell
'
incarico
trovandosi
momentaneamente
disoccupato
.
La
«
Gazette
»
,
per
evitare
la
notevole
spesa
di
un
inviato
,
si
era
rivolta
a
un
professionista
italiano
che
costasse
poco
.
«
Non
so
chi
potrebbe
costarle
meno
di
me
»
,
diceva
il
giovanotto
,
arricciando
il
naso
carnoso
ed
aggressivo
.
«
Sto
facendo
la
vita
di
un
frate
predicatore
in
trasferta
quaresimale
»
.
A
.
B
.
(
dobbiamo
accontentarci
delle
iniziali
)
sfiorava
il
metro
e
settanta
,
ma
era
di
spalle
larghissime
e
si
notavano
al
primo
sguardo
i
suoi
polsi
da
sollevatore
di
pesi
,
ferrei
e
pelosi
.
Gli
occhiali
non
riuscivano
ad
attenuare
la
forza
penetrante
del
suo
sguardo
.
Parlando
con
giornalisti
molto
addentro
nel
mestiere
,
dimostrava
di
conoscere
assai
bene
la
partita
.
Un
pomeriggio
,
verso
la
metà
di
febbraio
,
quando
il
processo
era
in
corso
da
un
mese
,
stavo
passeggiando
in
compagnia
di
A
.
B
.
sotto
i
portici
delle
Procuratie
Vecchie
,
in
piazza
San
Marco
,
allorché
capitò
qualcosa
di
molto
strano
.
Ci
passò
accanto
un
giovane
carabiniere
,
il
quale
,
visto
il
corrispondente
della
«
Gazette
»
,
lo
salutò
portando
la
mano
ben
rigida
alla
visiera
e
facendo
ruotare
leggermente
il
collo
.
«
Ho
fatto
diversi
servizi
di
cronaca
nera
,
anni
fa
»
,
spiegò
A
.
B
.
«
Molti
carabinieri
si
ricordano
ancora
di
me
»
.
Non
la
bevetti
.
Ho
fatto
troppi
anni
il
soldato
,
per
non
distinguere
un
saluto
amichevole
da
un
saluto
di
ordinanza
.
Restai
perplesso
,
ma
cercai
di
non
farlo
notare
.
Qualche
tempo
dopo
ebbi
la
conferma
dei
miei
sospetti
.
Il
corrispondente
della
«
Gazette
de
Lausanne
»
altri
non
era
che
il
tenente
dei
carabinieri
A
.
B
.
,
valoroso
e
intelligente
protagonista
di
alcune
fra
le
più
pericolose
e
brillanti
operazioni
del
dopoguerra
.
Conversatore
spiritoso
,
buon
pittore
dilettante
,
poeta
a
tempo
perso
,
capace
di
mimetizzarsi
in
qualunque
ambiente
e
di
assumere
le
personalità
più
disparate
,
l
'
Arma
lo
aveva
utilizzato
in
casi
particolarmente
delicati
,
specialmente
nel
così
detto
«
bel
mondo
»
.
Era
inevitabile
che
il
tenente
,
recitando
la
parte
del
pittore
surrealista
o
del
bell
'
imbusto
a
Capri
,
sulla
Riviera
ligure
di
ponente
e
sulla
Costa
Azzurra
,
acquistasse
una
preziosa
esperienza
in
fatto
di
droga
,
drogatori
e
drogati
.
Quando
gli
feci
capire
che
la
sua
vera
attività
mi
era
ormai
nota
,
l
'
ufficiale
non
ebbe
una
piega
di
disappunto
.
Rise
allegramente
e
,
pur
non
accennando
alla
vera
ragione
per
cui
stava
seguendo
giorno
per
giorno
il
processo
,
mi
raccontò
molte
cose
della
sua
carriera
,
dei
casi
di
cui
si
era
occupato
negli
ultimi
anni
,
della
sua
partecipazione
alla
dura
lotta
contro
la
banda
Giuliano
e
,
finalmente
,
mi
illustrò
,
nei
limiti
del
segreto
professionale
,
alcuni
aspetti
interessanti
e
inediti
della
battaglia
incessante
e
silenziosa
contro
il
traffico
degli
stupefacenti
.
Proprio
in
quei
giorni
,
alla
ribalta
del
processo
era
di
turno
don
Tonino
Onnis
,
parroco
di
Bannone
di
Traversetolo
e
protagonista
del
fantomatico
episodio
relativo
a
«
Gianna
la
rossa
»
.
Il
prete
,
giovane
,
bruno
e
robusto
,
dall
'
eloquio
frettoloso
e
dalla
pronuncia
lievemente
sofisticata
,
fece
la
sua
deposizione
:
raccontò
del
suo
misterioso
incontro
con
la
giovane
donna
dai
capelli
fulvi
e
sostenne
abilmente
un
duello
di
tre
ore
coi
giudici
e
gli
avvocati
.
Anche
in
quella
occasione
restai
con
l
'
impressione
che
la
storia
del
parroco
fosse
una
specie
di
paravento
immaginario
,
dietro
al
quale
si
nascondevano
fatti
e
persone
che
sarebbe
stato
interessante
mettere
a
fuoco
,
indipendentemente
dal
processo
e
dalla
posizione
degli
imputati
.
Don
Onnis
non
aveva
affatto
l
'
aria
di
un
intrigante
visionario
e
certi
particolari
del
suo
racconto
,
in
mezzo
alle
sfumature
e
alle
nebbie
della
fantasia
,
mi
erano
sembrati
inaspettatamente
duri
e
concreti
.
Il
parroco
aveva
fatto
,
senza
reticenze
,
il
nome
di
alcuni
funzionari
della
questura
di
Parma
che
si
erano
interessati
del
suo
caso
;
descrivendo
certe
automobili
che
si
erano
aggirate
attorno
a
Bannone
nel
'54
,
aveva
avuto
accenti
di
verità
.
D
'
altra
parte
,
nessuno
era
riuscito
a
capire
per
che
preciso
motivo
il
giovane
parroco
fosse
stato
varie
volte
convocato
dal
suo
vescovo
e
severamente
ammonito
.
Il
suo
stesso
trasferimento
a
Bannone
,
parrocchia
troppo
modesta
per
un
prete
colto
e
brillante
,
aveva
tutta
l
'
aria
di
una
«
quarantena
»
ed
era
precedente
alle
«
rivelazioni
»
di
Gianna
la
rossa
.
Ripensandoci
,
mi
sembrò
probabile
che
il
sacerdote
avesse
«
aggregato
»
al
caso
Montesi
una
storia
losca
,
da
lui
realmente
vissuta
,
forse
con
la
speranza
di
richiamare
l
'
attenzione
delle
autorità
senza
esporsi
troppo
direttamente
.
Una
sera
,
passeggiando
nei
dintorni
della
Fenice
,
esposi
i
miei
dubbi
al
tenente
A
.
B
.
Mi
ascoltò
attentamente
,
rivolgendomi
brevi
occhiate
,
poi
,
dopo
qualche
istante
di
silenzio
,
disse
:
«
È
vero
:
in
questo
straordinario
processo
le
ombre
,
spesso
,
sono
concrete
e
i
corpi
non
sono
che
ombre
.
Ad
ogni
modo
,
non
è
un
caso
che
la
famosa
lettera
di
Gianna
la
rossa
sia
partita
da
Bannone
,
anziché
,
poniamo
,
da
un
paesino
altrettanto
trascurabile
delle
Marche
o
dell
'
Umbria
.
Da
Bannone
si
stacca
una
rotabile
secondaria
,
lunga
una
ventina
di
chilometri
,
che
,
attraverso
Felino
e
Sala
Baganza
,
finisce
a
Collecchio
,
sulla
strada
della
Cisa
.
A
cominciare
dal
'46
,
poche
strade
al
mondo
sono
state
altrettanto
battute
dai
trafficanti
.
Incalcolabili
quantità
di
'
grezzo
'
vi
sono
passate
,
partendo
dai
roccioni
della
costa
ligure
,
per
raggiungere
quella
autentica
spina
dorsale
della
Penisola
ch
'
è
la
statale
numero
9
,
meglio
conosciuta
come
via
Emilia
.
La
provincia
di
Parma
è
il
retroterra
naturale
della
Spezia
.
Fra
l
'
isola
della
Palmaria
e
Monterosso
,
dove
la
costa
è
particolarmente
solitaria
,
aspra
,
inaccessibile
alle
macchine
,
non
è
passata
notte
,
per
anni
,
che
le
correnti
non
portassero
alla
deriva
speciali
bidoni
di
gomma
nera
,
impermeabili
,
a
forma
di
boa
,
contenenti
oppio
.
«
Abbandonati
al
largo
da
imbarcazioni
veloci
,
in
particolari
condizioni
di
mare
e
di
vento
,
quei
recipienti
percorrevano
docilmente
,
sul
filo
delle
correnti
,
sempre
il
medesimo
itinerario
,
come
tirati
da
un
filo
:
perché
nulla
vi
è
di
più
immutabile
di
una
corrente
marina
.
Sulla
costa
,
nel
buio
,
fra
gli
scogli
simili
a
baluardi
,
qualcuno
era
pronto
a
riceverli
,
a
vuotarli
,
a
mettere
la
merce
al
sicuro
per
passarla
a
chi
aveva
l
'
incarico
di
trasportarla
in
su
,
attraverso
il
Bracco
e
la
Cisa
.
Nel
'47
,
quand
'
ero
in
servizio
alla
Spezia
,
io
stesso
mi
sono
occupato
a
fondo
della
cosa
.
Risultati
magri
.
La
macchina
era
troppo
grossa
per
un
pugno
di
uomini
volenterosi
,
responsabili
di
un
'
infinità
di
servizi
e
con
mezzi
assai
modesti
.
Una
volta
,
mentre
incrociavo
al
largo
con
una
vecchia
barca
a
motore
che
pareva
avesse
il
cardiopalma
,
intravidi
,
a
qualche
centinaio
di
metri
,
uno
di
quei
misteriosi
motoscafi
che
seminavano
in
mare
uova
di
gomma
nera
.
Gli
intimammo
di
fermarsi
,
sparammo
in
aria
,
poi
prendendo
la
mira
.
La
imbarcazione
si
impennò
,
volò
via
come
una
freccia
,
sparì
nella
notte
.
Tentare
d
'
inseguirla
sarebbe
stato
come
tirare
un
sasso
a
un
aeroplano
»
.
L
'
ufficiale
tacque
un
momento
,
poi
riprese
amaramente
:
«
Per
darti
un
'
idea
di
quanti
involucri
di
gomma
siano
finiti
su
quei
venti
chilometri
di
costa
;
pensa
che
utilizzando
la
gomma
trovata
fra
gli
scogli
alcuni
giovanotti
impiantarono
una
fabbrichetta
di
sandali
e
scarpe
da
donna
che
produceva
un
centinaio
di
pezzi
al
giorno
»
.
«
E
don
Onnis
?
»
,
chiesi
.
Il
tenente
si
tolse
gli
occhiali
,
alitò
sulle
lenti
,
le
ripulì
accuratamente
col
fazzoletto
.
Si
strinse
nelle
spalle
.
«
Rosse
o
nere
,
è
un
fatto
che
molte
Gianne
nei
paraggi
della
Cisa
debbono
aver
`
lavorato
'
coi
trafficanti
.
Le
donne
,
in
genere
,
sono
meno
sospettate
e
pare
che
al
momento
opportuno
sappiano
cavarsela
meglio
.
Mi
sembra
impossibile
che
qualcuna
non
si
sia
messa
nei
guai
.
Mi
viene
in
mente
quel
che
fece
Vito
Gurino
,
un
gangster
italo
-
americano
che
nel
'40
,
per
scampare
alla
vendetta
dei
compagni
,
restò
tre
giorni
chiuso
nel
confessionale
di
una
chiesa
cattolica
di
Brooklyn
.
Se
l
'
ha
fatto
un
`
duro
'
a
Nuova
York
,
figurati
una
donna
da
noi
!
Credo
che
don
Onnis
abbia
detto
molte
cose
che
non
sa
per
non
dire
molte
altre
cose
che
sa
.
D
'
altra
parte
,
ciò
è
perfettamente
in
carattere
col
caso
Montesi
,
dove
tutto
ciò
che
sembra
pieno
è
vuoto
e
tutto
ciò
che
sembra
vuoto
è
pieno
,
come
nei
calchi
in
gesso
degli
scultori
»
.
Cinque
giorni
fa
la
Mobile
di
Milano
ha
arrestato
un
uomo
di
mezza
età
,
tale
Giuseppe
Gaigher
,
colpevole
di
aver
spacciato
per
mesi
cocaina
(
complessivamente
circa
due
etti
)
facendosela
pagare
dai
tossicomani
fino
a
20.000
lire
al
grammo
.
Il
crimine
del
Gaigher
ha
un
aspetto
che
oscilla
fra
il
triste
e
il
paradossale
.
La
droga
ch
'
egli
trafficava
quasi
ogni
sera
nei
night
-
clubs
milanesi
se
la
procurava
a
prezzo
di
grosse
sofferenze
fisiche
.
Tormentato
da
fistole
croniche
,
per
ammansire
le
quali
il
medico
gli
aveva
prescritto
una
pomata
anestetica
a
base
di
coca
,
preferiva
soffrire
e
rivendere
le
bustine
prelevate
in
farmacia
.
Acquistata
su
regolare
prescrizione
,
la
polvere
ha
un
prezzo
assai
modesto
,
venti
volte
inferiore
,
se
non
più
,
a
quello
del
mercato
clandestino
.
In
una
delle
prime
puntate
di
questa
inchiesta
,
notai
che
i
rigori
della
legge
e
dell
'
opinione
pubblica
colpiscono
di
preferenza
i
tossicomani
e
i
piccoli
spacciatori
.
È
destino
di
tutte
le
fanterie
,
anche
di
quella
del
vizio
,
far
le
spese
della
battaglia
.
Ma
la
frequenza
con
cui
si
leggono
sui
giornali
storie
di
poco
rilievo
,
più
grottesche
che
allarmanti
,
alla
Gaigher
,
alimenta
,
negli
italiani
,
l
'
incredulità
per
fatti
enormemente
gravi
e
tenebrosi
.
Perfino
la
famosa
«
operazione
Mugnani
»
,
che
agitò
il
bel
mondo
romano
nella
primavera
dell
'
anno
scorso
ed
ebbe
titoli
su
sei
colonne
,
non
fu
,
tutto
sommato
,
che
un
episodio
marginale
e
di
scarsa
importanza
.
L
'
unico
aspetto
interessante
di
quella
retata
,
fu
che
vi
rimasero
impigliate
alcune
persone
d
'
alto
bordo
,
le
quali
,
del
resto
,
fiutavano
da
anni
senza
farne
troppo
mistero
.
Tutti
i
frequentatori
assidui
dei
locali
notturni
eleganti
,
finiscono
col
conoscere
decine
di
tossicomani
più
o
meno
«
suonati
»
dalla
droga
.
Talvolta
talmente
svaniti
da
perdere
ogni
prudenza
e
ogni
ritegno
.
Anni
or
sono
,
trovandomi
in
un
tabarin
romano
,
assistetti
a
una
scena
da
«
pochade
»
.
Il
marchese
P
.
V
.
,
toscano
,
quarantenne
che
dimostra
come
minimo
vent
'
anni
di
più
,
stava
bevacchiando
strane
misture
di
sua
invenzione
all
'
american
bar
.
Il
labbro
inferiore
gli
cadeva
tristemente
,
gli
occhi
parevano
due
molluschi
andati
a
male
.
A
un
certo
punto
,
stanco
d
'
ingurgitare
porcherie
,
disse
al
barman
farfugliando
:
«
Ora
basta
.
Quanto
vuoi
?
»
.
«
Diciottomila
,
signor
marchese
»
,
fece
il
barman
,
disinvolto
.
Il
nobiluomo
cominciò
ad
annaspare
nelle
tasche
esterne
ed
interne
alla
ricerca
di
quattrini
,
e
intanto
posava
sul
banco
tutto
ciò
che
vi
trovava
:
vecchie
lettere
,
il
fazzoletto
,
chiavi
,
tessere
e
appunti
.
Fra
l
'
altro
,
come
se
niente
fosse
,
tre
o
quattro
cartine
di
coca
.
Il
barman
impallidì
e
guardò
furtivamente
verso
l
'
angolo
dove
era
solito
sedersi
l
'
agente
di
servizio
,
in
quel
momento
assente
.
«
Signor
marchese
,
non
faccia
sciocchezze
.
Metta
dentro
quella
roba
»
.
«
Quale
roba
?
»
.
«
Andiamo
,
signor
marchese
,
abbia
pazienza
»
.
E
il
barman
,
con
rapide
occhiate
in
giro
,
ficcò
le
cartine
in
tasca
al
titolato
.
Il
quale
,
dopo
qualche
oscillazione
e
qualche
singhiozzo
,
le
tirò
di
nuovo
fuori
e
le
gettò
sul
banco
gracchiando
stoltamente
:
«
Cosa
ti
hanno
fatto
di
male
le
mie
bimbine
,
le
mie
piccoline
?
Sei
un
villanzone
!
Del
resto
,
bada
;
non
ho
più
soldi
,
quindi
ti
devi
pagare
con
queste
.
Ci
guadagni
.
Ti
devo
diciottomila
e
qui
c
'
è
quarantamila
lire
di
roba
.
Tanto
per
stasera
non
streppo
più
»
.
La
fronte
del
barman
era
lustra
di
sudore
.
Mentre
il
marchese
si
allontanava
borbottando
qualcosa
delle
sue
«
bimbine
»
,
agguantò
le
cartine
rimaste
sul
bancone
e
volò
di
là
a
ficcarle
chissà
dove
.
Ma
questi
sono
,
appunto
,
gli
aspetti
più
insignificanti
e
scoperti
del
traffico
.
Talmente
scoperti
che
finiscono
sempre
con
l
'
autodenunciarsi
;
anche
perché
,
a
lungo
andare
,
l
'
abuso
di
stupefacenti
indebolisce
i
freni
inibitori
e
spinge
il
tossicomane
a
un
esibizionismo
sempre
più
impudente
e
clamoroso
.
Nel
1946
,
a
Viareggio
,
una
bella
signora
milanese
,
moglie
di
un
giovane
industriale
oggi
in
bassa
fortuna
,
teneva
la
cocaina
,
dieci
o
quindici
grammi
per
volta
,
in
un
piccolo
astuccio
cilindrico
,
d
'
oro
massiccio
,
bucherellato
come
una
saliera
.
Dopo
mezzanotte
,
allorché
faceva
il
solito
spuntino
con
gli
amici
,
la
disgraziata
era
solita
spolverare
leggermente
di
droga
le
pietanze
.
Se
qualcuno
,
dai
tavoli
vicini
,
la
guardava
con
una
certa
meraviglia
,
si
affrettava
a
spiegare
:
«
Non
faccia
quegli
occhi
,
per
favore
.
Non
è
mica
sale
!
È
soltanto
cocaina
»
.
Se
il
mondo
della
droga
si
riducesse
a
questi
aneddoti
,
o
alle
povere
storie
di
cui
sono
protagonisti
í
piccoli
galoppini
isolati
sul
tipo
dello
«
spacciatore
sofferente
»
Giuseppe
Gaigher
,
gli
agenti
dell
'
Interpol
e
quelli
della
Squadra
Narcotici
americana
potrebbero
dedicarsi
alla
filatelia
o
al
giardinaggio
.
Ogni
giorno
,
in
tutto
il
mondo
,
migliaia
di
ossessi
danno
l
'
assalto
all
'
armadietto
chiuso
a
chiave
in
cui
i
farmacisti
conservano
i
narcotici
e
gli
stupefacenti
.
Non
è
possibile
enumerare
gli
espedienti
,
i
trucchi
,
le
commedie
,
le
astuzie
infernali
a
cui
ricorrono
i
tossicomani
poco
forniti
di
quattrini
per
assicurarsi
una
dose
del
loro
adorato
veleno
.
Quegli
esseri
deliranti
,
spesso
incapaci
di
applicarsi
ad
un
lavoro
qualsiasi
perché
il
«
crepuscolo
»
cocainico
,
morfinico
o
eroinico
toglie
loro
la
volontà
e
il
senso
del
reale
,
sono
capaci
di
sgobbare
notti
intere
come
castori
per
falsificare
una
ricetta
innocente
.
Gratta
e
rigratta
la
carta
,
aggiusta
o
corteggi
,
spesso
finiscono
col
lacerare
la
carta
in
modo
irrimediabile
.
Allora
piangono
,
si
torcono
le
mani
,
poi
,
alle
ore
più
assurde
,
svegliano
un
medico
,
inventano
storie
di
padri
straziati
dal
cancro
,
di
vecchie
madri
trafitte
dai
calcoli
renali
,
supplicano
per
pietà
una
ricetta
che
includa
dosi
anche
piccole
di
coca
,
di
morfina
,
o
,
male
che
vada
,
di
qualsiasi
stupefacente
sintetico
lontanamente
imparentato
con
la
dicetil
-
morfina
(
nome
ufficiale
dell
'
eroina
)
o
con
la
cocaina
.
«
Non
è
raro
»
,
mi
diceva
giorni
or
sono
un
giovane
chirurgo
,
«
che
i
medici
,
specialmente
anziani
,
vinti
da
quelle
suppliche
febbrili
,
fingano
di
credere
alle
fandonie
e
stacchino
l
'
agognata
ricetta
,
sempre
limitandola
a
dosi
minime
.
Ma
capita
che
perfino
medici
di
lunga
esperienza
si
lascino
perfettamente
ingannare
da
quelle
bugie
,
tanta
forza
persuasiva
vi
mette
la
disperazione
.
Il
tossicomane
povero
è
più
facilmente
pescato
dalla
polizia
perché
per
procurarsi
un
decigrammo
di
droga
deve
muoversi
,
agitarsi
ed
esporsi
dieci
volte
di
più
del
ricco
,
al
quale
basta
una
telefonata
per
riceverne
a
domicilio
,
con
limitatissimo
rischio
personale
,
dosi
cento
volte
più
grosse
»
.
Anche
il
mondo
della
droga
,
dunque
,
ha
il
suo
proletariato
,
i
suoi
artigiani
,
i
suoi
manovali
.
Spesso
,
come
nel
caso
di
Gaigher
,
i
piccoli
spacciatori
non
sono
che
tossicomani
i
quali
,
combattuti
fra
la
necessità
di
un
«
paradiso
artificiale
»
e
la
voglia
di
far
quattrini
,
rinunciano
a
una
parte
della
loro
razione
legale
o
illegale
per
farne
mercato
.
Non
riescono
a
farla
franca
più
di
qualche
mese
.
Spesso
è
la
«
organizzazione
»
dei
grandi
trafficanti
a
levarli
di
mezzo
con
una
segnalazione
telefonica
o
una
denuncia
anonima
.
Ma
questo
non
avviene
prima
che
in
qualche
modo
disturbino
il
mercato
o
aggancino
qualche
cliente
interessante
.
Altrimenti
,
quelle
«
mezze
cartucce
»
fanno
comodo
ai
grossi
calibri
,
perché
sviano
le
indagini
e
ne
minimizzano
i
risultati
.
«
Noi
vediamo
con
simpatia
gli
isolati
da
quattro
soldi
»
,
dichiarò
il
gangster
Lepke
due
mesi
prima
di
inarcarsi
sulla
sedia
elettrica
.
«
Perché
dovremmo
odiarli
?
In
fondo
,
sono
il
nostro
parafulmine
»
.
StampaQuotidiana ,
Quando
,
nella
primavera
del
1956
,
la
mafia
volle
fare
intendere
a
don
Carmelo
Napoli
che
per
lui
era
arrivato
il
momento
di
«
pensare
alla
salute
»
,
gli
spedì
un
pacco
postale
contenente
una
testa
di
cane
.
Don
Carmelo
,
impresario
di
pompe
funebri
,
fioraio
e
maneggione
in
diverse
«
partite
»
,
capì
subito
la
portata
dell
'
avvertimento
:
«
Se
continui
a
mordere
e
ad
abbaiare
,
farai
la
stessa
fine
»
.
Il
tarchiato
necroforo
era
quel
che
i
palermitani
chiamano
«
uomo
di
pancia
»
:
poco
disposto
a
lasciarsi
intimidire
o
spaventare
.
Gettò
la
testa
nel
pozzo
nero
e
attraverso
l
'
impalpabile
telegrafo
dei
bassifondi
fece
sapere
a
quei
«
cornuti
ammazzacani
»
che
avrebbero
avuto
molto
filo
da
torcere
,
prima
di
farla
da
padroni
nella
zona
dei
Mercati
generali
.
Ma
quindici
giorni
dopo
,
mentre
don
Carmelo
se
ne
stava
placidamente
seduto
nei
pressi
del
suo
negozio
,
in
pieno
giorno
,
in
uno
dei
vicoli
più
centrali
e
popolati
della
vecchia
Palermo
,
alcune
lingue
di
fuoco
saettarono
dallo
sportello
di
un
'
utilitaria
e
gli
saldarono
il
conto
.
La
salma
di
don
Carmelo
era
da
poco
tumulata
,
quando
Tanuzzo
Galatolo
,
«
pezzo
duro
»
del
quartiere
l
'
Acquasanta
,
fu
avvicinato
per
strada
da
un
bambino
scalzo
e
spettinato
,
il
quale
gli
mise
in
mano
una
scatoletta
dicendo
:
«
Don
Gaetano
,
cinquecento
lire
mi
diedero
perché
ve
la
consegnassi
»
.
«
Chi
fu
,
a
incaricarti
?
»
,
chiese
Galatolo
,
rigirandosi
in
mano
la
scatola
.
Il
bambino
strinse
le
spalle
,
alzò
gli
occhi
al
cielo
,
allargò
le
braccia
e
tirò
via
di
corsa
.
La
scatoletta
di
cartone
era
di
quelle
che
normalmente
contengono
fermagli
metallici
per
riunire
documenti
;
ma
Galatolo
vi
trovò
soltanto
tre
noccioli
d
'
oliva
ben
ripuliti
.
Io
e
voi
avremmo
pensato
a
uno
scherzo
.
Invece
,
il
«
ras
»
dell
'
Acquasanta
si
accigliò
.
Se
fra
gli
innamorati
dell
'
Ottocento
esisteva
un
linguaggio
dei
fiori
,
nel
mondo
della
mafia
esiste
un
linguaggio
dei
noccioli
:
«
Non
ti
resta
altro
da
succhiare
,
compare
.
Mettiti
l
'
anima
in
pace
»
.
Ventiquattro
ore
dopo
,
dietro
i
cancelli
del
mercato
ortofrutticolo
,
Tano
Galatolo
cadde
nel
suo
sangue
.
Testa
di
cane
,
noccioli
d
'
oliva
,
pettine
rotto
,
lampadina
fulminata
(
i
morti
non
hanno
bisogno
di
luce
)
,
zampa
di
gatto
,
altri
oggettini
insignificanti
,
bastano
ad
annunciare
le
condanne
capitali
decretate
dalla
mafia
.
O
meglio
:
da
una
«
cosca
»
(
vale
a
dire
«
gang
»
)
di
mafiosi
decisi
a
sopprimere
i
membri
di
una
«
cosca
»
concorrente
.
Guerriglia
interna
.
Quando
,
invece
,
la
vittima
designata
non
appartiene
all
'
«
onorata
famiglia
»
(
e
in
questo
caso
i
«
picciotti
»
incaricati
dell
'
esecuzione
prendono
ordini
«
dall
'
alto
»
)
,
è
inutile
farsi
precedere
da
simboli
di
quel
genere
.
Non
verrebbero
capiti
.
Per
mettere
sull
'
avviso
un
«
babbo
»
,
un
«
babbeo
»
,
cioè
,
estraneo
alla
«
società
»
,
e
intimargli
di
non
ficcare
il
naso
in
un
certo
affare
,
basta
una
visita
della
«
masticogna
»
.
Un
certo
giorno
,
un
tipo
in
berretta
qualsiasi
suona
alla
porta
della
persona
da
mettere
«
a
posto
»
,
oppure
la
ferma
per
strada
.
Con
aria
molto
deferente
,
quasi
con
umiltà
,
le
tiene
un
discorsetto
di
questo
genere
:
«
Vossia
deve
farci
un
piacere
.
Non
deve
più
intricarsi
(
interessarsi
)
di
quell
'
appalto
»
.
Oppure
:
«
Vuole
un
consiglio
,
voscenza
?
Per
qualche
tempo
non
si
faccia
più
vedere
dalle
nostre
parti
.
C
'
è
gente
molto
nervosa
»
.
Poche
parole
,
formalmente
inoffensive
,
tutt
'
altro
che
minacciose
,
ma
pronunciate
con
una
tecnica
speciale
:
una
ben
staccata
dall
'
altra
,
con
forza
,
come
se
fossero
altrettanti
bocconi
duri
da
masticare
(
l
'
espressione
«
masticogna
»
lo
dice
)
.
Fu
per
uno
di
quegli
«
avvertimenti
»
angosciosi
che
Giuseppe
Intravaia
cambiò
improvvisamente
umore
,
nel
novembre
del
1953
,
prima
di
sparire
in
modo
tanto
misterioso
?
Intravaia
era
nato
nel
luglio
del
1910
.
Al
momento
della
scomparsa
,
aveva
da
poco
compiuto
43
anni
.
Bruno
,
distinto
,
vestito
con
una
certa
eleganza
,
capace
di
parlare
e
scrivere
correntemente
l
'
inglese
,
il
francese
e
il
tedesco
,
nessuno
avrebbe
immaginato
le
sue
origini
modeste
,
gli
umili
mestieri
della
sua
gioventù
.
Invece
,
a
quindici
anni
,
con
addosso
i
suoi
primi
calzoni
lunghi
,
era
andato
a
lavorare
in
Inghilterra
,
come
fattorino
di
albergo
.
Giuseppe
Intravaia
era
preciso
,
ordinato
,
sentimentale
.
Annotava
tutto
su
rettangolini
di
carta
che
portava
in
tasca
,
e
ogni
sera
ricopiava
quegli
appunti
su
grossi
quaderni
.
Con
la
moglie
,
Ninfa
Grado
,
ch
'
egli
chiamava
sempre
Ninfina
o
Ninfuzza
,
era
un
marito
perfetto
.
Idolatrava
il
figlio
Piero
,
che
nell
'
autunno
del
'53
aveva
otto
anni
,
al
punto
che
un
giorno
aveva
detto
alla
moglie
:
«
Stanotte
ho
sognato
che
il
nostro
bambino
aveva
venti
anni
e
partiva
per
fare
il
soldato
.
Anche
nel
sonno
,
ho
provato
un
dolore
insopportabile
.
Ho
deciso
.
Quando
Piero
andrà
militare
,
noi
andremo
ad
abitare
nella
città
dove
lo
destineranno
,
per
averlo
vicino
»
.
Cameriere
di
bordo
sui
bastimenti
della
Tirrenia
,
Intravaia
si
era
pian
piano
elevato
.
Per
alcuni
anni
aveva
lavorato
,
in
posizione
assai
modesta
,
con
alcune
ditte
esportatrici
di
agrumi
di
Palermo
.
Finché
non
diventò
uno
dei
maggiori
esponenti
di
un
importante
«
consorzio
agrumario
»
in
provincia
di
Messina
.
Nel
maggio
del
1952
,
l
'
Assessorato
per
l
'
Industria
e
il
Commercio
della
Regione
siciliana
lo
nominò
suo
rappresentante
ufficiale
alle
fiere
di
Nuova
York
e
di
Toronto
,
nel
Canada
.
Restò
al
di
là
dell
'
Atlantico
circa
due
mesi
.
Forse
,
quel
viaggio
segnò
nella
sua
vita
ordinata
e
tranquilla
una
svolta
fatale
.
Il
5
ottobre
1953
,
Giuseppe
Intravaia
partì
da
Monreale
.
Era
uno
dei
soliti
viaggi
di
affari
,
per
conto
del
Consorzio
produttori
Torrenova
,
con
sede
a
Sant
'
Agata
di
Militello
.
Viaggi
che
spesso
lo
portavano
anche
all
'
estero
:
tanto
da
fargli
ottenere
con
facilità
il
passaporto
per
tutti
i
paesi
del
mondo
,
compresa
la
Russia
.
Partì
con
due
valigie
e
,
come
sempre
,
l
'
ombrello
ben
arrotolato
nella
foderina
di
seta
:
come
da
ragazzo
aveva
visto
in
Inghilterra
.
Si
fermò
alcuni
giorni
a
Messina
,
quindi
proseguì
per
Genova
.
Era
di
umore
perfettamente
normale
.
A
Genova
,
Intravaia
sbrigò
diverse
faccende
,
appoggiandosi
a
un
certo
Catalano
,
suo
corrispondente
d
'
affari
.
Verso
il
15
ottobre
,
si
trasferì
a
Basilea
,
dove
,
oltre
ai
commercianti
che
riforniva
di
agrumi
,
avvicinò
due
famiglie
di
turisti
,
conosciute
nell
'
estate
del
'52
a
Giacalone
,
villeggiatura
nei
dintorni
di
Monreale
.
Ritornò
a
Genova
il
31
ottobre
1953
.
Ed
è
a
cominciare
da
quel
giorno
che
la
sua
figura
si
appanna
;
acquista
,
attraverso
qualche
lettera
scritta
alla
moglie
e
poche
,
vaghe
testimonianze
,
un
che
di
enigmatico
,
d
'
inafferrabile
.
Al
rientro
dalla
Svizzera
,
Intravaia
appariva
preoccupato
.
Quando
il
Catalano
gli
chiese
se
avesse
qualche
fastidio
,
qualche
pensiero
molesto
,
raccontò
che
durante
la
sua
permanenza
a
Basilea
si
era
fatto
visitare
da
un
buon
internista
,
il
dottor
Erich
Goldschmidt
,
della
Friedrichstrasse
,
il
quale
gli
aveva
prescritto
una
certa
dieta
.
Si
trattava
di
una
malattia
grave
?
No
:
qualche
disordine
all
'
intestino
;
ma
non
era
,
comunque
,
una
cosa
allegra
.
Eppure
,
agli
occhi
di
Catalano
,
il
commerciante
di
Monreale
aveva
un
'
aria
troppo
triste
e
abbattuta
,
per
essere
spiegata
a
quel
modo
.
Soltanto
una
diagnosi
gravissima
,
addirittura
infausta
,
avrebbe
potuto
giustificare
i
lunghi
silenzi
,
le
fissità
distaccate
di
Giuseppe
Intravaia
.
Cinque
o
sei
giorni
dopo
,
Intravaia
decise
improvvisamente
di
andare
alla
Spezia
,
dove
abitava
un
fratello
della
moglie
,
l
'
ingegner
Grado
.
Prima
di
prendere
il
treno
,
con
le
due
valigie
e
il
fedele
ombrello
,
chiese
al
Catalano
un
prestito
di
40.000
lire
.
A
Basilea
aveva
speso
più
del
previsto
(
soltanto
al
dottor
Goldschmidt
aveva
versato
un
onorario
di
220
franchi
)
,
ed
era
rimasto
a
corto
di
fondi
.
Conoscendo
con
che
ordine
scrupoloso
l
'
amico
fosse
solito
organizzare
la
propria
vita
,
Catalano
restò
alquanto
sorpreso
da
quella
richiesta
.
Alla
Spezia
,
come
d
'
abitudine
,
Intravaia
fu
ospite
del
cognato
ingegnere
.
Durante
i
suoi
viaggi
stagionali
,
passando
da
quelle
parti
,
una
breve
sosta
in
casa
dei
parenti
era
solito
farla
.
Quella
volta
,
invece
,
si
fermò
a
lungo
.
Pareva
indeciso
,
restio
a
muoversi
,
quasi
insabbiato
.
Spesso
,
a
tavola
,
restava
con
gli
occhi
inchiodati
alla
finestra
.
Intanto
,
a
Monreale
,
un
giorno
della
prima
decade
di
novembre
,
avvenne
un
fatto
curioso
.
Un
noto
commerciante
di
agrumi
palermitano
si
presentò
all
'
abitazione
dell
'
Intravaia
,
in
via
Veneziano
,
e
chiese
alla
signora
Ninfa
di
consegnargli
alcune
cose
appartenenti
al
marito
:
un
assegno
di
125.000
lire
,
due
libretti
di
risparmio
al
portatore
,
uno
con
490.000
lire
,
l
'
altro
con
24.000
,
e
la
chiavetta
della
cassetta
postale
n
.
37
,
di
cui
l
'
Intravaia
era
titolare
da
un
paio
d
'
anni
.
La
signora
,
sapendo
che
il
commerciante
in
questione
aveva
continui
rapporti
d
'
affari
col
marito
assente
,
non
ebbe
alcuna
difficoltà
a
soddisfare
la
richiesta
.
Solo
più
tardi
,
ripensandoci
,
la
trovò
strana
.
I1
visitatore
le
aveva
detto
che
quella
roba
andava
subito
spedita
alla
Spezia
,
su
richiesta
del
marito
.
Ma
a
parte
il
fatto
che
Peppino
avrebbe
potuto
rivolgersi
direttamente
a
lei
,
per
la
quale
non
aveva
mai
avuto
segreti
:
cosa
poteva
farsene
,
alla
Spezia
,
di
due
libretti
al
portatore
accesi
sulla
filiale
palermitana
della
Commerciale
,
e
soprattutto
della
chiavetta
corrispondente
a
una
cassetta
postale
lontana
più
di
mille
chilometri
?
Il
23
novembre
,
ancora
ospite
del
cognato
,
Giuseppe
Intravaia
ricevette
dalla
Sicilia
una
lettera
azzurra
.
Con
la
sua
calligrafia
da
terza
elementare
,
il
figlio
Piero
lo
informava
di
essere
indisposto
.
Una
leggera
febbre
influenzale
lo
costringeva
a
letto
da
qualche
giorno
.
Il
commerciante
scrisse
immediatamente
alla
moglie
un
espresso
,
chiedendo
particolari
sulla
malattia
del
bambino
.
Tre
giorni
dopo
,
il
26
novembre
,
giunse
un
telegramma
di
risposta
:
il
piccolo
Piero
si
era
completamente
rimesso
.
Ricevendo
una
notizia
del
genere
,
Intravaia
avrebbe
dovuto
,
logicamente
,
rallegrarsi
.
Senonché
,
in
quel
telegramma
,
vi
era
un
particolare
molto
strano
:
non
era
firmato
dalla
signora
Ninfa
,
e
nemmeno
da
qualche
altro
parente
più
o
meno
prossimo
.
Era
stato
spedito
e
firmato
da
una
ditta
di
agrumi
con
la
quale
Giuseppe
Intravaia
aveva
avuto
spesso
rapporti
d
'
affari
.
Dopo
quel
telegramma
,
il
commerciante
,
anziché
apparire
soddisfatto
,
sembrò
colto
dal
panico
,
dall
'
ansia
di
partire
,
di
precipitarsi
a
casa
.
Infatti
,
la
sera
di
quello
stesso
26
novembre
,
prese
il
treno
,
con
le
sue
valigie
e
l
'
immancabile
ombrello
,
ben
stretto
nella
fodera
.
Il
pomeriggio
del
giorno
seguente
,
alle
7
,
a
Napoli
,
Intravaia
si
imbatté
per
caso
in
un
cugino
che
da
tempo
non
vedeva
:
il
dottor
Candido
,
commissario
di
Pubblica
Sicurezza
.
Restò
in
sua
compagnia
circa
un
'
ora
.
Rifiutò
fermamente
un
invito
a
cena
,
non
accettò
neppure
un
caffè
,
dicendo
che
il
medico
glielo
aveva
proibito
.
Qualche
minuto
dopo
le
8
,
si
congedò
dal
cugino
:
«
Scusami
,
ma
debbo
andare
d
'
urgenza
alla
posta
per
spedire
un
telegramma
»
.
Aveva
un
'
espressione
pensosa
,
preoccupata
.
Si
allontanò
giù
per
via
Toledo
a
passi
frettolosi
.
Il
dottor
Candido
lo
seguì
un
momento
con
lo
sguardo
.
Fu
l
'
ultima
persona
al
mondo
che
vide
con
certezza
Giuseppe
Intravaia
.
Perché
la
forma
umana
intravista
qualche
ora
dopo
,
dal
colonnello
di
Finanza
in
pensione
Calogero
La
Ferla
,
in
una
cabina
a
due
cuccette
,
a
bordo
della
nave
Città
di
Tunisi
,
poteva
essere
l
'
Intravaia
,
ma
anche
tutt
'
altra
persona
.
La
città
di
Tunisi
,
in
servizio
di
linea
fra
Napoli
e
Palermo
,
salpò
in
perfetto
orario
,
alle
20.30
del
27
novembre
1953
.
Sul
libro
del
commissario
,
la
cabina
di
seconda
classe
n
.
19
risultava
occupata
dal
colonnello
La
Ferla
e
dal
«
commissionario
»
d
'
agrumi
Giuseppe
Intravaia
.
Un
cameriere
di
bordo
sistemò
in
un
angolo
della
cabina
due
grosse
valigie
e
un
ombrello
strettamente
arrotolato
.
Il
colonnello
in
pensione
,
settantacinquenne
,
si
coricò
presto
:
prima
che
il
compagno
di
viaggio
si
facesse
vedere
.
I
vecchi
hanno
il
sonno
leggero
.
Durante
la
notte
,
un
certo
tramestio
svegliò
l
'
ex
-
ufficiale
.
Fra
le
palpebre
socchiuse
,
vide
un
'
ombra
che
stava
frugando
febbrilmente
in
una
valigia
.
«
Si
sente
male
?
»
,
chiese
,
a
mezza
voce
,
il
colonnello
.
«
Non
posso
dormire
»
,
borbottò
l
'
ombra
,
rimise
a
posto
la
valigia
ed
uscì
.
La
mattina
dopo
,
all
'
attracco
di
Palermo
,
nessuno
ritirò
le
due
valigie
e
l
'
ombrello
dalla
cabina
19
.
Quegli
oggetti
restarono
lì
un
paio
di
giorni
,
finché
un
cameriere
non
li
mise
in
un
ripostiglio
fra
le
cose
dimenticate
.
Qualche
giorno
più
tardi
,
quando
la
signora
Ninfa
,
disperata
,
segnalò
alla
polizia
l
'
inesplicabile
sparizione
del
marito
,
le
valigie
tornarono
alla
luce
e
furono
rovistate
.
In
mezzo
alla
biancheria
da
lavare
,
il
commissario
di
P
.
S
.
in
servizio
portuale
trovò
due
passaporti
intestati
a
Giuseppe
Intravaia
,
uno
scaduto
,
pieno
di
visti
di
frontiera
,
l
'
altro
rinnovato
,
con
un
visto
di
espatrio
per
la
Svizzera
,
in
data
16
novembre
1953
.
Partendo
dalla
Spezia
,
Intravaia
aveva
con
sé
due
vestiti
:
uno
marrone
e
uno
grigio
,
nuovo
,
acquistato
a
Basilea
.
Aveva
un
impermeabile
e
un
cappotto
.
In
una
delle
due
valigie
,
fu
trovato
il
vestito
marrone
,
e
sotto
di
esso
un
campione
di
stoffa
grigia
corrispondente
all
'
abito
acquistato
in
Svizzera
.
Dell
'
impermeabile
e
del
cappotto
,
nessuna
traccia
,
né
in
valigia
né
altrove
.
In
una
valigia
,
fu
trovato
un
guanto
di
pelle
marrone
.
Il
destro
,
Intravaia
aveva
tre
dita
della
mano
sinistra
mutilate
delle
falangi
superiori
,
perse
in
un
incidente
giovanile
.
D
'
estate
era
solito
applicare
puntali
di
gomma
ai
moncherini
del
pollice
,
indice
e
medio
della
sinistra
.
D
'
inverno
portava
i
guanti
.
Dov
'
era
finito
il
guanto
sinistro
,
che
Intravaia
,
uomo
ordinatissimo
,
si
sfilava
immancabilmente
prima
di
coricarsi
e
riponeva
,
assieme
all
'
altro
,
sempre
nel
medesimo
posto
?
E
se
quella
notte
non
si
era
coricato
,
perché
il
guanto
destro
,
scompagnato
,
era
rimasto
chiuso
in
valigia
?
In
una
delle
sue
valigie
,
fu
rinvenuto
anche
un
pezzetto
di
carta
con
su
scritto
:
«
Vado
a
Palermo
per
vedere
mio
figlio
»
;
sul
retro
,
due
cognomi
:
quello
di
un
commerciante
d
'
agrumi
napoletano
e
quello
di
una
personalità
politica
isolana
.
Suicidio
?
Come
crederlo
,
con
tutta
la
fretta
che
Intravaia
aveva
di
rivedere
il
suo
bambino
?
E
da
Napoli
,
appena
lasciato
il
cugino
commissario
di
P
.
S
.
,
non
aveva
forse
telegrafato
a
un
amico
di
andarlo
a
prendere
all
'
arrivo
della
città
di
Tunisi
?
Amico
che
,
peraltro
,
pur
avendo
ricevuto
il
telegramma
diverse
ore
prima
che
la
nave
entrasse
in
porto
,
non
si
recò
all
'
appuntamento
.
Incidente
?
Giuseppe
Intravaia
aveva
fatto
il
militare
nella
Marina
da
guerra
,
per
alcuni
anni
era
stato
cameriere
sui
piroscafi
.
Aveva
dimestichezza
con
la
vita
di
bordo
,
con
le
scalette
,
i
boccaporti
,
le
murate
.
Poteva
finire
in
acqua
,
per
una
svista
,
tanto
più
che
il
mare
,
quella
notte
,
era
liscio
come
l
'
olio
?
Qualche
tempo
dopo
la
sua
misteriosa
sparizione
,
risultò
che
il
modesto
«
commissionario
»
di
agrumi
Intravaia
aveva
conti
piuttosto
rilevanti
intestati
a
suo
nome
in
diverse
banche
della
Siria
,
del
Canada
,
di
Londra
,
di
Berna
;
numerosi
libretti
di
risparmio
accesi
in
cinque
o
sei
banche
italiane
;
grossi
crediti
esigibili
da
commercianti
siciliani
,
napoletani
,
genovesi
,
svizzeri
.
Due
valigie
,
un
ombrello
.
Un
vestito
marrone
,
un
po
'
di
biancheria
sudicia
,
un
guanto
scompagnato
.
Un
'
ombra
nella
notte
,
intenta
a
cercare
qualcosa
in
una
valigia
.
Un
vecchio
colonnello
in
pensione
che
si
riaddormenta
,
cullato
dalle
vibrazioni
dello
scafo
.
Un
bambino
di
otto
anni
,
una
moglie
affranta
,
che
ripete
ancora
,
dopo
cinque
anni
:
«
Il
mio
Peppino
è
stato
ucciso
!
»
.
Come
,
da
chi
,
perché
?
Dove
finì
la
chiave
della
cassetta
postale
n
.
37
?
Perché
qualcuno
si
presentò
a
ritirarla
?
Perché
il
telegramma
del
26
novembre
1953
,
rassicurante
circa
la
salute
del
piccolo
Piero
,
non
era
firmato
,
come
sarebbe
stato
naturale
,
dalla
signora
Intravaia
,
ma
da
gente
estranea
alla
famiglia
?
Un
telegramma
tranquillizzante
che
mise
in
agitazione
il
destinatario
.
Questa
è
la
storia
romanzesca
di
Giuseppe
Intravaia
,
l
'
uomo
che
sparì
,
una
notte
del
novembre
'53
,
come
una
bolla
di
sapone
.
Una
storia
già
velata
dalla
polvere
dell
'
archivio
.
Una
delle
tante
.
È
difficile
non
sentirvi
,
come
un
alito
freddo
,
la
presenza
implacabile
delle
«
bocche
cucite
»
.
Lunedì
scorso
,
13
ottobre
,
all
'
imbrunire
,
in
via
dell
'
Addolorata
,
a
Corleone
,
è
stato
ucciso
Carmelo
Lo
Bue
.
Non
valsero
i
pattugliamenti
straordinari
dei
carabinieri
,
su
e
giù
per
le
antiche
strade
,
sassose
come
torrenti
in
secca
,
a
ritardare
il
suo
appuntamento
con
la
morte
.
Era
nipote
dell
'
ottuagenario
capomafia
Calogero
Lo
Bue
,
sostituito
tre
anni
fa
dall
'
italo
-
americano
Vincent
Collura
,
che
fu
«
impiombato
»
nel
febbraio
del
'57
.
Tutto
ciò
non
serve
ad
arrestare
il
«
tritacarne
»
della
mafia
,
e
neppure
a
rallentarlo
di
un
giro
.
La
testa
calva
di
Carmelo
Lo
Bue
è
rimasta
a
biancheggiare
sui
sassi
grigi
,
al
momento
prestabilito
.
La
sera
del
13
ottobre
,
dopo
l
'
Avemaria
,
nella
luce
fiacca
proiettata
dalle
botteghe
,
la
gente
di
Corleone
ha
formato
í
soliti
capannelli
bisbiglianti
.
Come
sempre
,
quando
il
paese
è
«
fresco
di
morte
»
,
le
donne
,
vecchie
e
giovani
,
in
lutto
cronico
,
parlottavano
voltando
le
spalle
alla
strada
;
perché
è
bene
,
in
certi
casi
,
che
le
«
femmine
»
non
vedano
quello
che
«
sta
capetando
»
.
Scene
uguali
,
la
medesima
atmosfera
greve
e
sinistra
,
lo
stesso
«
scirocco
morale
»
fecero
seguito
a
migliaia
di
omicidi
,
nell
'
ultimo
mezzo
secolo
.
11
17
maggio
1915
,
quando
l
'
autore
accertato
o
presunto
degli
ultimi
delitti
,
Luciano
Liggio
,
era
ancora
assai
lontano
dal
nascere
,
i
corleonesi
si
riunirono
a
commentare
,
senza
muovere
le
labbra
,
l
'
uccisione
di
Bernardino
Verro
,
organizzatore
di
cooperative
agricole
.
Anche
allora
,
43
anni
fa
,
i
rintocchi
dell
'
Avemaria
si
erano
appena
smorzati
.
Giovani
siciliani
di
leva
e
anziani
richiamati
,
crucciati
nel
grigioverde
,
si
preparavano
a
fare
la
guerra
.
Nel
cielo
di
tutto
il
mondo
si
addensava
una
bufera
di
sangue
.
Ma
le
«
coppole
storte
»
della
mafia
,
obbedienti
soltanto
alla
loro
«
legge
»
,
avevano
un
solo
obbiettivo
:
Bernardino
Verro
.
Novembre
1918
.
Anche
nei
più
remoti
villaggi
della
Sicilia
,
le
campane
squillanti
a
doppio
salutarono
l
'
armistizio
.
Decine
e
decine
di
milioni
di
uomini
,
in
venti
nazioni
,
festeggiarono
la
pace
.
Ma
nei
dintorni
di
Corleone
,
proprio
quel
4
novembre
,
due
sicari
silenziosi
e
duri
,
incuranti
d
'
ogni
altra
cosa
,
aguzzavano
gli
occhi
d
'
onice
sulla
curva
solitaria
di
una
certa
trazzera
.
Aspettavano
al
varco
Antonio
Barbaccia
.
Barbaccia
,
da
una
decina
di
giorni
,
stava
aspettando
,
con
antica
rassegnazione
,
la
morte
.
La
incontrò
quel
pomeriggio
.
Stramazzò
mentre
le
campane
del
suo
paese
annunciavano
la
fine
del
primo
macello
mondiale
.
Né
guerra
,
né
pace
,
né
passo
di
pattuglie
,
né
lacrime
di
figli
,
né
suppliche
di
madri
,
né
interpellanze
alla
Camera
:
nulla
può
arrestare
gli
«
uccisori
»
della
mafia
,
quando
arriva
il
momento
di
colpire
.
Forse
non
sono
neppure
feroci
,
nemmeno
crudeli
.
Sono
soltanto
dei
«
robot
»
,
la
cui
intima
freddezza
contrasta
coi
ciuffi
meridionali
e
il
lampeggiare
degli
occhi
mediterranei
.
Forse
,
sotto
un
'
apparenza
calda
,
meridionale
,
conservano
fredde
gocce
di
sangue
normanno
,
o
impassibili
globuli
di
sangue
levantino
.
I
«
grandi
capi
»
del
gangsterismo
siculo
-
americano
,
a
Chicago
e
Nuova
York
,
tristi
e
laconici
sotto
pesanti
cappelli
di
feltro
garantito
,
da
cento
dollari
,
non
hanno
più
nulla
di
latino
.
Marciano
,
implacabili
,
fra
due
taciturne
guardie
del
corpo
,
come
cavalieri
di
un
'
Apocalisse
moderna
.
Il
vento
dell
'
enorme
miseria
patita
in
gioventù
li
spinge
alle
spalle
.
Impararono
l
'
uso
del
gabinetto
a
vent
'
anni
,
spesso
più
tardi
.
Offrono
a
«
bambole
»
come
Virginia
Hill
,
Liz
Renay
o
Hope
Dare
,
collane
di
diamanti
degne
di
una
regina
,
sanno
perdere
al
gioco
cifre
colossali
senza
scomporsi
;
lasciano
cinquanta
dollari
di
mancia
ai
camerieri
del
Morocco
:
ma
continuano
a
chiamare
il
gabinetto
«
bacauso
»
.
Perché
í
loro
nonni
e
padri
,
quando
arrivarono
in
America
,
non
conoscevano
altro
gabinetto
che
il
terreno
incolto
«
dietro
casa
»
Back
-
house
.
La
ricchezza
e
la
miseria
generano
,
in
modo
diverso
,
la
stessa
solitudine
.
Non
hanno
patria
.
Obbediscono
soltanto
a
due
leggi
:
«
fai
paura
»
o
«
aver
paura
»
.
Tutto
il
resto
,
per
le
«
coppole
»
di
Corleone
per
i
«
feltri
»
di
Nuova
York
,
è
riempitivo
.
Il
delitto
di
Corleone
del
13
ottobre
,
attribuito
alla
solita
disparità
d
'
interessi
fra
i
soci
vivi
e
defunti
dell
'
«
azienda
armentizia
»
di
Piano
Scala
,
è
la
controprova
,
se
ve
ne
fosse
bisogno
,
che
il
regno
della
mafia
attorno
a
Palermo
,
Caltanissetta
,
Agrigento
e
Trapani
,
è
più
forte
che
mai
.
Pensare
di
poterlo
liquidare
con
le
solite
,
vetuste
repressioni
poliziesche
,
con
le
deportazioni
in
massa
,
i
blocchi
permanenti
,
le
leggi
straordinarie
(
si
potrebbero
anche
chiamare
«
illegalità
»
eccezionali
)
di
cui
andava
impettito
il
prefetto
Cesare
Mori
,
fiero
di
aver
mandato
alle
isole
anche
i
bambini
di
dieci
anni
,
sarebbe
follia
più
che
ingenuità
.
La
mafia
è
,
prima
di
tutto
,
in
Sicilia
come
negli
Stati
Uniti
,
uno
strumento
troppo
utile
per
soccombere
ai
risentimenti
moralistici
e
alle
operazioni
della
burocrazia
militare
.
Dietro
le
spalle
del
funzionario
o
del
generale
incaricato
di
drastici
provvedimenti
possono
maturare
intese
e
accordi
a
più
alto
livello
.
Nel
1927
,
mentre
Cesare
Mori
,
in
giacca
di
fustagno
e
stivali
gialli
,
polverizzava
intere
popolazioni
,
mute
di
sgomento
e
gialle
di
malaria
,
Mussolini
strizzava
l
'
occhio
ai
grandi
mafiosi
,
già
muniti
di
tessera
e
scudetto
.
Il
Machiavelli
di
Predappio
,
individuate
le
profonde
infiltrazioni
dell
'
«
onorata
società
»
fra
gli
emigrati
siciliani
in
Tunisia
,
stava
servendosene
per
introdurre
clandestinamente
nell
'
Africa
Occidentale
francese
armi
e
munizioni
,
da
impiegare
in
un
'
eventuale
rivolta
filo
-
italiana
.
Attraverso
la
stessa
identica
rete
di
collegamenti
che
oggi
alimenta
il
traffico
delle
sigarette
americane
e
degli
stupefacenti
,
gli
agenti
segreti
di
Mussolini
riuscirono
a
piazzare
nelle
cantine
di
Tunisi
e
Biserta
30.000
moschetti
,
12.000
pistole
,
3
milioni
di
proiettili
,
90
mitragliatrici
e
3000
bombe
a
mano
.
Le
spedizioni
,
in
un
'
atmosfera
da
scoglio
di
Quarto
,
partivano
perlopiù
da
Trapani
,
Gela
e
Licata
.
È
inutile
dire
che
molte
delle
armi
destinate
alla
nostra
riscossa
mediterranea
restavano
regolarmente
in
Sicilia
,
a
sostituire
gli
arsenali
sequestrati
da
Cesare
Mori
.
Nel
1945
,
quando
i
baroni
crearono
l
'E.V.I.S
.
(
Esercito
Volontario
Indipendenza
Siciliana
)
,
spendendo
più
parole
che
quattrini
,
un
nobiluomo
palermitano
si
ricordò
di
avere
ancora
,
nascoste
in
una
villa
di
campagna
,
diverse
armi
sottratte
ai
carichi
«
irredentistici
»
di
trenta
anni
fa
.
Per
quanto
un
po
'
muffite
,
Concetto
Gallo
,
generale
in
seconda
dell
'
indipendentismo
(
il
primo
,
sulla
carta
,
era
Giuliano
)
,
le
distribuì
alle
reclute
in
addestramento
al
Quartier
Generale
di
San
Mauro
,
sopra
Caltagirone
.
Anche
Mussolini
,
fautore
di
una
«
politica
solare
»
,
ripulitore
di
angolini
,
antepose
la
ragion
politica
alla
distruzione
radicale
della
mafia
.
E
come
lui
,
dopo
di
lui
,
l
'
opportunismo
politico
,
variamente
colorato
,
spinse
alcuni
esponenti
democratici
della
Sicilia
occidentale
a
compromessi
e
patteggiamenti
,
più
o
meno
segreti
,
coi
capi
delle
«
bocche
cucite
»
.
Ognuno
per
conto
proprio
,
fingendo
d
'
ignorare
le
rispettive
manovre
,
i
candidati
alle
elezioni
del
'46
,
del
'48
e
via
dicendo
,
strinsero
accordi
coi
medesimi
«
pezzi
da
90»
:
distributori
di
voti
«
ciechi
»
,
trasferibili
,
a
decine
di
migliaia
e
con
un
semplice
cenno
,
da
un
capo
all
'
altro
dello
schieramento
elettorale
.
Prezzo
dei
voti
,
la
promessa
di
favoritismi
,
vantaggi
economici
,
tolleranza
e
impunità
.
Nel
1924
,
in
un
famoso
comizio
per
le
elezioni
di
Palermo
,
Vittorio
Emanuele
Orlando
dichiarò
pubblicamente
di
apprezzare
le
«
virtù
virili
»
e
le
«
alte
qualità
umane
»
dei
mafiosi
.
Tali
accenti
suscitarono
,
allora
,
alte
polemiche
.
Ma
tutto
sommato
,
malcostume
a
parte
,
le
condizioni
economiche
e
gli
interessi
prevalentemente
agricoli
dell
'
Isola
mantenevano
le
collusioni
fra
politici
e
mafia
a
un
livello
piuttosto
modesto
,
a
proporzioni
paesane
,
di
«
cosca
»
e
di
famiglia
.
D
'
altra
parte
,
il
gioco
delle
«
clientele
»
elettorali
era
diffuso
e
scontato
in
tutto
il
Meridione
.
Anche
nella
Sicilia
orientale
,
dove
la
mafia
non
ebbe
mai
radici
,
l
'
influenza
dei
baroni
creava
o
distruggeva
,
spesso
a
capriccio
,
la
fortuna
di
un
uomo
politico
.
Celebre
il
caso
di
due
candidati
,
Crisafulli
Mondio
,
agrario
,
e
di
Cesarò
,
democratico
sociale
,
ambedue
condizionati
dall
'
appoggio
del
barone
locale
.
Costui
disponeva
di
2999
voti
.
Si
trovava
in
grande
imbarazzo
circa
la
loro
assegnazione
:
non
già
per
scrupoli
di
natura
politica
,
ma
perché
i
due
gli
erano
egualmente
cari
e
simpatici
.
Tagliò
la
testa
al
toro
,
una
settimana
prima
delle
elezioni
,
disponendo
,
tramite
campieri
,
massari
e
uomini
di
fiducia
,
che
1499
voti
andassero
a
un
candidato
e
1500
all
'
altro
.
Oggi
la
mafia
è
assai
diversa
da
quella
che
sosteneva
alle
urne
Vittorio
Emanuele
Orlando
.
L
'
aiuola
siciliana
produce
frutti
assai
più
ghiotti
di
quelli
di
una
volta
.
Molti
zeri
si
sono
accodati
alla
cifra
del
reddito
regionale
.
L
'
«
onorata
società
»
,
trasferitasi
negli
Stati
Uniti
,
ha
frequentato
l
'
università
di
«
Tammany
Hall
»
,
centrale
siculo
-
americana
del
partito
democratico
a
Nuova
York
;
ha
guardato
a
fondo
nel
meccanismo
politico
-
mercantile
del
Paese
più
ricco
e
sanguigno
del
mondo
;
ha
imparato
come
si
«
controlla
»
un
sindacato
,
un
grande
porto
,
come
si
può
legare
una
fabbrica
di
abiti
o
di
motori
a
una
catena
di
alberghi
o
di
case
da
gioco
.
Ha
imparato
,
soprattutto
,
a
maneggiare
e
impiegare
il
danaro
con
estrema
disinvoltura
:
considerandolo
un
mezzo
e
non
un
fine
.
Ecco
perché
,
attualmente
,
i
legami
fra
la
mafia
e
certi
uomini
politici
dell
'
Isola
sono
più
pesanti
e
complessi
;
ecco
perché
,
prevedendo
l
'
aggravarsi
di
una
situazione
già
purulenta
negli
anni
dell
'
immediato
dopoguerra
,
la
rivista
«
dossettiana
»
«
Cronache
Sociali
»
,
già
citata
nel
corso
di
questa
rapida
inchiesta
,
incitava
caldamente
la
classe
dirigente
siciliana
a
sganciarsi
dal
vecchio
carro
,
ad
abbandonare
le
tradizionali
combutte
.
L
'
esortazione
,
oggi
come
oggi
,
è
ancora
più
valida
.
Mai
come
in
questo
momento
,
mentre
le
sue
antiche
strutture
economiche
e
sociali
si
stanno
rapidamente
evolvendo
,
la
Sicilia
ebbe
necessità
di
rinnovare
il
proprio
quadro
sociale
.
Ciò
che
purtroppo
non
avvenne
circa
un
secolo
fa
,
con
lo
sbarco
di
Garibaldi
,
e
l
'
avvento
dell
'
unità
nazionale
affrettato
dal
forcipe
franco
-
inglese
,
in
funzione
antitedesca
,
è
oggi
in
via
di
realizzazione
.
Dal
bozzolo
confuso
di
una
terra
contadina
e
pastorile
,
allagata
di
solitudini
e
di
silenzi
,
umiliata
dalla
trascuratezza
dei
governi
,
sta
per
uscire
una
farfalla
industriale
.
L
'
emancipazione
delle
province
orientali
,
Messina
,
Catania
,
Siracusa
,
va
estendendosi
verso
occidente
.
Se
in
questo
processo
di
trasformazione
,
una
vasta
,
profonda
e
coraggiosa
revisione
del
costume
politico
non
estrometterà
dalla
vita
pubblica
dell
'
Isola
l
'
influenza
corruttrice
della
mafia
,
l
'
antica
peste
feudale
s
'
impossesserà
delle
fabbriche
,
delle
miniere
,
degli
uffici
,
dei
trasporti
,
degli
appalti
.
Dopo
le
paure
di
un
Medioevo
agrario
,
i
siciliani
conosceranno
i
terrori
di
un
Medioevo
industriale
.
Più
forte
di
qualsiasi
partito
o
corrente
di
partito
.
La
Sicilia
è
una
terra
antica
e
generosa
.
La
sua
popolazione
,
cinque
milioni
di
individui
,
un
decimo
di
quella
italiana
,
è
il
prodotto
di
molteplici
incroci
,
di
vicissitudini
storiche
che
vanno
dagli
albori
della
civiltà
umana
allo
sbarco
alleato
dell
'
estate
'43
.
Genti
del
Nord
,
del
Sud
,
dell
'
Occidente
e
dell
'
Oriente
vi
s
'
incontrarono
;
vi
lasciarono
lembi
di
linguaggio
,
usanze
,
tempeste
d
'
odio
,
furie
d
'
amore
.
Perfino
la
mafia
,
degenerata
attraverso
i
secoli
,
ma
specialmente
negli
ultimi
quarant
'
anni
,
in
strumento
di
oppressione
e
d
'
«
intrallazzo
»
,
nacque
dal
bisogno
di
sopperire
in
qualche
modo
alla
deficienza
e
alla
trascuratezza
dei
poteri
centrali
.
Non
è
possibile
che
in
un
«
humus
»
tanto
ricco
non
si
trovino
,
senza
necessità
di
leggi
umilianti
e
di
battaglioni
in
assetto
di
guerra
,
le
forze
necessarie
a
vincere
la
malvivenza
organizzata
e
il
malcostume
politico
.
Nel
1949
,
Angelo
Vicari
,
allora
prefetto
di
Palermo
,
oggi
prefetto
di
Milano
,
fece
pervenire
alle
superiori
autorità
un
coraggioso
rapporto
sul
riprovevole
comportamento
di
alcuni
parlamentari
siciliani
,
palesemente
legati
,
se
non
addirittura
affiliati
alla
mafia
.
Vicari
era
,
allora
,
uno
dei
più
giovani
,
forse
il
più
giovane
prefetto
d
'
Italia
.
Nato
nella
Sicilia
orientale
,
a
Sant
'
Agata
di
Militello
,
in
provincia
di
Messina
,
arrivò
a
Palermo
in
tempo
per
ereditare
il
peso
di
tutti
gli
intrighi
,
indipendentistici
,
separatistici
,
briganteschi
,
accumulatisi
dal
'43
alle
elezioni
del
luglio
'48
.
Siciliano
dell
'
altra
sponda
,
poco
più
che
quarantenne
,
di
idee
vivaci
e
moderne
,
il
prefetto
mise
decisamente
il
dito
sulla
piaga
,
o
perlomeno
su
una
delle
piaghe
principali
.
Consigliò
di
neutralizzare
d
'
urgenza
alcuni
uomini
politici
di
primo
piano
.
Il
coraggioso
rapporto
,
dopo
aver
ondeggiato
come
una
foglia
d
'
autunno
,
scivolò
nelle
pieghe
secolari
della
vita
romana
.
Svanì
.
Oggi
,
dietro
le
belle
casse
da
morto
,
con
borchie
di
ottone
e
maniglie
di
bronzo
,
intagli
e
intarsi
,
dentro
le
quali
i
mafiosi
trucidati
viaggiano
verso
il
cimitero
,
non
è
raro
vedere
,
vestito
di
scuro
,
pallido
e
commosso
,
uno
di
quei
parlamentari
che
il
prefetto
Vicari
,
nove
anni
or
sono
,
nominò
nel
suo
fantomatico
rapporto
.
Il
giorno
che
i
«
pezzi
da
90»
come
Michele
Navarra
di
Corleone
e
Vanni
Sacco
di
Camporeale
,
come
Gerolamo
Vizzini
e
Ciccio
Cottone
,
andranno
al
camposanto
senza
deputati
,
la
Sicilia
occidentale
conoscerà
,
finalmente
,
una
nuova
stagione
.
StampaQuotidiana ,
È
molto
probabile
che
,
nei
prossimi
mesi
,
il
Biffi
Scala
perda
,
temporaneamente
,
uno
dei
suoi
clienti
più
assidui
.
Sembra
infatti
che
una
Casa
cinematografica
americana
abbia
deciso
di
chiamare
a
Hollywood
Tom
Antongini
,
per
affidargli
la
consulenza
di
un
film
imperniato
sul
tormentato
amore
di
Eleonora
Duse
e
Gabriele
D
'
Annunzio
.
Il
nome
di
Antongini
sarebbe
stato
suggerito
ai
produttori
dal
conte
Rasponi
,
che
vive
da
parecchi
anni
a
Nuova
York
,
dove
si
occupa
di
moda
e
di
arredamenti
.
Il
consiglio
è
perlomeno
logico
.
A
parte
qualche
inevitabile
frangia
letteraria
,
gli
scritti
dannunziani
di
Antongini
sono
i
più
ricchi
e
documentati
dal
punto
di
vista
aneddotico
.
Il
vecchio
signore
che
tutte
le
sere
entra
al
«
Biffi
»
per
l
'
aperitivo
,
fu
per
molti
anni
accanto
all
'
Imaginifico
,
ne
raccolse
gli
sfoghi
e
le
confidenze
minute
.
Se
davvero
gli
verrà
proposto
di
recarsi
a
Hollywood
,
quasi
certamente
accetterà
.
A
meno
che
non
preferisca
,
invece
,
gettarsi
anima
e
corpo
nella
campagna
elettorale
,
giacché
il
suo
nome
figura
nella
lista
del
Partito
monarchico
popolare
.
Circa
il
soggetto
del
film
,
non
si
hanno
finora
notizie
precise
.
Da
quanto
è
trapelato
,
dovrebbe
avere
come
sfondo
la
vita
artistica
e
mondana
della
Venezia
fine
Ottocento
:
quella
che
raccolse
l
'
ultimo
respiro
di
Wagner
e
vide
il
naso
rosso
del
miliardario
Morgan
sbucare
dal
portone
dell
'
Hòtel
Danieli
.
La
Venezia
,
lampeggiante
di
marmi
e
di
cristalli
,
in
cui
D
'
Annunzio
e
la
Duse
,
fra
due
carezze
,
si
divertivano
ad
aizzare
levrieri
dai
nomi
arcani
:
Crissa
,
Altair
,
Sirius
,
Piuchebella
,
Nerissa
.
La
materia
sarebbe
già
un
osso
duro
per
qualsiasi
sceneggiatore
e
regista
europeo
.
Figuriamoci
cosa
diventerà
nelle
mani
sbrigative
degli
americani
.
Se
è
vero
,
del
resto
,
che
il
buon
giorno
si
vede
dal
mattino
,
basta
la
scelta
degli
attori
che
dovrebbero
impersonare
Gabriele
ed
Eleonora
,
per
capire
come
andrà
a
finire
:
Rossano
Brazzi
e
Marilyn
Monroe
.
È
già
qualcosa
,
se
si
pensa
che
per
via
dell
'
incipiente
calvizie
la
parte
di
D
'
Annunzio
avrebbero
potuto
affidarla
all
'
ex
-
campione
mondiale
dei
pesi
medi
Carmen
Basilio
.
Tutto
lascia
prevedere
che
se
andrà
a
Hollywood
,
Antongini
rimpiangerà
molto
presto
il
Biffi
Scala
.
Orson
Welles
è
considerato
l
'
attore
meno
elegante
del
mondo
.
È
il
primo
a
riconoscerlo
.
«
Assomiglio
a
un
letto
matrimoniale
rifatto
da
una
bambina
di
cinque
anni
»
,
ha
detto
tempo
fa
.
StampaQuotidiana ,
Mi
hanno
raccontato
la
storia
del
lucchese
Fantucchi
.
Risale
a
una
quarantina
d
'
anni
fa
,
quando
le
imprese
dei
lucchesi
,
nelle
cinque
parti
del
mondo
,
avevano
ancora
un
sapore
pionieristico
.
Il
Fantucchi
era
tipo
piuttosto
.
ruvido
e
di
poche
parole
.
I
suoi
concittadini
,
che
lo
avevano
visto
partire
per
l
'
Argentina
con
due
camicie
in
un
fagotto
,
restarono
piuttosto
sorpresi
vedendolo
tornare
ricco
a
milioni
dopo
pochissimi
anni
.
Quanto
ad
abitudini
,
aveva
conservato
quelle
d
'
una
volta
.
Gli
piaceva
giocare
a
scopone
nelle
osterie
di
Borgo
Giannotti
e
di
Pelleria
,
succhiando
un
sigaro
.
Solo
quando
partiva
alla
caccia
di
sciantose
si
metteva
un
impeccabile
frac
.
Una
sera
,
all
'
osteria
,
un
conoscente
più
ardito
degli
altri
,
gli
chiese
:
«
O
Fantucchi
,
come
mai
c
'
è
tanti
che
per
far
quattrini
nelle
Americhe
ci
stanno
una
vita
,
e
voi
avete
fatto
così
presto
?
»
Il
Fantucchi
trasferì
il
sigaro
all
'
altro
angolo
della
bocca
,
poi
,
senza
alzare
gli
occhi
dal
ventaglio
delle
carte
,
rispose
:
«
Capitai
a
Mendoza
col
mio
socio
.
Per
un
po
'
restammo
a
vedere
,
poi
,
un
giorno
,
prendemmo
una
vacca
e
le
attaccammo
un
campanaccio
al
collo
.
Ci
mettemmo
dietro
la
bestia
e
andammo
là
là
,
per
quelle
pampe
,
e
restammo
fuori
una
decina
di
giorni
.
Quando
tornammo
a
Mendoza
,
di
vacche
ne
avevamo
più
di
trecento
»
.
«
O
Fantucchi
»
,
fece
l
'
altro
spalancando
gli
occhi
,
«
ma
allora
le
vacche
le
rubavate
!
»
Il
Fantucchi
non
si
scompose
.
Ritrasferì
d
'
angolo
il
sigaro
,
calò
un
quattro
di
danari
,
poi
disse
:
«
Macché
rubbà
e
rubbà
.
S
'accodavino...»
A
Nuova
York
circolano
le
prime
automobili
private
munite
di
radio
-
telefono
.
È
severamente
proibito
adoperarlo
quando
la
macchina
è
in
marcia
.
Richiesto
di
definire
i
socialdemocratici
,
Antonio
Delfini
ha
detto
:
«
Sono
quelli
che
danno
il
dolce
alla
donna
di
servizio
»
.
StampaQuotidiana ,
Non
si
può
,
ogni
tanto
,
non
interessarsi
di
pugilato
.
A
proposito
di
questo
sport
,
certamente
molto
diverso
dal
ping
-
pong
,
dal
golf
e
dalla
ginnastica
artistica
,
le
opinioni
sono
contrastanti
.
Vi
è
chi
lo
giudica
una
fiera
della
brutalità
e
chi
lo
accetta
come
la
più
esplicita
e
virile
delle
prove
agonistiche
.
Ma
è
un
fatto
che
la
televisione
,
per
la
quale
il
pugilato
è
lo
spettacolo
ideale
,
ha
convertito
molta
gente
.
Nella
primavera
dell
'
anno
scorso
,
un
distinto
avvocato
milanese
mi
raccontò
che
sua
madre
,
settanteseienne
,
si
rifiutava
di
assistere
alle
trasmissioni
della
TV
,
compreso
«
Lascia
o
raddoppia
»
,
con
la
sola
eccezione
dei
programmi
pugilistici
.
La
vecchia
signora
,
che
fino
ad
allora
aveva
condannato
ogni
forma
di
violenza
si
entusiasmava
ogni
volta
che
i
raggi
catodici
le
portavano
a
domicilio
le
sventolone
di
Cavicchi
o
gli
uncini
elettrici
di
Loi
.
Non
solo
:
la
mattina
dopo
,
a
tavola
,
cercava
di
orientare
la
conversazione
verso
i
combattimenti
,
e
avanzava
giudizi
,
sempre
più
ferrati
,
sui
difetti
e
le
virtù
dei
vari
atleti
.
Basta
conoscere
un
poco
le
donne
,
adolescenti
od
ottuagenarie
,
per
sapere
che
di
fronte
a
due
uomini
che
si
picchiano
non
sono
mai
così
impressionate
e
sgomente
come
,
per
dovere
femminile
,
dimostrano
.
Ognuno
di
noi
conosce
qualche
vecchia
signora
,
fragile
come
un
passerotto
,
che
al
momento
buono
dimostra
il
coraggio
e
la
risolutezza
di
un
«
kamikaze
»
.
Ma
confesso
che
l
'
altra
sera
,
al
Cinema
Nazionale
,
mentre
si
svolgeva
il
«
match
»
Garbelli
-
St
.
Louis
,
l
'
interesse
e
lo
sguardo
acceso
di
alcune
spettatrici
più
'
che
mature
mi
hanno
impressionato
.
Una
specialmente
,
dai
capelli
grigi
sotto
uno
scodellino
di
velluto
viola
,
appartenente
,
senza
dubbio
,
alla
media
borghesia
commerciale
milanese
,
la
quale
,
due
file
dietro
alla
mia
,
fissava
il
ring
incandescente
senza
battito
di
ciglia
,
e
accompagnava
con
lievi
movimenti
delle
spalle
i
colpi
dei
pugilatori
.
Si
ha
un
bel
dire
.
Sotto
il
coperchio
della
civiltà
,
la
pentola
umana
bolle
ancora
per
fuochi
primordiali
.
Sollevate
un
poco
il
coperchio
,
e
vi
accorgete
che
le
nostre
signore
,
di
fronte
a
un
buon
pestaggio
,
si
comportano
come
le
cerbiatte
nella
radura
del
bosco
,
quando
i
cervi
decidono
a
cornate
la
partita
matrimoniale
.