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Viridiana di Luis Buñuel ( Grazzini Giovanni , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Grazie alla censura Viridiana era divenuto un mito , e sventolato come una bandiera . Ora che anche in Italia lo possiamo vedere in edizione integrale si può dire che su quel vessillo ci sono molti segni , ma non tutti riconducibili a un ' interpretazione anticlericale e antifranchista di comodo . È vero che tutto fa brodo , agli occhi dei fanatici , ma Buñuel non è un uomo di cinema che si lasci facilmente utilizzare come strumento di polemica politica : cercare nella sua opera troppi significati moralistici equivale , anzi , a ridurne di molto la personalità artistica . L ' ha detto chiaro : Viridiana non vuole dimostrare nulla , soltanto esprimere , con i modi dell ' umor nero , ossessioni erotiche e religiose . Le stesse che da molti decenni devastano l ' animo inquieto di questo spagnolo uscito da una facoltosa famiglia di terrieri cattolici , educato dai gesuiti , passato attraverso l ' esperienza del surrealismo come attraverso una scuola di eversione di ogni valore conformistico ; infine , esule dalla patria con tutto il bagaglio di stimoli spirituali e di suggestioni culturali che hanno esasperato una naturale vocazione tragica . Se dunque , invece , si vuole anatomizzare il film per cercarvi il messaggio , non rischiamo di trovarci i cascami di un picarismo letterario e di un anarchismo ottocentesco , se non addirittura di un terribilismo alla Sade inserito con qualche snobismo nel filone dell ' irrazionalismo novecentesco ? Senza dire che L ' Angelo sterminatore , il film successivo a Viridiana , e che si vide l ' anno scorso a Cannes , non avrebbe portato avanti il discorso , anzi avrebbe ribadito quella che sembra l ' unica costante delle cupe invenzioni di Buñuel : l ' insofferenza per le convenzioni , la malinconia per la condizione di schiavitù propria degli uomini . Buñuel resta , a nostro avviso , un nichilista la cui forza poetica è data proprio dalla coerenza con cui esprime la sua disperazione di non poter sostituire nulla all ' ordine che vuol distruggere . Chi ne fa un profeta della rivoluzione dovrebbe chiedersi di quali valori positivi si fa apportatore Buñuel con un film come Viridiana . L ' immagine finale che egli ci offre del mondo , dopo la sconfitta del bene e del male , è perplessa e sarcastica . È una partita a carte in cui tutti sono coinvolti . Egli esprime , semplicemente , la vanità degli sforzi dell ' individuo senza proporci con convinzione l ' alternativa collettivistica . Se egli irride , oggi , la carità di quanti percorrono le strade del Novecento puntellandosi a un ' emblematica medievale ( tale gli sembrano la croce , il martello , i chiodi e la corona di spine ai quali Viridiana s ' aggrappa ) , non perciò mostra di aver maggiore fiducia in chi lavora di zappa e calcina . Questi avranno più meriti agli occhi del mondo , ma anche la loro esistenza è presa nel gran gioco di un destino di falsità . Si vuoi dire che , con virulenza di visionario e il gusto del ripugnante che gli deriva dalla tradizione artistica spagnola , Buñuel grida troppo forte perché la vena di rimpianto , l ' ansia di purezza assoluta che forse gli serpeggia nel corpo gonfio di sdegni non si secchi nello stagno dello scetticismo . Proprio per questo , come non abbiamo un tribuno , così abbiamo un fortissimo artista ( e anche un maestro di cinema ) , che spezza ogni mito ideologico con la potenza fantastica e figurativa ; che ci propone un universo poetico compatto nel delirio del sentimento , e lo esprime con un linguaggio che risolve tutti i contenuti in una forma grondante di incisività . Viridiana è un esempio calzante della assunzione di tutti i valori nello stile . Se ha modi , e tecnica , di vecchio stampo , ivi compreso il sovrabbondante ricorso alla simbologia , è perché Buñuel appartiene a una generazione artistica di estrazione naturalistica che non lasciava i margini dei libri troppo bianchi , perché i lettori proseguissero l ' opera per proprio conto . Un romanzo era un romanzo , non una proposta di romanzo ; e un film un racconto in cui l ' autore realizzava tutto se stesso . O prendere o lasciare . La storia di Viridiana ( Silvia Pinal ) è quella di una novizia che si perde . Comincia sulle note di Mozart e di Händel , e finisce sui ritmi del jazz . Alla vigilia di prendere i voti , Viridiana va a far visita a un vecchio zio ( Fernando Rey ) che abita in una villa di campagna , ossessionato dalla memoria della moglie mortagli trent ' anni prima , la sera stessa delle nozze , e che egli custodisce attraverso il culto feticista per i suoi abiti da sposa . Identificando Viridiana con la moglie , lo zio le chiede di sposarlo , e al suo rifiuto la droga , con la complicità di una serva , dopo averle chiesto , come ultimo favore , di indossare il bianco abito di nozze che egli ha conservato per tutti quegli anni . Priva di conoscenza , la novizia subirebbe l ' oltraggio del vecchio , se questi non fosse all ' ultimo momento trattenuto dalla speranza di possederla legittimamente con una menzogna : facendole credere , l ' indomani mattina , che nella notte egli le ha fatto violenza . Inorridita , Viridiana lascia la casa per tornare al convento , senza perdonare lo zio , ma quando sta per partire viene avvertita che il vecchio si è impiccato e l ' ha lasciata erede , insieme a un cugino , della fattoria . La ragazza si considera responsabile del gesto dello zio : per espiare rinunzierà a farsi suora , ma si darà a opere di bene , accogliendo nella fattoria quanti mendicanti , ladri , vagabondi , troverà nel paese : il suo peccato d ' orgoglio confina con l ' ingenuità . Arriva intanto il cugino Jorge ( Francisco Rabal ) , che vuol riorganizzare la proprietà e appoderare i campi abbandonati . È un bell ' uomo , e ha con sé un ' amante , ma se ne libera presto perché ha messo gli occhi su Viridiana , benché la consideri una « bigotta marcia » e intanto si gode la serva . La cugina , ritiratasi in una misera stanzetta , è intenta soltanto alla preghiera e alla beneficienza , tutta circondata di speranze mistiche e di fiducia nell ' avvenire . Mentre i suoi vagabondi recitano l ' Angelus , i muratori di Jorge lavorano e sudano . Due modi di affrontare la vita , dopotutto . Un giorno , assenti i padroni , i poveri invadono la villa e la mettono a soqquadro , insozzano le stanze , profanano ogni simbolo di purezza , finalmente si siedono a banchetto facendosi « fotografare » lubricamente nell ' atteggiamento dell ' Ultima Cena . Sorpresi dai padroni , uno dei mendicanti tenta di violentare Viridiana , ma il cugino la salva convincendo uno di loro ad uccidere , per denaro , l ' amico . Tramontata la sua illusione di poter fare del bene , Viridiana tenta ancora di resistere all ' istinto della femminilità che si è svegliato in lei ; ma è fatale che cada : il male del vivere è più forte , ormai , della sua fede . La corona di spine brucia in un falò , la donna va a sedersi al tavolo dove il cugino e la serva giocano a carte : ora , sul grammofono , gira un disco di cha - cha - cha . La realtà vince il sogno . E il disprezzo di Buñuel ha coinvolto tanto la superstizione religiosa quanto l ' erotismo dei vecchi , la corruzione dell ' infanzia e le buone intenzioni di Viridiana . La sua « corte dei miracoli » ha corroso , con il vieto concetto di beneficenza , l ' ipotesi stessa del bene . Non è certo da un laido sottoproletariato che viene la speranza : esso è servito a inserire Viridiana in una società filistea , ma non a proporre un ricambio sociale . Se vogliamo restare fedeli alle intenzioni di Buñuel , il suo film è un grottesco che non a caso ebbe , oltre alla palma d ' oro di Cannes nel 1961 , il premio dell ' humour noir . Non . come anche è stato detto , soltanto una serie di gags , ma certamente il frutto di una fantasia lugubre , che si esercita su alcuni mali della società contemporanea con gusto autodistruttivo , riscattato soltanto da una assoluta libertà morale . Se nel film c ' è qualcosa di blasfemo è questo incrudelire sull ' uomo a vantaggio dell ' artista , che si getta con voluttà in una ricostruzione tendenziosa della realtà , e riesce a dipingerla con tinte così forti e cupe da mettere i brividi . Se il mondo fosse questo , meglio spararsi . È raro che il cinema riesca a dare una così dura impressione . Quando lo fa , vuol dire che le scene , così pregnanti , sono uscite dalle mani di un vero creatore , il quale si assume molte responsabilità purché gli si riconosca sincerità con se stesso . Triviale , cinico , truculento , tutto si potrà dire di Buñuel tranne che non sia un autentico spagnolo ossessionato dalla cecità degli uomini e dalla nostalgia della pietà .
Otto e mezzo di Federico Fellini ( Grazzini Giovanni , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Otto e mezzo di Federico Fellini : il miele dell ' illusione fornito dalla magia contro la vita agra , la fuga dell ' individuo dal pessimismo cattolico in una serena finzione di solidarismo , una sorta di fantastico balletto sulla passerella dell ' esistenza . Una favola e un incubo , dal quale si esce impietositi per gli uomini , se non ci consolasse questa facoltà dell ' arte , sorella della stregoneria , di rendere toccabile , e perciò vero , il mondo dell ' ignoto in cui si dibatte la coscienza . È forse lo sforzo più duro che Fellini abbia compiuto sinora per compromettere tutto se stesso nella ricerca di sé e di quanto lo leghi agli altri . Protagonista è Guido , un regista sui quarantacinque , famoso , ricco , sposato , con un ' amante quieta , e quante altre donne vuole intorno . Dovendo fare un film , ha pensato confusamente a qualcosa di fantascienza , una nave spaziale che porti su un altro pianeta i resti dell ' umanità decimata dalla peste atomica . Una malattia , e la paura della morte , improvvisamente lo blocca . Subito un incubo : di restare soffocato nell ' automobile , e l ' umanità che assiste al lugubre spettacolo . Vola in cielo , ma qualcosa lo lega : un impegno di responsabilità , che non riesce ad affrontare , ma al quale non può sfuggire : la sua vita privata , il film , gli attori che pendono da lui , i piani di lavorazione . Come vogliono i medici , va a curarsi in una stazione termale . È il momento in cui Guido rimette tutto in discussione . È in crisi il suo talento , le idee sono nebbiose , non sa come portare avanti il film . È , a rimorchio , è in crisi la sua coscienza . Non ha mai saputo rinunziare a niente , non ha mai saputo scegliere una cosa sola e restarle fedele . Ora i rimorsi sono giunti a maturazione , lo macerano nella scontentezza e nella solitudine . Si guarda intorno : uno scrittore , chiamato a collaborare alla stesura del film , gli distrugge , con freddo razionalismo , quanto ha fatto sinora ; un amico , non più giovane , ha lasciato la moglie e , pur di sentirsi qualcuno vicino , ha preso per amante una compagna di scuola della figlia ; la gente che circola per le strade , ricca , soddisfatta , ha spento nell ' abitudine e nella finzione sociale ogni stimolo verso la verità . C ' è una bella ragazza , alla fonte , che gli porge il bicchiere , e gli fa indovinare un ideale di purezza , ma appare e scompare come un fantasma . È non sarà anch ' essa , per lui , un ' ambizione di conquista , per continuare a mentire sotto il velo di un lavacro d ' innocenza ? Arriva Carla , l ' amante di Guido , bianca di pelle , pastosa , tutta mossettine , positiva . Altre volte gli bastò rifugiarsi nella sua soda stupidità . Ora non più : se ne vergogna , la sistema in un alberghetto . A letto con lei , trasognato dal suo bianco , Guido si assopisce e si trova nella luce di un cimitero . Il padre , che torna a morire calandosi vivo nella terra ; la madre , dolente , che all ' improvviso assume il volto di Luisa , la moglie di Guido ... I ricordi , le presenze , gli si confondono e lo mordono : non è stato giusto con nessuno , non ha fatto mai nulla per gli altri . Intanto tutta la troupe del film l ' ha raggiunto : il produttore , gli attori , i tecnici premono perché spieghi cosa vuoi fare , come distribuire le parti , perché scelga e risponda . La sera , al night delle terme , un mago fa esperimenti di telepatia . Perché egli riesce a indovinare il pensiero degli altri , e Guido non sa più vedere nemmeno in se stesso ? Eppure il passato gli è vivo dinanzi : l ' infanzia nella fattoria , in Romagna , la felice sicurezza dei giochi , le mani delle donne . Forse Luisa , la moglie , può restituirgli quella pace : è un ' ancora alla quale Guido si aggrappa . Che venga , Luisa , lo raggiunga alle terme , se vuole . È intanto la ragazza della fonte gli riappare , come una tentazione . È intanto a Carla viene un febbrone , e Guido rifiuta ancora una volta di prendersi la responsabilità : sarà meglio chiamare il marito . Affascinato dal corpo di lei , ecco ora il ricordo dei primi pensieri peccaminosi . Guido è in collegio , bambino : insieme ai compagni è andato nascostamente sulla spiaggia a vedere la Saraghina , una femmina animalesca che vive tra i ruderi d ' una casamatta . Sorpreso dagli istitutori , è scosso di paura e vergogna . Fu allora , forse , che cominciò a mentire a se stesso . Non gli verrebbe una parola di consolazione dalla Chiesa ? Alle terme c ' è anche un cardinale . Guido lo interroga , ma ne ha una risposta sconsolante : « Chi ha detto che si viene al mondo per essere felici ? » . Arriva Luisa , e con lei nuovi motivi di disagio ; perché Guido le mentisce fingendo di ignorare la presenza di Carla alle terme , e la moglie si rifiuta di continuare ad accettarlo qual è , un uomo che mentisce come respira . Ancora un sogno egoista , per Guido : di vedere la moglie e l ' amante a braccetto , e poi di trovarsi intorno tutte le donne della sua vita , come in un harem festoso , e lui coccolato come un bambino e temuto come un domatore . Ma il film non procede , e tutto l ' ambiente è a rumore : insomma , cosa vuole il regista ? Gli si è seccata la vena ? Perché fa il misterioso ? Vigliacco , oltreché buffone ? È ora , che parte ha Claudia , la diva che si è aggiunta alla troupe ? In Claudia Guido identifica la ragazza della fonte e l ' attrice famosa . Sta rompendo con la moglie , sta pensando di rinunziare al cinema : Claudia può restituirgli la verginità dei sentimenti e delle parole . Ma anche questa speranza fallisce , e ormai l ' organizzazione del film è al punto da costringere Guido a pronunziarsi . Di fronte al grande traliccio costruito per il lancio dell ' astronave , il produttore convoca una conferenza - stampa . Preso d ' assalto , Guido deve confessare il proprio fallimento di regista e di uomo . Finzione e realtà ormai si confondono in lui e l ' ossessionano . Pensa di sfuggire a tutte le responsabilità col suicidio , ma mentre la folla si disperde il mago che nel night faceva gli esperimenti di telepatia lo ferma , presentandogli una realtà miracolosamente pacificata nella suprema finzione . In un lampo , Guido intuisce che il senso del film e della vita sta nell ' accettare il mondo , nel rinunziare a fuggire in un altro pianeta , nell ' abbandonarsi , sfilando tutti insieme come su una passerella , al necessario , inevitabile gioco della vita , in cui l ' egoismo di ciascuno coincide con la verità di tutti . La creatura di sogno , tutta vestita di bianco , la ritroviamo allora in noi , nell ' innocenza di noi stessi bambini . Nel suo cono di luce ci sembra di rinascere . In Otto e mezzo ( l ' ottavo film di Fellini , più Luci del varietà , firmato insieme a Lattuada ) , lo scrittore che era stato chiamato a consulto da Guido , e lo aveva duramente criticato , finisce impiccato . Questa è la sorte che Fellini riserva a chi voglia vedere , sempre , tutto chiaro , e rifiuti le confessioni che non seguano il gelido ordine razionale . D ' accordo , strangoliamo la critica se vuole obbligarci a giudicare una grande opera d ' arte come questa con i canoni cartesiani . Siamo in un ' età di transizione , dobbiamo lasciarci convincere dalla stessa indeterminatezza di un ' idea , se essa ci emoziona . Abbiamo bisogno di sentirci scaldare , di farci trasportare . Non è nemmeno quanto Fellini ci dice sul tumulto della sua vita individuale ( perché l ' identificazione fra Guido e Fellini è totale , e questo può essere un difetto del film ) , ciò che più ci interessa . Dopo tutto sono fatti suoi , e si può anche non essere d ' accordo sulla validità universale della soluzione ch ' egli ci propone , e non troppo chiaramente , a conclusione di un itinerario larghissimamente autobiografico . È il fatto che un uomo di cinema , pur dando íl suo luogo all ' astuzia , si metta nudo in piazza , si offra al dileggio , e intanto le sue carni si traducano in immagini di ineguagliabile evidenza fantastica , ciò che colpisce e mozza il fiato . La parabola pronunciata da Fellini può anche lasciarci freddi , se la isoliamo dal contesto ( e indubbiamente la contemporaneità dei tre piani narrativi e psicologici - quello che Guido è , è stato e vorrebbe essere - non è perfettamente risolta in racconto unitario ) , ma l ' eccezionalità del film sta proprio nella « bella confusione » ( questo è il titolo che Flaiano aveva proposto ) di errore e verità , di realtà e sogno , di valori stilistici e valori umani , nel totale adeguamento del linguaggio cinematografico di Fellini alle sconnesse immaginazioni di Guido . Come distinguere il regista della realtà da quello della finzione è impossibile , così i difetti di Fellíni coincidono con le ombre spirituali di Guido . L ' osmosi fra arte e vita è strabiliante . Certo siamo di fronte a un esperimento irripetibile . Da nessun altro saremmo disposti ad ammettere che « il film deve contenere errori come la vita , come la gente » : quella che per Fellíni è stata , durante la lavorazione laboriosa del film , la consapevole scelta di un rischio gravissimo , per chiunque altro potrà essere un alibi . Piuttosto dobbiamo chiederci perché un ' avventura tanto personale , talché Otto e mezzo , con i suoi rintocchi malinconici , sta fra la confessione e il testamento , raggiunga una delle vette più alte del cinema mondiale contemporaneo . Il segreto , dite pure il trucco , sta nell ' aver portato all ' estremo quella disponibilità inventiva e quella maestria tecnica grazie alle quali anche immagini sparse prendono corpo e divengono frasi di un discorso che perennemente si arrotola e si snoda sul piano della fantasia , della memoria e del sortilegio , e nell ' averle nutrite di tutte le angosce del nostro tempo . Quante volte è stato detto che Fellini è soprattutto un visionario ? Ma ormai le sue visioni sono un grido . Ormai egli proietta tutti i suoi dubbi morali su uno schermo magico , che assorbe la confessione nella visione , senza il consueto tramite della introspezione , ma il lampo gli parte dal profondo dell ' essere . È uno sdrucciolone nell ' intuizionismo se volete , ma compiuto da un umanista che resta fedele ai modi realistici : per un ' arcana operazione i valori stilistici del film sono anche quelli psicologici , e la frondosità , l ' eccesso di simbolismo , le ridondanze , tutto quanto c ' è di floreale nel regista restano nel contempo i connotati morali di un artista ossessionato , che non vuole staccarsi dal magma che gli bolle dentro , preferendo tentare di liberarsene col bruciarsi le facoltà ordinatrici , sia pure irridendo alla propria ambizione . In Otto e mezzo l ' operazione è riuscita fino allo spasimo . Non c ' è sequenza del film in cui non sia visibile questo sforzo di sincerità . Tutto il film è . un incrociarsi di ipotesi , presagi , intuizioni che assumono consistenza figurativa nell ' attimo stesso in cui sono avvertiti dalla coscienza , e la cui convinzione deriva dalla loro verità spirituale . « Qualcosa tra una sgangherata seduta psicanalitica e un disordinato esame di coscienza , in un ' atmosfera di limbo » , ha detto Fellini del suo film . Non sarà piuttosto il supremo vagheggiamento di un poeta che irrazionalmente identifica l ' arte con la vita , e le riassume , con splendida ipocrisia , nella bella favola ? Anziché una « verifica intima » , che interesserà soprattutto la storia di Fellini , Otto e mezzo è allora un canto consolatorio , sincopato tuttavia da un ritornello di autoderisione . Di qui quella vena di comico che scorre nella tragica allegoria . I motivi ( e le polemiche ) che serpeggiano nel film sono infiniti e appartengono a un repertorio già noto : è vano tentare di farne un elenco , così come degli scorci di racconto , dei ritratti e dei paesaggi umani . Ovunque qui il genio di Fellini brilla come raramente si è visto al cinema . Non c ' è ambiente , non c ' è personaggio , non c ' è situazione privi di un significato preciso sul grande palcoscenico di Otto e mezzo . Certe soluzioni registiche lasciano sbalorditi per l ' uso del bianco e nero , per l ' abilità con cui la messa in scena è chiamata a rivelare la realtà e a commuovere , per il concorso che la musica , le luci , l ' evidenza dei personaggi danno all ' evocazione di uno stato d ' animo . Entrare nei particolari è già rompere il tessuto di un film che va accettato nella sua totalità , come un acquario o un luna park vi affascina prima ancora che ne analizziate i curiosi abitanti . Diciamo soltanto che alla confusione della coscienza contemporanea Fellini risponde accettandola con l ' esprimerla negli unici modi suoi propri : quelli dell ' allucinazione e dello strazio , accentuandone l ' eco crepuscolare . Gli attori sono Mastroianni , la Cardinale ( finalmente non doppiata ) , Anouk Aimée , Sandra Milo , Rossella Falk , Caterina Boratto , Annibale Ninchi , Giuditta Rissone e moltissimi altri . Il soggetto è di Fellini e Flaiano , alla sceneggiatura hanno lavorato , oltre loro , Pinelli e Rondi . La scenografia e i costumi sono di Piero Gherardi , la fotografia di Di Venanzo , le musiche di Rota , il montaggio di Leo Cattozzo . È un nudo , ingiusto elenco di nomi , perché ciascuno meriterebbe un elogio , così vivo è stato il loro apporto al film . Ma è tutto quello che qui si può fare , vedendo gli attori e i collaboratori toccati dalla bacchetta magica di un creatore al quale nel cinema mondiale di oggi non vediamo chi possa stare vicino .
Il processo di Verona di Carlo Lizzani ( Grazzini Giovanni , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Fra i molti motivi di interesse suscitati da Il processo di Verona ci sembra che sia da mettere al primo posto , lasciando da parte le inevitabili polemiche che susciterà la scelta dell ' argomento , il tentativo compiuto dal regista Carlo Lizzani di inaugurare un nuovo genere di cinema spettacolare . Siamo di fronte a un film che , sulla base di una larga documentazione e soprattutto di un pressoché unanime giudizio sullo spirito dei fatti , offre un ' interpretazione storico - psicologica di un ' allucinante pagina della vita italiana . Sgombriamo subito il campo da quello che a noi sembra un equivoco , del resto non proprio disinteressato . Il film non vuol essere una fedele cronaca di fatti personali . I personaggi che , tuttora viventi , vi si riconoscono , devono ammettere che in un certo momento della storia italiana essi hanno racchiuso nel proprio nome il senso di vicende che trascendono le particolari biografie ; che essi sono stati chiamati dalla sorte a identificarsi con delle forze e debolezze assolutamente umane le quali percorrono tutta la storia dell ' umanità , e si coagularono con emblematica virulenza sotto il cielo di Verona nei mesi che vanno dal 24 luglio 1943 all'11 gennaio '44 . Rimproverare al film di essere inesatto , falso , tendenzioso in alcuni particolari , è a nostro avviso giustificato soltanto nella misura in cui si sia disposti ad ammettere che Ciano , i suoi compagni , sua moglie , Mussolini , Pavolini , tutti coloro che quei mesi furono trascinati dalla furia dell ' odio , della disperazione e della vendetta , avevano una statura da eroi rinascimentali , talché in ogni minima piega del loro comportamento si possa rintracciare la sublimazione del vizio in virtù . Al contrario a noi sembra che tutto il processo di Verona sia stato privo di ogni alone , sia pure romantico , che possa idealizzarne i protagonisti diretti e indiretti , e che esso sia stato la fiamma che ha bruciato ogni residuo di forza morale , scatenando quanto di barbarico era depositato nel fondo di un ambiente che nutriva in sé i germi dell ' autodistruzione . Se non è vero , il film è perciò verosimile . Ecco perché Lizzani ha fatto bene a tentare di interpretare , sia pure con un linguaggio spettacolare , l ' atmosfera di quei tempi , riassumendo nel personale rapporto tra Ciano e sua moglie le linee essenziali di un più vasto quadro d ' ambiente . Egli ha compiuto , in un certo senso , un processo inverso a quello che compie il melodramma . Come questo mitizza i personaggi , così Lizzani li ha demitizzati , facendoci sentire che la storia in cui siamo immersi non è fatta di schemi libreschi , bensì di conflitti di caratteri e di passioni nei quali si esprime l ' autentica natura degli uomini e delle donne sulle cui deboli spalle si accumula il destino dei popoli . È ha pensato il film in modo che la sensibilità dello spettatore sia toccata proprio in quella zona in cui la condizione umana coincide con la condizione civile . Il giudizio sul comportamento morale dei protagonisti del processo di Verona , carnefici e vittime , porta con sé un preciso giudizio sulla responsabilità del cittadino che in qualche modo vorrebbe riconoscersi in una delle due parti . Ci fu , questo è indubbio , uno scoppio di odio e di vendetta da parte dei fanatici che vollero a ogni costo Ciano , e gli altri quattro ( Gottardi , Marinelli , Pareschi , De Bono ) , fucilati ; e dà parte di Mussolini la piena sottomissione ai tedeschi , i quali volevano che il nuovo fascismo si consolidasse , sia pure al prezzo di cementare l ' unità col sangue . È ci fu , in Edda , il dramma della figlia alla quale il padre manda a morte il marito .. Perché non tentare di dare vita artistica a questi foschi nodi della storia italiana ? Pensate agli altri progetti che Lizzani ha in mente per analoghi film : la caduta dei Savoia , Matteotti , la morte di Hammarskyöld . C ' è , chiaramente , l ' intuizione di un regista che prosegue un suo discorso sulla necessità di affrontare la realtà quotidiana , per colmare il distacco fra l ' individuo che sta in poltrona e la storia di cui è troppo spesso ignaro protagonista . Perciò si parla di un nuovo cinema di ispirazione storico - civile , ottenuto non soltanto con i modi dell ' affresco narrativo , sul genere delle Quattro giornate di Napoli , ma dell ' introspezione psicologica , intesa a caratterizzare momenti e aspetti di tragedie personali o familiari nelle quali si specchiano spesso quelle di intere nazioni . Il processo di Verona comincia la notte del 24 luglio , dopo la riunione del Gran consiglio del fascismo che approvò a maggioranza l ' ordine del giorno Grandi contro Mussolini . Il Duce si vede un attimo di spalle , mentre i gerarchi rapidamente si allontanano . Ciano , in un rapido colloquio con Grandi , si rende conto che ci si è serviti del suo voto , ma che per la sua posizione di genero di Mussolini egli è ormai tagliato fuori dagli eventi . Rientrato in casa , vuole che Edda chieda ai tedeschi un lasciapassare per la Spagna , ma la moglie è turbata , non può ovviamente perdonargli di avere tradito Mussolini , e di voler ora servirsi di lei per ottenere la fuga dai tedeschi , dei quali egli si è sempre proclamato avversario , ma soltanto a parole e nei diari , che nel frattempo ella ha messo al sicuro nelle mani di un amico fidato . Firmato l ' armistizio , i tedeschi negano il salvacondotto per la Spagna , e costringono i Ciano , con i bambini , a restare loro ospiti - prigionieri a Monaco di Baviera . Liberato Mussolini , la famiglia rientra in Italia , ma Ciano , già atterrito e ormai indifferente al proprio destino ( del quale ha il presagio in un muto incontro con Rachele ) , viene imprigionato a Verona , in una cella separata da quella degli altri gerarchi che non sono riusciti a fuggire . Qui viene a trovarlo Frau Beetz , la tedesca che fu segretaria di Von Ribbentrop , la quale si offre di metterlo in salvo in cambio dei diari . Ciano , non fidandosi dei tedeschi , rifiuta . Infiammati da Pavolini , i repubblichini tentano un assalto alle carceri , al grido di « A morte Ciano » . Quando finalmente Ciano riesce a ottenere un colloquio con Edda , in parlatorio , le chiede di parlare ancora di lui a Mussolini . « Sì - risponde la moglie - ma vorrei che tu non mi chiedessi di farlo » . Già a questo punto i caratteri sono definiti chiaramente : Ciano alterna momenti di sconforto e d ' orgoglio , di vanità e di rassegnazione ; Edda è una donna sconvolta , divisa fra il padre e il marito , che non cede alla sorte che attende le sue famiglie . Dall ' altra parte c ' è un gruppo che fonda tutte le sue speranze sulla violenza , e vuol galvanizzare i giovani in lotta con i partigiani dando l ' esempio di una feroce vendetta . Dopo una lite fra Edda e Rachele , e l ' interrogatorio di Ciano da parte del giudice istruttore , che si rivela un misero strumento dei repubblichini , il genero di Mussolini si rende conto che la sua sorte è segnata . Allora accetta le proposte di Frau Beetz : Edda consegnerà i diari nel momento in cui egli sarà liberato . Ma le cose andranno diversamente : i tedeschi volendo che Ciano sia accolto nascostamente in un convento , ma Edda non fidandosi della loro parola , lo scambio non avviene . Il processo si rivela una finzione giuridica . Imputati del delitto di tradimento e di aiuto al nemico , Ciano e gli altri quattro sono condannati a morte . Ultima telefonata di Edda a Mussolini perché salvi il genero , e tentativo di ricattarlo con i diari . Si fa in modo che la domanda di grazia non arrivi al Duce , Rachele convince Edda a fuggire in Svizzera , fucilazione . Fra un secolo sembrerà un drammone . È qui , appunto , il rischio di Lizzani : di darci dei romanzi storici d ' appendice , specializzati in congiure di palazzo . Ma non siamo ancora a questo . Il processo di Verona regge abbastanza bene , perché il regista ha concentrato la tragedia in scontri di caratteri e in situazioni che , avendo poco di teatrale , si condensano in un clima di verità psicologica , le cui costanti sono appunto l ' odio personale , lo spirito di rivalsa , il terrore e l ' assurdità . È intorno vi ha mosso un paesaggio di rovine , di disfacimento , spesso ben sottolineato dalla ambientazione . Il film racconta in due ore quanto accadde in quasi sei mesi : c ' è necessariamente uno sforzo di contrazione narrativa , ma l ' essenza del dramma non ci sfugge , e nemmeno la sollecitazione morale che ne scaturisce . Gli inserti documentari , tratti da cinegiornali dell ' epoca , fanno da illustrazione al romanzo , che ottiene dai forti chiaroscuri della fotografia , dallo stile spesso serrato ( la parte più debole , forse , è proprio il processo ) scandito dagli spari dei mitra , un taglio acre e livido , che talvolta gela il sangue . Fra i molti interpreti Silvana Mangano ha dato a Edda un eccezionale rilievo , con la sua maschera aspra e cruda . Frank Wolff è un probabilissimo Ciano , ora pavido ora sprezzante . Nella parte di Rachele si saluta volentieri il ritorno di Vivi Gioi . Quanto alla rassomiglianza degli attori con i loro vari personaggi , c ' è spesso da restare di stucco .
Il Gattopardo di Luchino Visconti ( Grazzini Giovanni , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Fabrizio Corbera , principe di Salina , è entrato nell ' olimpo cinematografico sorretto dalla mano guantata di Luchino Visconti . Si ha un bel dire che anche quando un film è tratto da un romanzo deve essere giudicato soltanto per i suoi valori cinematografici , ma se questo romanzo è Il Gattopardo , uno dei più clamorosi successi della editoria italiana , ciò che subito tutti si chiedono è se lo scrittore , tradito , si rivolta nella tomba , o se è lecito pensare che dall ' al di là mandi un grato saluto al regista che gli ha acquistato nuovi ammiratori . Perciò diciamo subito che Giuseppe Tomasi di Lampedusa , nonostante il caratterino che doveva ritrovarsi , non deve nutrire eccessivi rancori verso Visconti : benché teso al massimo , l ' arco narrativo è quello originale , i personaggi ci sono , il protagonista , soprattutto , grazie all ' eccellente prestazione di Burt Lancaster , è parente stretto del principe di Salina pensato dal Lampedusa . Per il nostro gusto , non poco è andato disperso , ma è quanto appartiene più da vicino alla letteratura , e quindi bisogna rassegnarsi a non chiedere al cinema : dico certi motivi squisitamente lirici e certa musicalità ed eleganza intellettuale di toni , e una finezza di notazioni psicologiche e ironiche che in Visconti non hanno mai , nonostante le apparenze , echi troppo profondi , perché la squisitezza formale , propria delle immagini , non di rado è dissociata dalla modulazione sentimentale . Ma intanto quanto più si poteva temere , il rovesciamento dal romanzo autobiografico al film storico , al grande affresco sociale e politico , con lo spostamento dal pedale psicologico a quello etico , e con conseguente ribaltamento del significato profondo dell ' opera del Lampedusa non è avvenuto nella misura clamorosa paventata da chi credeva , assai scioccamente , che Visconti avrebbe approfittato dell ' occasione per muovere una violenta critica all ' aristocrazia , puntare i fucili giacobini sul principe di Salina e condannare a gran voce la sua deficienza ideologica , la sua reazionaria filosofia della storia . Sono rimproveri , questi , che durante la diatriba susseguente all ' uscita del romanzo furono mossi al Lampedusa dai comunisti più ottusi , che non sono mai disposti ad ammettere la validità artistica di un ' opera se non è allineata con la loro concezione strumentale della letteratura . Visconti ha capito benissimo che l ' altezza poetica della figura creata dal Lampedusa soverchiava , per coerenza artistica , le idee espresse dal personaggio ; il suo sforzo , semmai , è stato di accentuare nel principe di Salina la consapevole malinconia di stare assistendo al crollo di un mondo senza ritorno , e di essere un po ' il simbolo di quella età di trapasso dal vecchio al nuovo , in cui la nausea della vita si veste di disperato orgoglio . Lungi dall ' infierire su Fabrizio , Visconti l ' ha dunque affrontato e restituito con grande rispetto . A tutto ciò non è estranea la sua predilezione per i caratteri colti nei momenti di crisi ( e dite voi quale crisi più grave di quella provocata , in un principe siciliano , dalla caduta dei Borboni e dall ' annessione dell ' isola al regno d ' Italia ) , ma nemmeno quella nostalgia di aristocratico per le forti personalità , siano esse patrizie o plebee , che percorre tutta l ' opera di Visconti , impietoso verso le classi di mezzo . Solo che , per non assumere tutto il significato del Gattopardo nel personale tormento del principe , ha dato al film una più precisa cornice storica , inserendolo in quella crisi del Risorgimento che per la storiografia di derivazione marxista si identifica con l ' equivoco fondamentale della storia unitaria italiana ; e con ciò ovviamente portando . avanti un suo discorso cominciato da una parte con La terra trema ( il risveglio della Sicilia ) , dall ' altra con Senso ( lo sfacelo morale dell ' aristocrazia ) : due film che in certo modo vengono a sboccare nel Gattopardo come due fiumi a una foce ; che è , appunto , la speranza che qualcosa può mutare , nella vita , e particolarmente in Italia , ove le classi dirigenti di ieri e di oggi passino la mano o si rinnovino . La polemica , ora , sarà sul sapere se già in Lampedusa ci fosse questa sotterranea coscienza dell ' esaurimento storico di una classe e di un modo di vivere , o se essa non fosse assorbita in una più generale atarassia , in un nichilismo che in ogni caso a noi sembra riscattato da quella interiore dignità che al Lampedusa scende direttamente da Verga e si innesta in un temperamento di stoico . Comunque Visconti ha agito con una discrezione ammirevole : egli ha lasciato capire chiaramente , chiudendo il film col grande ballo dell ' aristocrazia palermitana , che tutto Il Gattopardo è a suo avviso il canto funebre intonato a un mondo in dissoluzione , e tuttavia questo canto ha l ' inflessione di un lamento , perché la lacrima che riga , sul finire , il volto del principe sarà per qualcuno anche il simbolo di un dolore universale , del quale possono partecipare , senza perciò essere dei reazionari , e il principe di Salina e il principe di Lampedusa e chiunque soffra nel vedere , sotto le belle spoglie di Angelica e di Tancredi , gli arrampicatori e gli opportunisti : quanti , appunto , rendono amaro il vivere e vano il credere . La malinconia di Fabrizio tocca il massimo dell ' avvilimento quando il presentimento della morte si confonde con l ' eco delle fucilate che hanno giustiziato all ' alba gli ex - garibaldini i quali hanno disertato dall ' esercito regolare per tornare con Garibaldi poco dopo che Angelica e suo padre , lo strozzino don Calogero , hanno fatto il loro ingresso nella bella società , e anche Tancredi , ormai candidato alle elezioni , è entrato nel gioco : avviandosi , seguendo la sua stella , verso la morte , il principe di Salina cerca una ragione di perenne certezza , che la bellezza di Angelica gli ha fatto intravedere come l ' incarnazione di un ideale . In questa cronaca necessariamente frettolosa non racconteremo il film , che del resto segue da vicino il romanzo cominciando con la recita del rosario , e prosegue , sfoltendo i capitoli , con l ' arruolamento di Tancredi , il ritiro della famiglia a Donnafugata , l ' incontro con don Calogero , l ' amore tra Angelica e Tancredi , il rifiuto , da parte del principe , del seggio senatoriale , e si chiude , si è detto , col ballo , dal quale il principe esce col presentimento della morte . Il talento di Visconti si è esercitato , soprattutto , nella prima parte in certi squarci di tumulti popolari per le vie , e nella seconda nella rappresentazione del ballo . In mezzo , quello che a nostro avviso è il tema toccato con maggiore evidenza poetica : la fuga di Angelica nelle stanze disabitate del vecchio palazzo . La concordanza fra motivi figurativi e motivi psicologici è qui raggiunta meglio che altrove . Non diremmo infatti che , per esempio , il disfacimento sociale del ballo sia stato espresso dal colore nella stessa misura in cui , nella fuga di Angelica , le tonalità degli abiti e delle pareti esprimono l ' ambiguità del personaggio . Ma di tutto l ' uso del colore in questo film bisognerebbe parlare a lungo : è un fatto che a certi meravigliosi brani paesistici , a certi bei ritratti di « uomo seduto » , Si alternano pagine soltanto illustrative . È neppure nel Gattopardo Visconti rinuncia a certe raffinatezze ( i veli gonfiati dal vento ) che appartengono alla parte più decorativa del suo ingegno . Il film ha anche altre cadute ( a questo punto vogliamo dire che Il Gattopardo non resterà probabilmente il capolavoro di Visconti : Senso e Rocco hanno , a nostro avviso , ben altra robustezza ) ; delle lungaggini nei dialoghi , qualche punta di melodramma , certe risate che lacerano la nota intima del racconto , perfino qualche disinvoltura storica ( è molto improbabile che due fidanzati come Angelica e Tancredi , sulla metà dell ' Ottocento , osassero baciarsi in pubblico con tanta passione ) ma la figura del principe di Salina è quasi perfetta : troppo prepotente , già nel romanzo , per lasciare molto spazio a divagazioni storico - critiche . E ancora una volta Visconti si è rivelato uno straordinario direttore di attori . Alain Delon , nella parte di Tancredi , ci ha convinti assai poco ( e così pure Reggiani ) , ma tutti gli altri sono molto aderenti all ' idea che dei personaggi possono essersi fatti i lettori del Tomasi . In primo luogo , s ' intende , Burt Lancaster , che nella parte di Fabrizio si è rivelato una scelta eccellente ; quando egli è presente , tutta la scena si anima . Rude , ha saputo dare alla figura del principe morbidezza e insieme fierezza di tratti : quasi sempre egli impartisce , senza volerlo , lezione di recitazione . Ottimi sua moglie , impersonata da Rina Morelli , ' e Romolo Valli ( don Pirrone ) , Paolo Stoppa e un don Calogero di impressionante verità . E Claudia Cardinale ? Ecco : la sua maschera ha straordinarie mutazioni , riesce a essere superba e dolce , ma qui ci è sembrata un po ' fredda . Un trepido calore viene invece al film dalla musica : un valzer inedito di Verdi che lo accompagna come un Leitmotiv .
StampaQuotidiana ,
L ' infanzia di Ivan giunge a proposito per farci toccare con mano il significato del congelamento reimposto da Mosca a scrittori e registi . Andrej Tarkovskij , autore del film che vinse a Venezia il « Leone d ' oro » , è fra gli artisti sospettati recentemente di eccessive simpatie per l ' Occidente , di compiacimenti formalistici e di compromissioni con le ideologie piccolo - borghesi , rivelate dal suo disimpegno nei confronti del realismo socialista . Rimproveri che già gli . erano stati mossi all ' uscita del film , sia in Russia sia da una parte della critica comunista italiana , ma dai quali Tarkovskij era stato scagionato , fra i primi , da Sartre in una lunga lettera a l ' Unità . Si tratta , in sostanza , della frangia di una antica polemica sovietica , che risale almeno agli anni Trenta : il cinema ha da essere poesia o prosa ? Per avere scelto la poesia , Tarkovskij è ora sospettato di tiepidezza ideologica . In realtà , come dicemmo parlando del film da Venezia , questo giovane regista inserisce l ' ideologia in una più ampia meditazione sulla condizione dell ' uomo . Condannare L ' infanzia di Ivan perché il dodicenne protagonista del film è privo di consapevolezza patriottica , equivale ancora una volta a strumentalizzare la coscienza . Il senso poetico dell ' opera consiste invece nel denunciare il male della guerra senza tener conto che si tratti di una guerra giusta o ingiusta . Siamo tutti abbastanza maturi per essere convinti che non esistono guerre giuste , e che esse rappresentano in ogni caso , come dice Sartre , le « perdite secche » della storia . Vedete il caso di Ivan ( interprete l ' ottimo Kolja Burljaev . I tedeschi gli hanno distrutto la famiglia , sul muro di una cella ha letto l ' ultimo appello lanciato da un gruppo di giovani russi condannati a morte : « Vendicateci » . Lo choc , per lui , è stato durissimo . Solo al mondo , ha maturato in cuore l ' odio e la vendetta , che tuttavia coesistono con slanci e turbamenti infantili : il bisogno di braccia che lo stringano , la sicurezza che nulla cambierà ormai nella sua vita , la convinzione che gli adulti mantengono le promesse . La guerra gli si configura come un impegno d ' onore , una prova di coraggio , e insieme ancora come un gioco , un ' avventura in cui poter sfrenare il rancore sorto inavvertitamente verso chi gli ha tolto le care immagini della famiglia , i sorrisi dell ' infanzia . La sua nuova famiglia saranno tre soldati di prima linea . È così fermo nei suoi propositi , e mostra una tale maturità , questo Ivan , che essi non hanno la forza di mandarlo a scuola . L ' hanno tentato ma è fuggito . Del resto ha già dato informazioni preziose come esploratore : ancora una missione , e poi il ragazzo , sarà ritirato dal fronte . L ' avvicinamento alle linee nemiche avviene in un ' alba livida , in una foresta allagata , sotto gli alberi illuminati dai razzi che solcano il cielo come stelle filanti . Ma al bambino nulla , ormai , parla più dell ' infanzia : lungo il cammino vede impiccati i due soldati che erano venuti a cercarlo , muore uno dei suoi amici , l ' insidia nemica lo sovrasta e lo esalta . I suoi compagni non sapranno se Ivan è riuscito a compiere la missione . Soltanto a guerra finita , nella sede della polizia segreta a Berlino , si troverà la fotografia del ragazzo tra i fascicoli dei civili eliminati dai tedeschi . E tuttavia Ivan avrebbe potuto essere diverso . Un ' infanzia felice , fra le braccia della madre , fra i giochi dei compagni , poteva essergli conservata . Raccontando ' a ritroso , con le sequenze dei sogni di Ivan , quello che la guerra ha tolto al ragazzo , Tarkovskij ha descritto il paradiso giustapponendolo all ' inferno . Ne è uscita una sintesi poetica dolente ma calda di speranza ; che i bambini restino bambini , e crescano uomini , non fucilati fin dall ' infanzia . Tessuta con molta finezza , in un contrappunto di realismo ( fino a inserire brani di documentario sulla fine della guerra ) e di sogno : i flash backs che nel corso del film strappano Ivan alla sua condizione di dolore e di nevrastenia , e lo riconducono alle soavità dell ' infanzia , le tenerezze della madre , le corse sulla riva del mare . Nell ' uno e nell ' altro caso il regista si è giovato di una tecnica molto raffinata , che amalgama con originalità i disparati echi culturali ( dal cinema espressionista tedesco negli interni ai decadentisti francesi fino a Resnais ) . Contrapporre l ' oscuro sfondo della guerra alla luminosità delle memorie felici era molto difficile . Tarkovskij ci è riuscito quasi sempre sospendendo anche la realtà più cruda in una luce rarefatta , nella quale Ivan vede le cose e gli uomini come in una continua scoperta della fantasia . Di fronte ai valori puramente visivi del film , il racconto passa in seconda linea , e denuncia qualche inflessione pascoliana . Ma non diremmo superflua l ' aggiunta , a quella di Ivan , di un ' altra piccola storia : il fiorire e lo spegnersi improvviso dell ' amore in una infermiera per un capitano che la porta nel bosco ; un tocco che ripete , con diverso pedale , il motivo conduttore : la crudeltà della guerra , che come ha distrutto la personalità del ragazzo , seminandogli nel cuore sentimenti da adulto , così ha soffocato quell ' aurora di incertezza amorosa che spuntava in una giovane donna di vent ' anni . E anche in questo caso la mano di Tarkovskij è così delicata che accusarlo di formalismo ci sembra immeritato . In realtà questo giovane regista ha la sobrietà di un poeta che esprime attraverso le immagini una sua tenue ma schietta ispirazione . Se esse sono talvolta troppo eleganti , non perciò mancano di espressività lirica . Parleremmo di decorativismo se i paesaggi , í giochi di luce , avessero soltanto un ' evidenza figurativa , come accade in Mamma Roma e non , come qui , sostanza di stati d ' animo . È indubitabile che il pericolo di Tarkovskij è uno stucchevole sensibilismo , ma è intempestivo muovergli quest ' accusa per un film nel quale il poeticismo è intrinseco alla natura dei due personaggi . Invece importa rilevare quanto Tarkovskij proceda rispetto anche a Quando volano le cicogne e a Pace a chi entra : il lirismo , in questo regista , galoppa verso il totale assorbimento della tematica ideologica ( e fa intuire che il migliore cinema sovietico potrà domani risolverla tutta in poesia . Né perciò , è ovvio , la svuoterà ; al più , potrà darci una poesia molto intellettualizzata ) . L ' eleganza formale , applicata soprattutto al paesaggio , è d ' altronde l ' implicita risposta di un regista moderno , che guardando indietro , al recente passato del suo Paese , ha ragione di preferire la compagnia di artisti giovani e inquieti a quella degli accademici illustratori di gesta proletarie . Tarkovskij scegliendo la via dei sentimenti , e tuttavia imboccandola con pudore ( egli stesso ha criticato l ' enfasi di Evtusenko ) , ha toccato più di quanto forse non creda una corda dalle lunghe risonanze , in Oriente e in Occidente . Vengono i brividi a pensare che un film come L ' infanzia di Ivan possa aver provocato , in Russia , polemiche sul suo contenuto . È vero che c ' è sempre chi odia il cuore dell ' uomo , e disprezza la grazia .
L'ape regina di Marco Ferreri ( Grazzini Giovanni , 1963 )
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L ' ape regina è un curioso film , nato dall ' impasto fra il cattolicesimo inquieto di Goffredo Parise ( del quale è l ' idea , e che con il regista e Azcona ha collaborato alla sceneggiatura ) e l ' impegno cronachistico e ironico di un discepolo del realismo , che ama esercitare il proprio gusto deformante sull ' ambiente della media borghesia . Ambedue sembrano voler individuare certi punti deboli del costume contemporaneo , in ogni caso riferibili a una carenza di libera disponibilità umana per la pressione che sugli istituti e gli individui esercitano la tradizione e il conformismo ; ma poiché i loro interessi sono di natura assai diversa , Parise assumendo la « denuncia » in un clima di poetica amarezza , Ferreri soprattutto divertendosi nel guardare , riferire e ingigantire con un sorrisetto sardonico a mezza bocca , il film non raggiunge quell ' unità morale ed estetica cui certamente mirava , e che peraltro si deve dire altri vi trovano , tanto è vero che L ' ape regina è uno dei film invitati a rappresentare l ' Italia al prossimo Festival di Cannes : con tanti auguri . Il film è gradevole , per la comicità delle situazioni , il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana , tutta fatta di donne ( l ' unico uomo è un mezzo epilettico ; ce n ' è un altro , l ' attore Majeroni , ma è truccato da zia ) , imparentata con un parroco , amica di frati e di suore , per la pittura di un ambiente bigotto in cui viene a trovarsi Alfonsino , un commerciante sui 40 anni che sposa Regina , il casto fiore che la famiglia ha allevato nella devozione e nel rispetto per i principi cattolici . È indubbiamente divertente per i rapidi sviluppi della vicenda , che vede Alfonsino trascinato alla tomba dall ' insaziabile mogliettina , la quale , ovunque e in ogni momento , lo prende d ' assalto perché assolva i propri doveri coniugali , e si frena soltanto quando il fuco Alfonsino l ' ha fecondata , e allora , considerando esaurita la funzione matrimoniale , lo lascia in un canto , dove il poverino , esausto , si spegne alla vigilia della nascita del bambino . Gradevole e divertente , ripetiamo : non molto di più . Non quella chiara polemica contro l ' istituto matrimoniale cattolico , giudicato arcaico , che il film forse si riprometteva , e che la censura credette di trovarvi , né un ' accigliata presa di posizione contro la morale sessuale corrente . In Regina , così come ce la dipinge il film , noi non abbiamo trovato i segni d ' una morale cattolica tinta di Medioevo : il fatto che , concepito il suo bambino , non abbia più tanta voglia di dormire col marito , appartiene a un quadro psicologico femminile in cui il cattolicesimo c ' entra poco . E che poi releghi Alfonsino in una cameretta non è un gran delitto di ipocrisia da imputare soltanto alle ex - figlie di Maria . Vogliamo dire che la morale moderna e laica del film è un po ' tirata per i capelli . Più efficace , sebbene un po ' ovvia , è la lezione che se ne ritrae sulla tendenza di certe donne a inghiottire il marito , e a sostituirvisi anche negli affari : ma su ciò gli esempi più clamorosi vengono ancora dalla civiltà americana . È la sorte , questa di voler dire troppo , di ogni pellicola che forza la mano a ogni regista che sopravvaluti la propria vocazione narrativa , che in Ferreri è autentica , e che raggiunge i propri effetti migliori nel descrivere gli ambienti , nel tratteggiare ritratti , nel riprodurre la realtà forzandola fino al paradosso , anziché nel penetrarne le ragioni storiche e nel trarne originali conclusioni sul terreno della critica di costume . Dibattuto , reduce dalla Spagna in cui per El pisito e Los chicos ebbe altri guai con la censura , fra il desiderio di affrontare temi coraggiosi , moderni , come appunto il matrimonio nella società contemporanea , e la necessità di seguire il proprio temperamento di colorista incline al grottesco , Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista , cresciuta su un innesto fra Zavattini e Berlanga , e ormai avviata dopo El cochecito su un autonomo cammino di umorista derisorio , ha di gran lunga la meglio , per fortuna , sul fustigatore , lievemente snobistico , dei costumi contemporanei . Egli vuole offrire un ritratto critico della società , ma la sua indole lo porta al di là della satira , in una zona assurda e rarefatta in cui può cogliere frutti più sostanziosi . Marina Vlady , l ' ape che consuma il suo maschio , è molto bella e recita con duttilità ; Ugo Tognazzi , in sordina , fa benissimo la parte un po ' grigia dell ' uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa , e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante . Al loro fianco , assai scialbo , Riccardo Fellini , fratello di Federico , che si prepara a sua volta alla regia , e qualche buon caratterista .
Gli uccelli (The Birds) di Alfred Hitchcock ( Grazzini Giovanni , 1963 )
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Ecco , sulle ali tenebrose degli Uccelli , spiccare il volo il Festival di Cannes . Più che un volo , un turbine , un risucchio d ' aria in tempesta , soffiata da un Eolo mattacchione che si diverte a metter paura agli ometti con la coscienza sporca , i quali si aspettano da un momento all ' altro un cataclisma , e si compiacciono di vestire il proprio complesso di colpa con l ' abito dell ' angoscia nucleare . Non prenderemo troppo sul serio la simbologia dell ' ultimo film di Hitchcock ; che la morte debba venire dal cielo è una vecchia idea della umanità . Già qualche anno prima dell ' atomica i cavernicoli spaurivano dei fulmini , e la fantascienza ha fatto il resto . Il nuovo , semmai , e la nota sarcastica del film , è questo grande dolore dato ai poeti arcadici : generazioni di versificatori si rivoltano nella tomba vedendo la caricatura che Hitchcock ha fatto dei loro passerotti mansueti dai trilli argentini , trasformati in corvi e gabbiani che , furie scatenate , scendono all ' assalto dell ' umanità , il becco pronto a colpire , le zampe a sbranare , le ali tese come dischi volanti , l ' odiosa pupilla eccitata dal sangue delle vittime . La favola , raccontata a veglia ai soliti ragazzini che il « mago del brivido » ama figurarsi appollaiati sui suoi ginocchi , aggrappati alla rassicurante bonomia di questo vecchio zio bizzarro , si ispira a un racconto di Daphne du Maurier , che già Hitchcock aveva compreso nell ' antologia dei suoi terrori preferiti . Un po ' mutato nell ' ambientazione rispetto al racconto , il film vorrebbe essere ' soprattutto un « crescendo » di incubi , nel quale taluno possa trovare anche un sottofondo di critica sociale , o almeno un ' allegoria della cecità degli uomini , i quali si ostinano a non credere al pericolo che li sovrasta . La protagonista , è vero , è una ragazza viziata , Melanie , figlia del direttore d ' un giornale , ignara delle difficoltà e dei dolori della vita . A lei tocca la prima beccata mentre attraversa un golfo ( siamo a cento chilometri da San Francisco ) per andare a portare due pappagallini a Mitch , un giovanotto che non le dispiace . Ma poi la rivolta degli uccelli investe ricchi e poveri , uomini donne e bambini : è una vendetta che non compie discriminazioni , fatale come la tragedia . La ruota si mette in movimento lentamente , e poi corre all ' impazzata : prima i gabbiani attaccano i bambini , poi i fringuelli entrano in casa dalla cappa del camino e si lanciano . sugli adulti , poi ancora tocca ai cittadini , infine i corvi seminano la disperazione nel villaggio , ostacolando le operazioni di spengimento d ' un incendio , costringendo gli uomini a barricarsi nelle stanze e restando minacciosamente in agguato intorno alla scuola e alle case . Quando ci si aspetta che tutti soccombano , la furbizia di Mitch riesce a mettere in salvo i protagonisti , con una fuga in automobile . Gli uccelli , trionfanti , si installano nel quartiere , ma non si capisce bene con che frutto . Gli ingredienti della paura ci sarebbero tutti : il sangue , l ' ansia collettiva , i bambini , un « flirt » che rischia di essere travolto nell ' orrore , e la presenza ossessiva di un reale trasfigurato nel terrore d ' un irreale che ha preso corpo nelle sagome nere degli uccelli . Gran cuciniere , Hitchcock ha dosato la ricetta cercando di portare fino allo spasimo le sue qualità pirotecniche di effettista . Aiutato dal cinemascope , da speciali effetti sonori elettronici , dalla sua consueta maestria tecnica , dalla bella fotografia a colori di Robert Burks , ci ha dato un film nel quale sempre ci si aspetta che il peggio abbia ancora da venire , dando perciò corpo , se volete , a qualche terrore dell ' epoca ; ma la macchina commerciale è troppo scoperta perché Gli uccelli assuma il significato di un monito , fosse pure soltanto diretto ai cacciatori domenicali che fanno strazio di lodole . I valori plastici del film , quei grappoli neri sui fili , i tetti , le antenne , quegli assalti a becco teso sono fine a se stessi , non diventano elementi figurativi di un diluvio universale , anche se l ' emozione che suscitano è , nella sfera del gusto , talvolta assai forte . Minori dell ' attesa sono dunque i brividi , e perché il trucco delle immagini sovrapposte è spesso visibile , e perché un elemento puramente fantastico , appunto la rivolta dei pennuti , è meccanicamente giustapposto a elementi psicologici , squisitamente umani , proprio non omogenei : e ciò rende ibrido tutto il film , isolando i momenti della paura in una zona troppo lontana dal verosimile . Il regista vorrebbe forse far pensare a un rapporto fra la egoistica solitudine in cui si dibatte la madre di Mitch , una vedova che non vuole restare senza un uomo in casa , la galanteria di suo figlio , la fatuità di Melanie , la cattiva coscienza dell ' umanità del villaggio da una parte , e il turbine giustiziere degli uccelli dall ' altra . E per converso contrapporvi una maestra che ha sacrificato la propria vita per restare vicina al vanamente amato Mitch e s ' immola per salvarne la sorellina , e i due pappagallini rimasti in gabbia inoffensivi . Ma tutto il retroscena sentimentale resta una grossa zeppa , che come ritarda , con lungaggini non sempre sopportabili , il progresso della tragedia , così non basta a fare commedia . Ci sono almeno tre quarti d ' ora , dall ' inizio , in cui le uniche cose da godere sono il paesaggio e la pelliccia di Melanie . Nessuno pretenderà che consideriamo un sinistro preannuncio il fatto che la bionda è mancina . Il pezzo forte del film , gli attacchi degli uccelli alla casa di Mitch , viene dopo che la tensione , andando troppo per le lunghe , negli spettatori meno pazienti si è allentata , e la psicosi dell ' angoscia si è spenta in un fiacco sorriso . Quanto agli attori , si ammira la bellezza della nuova scoperta di Hitchcock , un ' indossatrice bionda e con gli occhi verdi : quella « Tippi » Hedren che egli ha trovato alla TV , un volto imparentato con quello di Grace Kelly , ma scarsamente espressivo . Convenzionale la recitazione di Rod Taylor e degli altri . Gli uccelli ammaestrati ne escono meglio . La vera curiosità che ci resta è di sapere quali sono i criteri della loro tattica , perché fra le varie ondate lasciano degli intervalli che consentono agli uomini di fuggire a San Francisco . Farà parte , anche questo , della strategia del rinvio , o è il segno che nonostante tanta ferocia hanno un cervello da uccellino ?
Il servo (The Servant) di Joseph Losey ( Grazzini Giovanni , 1963 )
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Non aveva torto il regista Joseph Losey a sperare che Venezia gli restituisse , con Il servo , un po ' di quel prestigio che Eva , non per tutta sua colpa , gli aveva tolto . Il suo ultimo film , infatti , presentato oggi sotto bandiera inglese , mostra che quando la mano e l ' occhio di Losey seguono da vicino l ' elaborazione di un ' opera cinematografica , il prodotto potrà essere più o meno gradevole a seconda del nostro gusto , ma innegabile la personalità del regista . Anche Il servo si muove nell ' aura decadentistica che piace a questo esegeta delle degradazioni morali e fisiche , e ha perciò sequenze incresciose , ma tutta la prima parte del film , nel quale si delineano i caratteri e le situazioni , ha squisitezze che non sono ancora estetizzanti ma soltanto un fine arabesco psicologico tracciato intorno a personaggi e ad ambienti che covano i germi della dissoluzione . Siamo a Londra , dove Tony , un « giovin signore » , tornato dall ' Africa , prende possesso di un appartamento . Poiché vive solo , cerca un cameriere , e la scelta cade su Barrett , più maturo di anni , servizievole e premuroso , ma fin dal principio ambiguo e ficcanaso . Qualità che non piacciono a Susan , fidanzata di Tony , la quale cerca di convincerlo a licenziarlo , quasi indovinando il pauroso ascendente che il servo sta per avere sul padrone . Convintosi della debolezza di Tony , Barrett comincia a mettere in atto un piano perverso inducendo il padrone ad assumere , come cameriera , quella che egli presenta come la propria sorella , e invece è l ' amante : Vera , una sgualdrina che ben presto seduce Tony , lo allontana da Susan e lo riduce uno straccio . Rientrati improvvisamente a casa durante un week - end , Tony e Susan scoprono i due servi nella camera del padrone , ma quando Tony va per cacciarli ha la rivelazione che essi non sono fratello e sorella , bensì due compari vissuti sinora alle sue spalle , e che ora , irridendolo e saccheggiandolo , se ne vanno di propria volontà . Avvilito , già quasi distrutto dall ' umiliazione inflittagli da questa coppia plebea , Tony comincia a bere : è il primo gradino di una degradazione che lo indurrà , più tardi , a riassumere il servo , e a stringersi a lui in un ' amicizia particolare . Ormai Barrett non è soltanto il padrone di casa , arrogante e violento , ma il dominatore di Tony , il quale gli ubbidisce come un fantoccio , e si lascia convincere a riprendere con loro Vera . L ' appartamento , nel quale Barrett invita persino donne di strada , è ormai una sentina di vizi . Nemmeno Susan , venuta per tentare di salvare Tony , resiste al fascino dell ' abietto servo . Ma se la giovane riuscirà a sfuggire alla trappola , Tony è ormai ridotto alla stregua di un animale che si trascina nell ' immondizia . Il tempo si è fermato : non c ' è più speranza per lui . Chi ebbe la sventura di vedere Eva troverà molti punti di contatto fra il precedente film di Losey ( il quale , per la verità , lo ha sconfessato , attribuendone i vizi alle manipolazioni del produttore ) e Il servo . Al regista , infatti , sono care queste vicende abiette : e non tanto , si direbbe , per ragioni moralistiche , quanto per la loro potenzialità figurativa , perché gli consentono di creare un universo di simboli in cui ogni oggetto sprigiona una forza malsana : quasi l ' ombra diabolica che è contenuta in ogni aspetto della realtà . In Il servo si vede bene cosa intende Losey quando , parlando dell ' influenza che Brecht ha avuto su di lui , afferma di mirare alla ricostruzione della realtà attraverso una scelta di simboli - realtà , di caricare di significato premonitore ogni gesto , e persino la linea degli oggetti e il rapporto fra gli attori e la macchina da presa . In questo film l ' abiezione del soggetto ( Harold Pinter , uno degli « arrabbiati » inglesi , ha tratto la sceneggiatura da un racconto di Robín Maugham ) è in qualche misura riscattata dall ' emozione logica che suscita nello spettatore . Tuttavia non completamente : è indubitabile che certi effetti , soprattutto nella parte dedicata alla descrizione dell ' animalità raggiunta da Tony , derivano da un gusto intellettualistico dello spettacolo ; il grande uso che Losey continua a fare degli specchi denuncia le vere radici di un regista che si affanna a predicare la semplicità ma razzola spesso nella violenza ottica . In Il servo , ad esempio , l ' approfondimento dei trapassi psicologici , soprattutto la spiegazione dei moventi della degradazione di Tony , sono largamente sacrificati ai valori visivi ; è in questi tutto il fascino , ma anche il grave limite , del film . Del quale insomma si apprezza molto l ' ambientazione tanto raffinata che introduce alla dissoluzione , la bravura con cui è ritratta la nequizia di Barrett e la debolezza di Tony , talune sequenze come quella , in cucina , di Tony tentato da Vera , e quella degli amanti sorpresi , e , ovunque , la recitazione di Dirk Bogarde , James Fox , Sarah Miles , ma che non riesce completamente a farci vincere il ribrezzo : come sempre quando il male è contemplato con fredda intelligenza . Se il film ciò nonostante impressiona e resta nella memoria è per l ' aspra e gelida forza consegnata agli occhi .
Le mani sulla città di Francesco Rosi ( Grazzini Giovanni , 1963 )
StampaQuotidiana ,
L ' anno scorso , dopo Cannes , Francesco Rosi ebbe a dichiarare di non aver alcuna fiducia nei festival . « Vorrei - aggiunse - che i miei film non venissero mai accettati » . dunque un ben strano destino , il suo , di andare , con ogni film fatto dopo il 1957 , a tutti i festival , e di non tornare mai a mani vuote . Nel '58 , a Venezia , divise con Malle il « Leone d ' oro » per La sfida ; nel '60 , a San Sebastiano , vinse con I magliari ; nel '62 , a Berlino , con Salvatore Giuliano . E quest ' anno , a Venezia , pone una serissima candidatura al massimo premio con Le mani sulla città . Un film che sopravanza Salvatore Giuliano , e pone Rosi fra i maggiori talenti cinematografici della nostra generazione di mezzo . Benché non ci sia chiaro del tutto cosa Rosi potrà darci in futuro . Nel suo fondo si combattono due forze , in certo modo ancora oscure : a seconda di quale maturerà meglio avremo forse o un moralista schierato su precise posizioni ideologiche , tali da indurlo a un cinema di ispirazione politica in cui l ' impegno della denuncia rischierà di forzare il suo ingegno verso una poetica etico - civile , oppure il campione di un cinema intellettualistico , per il quale la problematica morale sia la risorsa spettacolarmente più efficace fornita da una concezione tutta razionalistica dell ' arte . Le mani sulla città è un film sugli speculatori edilizi , a Napoli , oggi , e sulle collusioni fra l ' industria e la politica ( con un graffio , sul finire , alla Chiesa ) . L ' opera è riuscita perché , in un argomento che ottiene quotidiane conferme , le due spinte che muovono Rosi hanno coinciso : la descrizione di quei soprusi ci interessa , sin quasi a chiudere in una morsa la nostra attenzione logica , perché vi si specchia una gran macchia della vita pubblica italiana contemporanea . Ma se domani non fosse così ( e dopo la camorra dei mercati ortofrutticoli , gli imbroglioni italiani in Germania , i mafiosi siciliani , i gangsters delle aree fabbricabili , potrà darsi che Rosi senta il bisogno di variare la sua tematica ) , c ' è il pericolo del manierismo : di una perenne requisitoria o di una assunzione di tutti i valori emotivi nell ' incontro e nello scontro delle intelligenze . Non ipotechiamo il futuro : si è detto che in Le mani sulla città le corde di Rosi suonano all ' unisono , tese parallelamente a mettere alla gogna politicanti e approfittatori e a seguire e inchiodare un processo mentale reso drammatico dal conflitto fra due idee - guida della storia : la chiarezza dell ' onestà e le ombre del « particulare » . Non c ' è bisogno di scomodare Machiavelli e Guicciardini per ricordare come il fossato fra morale e politica , fra coscienza e ragion di Stato , possa essere colmato o approfondito : Rosi sa bene che questo tema è , e sarà , eterno . Ma quando egli afferma , come ha ripetuto alla conferenza - stampa di stamane , che la speculazione edilizia è stata per lui un pretesto d ' attualità per raccontare un dibattito di idee e di moralità , rinasce appunto il dubbio che al regista , come già si vide in Salvatore Giuliano , l ' individuazione delle componenti psicologiche , morali e razionali dei caratteri , e il loro legarsi e scontrarsi , stia più a cuore del loro contenuto . Nella storia del cinema sono stati numerosi casi come questi . Senza risalire ai registi americani degli anni Trenta , che denunciavano le collusioni fra politica e malavita senza riuscire a nascondere la loro simpatia per il fascino intellettuale suscitato dall ' urto di quelle forze , basterà ricordare film come Tempesta a Washington e Il processo di Verona , i cui registi ci hanno offerto buoni « spaccati » sulla drammaticità della dialettica delle idee , prima ancora che sull ' ambiente storico preso di mira . Ma Le mani sulla città , ripetiamo , è inscindibile : sta qui la sua forza . Nel suo protagonista , l ' impresario edile Nottola che vuoi divenire assessore comunale , il problema morale si presenta in termini razionali : soltanto in quanto egli può avere in mano il potere politico può sperare di inserire se stesso in un sistema corrotto , cioè identificare il , male con l ' errore . Al di là di una sin troppo facile denuncia politica , contro la classe dirigente italiana appoggiata al centro e di destra , il film ' ha un grande rilievo appunto per la tragica statura del protagonista , il quale difende se stesso con tutte le armi , il denaro , i ceri alla Madonna , il sacrificio del figlio , il tradimento degli amici di partito , e finalmente trionfa perché la corruzione e la debolezza degli altri gli hanno spianato la strada . Di Le mani sulla città si parlerà molto , in Italia , perché è un film d ' opinione socialista , con una mano tesa verso la sinistra democristiana , quindi di moda , e che tocca interessi molto precisi ( l ' associazione costruttori di Roma ha già elevato proteste ) ; ma se qualcuno vorrà fare lo sforzo di guardare soprattutto alle sue qualità cinematografiche , dovrà apprezzare il vigore e l ' essenzialità con cui Rosi imposta i caratteri e le situazioni , li giustappone a una Napoli da una parte affollata di masse lacere e questuanti , dall ' altra chiusa nel breve cerchio di un club mondano o di una vecchia casa signorile , Nel mezzo , isolato fra i suoi mobili razionali e luci fredde , sta Nottola : non si sa nulla della sua vita privata , basta il suo accanimento , l ' astuzia , la spietatezza , e il suo terrore di pensarsi sconfitto , a farlo giganteggiare . Ciò che lo arrovella , si è detto , è il desiderio , anzi il bisogno di divenire , da consigliere , assessore . Le elezioni comunali sono imminenti : se riuscirà , potrà controllare tutti gli appalti relativi a un appezzamento di terreno , comprato in combutta con altri membri del suo partito , sul quale vuole costruire un intero quartiere ( il terreno , se . la giunta sarà sua complice , darà un profitto del cinquemila per cento ) . Mentre prepara questo piano , crolla la parete d ' uno stabile attiguo a quello ché la sua impresa , diretta dal figlio , sta costruendo in un vicolo . Ci sono morti e feriti , e l ' opposizione di sinistra chiede , in Comune , un ' inchiesta , che accerta subito le collusioni fra costruttori e maggioranza . Per evitare di restare inattivo , Nottola riesce a ottenere che tutte le case del vicolo vengano dichiarate pericolanti ; sfrattata la popolazione , egli continua a costruire e ad arricchirsi . Soltanto quando , crescendo le pressioni dell ' opposizione , lo scandalo minaccia di indebolire la maggioranza , il partito di destra che ha in mano il governo locale chiede a Nottola , se vuoi continuare a fare il costruttore , di non presentarsi alle elezioni . Indifferente al ricatto , egli induce il figlio a costituirsi , si trasferisce nel partito di centro , e finalmente riesce a essere eletto . Il nuovo sindaco , « nell ' interesse di tutti » , fa sì che l ' assessore Nottola e la destra dimentichino i rancori personali : una nuova maggioranza si è così formata per continuare i vecchi intrallazzi . Ma in consiglio comunale la sinistra non è più sola nel denunciare il pateracchio : ora anche l ' ala sinistra del partito di centro accusa il Nottola . Invano , ché ormai l ' assessore e i suoi compari hanno via libera per la costruzione del nuovo quartiere : la benedizione della prima pietra verrà a darla personalmente l ' arcivescovo , È la prima volta che un film è buono nonostante una così attuale - e ovviamente tendenziosa - polemica politica ( « I personaggi e i fatti sono immaginari - ci avverte una didascalia - ma autentica è la realtà sociale e ambientale che li produce » ) . Lo si deve alla penetrazione realistica con cui lo stile critico di Rosi dichiara la sua passione morale e la sua lucidità razionale , alla fotografia di Di Venanzo , alla robusta musica di Piccioni , all ' ottima recitazione di Rod Steiger , che ancora una volta dà fortissimo risalto alla livida figura di un uomo d ' affari che si comporta da bandito , e di Salvo Randone incisivo come sempre , e di Guido Alberti , ormai un vero attore . Nel cast non ci sono donne ( l ' unica che ha una particina , è anzi una grave caduta di gusto , un soprassalto di demagogia ) , e ciò riafferma che il soggetto di Rosi e La Capria ( alla sceneggiatura hanno collaborato anche Enzo Provenzale ed Enzo Forcella ) è tutto teso a significare la drammaticità insita nella sua forte dialettica logica e morale . Essa ha trovato in Rosi un regista il quale con inquadrature sicure e un secco montaggio che assicura un serrato dinamismo narrativo la esprime prevalentemente nei dialoghi fra gli uomini politici e nelle agitate riunioni del consiglio comunale , con tête à tête che sono sfide , ricatti , e compromessi dettati dall ' opportunismo più abietto . Ma anche le scene di popolo sono eccellenti : da quella del crollo a quella della zuffa , nel vicolo , fra napoletani e polizia . Insomma , il « Leone d ' oro » di Venezia , che già aveva cominciato a ruggire , oggi scuote le sbarre .
StampaQuotidiana ,
Th.E. Lawrence avrebbe oggi settantacinque anni , se un incidente motociclistico non l ' avesse stroncato nel 1935 . Dunque è un nostro contemporaneo , e in lui vediamo , sublimati , miti che la nostra età ha ereditato dal romanticismo : quelli della libertà , dell ' evasione nell ' Oriente favoloso , del superuomo . Ma insieme è il simbolo di una generazione che ha assistito al crollo degli ideali perché essi non erano sorretti da un ' impalcatura razionale , erano uno slancio mistico e spesso mistificatore , con una forte componente divistica e bastava una crepa nello spirito , una improvvisa deviazione nell ' umore , per trasformare un uomo d ' azione , un amante del rischio , in un vinto frustrato . L ' amicizia fra Lawrence e Italo Balbo può aiutare il pubblico italiano a capire questo inglese complesso , che credette , negli anni della prima guerra mondiale , di essere stato chiamato dal destino a combattere , con la volontà e il coraggio , per l ' unità e l ' indipendenza degli arabi , e si pensò demiurgo del Medio Oriente , fiamma di libertà per popoli da secoli oppressi dai turchi , e invulnerabile Taumaturgo del deserto . E cocentissima sentì l ' umiliazione , quando crudamente avvertì le proprie dimensioni di uomo , oggetto d ' immondo desiderio , e perduta la fede nella propria integrità capì di essere stato fatalistico strumento d ' una frode politica . Ché gli alleati volevano , né più né meno , prendere il posto dei turchi , e gli arabi erano troppo divisi in tribù per sperare di cementarli in nazione . A Lawrence il produttore Sam Spiegel , il regista David Lean , lo sceneggiatore Robert Bolt dedicano ora una biografia cinematografica , ma limitata al capitolo più popolare , appunto 80gli anni fra il 1916 e il 1918 : da quando il tenente Lawrence , malvisto dai superiori per la sua indisciplina e la sua cultura ( incauto , cita Temistocle ) riceve al Cairo l ' incarico di mettersi in contatto col principe Feisal , a quando , sposata la causa degli arabi , vestito dei loro abiti , trasformato il nome in El Orens , succhiatane l ' astuzia e la crudeltà , conquistate Akaba e Damasco con infinite peripezie che lo eguagliano a Mosè , torna , colonnello ma affranto , in Inghilterra . Ben s ' intende che il film avrebbe potuto cominciare di qui , o almeno arrivare sino a Versailles , dove Lawrence si batté perché gli alleati tenessero fede agli impegni che egli , a nome dell ' Inghilterra , aveva preso con gli arabi : e non essendovi riuscito sentì crescere tanto il rimorso e la vergogna da rinunciare al grado , e poi al nome e ai diritti d ' autore su I sette pilastri della saggezza , il libro nel quale raccontò il suo grande sogno . Ma così facendo il film avrebbe preso tutti i caratteri della biografia psicologica ( e l ' opportunità politica sconsigliava di riaprire certe piaghe ) : meglio sfruttare le grandi risorse spettacolari offerte dalla guerriglia nel deserto , dare al film il timbro dell ' avventura , vestire l ' epopea di Lawrence con l ' abito del western . Dopotutto David Lean , con Il ponte sul fiume Kwai , aveva ottenuto un immenso successo commerciale . Bene ; ma se Sam Spiegel , un produttore che non lascia mano libera al regista , è un americano che crede fermamente nel cinema d ' azione , David Lean è un inglese che nonostante la conversione allo schermo gigante ha alle spalle , per non dir altro , Breve incontro , un delizioso ricamo intimista , e Robert Bolt è il giovane drammaturgo che prima di debuttare come sceneggiatore cinematografico ha affrontato l ' inquietante figura di Tommaso Moro , l ' utopista del Cinquecento . Che i tre potessero andare molto d ' accordo era improbabile : di qui l ' ambiguità del film , ma di qui , anche , lo sforzo compiuto da David Lean , che si vede , e del quale si ammira la sincerità . Detto in due parole , Lawrence d ' Arabia ha molte eleganze formali , molta efficacia visiva , ma non sa raccontarci con sicurezza la figura del protagonista . Per un fenomeno non infrequente , è accaduto che l ' ambiguità del personaggio si è riflessa sulla sceneggiatura , che le sue reticenze hanno intorbidito la limpidità del racconto . Era un alibi degli ermetici dire che per esprimere la notte dell ' anima occorresse far ricorso all ' oscurità . Per quanto complessa la personalità di Lawrence chiede , postata sullo schermo , di essere in qualche modo spiegata al popolo . È dif idile discutere una interpretazione che , col pretesto della pluralità delle componenti psicologiche del carattere di Lawrence , compie assaggi in varie direzioni , ma non ha il coraggio di proporre una scelta precisa . Sull ' esempio di Ross , il dramma di Terence Rattigan , anche Bolt vuoi far leva sulla psicanalisi per spiegare la tragedia di Lawrence e insinua che egli fu quello che fu perché , figlio d ' un baronetto , cercò altrove il prestigio sociale negatogli dalla sua qualità di illegittimo ; e lascia intendere che il trauma subìto da Lawrence quando cadde nelle mani del bey turco gli confermò le sue tendenze particolari , e lo sconvolse fino a cercare nel sanguinoso carnaio , in una guardia del corpo composta di assassini e ladroni , la voluttà del male . Ma Bolt imbocca questa strada con timidezza , e la interseca con altri cammini : la crisi della volontà , la delusione dell ' inglese alfiere di libertà , il dramma del dubbio intellettuale , il terrore di essere stato una pedina , l ' amarezza dell ' uomo civile impotente di fronte alla barbarie . Risultato , un labirinto nel quale Lawrence appare un affannato nevrotico ; lasciando Damasco gli si consiglia una buona clinica londinese . Consapevole di questa debolezza strutturale , David Lean ha tentato di rimediarvi facendo di Lawrence un eroe fortemente condizionato dall ' ambiente , prima esaltato dalle immense , carnali curve di sabbia , poi depresso dal sacrificio di vite umane che la sua impresa chiedeva e dalle miserie illuminate dal sole di fuoco , infine conquistato dall ' esempio di ferocia propostogli dai predoni del deserto : alzando , cioè , il tono di tutto il film in una simbiosi grandiosa fra paesaggio e carattere . E l ' asino ricasca , perché Spiegel e Lean scelgono un attore che non soltanto viene dal teatro , ma proprio da Shakespeare . Invitata a correre , la lepre O ' Toole che fa ? Confonde Lawrence con Amleto : ma un Amleto nevropatico , distruttore di se stesso . È un bel ragazzo , questo occhi - ceruleo Peter O ' Toole , e ha quel tanto di mollezza femminile che si confà al personaggio , ( nessuna donna , nel film : a maggior ragione egli svolge un ruolo che copre lo spazio lasciato vuoto dalla star ) , ma non ha maturità sufficiente a colmare con la recitazione i dislivelli della sceneggiatura : per timore di non farsi capire butta fuori tutto , e al rovello intimo di Lawrence sostituisce o un imbambolamento da fanciulla o un ' esagitazione muscolare . Di gran lunga migliori le interpretazioni di Alec Guinness , di Anthony Quinn , di Jack Hawkins , benché tutte un po ' di maniera . La palma della recitazione va a Ornar Sharif , e subito dopo all ' ottimo Claude Rains . E tuttavia Lawrence d ' Arabia è un film da vedere . Bellissima è , spesso , la fotografia , morbida la tavolozza che accoglie tutte le variazioni cromatiche del deserto , suggestivi í rapporti di volume e colore fra i cammelli , i beduini , e i piani infiniti , l ' ondosità delle dune , di sicuro effetto le marce , le stragi , gli assalti al treno , esaltante la musica . Tecnicamente il film è girato con molto gusto e intelligenza : Lean e il suo operatore cadono in ingenui trabocchetti ( quel sole dipinto sul cartone ! ) , ma nella maggior parte dei casi hanno grande sensibilità per l ' inquadratura panoramica e il dettaglio . Il film ha perciò pagine emotive , ed è figurativamente degnissimo , soprattutto nella prima parte , di disteso racconto . Traballa nel traliccio psicologico , tutto affollato nella seconda , elude il sottofondo storico e politico assumendo il protagonista in un mito del quale poi non ci dà chiare ragioni , ma le tre ore e mezzo che promette non sono sprecate .. Benché per lealtà si debba aggiungere che Sam Spiegel aveva detto : « Vorrei che nessuno spettatore si distraesse per accendere una sigaretta » , e noi quattro , forse cinque , ne abbiamo fumate . Che viziaccio . '