StampaQuotidiana ,
Grazie
alla
censura
Viridiana
era
divenuto
un
mito
,
e
sventolato
come
una
bandiera
.
Ora
che
anche
in
Italia
lo
possiamo
vedere
in
edizione
integrale
si
può
dire
che
su
quel
vessillo
ci
sono
molti
segni
,
ma
non
tutti
riconducibili
a
un
'
interpretazione
anticlericale
e
antifranchista
di
comodo
.
È
vero
che
tutto
fa
brodo
,
agli
occhi
dei
fanatici
,
ma
Buñuel
non
è
un
uomo
di
cinema
che
si
lasci
facilmente
utilizzare
come
strumento
di
polemica
politica
:
cercare
nella
sua
opera
troppi
significati
moralistici
equivale
,
anzi
,
a
ridurne
di
molto
la
personalità
artistica
.
L
'
ha
detto
chiaro
:
Viridiana
non
vuole
dimostrare
nulla
,
soltanto
esprimere
,
con
i
modi
dell
'
umor
nero
,
ossessioni
erotiche
e
religiose
.
Le
stesse
che
da
molti
decenni
devastano
l
'
animo
inquieto
di
questo
spagnolo
uscito
da
una
facoltosa
famiglia
di
terrieri
cattolici
,
educato
dai
gesuiti
,
passato
attraverso
l
'
esperienza
del
surrealismo
come
attraverso
una
scuola
di
eversione
di
ogni
valore
conformistico
;
infine
,
esule
dalla
patria
con
tutto
il
bagaglio
di
stimoli
spirituali
e
di
suggestioni
culturali
che
hanno
esasperato
una
naturale
vocazione
tragica
.
Se
dunque
,
invece
,
si
vuole
anatomizzare
il
film
per
cercarvi
il
messaggio
,
non
rischiamo
di
trovarci
i
cascami
di
un
picarismo
letterario
e
di
un
anarchismo
ottocentesco
,
se
non
addirittura
di
un
terribilismo
alla
Sade
inserito
con
qualche
snobismo
nel
filone
dell
'
irrazionalismo
novecentesco
?
Senza
dire
che
L
'
Angelo
sterminatore
,
il
film
successivo
a
Viridiana
,
e
che
si
vide
l
'
anno
scorso
a
Cannes
,
non
avrebbe
portato
avanti
il
discorso
,
anzi
avrebbe
ribadito
quella
che
sembra
l
'
unica
costante
delle
cupe
invenzioni
di
Buñuel
:
l
'
insofferenza
per
le
convenzioni
,
la
malinconia
per
la
condizione
di
schiavitù
propria
degli
uomini
.
Buñuel
resta
,
a
nostro
avviso
,
un
nichilista
la
cui
forza
poetica
è
data
proprio
dalla
coerenza
con
cui
esprime
la
sua
disperazione
di
non
poter
sostituire
nulla
all
'
ordine
che
vuol
distruggere
.
Chi
ne
fa
un
profeta
della
rivoluzione
dovrebbe
chiedersi
di
quali
valori
positivi
si
fa
apportatore
Buñuel
con
un
film
come
Viridiana
.
L
'
immagine
finale
che
egli
ci
offre
del
mondo
,
dopo
la
sconfitta
del
bene
e
del
male
,
è
perplessa
e
sarcastica
.
È
una
partita
a
carte
in
cui
tutti
sono
coinvolti
.
Egli
esprime
,
semplicemente
,
la
vanità
degli
sforzi
dell
'
individuo
senza
proporci
con
convinzione
l
'
alternativa
collettivistica
.
Se
egli
irride
,
oggi
,
la
carità
di
quanti
percorrono
le
strade
del
Novecento
puntellandosi
a
un
'
emblematica
medievale
(
tale
gli
sembrano
la
croce
,
il
martello
,
i
chiodi
e
la
corona
di
spine
ai
quali
Viridiana
s
'
aggrappa
)
,
non
perciò
mostra
di
aver
maggiore
fiducia
in
chi
lavora
di
zappa
e
calcina
.
Questi
avranno
più
meriti
agli
occhi
del
mondo
,
ma
anche
la
loro
esistenza
è
presa
nel
gran
gioco
di
un
destino
di
falsità
.
Si
vuoi
dire
che
,
con
virulenza
di
visionario
e
il
gusto
del
ripugnante
che
gli
deriva
dalla
tradizione
artistica
spagnola
,
Buñuel
grida
troppo
forte
perché
la
vena
di
rimpianto
,
l
'
ansia
di
purezza
assoluta
che
forse
gli
serpeggia
nel
corpo
gonfio
di
sdegni
non
si
secchi
nello
stagno
dello
scetticismo
.
Proprio
per
questo
,
come
non
abbiamo
un
tribuno
,
così
abbiamo
un
fortissimo
artista
(
e
anche
un
maestro
di
cinema
)
,
che
spezza
ogni
mito
ideologico
con
la
potenza
fantastica
e
figurativa
;
che
ci
propone
un
universo
poetico
compatto
nel
delirio
del
sentimento
,
e
lo
esprime
con
un
linguaggio
che
risolve
tutti
i
contenuti
in
una
forma
grondante
di
incisività
.
Viridiana
è
un
esempio
calzante
della
assunzione
di
tutti
i
valori
nello
stile
.
Se
ha
modi
,
e
tecnica
,
di
vecchio
stampo
,
ivi
compreso
il
sovrabbondante
ricorso
alla
simbologia
,
è
perché
Buñuel
appartiene
a
una
generazione
artistica
di
estrazione
naturalistica
che
non
lasciava
i
margini
dei
libri
troppo
bianchi
,
perché
i
lettori
proseguissero
l
'
opera
per
proprio
conto
.
Un
romanzo
era
un
romanzo
,
non
una
proposta
di
romanzo
;
e
un
film
un
racconto
in
cui
l
'
autore
realizzava
tutto
se
stesso
.
O
prendere
o
lasciare
.
La
storia
di
Viridiana
(
Silvia
Pinal
)
è
quella
di
una
novizia
che
si
perde
.
Comincia
sulle
note
di
Mozart
e
di
Händel
,
e
finisce
sui
ritmi
del
jazz
.
Alla
vigilia
di
prendere
i
voti
,
Viridiana
va
a
far
visita
a
un
vecchio
zio
(
Fernando
Rey
)
che
abita
in
una
villa
di
campagna
,
ossessionato
dalla
memoria
della
moglie
mortagli
trent
'
anni
prima
,
la
sera
stessa
delle
nozze
,
e
che
egli
custodisce
attraverso
il
culto
feticista
per
i
suoi
abiti
da
sposa
.
Identificando
Viridiana
con
la
moglie
,
lo
zio
le
chiede
di
sposarlo
,
e
al
suo
rifiuto
la
droga
,
con
la
complicità
di
una
serva
,
dopo
averle
chiesto
,
come
ultimo
favore
,
di
indossare
il
bianco
abito
di
nozze
che
egli
ha
conservato
per
tutti
quegli
anni
.
Priva
di
conoscenza
,
la
novizia
subirebbe
l
'
oltraggio
del
vecchio
,
se
questi
non
fosse
all
'
ultimo
momento
trattenuto
dalla
speranza
di
possederla
legittimamente
con
una
menzogna
:
facendole
credere
,
l
'
indomani
mattina
,
che
nella
notte
egli
le
ha
fatto
violenza
.
Inorridita
,
Viridiana
lascia
la
casa
per
tornare
al
convento
,
senza
perdonare
lo
zio
,
ma
quando
sta
per
partire
viene
avvertita
che
il
vecchio
si
è
impiccato
e
l
'
ha
lasciata
erede
,
insieme
a
un
cugino
,
della
fattoria
.
La
ragazza
si
considera
responsabile
del
gesto
dello
zio
:
per
espiare
rinunzierà
a
farsi
suora
,
ma
si
darà
a
opere
di
bene
,
accogliendo
nella
fattoria
quanti
mendicanti
,
ladri
,
vagabondi
,
troverà
nel
paese
:
il
suo
peccato
d
'
orgoglio
confina
con
l
'
ingenuità
.
Arriva
intanto
il
cugino
Jorge
(
Francisco
Rabal
)
,
che
vuol
riorganizzare
la
proprietà
e
appoderare
i
campi
abbandonati
.
È
un
bell
'
uomo
,
e
ha
con
sé
un
'
amante
,
ma
se
ne
libera
presto
perché
ha
messo
gli
occhi
su
Viridiana
,
benché
la
consideri
una
«
bigotta
marcia
»
e
intanto
si
gode
la
serva
.
La
cugina
,
ritiratasi
in
una
misera
stanzetta
,
è
intenta
soltanto
alla
preghiera
e
alla
beneficienza
,
tutta
circondata
di
speranze
mistiche
e
di
fiducia
nell
'
avvenire
.
Mentre
i
suoi
vagabondi
recitano
l
'
Angelus
,
i
muratori
di
Jorge
lavorano
e
sudano
.
Due
modi
di
affrontare
la
vita
,
dopotutto
.
Un
giorno
,
assenti
i
padroni
,
i
poveri
invadono
la
villa
e
la
mettono
a
soqquadro
,
insozzano
le
stanze
,
profanano
ogni
simbolo
di
purezza
,
finalmente
si
siedono
a
banchetto
facendosi
«
fotografare
»
lubricamente
nell
'
atteggiamento
dell
'
Ultima
Cena
.
Sorpresi
dai
padroni
,
uno
dei
mendicanti
tenta
di
violentare
Viridiana
,
ma
il
cugino
la
salva
convincendo
uno
di
loro
ad
uccidere
,
per
denaro
,
l
'
amico
.
Tramontata
la
sua
illusione
di
poter
fare
del
bene
,
Viridiana
tenta
ancora
di
resistere
all
'
istinto
della
femminilità
che
si
è
svegliato
in
lei
;
ma
è
fatale
che
cada
:
il
male
del
vivere
è
più
forte
,
ormai
,
della
sua
fede
.
La
corona
di
spine
brucia
in
un
falò
,
la
donna
va
a
sedersi
al
tavolo
dove
il
cugino
e
la
serva
giocano
a
carte
:
ora
,
sul
grammofono
,
gira
un
disco
di
cha
-
cha
-
cha
.
La
realtà
vince
il
sogno
.
E
il
disprezzo
di
Buñuel
ha
coinvolto
tanto
la
superstizione
religiosa
quanto
l
'
erotismo
dei
vecchi
,
la
corruzione
dell
'
infanzia
e
le
buone
intenzioni
di
Viridiana
.
La
sua
«
corte
dei
miracoli
»
ha
corroso
,
con
il
vieto
concetto
di
beneficenza
,
l
'
ipotesi
stessa
del
bene
.
Non
è
certo
da
un
laido
sottoproletariato
che
viene
la
speranza
:
esso
è
servito
a
inserire
Viridiana
in
una
società
filistea
,
ma
non
a
proporre
un
ricambio
sociale
.
Se
vogliamo
restare
fedeli
alle
intenzioni
di
Buñuel
,
il
suo
film
è
un
grottesco
che
non
a
caso
ebbe
,
oltre
alla
palma
d
'
oro
di
Cannes
nel
1961
,
il
premio
dell
'
humour
noir
.
Non
.
come
anche
è
stato
detto
,
soltanto
una
serie
di
gags
,
ma
certamente
il
frutto
di
una
fantasia
lugubre
,
che
si
esercita
su
alcuni
mali
della
società
contemporanea
con
gusto
autodistruttivo
,
riscattato
soltanto
da
una
assoluta
libertà
morale
.
Se
nel
film
c
'
è
qualcosa
di
blasfemo
è
questo
incrudelire
sull
'
uomo
a
vantaggio
dell
'
artista
,
che
si
getta
con
voluttà
in
una
ricostruzione
tendenziosa
della
realtà
,
e
riesce
a
dipingerla
con
tinte
così
forti
e
cupe
da
mettere
i
brividi
.
Se
il
mondo
fosse
questo
,
meglio
spararsi
.
È
raro
che
il
cinema
riesca
a
dare
una
così
dura
impressione
.
Quando
lo
fa
,
vuol
dire
che
le
scene
,
così
pregnanti
,
sono
uscite
dalle
mani
di
un
vero
creatore
,
il
quale
si
assume
molte
responsabilità
purché
gli
si
riconosca
sincerità
con
se
stesso
.
Triviale
,
cinico
,
truculento
,
tutto
si
potrà
dire
di
Buñuel
tranne
che
non
sia
un
autentico
spagnolo
ossessionato
dalla
cecità
degli
uomini
e
dalla
nostalgia
della
pietà
.
StampaQuotidiana ,
Otto
e
mezzo
di
Federico
Fellini
:
il
miele
dell
'
illusione
fornito
dalla
magia
contro
la
vita
agra
,
la
fuga
dell
'
individuo
dal
pessimismo
cattolico
in
una
serena
finzione
di
solidarismo
,
una
sorta
di
fantastico
balletto
sulla
passerella
dell
'
esistenza
.
Una
favola
e
un
incubo
,
dal
quale
si
esce
impietositi
per
gli
uomini
,
se
non
ci
consolasse
questa
facoltà
dell
'
arte
,
sorella
della
stregoneria
,
di
rendere
toccabile
,
e
perciò
vero
,
il
mondo
dell
'
ignoto
in
cui
si
dibatte
la
coscienza
.
È
forse
lo
sforzo
più
duro
che
Fellini
abbia
compiuto
sinora
per
compromettere
tutto
se
stesso
nella
ricerca
di
sé
e
di
quanto
lo
leghi
agli
altri
.
Protagonista
è
Guido
,
un
regista
sui
quarantacinque
,
famoso
,
ricco
,
sposato
,
con
un
'
amante
quieta
,
e
quante
altre
donne
vuole
intorno
.
Dovendo
fare
un
film
,
ha
pensato
confusamente
a
qualcosa
di
fantascienza
,
una
nave
spaziale
che
porti
su
un
altro
pianeta
i
resti
dell
'
umanità
decimata
dalla
peste
atomica
.
Una
malattia
,
e
la
paura
della
morte
,
improvvisamente
lo
blocca
.
Subito
un
incubo
:
di
restare
soffocato
nell
'
automobile
,
e
l
'
umanità
che
assiste
al
lugubre
spettacolo
.
Vola
in
cielo
,
ma
qualcosa
lo
lega
:
un
impegno
di
responsabilità
,
che
non
riesce
ad
affrontare
,
ma
al
quale
non
può
sfuggire
:
la
sua
vita
privata
,
il
film
,
gli
attori
che
pendono
da
lui
,
i
piani
di
lavorazione
.
Come
vogliono
i
medici
,
va
a
curarsi
in
una
stazione
termale
.
È
il
momento
in
cui
Guido
rimette
tutto
in
discussione
.
È
in
crisi
il
suo
talento
,
le
idee
sono
nebbiose
,
non
sa
come
portare
avanti
il
film
.
È
,
a
rimorchio
,
è
in
crisi
la
sua
coscienza
.
Non
ha
mai
saputo
rinunziare
a
niente
,
non
ha
mai
saputo
scegliere
una
cosa
sola
e
restarle
fedele
.
Ora
i
rimorsi
sono
giunti
a
maturazione
,
lo
macerano
nella
scontentezza
e
nella
solitudine
.
Si
guarda
intorno
:
uno
scrittore
,
chiamato
a
collaborare
alla
stesura
del
film
,
gli
distrugge
,
con
freddo
razionalismo
,
quanto
ha
fatto
sinora
;
un
amico
,
non
più
giovane
,
ha
lasciato
la
moglie
e
,
pur
di
sentirsi
qualcuno
vicino
,
ha
preso
per
amante
una
compagna
di
scuola
della
figlia
;
la
gente
che
circola
per
le
strade
,
ricca
,
soddisfatta
,
ha
spento
nell
'
abitudine
e
nella
finzione
sociale
ogni
stimolo
verso
la
verità
.
C
'
è
una
bella
ragazza
,
alla
fonte
,
che
gli
porge
il
bicchiere
,
e
gli
fa
indovinare
un
ideale
di
purezza
,
ma
appare
e
scompare
come
un
fantasma
.
È
non
sarà
anch
'
essa
,
per
lui
,
un
'
ambizione
di
conquista
,
per
continuare
a
mentire
sotto
il
velo
di
un
lavacro
d
'
innocenza
?
Arriva
Carla
,
l
'
amante
di
Guido
,
bianca
di
pelle
,
pastosa
,
tutta
mossettine
,
positiva
.
Altre
volte
gli
bastò
rifugiarsi
nella
sua
soda
stupidità
.
Ora
non
più
:
se
ne
vergogna
,
la
sistema
in
un
alberghetto
.
A
letto
con
lei
,
trasognato
dal
suo
bianco
,
Guido
si
assopisce
e
si
trova
nella
luce
di
un
cimitero
.
Il
padre
,
che
torna
a
morire
calandosi
vivo
nella
terra
;
la
madre
,
dolente
,
che
all
'
improvviso
assume
il
volto
di
Luisa
,
la
moglie
di
Guido
...
I
ricordi
,
le
presenze
,
gli
si
confondono
e
lo
mordono
:
non
è
stato
giusto
con
nessuno
,
non
ha
fatto
mai
nulla
per
gli
altri
.
Intanto
tutta
la
troupe
del
film
l
'
ha
raggiunto
:
il
produttore
,
gli
attori
,
i
tecnici
premono
perché
spieghi
cosa
vuoi
fare
,
come
distribuire
le
parti
,
perché
scelga
e
risponda
.
La
sera
,
al
night
delle
terme
,
un
mago
fa
esperimenti
di
telepatia
.
Perché
egli
riesce
a
indovinare
il
pensiero
degli
altri
,
e
Guido
non
sa
più
vedere
nemmeno
in
se
stesso
?
Eppure
il
passato
gli
è
vivo
dinanzi
:
l
'
infanzia
nella
fattoria
,
in
Romagna
,
la
felice
sicurezza
dei
giochi
,
le
mani
delle
donne
.
Forse
Luisa
,
la
moglie
,
può
restituirgli
quella
pace
:
è
un
'
ancora
alla
quale
Guido
si
aggrappa
.
Che
venga
,
Luisa
,
lo
raggiunga
alle
terme
,
se
vuole
.
È
intanto
la
ragazza
della
fonte
gli
riappare
,
come
una
tentazione
.
È
intanto
a
Carla
viene
un
febbrone
,
e
Guido
rifiuta
ancora
una
volta
di
prendersi
la
responsabilità
:
sarà
meglio
chiamare
il
marito
.
Affascinato
dal
corpo
di
lei
,
ecco
ora
il
ricordo
dei
primi
pensieri
peccaminosi
.
Guido
è
in
collegio
,
bambino
:
insieme
ai
compagni
è
andato
nascostamente
sulla
spiaggia
a
vedere
la
Saraghina
,
una
femmina
animalesca
che
vive
tra
i
ruderi
d
'
una
casamatta
.
Sorpreso
dagli
istitutori
,
è
scosso
di
paura
e
vergogna
.
Fu
allora
,
forse
,
che
cominciò
a
mentire
a
se
stesso
.
Non
gli
verrebbe
una
parola
di
consolazione
dalla
Chiesa
?
Alle
terme
c
'
è
anche
un
cardinale
.
Guido
lo
interroga
,
ma
ne
ha
una
risposta
sconsolante
:
«
Chi
ha
detto
che
si
viene
al
mondo
per
essere
felici
?
»
.
Arriva
Luisa
,
e
con
lei
nuovi
motivi
di
disagio
;
perché
Guido
le
mentisce
fingendo
di
ignorare
la
presenza
di
Carla
alle
terme
,
e
la
moglie
si
rifiuta
di
continuare
ad
accettarlo
qual
è
,
un
uomo
che
mentisce
come
respira
.
Ancora
un
sogno
egoista
,
per
Guido
:
di
vedere
la
moglie
e
l
'
amante
a
braccetto
,
e
poi
di
trovarsi
intorno
tutte
le
donne
della
sua
vita
,
come
in
un
harem
festoso
,
e
lui
coccolato
come
un
bambino
e
temuto
come
un
domatore
.
Ma
il
film
non
procede
,
e
tutto
l
'
ambiente
è
a
rumore
:
insomma
,
cosa
vuole
il
regista
?
Gli
si
è
seccata
la
vena
?
Perché
fa
il
misterioso
?
Vigliacco
,
oltreché
buffone
?
È
ora
,
che
parte
ha
Claudia
,
la
diva
che
si
è
aggiunta
alla
troupe
?
In
Claudia
Guido
identifica
la
ragazza
della
fonte
e
l
'
attrice
famosa
.
Sta
rompendo
con
la
moglie
,
sta
pensando
di
rinunziare
al
cinema
:
Claudia
può
restituirgli
la
verginità
dei
sentimenti
e
delle
parole
.
Ma
anche
questa
speranza
fallisce
,
e
ormai
l
'
organizzazione
del
film
è
al
punto
da
costringere
Guido
a
pronunziarsi
.
Di
fronte
al
grande
traliccio
costruito
per
il
lancio
dell
'
astronave
,
il
produttore
convoca
una
conferenza
-
stampa
.
Preso
d
'
assalto
,
Guido
deve
confessare
il
proprio
fallimento
di
regista
e
di
uomo
.
Finzione
e
realtà
ormai
si
confondono
in
lui
e
l
'
ossessionano
.
Pensa
di
sfuggire
a
tutte
le
responsabilità
col
suicidio
,
ma
mentre
la
folla
si
disperde
il
mago
che
nel
night
faceva
gli
esperimenti
di
telepatia
lo
ferma
,
presentandogli
una
realtà
miracolosamente
pacificata
nella
suprema
finzione
.
In
un
lampo
,
Guido
intuisce
che
il
senso
del
film
e
della
vita
sta
nell
'
accettare
il
mondo
,
nel
rinunziare
a
fuggire
in
un
altro
pianeta
,
nell
'
abbandonarsi
,
sfilando
tutti
insieme
come
su
una
passerella
,
al
necessario
,
inevitabile
gioco
della
vita
,
in
cui
l
'
egoismo
di
ciascuno
coincide
con
la
verità
di
tutti
.
La
creatura
di
sogno
,
tutta
vestita
di
bianco
,
la
ritroviamo
allora
in
noi
,
nell
'
innocenza
di
noi
stessi
bambini
.
Nel
suo
cono
di
luce
ci
sembra
di
rinascere
.
In
Otto
e
mezzo
(
l
'
ottavo
film
di
Fellini
,
più
Luci
del
varietà
,
firmato
insieme
a
Lattuada
)
,
lo
scrittore
che
era
stato
chiamato
a
consulto
da
Guido
,
e
lo
aveva
duramente
criticato
,
finisce
impiccato
.
Questa
è
la
sorte
che
Fellini
riserva
a
chi
voglia
vedere
,
sempre
,
tutto
chiaro
,
e
rifiuti
le
confessioni
che
non
seguano
il
gelido
ordine
razionale
.
D
'
accordo
,
strangoliamo
la
critica
se
vuole
obbligarci
a
giudicare
una
grande
opera
d
'
arte
come
questa
con
i
canoni
cartesiani
.
Siamo
in
un
'
età
di
transizione
,
dobbiamo
lasciarci
convincere
dalla
stessa
indeterminatezza
di
un
'
idea
,
se
essa
ci
emoziona
.
Abbiamo
bisogno
di
sentirci
scaldare
,
di
farci
trasportare
.
Non
è
nemmeno
quanto
Fellini
ci
dice
sul
tumulto
della
sua
vita
individuale
(
perché
l
'
identificazione
fra
Guido
e
Fellini
è
totale
,
e
questo
può
essere
un
difetto
del
film
)
,
ciò
che
più
ci
interessa
.
Dopo
tutto
sono
fatti
suoi
,
e
si
può
anche
non
essere
d
'
accordo
sulla
validità
universale
della
soluzione
ch
'
egli
ci
propone
,
e
non
troppo
chiaramente
,
a
conclusione
di
un
itinerario
larghissimamente
autobiografico
.
È
il
fatto
che
un
uomo
di
cinema
,
pur
dando
íl
suo
luogo
all
'
astuzia
,
si
metta
nudo
in
piazza
,
si
offra
al
dileggio
,
e
intanto
le
sue
carni
si
traducano
in
immagini
di
ineguagliabile
evidenza
fantastica
,
ciò
che
colpisce
e
mozza
il
fiato
.
La
parabola
pronunciata
da
Fellini
può
anche
lasciarci
freddi
,
se
la
isoliamo
dal
contesto
(
e
indubbiamente
la
contemporaneità
dei
tre
piani
narrativi
e
psicologici
-
quello
che
Guido
è
,
è
stato
e
vorrebbe
essere
-
non
è
perfettamente
risolta
in
racconto
unitario
)
,
ma
l
'
eccezionalità
del
film
sta
proprio
nella
«
bella
confusione
»
(
questo
è
il
titolo
che
Flaiano
aveva
proposto
)
di
errore
e
verità
,
di
realtà
e
sogno
,
di
valori
stilistici
e
valori
umani
,
nel
totale
adeguamento
del
linguaggio
cinematografico
di
Fellini
alle
sconnesse
immaginazioni
di
Guido
.
Come
distinguere
il
regista
della
realtà
da
quello
della
finzione
è
impossibile
,
così
i
difetti
di
Fellíni
coincidono
con
le
ombre
spirituali
di
Guido
.
L
'
osmosi
fra
arte
e
vita
è
strabiliante
.
Certo
siamo
di
fronte
a
un
esperimento
irripetibile
.
Da
nessun
altro
saremmo
disposti
ad
ammettere
che
«
il
film
deve
contenere
errori
come
la
vita
,
come
la
gente
»
:
quella
che
per
Fellíni
è
stata
,
durante
la
lavorazione
laboriosa
del
film
,
la
consapevole
scelta
di
un
rischio
gravissimo
,
per
chiunque
altro
potrà
essere
un
alibi
.
Piuttosto
dobbiamo
chiederci
perché
un
'
avventura
tanto
personale
,
talché
Otto
e
mezzo
,
con
i
suoi
rintocchi
malinconici
,
sta
fra
la
confessione
e
il
testamento
,
raggiunga
una
delle
vette
più
alte
del
cinema
mondiale
contemporaneo
.
Il
segreto
,
dite
pure
il
trucco
,
sta
nell
'
aver
portato
all
'
estremo
quella
disponibilità
inventiva
e
quella
maestria
tecnica
grazie
alle
quali
anche
immagini
sparse
prendono
corpo
e
divengono
frasi
di
un
discorso
che
perennemente
si
arrotola
e
si
snoda
sul
piano
della
fantasia
,
della
memoria
e
del
sortilegio
,
e
nell
'
averle
nutrite
di
tutte
le
angosce
del
nostro
tempo
.
Quante
volte
è
stato
detto
che
Fellini
è
soprattutto
un
visionario
?
Ma
ormai
le
sue
visioni
sono
un
grido
.
Ormai
egli
proietta
tutti
i
suoi
dubbi
morali
su
uno
schermo
magico
,
che
assorbe
la
confessione
nella
visione
,
senza
il
consueto
tramite
della
introspezione
,
ma
il
lampo
gli
parte
dal
profondo
dell
'
essere
.
È
uno
sdrucciolone
nell
'
intuizionismo
se
volete
,
ma
compiuto
da
un
umanista
che
resta
fedele
ai
modi
realistici
:
per
un
'
arcana
operazione
i
valori
stilistici
del
film
sono
anche
quelli
psicologici
,
e
la
frondosità
,
l
'
eccesso
di
simbolismo
,
le
ridondanze
,
tutto
quanto
c
'
è
di
floreale
nel
regista
restano
nel
contempo
i
connotati
morali
di
un
artista
ossessionato
,
che
non
vuole
staccarsi
dal
magma
che
gli
bolle
dentro
,
preferendo
tentare
di
liberarsene
col
bruciarsi
le
facoltà
ordinatrici
,
sia
pure
irridendo
alla
propria
ambizione
.
In
Otto
e
mezzo
l
'
operazione
è
riuscita
fino
allo
spasimo
.
Non
c
'
è
sequenza
del
film
in
cui
non
sia
visibile
questo
sforzo
di
sincerità
.
Tutto
il
film
è
.
un
incrociarsi
di
ipotesi
,
presagi
,
intuizioni
che
assumono
consistenza
figurativa
nell
'
attimo
stesso
in
cui
sono
avvertiti
dalla
coscienza
,
e
la
cui
convinzione
deriva
dalla
loro
verità
spirituale
.
«
Qualcosa
tra
una
sgangherata
seduta
psicanalitica
e
un
disordinato
esame
di
coscienza
,
in
un
'
atmosfera
di
limbo
»
,
ha
detto
Fellini
del
suo
film
.
Non
sarà
piuttosto
il
supremo
vagheggiamento
di
un
poeta
che
irrazionalmente
identifica
l
'
arte
con
la
vita
,
e
le
riassume
,
con
splendida
ipocrisia
,
nella
bella
favola
?
Anziché
una
«
verifica
intima
»
,
che
interesserà
soprattutto
la
storia
di
Fellini
,
Otto
e
mezzo
è
allora
un
canto
consolatorio
,
sincopato
tuttavia
da
un
ritornello
di
autoderisione
.
Di
qui
quella
vena
di
comico
che
scorre
nella
tragica
allegoria
.
I
motivi
(
e
le
polemiche
)
che
serpeggiano
nel
film
sono
infiniti
e
appartengono
a
un
repertorio
già
noto
:
è
vano
tentare
di
farne
un
elenco
,
così
come
degli
scorci
di
racconto
,
dei
ritratti
e
dei
paesaggi
umani
.
Ovunque
qui
il
genio
di
Fellini
brilla
come
raramente
si
è
visto
al
cinema
.
Non
c
'
è
ambiente
,
non
c
'
è
personaggio
,
non
c
'
è
situazione
privi
di
un
significato
preciso
sul
grande
palcoscenico
di
Otto
e
mezzo
.
Certe
soluzioni
registiche
lasciano
sbalorditi
per
l
'
uso
del
bianco
e
nero
,
per
l
'
abilità
con
cui
la
messa
in
scena
è
chiamata
a
rivelare
la
realtà
e
a
commuovere
,
per
il
concorso
che
la
musica
,
le
luci
,
l
'
evidenza
dei
personaggi
danno
all
'
evocazione
di
uno
stato
d
'
animo
.
Entrare
nei
particolari
è
già
rompere
il
tessuto
di
un
film
che
va
accettato
nella
sua
totalità
,
come
un
acquario
o
un
luna
park
vi
affascina
prima
ancora
che
ne
analizziate
i
curiosi
abitanti
.
Diciamo
soltanto
che
alla
confusione
della
coscienza
contemporanea
Fellini
risponde
accettandola
con
l
'
esprimerla
negli
unici
modi
suoi
propri
:
quelli
dell
'
allucinazione
e
dello
strazio
,
accentuandone
l
'
eco
crepuscolare
.
Gli
attori
sono
Mastroianni
,
la
Cardinale
(
finalmente
non
doppiata
)
,
Anouk
Aimée
,
Sandra
Milo
,
Rossella
Falk
,
Caterina
Boratto
,
Annibale
Ninchi
,
Giuditta
Rissone
e
moltissimi
altri
.
Il
soggetto
è
di
Fellini
e
Flaiano
,
alla
sceneggiatura
hanno
lavorato
,
oltre
loro
,
Pinelli
e
Rondi
.
La
scenografia
e
i
costumi
sono
di
Piero
Gherardi
,
la
fotografia
di
Di
Venanzo
,
le
musiche
di
Rota
,
il
montaggio
di
Leo
Cattozzo
.
È
un
nudo
,
ingiusto
elenco
di
nomi
,
perché
ciascuno
meriterebbe
un
elogio
,
così
vivo
è
stato
il
loro
apporto
al
film
.
Ma
è
tutto
quello
che
qui
si
può
fare
,
vedendo
gli
attori
e
i
collaboratori
toccati
dalla
bacchetta
magica
di
un
creatore
al
quale
nel
cinema
mondiale
di
oggi
non
vediamo
chi
possa
stare
vicino
.
StampaQuotidiana ,
Fra
i
molti
motivi
di
interesse
suscitati
da
Il
processo
di
Verona
ci
sembra
che
sia
da
mettere
al
primo
posto
,
lasciando
da
parte
le
inevitabili
polemiche
che
susciterà
la
scelta
dell
'
argomento
,
il
tentativo
compiuto
dal
regista
Carlo
Lizzani
di
inaugurare
un
nuovo
genere
di
cinema
spettacolare
.
Siamo
di
fronte
a
un
film
che
,
sulla
base
di
una
larga
documentazione
e
soprattutto
di
un
pressoché
unanime
giudizio
sullo
spirito
dei
fatti
,
offre
un
'
interpretazione
storico
-
psicologica
di
un
'
allucinante
pagina
della
vita
italiana
.
Sgombriamo
subito
il
campo
da
quello
che
a
noi
sembra
un
equivoco
,
del
resto
non
proprio
disinteressato
.
Il
film
non
vuol
essere
una
fedele
cronaca
di
fatti
personali
.
I
personaggi
che
,
tuttora
viventi
,
vi
si
riconoscono
,
devono
ammettere
che
in
un
certo
momento
della
storia
italiana
essi
hanno
racchiuso
nel
proprio
nome
il
senso
di
vicende
che
trascendono
le
particolari
biografie
;
che
essi
sono
stati
chiamati
dalla
sorte
a
identificarsi
con
delle
forze
e
debolezze
assolutamente
umane
le
quali
percorrono
tutta
la
storia
dell
'
umanità
,
e
si
coagularono
con
emblematica
virulenza
sotto
il
cielo
di
Verona
nei
mesi
che
vanno
dal
24
luglio
1943
all'11
gennaio
'44
.
Rimproverare
al
film
di
essere
inesatto
,
falso
,
tendenzioso
in
alcuni
particolari
,
è
a
nostro
avviso
giustificato
soltanto
nella
misura
in
cui
si
sia
disposti
ad
ammettere
che
Ciano
,
i
suoi
compagni
,
sua
moglie
,
Mussolini
,
Pavolini
,
tutti
coloro
che
quei
mesi
furono
trascinati
dalla
furia
dell
'
odio
,
della
disperazione
e
della
vendetta
,
avevano
una
statura
da
eroi
rinascimentali
,
talché
in
ogni
minima
piega
del
loro
comportamento
si
possa
rintracciare
la
sublimazione
del
vizio
in
virtù
.
Al
contrario
a
noi
sembra
che
tutto
il
processo
di
Verona
sia
stato
privo
di
ogni
alone
,
sia
pure
romantico
,
che
possa
idealizzarne
i
protagonisti
diretti
e
indiretti
,
e
che
esso
sia
stato
la
fiamma
che
ha
bruciato
ogni
residuo
di
forza
morale
,
scatenando
quanto
di
barbarico
era
depositato
nel
fondo
di
un
ambiente
che
nutriva
in
sé
i
germi
dell
'
autodistruzione
.
Se
non
è
vero
,
il
film
è
perciò
verosimile
.
Ecco
perché
Lizzani
ha
fatto
bene
a
tentare
di
interpretare
,
sia
pure
con
un
linguaggio
spettacolare
,
l
'
atmosfera
di
quei
tempi
,
riassumendo
nel
personale
rapporto
tra
Ciano
e
sua
moglie
le
linee
essenziali
di
un
più
vasto
quadro
d
'
ambiente
.
Egli
ha
compiuto
,
in
un
certo
senso
,
un
processo
inverso
a
quello
che
compie
il
melodramma
.
Come
questo
mitizza
i
personaggi
,
così
Lizzani
li
ha
demitizzati
,
facendoci
sentire
che
la
storia
in
cui
siamo
immersi
non
è
fatta
di
schemi
libreschi
,
bensì
di
conflitti
di
caratteri
e
di
passioni
nei
quali
si
esprime
l
'
autentica
natura
degli
uomini
e
delle
donne
sulle
cui
deboli
spalle
si
accumula
il
destino
dei
popoli
.
È
ha
pensato
il
film
in
modo
che
la
sensibilità
dello
spettatore
sia
toccata
proprio
in
quella
zona
in
cui
la
condizione
umana
coincide
con
la
condizione
civile
.
Il
giudizio
sul
comportamento
morale
dei
protagonisti
del
processo
di
Verona
,
carnefici
e
vittime
,
porta
con
sé
un
preciso
giudizio
sulla
responsabilità
del
cittadino
che
in
qualche
modo
vorrebbe
riconoscersi
in
una
delle
due
parti
.
Ci
fu
,
questo
è
indubbio
,
uno
scoppio
di
odio
e
di
vendetta
da
parte
dei
fanatici
che
vollero
a
ogni
costo
Ciano
,
e
gli
altri
quattro
(
Gottardi
,
Marinelli
,
Pareschi
,
De
Bono
)
,
fucilati
;
e
dà
parte
di
Mussolini
la
piena
sottomissione
ai
tedeschi
,
i
quali
volevano
che
il
nuovo
fascismo
si
consolidasse
,
sia
pure
al
prezzo
di
cementare
l
'
unità
col
sangue
.
È
ci
fu
,
in
Edda
,
il
dramma
della
figlia
alla
quale
il
padre
manda
a
morte
il
marito
..
Perché
non
tentare
di
dare
vita
artistica
a
questi
foschi
nodi
della
storia
italiana
?
Pensate
agli
altri
progetti
che
Lizzani
ha
in
mente
per
analoghi
film
:
la
caduta
dei
Savoia
,
Matteotti
,
la
morte
di
Hammarskyöld
.
C
'
è
,
chiaramente
,
l
'
intuizione
di
un
regista
che
prosegue
un
suo
discorso
sulla
necessità
di
affrontare
la
realtà
quotidiana
,
per
colmare
il
distacco
fra
l
'
individuo
che
sta
in
poltrona
e
la
storia
di
cui
è
troppo
spesso
ignaro
protagonista
.
Perciò
si
parla
di
un
nuovo
cinema
di
ispirazione
storico
-
civile
,
ottenuto
non
soltanto
con
i
modi
dell
'
affresco
narrativo
,
sul
genere
delle
Quattro
giornate
di
Napoli
,
ma
dell
'
introspezione
psicologica
,
intesa
a
caratterizzare
momenti
e
aspetti
di
tragedie
personali
o
familiari
nelle
quali
si
specchiano
spesso
quelle
di
intere
nazioni
.
Il
processo
di
Verona
comincia
la
notte
del
24
luglio
,
dopo
la
riunione
del
Gran
consiglio
del
fascismo
che
approvò
a
maggioranza
l
'
ordine
del
giorno
Grandi
contro
Mussolini
.
Il
Duce
si
vede
un
attimo
di
spalle
,
mentre
i
gerarchi
rapidamente
si
allontanano
.
Ciano
,
in
un
rapido
colloquio
con
Grandi
,
si
rende
conto
che
ci
si
è
serviti
del
suo
voto
,
ma
che
per
la
sua
posizione
di
genero
di
Mussolini
egli
è
ormai
tagliato
fuori
dagli
eventi
.
Rientrato
in
casa
,
vuole
che
Edda
chieda
ai
tedeschi
un
lasciapassare
per
la
Spagna
,
ma
la
moglie
è
turbata
,
non
può
ovviamente
perdonargli
di
avere
tradito
Mussolini
,
e
di
voler
ora
servirsi
di
lei
per
ottenere
la
fuga
dai
tedeschi
,
dei
quali
egli
si
è
sempre
proclamato
avversario
,
ma
soltanto
a
parole
e
nei
diari
,
che
nel
frattempo
ella
ha
messo
al
sicuro
nelle
mani
di
un
amico
fidato
.
Firmato
l
'
armistizio
,
i
tedeschi
negano
il
salvacondotto
per
la
Spagna
,
e
costringono
i
Ciano
,
con
i
bambini
,
a
restare
loro
ospiti
-
prigionieri
a
Monaco
di
Baviera
.
Liberato
Mussolini
,
la
famiglia
rientra
in
Italia
,
ma
Ciano
,
già
atterrito
e
ormai
indifferente
al
proprio
destino
(
del
quale
ha
il
presagio
in
un
muto
incontro
con
Rachele
)
,
viene
imprigionato
a
Verona
,
in
una
cella
separata
da
quella
degli
altri
gerarchi
che
non
sono
riusciti
a
fuggire
.
Qui
viene
a
trovarlo
Frau
Beetz
,
la
tedesca
che
fu
segretaria
di
Von
Ribbentrop
,
la
quale
si
offre
di
metterlo
in
salvo
in
cambio
dei
diari
.
Ciano
,
non
fidandosi
dei
tedeschi
,
rifiuta
.
Infiammati
da
Pavolini
,
i
repubblichini
tentano
un
assalto
alle
carceri
,
al
grido
di
«
A
morte
Ciano
»
.
Quando
finalmente
Ciano
riesce
a
ottenere
un
colloquio
con
Edda
,
in
parlatorio
,
le
chiede
di
parlare
ancora
di
lui
a
Mussolini
.
«
Sì
-
risponde
la
moglie
-
ma
vorrei
che
tu
non
mi
chiedessi
di
farlo
»
.
Già
a
questo
punto
i
caratteri
sono
definiti
chiaramente
:
Ciano
alterna
momenti
di
sconforto
e
d
'
orgoglio
,
di
vanità
e
di
rassegnazione
;
Edda
è
una
donna
sconvolta
,
divisa
fra
il
padre
e
il
marito
,
che
non
cede
alla
sorte
che
attende
le
sue
famiglie
.
Dall
'
altra
parte
c
'
è
un
gruppo
che
fonda
tutte
le
sue
speranze
sulla
violenza
,
e
vuol
galvanizzare
i
giovani
in
lotta
con
i
partigiani
dando
l
'
esempio
di
una
feroce
vendetta
.
Dopo
una
lite
fra
Edda
e
Rachele
,
e
l
'
interrogatorio
di
Ciano
da
parte
del
giudice
istruttore
,
che
si
rivela
un
misero
strumento
dei
repubblichini
,
il
genero
di
Mussolini
si
rende
conto
che
la
sua
sorte
è
segnata
.
Allora
accetta
le
proposte
di
Frau
Beetz
:
Edda
consegnerà
i
diari
nel
momento
in
cui
egli
sarà
liberato
.
Ma
le
cose
andranno
diversamente
:
i
tedeschi
volendo
che
Ciano
sia
accolto
nascostamente
in
un
convento
,
ma
Edda
non
fidandosi
della
loro
parola
,
lo
scambio
non
avviene
.
Il
processo
si
rivela
una
finzione
giuridica
.
Imputati
del
delitto
di
tradimento
e
di
aiuto
al
nemico
,
Ciano
e
gli
altri
quattro
sono
condannati
a
morte
.
Ultima
telefonata
di
Edda
a
Mussolini
perché
salvi
il
genero
,
e
tentativo
di
ricattarlo
con
i
diari
.
Si
fa
in
modo
che
la
domanda
di
grazia
non
arrivi
al
Duce
,
Rachele
convince
Edda
a
fuggire
in
Svizzera
,
fucilazione
.
Fra
un
secolo
sembrerà
un
drammone
.
È
qui
,
appunto
,
il
rischio
di
Lizzani
:
di
darci
dei
romanzi
storici
d
'
appendice
,
specializzati
in
congiure
di
palazzo
.
Ma
non
siamo
ancora
a
questo
.
Il
processo
di
Verona
regge
abbastanza
bene
,
perché
il
regista
ha
concentrato
la
tragedia
in
scontri
di
caratteri
e
in
situazioni
che
,
avendo
poco
di
teatrale
,
si
condensano
in
un
clima
di
verità
psicologica
,
le
cui
costanti
sono
appunto
l
'
odio
personale
,
lo
spirito
di
rivalsa
,
il
terrore
e
l
'
assurdità
.
È
intorno
vi
ha
mosso
un
paesaggio
di
rovine
,
di
disfacimento
,
spesso
ben
sottolineato
dalla
ambientazione
.
Il
film
racconta
in
due
ore
quanto
accadde
in
quasi
sei
mesi
:
c
'
è
necessariamente
uno
sforzo
di
contrazione
narrativa
,
ma
l
'
essenza
del
dramma
non
ci
sfugge
,
e
nemmeno
la
sollecitazione
morale
che
ne
scaturisce
.
Gli
inserti
documentari
,
tratti
da
cinegiornali
dell
'
epoca
,
fanno
da
illustrazione
al
romanzo
,
che
ottiene
dai
forti
chiaroscuri
della
fotografia
,
dallo
stile
spesso
serrato
(
la
parte
più
debole
,
forse
,
è
proprio
il
processo
)
scandito
dagli
spari
dei
mitra
,
un
taglio
acre
e
livido
,
che
talvolta
gela
il
sangue
.
Fra
i
molti
interpreti
Silvana
Mangano
ha
dato
a
Edda
un
eccezionale
rilievo
,
con
la
sua
maschera
aspra
e
cruda
.
Frank
Wolff
è
un
probabilissimo
Ciano
,
ora
pavido
ora
sprezzante
.
Nella
parte
di
Rachele
si
saluta
volentieri
il
ritorno
di
Vivi
Gioi
.
Quanto
alla
rassomiglianza
degli
attori
con
i
loro
vari
personaggi
,
c
'
è
spesso
da
restare
di
stucco
.
StampaQuotidiana ,
Fabrizio
Corbera
,
principe
di
Salina
,
è
entrato
nell
'
olimpo
cinematografico
sorretto
dalla
mano
guantata
di
Luchino
Visconti
.
Si
ha
un
bel
dire
che
anche
quando
un
film
è
tratto
da
un
romanzo
deve
essere
giudicato
soltanto
per
i
suoi
valori
cinematografici
,
ma
se
questo
romanzo
è
Il
Gattopardo
,
uno
dei
più
clamorosi
successi
della
editoria
italiana
,
ciò
che
subito
tutti
si
chiedono
è
se
lo
scrittore
,
tradito
,
si
rivolta
nella
tomba
,
o
se
è
lecito
pensare
che
dall
'
al
di
là
mandi
un
grato
saluto
al
regista
che
gli
ha
acquistato
nuovi
ammiratori
.
Perciò
diciamo
subito
che
Giuseppe
Tomasi
di
Lampedusa
,
nonostante
il
caratterino
che
doveva
ritrovarsi
,
non
deve
nutrire
eccessivi
rancori
verso
Visconti
:
benché
teso
al
massimo
,
l
'
arco
narrativo
è
quello
originale
,
i
personaggi
ci
sono
,
il
protagonista
,
soprattutto
,
grazie
all
'
eccellente
prestazione
di
Burt
Lancaster
,
è
parente
stretto
del
principe
di
Salina
pensato
dal
Lampedusa
.
Per
il
nostro
gusto
,
non
poco
è
andato
disperso
,
ma
è
quanto
appartiene
più
da
vicino
alla
letteratura
,
e
quindi
bisogna
rassegnarsi
a
non
chiedere
al
cinema
:
dico
certi
motivi
squisitamente
lirici
e
certa
musicalità
ed
eleganza
intellettuale
di
toni
,
e
una
finezza
di
notazioni
psicologiche
e
ironiche
che
in
Visconti
non
hanno
mai
,
nonostante
le
apparenze
,
echi
troppo
profondi
,
perché
la
squisitezza
formale
,
propria
delle
immagini
,
non
di
rado
è
dissociata
dalla
modulazione
sentimentale
.
Ma
intanto
quanto
più
si
poteva
temere
,
il
rovesciamento
dal
romanzo
autobiografico
al
film
storico
,
al
grande
affresco
sociale
e
politico
,
con
lo
spostamento
dal
pedale
psicologico
a
quello
etico
,
e
con
conseguente
ribaltamento
del
significato
profondo
dell
'
opera
del
Lampedusa
non
è
avvenuto
nella
misura
clamorosa
paventata
da
chi
credeva
,
assai
scioccamente
,
che
Visconti
avrebbe
approfittato
dell
'
occasione
per
muovere
una
violenta
critica
all
'
aristocrazia
,
puntare
i
fucili
giacobini
sul
principe
di
Salina
e
condannare
a
gran
voce
la
sua
deficienza
ideologica
,
la
sua
reazionaria
filosofia
della
storia
.
Sono
rimproveri
,
questi
,
che
durante
la
diatriba
susseguente
all
'
uscita
del
romanzo
furono
mossi
al
Lampedusa
dai
comunisti
più
ottusi
,
che
non
sono
mai
disposti
ad
ammettere
la
validità
artistica
di
un
'
opera
se
non
è
allineata
con
la
loro
concezione
strumentale
della
letteratura
.
Visconti
ha
capito
benissimo
che
l
'
altezza
poetica
della
figura
creata
dal
Lampedusa
soverchiava
,
per
coerenza
artistica
,
le
idee
espresse
dal
personaggio
;
il
suo
sforzo
,
semmai
,
è
stato
di
accentuare
nel
principe
di
Salina
la
consapevole
malinconia
di
stare
assistendo
al
crollo
di
un
mondo
senza
ritorno
,
e
di
essere
un
po
'
il
simbolo
di
quella
età
di
trapasso
dal
vecchio
al
nuovo
,
in
cui
la
nausea
della
vita
si
veste
di
disperato
orgoglio
.
Lungi
dall
'
infierire
su
Fabrizio
,
Visconti
l
'
ha
dunque
affrontato
e
restituito
con
grande
rispetto
.
A
tutto
ciò
non
è
estranea
la
sua
predilezione
per
i
caratteri
colti
nei
momenti
di
crisi
(
e
dite
voi
quale
crisi
più
grave
di
quella
provocata
,
in
un
principe
siciliano
,
dalla
caduta
dei
Borboni
e
dall
'
annessione
dell
'
isola
al
regno
d
'
Italia
)
,
ma
nemmeno
quella
nostalgia
di
aristocratico
per
le
forti
personalità
,
siano
esse
patrizie
o
plebee
,
che
percorre
tutta
l
'
opera
di
Visconti
,
impietoso
verso
le
classi
di
mezzo
.
Solo
che
,
per
non
assumere
tutto
il
significato
del
Gattopardo
nel
personale
tormento
del
principe
,
ha
dato
al
film
una
più
precisa
cornice
storica
,
inserendolo
in
quella
crisi
del
Risorgimento
che
per
la
storiografia
di
derivazione
marxista
si
identifica
con
l
'
equivoco
fondamentale
della
storia
unitaria
italiana
;
e
con
ciò
ovviamente
portando
.
avanti
un
suo
discorso
cominciato
da
una
parte
con
La
terra
trema
(
il
risveglio
della
Sicilia
)
,
dall
'
altra
con
Senso
(
lo
sfacelo
morale
dell
'
aristocrazia
)
:
due
film
che
in
certo
modo
vengono
a
sboccare
nel
Gattopardo
come
due
fiumi
a
una
foce
;
che
è
,
appunto
,
la
speranza
che
qualcosa
può
mutare
,
nella
vita
,
e
particolarmente
in
Italia
,
ove
le
classi
dirigenti
di
ieri
e
di
oggi
passino
la
mano
o
si
rinnovino
.
La
polemica
,
ora
,
sarà
sul
sapere
se
già
in
Lampedusa
ci
fosse
questa
sotterranea
coscienza
dell
'
esaurimento
storico
di
una
classe
e
di
un
modo
di
vivere
,
o
se
essa
non
fosse
assorbita
in
una
più
generale
atarassia
,
in
un
nichilismo
che
in
ogni
caso
a
noi
sembra
riscattato
da
quella
interiore
dignità
che
al
Lampedusa
scende
direttamente
da
Verga
e
si
innesta
in
un
temperamento
di
stoico
.
Comunque
Visconti
ha
agito
con
una
discrezione
ammirevole
:
egli
ha
lasciato
capire
chiaramente
,
chiudendo
il
film
col
grande
ballo
dell
'
aristocrazia
palermitana
,
che
tutto
Il
Gattopardo
è
a
suo
avviso
il
canto
funebre
intonato
a
un
mondo
in
dissoluzione
,
e
tuttavia
questo
canto
ha
l
'
inflessione
di
un
lamento
,
perché
la
lacrima
che
riga
,
sul
finire
,
il
volto
del
principe
sarà
per
qualcuno
anche
il
simbolo
di
un
dolore
universale
,
del
quale
possono
partecipare
,
senza
perciò
essere
dei
reazionari
,
e
il
principe
di
Salina
e
il
principe
di
Lampedusa
e
chiunque
soffra
nel
vedere
,
sotto
le
belle
spoglie
di
Angelica
e
di
Tancredi
,
gli
arrampicatori
e
gli
opportunisti
:
quanti
,
appunto
,
rendono
amaro
il
vivere
e
vano
il
credere
.
La
malinconia
di
Fabrizio
tocca
il
massimo
dell
'
avvilimento
quando
il
presentimento
della
morte
si
confonde
con
l
'
eco
delle
fucilate
che
hanno
giustiziato
all
'
alba
gli
ex
-
garibaldini
i
quali
hanno
disertato
dall
'
esercito
regolare
per
tornare
con
Garibaldi
poco
dopo
che
Angelica
e
suo
padre
,
lo
strozzino
don
Calogero
,
hanno
fatto
il
loro
ingresso
nella
bella
società
,
e
anche
Tancredi
,
ormai
candidato
alle
elezioni
,
è
entrato
nel
gioco
:
avviandosi
,
seguendo
la
sua
stella
,
verso
la
morte
,
il
principe
di
Salina
cerca
una
ragione
di
perenne
certezza
,
che
la
bellezza
di
Angelica
gli
ha
fatto
intravedere
come
l
'
incarnazione
di
un
ideale
.
In
questa
cronaca
necessariamente
frettolosa
non
racconteremo
il
film
,
che
del
resto
segue
da
vicino
il
romanzo
cominciando
con
la
recita
del
rosario
,
e
prosegue
,
sfoltendo
i
capitoli
,
con
l
'
arruolamento
di
Tancredi
,
il
ritiro
della
famiglia
a
Donnafugata
,
l
'
incontro
con
don
Calogero
,
l
'
amore
tra
Angelica
e
Tancredi
,
il
rifiuto
,
da
parte
del
principe
,
del
seggio
senatoriale
,
e
si
chiude
,
si
è
detto
,
col
ballo
,
dal
quale
il
principe
esce
col
presentimento
della
morte
.
Il
talento
di
Visconti
si
è
esercitato
,
soprattutto
,
nella
prima
parte
in
certi
squarci
di
tumulti
popolari
per
le
vie
,
e
nella
seconda
nella
rappresentazione
del
ballo
.
In
mezzo
,
quello
che
a
nostro
avviso
è
il
tema
toccato
con
maggiore
evidenza
poetica
:
la
fuga
di
Angelica
nelle
stanze
disabitate
del
vecchio
palazzo
.
La
concordanza
fra
motivi
figurativi
e
motivi
psicologici
è
qui
raggiunta
meglio
che
altrove
.
Non
diremmo
infatti
che
,
per
esempio
,
il
disfacimento
sociale
del
ballo
sia
stato
espresso
dal
colore
nella
stessa
misura
in
cui
,
nella
fuga
di
Angelica
,
le
tonalità
degli
abiti
e
delle
pareti
esprimono
l
'
ambiguità
del
personaggio
.
Ma
di
tutto
l
'
uso
del
colore
in
questo
film
bisognerebbe
parlare
a
lungo
:
è
un
fatto
che
a
certi
meravigliosi
brani
paesistici
,
a
certi
bei
ritratti
di
«
uomo
seduto
»
,
Si
alternano
pagine
soltanto
illustrative
.
È
neppure
nel
Gattopardo
Visconti
rinuncia
a
certe
raffinatezze
(
i
veli
gonfiati
dal
vento
)
che
appartengono
alla
parte
più
decorativa
del
suo
ingegno
.
Il
film
ha
anche
altre
cadute
(
a
questo
punto
vogliamo
dire
che
Il
Gattopardo
non
resterà
probabilmente
il
capolavoro
di
Visconti
:
Senso
e
Rocco
hanno
,
a
nostro
avviso
,
ben
altra
robustezza
)
;
delle
lungaggini
nei
dialoghi
,
qualche
punta
di
melodramma
,
certe
risate
che
lacerano
la
nota
intima
del
racconto
,
perfino
qualche
disinvoltura
storica
(
è
molto
improbabile
che
due
fidanzati
come
Angelica
e
Tancredi
,
sulla
metà
dell
'
Ottocento
,
osassero
baciarsi
in
pubblico
con
tanta
passione
)
ma
la
figura
del
principe
di
Salina
è
quasi
perfetta
:
troppo
prepotente
,
già
nel
romanzo
,
per
lasciare
molto
spazio
a
divagazioni
storico
-
critiche
.
E
ancora
una
volta
Visconti
si
è
rivelato
uno
straordinario
direttore
di
attori
.
Alain
Delon
,
nella
parte
di
Tancredi
,
ci
ha
convinti
assai
poco
(
e
così
pure
Reggiani
)
,
ma
tutti
gli
altri
sono
molto
aderenti
all
'
idea
che
dei
personaggi
possono
essersi
fatti
i
lettori
del
Tomasi
.
In
primo
luogo
,
s
'
intende
,
Burt
Lancaster
,
che
nella
parte
di
Fabrizio
si
è
rivelato
una
scelta
eccellente
;
quando
egli
è
presente
,
tutta
la
scena
si
anima
.
Rude
,
ha
saputo
dare
alla
figura
del
principe
morbidezza
e
insieme
fierezza
di
tratti
:
quasi
sempre
egli
impartisce
,
senza
volerlo
,
lezione
di
recitazione
.
Ottimi
sua
moglie
,
impersonata
da
Rina
Morelli
,
'
e
Romolo
Valli
(
don
Pirrone
)
,
Paolo
Stoppa
e
un
don
Calogero
di
impressionante
verità
.
E
Claudia
Cardinale
?
Ecco
:
la
sua
maschera
ha
straordinarie
mutazioni
,
riesce
a
essere
superba
e
dolce
,
ma
qui
ci
è
sembrata
un
po
'
fredda
.
Un
trepido
calore
viene
invece
al
film
dalla
musica
:
un
valzer
inedito
di
Verdi
che
lo
accompagna
come
un
Leitmotiv
.
StampaQuotidiana ,
L
'
infanzia
di
Ivan
giunge
a
proposito
per
farci
toccare
con
mano
il
significato
del
congelamento
reimposto
da
Mosca
a
scrittori
e
registi
.
Andrej
Tarkovskij
,
autore
del
film
che
vinse
a
Venezia
il
«
Leone
d
'
oro
»
,
è
fra
gli
artisti
sospettati
recentemente
di
eccessive
simpatie
per
l
'
Occidente
,
di
compiacimenti
formalistici
e
di
compromissioni
con
le
ideologie
piccolo
-
borghesi
,
rivelate
dal
suo
disimpegno
nei
confronti
del
realismo
socialista
.
Rimproveri
che
già
gli
.
erano
stati
mossi
all
'
uscita
del
film
,
sia
in
Russia
sia
da
una
parte
della
critica
comunista
italiana
,
ma
dai
quali
Tarkovskij
era
stato
scagionato
,
fra
i
primi
,
da
Sartre
in
una
lunga
lettera
a
l
'
Unità
.
Si
tratta
,
in
sostanza
,
della
frangia
di
una
antica
polemica
sovietica
,
che
risale
almeno
agli
anni
Trenta
:
il
cinema
ha
da
essere
poesia
o
prosa
?
Per
avere
scelto
la
poesia
,
Tarkovskij
è
ora
sospettato
di
tiepidezza
ideologica
.
In
realtà
,
come
dicemmo
parlando
del
film
da
Venezia
,
questo
giovane
regista
inserisce
l
'
ideologia
in
una
più
ampia
meditazione
sulla
condizione
dell
'
uomo
.
Condannare
L
'
infanzia
di
Ivan
perché
il
dodicenne
protagonista
del
film
è
privo
di
consapevolezza
patriottica
,
equivale
ancora
una
volta
a
strumentalizzare
la
coscienza
.
Il
senso
poetico
dell
'
opera
consiste
invece
nel
denunciare
il
male
della
guerra
senza
tener
conto
che
si
tratti
di
una
guerra
giusta
o
ingiusta
.
Siamo
tutti
abbastanza
maturi
per
essere
convinti
che
non
esistono
guerre
giuste
,
e
che
esse
rappresentano
in
ogni
caso
,
come
dice
Sartre
,
le
«
perdite
secche
»
della
storia
.
Vedete
il
caso
di
Ivan
(
interprete
l
'
ottimo
Kolja
Burljaev
.
I
tedeschi
gli
hanno
distrutto
la
famiglia
,
sul
muro
di
una
cella
ha
letto
l
'
ultimo
appello
lanciato
da
un
gruppo
di
giovani
russi
condannati
a
morte
:
«
Vendicateci
»
.
Lo
choc
,
per
lui
,
è
stato
durissimo
.
Solo
al
mondo
,
ha
maturato
in
cuore
l
'
odio
e
la
vendetta
,
che
tuttavia
coesistono
con
slanci
e
turbamenti
infantili
:
il
bisogno
di
braccia
che
lo
stringano
,
la
sicurezza
che
nulla
cambierà
ormai
nella
sua
vita
,
la
convinzione
che
gli
adulti
mantengono
le
promesse
.
La
guerra
gli
si
configura
come
un
impegno
d
'
onore
,
una
prova
di
coraggio
,
e
insieme
ancora
come
un
gioco
,
un
'
avventura
in
cui
poter
sfrenare
il
rancore
sorto
inavvertitamente
verso
chi
gli
ha
tolto
le
care
immagini
della
famiglia
,
i
sorrisi
dell
'
infanzia
.
La
sua
nuova
famiglia
saranno
tre
soldati
di
prima
linea
.
È
così
fermo
nei
suoi
propositi
,
e
mostra
una
tale
maturità
,
questo
Ivan
,
che
essi
non
hanno
la
forza
di
mandarlo
a
scuola
.
L
'
hanno
tentato
ma
è
fuggito
.
Del
resto
ha
già
dato
informazioni
preziose
come
esploratore
:
ancora
una
missione
,
e
poi
il
ragazzo
,
sarà
ritirato
dal
fronte
.
L
'
avvicinamento
alle
linee
nemiche
avviene
in
un
'
alba
livida
,
in
una
foresta
allagata
,
sotto
gli
alberi
illuminati
dai
razzi
che
solcano
il
cielo
come
stelle
filanti
.
Ma
al
bambino
nulla
,
ormai
,
parla
più
dell
'
infanzia
:
lungo
il
cammino
vede
impiccati
i
due
soldati
che
erano
venuti
a
cercarlo
,
muore
uno
dei
suoi
amici
,
l
'
insidia
nemica
lo
sovrasta
e
lo
esalta
.
I
suoi
compagni
non
sapranno
se
Ivan
è
riuscito
a
compiere
la
missione
.
Soltanto
a
guerra
finita
,
nella
sede
della
polizia
segreta
a
Berlino
,
si
troverà
la
fotografia
del
ragazzo
tra
i
fascicoli
dei
civili
eliminati
dai
tedeschi
.
E
tuttavia
Ivan
avrebbe
potuto
essere
diverso
.
Un
'
infanzia
felice
,
fra
le
braccia
della
madre
,
fra
i
giochi
dei
compagni
,
poteva
essergli
conservata
.
Raccontando
'
a
ritroso
,
con
le
sequenze
dei
sogni
di
Ivan
,
quello
che
la
guerra
ha
tolto
al
ragazzo
,
Tarkovskij
ha
descritto
il
paradiso
giustapponendolo
all
'
inferno
.
Ne
è
uscita
una
sintesi
poetica
dolente
ma
calda
di
speranza
;
che
i
bambini
restino
bambini
,
e
crescano
uomini
,
non
fucilati
fin
dall
'
infanzia
.
Tessuta
con
molta
finezza
,
in
un
contrappunto
di
realismo
(
fino
a
inserire
brani
di
documentario
sulla
fine
della
guerra
)
e
di
sogno
:
i
flash
backs
che
nel
corso
del
film
strappano
Ivan
alla
sua
condizione
di
dolore
e
di
nevrastenia
,
e
lo
riconducono
alle
soavità
dell
'
infanzia
,
le
tenerezze
della
madre
,
le
corse
sulla
riva
del
mare
.
Nell
'
uno
e
nell
'
altro
caso
il
regista
si
è
giovato
di
una
tecnica
molto
raffinata
,
che
amalgama
con
originalità
i
disparati
echi
culturali
(
dal
cinema
espressionista
tedesco
negli
interni
ai
decadentisti
francesi
fino
a
Resnais
)
.
Contrapporre
l
'
oscuro
sfondo
della
guerra
alla
luminosità
delle
memorie
felici
era
molto
difficile
.
Tarkovskij
ci
è
riuscito
quasi
sempre
sospendendo
anche
la
realtà
più
cruda
in
una
luce
rarefatta
,
nella
quale
Ivan
vede
le
cose
e
gli
uomini
come
in
una
continua
scoperta
della
fantasia
.
Di
fronte
ai
valori
puramente
visivi
del
film
,
il
racconto
passa
in
seconda
linea
,
e
denuncia
qualche
inflessione
pascoliana
.
Ma
non
diremmo
superflua
l
'
aggiunta
,
a
quella
di
Ivan
,
di
un
'
altra
piccola
storia
:
il
fiorire
e
lo
spegnersi
improvviso
dell
'
amore
in
una
infermiera
per
un
capitano
che
la
porta
nel
bosco
;
un
tocco
che
ripete
,
con
diverso
pedale
,
il
motivo
conduttore
:
la
crudeltà
della
guerra
,
che
come
ha
distrutto
la
personalità
del
ragazzo
,
seminandogli
nel
cuore
sentimenti
da
adulto
,
così
ha
soffocato
quell
'
aurora
di
incertezza
amorosa
che
spuntava
in
una
giovane
donna
di
vent
'
anni
.
E
anche
in
questo
caso
la
mano
di
Tarkovskij
è
così
delicata
che
accusarlo
di
formalismo
ci
sembra
immeritato
.
In
realtà
questo
giovane
regista
ha
la
sobrietà
di
un
poeta
che
esprime
attraverso
le
immagini
una
sua
tenue
ma
schietta
ispirazione
.
Se
esse
sono
talvolta
troppo
eleganti
,
non
perciò
mancano
di
espressività
lirica
.
Parleremmo
di
decorativismo
se
i
paesaggi
,
í
giochi
di
luce
,
avessero
soltanto
un
'
evidenza
figurativa
,
come
accade
in
Mamma
Roma
e
non
,
come
qui
,
sostanza
di
stati
d
'
animo
.
È
indubitabile
che
il
pericolo
di
Tarkovskij
è
uno
stucchevole
sensibilismo
,
ma
è
intempestivo
muovergli
quest
'
accusa
per
un
film
nel
quale
il
poeticismo
è
intrinseco
alla
natura
dei
due
personaggi
.
Invece
importa
rilevare
quanto
Tarkovskij
proceda
rispetto
anche
a
Quando
volano
le
cicogne
e
a
Pace
a
chi
entra
:
il
lirismo
,
in
questo
regista
,
galoppa
verso
il
totale
assorbimento
della
tematica
ideologica
(
e
fa
intuire
che
il
migliore
cinema
sovietico
potrà
domani
risolverla
tutta
in
poesia
.
Né
perciò
,
è
ovvio
,
la
svuoterà
;
al
più
,
potrà
darci
una
poesia
molto
intellettualizzata
)
.
L
'
eleganza
formale
,
applicata
soprattutto
al
paesaggio
,
è
d
'
altronde
l
'
implicita
risposta
di
un
regista
moderno
,
che
guardando
indietro
,
al
recente
passato
del
suo
Paese
,
ha
ragione
di
preferire
la
compagnia
di
artisti
giovani
e
inquieti
a
quella
degli
accademici
illustratori
di
gesta
proletarie
.
Tarkovskij
scegliendo
la
via
dei
sentimenti
,
e
tuttavia
imboccandola
con
pudore
(
egli
stesso
ha
criticato
l
'
enfasi
di
Evtusenko
)
,
ha
toccato
più
di
quanto
forse
non
creda
una
corda
dalle
lunghe
risonanze
,
in
Oriente
e
in
Occidente
.
Vengono
i
brividi
a
pensare
che
un
film
come
L
'
infanzia
di
Ivan
possa
aver
provocato
,
in
Russia
,
polemiche
sul
suo
contenuto
.
È
vero
che
c
'
è
sempre
chi
odia
il
cuore
dell
'
uomo
,
e
disprezza
la
grazia
.
StampaQuotidiana ,
L
'
ape
regina
è
un
curioso
film
,
nato
dall
'
impasto
fra
il
cattolicesimo
inquieto
di
Goffredo
Parise
(
del
quale
è
l
'
idea
,
e
che
con
il
regista
e
Azcona
ha
collaborato
alla
sceneggiatura
)
e
l
'
impegno
cronachistico
e
ironico
di
un
discepolo
del
realismo
,
che
ama
esercitare
il
proprio
gusto
deformante
sull
'
ambiente
della
media
borghesia
.
Ambedue
sembrano
voler
individuare
certi
punti
deboli
del
costume
contemporaneo
,
in
ogni
caso
riferibili
a
una
carenza
di
libera
disponibilità
umana
per
la
pressione
che
sugli
istituti
e
gli
individui
esercitano
la
tradizione
e
il
conformismo
;
ma
poiché
i
loro
interessi
sono
di
natura
assai
diversa
,
Parise
assumendo
la
«
denuncia
»
in
un
clima
di
poetica
amarezza
,
Ferreri
soprattutto
divertendosi
nel
guardare
,
riferire
e
ingigantire
con
un
sorrisetto
sardonico
a
mezza
bocca
,
il
film
non
raggiunge
quell
'
unità
morale
ed
estetica
cui
certamente
mirava
,
e
che
peraltro
si
deve
dire
altri
vi
trovano
,
tanto
è
vero
che
L
'
ape
regina
è
uno
dei
film
invitati
a
rappresentare
l
'
Italia
al
prossimo
Festival
di
Cannes
:
con
tanti
auguri
.
Il
film
è
gradevole
,
per
la
comicità
delle
situazioni
,
il
sarcasmo
con
cui
descrive
una
famiglia
clericale
romana
,
tutta
fatta
di
donne
(
l
'
unico
uomo
è
un
mezzo
epilettico
;
ce
n
'
è
un
altro
,
l
'
attore
Majeroni
,
ma
è
truccato
da
zia
)
,
imparentata
con
un
parroco
,
amica
di
frati
e
di
suore
,
per
la
pittura
di
un
ambiente
bigotto
in
cui
viene
a
trovarsi
Alfonsino
,
un
commerciante
sui
40
anni
che
sposa
Regina
,
il
casto
fiore
che
la
famiglia
ha
allevato
nella
devozione
e
nel
rispetto
per
i
principi
cattolici
.
È
indubbiamente
divertente
per
i
rapidi
sviluppi
della
vicenda
,
che
vede
Alfonsino
trascinato
alla
tomba
dall
'
insaziabile
mogliettina
,
la
quale
,
ovunque
e
in
ogni
momento
,
lo
prende
d
'
assalto
perché
assolva
i
propri
doveri
coniugali
,
e
si
frena
soltanto
quando
il
fuco
Alfonsino
l
'
ha
fecondata
,
e
allora
,
considerando
esaurita
la
funzione
matrimoniale
,
lo
lascia
in
un
canto
,
dove
il
poverino
,
esausto
,
si
spegne
alla
vigilia
della
nascita
del
bambino
.
Gradevole
e
divertente
,
ripetiamo
:
non
molto
di
più
.
Non
quella
chiara
polemica
contro
l
'
istituto
matrimoniale
cattolico
,
giudicato
arcaico
,
che
il
film
forse
si
riprometteva
,
e
che
la
censura
credette
di
trovarvi
,
né
un
'
accigliata
presa
di
posizione
contro
la
morale
sessuale
corrente
.
In
Regina
,
così
come
ce
la
dipinge
il
film
,
noi
non
abbiamo
trovato
i
segni
d
'
una
morale
cattolica
tinta
di
Medioevo
:
il
fatto
che
,
concepito
il
suo
bambino
,
non
abbia
più
tanta
voglia
di
dormire
col
marito
,
appartiene
a
un
quadro
psicologico
femminile
in
cui
il
cattolicesimo
c
'
entra
poco
.
E
che
poi
releghi
Alfonsino
in
una
cameretta
non
è
un
gran
delitto
di
ipocrisia
da
imputare
soltanto
alle
ex
-
figlie
di
Maria
.
Vogliamo
dire
che
la
morale
moderna
e
laica
del
film
è
un
po
'
tirata
per
i
capelli
.
Più
efficace
,
sebbene
un
po
'
ovvia
,
è
la
lezione
che
se
ne
ritrae
sulla
tendenza
di
certe
donne
a
inghiottire
il
marito
,
e
a
sostituirvisi
anche
negli
affari
:
ma
su
ciò
gli
esempi
più
clamorosi
vengono
ancora
dalla
civiltà
americana
.
È
la
sorte
,
questa
di
voler
dire
troppo
,
di
ogni
pellicola
che
forza
la
mano
a
ogni
regista
che
sopravvaluti
la
propria
vocazione
narrativa
,
che
in
Ferreri
è
autentica
,
e
che
raggiunge
i
propri
effetti
migliori
nel
descrivere
gli
ambienti
,
nel
tratteggiare
ritratti
,
nel
riprodurre
la
realtà
forzandola
fino
al
paradosso
,
anziché
nel
penetrarne
le
ragioni
storiche
e
nel
trarne
originali
conclusioni
sul
terreno
della
critica
di
costume
.
Dibattuto
,
reduce
dalla
Spagna
in
cui
per
El
pisito
e
Los
chicos
ebbe
altri
guai
con
la
censura
,
fra
il
desiderio
di
affrontare
temi
coraggiosi
,
moderni
,
come
appunto
il
matrimonio
nella
società
contemporanea
,
e
la
necessità
di
seguire
il
proprio
temperamento
di
colorista
incline
al
grottesco
,
Ferreri
ci
ha
dato
un
film
in
cui
la
sua
maturità
di
artista
,
cresciuta
su
un
innesto
fra
Zavattini
e
Berlanga
,
e
ormai
avviata
dopo
El
cochecito
su
un
autonomo
cammino
di
umorista
derisorio
,
ha
di
gran
lunga
la
meglio
,
per
fortuna
,
sul
fustigatore
,
lievemente
snobistico
,
dei
costumi
contemporanei
.
Egli
vuole
offrire
un
ritratto
critico
della
società
,
ma
la
sua
indole
lo
porta
al
di
là
della
satira
,
in
una
zona
assurda
e
rarefatta
in
cui
può
cogliere
frutti
più
sostanziosi
.
Marina
Vlady
,
l
'
ape
che
consuma
il
suo
maschio
,
è
molto
bella
e
recita
con
duttilità
;
Ugo
Tognazzi
,
in
sordina
,
fa
benissimo
la
parte
un
po
'
grigia
dell
'
uomo
medio
che
ha
rinnegato
il
suo
passato
di
ganimede
per
avviarsi
alla
vecchiaia
al
fianco
di
una
moglie
affettuosa
,
e
si
trova
invece
vittima
di
un
matriarcato
soffocante
.
Al
loro
fianco
,
assai
scialbo
,
Riccardo
Fellini
,
fratello
di
Federico
,
che
si
prepara
a
sua
volta
alla
regia
,
e
qualche
buon
caratterista
.
StampaQuotidiana ,
Ecco
,
sulle
ali
tenebrose
degli
Uccelli
,
spiccare
il
volo
il
Festival
di
Cannes
.
Più
che
un
volo
,
un
turbine
,
un
risucchio
d
'
aria
in
tempesta
,
soffiata
da
un
Eolo
mattacchione
che
si
diverte
a
metter
paura
agli
ometti
con
la
coscienza
sporca
,
i
quali
si
aspettano
da
un
momento
all
'
altro
un
cataclisma
,
e
si
compiacciono
di
vestire
il
proprio
complesso
di
colpa
con
l
'
abito
dell
'
angoscia
nucleare
.
Non
prenderemo
troppo
sul
serio
la
simbologia
dell
'
ultimo
film
di
Hitchcock
;
che
la
morte
debba
venire
dal
cielo
è
una
vecchia
idea
della
umanità
.
Già
qualche
anno
prima
dell
'
atomica
i
cavernicoli
spaurivano
dei
fulmini
,
e
la
fantascienza
ha
fatto
il
resto
.
Il
nuovo
,
semmai
,
e
la
nota
sarcastica
del
film
,
è
questo
grande
dolore
dato
ai
poeti
arcadici
:
generazioni
di
versificatori
si
rivoltano
nella
tomba
vedendo
la
caricatura
che
Hitchcock
ha
fatto
dei
loro
passerotti
mansueti
dai
trilli
argentini
,
trasformati
in
corvi
e
gabbiani
che
,
furie
scatenate
,
scendono
all
'
assalto
dell
'
umanità
,
il
becco
pronto
a
colpire
,
le
zampe
a
sbranare
,
le
ali
tese
come
dischi
volanti
,
l
'
odiosa
pupilla
eccitata
dal
sangue
delle
vittime
.
La
favola
,
raccontata
a
veglia
ai
soliti
ragazzini
che
il
«
mago
del
brivido
»
ama
figurarsi
appollaiati
sui
suoi
ginocchi
,
aggrappati
alla
rassicurante
bonomia
di
questo
vecchio
zio
bizzarro
,
si
ispira
a
un
racconto
di
Daphne
du
Maurier
,
che
già
Hitchcock
aveva
compreso
nell
'
antologia
dei
suoi
terrori
preferiti
.
Un
po
'
mutato
nell
'
ambientazione
rispetto
al
racconto
,
il
film
vorrebbe
essere
'
soprattutto
un
«
crescendo
»
di
incubi
,
nel
quale
taluno
possa
trovare
anche
un
sottofondo
di
critica
sociale
,
o
almeno
un
'
allegoria
della
cecità
degli
uomini
,
i
quali
si
ostinano
a
non
credere
al
pericolo
che
li
sovrasta
.
La
protagonista
,
è
vero
,
è
una
ragazza
viziata
,
Melanie
,
figlia
del
direttore
d
'
un
giornale
,
ignara
delle
difficoltà
e
dei
dolori
della
vita
.
A
lei
tocca
la
prima
beccata
mentre
attraversa
un
golfo
(
siamo
a
cento
chilometri
da
San
Francisco
)
per
andare
a
portare
due
pappagallini
a
Mitch
,
un
giovanotto
che
non
le
dispiace
.
Ma
poi
la
rivolta
degli
uccelli
investe
ricchi
e
poveri
,
uomini
donne
e
bambini
:
è
una
vendetta
che
non
compie
discriminazioni
,
fatale
come
la
tragedia
.
La
ruota
si
mette
in
movimento
lentamente
,
e
poi
corre
all
'
impazzata
:
prima
i
gabbiani
attaccano
i
bambini
,
poi
i
fringuelli
entrano
in
casa
dalla
cappa
del
camino
e
si
lanciano
.
sugli
adulti
,
poi
ancora
tocca
ai
cittadini
,
infine
i
corvi
seminano
la
disperazione
nel
villaggio
,
ostacolando
le
operazioni
di
spengimento
d
'
un
incendio
,
costringendo
gli
uomini
a
barricarsi
nelle
stanze
e
restando
minacciosamente
in
agguato
intorno
alla
scuola
e
alle
case
.
Quando
ci
si
aspetta
che
tutti
soccombano
,
la
furbizia
di
Mitch
riesce
a
mettere
in
salvo
i
protagonisti
,
con
una
fuga
in
automobile
.
Gli
uccelli
,
trionfanti
,
si
installano
nel
quartiere
,
ma
non
si
capisce
bene
con
che
frutto
.
Gli
ingredienti
della
paura
ci
sarebbero
tutti
:
il
sangue
,
l
'
ansia
collettiva
,
i
bambini
,
un
«
flirt
»
che
rischia
di
essere
travolto
nell
'
orrore
,
e
la
presenza
ossessiva
di
un
reale
trasfigurato
nel
terrore
d
'
un
irreale
che
ha
preso
corpo
nelle
sagome
nere
degli
uccelli
.
Gran
cuciniere
,
Hitchcock
ha
dosato
la
ricetta
cercando
di
portare
fino
allo
spasimo
le
sue
qualità
pirotecniche
di
effettista
.
Aiutato
dal
cinemascope
,
da
speciali
effetti
sonori
elettronici
,
dalla
sua
consueta
maestria
tecnica
,
dalla
bella
fotografia
a
colori
di
Robert
Burks
,
ci
ha
dato
un
film
nel
quale
sempre
ci
si
aspetta
che
il
peggio
abbia
ancora
da
venire
,
dando
perciò
corpo
,
se
volete
,
a
qualche
terrore
dell
'
epoca
;
ma
la
macchina
commerciale
è
troppo
scoperta
perché
Gli
uccelli
assuma
il
significato
di
un
monito
,
fosse
pure
soltanto
diretto
ai
cacciatori
domenicali
che
fanno
strazio
di
lodole
.
I
valori
plastici
del
film
,
quei
grappoli
neri
sui
fili
,
i
tetti
,
le
antenne
,
quegli
assalti
a
becco
teso
sono
fine
a
se
stessi
,
non
diventano
elementi
figurativi
di
un
diluvio
universale
,
anche
se
l
'
emozione
che
suscitano
è
,
nella
sfera
del
gusto
,
talvolta
assai
forte
.
Minori
dell
'
attesa
sono
dunque
i
brividi
,
e
perché
il
trucco
delle
immagini
sovrapposte
è
spesso
visibile
,
e
perché
un
elemento
puramente
fantastico
,
appunto
la
rivolta
dei
pennuti
,
è
meccanicamente
giustapposto
a
elementi
psicologici
,
squisitamente
umani
,
proprio
non
omogenei
:
e
ciò
rende
ibrido
tutto
il
film
,
isolando
i
momenti
della
paura
in
una
zona
troppo
lontana
dal
verosimile
.
Il
regista
vorrebbe
forse
far
pensare
a
un
rapporto
fra
la
egoistica
solitudine
in
cui
si
dibatte
la
madre
di
Mitch
,
una
vedova
che
non
vuole
restare
senza
un
uomo
in
casa
,
la
galanteria
di
suo
figlio
,
la
fatuità
di
Melanie
,
la
cattiva
coscienza
dell
'
umanità
del
villaggio
da
una
parte
,
e
il
turbine
giustiziere
degli
uccelli
dall
'
altra
.
E
per
converso
contrapporvi
una
maestra
che
ha
sacrificato
la
propria
vita
per
restare
vicina
al
vanamente
amato
Mitch
e
s
'
immola
per
salvarne
la
sorellina
,
e
i
due
pappagallini
rimasti
in
gabbia
inoffensivi
.
Ma
tutto
il
retroscena
sentimentale
resta
una
grossa
zeppa
,
che
come
ritarda
,
con
lungaggini
non
sempre
sopportabili
,
il
progresso
della
tragedia
,
così
non
basta
a
fare
commedia
.
Ci
sono
almeno
tre
quarti
d
'
ora
,
dall
'
inizio
,
in
cui
le
uniche
cose
da
godere
sono
il
paesaggio
e
la
pelliccia
di
Melanie
.
Nessuno
pretenderà
che
consideriamo
un
sinistro
preannuncio
il
fatto
che
la
bionda
è
mancina
.
Il
pezzo
forte
del
film
,
gli
attacchi
degli
uccelli
alla
casa
di
Mitch
,
viene
dopo
che
la
tensione
,
andando
troppo
per
le
lunghe
,
negli
spettatori
meno
pazienti
si
è
allentata
,
e
la
psicosi
dell
'
angoscia
si
è
spenta
in
un
fiacco
sorriso
.
Quanto
agli
attori
,
si
ammira
la
bellezza
della
nuova
scoperta
di
Hitchcock
,
un
'
indossatrice
bionda
e
con
gli
occhi
verdi
:
quella
«
Tippi
»
Hedren
che
egli
ha
trovato
alla
TV
,
un
volto
imparentato
con
quello
di
Grace
Kelly
,
ma
scarsamente
espressivo
.
Convenzionale
la
recitazione
di
Rod
Taylor
e
degli
altri
.
Gli
uccelli
ammaestrati
ne
escono
meglio
.
La
vera
curiosità
che
ci
resta
è
di
sapere
quali
sono
i
criteri
della
loro
tattica
,
perché
fra
le
varie
ondate
lasciano
degli
intervalli
che
consentono
agli
uomini
di
fuggire
a
San
Francisco
.
Farà
parte
,
anche
questo
,
della
strategia
del
rinvio
,
o
è
il
segno
che
nonostante
tanta
ferocia
hanno
un
cervello
da
uccellino
?
StampaQuotidiana ,
Non
aveva
torto
il
regista
Joseph
Losey
a
sperare
che
Venezia
gli
restituisse
,
con
Il
servo
,
un
po
'
di
quel
prestigio
che
Eva
,
non
per
tutta
sua
colpa
,
gli
aveva
tolto
.
Il
suo
ultimo
film
,
infatti
,
presentato
oggi
sotto
bandiera
inglese
,
mostra
che
quando
la
mano
e
l
'
occhio
di
Losey
seguono
da
vicino
l
'
elaborazione
di
un
'
opera
cinematografica
,
il
prodotto
potrà
essere
più
o
meno
gradevole
a
seconda
del
nostro
gusto
,
ma
innegabile
la
personalità
del
regista
.
Anche
Il
servo
si
muove
nell
'
aura
decadentistica
che
piace
a
questo
esegeta
delle
degradazioni
morali
e
fisiche
,
e
ha
perciò
sequenze
incresciose
,
ma
tutta
la
prima
parte
del
film
,
nel
quale
si
delineano
i
caratteri
e
le
situazioni
,
ha
squisitezze
che
non
sono
ancora
estetizzanti
ma
soltanto
un
fine
arabesco
psicologico
tracciato
intorno
a
personaggi
e
ad
ambienti
che
covano
i
germi
della
dissoluzione
.
Siamo
a
Londra
,
dove
Tony
,
un
«
giovin
signore
»
,
tornato
dall
'
Africa
,
prende
possesso
di
un
appartamento
.
Poiché
vive
solo
,
cerca
un
cameriere
,
e
la
scelta
cade
su
Barrett
,
più
maturo
di
anni
,
servizievole
e
premuroso
,
ma
fin
dal
principio
ambiguo
e
ficcanaso
.
Qualità
che
non
piacciono
a
Susan
,
fidanzata
di
Tony
,
la
quale
cerca
di
convincerlo
a
licenziarlo
,
quasi
indovinando
il
pauroso
ascendente
che
il
servo
sta
per
avere
sul
padrone
.
Convintosi
della
debolezza
di
Tony
,
Barrett
comincia
a
mettere
in
atto
un
piano
perverso
inducendo
il
padrone
ad
assumere
,
come
cameriera
,
quella
che
egli
presenta
come
la
propria
sorella
,
e
invece
è
l
'
amante
:
Vera
,
una
sgualdrina
che
ben
presto
seduce
Tony
,
lo
allontana
da
Susan
e
lo
riduce
uno
straccio
.
Rientrati
improvvisamente
a
casa
durante
un
week
-
end
,
Tony
e
Susan
scoprono
i
due
servi
nella
camera
del
padrone
,
ma
quando
Tony
va
per
cacciarli
ha
la
rivelazione
che
essi
non
sono
fratello
e
sorella
,
bensì
due
compari
vissuti
sinora
alle
sue
spalle
,
e
che
ora
,
irridendolo
e
saccheggiandolo
,
se
ne
vanno
di
propria
volontà
.
Avvilito
,
già
quasi
distrutto
dall
'
umiliazione
inflittagli
da
questa
coppia
plebea
,
Tony
comincia
a
bere
:
è
il
primo
gradino
di
una
degradazione
che
lo
indurrà
,
più
tardi
,
a
riassumere
il
servo
,
e
a
stringersi
a
lui
in
un
'
amicizia
particolare
.
Ormai
Barrett
non
è
soltanto
il
padrone
di
casa
,
arrogante
e
violento
,
ma
il
dominatore
di
Tony
,
il
quale
gli
ubbidisce
come
un
fantoccio
,
e
si
lascia
convincere
a
riprendere
con
loro
Vera
.
L
'
appartamento
,
nel
quale
Barrett
invita
persino
donne
di
strada
,
è
ormai
una
sentina
di
vizi
.
Nemmeno
Susan
,
venuta
per
tentare
di
salvare
Tony
,
resiste
al
fascino
dell
'
abietto
servo
.
Ma
se
la
giovane
riuscirà
a
sfuggire
alla
trappola
,
Tony
è
ormai
ridotto
alla
stregua
di
un
animale
che
si
trascina
nell
'
immondizia
.
Il
tempo
si
è
fermato
:
non
c
'
è
più
speranza
per
lui
.
Chi
ebbe
la
sventura
di
vedere
Eva
troverà
molti
punti
di
contatto
fra
il
precedente
film
di
Losey
(
il
quale
,
per
la
verità
,
lo
ha
sconfessato
,
attribuendone
i
vizi
alle
manipolazioni
del
produttore
)
e
Il
servo
.
Al
regista
,
infatti
,
sono
care
queste
vicende
abiette
:
e
non
tanto
,
si
direbbe
,
per
ragioni
moralistiche
,
quanto
per
la
loro
potenzialità
figurativa
,
perché
gli
consentono
di
creare
un
universo
di
simboli
in
cui
ogni
oggetto
sprigiona
una
forza
malsana
:
quasi
l
'
ombra
diabolica
che
è
contenuta
in
ogni
aspetto
della
realtà
.
In
Il
servo
si
vede
bene
cosa
intende
Losey
quando
,
parlando
dell
'
influenza
che
Brecht
ha
avuto
su
di
lui
,
afferma
di
mirare
alla
ricostruzione
della
realtà
attraverso
una
scelta
di
simboli
-
realtà
,
di
caricare
di
significato
premonitore
ogni
gesto
,
e
persino
la
linea
degli
oggetti
e
il
rapporto
fra
gli
attori
e
la
macchina
da
presa
.
In
questo
film
l
'
abiezione
del
soggetto
(
Harold
Pinter
,
uno
degli
«
arrabbiati
»
inglesi
,
ha
tratto
la
sceneggiatura
da
un
racconto
di
Robín
Maugham
)
è
in
qualche
misura
riscattata
dall
'
emozione
logica
che
suscita
nello
spettatore
.
Tuttavia
non
completamente
:
è
indubitabile
che
certi
effetti
,
soprattutto
nella
parte
dedicata
alla
descrizione
dell
'
animalità
raggiunta
da
Tony
,
derivano
da
un
gusto
intellettualistico
dello
spettacolo
;
il
grande
uso
che
Losey
continua
a
fare
degli
specchi
denuncia
le
vere
radici
di
un
regista
che
si
affanna
a
predicare
la
semplicità
ma
razzola
spesso
nella
violenza
ottica
.
In
Il
servo
,
ad
esempio
,
l
'
approfondimento
dei
trapassi
psicologici
,
soprattutto
la
spiegazione
dei
moventi
della
degradazione
di
Tony
,
sono
largamente
sacrificati
ai
valori
visivi
;
è
in
questi
tutto
il
fascino
,
ma
anche
il
grave
limite
,
del
film
.
Del
quale
insomma
si
apprezza
molto
l
'
ambientazione
tanto
raffinata
che
introduce
alla
dissoluzione
,
la
bravura
con
cui
è
ritratta
la
nequizia
di
Barrett
e
la
debolezza
di
Tony
,
talune
sequenze
come
quella
,
in
cucina
,
di
Tony
tentato
da
Vera
,
e
quella
degli
amanti
sorpresi
,
e
,
ovunque
,
la
recitazione
di
Dirk
Bogarde
,
James
Fox
,
Sarah
Miles
,
ma
che
non
riesce
completamente
a
farci
vincere
il
ribrezzo
:
come
sempre
quando
il
male
è
contemplato
con
fredda
intelligenza
.
Se
il
film
ciò
nonostante
impressiona
e
resta
nella
memoria
è
per
l
'
aspra
e
gelida
forza
consegnata
agli
occhi
.
StampaQuotidiana ,
L
'
anno
scorso
,
dopo
Cannes
,
Francesco
Rosi
ebbe
a
dichiarare
di
non
aver
alcuna
fiducia
nei
festival
.
«
Vorrei
-
aggiunse
-
che
i
miei
film
non
venissero
mai
accettati
»
.
dunque
un
ben
strano
destino
,
il
suo
,
di
andare
,
con
ogni
film
fatto
dopo
il
1957
,
a
tutti
i
festival
,
e
di
non
tornare
mai
a
mani
vuote
.
Nel
'58
,
a
Venezia
,
divise
con
Malle
il
«
Leone
d
'
oro
»
per
La
sfida
;
nel
'60
,
a
San
Sebastiano
,
vinse
con
I
magliari
;
nel
'62
,
a
Berlino
,
con
Salvatore
Giuliano
.
E
quest
'
anno
,
a
Venezia
,
pone
una
serissima
candidatura
al
massimo
premio
con
Le
mani
sulla
città
.
Un
film
che
sopravanza
Salvatore
Giuliano
,
e
pone
Rosi
fra
i
maggiori
talenti
cinematografici
della
nostra
generazione
di
mezzo
.
Benché
non
ci
sia
chiaro
del
tutto
cosa
Rosi
potrà
darci
in
futuro
.
Nel
suo
fondo
si
combattono
due
forze
,
in
certo
modo
ancora
oscure
:
a
seconda
di
quale
maturerà
meglio
avremo
forse
o
un
moralista
schierato
su
precise
posizioni
ideologiche
,
tali
da
indurlo
a
un
cinema
di
ispirazione
politica
in
cui
l
'
impegno
della
denuncia
rischierà
di
forzare
il
suo
ingegno
verso
una
poetica
etico
-
civile
,
oppure
il
campione
di
un
cinema
intellettualistico
,
per
il
quale
la
problematica
morale
sia
la
risorsa
spettacolarmente
più
efficace
fornita
da
una
concezione
tutta
razionalistica
dell
'
arte
.
Le
mani
sulla
città
è
un
film
sugli
speculatori
edilizi
,
a
Napoli
,
oggi
,
e
sulle
collusioni
fra
l
'
industria
e
la
politica
(
con
un
graffio
,
sul
finire
,
alla
Chiesa
)
.
L
'
opera
è
riuscita
perché
,
in
un
argomento
che
ottiene
quotidiane
conferme
,
le
due
spinte
che
muovono
Rosi
hanno
coinciso
:
la
descrizione
di
quei
soprusi
ci
interessa
,
sin
quasi
a
chiudere
in
una
morsa
la
nostra
attenzione
logica
,
perché
vi
si
specchia
una
gran
macchia
della
vita
pubblica
italiana
contemporanea
.
Ma
se
domani
non
fosse
così
(
e
dopo
la
camorra
dei
mercati
ortofrutticoli
,
gli
imbroglioni
italiani
in
Germania
,
i
mafiosi
siciliani
,
i
gangsters
delle
aree
fabbricabili
,
potrà
darsi
che
Rosi
senta
il
bisogno
di
variare
la
sua
tematica
)
,
c
'
è
il
pericolo
del
manierismo
:
di
una
perenne
requisitoria
o
di
una
assunzione
di
tutti
i
valori
emotivi
nell
'
incontro
e
nello
scontro
delle
intelligenze
.
Non
ipotechiamo
il
futuro
:
si
è
detto
che
in
Le
mani
sulla
città
le
corde
di
Rosi
suonano
all
'
unisono
,
tese
parallelamente
a
mettere
alla
gogna
politicanti
e
approfittatori
e
a
seguire
e
inchiodare
un
processo
mentale
reso
drammatico
dal
conflitto
fra
due
idee
-
guida
della
storia
:
la
chiarezza
dell
'
onestà
e
le
ombre
del
«
particulare
»
.
Non
c
'
è
bisogno
di
scomodare
Machiavelli
e
Guicciardini
per
ricordare
come
il
fossato
fra
morale
e
politica
,
fra
coscienza
e
ragion
di
Stato
,
possa
essere
colmato
o
approfondito
:
Rosi
sa
bene
che
questo
tema
è
,
e
sarà
,
eterno
.
Ma
quando
egli
afferma
,
come
ha
ripetuto
alla
conferenza
-
stampa
di
stamane
,
che
la
speculazione
edilizia
è
stata
per
lui
un
pretesto
d
'
attualità
per
raccontare
un
dibattito
di
idee
e
di
moralità
,
rinasce
appunto
il
dubbio
che
al
regista
,
come
già
si
vide
in
Salvatore
Giuliano
,
l
'
individuazione
delle
componenti
psicologiche
,
morali
e
razionali
dei
caratteri
,
e
il
loro
legarsi
e
scontrarsi
,
stia
più
a
cuore
del
loro
contenuto
.
Nella
storia
del
cinema
sono
stati
numerosi
casi
come
questi
.
Senza
risalire
ai
registi
americani
degli
anni
Trenta
,
che
denunciavano
le
collusioni
fra
politica
e
malavita
senza
riuscire
a
nascondere
la
loro
simpatia
per
il
fascino
intellettuale
suscitato
dall
'
urto
di
quelle
forze
,
basterà
ricordare
film
come
Tempesta
a
Washington
e
Il
processo
di
Verona
,
i
cui
registi
ci
hanno
offerto
buoni
«
spaccati
»
sulla
drammaticità
della
dialettica
delle
idee
,
prima
ancora
che
sull
'
ambiente
storico
preso
di
mira
.
Ma
Le
mani
sulla
città
,
ripetiamo
,
è
inscindibile
:
sta
qui
la
sua
forza
.
Nel
suo
protagonista
,
l
'
impresario
edile
Nottola
che
vuoi
divenire
assessore
comunale
,
il
problema
morale
si
presenta
in
termini
razionali
:
soltanto
in
quanto
egli
può
avere
in
mano
il
potere
politico
può
sperare
di
inserire
se
stesso
in
un
sistema
corrotto
,
cioè
identificare
il
,
male
con
l
'
errore
.
Al
di
là
di
una
sin
troppo
facile
denuncia
politica
,
contro
la
classe
dirigente
italiana
appoggiata
al
centro
e
di
destra
,
il
film
'
ha
un
grande
rilievo
appunto
per
la
tragica
statura
del
protagonista
,
il
quale
difende
se
stesso
con
tutte
le
armi
,
il
denaro
,
i
ceri
alla
Madonna
,
il
sacrificio
del
figlio
,
il
tradimento
degli
amici
di
partito
,
e
finalmente
trionfa
perché
la
corruzione
e
la
debolezza
degli
altri
gli
hanno
spianato
la
strada
.
Di
Le
mani
sulla
città
si
parlerà
molto
,
in
Italia
,
perché
è
un
film
d
'
opinione
socialista
,
con
una
mano
tesa
verso
la
sinistra
democristiana
,
quindi
di
moda
,
e
che
tocca
interessi
molto
precisi
(
l
'
associazione
costruttori
di
Roma
ha
già
elevato
proteste
)
;
ma
se
qualcuno
vorrà
fare
lo
sforzo
di
guardare
soprattutto
alle
sue
qualità
cinematografiche
,
dovrà
apprezzare
il
vigore
e
l
'
essenzialità
con
cui
Rosi
imposta
i
caratteri
e
le
situazioni
,
li
giustappone
a
una
Napoli
da
una
parte
affollata
di
masse
lacere
e
questuanti
,
dall
'
altra
chiusa
nel
breve
cerchio
di
un
club
mondano
o
di
una
vecchia
casa
signorile
,
Nel
mezzo
,
isolato
fra
i
suoi
mobili
razionali
e
luci
fredde
,
sta
Nottola
:
non
si
sa
nulla
della
sua
vita
privata
,
basta
il
suo
accanimento
,
l
'
astuzia
,
la
spietatezza
,
e
il
suo
terrore
di
pensarsi
sconfitto
,
a
farlo
giganteggiare
.
Ciò
che
lo
arrovella
,
si
è
detto
,
è
il
desiderio
,
anzi
il
bisogno
di
divenire
,
da
consigliere
,
assessore
.
Le
elezioni
comunali
sono
imminenti
:
se
riuscirà
,
potrà
controllare
tutti
gli
appalti
relativi
a
un
appezzamento
di
terreno
,
comprato
in
combutta
con
altri
membri
del
suo
partito
,
sul
quale
vuole
costruire
un
intero
quartiere
(
il
terreno
,
se
.
la
giunta
sarà
sua
complice
,
darà
un
profitto
del
cinquemila
per
cento
)
.
Mentre
prepara
questo
piano
,
crolla
la
parete
d
'
uno
stabile
attiguo
a
quello
ché
la
sua
impresa
,
diretta
dal
figlio
,
sta
costruendo
in
un
vicolo
.
Ci
sono
morti
e
feriti
,
e
l
'
opposizione
di
sinistra
chiede
,
in
Comune
,
un
'
inchiesta
,
che
accerta
subito
le
collusioni
fra
costruttori
e
maggioranza
.
Per
evitare
di
restare
inattivo
,
Nottola
riesce
a
ottenere
che
tutte
le
case
del
vicolo
vengano
dichiarate
pericolanti
;
sfrattata
la
popolazione
,
egli
continua
a
costruire
e
ad
arricchirsi
.
Soltanto
quando
,
crescendo
le
pressioni
dell
'
opposizione
,
lo
scandalo
minaccia
di
indebolire
la
maggioranza
,
il
partito
di
destra
che
ha
in
mano
il
governo
locale
chiede
a
Nottola
,
se
vuoi
continuare
a
fare
il
costruttore
,
di
non
presentarsi
alle
elezioni
.
Indifferente
al
ricatto
,
egli
induce
il
figlio
a
costituirsi
,
si
trasferisce
nel
partito
di
centro
,
e
finalmente
riesce
a
essere
eletto
.
Il
nuovo
sindaco
,
«
nell
'
interesse
di
tutti
»
,
fa
sì
che
l
'
assessore
Nottola
e
la
destra
dimentichino
i
rancori
personali
:
una
nuova
maggioranza
si
è
così
formata
per
continuare
i
vecchi
intrallazzi
.
Ma
in
consiglio
comunale
la
sinistra
non
è
più
sola
nel
denunciare
il
pateracchio
:
ora
anche
l
'
ala
sinistra
del
partito
di
centro
accusa
il
Nottola
.
Invano
,
ché
ormai
l
'
assessore
e
i
suoi
compari
hanno
via
libera
per
la
costruzione
del
nuovo
quartiere
:
la
benedizione
della
prima
pietra
verrà
a
darla
personalmente
l
'
arcivescovo
,
È
la
prima
volta
che
un
film
è
buono
nonostante
una
così
attuale
-
e
ovviamente
tendenziosa
-
polemica
politica
(
«
I
personaggi
e
i
fatti
sono
immaginari
-
ci
avverte
una
didascalia
-
ma
autentica
è
la
realtà
sociale
e
ambientale
che
li
produce
»
)
.
Lo
si
deve
alla
penetrazione
realistica
con
cui
lo
stile
critico
di
Rosi
dichiara
la
sua
passione
morale
e
la
sua
lucidità
razionale
,
alla
fotografia
di
Di
Venanzo
,
alla
robusta
musica
di
Piccioni
,
all
'
ottima
recitazione
di
Rod
Steiger
,
che
ancora
una
volta
dà
fortissimo
risalto
alla
livida
figura
di
un
uomo
d
'
affari
che
si
comporta
da
bandito
,
e
di
Salvo
Randone
incisivo
come
sempre
,
e
di
Guido
Alberti
,
ormai
un
vero
attore
.
Nel
cast
non
ci
sono
donne
(
l
'
unica
che
ha
una
particina
,
è
anzi
una
grave
caduta
di
gusto
,
un
soprassalto
di
demagogia
)
,
e
ciò
riafferma
che
il
soggetto
di
Rosi
e
La
Capria
(
alla
sceneggiatura
hanno
collaborato
anche
Enzo
Provenzale
ed
Enzo
Forcella
)
è
tutto
teso
a
significare
la
drammaticità
insita
nella
sua
forte
dialettica
logica
e
morale
.
Essa
ha
trovato
in
Rosi
un
regista
il
quale
con
inquadrature
sicure
e
un
secco
montaggio
che
assicura
un
serrato
dinamismo
narrativo
la
esprime
prevalentemente
nei
dialoghi
fra
gli
uomini
politici
e
nelle
agitate
riunioni
del
consiglio
comunale
,
con
tête
à
tête
che
sono
sfide
,
ricatti
,
e
compromessi
dettati
dall
'
opportunismo
più
abietto
.
Ma
anche
le
scene
di
popolo
sono
eccellenti
:
da
quella
del
crollo
a
quella
della
zuffa
,
nel
vicolo
,
fra
napoletani
e
polizia
.
Insomma
,
il
«
Leone
d
'
oro
»
di
Venezia
,
che
già
aveva
cominciato
a
ruggire
,
oggi
scuote
le
sbarre
.
StampaQuotidiana ,
Th.E.
Lawrence
avrebbe
oggi
settantacinque
anni
,
se
un
incidente
motociclistico
non
l
'
avesse
stroncato
nel
1935
.
Dunque
è
un
nostro
contemporaneo
,
e
in
lui
vediamo
,
sublimati
,
miti
che
la
nostra
età
ha
ereditato
dal
romanticismo
:
quelli
della
libertà
,
dell
'
evasione
nell
'
Oriente
favoloso
,
del
superuomo
.
Ma
insieme
è
il
simbolo
di
una
generazione
che
ha
assistito
al
crollo
degli
ideali
perché
essi
non
erano
sorretti
da
un
'
impalcatura
razionale
,
erano
uno
slancio
mistico
e
spesso
mistificatore
,
con
una
forte
componente
divistica
e
bastava
una
crepa
nello
spirito
,
una
improvvisa
deviazione
nell
'
umore
,
per
trasformare
un
uomo
d
'
azione
,
un
amante
del
rischio
,
in
un
vinto
frustrato
.
L
'
amicizia
fra
Lawrence
e
Italo
Balbo
può
aiutare
il
pubblico
italiano
a
capire
questo
inglese
complesso
,
che
credette
,
negli
anni
della
prima
guerra
mondiale
,
di
essere
stato
chiamato
dal
destino
a
combattere
,
con
la
volontà
e
il
coraggio
,
per
l
'
unità
e
l
'
indipendenza
degli
arabi
,
e
si
pensò
demiurgo
del
Medio
Oriente
,
fiamma
di
libertà
per
popoli
da
secoli
oppressi
dai
turchi
,
e
invulnerabile
Taumaturgo
del
deserto
.
E
cocentissima
sentì
l
'
umiliazione
,
quando
crudamente
avvertì
le
proprie
dimensioni
di
uomo
,
oggetto
d
'
immondo
desiderio
,
e
perduta
la
fede
nella
propria
integrità
capì
di
essere
stato
fatalistico
strumento
d
'
una
frode
politica
.
Ché
gli
alleati
volevano
,
né
più
né
meno
,
prendere
il
posto
dei
turchi
,
e
gli
arabi
erano
troppo
divisi
in
tribù
per
sperare
di
cementarli
in
nazione
.
A
Lawrence
il
produttore
Sam
Spiegel
,
il
regista
David
Lean
,
lo
sceneggiatore
Robert
Bolt
dedicano
ora
una
biografia
cinematografica
,
ma
limitata
al
capitolo
più
popolare
,
appunto
80gli
anni
fra
il
1916
e
il
1918
:
da
quando
il
tenente
Lawrence
,
malvisto
dai
superiori
per
la
sua
indisciplina
e
la
sua
cultura
(
incauto
,
cita
Temistocle
)
riceve
al
Cairo
l
'
incarico
di
mettersi
in
contatto
col
principe
Feisal
,
a
quando
,
sposata
la
causa
degli
arabi
,
vestito
dei
loro
abiti
,
trasformato
il
nome
in
El
Orens
,
succhiatane
l
'
astuzia
e
la
crudeltà
,
conquistate
Akaba
e
Damasco
con
infinite
peripezie
che
lo
eguagliano
a
Mosè
,
torna
,
colonnello
ma
affranto
,
in
Inghilterra
.
Ben
s
'
intende
che
il
film
avrebbe
potuto
cominciare
di
qui
,
o
almeno
arrivare
sino
a
Versailles
,
dove
Lawrence
si
batté
perché
gli
alleati
tenessero
fede
agli
impegni
che
egli
,
a
nome
dell
'
Inghilterra
,
aveva
preso
con
gli
arabi
:
e
non
essendovi
riuscito
sentì
crescere
tanto
il
rimorso
e
la
vergogna
da
rinunciare
al
grado
,
e
poi
al
nome
e
ai
diritti
d
'
autore
su
I
sette
pilastri
della
saggezza
,
il
libro
nel
quale
raccontò
il
suo
grande
sogno
.
Ma
così
facendo
il
film
avrebbe
preso
tutti
i
caratteri
della
biografia
psicologica
(
e
l
'
opportunità
politica
sconsigliava
di
riaprire
certe
piaghe
)
:
meglio
sfruttare
le
grandi
risorse
spettacolari
offerte
dalla
guerriglia
nel
deserto
,
dare
al
film
il
timbro
dell
'
avventura
,
vestire
l
'
epopea
di
Lawrence
con
l
'
abito
del
western
.
Dopotutto
David
Lean
,
con
Il
ponte
sul
fiume
Kwai
,
aveva
ottenuto
un
immenso
successo
commerciale
.
Bene
;
ma
se
Sam
Spiegel
,
un
produttore
che
non
lascia
mano
libera
al
regista
,
è
un
americano
che
crede
fermamente
nel
cinema
d
'
azione
,
David
Lean
è
un
inglese
che
nonostante
la
conversione
allo
schermo
gigante
ha
alle
spalle
,
per
non
dir
altro
,
Breve
incontro
,
un
delizioso
ricamo
intimista
,
e
Robert
Bolt
è
il
giovane
drammaturgo
che
prima
di
debuttare
come
sceneggiatore
cinematografico
ha
affrontato
l
'
inquietante
figura
di
Tommaso
Moro
,
l
'
utopista
del
Cinquecento
.
Che
i
tre
potessero
andare
molto
d
'
accordo
era
improbabile
:
di
qui
l
'
ambiguità
del
film
,
ma
di
qui
,
anche
,
lo
sforzo
compiuto
da
David
Lean
,
che
si
vede
,
e
del
quale
si
ammira
la
sincerità
.
Detto
in
due
parole
,
Lawrence
d
'
Arabia
ha
molte
eleganze
formali
,
molta
efficacia
visiva
,
ma
non
sa
raccontarci
con
sicurezza
la
figura
del
protagonista
.
Per
un
fenomeno
non
infrequente
,
è
accaduto
che
l
'
ambiguità
del
personaggio
si
è
riflessa
sulla
sceneggiatura
,
che
le
sue
reticenze
hanno
intorbidito
la
limpidità
del
racconto
.
Era
un
alibi
degli
ermetici
dire
che
per
esprimere
la
notte
dell
'
anima
occorresse
far
ricorso
all
'
oscurità
.
Per
quanto
complessa
la
personalità
di
Lawrence
chiede
,
postata
sullo
schermo
,
di
essere
in
qualche
modo
spiegata
al
popolo
.
È
dif
idile
discutere
una
interpretazione
che
,
col
pretesto
della
pluralità
delle
componenti
psicologiche
del
carattere
di
Lawrence
,
compie
assaggi
in
varie
direzioni
,
ma
non
ha
il
coraggio
di
proporre
una
scelta
precisa
.
Sull
'
esempio
di
Ross
,
il
dramma
di
Terence
Rattigan
,
anche
Bolt
vuoi
far
leva
sulla
psicanalisi
per
spiegare
la
tragedia
di
Lawrence
e
insinua
che
egli
fu
quello
che
fu
perché
,
figlio
d
'
un
baronetto
,
cercò
altrove
il
prestigio
sociale
negatogli
dalla
sua
qualità
di
illegittimo
;
e
lascia
intendere
che
il
trauma
subìto
da
Lawrence
quando
cadde
nelle
mani
del
bey
turco
gli
confermò
le
sue
tendenze
particolari
,
e
lo
sconvolse
fino
a
cercare
nel
sanguinoso
carnaio
,
in
una
guardia
del
corpo
composta
di
assassini
e
ladroni
,
la
voluttà
del
male
.
Ma
Bolt
imbocca
questa
strada
con
timidezza
,
e
la
interseca
con
altri
cammini
:
la
crisi
della
volontà
,
la
delusione
dell
'
inglese
alfiere
di
libertà
,
il
dramma
del
dubbio
intellettuale
,
il
terrore
di
essere
stato
una
pedina
,
l
'
amarezza
dell
'
uomo
civile
impotente
di
fronte
alla
barbarie
.
Risultato
,
un
labirinto
nel
quale
Lawrence
appare
un
affannato
nevrotico
;
lasciando
Damasco
gli
si
consiglia
una
buona
clinica
londinese
.
Consapevole
di
questa
debolezza
strutturale
,
David
Lean
ha
tentato
di
rimediarvi
facendo
di
Lawrence
un
eroe
fortemente
condizionato
dall
'
ambiente
,
prima
esaltato
dalle
immense
,
carnali
curve
di
sabbia
,
poi
depresso
dal
sacrificio
di
vite
umane
che
la
sua
impresa
chiedeva
e
dalle
miserie
illuminate
dal
sole
di
fuoco
,
infine
conquistato
dall
'
esempio
di
ferocia
propostogli
dai
predoni
del
deserto
:
alzando
,
cioè
,
il
tono
di
tutto
il
film
in
una
simbiosi
grandiosa
fra
paesaggio
e
carattere
.
E
l
'
asino
ricasca
,
perché
Spiegel
e
Lean
scelgono
un
attore
che
non
soltanto
viene
dal
teatro
,
ma
proprio
da
Shakespeare
.
Invitata
a
correre
,
la
lepre
O
'
Toole
che
fa
?
Confonde
Lawrence
con
Amleto
:
ma
un
Amleto
nevropatico
,
distruttore
di
se
stesso
.
È
un
bel
ragazzo
,
questo
occhi
-
ceruleo
Peter
O
'
Toole
,
e
ha
quel
tanto
di
mollezza
femminile
che
si
confà
al
personaggio
,
(
nessuna
donna
,
nel
film
:
a
maggior
ragione
egli
svolge
un
ruolo
che
copre
lo
spazio
lasciato
vuoto
dalla
star
)
,
ma
non
ha
maturità
sufficiente
a
colmare
con
la
recitazione
i
dislivelli
della
sceneggiatura
:
per
timore
di
non
farsi
capire
butta
fuori
tutto
,
e
al
rovello
intimo
di
Lawrence
sostituisce
o
un
imbambolamento
da
fanciulla
o
un
'
esagitazione
muscolare
.
Di
gran
lunga
migliori
le
interpretazioni
di
Alec
Guinness
,
di
Anthony
Quinn
,
di
Jack
Hawkins
,
benché
tutte
un
po
'
di
maniera
.
La
palma
della
recitazione
va
a
Ornar
Sharif
,
e
subito
dopo
all
'
ottimo
Claude
Rains
.
E
tuttavia
Lawrence
d
'
Arabia
è
un
film
da
vedere
.
Bellissima
è
,
spesso
,
la
fotografia
,
morbida
la
tavolozza
che
accoglie
tutte
le
variazioni
cromatiche
del
deserto
,
suggestivi
í
rapporti
di
volume
e
colore
fra
i
cammelli
,
i
beduini
,
e
i
piani
infiniti
,
l
'
ondosità
delle
dune
,
di
sicuro
effetto
le
marce
,
le
stragi
,
gli
assalti
al
treno
,
esaltante
la
musica
.
Tecnicamente
il
film
è
girato
con
molto
gusto
e
intelligenza
:
Lean
e
il
suo
operatore
cadono
in
ingenui
trabocchetti
(
quel
sole
dipinto
sul
cartone
!
)
,
ma
nella
maggior
parte
dei
casi
hanno
grande
sensibilità
per
l
'
inquadratura
panoramica
e
il
dettaglio
.
Il
film
ha
perciò
pagine
emotive
,
ed
è
figurativamente
degnissimo
,
soprattutto
nella
prima
parte
,
di
disteso
racconto
.
Traballa
nel
traliccio
psicologico
,
tutto
affollato
nella
seconda
,
elude
il
sottofondo
storico
e
politico
assumendo
il
protagonista
in
un
mito
del
quale
poi
non
ci
dà
chiare
ragioni
,
ma
le
tre
ore
e
mezzo
che
promette
non
sono
sprecate
..
Benché
per
lealtà
si
debba
aggiungere
che
Sam
Spiegel
aveva
detto
:
«
Vorrei
che
nessuno
spettatore
si
distraesse
per
accendere
una
sigaretta
»
,
e
noi
quattro
,
forse
cinque
,
ne
abbiamo
fumate
.
Che
viziaccio
.
'