StampaQuotidiana ,
Con
Sedotta
e
abbandonata
gli
affezionati
spettatori
di
Divorzio
all
'
italiana
si
ritrovano
in
una
Sicilia
dominata
da
un
grottesco
senso
dell
'
onore
,
nuovamente
si
muovono
in
un
clima
cupo
e
afoso
con
bagliori
terrificanti
,
in
cui
scoppiano
feroci
contrasti
familiari
,
e
per
la
seconda
volta
s
'
imbattono
in
una
Stefania
Sandrelli
concupita
da
un
focoso
isolano
.
Simile
la
cornice
,
analogo
il
desiderio
del
regista
,
Pietro
Germi
,
di
accusare
,
raccontando
una
storia
inventata
,
l
'
ipocrisia
dei
costumi
locali
e
della
legislazione
italiana
,
i
due
film
restano
tuttavia
ben
lontani
l
'
uno
dall
'
altro
.
Quanto
c
'
era
,
nel
primo
,
di
elegante
ironia
,
in
Sedotta
e
abbandonata
è
divenuto
più
vivace
ma
crudo
sarcasmo
,
e
quanto
in
Divorzio
all
'
italiana
era
caustico
ricamo
,
qui
è
spesso
pesante
e
quasi
iroso
cipiglio
.
Si
ha
l
'
impressione
che
Germi
,
calcando
la
mano
in
una
pittura
d
'
ambiente
che
d
'
altronde
amalgama
toni
di
diversissima
provenienza
culturale
,
da
Goya
a
Buñuel
,
senza
passare
attraverso
il
realismo
di
Verga
e
il
rigore
intellettuale
di
Pirandello
,
si
stia
inventando
una
Sicilia
su
misura
,
quasi
un
pretesto
per
una
verifica
storica
del
suo
gusto
di
cogliere
situazioni
umane
in
cui
il
tragico
e
il
comico
si
alleano
.
Dio
ci
guardi
dal
negare
che
molti
siciliani
concepiscono
l
'
onore
come
un
astratto
valore
formale
,
e
che
in
un
caso
come
quello
raccontato
dal
film
eviterebbero
di
riparare
con
l
'
ipocrisia
d
'
un
matrimonio
forzoso
all
'
offesa
recata
a
un
pregiudizio
:
è
probabile
però
che
in
Sedotta
e
abbandonata
ci
sia
per
soprammercato
un
astio
che
discende
dal
dispetto
di
veder
sopravvivere
,
nel
mondo
di
oggi
,
queste
zone
depresse
della
morale
e
del
costume
,
e
nel
contempo
una
voluttà
derisoria
nata
dal
compiacimento
di
aver
individuato
un
luogo
che
offre
tante
risorse
di
spettacolo
beffardo
.
In
casi
simili
lo
sdegno
di
Germi
moralista
si
azzuffa
col
piacere
di
Germi
regista
,
e
ne
esce
un
'
opera
arrabbiata
e
in
fondo
crudele
e
improbabile
.
Questa
contraddizione
è
denunciata
,
nel
film
,
dalla
variabilità
dello
stile
,
ma
soprattutto
dalla
caduta
in
quel
genere
della
commedia
paesana
,
ai
limiti
col
vernacolo
,
che
per
il
troppo
colore
rinunzia
alla
finezza
del
disegno
psicologico
.
Se
fate
un
confronto
fra
il
barone
Cefalù
e
il
protagonista
di
Sedotta
e
abbandonata
,
questo
grasso
,
iracondo
imprenditore
della
provincia
siciliana
al
quale
è
stata
violata
una
figlia
,
e
che
non
si
darà
pace
finché
i
due
,
pur
odiandosi
,
non
si
saranno
sposati
,
misurate
tutta
la
diversità
di
stoffa
dei
due
film
:
l
'
uno
saldamente
ancorato
all
'
interpretazione
squisita
di
un
Mastroianni
,
l
'
altro
affidato
all
'
esperienza
di
un
Saro
Urzì
,
attore
valoroso
ma
irrimediabilmente
caratterista
.
Da
questa
scelta
,
e
forse
dall
'
intervento
,
in
sede
di
sceneggiatura
,
di
Age
e
Scarpelli
,
i
quali
devono
avere
affollato
l
'
originario
soggetto
di
Germi
e
Vincenzoni
di
episodi
collaterali
e
scenette
di
dubbio
umorismo
,
derivano
tutti
i
guai
del
film
:
la
galleria
di
macchiette
,
il
gioco
delle
scene
e
delle
controscene
,
la
forzatura
comica
,
l
'
insabbiarsi
di
quella
nota
tragica
che
di
quando
in
quando
riaffiora
,
e
allora
appartiene
al
Germi
migliore
,
ma
cui
più
spesso
si
sostituisce
una
concitata
orchestrazione
di
motivi
già
largamente
scontati
dall
'
immensa
pubblicistica
sui
costumi
siciliani
.
Della
trama
basti
ricordare
,
per
sommi
capi
,
la
linea
centrale
:
la
violenza
subita
da
Agnese
,
studentessa
sedicenne
,
da
parte
di
Peppino
,
fidanzato
d
'
una
sua
sorella
,
Matilde
;
la
scoperta
dell
'
infamia
da
parte
del
padre
di
lei
,
il
rifiuto
di
Peppino
di
sposare
Agnese
perché
gli
ha
ceduto
,
le
chiacchiere
della
cittadina
,
le
furie
del
genitore
offeso
,
che
architetta
un
finto
rapimento
per
giustificare
agli
occhi
della
gente
le
nozze
.
Rifiuto
,
questa
volta
,
di
Agnese
,
ma
finale
cedimento
dei
due
giovani
ai
sacri
principi
dell
'
onore
familiare
.
Il
padre
muore
di
crepacuore
,
ma
il
giorno
stesso
dello
sposalizio
,
e
perciò
chiude
gli
occhi
soddisfatto
;
la
Matilde
defraudata
di
due
fidanzati
(
oltre
Peppino
ha
perduto
anche
un
nobile
spiantato
che
il
padre
le
aveva
messo
attorno
)
si
fa
monaca
;
i
parenti
e
gli
amici
si
consolano
con
i
cannoli
.
Questo
il
succo
della
storia
,
che
però
si
disperde
in
un
gran
numero
di
svolte
,
alcune
indubbiamente
intelligenti
e
raccontate
col
nerbo
e
l
'
estro
del
Germi
più
forte
e
denso
,
altre
risapute
:
insomma
in
una
disuguaglianza
di
livelli
stilistici
e
narrativi
che
fa
maggiormente
avvertire
lo
scarso
amalgama
dell
'
impasto
,
e
rimpiangere
la
stringatezza
d
'
un
altro
film
di
Germi
girato
,
come
questo
,
a
Sciacca
:
In
nome
della
legge
.
Fra
i
molti
attori
Stefania
Sandrelli
è
un
'
Agnese
tutta
in
nero
,
che
talvolta
riesce
a
farci
intuire
il
suo
chiuso
dolore
;
il
debuttante
Aldo
Puglisi
è
un
seduttore
anche
troppo
impacciato
;
Leopoldo
Trieste
ha
una
mimica
efficacissima
:
su
tutti
gli
altri
si
riverbera
l
'
equivoco
di
una
recitazione
che
toglie
in
verosimiglianza
quanto
eccede
nei
tratti
farseschi
.
StampaQuotidiana ,
A
ogni
altra
considerazione
sul
film
che
Pasolini
ha
tratto
dal
«
Vangelo
secondo
Matteo
»
bisogna
avanzare
una
premessa
:
l
'
azzardo
ha
avuto
già
il
suo
premio
nel
coraggio
,
nella
buona
fede
,
nella
rigorosa
aderenza
al
testo
sacro
.
Non
soltanto
il
film
è
assolutamente
ortodosso
,
tanto
che
la
«
Pro
Civitate
Christiana
»
ha
sentito
il
bisogno
,
con
un
certo
candore
,
di
rilasciare
una
dichiarazione
per
avallare
la
pellicola
,
ma
ha
persino
i
caratteri
chiesti
dallo
schema
conciliare
ai
mezzi
di
comunicazione
sociale
intesi
a
diffondere
la
parola
evangelica
.
Pasolini
,
che
ha
dedicato
il
suo
film
alla
«
cara
,
lieta
,
familiare
memoria
di
Giovanni
XXIII
»
,
sta
dunque
per
prepararci
la
sorpresa
di
una
conversione
?
Per
evitare
equivoci
ricordiamo
le
sue
parole
:
«
Io
non
credo
che
Cristo
sia
figlio
di
Dio
,
perché
non
sono
un
credente
,
almeno
nella
coscienza
.
Ma
credo
che
Cristo
sia
divino
:
credo
cioè
che
in
lui
l
'
umanità
sia
così
alta
,
vigorosa
,
ideale
,
da
andare
al
di
là
dei
comuni
termini
dell
'
umanità
»
.
E
confessò
che
per
lui
,
scrittore
razionalista
,
l
'
idea
di
fare
un
film
sul
Vangelo
era
frutto
di
«
una
furiosa
ondata
irrazionalistica
»
.
«
Voglio
fare
pura
opera
di
poesia
»
.
Questo
è
dunque
il
versante
dal
quale
il
film
va
giudicato
:
come
un
'
opera
di
poesia
.
Più
esattamente
,
come
un
'
illustrazione
del
testo
di
Matteo
.
Nel
film
,
infatti
,
non
c
'
è
una
parola
scritta
da
Pasolini
.
Messosi
di
fronte
il
Vangelo
,
lo
scrittore
-
regista
ha
cercato
di
individuarvi
i
passaggi
più
significativi
,
rinunziando
a
una
restituzione
integrale
che
avrebbe
allungato
di
troppo
la
pellicola
,
e
quelli
ha
inteso
tradurli
con
immagini
realistiche
,
descrizioni
ambientali
e
forti
Tipizzazioni
,
integrati
dalle
scarse
battute
di
dialogo
tramandate
dall
'
evangelista
.
Ispirandosi
alla
tradizione
figurativa
tre
e
quattrocentesca
italiana
,
in
prevalenza
a
Piero
della
Francesca
,
scegliendo
un
commento
sonoro
nel
quale
si
va
da
Bach
a
Mozart
alle
canzoni
popolari
e
agli
spirituals
negri
,
collocando
l
'
azione
nei
luoghi
più
aspri
dell
'
Italia
meridionale
,
Pasolini
ha
poi
voluto
dare
un
forte
rilievo
formale
al
complesso
dell
'
opera
,
intesa
,
così
ha
detto
,
come
un
«
racconto
epico
-
lirico
in
chiave
nazionale
-
popolare
»
.
Vale
a
dire
come
la
storia
di
un
mito
religioso
,
quale
fu
vissuto
da
un
popolo
in
miseria
,
oppresso
da
soldati
stranieri
e
da
una
prepotente
classe
dirigente
.
Senza
tuttavia
riferimenti
storici
precisi
(
il
film
è
così
privo
di
preoccupazioni
di
verosimiglianza
che
sullo
sfondo
della
deposizione
,
in
una
curva
,
si
vede
passare
un
pullman
,
e
i
personaggi
,
salvo
il
protagonista
-
che
ha
la
voce
di
Enrico
Maria
Salerno
-
parlano
con
uno
spiccato
accento
meridionale
)
:
anzi
continuamente
risolvendo
i
fatti
e
le
parole
in
emozioni
estetiche
,
grazie
a
un
potere
di
visualizzazione
che
il
testo
di
Matteo
contiene
in
sommo
grado
,
e
il
bravo
regista
vuole
estrarre
e
volgere
al
dramma
.
La
trasfigurazione
del
reale
è
compiuta
da
Pasolini
con
lunghi
silenzi
:
pur
essendo
condotto
con
modi
realistici
,
ed
echi
moderni
che
giungono
sino
ad
alludere
agli
squadristi
fascisti
nelle
guardie
di
Erode
,
il
film
è
in
realtà
tutto
una
sublime
astrazione
intellettuale
.
È
un
capolavoro
di
letteratura
,
che
si
appoggia
su
due
pilastri
:
da
un
lato
un
testo
carico
di
metafore
,
dall
'
altro
una
serie
di
tessere
,
figurativamente
splendide
,
che
per
l
'
abbondanza
delle
ellissi
non
si
compongono
in
mosaico
narrativo
.
Ammirabile
per
l
'
intelligenza
del
contrappunto
fra
la
figura
di
Cristo
(
il
giovane
spagnolo
Enrique
Irazoqui
,
finalmente
liberato
dalla
soggezione
alla
tradizione
iconografica
più
vieta
,
che
voleva
Gesù
biondo
e
con
i
capelli
sciolti
sulle
spalle
)
,
ardente
nella
propria
certezza
di
essere
il
figlio
di
Dio
,
alto
e
magro
,
di
parola
elegante
,
e
le
figure
dei
suoi
rozzi
apostoli
,
spinti
dalla
fede
ma
talvolta
ancora
perplessi
tra
la
sicumera
dei
farisei
,
ornati
di
alti
turbanti
,
e
la
spontanea
attesa
del
popolo
lacero
;
acceso
di
virtù
propriamente
cinematografiche
in
sequenze
come
il
rimorso
e
il
suicidio
di
Giuda
;
talvolta
felice
nel
serrare
nell
'
immagine
pregnante
il
senso
poeticamente
rivoluzionario
del
testo
evangelico
,
il
film
ha
però
scarsa
forza
avvincente
per
la
frantumazione
del
racconto
,
che
procede
a
sbalzi
,
sulla
metà
quasi
arranca
,
e
solo
si
riprende
sul
finale
,
con
la
fulminea
scena
della
crocifissione
e
della
resurrezione
.
Chi
volesse
cercare
le
cause
dell
'
impaccio
del
film
,
di
quel
ripiegarsi
in
una
compostezza
formale
che
non
si
dispiega
in
libero
canto
,
dovrebbe
rifarsi
alla
sua
ambigua
impostazione
.
Combattuto
fra
ideologia
e
sentimento
,
Pasolini
ha
tentato
di
recuperare
al
suo
laicismo
i
caratteri
della
religiosità
,
ma
poiché
l
'
operazione
ha
un
accento
volontaristico
,
gli
è
sfuggito
quel
carattere
precipuo
che
è
il
senso
del
mistero
.
Egli
ha
cercato
di
ispirarsi
a
Ordet
di
Dreyer
,
ma
a
differenza
di
quest
'
ultimo
l
'
intuizione
del
Vangelo
gli
si
è
presentata
sotto
forma
colta
,
con
un
corredo
figurativo
e
musicale
di
estrazione
dotta
.
Quando
Cristo
dice
che
il
regno
dei
cieli
appartiene
piuttosto
ai
poveri
di
spirito
si
rivolge
anche
a
questi
traduttori
della
Parola
in
un
visibile
caduco
.
E
s
'
intende
che
queste
riserve
non
intaccano
la
grande
novità
dell
'
opera
,
la
bellezza
della
fotografia
di
Tonino
Delli
Colli
,
l
'
acume
di
certe
soluzioni
,
come
la
serie
di
dissolvenze
per
l
'
irruente
discorso
della
montagna
,
la
straordinaria
evidenza
espressiva
dei
primi
piani
(
fra
gli
attori
,
non
tutti
professionisti
,
figurano
i
poeti
Alfonso
Gatto
,
Rodolfo
Wilcock
,
Francesco
Leonetti
,
e
la
scrittrice
Natalia
Ginzburg
)
,
la
suggestività
dei
paesaggi
,
l
'
incisività
di
alcune
figure
,
come
quella
della
giovane
Maria
e
dell
'
angelo
del
Signore
.
Fra
i
meriti
del
film
metteremmo
anche
l
'
idea
di
situare
il
processo
e
la
condanna
di
Gesù
in
una
prospettiva
lontana
,
quasi
a
significarne
l
'
inverosimiglianza
agli
occhi
degli
apostoli
posti
in
primo
piano
,
se
pure
in
questo
continuo
collaudare
il
dramma
sull
'
emotività
dei
discepoli
il
film
non
rivelasse
la
debolezza
di
volere
misurare
nei
testimoni
l
'
altezza
del
suo
protagonista
.
Che
è
una
forma
di
pudore
,
ma
anche
un
sintomo
di
freddezza
.
Le
polemiche
che
hanno
accompagnato
il
Vangelo
,
sul
grado
di
sincerità
di
Pasoliní
,
sull
'
eco
che
vi
risuona
di
un
connubio
clerico
-
marxista
,
esulano
da
un
giudizio
obiettivo
sul
film
,
anche
perché
in
qualche
caso
denunciano
quello
stato
di
minorità
culturale
che
trova
una
tipica
espressione
nell
'
incapacità
di
staccare
la
figura
dell
'
autore
dalla
sua
opera
.
Si
potrà
,
anzi
si
deve
,
discutere
sull
'
opportunità
di
portare
sullo
schermo
Gesù
Cristo
,
cui
forse
giova
,
perché
se
ne
colgano
tutte
le
implicazioni
umane
e
divine
,
conservare
un
senso
di
mistero
;
e
sulla
liceità
di
accentuare
,
con
una
interpretazione
realistica
che
dà
alla
sua
predicazione
toni
da
comizio
,
il
significato
di
un
messaggio
sociale
il
quale
va
inserito
in
un
più
ampio
quadro
ideologico
e
morale
;
e
infine
sulla
convenienza
di
raccontare
non
tanto
la
vita
e
la
parola
di
Cristo
quanto
,
come
ha
fatto
Pasolini
,
il
mito
di
Cristo
quale
fu
ed
è
inteso
dai
diseredati
.
È
indubbio
tuttavia
che
l
'
esperimento
di
Pasolini
ha
un
notevolissimo
valore
di
stimolo
,
distrugge
la
tradizione
oleografica
riallacciandosi
al
più
robusto
filone
dell
'
arte
d
'
ispirazione
religiosa
,
e
conferma
l
'
immenso
fascino
esercitato
dalla
figura
di
Gesù
in
un
mondo
che
ne
sembra
tanto
lontano
.
In
sede
più
rigorosamente
stilistica
la
qualità
plastica
del
film
,
la
straordinaria
scelta
dei
volti
,
cui
è
affidato
il
compito
-
non
volendo
aggiungere
parole
al
testo
di
Matteo
-
di
riempire
con
semplice
e
potente
espressività
i
vuoti
fra
le
brevi
battute
di
dialogo
,
collocano
questo
Vangelo
cinematografico
in
una
sorta
di
laica
e
moderna
pinacoteca
che
rivela
,
insieme
al
gusto
per
il
genere
realista
del
suo
ordinatore
,
una
inquieta
ricerca
del
divino
nella
suprema
armonia
con
cui
può
comporsi
l
'
umano
.
StampaQuotidiana ,
Povera
Giuliana
.
Ha
già
tentato
una
volta
di
uccidersi
,
ma
non
ce
l
'
ha
fatta
,
e
nell
'
incidente
automobilistico
ha
preso
una
tal
botta
in
testa
che
nonostante
un
mese
di
clinica
non
è
più
riuscita
a
trovare
il
suo
equilibrio
.
Invece
di
mandarla
in
convalescenza
in
campagna
,
o
a
distrarsi
in
un
'
allegra
stazione
turistica
,
il
marito
,
ingegnere
,
se
l
'
è
riportata
,
col
figlioletto
,
sui
luoghi
dove
lavora
:
nella
zona
industriale
di
Ravenna
,
tra
altiforni
,
ciminiere
,
serbatoi
,
un
paesaggio
deprimente
,
grigio
e
fumoso
.
Sfido
io
,
la
poverina
dà
fuori
da
matta
.
Anziché
«
reinserirsi
nella
realtà
»
,
continua
a
soffrire
di
angosce
e
di
incubi
notturni
,
striscia
lungo
i
muri
,
è
tutta
un
brivido
.
Né
il
marito
,
che
ha
già
dato
prova
di
insipienza
,
muove
un
dito
per
aiutarla
:
non
la
incoraggia
nel
proposito
,
da
lei
manifestato
,
di
aprire
una
boutique
,
anzi
le
mette
intorno
degli
amici
stupidi
e
sporcaccioni
,
con
i
quali
la
porta
a
passare
una
giornata
in
una
baracca
sul
mare
.
La
casa
,
povera
Giuliana
,
è
deprimente
,
arredata
con
mobili
e
soprammobili
provvisori
;
il
bambino
,
Dio
mio
,
non
ride
mai
,
è
un
mostriciattolo
che
armeggia
con
giocattoli
avveniristici
,
e
si
diverte
a
spaventare
la
mamma
.
E
gli
operai
?
Persino
fra
di
loro
la
nevrosi
ha
mietuto
vittime
.
Quando
arriva
Corrado
,
un
collega
del
marito
,
Giuliana
tenta
di
sciogliersi
:
un
po
'
impietosito
dalle
condizioni
di
lei
,
un
po
'
attirato
dalla
malattia
della
donna
,
in
cui
crede
di
riconoscere
le
proprie
inquietudini
di
uomo
randagio
,
Corrado
le
gironzola
intorno
.
Vorrebbe
aiutarla
,
e
anche
lei
per
un
poco
ci
spera
,
ma
tutto
finisce
in
una
camera
d
'
albergo
.
Non
sarà
certo
Corrado
che
potrà
guarire
Giuliana
dalla
nevrosi
.
È
il
male
del
secolo
,
tutti
ne
siamo
affetti
.
Matti
incurabili
,
l
'
unico
conforto
ci
viene
dal
tenere
per
mano
un
bambino
e
dall
'
avere
coscienza
della
nostra
condizione
.
La
colpa
di
tutto
?
Innanzi
tutto
,
della
civiltà
industriale
.
Gli
uccellini
,
che
hanno
un
cervello
da
uccellino
,
l
'
hanno
capito
che
dalle
ciminiere
esce
un
veleno
mortifero
,
e
non
ci
passano
più
.
Gli
uomini
,
invece
,
testoni
,
ci
vanno
a
vivere
in
mezzo
,
peggio
per
loro
.
Questo
il
nocciolo
della
storia
raccontata
dal
Deserto
rosso
,
il
film
di
Antonioni
presentato
stasera
alla
Mostra
di
Venezia
.
La
sua
fragilità
ideologica
è
evidente
a
chiunque
non
sia
malato
di
intellettualismo
.
Antonioni
non
aggiunge
nessun
zuccherino
alla
sua
pessimistica
analisi
del
mondo
contemporaneo
,
disumanizzato
dal
progresso
scientifico
;
ma
la
sua
condanna
della
civiltà
delle
macchine
sembra
ormai
coinvolgere
l
'
eterna
condizione
dell
'
uomo
.
Giuliana
,
per
far
star
quieto
il
bambino
,
favoleggia
di
un
mondo
primitivo
,
di
una
ragazzina
libera
e
felice
nell
'
acqua
di
un
'
isola
,
e
tuttavia
inquietata
da
un
'
oscura
presenza
:
qui
(
l
'
unica
apertura
ridente
del
film
)
,
non
soltanto
si
proietta
lo
stato
d
'
animo
della
novellatrice
,
ma
lo
stesso
rimpianto
del
regista
,
che
transita
per
«
questa
nostra
dimora
terrestre
»
.
come
ama
chiamarla
,
nostalgicamente
rammemorando
gli
evi
felici
della
pesca
e
della
pastorizia
,
tuttavia
già
incrinati
dalla
minaccia
dei
mostri
.
Abbastanza
superficiale
nel
voler
far
dipendere
tutti
i
guai
contemporanei
,
con
un
determinismo
ottocentesco
,
dall
'
inferno
industriale
,
il
film
rivela
la
sua
origine
intellettualistica
nel
fatto
che
la
molla
dell
'
ispirazione
non
è
scattata
per
l
'
intuizione
di
un
carattere
o
di
un
nodo
sentimentale
,
già
fusi
con
un
'
atmosfera
,
ma
,
per
ammissione
dell
'
autore
,
di
rimbalzo
a
una
visita
agli
stabilimenti
di
Ravenna
,
vedendo
le
risorse
rappresentative
che
si
potevano
trarre
da
quel
rauco
paesaggio
di
bitume
e
di
strutture
meccaniche
.
Poiché
l
'
ambiente
preesisteva
,
Antonioni
vi
ha
calato
dentro
dei
personaggi
che
dovevano
forzosamente
aderirvi
.
Se
sono
risultati
delle
maschere
schematiche
,
alle
cui
disavventure
non
partecipiamo
,
è
perché
la
tesi
era
già
risolta
nel
momento
stesso
dell
'
impostazione
,
e
il
rapporto
fra
i
personaggi
e
i
luoghi
non
comportava
più
,
come
ancora
nell
'
Eclissi
,
alcuna
dialettica
.
Si
trattava
semplicemente
di
un
'
opera
di
giustapposizione
,
alla
quale
erano
estranei
ogni
senso
del
dramma
e
ogni
palpito
di
passione
.
Se
è
questo
che
Antonioni
voleva
,
ci
è
riuscito
perfettamente
.
Usando
il
colore
,
con
entusiasmo
da
neofita
,
e
anche
la
musica
elettronica
,
per
esprimere
unitariamente
la
desolazione
del
panorama
e
lo
squallore
dei
personaggi
,
egli
ha
saputo
con
maestria
costruire
un
universo
disameno
che
riesce
a
deprimerci
tutti
,
benché
nessuno
sappia
dimenticare
che
il
catalizzatore
della
storia
è
un
caso
clinico
,
e
perciò
scarsamente
generalizzante
.
L
'
aver
poi
,
come
egli
ha
fatto
,
dipinto
l
'
erba
e
gli
alberi
,
per
renderne
il
colore
più
funzionale
,
conferma
quanto
si
diceva
:
che
il
regista
,
intervenendo
sugli
oggetti
per
farli
combaciare
ai
sentimenti
,
ha
coinvolto
se
stesso
in
quel
processo
che
demolisce
l
'
antico
rapporto
fra
uomo
e
natura
contro
il
quale
protesta
.
Di
per
sé
il
colore
è
adoperato
con
bellissimi
effetti
:
su
una
base
neutra
,
il
grigio
della
desolazione
,
Antonioni
ha
giocato
estraendo
dalla
tavolozza
del
technicolor
e
dell
'
eastmancolor
pastosità
che
a
tutt
'
oggi
restano
insuperate
,
e
pongono
il
film
fra
le
più
alte
conquiste
della
sensibilità
cromatica
del
regista
italiano
.
Il
clima
scenografico
è
perciò
di
straordinaria
potenza
evocatrice
(
come
talune
invenzioni
,
basti
citare
il
bastimento
che
sembra
navigare
fra
gli
alberi
,
sono
la
conferma
di
un
genio
cinematografico
su
cui
non
occorre
nemmeno
discutere
)
.
Ma
a
che
vale
aver
raggiunto
con
tanta
gloria
il
traguardo
del
colore
,
se
esso
è
messo
al
servizio
di
una
tesi
superficiale
,
di
una
storia
priva
di
sviluppi
narrativi
sia
pure
interiori
,
di
personaggi
per
i
quali
non
proviamo
né
simpatia
né
pietà
,
e
di
una
recitazione
molto
modesta
?
Se
Deserto
rosso
non
è
stato
una
delusione
,
perché
tale
in
ogni
caso
da
suscitare
polemiche
culturali
(
e
per
scrupolo
di
informazione
si
aggiunge
che
qui
a
Venezia
il
film
è
piaciuto
a
molti
)
,
nell
'
interpretazione
ha
però
mancato
quasi
tutte
le
promesse
:
1'esagitazione
di
Giuliana
,
interpretata
da
una
Monica
Vitti
stanca
di
impersonare
donne
angosciate
,
è
tutta
rovesciata
all
'
esterno
.
Richard
Harris
,
nella
parte
di
Corrado
,
è
di
una
totale
inespressività
,
degli
altri
non
si
ricorda
nemmeno
il
nome
.
Perché
anche
la
recitazione
manca
di
fluidità
e
il
difetto
di
un
film
pur
figurativamente
così
suggestivo
come
Deserto
rosso
è
nella
visionaria
fantasia
di
un
intellettuale
di
provincia
che
ha
identificato
il
diavolo
con
le
fabbriche
,
e
crede
che
tutta
l
'
umanità
sia
chiusa
in
un
cerchio
di
dannati
,
ciascuno
nella
sua
gabbia
.
Andiamo
a
Ravenna
,
e
vediamo
quanti
sono
gli
operai
,
gli
ingegneri
,
le
mogli
dei
tecnici
che
si
comportano
come
nel
film
.
StampaQuotidiana ,
Salvo
nel
titolo
,
che
assurdamente
devia
nel
grottesco
un
dramma
di
sentimenti
per
voler
scimmiottare
il
film
di
Germi
ed
ereditarne
i
vantaggi
mercantili
,
Matrimonio
all
'
italiana
è
quasi
interamente
riuscito
,
e
risolleva
di
colpo
,
anche
agli
occhi
del
pubblico
più
esigente
(
quello
che
non
aveva
capito
le
ragioni
della
travolgente
carriera
di
Ieri
,
oggi
,
domani
)
,
il
prestigio
di
Vittorio
De
Sica
,
troppo
presto
,
dopo
I
sequestrati
di
Altona
e
Il
boom
,
dato
per
agonizzante
.
Ora
si
dirà
che
il
merito
non
è
tanto
di
De
Sica
quanto
della
bellissima
commedia
di
Eduardo
,
Filumena
Marturano
,
da
cui
il
film
è
tratto
,
una
delle
conquiste
più
alte
del
teatro
italiano
del
secondo
dopoguerra
.
E
invece
no
.
La
riprova
è
facile
:
basta
confrontare
Matrimonio
all
'
italiana
con
l
'
edizione
cinematografica
che
della
commedia
dette
lo
stesso
De
Filippo
nel
1951
,
e
la
TV
nel
'62
:
opere
che
ne
rispettavano
sostanzialmente
la
struttura
teatrale
,
portando
pochi
mutamenti
all
'
originale
;
mentre
questa
di
De
Sica
,
pur
restando
fedele
al
nucleo
primitivo
,
non
soltanto
ritocca
l
'
età
dei
protagonisti
,
modifica
e
aggiunge
qualche
scorcio
narrativo
,
ma
si
muove
in
un
ambito
rappresentativo
molto
più
ricco
di
polline
fantastico
,
tanto
più
fluido
,
arioso
e
iridescente
.
Grazie
appunto
all
'
intelligenza
con
cui
De
Sica
fa
ricorso
al
linguaggio
cinematografico
,
lo
usa
,
raccontando
a
ritroso
quando
gli
giova
,
per
spezzare
l
'
unità
di
tempo
e
di
luogo
,
senza
tuttavia
slabbrare
quel
centro
emotivo
,
quel
sentimento
della
maternità
e
della
paternità
,
che
è
il
cuore
della
commedia
di
Eduardo
.
Perché
De
Sica
abbia
raggiunto
il
traguardo
s
'
intuisce
:
per
la
perfetta
fusione
fra
il
soggetto
,
il
regista
e
l
'
attrice
protagonista
.
Un
'
intesa
che
mai
era
stata
così
completa
,
e
dalla
quale
,
balza
agli
occhi
,
resta
escluso
Mastroianni
,
interprete
sempre
duttile
e
disponibile
,
ma
qui
meno
capace
,
quasi
si
direbbe
per
ragioni
di
sangue
(
e
perciò
l
'
attore
ne
esce
assolto
)
,
di
partecipare
a
un
universo
tutto
grondante
di
quell
'
impasto
,
sublimemente
napoletano
,
di
lacrime
e
di
gioie
.
Matrimonio
all
'
italiana
salda
insieme
,
su
un
comune
fondo
di
speranza
nell
'
umanità
,
il
dolore
di
Eduardo
e
il
sorriso
di
De
Sica
,
fiorisce
dal
connubio
fra
la
pietà
e
l
'
ironia
.
Ma
se
al
primo
si
deve
questo
forte
ritratto
di
donna
,
immerso
nell
'
amore
per
la
carne
della
sua
carne
e
nel
disperato
sentimento
della
giustizia
che
palpita
in
questo
amore
,
dobbiamo
a
De
Sica
e
ai
suoi
sceneggiatori
il
vederlo
lievitare
nell
'
aurora
dell
'
adolescenza
disgraziata
,
quando
prima
che
madre
Filumena
è
una
giovane
la
quale
sogna
di
essere
tolta
dal
lupanare
e
di
essere
trattata
come
una
vera
signora
.
In
questa
,
che
è
la
parte
più
originale
del
film
,
lo
sforzo
dell
'
ambientazione
e
del
modellato
psicologico
ha
esiti
impeccabili
per
precisione
di
tocco
e
festosità
di
accenti
.
Sono
pagine
in
cui
i
colori
della
cornice
napoletana
hanno
trovato
in
De
Sica
,
così
bene
aiutato
dai
costumi
di
Piero
Tosi
,
un
artista
che
conosce
a
memoria
la
sua
tavolozza
,
ma
ora
sa
anche
attingervi
con
gran
discrezione
.
E
infatti
gli
elementi
pittoreschi
(
i
vicoli
di
Napoli
e
il
piccolo
coro
di
macchiette
di
fondo
)
si
vengono
a
poco
a
poco
smorzando
nel
prosieguo
del
film
,
via
via
che
le
figure
dei
protagonisti
prendono
corpo
e
risalto
.
Sul
finire
il
colore
locale
ha
perso
ogni
accento
folcloristico
:
Filumena
e
Domenico
sono
quasi
due
puri
simboli
dell
'
istinto
materno
e
dell
'
istinto
paterno
.
I
singhiozzi
di
Filumena
,
che
sigilla
col
pianto
l
'
atteso
trionfo
della
giustizia
,
e
l
'
affettuosa
ironia
punitiva
rivolta
su
Domenico
,
costretto
a
dividere
fra
tre
figli
,
uno
solo
dei
quali
è
suo
,
il
proprio
affetto
di
padre
,
si
sono
fusi
in
una
squisita
penetrazione
malinconica
del
cuore
umano
.
Filumena
rispose
per
prima
,
fin
da
giovanissima
,
per
pietà
di
se
stessa
e
dei
figli
allevati
in
segreto
;
Domenico
ha
risposto
sulla
cinquantina
,
costrettovi
dalla
propria
ambizione
più
che
dalla
propria
coscienza
:
ma
in
ambedue
ha
parlato
la
voce
del
sangue
.
Ancora
una
volta
è
stata
una
donna
a
farla
vibrare
così
forte
da
incrinare
nell
'
uomo
la
corazza
dell
'
egoismo
.
Ricordiamo
brevemente
la
trama
.
Filumena
Marturano
è
passata
direttamente
dalla
miseria
di
un
«
basso
»
alla
vergogna
di
un
postribolo
.
Domenico
Soriano
,
uno
dei
suoi
clienti
,
pasticciere
benestante
,
prima
le
mette
su
un
appartamento
,
poi
se
la
porta
in
casa
,
perché
faccia
da
amante
,
da
serva
e
da
infermiera
della
vecchia
madre
svanita
.
La
donna
accetta
,
sempre
con
la
speranza
di
essere
sposata
,
ma
gli
anni
passano
,
le
sue
grazie
appassiscono
;
quando
Domenico
sta
per
impalmare
una
giovane
cassiera
,
Filumena
finge
di
essere
moribonda
.
Preso
di
contropiede
,
Domenico
accorre
al
suo
capezzale
,
e
convinto
che
morirà
accetta
il
matrimonio
in
articulo
mortis
.
Subito
lei
salta
dal
letto
,
guarita
,
e
le
proteste
dell
'
uomo
ingannato
si
mutano
in
sbigottimento
quando
Filumena
gli
confessa
di
essere
madre
di
tre
ragazzi
,
cresciuti
lontani
con
i
soldi
di
Domenico
,
e
di
aver
combinato
il
trucco
perché
anch
'
essi
abbiano
un
nome
.
Al
rifiuto
del
marito
,
la
donna
accetta
di
annullare
il
matrimonio
,
ma
gli
rivela
che
uno
dei
tre
è
figlio
di
lui
.
Domenico
cerca
invano
di
individuarlo
;
poiché
Filumena
,
volendo
che
tutti
e
tre
abbiano
uguali
affetti
e
diritti
,
non
gliene
dirà
mai
il
nome
,
all
'
uomo
non
resta
che
farne
per
sempre
sua
moglie
.
I
ragazzi
assistono
alle
nozze
,
lo
chiamano
papà
:
il
dubbio
che
continuerà
a
tormentarlo
sarà
il
trionfo
di
Filumena
.
Film
insieme
di
caratteri
e
di
atmosfera
,
Matrimonio
all
'
italiana
ha
anche
qualche
difetto
:
lo
scarso
approfondimento
di
Domenico
,
visto
spesso
dall
'
esterno
,
un
ritmo
che
si
desidererebbe
talvolta
più
serrato
,
la
rinuncia
a
quell
'
appello
alla
Madonna
che
la
commedia
sottolineava
giustamente
come
un
momento
tipico
della
natura
femminile
e
napoletana
(
qui
trasferito
,
in
chiave
di
caricatura
,
sulla
figura
della
suocera
paralizzata
)
,
quel
bacio
sulle
pendici
del
Vesuvio
,
una
concessione
moralistica
che
sa
di
accomodaticcio
,
questo
sì
«
all
'
italiana
»
,
perché
nega
valore
alla
rivalsa
di
Filumena
.
Ma
quante
intuizioni
,
in
compenso
,
nella
definizione
dei
personaggi
(
lei
dapprima
così
spontanea
,
festosa
,
e
poi
delusa
,
di
una
astuzia
popolana
,
incapace
di
credere
che
il
cuore
di
Domenico
sia
una
pietra
prosciugata
;
lui
azzimato
,
col
fiore
all
'
occhiello
,
preoccupato
della
propria
eleganza
e
dignità
,
infine
piegato
all
'
espiazione
)
,
nelle
invenzioni
propriamente
registiche
(
l
'
iniziale
processione
di
Filumena
in
deliquio
,
portata
come
sulla
sedia
gestatoria
,
il
comizio
politico
che
fa
da
ironico
sottofondo
,
il
cordoglio
del
vicinato
per
la
morte
della
vecchia
,
i
ragazzi
introdotti
di
soppiatto
a
mangiare
le
paste
,
certi
gesti
della
protagonista
:
il
buttarsi
sul
minestrone
dopo
la
commedia
dell
'
agonia
,
lo
strapparsi
il
cappello
dopo
essere
stata
sconfitta
dal
codice
,
significativo
rifiuto
della
dignità
borghese
)
,
nella
scelta
delle
luci
,
talvolta
riecheggianti
i
colori
della
pittura
napoletana
,
nelle
soluzioni
scenografiche
e
nella
aderenza
del
commento
musicale
.
Domina
,
su
tutto
,
la
precisione
del
tono
,
la
compostezza
dello
stile
,
il
delicato
equilibrio
fra
la
rappresentazione
e
il
tratteggio
psicologico
,
con
«
a
fondo
»
di
commozione
profonda
,
come
sempre
quando
si
tocca
l
'
anima
umana
,
e
con
una
attrice
umanissima
quale
Sophia
Loren
,
che
qui
raggiunge
in
certi
casi
lo
slancio
della
Ciociara
,
ma
che
è
sempre
ben
presente
a
se
stessa
,
nel
pieno
della
sua
forza
vitale
ed
espressiva
,
graduata
con
mano
maestra
nell
'
affettuoso
ricordo
dell
'
indimenticabile
Titina
De
Filippo
,
alla
cui
memoria
il
film
è
dedicato
.
Un
film
che
dal
vaso
dell
'
allegrezza
versa
in
cuore
il
pianto
della
vita
.
Batte
nel
nostro
petto
,
e
colpisce
a
morte
,
senza
rinunziare
alle
gioie
dello
spettacolo
,
le
sozzure
,
le
idiozie
,
le
borie
del
'
cinema
plebeo
o
intellettuale
.
StampaQuotidiana ,
Rabbrividente
,
d
'
immensa
disperazione
,
bel
film
quest
'
ultimo
di
Martin
Ritt
,
La
spia
che
venne
dal
freddo
,
con
tutte
le
carte
in
regola
per
reggere
il
confronto
col
romanzo
omonimo
(
edito
in
Italia
da
Longanesi
)
.
Dove
John
Le
Carré
,
lo
sanno
quattro
milioni
di
lettori
sparsi
in
tutto
il
mondo
,
rimette
le
cose
a
posto
in
questo
uggioso
affare
degli
agenti
segreti
,
gonfiati
oltre
il
lecito
come
eroi
dell
'
avventura
o
benefattori
dell
'
umanità
.
Sono
,
al
contrario
,
sordidi
relitti
della
società
,
nei
quali
l
'
alienazione
celebra
i
suoi
più
miserabili
trionfi
,
oggetti
manovrati
dalle
centrali
del
controspionaggio
con
gelido
razionalismo
,
anime
sacrificate
al
mito
della
sicurezza
,
rottami
sbattuti
da
un
paese
all
'
altro
,
costretti
a
recitare
in
maschera
diffidando
di
tutto
,
a
cominciare
da
se
stessi
.
La
storia
di
Alec
Leamas
squarcia
le
pittoresche
cortine
in
technicolor
che
sinora
hanno
nascosto
il
dramma
di
ignare
pedine
giocate
su
un
lurido
scacchiere
(
come
nella
storia
di
Hud
il
selvaggio
Martin
Ritt
aveva
sfatato
la
leggenda
del
West
)
.
Leamas
è
un
irlandese
che
lavora
per
il
servizio
segreto
britannico
,
addetto
al
controllo
delle
spie
sparse
nella
zona
est
di
Berlino
.
Le
cose
gli
vanno
male
:
tutti
i
suoi
uomini
sono
stati
individuati
e
fatti
fuori
da
Mundt
,
capo
del
controspionaggio
comunista
,
anche
Riemeck
che
era
riuscito
a
entrare
nel
praesidium
del
partito
.
Londra
gli
offre
un
'
ultima
missione
,
un
capolavoro
di
doppiogioco
:
si
finga
licenziato
e
alle
rotte
con
1'Intelligence
Service
,
accolga
l
'
invito
che
Pankow
certamente
gli
rivolgerà
di
passare
dalla
loro
parte
,
e
semini
il
dubbio
che
Mundt
è
pagato
dagli
occidentali
.
Il
vice
di
Mundt
,
l
'
ebreo
Fiedler
,
abboccherà
all
'
amo
in
odio
al
suo
capo
,
lo
denuncerà
e
così
l
'
osso
più
duro
sarà
eliminato
.
L
'
etichetta
impone
di
non
dire
come
Leamas
,
andato
a
tendere
la
trappola
,
cada
poi
nel
satanico
trabocchetto
che
era
stato
invece
preparato
per
Fiedler
,
e
quale
parte
abbia
nel
trucco
feroce
una
povera
ragazza
londinese
,
iscritta
al
partito
comunista
e
innamorata
di
Leamas
.
Né
,
sempre
per
lasciare
allo
spettatore
il
gusto
di
cavarne
da
solo
le
gambe
(
ma
faccia
provvista
di
fosforo
,
prima
d
'
entrare
nel
cinema
)
,
possiamo
motivare
le
nostre
riserve
sul
finale
,
che
a
suo
modo
è
di
un
ottimismo
moralistico
più
convenzionale
di
quanto
sembri
.
Ma
non
ci
dorremo
se
queste
enigmatiche
allusioni
serviranno
ad
acuire
l
'
attesa
del
pubblico
.
Perché
,
come
vedrete
,
il
film
non
sopporta
parafrasi
che
banalizzino
il
complesso
,
laborioso
tessuto
del
racconto
,
costruito
a
scatole
cinesi
sulle
lame
di
un
'
intelligenza
d
'
acciaio
,
ogni
svolta
un
filo
più
tagliente
,
e
percorso
dal
gelido
soffio
d
'
una
perfidia
mostruosa
.
Con
nello
sfondo
un
paesaggio
allucinante
,
non
tanto
per
la
presenza
emblematica
del
«
muro
»
berlinese
(
ricostruito
a
Dublino
)
-
tutta
la
sequenza
del
processo
tradisce
anzi
qualche
scarto
tra
il
film
e
il
romanzo
,
ambientato
negli
anni
della
guerra
fredda
-
quanto
per
il
delirio
di
infamia
consumato
nell
'
utilizzare
i
sentimenti
come
arma
segreta
:
clima
,
situazioni
,
passaggi
,
che
la
regia
di
Martin
Ritt
esprime
con
calzante
rigore
stilistico
.
Teso
senza
pause
in
uno
spasimo
di
crudeltà
,
aiutato
da
un
commento
musicale
che
cala
amari
rintocchi
sul
destino
delle
spie
,
e
dalla
luce
fredda
,
rasa
,
d
'
una
fotografia
che
riscatta
nella
funzionalità
psicologica
del
bianco
e
nero
i
virtuosismi
spettacolari
dei
vari
James
Bond
,
il
film
ha
azzeccato
in
Richard
Burton
un
interprete
di
meravigliosa
efficacia
,
nel
quale
i
lettori
del
romanzo
riconosceranno
al
di
là
d
'
ogni
attesa
la
fisionomia
del
loro
tragico
eroe
.
Nonostante
la
pubblicità
e
la
signora
a
cui
nella
vita
si
accompagna
,
Burton
è
un
attore
che
cresce
,
di
notevole
ingegno
e
di
fortissima
disponibilità
.
Guardate
di
cosa
è
capace
quando
trova
un
regista
in
stato
di
grazia
:
come
,
soprattutto
nella
prima
metà
,
dove
si
muove
su
un
doppio
piano
psicologico
,
sa
aderire
all
'
immagine
nevrotica
del
personaggio
,
come
riesce
a
identificare
la
finzione
e
la
realtà
,
finalmente
come
si
dibatte
nelle
tenaglie
della
paura
.
La
piccola
,
sempre
volenterosa
Claire
Bloom
,
l
'
ottimo
Oskar
Werner
,
il
duro
Peter
Van
Eyck
gli
fanno
degna
corona
.
StampaQuotidiana ,
Pasqua
gaudiosa
con
L
'
armata
Brancaleone
di
Mario
Monicelli
,
uno
dei
film
più
nuovi
che
il
cinema
italiano
ci
abbia
offerto
negli
ultimi
anni
,
tutta
una
fresca
cascata
di
ridarella
per
il
pubblico
d
'
ogni
età
.
Specialmente
per
quanti
,
memori
dei
sudori
scolastici
,
si
divertiranno
a
vedere
volta
in
burla
l
'
immagine
di
un
Medioevo
che
la
tradizione
romantica
fasciò
di
aloni
mistici
,
eroici
e
cavallereschi
,
e
che
invece
nel
film
è
lo
sfondo
grottesco
delle
vicende
d
'
un
gruppetto
di
cialtroni
guidati
alla
ventura
da
Brancaleone
da
Norcia
,
un
fanfarone
in
cerca
di
gloria
militare
e
di
appetitose
donzelle
.
L
'
occasione
di
acquistar
fama
e
quattrini
gli
è
data
,
questa
volta
,
da
quattro
ribaldi
che
gli
propongono
d
'
entrare
in
possesso
d
'
un
feudo
pugliese
purché
divida
con
loro
i
frutti
dell
'
impresa
.
Detto
fatto
,
per
raggiungerlo
la
compagnia
si
mette
in
viaggio
al
ritmo
delle
strofette
del
prode
Anselmo
di
Visconti
Venosta
;
ma
la
via
è
lunga
e
perigliosa
,
e
cosparsa
di
tutti
i
tranelli
che
Age
e
Scarpelli
potessero
inventare
.
Scampato
alla
peste
e
alle
voglie
di
una
vedova
impaziente
,
Brancaleone
s
'
intruppa
con
un
monaco
che
va
in
Terrasanta
;
ma
presto
lo
abbandona
,
e
si
dedica
al
salvataggio
di
una
verginella
dai
briganti
,
per
portarla
intatta
al
promesso
sposo
.
Assolta
malamente
la
missione
,
sempre
a
rischio
della
pelle
,
e
col
cuore
a
pezzi
,
altre
peripezie
sopravvengono
ad
accrescere
e
assottigliare
la
masnada
(
uno
di
loro
,
un
vecchietto
ebreo
,
tira
il
calzino
;
un
altro
,
salvato
da
un
orso
,
viene
ritrovato
in
una
caverna
)
.
Dopo
una
breve
sosta
presso
una
dissoluta
famiglia
bizantina
,
l
'
armata
finalmente
arriva
in
Puglia
,
dove
,
manco
a
dirlo
,
l
'
aspettano
i
pirati
saraceni
.
Se
non
finiscono
tutti
impalati
è
perché
sopravvengono
i
pellegrini
cristiani
,
con
i
quali
,
nel
prossimo
film
della
serie
,
i
brancaleonidi
parteciperanno
alle
Crociate
.
Rimediando
alla
disorganicità
del
racconto
con
una
fantasia
ironica
che
serpeggia
inesausta
in
ogni
sequenza
(
soltanto
sul
finire
un
poco
si
slenta
;
ma
almeno
in
un
quadro
,
quello
della
famiglia
bizantina
,
è
da
antologia
)
,
Monicelli
ha
firmato
un
film
in
cui
gli
antichi
sapori
dei
Soliti
ignoti
s
'
impastano
felicemente
col
gusto
antiretorico
della
Grande
guerra
.
Se
il
divertimento
è
assicurato
dal
bizzarro
amalgama
linguistico
,
dal
rilievo
delle
macchiette
,
dal
tono
parodistico
di
tutte
le
situazioni
,
l
'
estrema
eleganza
formale
e
lo
splendore
figurativo
espressi
dalla
fotografia
a
colori
di
Carlo
Di
Palma
e
dei
favolosi
costumi
di
Piero
Gherardi
pongono
L
'
armata
Brancaleone
tra
i
film
di
cui
si
serberà
più
grata
memoria
.
Protagonista
eccellente
ne
è
Gassman
,
impagabile
incrocio
fra
Don
Chisciotte
,
un
samurai
e
Guerin
Meschino
;
ma
ancora
più
di
lui
è
esilarante
Enrico
Maria
Salerno
nella
parte
del
monaco
Zenone
.
Catherine
Spaak
e
Gian
Maria
Volonté
,
Maria
Grazia
Buccella
,
Folco
Lulli
e
Barbara
Steele
non
sono
da
meno
,
bravi
e
spassosi
in
un
film
zeppo
di
chiasso
paesano
e
di
sberle
contro
gli
uomini
,
le
cose
,
i
miti
della
storia
nazionale
.
StampaQuotidiana ,
Pasolini
continua
a
farci
sorprese
.
Ora
ha
inventato
il
film
«
ideo
-
comico
»
,
che
sarebbe
l
'
umorismo
applicato
alla
politica
e
alla
sociologia
,
ovverosia
l
'
impegno
ideologico
superato
dalla
favola
;
insomma
,
il
cervello
scavalcato
dalla
poesia
.
Per
capirci
meglio
:
Pasolini
è
un
intellettuale
scontento
,
che
andando
in
là
con
gli
anni
sente
l
'
insufficienza
degli
schemi
razionali
della
cultura
di
sinistra
,
e
capisce
come
qualmente
la
storia
proceda
per
vie
ignote
e
misteriose
,
sulle
quali
però
l
'
intelligenza
del
cuore
incide
più
delle
formule
dottrinarie
.
Questa
presa
di
coscienza
è
netta
,
ma
poiché
Pasolini
diffida
di
se
stesso
(
ancora
qualche
anno
,
e
l
'
Immoralista
sarà
tutto
risucchiato
nella
sua
matrice
borghese
)
,
intanto
ha
prodotto
una
singolare
figura
di
artista
,
il
quale
non
vuole
rinunziare
alla
speranza
marxista
ma
nel
contempo
è
corretto
dall
'
esperienza
sentimentale
,
e
faticosamente
cerca
di
rispondere
al
solito
«
quo
vadis
?
»
sposando
Cristo
a
Marx
,
passando
se
occorre
attraverso
il
Croce
.
Chiamato
ad
esprimere
questo
viluppo
di
stati
d
'
animo
e
di
stimoli
intellettuali
,
ha
avvertito
che
l
'
unico
modo
per
cautelarsi
dalle
tentazioni
di
un
pio
storicismo
era
di
ribaltare
il
suo
sentimento
d
'
amore
,
di
pietà
,
di
tolleranza
universale
in
ironia
punteggiata
di
sarcasmo
verso
il
proprio
ambiente
:
un
«
mea
culpa
»
pronunciato
con
tono
giocoso
e
scanzonato
,
cominciando
dai
titoli
di
testa
che
esorcizzano
l
'
amarezza
dell
'
autoritratto
,
ma
dove
è
facile
leggere
cicatrici
sempre
aperte
,
dalle
quali
sgorgano
umori
contraddittori
,
non
ancora
decantati
nell
'
ispirazione
poetica
.
Uccellacci
e
uccellini
è
appunto
la
confessione
,
sincera
e
confusa
,
di
un
momento
di
crisi
successivo
alla
sconfitta
,
ma
espresso
in
un
tal
cocktail
di
polemica
culturale
e
di
slanci
lirici
,
e
così
vagamente
risolto
sul
piano
del
racconto
,
che
il
film
assume
il
carattere
di
un
'
agenda
di
fatti
personali
;
certamente
di
grande
interesse
per
l
'
intellighenzia
che
si
diverte
a
riconoscere
,
fra
gli
interpreti
,
artisti
e
scrittori
del
bel
mondo
romano
,
poco
più
di
un
amabile
gioco
cabalistico
per
il
grande
pubblico
,
costretto
a
dibattersi
in
una
rete
di
simboli
e
di
citazioni
che
vanno
da
Lukács
a
Giorgio
Pasquali
.
Il
film
consiste
grosso
modo
di
due
episodi
,
ambedue
interpretati
da
Totò
e
dal
giovane
Ninetto
Davoli
:
due
figure
picaresche
assunte
a
simbolo
dell
'
umanità
incamminata
verso
l
'
ignoto
.
In
un
paesaggio
di
periferia
,
i
due
,
padre
e
figlio
,
si
aggirano
fra
le
borgate
;
nei
loro
strani
incontri
si
ricapitola
l
'
assurdità
del
mondo
contemporaneo
,
dove
l
'
antico
mistero
della
vita
e
della
morte
si
intreccia
alle
sorprese
dei
nuovi
costumi
,
e
ne
nascono
interrogativi
sul
destino
di
fronte
ai
quali
i
due
innocenti
pellegrini
rimangono
muti
.
La
realtà
è
così
indecifrabile
che
in
loro
non
desta
alcuna
,
sorpresa
l
'
arrivo
di
un
corvo
parlante
.
L
'
animale
dichiara
di
venire
dal
paese
di
Ideologia
,
d
'
esser
figlio
del
dubbio
e
della
coscienza
.
E
racconta
a
suo
modo
un
fatto
accaduto
nel
Milleduecento
.
Ora
Totò
è
frate
Ciccillo
,
che
insieme
al
giovane
frate
Ninetto
ha
avuto
da
san
Francesco
l
'
ordine
di
predicare
l
'
amore
agli
uccelli
.
Come
dirla
,
bisogna
intanto
imparare
il
linguaggio
dei
pennuti
.
Dopo
un
armo
d
'
immobilità
e
di
preghiera
,
frate
Ciccillo
canta
vittoria
;
in
un
colloquio
fatto
di
stridi
trasmette
ai
falchi
il
messaggio
evangelico
.
Un
altro
anno
di
meditazione
,
quanto
basta
per
capire
che
i
passeri
si
esprimono
saltellando
,
e
il
contatto
è
stabilito
,
con
una
specie
di
balletto
,
anche
con
quei
mansueti
uccellini
.
Ma
la
predicazione
non
dà
frutti
,
perché
i
falchi
continuano
ad
azzannare
i
passerotti
.
Addolorati
e
delusi
,
i
due
frati
si
convincono
che
questa
è
la
fatalità
del
mondo
,
la
sopraffazione
dei
deboli
.
«
Bisogna
cambiarlo
,
il
mondo
»
,
ribatte
san
Francesco
,
e
li
manda
a
ricominciare
tutto
da
capo
.
Vale
a
dire
,
spiegherà
Pasolini
,
che
le
singole
classi
sociali
possono
essere
singolarmente
evangelizzate
,
ma
non
sono
ancora
sufficientemente
educate
a
rispettarsi
fra
loro
.
Con
tanti
saluti
alla
lotta
di
classe
.
(
E
infatti
Pasolini
farà
sapere
che
le
parole
del
suo
san
Francesco
riecheggiano
le
considerazioni
sulla
pace
espresse
da
Paolo
VI
all
'
Onu
)
.
Secondo
episodio
,
sul
tema
.
dell
'
egoismo
e
del
diritto
di
proprietà
.
Dopo
essere
stato
preso
a
fucilate
perché
ha
abusivamente
concimato
un
campo
,
ed
essersi
visto
ripagato
con
una
patacca
(
antifecondativi
fuori
uso
in
luogo
d
'
un
callifugo
)
dell
'
aiuto
prestato
a
una
compagnia
di
guitti
,
Totò
si
presenta
,
in
veste
di
padrone
di
casa
,
a
una
povera
donna
,
e
per
sfrattarla
assume
il
tono
del
più
spietato
uomo
d
'
affari
.
Ma
poco
dopo
,
sempre
accompagnato
dal
corvo
chiacchierone
,
tocca
a
lui
prostrarsi
,
in
veste
di
debitore
insolvente
,
a
un
riccone
che
sta
offrendo
un
party
intellettuale
.
Stesi
a
terra
,
lui
e
Ninetto
,
da
minacciosi
cani
lupo
,
supplicano
pietà
.
Riprendono
il
cammino
,
assistono
ai
funerali
di
Togliatti
(
un
inserto
di
cinegiornale
che
ci
ripaga
,
con
la
sua
verità
,
degli
apologhi
cifrati
)
,
si
svagano
,
padre
e
figlio
,
con
una
sgualdrinella
di
nome
Luna
.
E
finalmente
,
ammazzano
il
corvo
saccente
che
per
tutto
il
tempo
ha
continuato
a
fare
sfoggio
di
dialettica
marxista
,
se
lo
mangiano
e
continuano
il
viaggio
.
Con
l
'
aiuto
del
libro
che
Pasolini
ha
dedicato
al
film
si
viene
a
sapere
come
sotto
il
velame
sia
da
intendere
che
l
'
umanità
nel
suo
procedere
verso
un
orizzonte
ignoto
divora
quel
che
deve
divorare
;
in
questo
caso
un
certo
razionalismo
ideologico
di
tipo
stalinista
,
ormai
superato
ma
non
tanto
da
non
servire
di
nutrimento
,
ecc.
ecc.
È
che
il
discorso
degli
anni
Cinquanta
è
superato
dal
messaggio
giovanneo
.
Orbene
.
Impenetrabile
ai
più
nello
sterpeto
delle
metafore
,
Uccellacci
e
uccellini
è
uno
scherzo
surreale
(
imparentato
talvolta
con
Zavattini
)
,
un
girotondo
fittiziamente
popolaresco
,
in
realtà
uno
sfogo
personale
che
rivela
ancora
una
volta
i
guasti
portati
dal
sovraccarico
di
cultura
in
una
personalità
artistica
sempre
notevole
sul
piano
dell
'
immediatezza
espressiva
.
Anche
chi
,
e
saranno
i
più
,
non
riuscirà
ad
afferrare
i
nessi
logici
e
i
sottintesi
del
film
(
il
commento
musicale
alterna
canti
della
Resistenza
a
brani
classici
)
,
sarà
infatti
colpito
dal
buffo
delle
situazioni
,
dal
controcanto
ironico
di
Ninetto
,
dalla
precisione
con
cui
il
paesaggio
-
il
romanico
di
Tuscania
soprattutto
-
è
chiamato
a
evocare
un
'
atmosfera
di
grottesca
magia
(
ma
il
vecchio
difetto
,
il
racconto
bloccato
da
certi
estetismi
,
la
trasandatezza
della
recitazione
in
attori
usati
soltanto
come
isole
decorative
,
Pasolini
non
l
'
ha
perso
)
.
E
il
resto
lo
fa
Totò
,
che
col
suo
impagabile
istinto
comico
,
servito
da
una
mimica
stavolta
magistralmente
controllata
,
riassume
e
affranca
il
film
mutando
un
personaggio
bislacco
nella
vivente
idea
dell
'
assurdo
.
StampaQuotidiana ,
Che
la
letteratura
fosse
la
cattiva
coscienza
del
cinema
si
sospettava
da
tempo
.
Oggi
,
all
'
aurora
della
civiltà
dell
'
immagine
,
ecco
il
cinema
farne
pubblica
confessione
con
un
film
che
affida
al
libro
,
proprio
in
polemica
con
i
mezzi
audiovisivi
per
le
comunicazioni
di
massa
,
la
funzione
di
richiamare
l
'
uomo
ai
valori
della
cultura
e
della
morale
individuale
.
Ma
senza
tediosi
sermoni
;
anzi
con
una
favola
che
chiude
in
sorridente
paradosso
il
monito
dell
'
allegoria
.
L
'
invenzione
è
del
romanziere
Ray
Bradbury
,
uno
dei
capofila
della
fantascienza
americana
.
Riprendendo
uno
spunto
di
Orwell
,
e
sposando
una
profezia
di
Apollinaire
,
per
il
quale
fra
un
secolo
o
due
il
libro
sarà
morto
,
in
Fahrenheit
451
(
in
Italia
il
libro
s
'
intitola
Gli
anni
della
Fenice
)
egli
immagina
una
società
-
non
troppo
spostata
nel
futuro
,
diciamo
verso
il
2050
-
in
cui
la
carta
stampata
è
proibita
.
Convinti
che
i
libri
,
polveriera
di
idee
e
di
emozioni
,
sono
una
minaccia
alla
felicità
collettiva
assicurata
dallo
sviluppo
tecnologico
,
i
governanti
ne
hanno
infatti
vietati
la
stampa
e
il
possesso
.
Le
notizie
giungono
attraverso
grandi
schermi
televisivi
adattati
ai
muri
delle
stanze
,
i
giornali
sono
fatti
di
strisce
senza
parole
.
Chi
possiede
un
libro
è
senza
meno
un
eretico
asociale
,
e
arrestato
.
Per
far
osservare
la
legge
i
pompieri
perquisiscono
le
case
e
i
passanti
,
e
appiccano
il
fuoco
ai
libri
con
gli
stessi
strumenti
che
in
passato
servirono
a
spengere
le
fiamme
.
I
loro
simboli
sono
la
salamandra
e
il
numero
451
,
perché
a
questa
temperatura
la
carta
s
'
incendia
.
Montag
,
uno
dei
pompieri
,
ha
sinora
mostrato
perfetto
senso
del
dovere
.
Benvoluto
dal
capo
,
sta
addirittura
per
ottenere
una
promozione
.
Ma
d
'
un
tratto
la
sua
coscienza
di
piromane
s
'
incrina
;
ha
cominciato
a
chiedersi
perché
Linda
,
sua
moglie
,
abbia
tanto
bisogno
di
pillole
stimolanti
(
per
un
eccesso
di
dose
ha
rischiato
di
morire
)
,
e
ha
incontrato
una
maestrina
,
Clarissa
,
tanto
diversa
dalle
altre
donne
,
che
l
'
ha
indotto
nella
tentazione
di
sottrarre
al
rogo
uno
dei
libri
,
per
leggerlo
di
nascosto
.
Montag
,
tuttavia
,
interrogandosi
sul
perché
la
scienza
e
la
tecnica
non
siano
evidentemente
riuscite
a
cancellare
dal
mondo
dolore
e
stupidità
,
è
ormai
in
trappola
.
Trafuga
un
David
Copperfield
,
e
nottetempo
,
all
'
insaputa
della
moglie
,
prende
a
compitarne
le
pagine
.
La
sconcertante
esperienza
lo
porta
a
riflettere
che
Clarissa
non
è
affatto
una
malata
di
mente
,
come
i
medici
hanno
sostenuto
per
allontanarla
dall
'
insegnamento
,
bensì
un
'
anima
sensibile
che
non
è
riuscita
a
integrarsi
nella
società
;
soltanto
più
tardi
capirà
che
la
ragazza
è
anche
l
'
emissario
di
un
singolare
gruppo
di
patrioti
,
esuli
volontari
nei
boschi
.
Ormai
guadagnato
alla
causa
,
Montag
passa
tutte
le
notti
,
come
un
monaco
certosino
,
chino
sui
capolavori
del
passato
che
si
è
portato
in
casa
.
Sconvolto
dall
'
aver
assistito
al
suicidio
d
'
una
donna
che
ha
preferito
morire
bruciata
fra
i
suoi
libri
anziché
esserne
separata
,
il
piromane
pentito
depone
ogni
cautela
:
si
rivela
alle
amiche
della
moglie
come
un
fuorilegge
.
aiuta
Clarissa
,
ricercata
dalla
polizia
,
a
distruggere
l
'
elenco
dei
cospiratori
che
possiedono
libri
,
e
annuncia
di
volersi
subito
dimettere
dal
corpo
dei
pompieri
.
Ma
ormai
Linda
lo
ha
denunciato
:
sarà
contro
la
propria
casa
che
Montag
dovrà
compiere
l
'
ultima
spedizione
punitiva
.
Dato
fuoco
ai
libri
e
ai
mobili
,
volge
il
lanciafiamme
contro
il
capo
dei
pompieri
.
che
brucia
nel
rogo
della
casa
;
e
invano
inseguito
dagli
uomini
volanti
della
polizia
si
rifugia
in
un
bosco
.
Qui
,
appunto
,
un
gruppo
di
barboni
continua
la
lotta
in
modo
stravagante
:
ciascuno
di
loro
,
prima
che
i
libri
fossero
distrutti
,
ha
imparato
a
memoria
un
capolavoro
della
letteratura
e
della
filosofia
,
ed
è
divenuto
esso
stesso
un
uomo
-
libro
che
per
via
orale
trasmette
alle
nuove
generazioni
,
col
sapere
antico
,
le
ragioni
dello
spirito
.
Nel
cuore
della
foresta
,
ristabilita
l
'
intesa
fra
natura
e
cultura
,
Montag
sarà
Racconti
straordinari
di
Poe
,
e
Linda
le
Mémoires
di
Saint
-
Simon
.
Preso
il
soggetto
dal
romanzo
di
Bradbury
,
sfrondatolo
di
qualche
figura
(
Faber
,
il
Segugio
Meccanico
)
il
francese
Frangois
Truffaut
esordisce
nel
colore
,
sotto
bandiera
britannica
,
con
un
film
molto
più
personale
di
quanto
sembri
,
dove
ironia
e
commozione
sono
fuse
in
un
racconto
di
estrema
semplicità
dal
quale
è
esclusa
ogni
pesantezza
moralistica
,
a
tutto
vantaggio
di
uno
spettacolo
originale
e
divertente
,
usato
come
esorcismo
contro
gli
spauracchi
del
futuro
.
Con
molta
intelligenza
egli
ha
cominciato
con
l
'
ambientarlo
in
una
città
indeterminata
ma
in
tutto
simile
alle
nostre
,
cioè
sottraendosi
alle
più
balorde
lusinghe
della
fantascienza
.
Gli
elementi
avveniristici
,
soprattutto
nell
'
arredamento
della
casa
di
Montag
,
o
si
limitano
ai
più
probabili
sviluppi
della
tecnica
di
oggi
,
o
sono
usati
a
fini
satirici
,
come
nel
caso
di
certi
programmi
televisivi
nei
quali
si
inserisce
come
attrice
,
restando
in
poltrona
,
la
moglie
di
Montag
.
La
sola
bizzarria
consiste
nel
non
farci
leggere
i
titoli
di
testa
,
in
omaggio
al
principio
che
nel
film
ogni
parola
scritta
è
proibita
.
L
'
unico
trucco
,
gli
uomini
volanti
,
gli
serve
ad
accentuare
il
contrasto
fra
i
mezzi
di
cui
dispone
la
forza
pubblica
e
le
risorse
morali
che
sostengono
la
vita
zingaresca
degli
uomini
-
libro
.
Poi
ha
inserito
nel
racconto
vari
riferimenti
alla
società
contemporanea
.
Clarissa
va
in
minigonna
,
i
capelloni
continuano
a
essere
strapazzati
dalle
autorità
,
il
tostapane
serve
da
nascondiglio
per
i
libri
tascabili
.
Su
un
piano
generale
,
tutto
il
film
riecheggia
del
resto
gli
anni
della
Resistenza
,
i
metodi
usati
dalle
tirannie
per
imbottire
i
cervelli
,
e
l
'
odio
teologico
contro
la
cultura
(
senza
risalire
alla
biblioteca
di
Alessandria
e
ai
roghi
dell
'
Inquisizione
,
pensiamo
ai
nazisti
e
alla
Pechino
di
oggi
)
.
Infine
Truffaut
ha
dato
ai
suoi
personaggi
gesti
e
tratti
psicologici
che
stilizzano
i
nostri
:
il
fanatismo
del
capo
dei
pompieri
,
l
'
arrivismo
vile
di
Linda
,
la
nevrosi
di
Montag
e
di
Clarissa
,
la
forza
morale
dei
partigiani
.
Tutto
ciò
,
espresso
con
naturalezza
nella
recitazione
,
gli
consente
di
far
risultare
con
maggiore
evidenza
il
paradosso
,
ma
anche
di
far
'
trasparire
sensi
umanissimi
dietro
l
'
arguzia
allucinante
del
racconto
.
Quando
infatti
Montag
,
nella
foresta
,
si
affianca
ai
nuovi
compagni
di
fede
,
l
'
emozione
ha
un
grado
di
intensità
che
non
coinvolge
soltanto
gli
spettatori
intellettuali
,
gli
editori
e
i
librai
;
più
d
'
un
ciglio
,
stasera
,
era
umido
.
Per
la
prima
volta
,
quest
'
anno
,
a
Venezia
.
Narrato
con
stile
piano
,
oggettivo
,
dove
realtà
e
fantasia
si
amalgamano
con
armoniosa
scioltezza
,
Fahrenheit
451
ha
un
raro
equilibrio
fra
dramma
e
commedia
,
e
nell
'
ultima
parte
,
quando
bussa
al
cuore
,
si
avvicina
alla
poesia
.
L
'
esempio
più
probante
è
proprio
qui
,
quando
per
perpetuare
Orgoglio
e
pregiudizio
il
regista
sceglie
due
uomini
-
libro
gemelli
.
Sembra
una
freddura
,
e
invece
è
il
sorridente
sigillo
di
un
'
operazione
di
contrappesi
condotta
senza
presunzione
da
Truffaut
lungo
tutto
il
film
con
una
grazia
e
una
disinvoltura
che
gli
derivano
dall
'
assenza
di
pseudo
-
problemi
,
nella
giusta
certezza
che
bastasse
avanzare
un
'
ipotesi
così
allarmante
come
quella
della
distruzione
di
tutti
i
libri
del
mondo
per
commuovere
in
allegria
.
Non
vogliamo
dire
che
Fahrenheit
451
è
un
capolavoro
del
cinema
.
Però
,
come
sul
piano
tecnico
offre
soluzioni
eccellenti
(
soprattutto
nell
'
uso
del
colore
e
delle
scene
girate
con
tre
macchine
da
presa
)
,
come
è
saggio
e
divertente
per
il
catalogo
dei
frontespizi
da
salvare
-
unico
italiano
,
Il
principe
,
-
come
ci
offre
un
'
interpretazione
di
Julie
Christie
,
nella
doppia
parte
di
Linda
e
di
Clarissa
e
di
Oskar
Werner
(
un
Montag
giustamente
anti
-
eroe
)
,
di
Cyril
Cusack
(
il
simpatico
capo
dei
pompieri
)
,
molto
più
omogenea
di
quanto
facessero
temere
le
liti
scoppiate
sul
set
fra
Truffaut
e
Werner
;
come
infine
conferma
le
radici
neoromantiche
di
Truffaut
nella
musica
di
Bernard
Herrmann
;
così
si
guadagna
simpatia
e
gratitudine
per
l
'
estro
garbato
con
cui
pronuncia
un
invito
all
'
umanesimo
,
celebra
un
elogio
della
carta
stampata
che
in
questo
preciso
momento
coinvolge
anche
voi
.
StampaQuotidiana ,
Non
c
'
è
nulla
di
temerario
nell
'
idea
d
'
un
nuovo
film
sulla
Bibbia
.
Da
secoli
le
arti
figurative
si
ispirano
al
Libro
dei
libri
,
tentando
di
tradurne
la
lettera
in
linguaggio
visivo
e
renderne
il
senso
immediato
.
Ovvio
che
anche
il
cinema
,
il
più
moderno
dei
mezzi
espressivi
,
e
in
potenza
il
più
ricco
,
voglia
di
tanto
in
tanto
provare
il
proprio
fiato
su
quelle
pagine
venerabili
.
Temeraria
,
invece
,
sempre
,
è
l
'
ambizione
di
trarne
uno
spettacolo
che
ne
conservi
la
molteplicità
,
la
profondità
di
significati
,
e
ne
rispetti
il
valore
ultimo
e
supremo
di
parola
sacra
.
Biblico
peccato
d
'
orgoglio
.
Oggi
soprattutto
,
che
l
'
alleanza
fra
Dio
e
l
'
uomo
è
spezzata
,
tutti
i
frutti
del
male
son
colti
,
l
'
attesa
di
un
messia
si
è
convertita
in
angoscia
atomica
.
Meglio
:
oggi
che
l
'
idea
poetica
dell
'
avvento
ci
scalda
a
un
livello
spirituale
tanto
segreto
da
impedire
alla
alterigia
razionalista
,
al
pudore
,
di
sperare
che
l
'
antico
messaggio
sia
diretto
anche
a
noi
.
In
più
,
la
natura
e
lo
stile
della
Bibbia
,
dove
s
'
intrecciano
il
mito
e
la
storia
,
e
una
prosa
succinta
,
una
sintassi
tutta
cose
,
radunano
immagini
e
fatti
secondo
remoti
schemi
narrativi
e
psicologici
.
Ancora
:
la
sublimità
del
simbolo
,
per
cui
il
pomo
offerto
dal
serpente
,
la
lama
di
Abramo
su
Isacco
sono
insostenibili
alla
ragione
e
alla
morale
di
oggi
,
e
vederli
in
misura
concreta
molto
distrae
dal
loro
vero
significato
emblematico
di
rivolta
e
ubbidienza
.
Nonché
soffrire
,
la
Bibbia
si
spegne
quando
il
suo
nucleo
tragico
,
appena
percettibile
con
l
'
emozione
poetica
,
è
spicciolato
da
un
illustratore
che
non
partecipa
(
proprio
per
insufficienza
strumentale
)
della
sua
densità
espressiva
,
e
crede
di
assorbirne
il
contenuto
misterioso
nella
solennità
della
forma
.
Più
il
testo
è
risolto
in
spettacolo
sontuoso
,
e
meno
agisce
dall
'
interno
;
più
colpisce
l
'
occhio
e
meno
incide
sul
sentimento
.
Un
film
sulla
Bibbia
,
allora
,
va
concepito
e
realizzato
in
umiltà
,
nell
'
augurio
che
l
'
abile
operazione
commerciale
commuova
per
vie
traverse
:
mormori
la
memoria
di
Dio
,
rinfreschi
la
presenza
di
un
mito
drammatico
,
realizzi
un
ecumenico
consenso
sul
valore
del
sacro
nella
società
contemporanea
nonostante
la
natura
di
un
linguaggio
che
tradisce
per
mille
vie
la
propria
origine
profana
.
Questo
è
il
punto
:
in
quale
misura
La
Bibbia
di
De
Laurentiis
e
di
Huston
,
anzi
il
cinema
dei
colossi
religiosi
,
riesca
ad
esprimere
essenze
ineffabili
con
dati
visivi
consunti
dall
'
uso
,
possa
reinventare
una
verginità
percettiva
dello
spirito
,
e
darci
,
oltre
la
scorza
lucente
,
il
sapore
della
polpa
poetica
,
quella
epopea
del
dolore
e
della
speranza
cantata
nel
Libro
da
figure
senza
volto
.
Perché
è
vero
che
l
'
Antico
Testamento
ha
qualità
sceniche
e
narrative
straordinarie
,
ma
soltanto
finché
la
struttura
è
stilizzata
in
una
zona
astratta
della
realtà
,
nell
'
infanzia
del
sentire
;
date
capelli
biondi
e
guance
rase
ad
Adamo
,
chioma
soave
e
anca
flessuosa
ad
Eva
,
vizioso
ceffo
a
Nimrod
,
a
Sara
il
volto
di
Ava
Gardner
,
e
così
via
,
e
tutta
la
molla
del
mito
si
scarica
in
uno
scatto
irreparabile
.
Ebbene
,
questa
Bibbia
è
quanto
bisognava
attendersi
da
un
'
industria
che
secondo
la
propria
logica
interna
intende
Iddio
come
un
prodotto
di
consumo
per
i
grandi
mercati
internazionali
,
e
non
può
o
non
vuole
correre
il
rischio
di
innovare
,
di
andar
contro
gli
schemi
mentali
e
rappresentativi
della
tradizione
illustrativa
popolare
,
di
rompere
i
luoghi
comuni
che
danno
un
infantile
senso
di
sicurezza
alle
folle
(
infatti
il
Vangelo
di
Pasolini
ha
dato
scandalo
)
.
Era
ineluttabile
che
scelto
come
sceneggiatore
Christópher
Fry
,
lo
stesso
di
Barabba
,
e
respinta
come
troppo
intelligente
l
'
interpretazione
vibrante
di
modernità
proposta
da
Bresson
,
e
finalmente
chiamato
il
versatile
John
Huston
a
seguire
gli
ordini
di
De
Laurentiis
,
La
Bibbia
veleggiasse
lungo
i
lidi
sicuri
della
convenzione
,
annullasse
quasi
ogni
scintilla
di
fantasia
creatrice
nel
dogma
del
gigantismo
,
del
bell
'
effetto
,
d
'
una
suggestività
traslucida
,
sempre
nella
speranza
di
acquistare
con
la
moneta
della
stereofonia
e
dello
schermo
panoramico
un
'
equivalenza
poetica
alla
quale
soltanto
un
autore
di
fortissima
personalità
avrebbe
forse
potuto
avvicinarsi
.
È
un
fatto
che
se
il
film
,
nonostante
i
molti
palpiti
visivi
,
manca
di
illuminazioni
morali
,
storiche
e
religiose
è
perché
gli
stimoli
emotivi
,
lirici
e
culturali
,
sono
disciplinati
sino
alla
inerzia
nei
binari
di
una
cauta
invenzione
,
soffocati
dall
'
enfasi
della
musica
e
soprattutto
dall
'
avere
applicato
stereotipi
ormai
logorati
dal
cinema
in
costume
(
nel
taglio
narrativo
,
nella
recitazione
,
nell
'
uso
di
luci
e
colori
)
a
un
testo
che
avrebbe
giustificato
qualunque
arditezza
.
Se
facendo
di
necessità
virtù
dobbiamo
insomma
inserire
il
colosso
in
uno
dei
più
lavorati
filoni
del
cinema
di
massa
,
e
metterlo
nella
famiglia
dei
Dieci
comandamenti
,
di
Ben
Hur
,
di
Barabba
,
diciamo
che
La
Bibbia
ha
,
accanto
al
merito
d
'
una
maggiore
serietà
d
'
impianto
,
un
sensibile
svantaggio
nella
minore
compattezza
,
e
nell
'
accumulo
degli
stili
,
per
cui
si
trapassa
dalla
cartolina
cromata
al
terribilismo
naturalistico
,
dal
bozzettismo
dell
'
aneddoto
al
grave
realismo
dell
'
epopea
,
dal
pittoresco
delle
maschere
all
'
intimismo
degli
affetti
domestici
.
Mancando
di
unità
linguistica
(
l
'
unico
filo
è
dato
dalla
voce
di
Dio
incarnatasi
in
Arnoldo
Foà
)
,
La
Bibbia
si
offre
dunque
come
una
Genesi
a
puntate
,
non
più
in
brossura
ma
in
marocchino
rosso
,
e
dove
tuttavia
la
sostanza
teologica
è
diluita
,
nella
sua
accezione
letterale
,
per
il
pubblico
della
cultura
a
dispense
.
Allora
il
racconto
si
giudica
per
capitoli
,
via
via
che
l
'
immaginazione
degrada
dal
mito
alla
storia
:
la
Creazione
,
la
Cacciata
,
Caino
e
Abele
,
Noè
,
la
torre
di
Babele
,
Abramo
.
E
nel
primo
l
'
alba
dell
'
universo
,
la
nascita
dell
'
uomo
,
e
come
è
risolto
il
problema
del
diavolo
-
serpente
,
scuseranno
l
'
insipidezza
di
Adamo
ed
Eva
,
la
splendida
ovvietà
paesistica
dell
'
Eden
,
le
occhiate
dei
progenitori
,
il
morso
al
frutto
proibito
,
i
muscoli
di
Caino
;
in
Noè
(
interpretato
ai
limiti
della
macchietta
da
Huston
stesso
)
lo
strepito
dell
'
Arca
,
certi
arguti
passaggi
,
faranno
risaltare
la
piattezza
della
famiglia
,
quel
suo
lasciarsi
docilmente
manovrare
dal
regista
per
non
dar
ombra
al
patriarca
;
a
Babele
,
ammirata
la
fabbrica
immensa
,
si
toccherà
il
grottesco
nell
'
abbigliamento
da
retrobottega
teatrale
,
nel
pallido
estro
dei
truccatori
,
nelle
battute
in
lingua
artificiale
.
E
così
si
arriva
alla
storia
di
Abramo
,
alle
sue
espansioni
coniugali
con
Sara
a
ritmo
di
versetti
,
alla
schiava
che
si
contempla
l
'
ombra
del
ventre
,
al
suo
maligno
offrire
fichi
secchi
e
uva
passa
all
'
annosa
padrona
:
atroci
rivincite
di
un
repertorio
inzuppato
di
qualunquismo
lessicale
e
figurativo
.
Finché
,
procedendo
l
'
altalena
,
dal
limpido
passaggio
degli
angeli
(
ecco
un
momento
di
riuscita
levità
)
alla
turpe
rappresentazione
di
Sodoma
(
ecco
sfrenarsi
la
carnevalesca
voluttà
delle
vernici
,
con
acconcio
commento
di
gemiti
erotici
)
,
si
tocca
l
'
estrema
zattera
di
salvataggio
:
lo
strazio
di
Abramo
in
un
monologo
vagamente
shakespeariano
fra
le
livide
rovine
di
Sodoma
-
l
'
idea
non
per
nulla
è
di
Orson
Welles
-
e
l
'
angoscioso
sacrificio
del
piccolo
Isacco
.
Dove
la
puntualità
del
ricatto
sentimentale
non
impedisce
di
riconoscere
che
il
film
,
sinora
sorretto
su
suggestioni
scenografiche
chiamate
a
nascondere
la
zavorra
del
dialogo
interpolato
al
testo
originario
,
trova
finalmente
il
sigillo
della
classe
di
Huston
,
un
lampo
di
commozione
nell
'
austera
semplicità
d
'
un
tramonto
.
Cosa
resta
dopo
quasi
tre
ore
di
proiezione
?
La
nostalgia
per
le
miniature
squisite
con
cui
durante
dieci
secoli
monaci
e
artisti
hanno
cantato
in
penombra
le
lodi
del
Signore
,
la
dolce
memoria
dell
'
infanzia
che
coglie
l
'
immagine
nella
parola
,
l
'
onore
di
un
libro
che
col
minimo
dei
mezzi
raggiunge
un
'
espressività
inattingibile
altrimenti
.
Fatti
i
conti
,
posti
su
un
piatto
lo
sconforto
per
l
'
impotenza
di
confrontare
la
luminosa
,
la
terribile
concisione
dei
versetti
alla
magniloquenza
del
technicolor
,
e
sull
'
altro
il
gusto
delle
platee
per
ogni
messa
in
scena
governata
dai
miliardi
,
la
bilancia
segna
il
peso
e
il
carattere
d
'
una
civiltà
che
dissipa
nella
labilità
della
visione
ogni
residua
virtù
interiore
.
Ma
è
il
nostro
mondo
che
ci
dà
questa
Bibbia
:
prima
di
lamentarci
,
uno
per
uno
guardiamoci
allo
specchio
.
Saremo
benevoli
.
StampaQuotidiana ,
Blow
up
,
presentato
stasera
al
festival
di
Cannes
sotto
bandiera
inglese
,
e
accolto
con
grandi
applausi
,
non
è
il
miglior
film
di
Antonioni
,
e
Dio
vi
guardi
dal
dar
retta
a
chi
lo
considera
il
più
bel
film
di
tutti
i
tempi
.
Ma
c
'
interessa
come
un
forte
contravveleno
espresso
dal
seno
stesso
della
civiltà
dell
'
immagine
.
L
'
idea
-
guida
del
film
,
se
si
possono
chiedere
idee
ad
Antonioni
,
anziché
sensazioni
e
atmosfere
,
ha
qualche
secolo
:
le
cose
che
vediamo
con
gli
occhi
sono
davvero
tutta
la
realtà
,
oppure
ciò
che
colpisce
il
nervo
ottico
(
e
,
per
delega
,
l
'
obiettivo
fotografico
)
è
soltanto
un
aspetto
del
reale
?
R
chiaro
che
Antonioni
non
ha
la
presunzione
di
rispondere
a
questi
antichi
interrogativi
.
Blow
up
si
contenta
di
dirci
che
oggi
essi
si
ripresentano
con
urgenza
perché
c
'
è
tutta
una
zona
della
società
che
tende
a
identificare
la
realtà
col
segno
concreto
da
essa
lasciato
;
e
fa
l
'
esempio
di
un
delitto
,
che
può
anche
sembrare
non
avvenuto
se
non
restano
prove
.
Chi
credesse
d
'
esserne
stato
testimone
involontario
,
e
d
'
averlo
fotografato
,
potrebbe
convincersi
che
è
stata
un
'
illusione
ottica
,
se
poi
gli
fossero
sottratte
le
prove
fotografiche
e
scomparisse
il
corpo
del
reato
.
Costui
,
allora
,
sarebbe
il
simbolo
dell
'
uomo
contemporaneo
,
che
di
fronte
alla
difficoltà
di
conoscere
il
vero
filigranato
dentro
il
visibile
accoglie
il
gioco
della
vita
come
una
finzione
e
annulla
nell
'
automatismo
dei
gesti
(
come
il
fotografo
negli
scatti
frenetici
delle
sue
macchine
)
l
'
angoscia
per
l
'
inconoscibile
problematicità
del
reale
.
Per
dare
evidenza
a
una
metafora
in
cui
si
esprime
,
ambiguamente
,
lo
sdegno
e
l
'
attrazione
che
Antonioni
prova
nei
confronti
della
civiltà
moderna
,
Blow
up
è
ambientato
fra
quei
fotografi
alla
moda
che
con
gli
isterici
clic
dei
loro
obiettivi
credono
di
sopperire
alla
propria
passività
sentimentale
,
e
in
quell
'
happening
che
è
la
Swinging
London
,
la
Londra
dei
giovani
che
tentano
di
vincere
la
noia
con
la
marijuana
e
gli
allucinogeni
,
scatenati
nei
balli
,
nei
riti
pop
e
op
,
anime
vuote
e
sessi
interscambiabili
.
Thomas
,
il
protagonista
,
è
appunto
uno
di
loro
:
un
fotografo
di
successo
,
specializzato
in
istantanee
di
cronaca
e
in
ritratti
di
cover
-
girls
,
sempre
affamato
di
soldi
,
benché
possa
già
permettersi
la
Rolls
Royce
,
e
tanto
concitato
nel
lavoro
,
di
modi
bruschi
con
le
sue
modelle
,
quanto
privo
d
'
autentica
energia
spirituale
.
Gli
accade
,
seguendo
una
coppia
in
un
parco
,
di
fotografare
un
abbraccio
.
La
donna
se
ne
accorge
,
e
più
tardi
lo
rincorre
nello
studio
implorandolo
di
darle
il
rotolino
:
offre
se
stessa
,
pur
di
riaverlo
.
Thomas
finge
di
accettare
;
le
consegna
un
rotolino
simile
a
quello
incriminato
,
e
si
disporrebbe
,
senza
entusiasmo
,
a
godersi
la
ragazza
,
se
in
quel
momento
non
suonassero
alla
porta
:
è
in
arrivo
un
'
elica
di
aereo
,
che
"
Thomas
ha
acquistato
da
un
antiquario
per
dare
un
tocco
bizzarro
all
'
arredamento
del
suo
studio
.
Partita
la
donna
,
ingrandisce
le
fotografie
prese
al
parco
(
blow
up
vuol
dire
appunto
ingrandimento
)
,
e
s
'
accorge
che
quanto
non
avevano
visto
i
suoi
occhi
è
stato
registrato
dalla
macchina
:
sulla
pellicola
,
ingrandendo
progressivamente
i
particolari
,
appaiono
infatti
un
volto
nascosto
nei
cespugli
,
un
'
arma
e
un
corpo
riverso
.
Tutto
fa
pensare
che
la
donna
abbia
attirato
la
vittima
in
un
trabocchetto
.
Thomas
comincia
a
chiedersi
cosa
fare
quando
arrivano
due
grulline
che
già
in
mattinata
gli
avevano
bussato
alla
porta
,
nella
speranza
di
essere
assunte
come
modelle
.
In
altri
tempi
sarebbero
state
due
esempi
di
adolescenza
traviata
:
ora
rappresentano
la
gioventù
londinese
attratta
dai
facili
successi
.
Scherzando
,
si
spogliano
a
vicenda
:
è
una
distrazione
accolta
da
Thomas
con
allegria
,
in
un
fracasso
che
cancella
ogni
piacere
erotico
.
E
dopo
l
'
uso
le
caccia
:
il
pensiero
dominante
lo
richiama
verso
il
parco
.
Il
sospetto
era
fondato
:
un
cadavere
è
ancora
sotto
l
'
albero
.
Stordito
,
Thomas
vorrebbe
chiedere
consiglio
a
un
amico
pittore
,
ma
questi
è
occupato
in
intime
faccende
.
Tornato
a
casa
,
nuova
sorpresa
:
tutte
le
foto
gli
sono
state
rubate
,
meno
una
,
la
quale
però
,
isolata
dalle
altre
,
più
che
costituire
una
prova
assomiglia
a
una
pittura
astratta
.
Allora
scende
per
strada
.
Intravede
la
donna
del
delitto
,
e
rincorrendola
s
'
intrufola
in
un
night
dove
un
chitarrista
beat
calpesta
il
proprio
strumento
e
ne
distribuisce
gli
avanzi
alla
platea
urlante
.
La
donna
è
scomparsa
.
In
cerca
d
'
un
amico
,
Thomas
arriva
ad
un
cocktail
,
che
in
altri
tempi
si
sarebbe
detto
un
'
orgia
di
viziosi
,
ed
ora
rappresenta
la
«
dolce
vita
»
londinese
.
All
'
alba
,
torna
nel
parco
per
fotografare
il
cadavere
,
ma
questo
è
scomparso
.
Privo
ormai
d
'
ogni
prova
,
Thomas
può
dubitare
d
'
essere
rimasto
vittima
,
lui
stesso
,
di
un
'
allucinazione
.
Quando
arriva
un
gruppo
di
giovani
mascherati
da
clowns
,
che
fingono
,
senza
palla
e
racchette
,
un
incontro
di
tennis
,
sta
al
gioco
:
il
dinamismo
della
partita
mimata
forse
vince
ogni
dubbio
dell
'
anima
o
del
pensiero
.
A
rigore
,
il
film
non
dice
che
la
scena
finale
sia
la
presa
di
coscienza
della
necessità
della
finzione
,
con
relativo
auto
-
commiserarsi
:
Blow
up
,
più
d
'
ogni
altro
film
di
Antonioni
,
non
contiene
una
tesi
.
C
'
è
chi
interpreta
Thomas
come
un
esempio
virtuoso
di
perenne
disponibilità
all
'
azione
,
e
c
'
è
chi
lo
considera
,
per
questo
,
un
emblema
della
solitudine
cui
può
condurre
il
pallore
dei
sentimenti
.
Un
fatto
è
certo
:
che
Thomas
,
mostrando
totale
sfiducia
nell
'
ordine
civile
in
cui
vive
,
non
si
rivolge
subito
alla
polizia
,
né
alla
fine
del
film
ha
più
motivi
di
pace
interiore
di
quanti
ne
avesse
all
'
inizio
:
semmai
ne
esce
desolato
,
versione
maschile
di
tante
infelici
eroine
di
Antonioni
.
È
per
questa
strada
che
forse
si
può
cogliere
l
'
antica
malinconia
di
Antonioni
,
il
quale
ha
ormai
superato
anche
l
'
angoscia
,
toccando
la
suprema
solitudine
.
Ma
quando
impareremo
a
smettere
di
cercare
,
in
Antonioni
,
la
morale
della
favola
?
Teniamoci
al
film
.
Un
giudizio
sia
pur
frettoloso
dovrebbe
cominciare
col
rilievo
che
Antonioni
,
per
rappresentare
la
Londra
di
oggi
,
ha
avviato
il
suo
Thomas
su
un
itinerario
molto
simile
a
quello
che
Fellini
fece
compiere
al
protagonista
della
Dolce
vita
per
scoprire
la
Roma
di
ieri
;
né
con
frutti
molto
più
nuovi
di
certi
'
documentari
sociologici
.
E
questa
non
è
l
'
unica
eco
di
Fellini
che
dispiace
in
Blow
up
:
è
difficile
che
in
un
film
possano
apparire
ancora
dei
clowns
senza
che
si
pensi
almeno
ad
Otto
e
mezzo
.
La
parentela
,
è
ovvio
,
si
ferma
qui
,
ma
non
è
senza
significato
che
Antonioni
difetti
d
'
originalità
nella
struttura
narrativa
quando
poi
gli
si
accompagna
quella
rappresentazione
piuttosto
convenzionale
del
night
e
del
cocktail
.
Tipico
di
Antonioni
è
invece
lo
sforzo
di
puntare
il
grosso
della
scommessa
sul
personaggio
di
centro
.
È
da
dire
che
Thomas
solo
talvolta
è
a
fuoco
.
Descritto
con
tinte
efficaci
finché
è
in
movimento
,
tutto
scatti
nevrotici
(
in
una
bella
scena
iniziale
esce
stremato
da
una
serie
di
convulse
riprese
fotografiche
:
il
suo
surrogato
dell
'
amplesso
)
,
finché
comanda
a
bacchetta
le
sue
modelle
e
si
sfrena
nello
scherzo
,
Thomas
poi
s
'
annebbia
quando
comincia
a
scervellarsi
sulle
foto
del
delitto
,
e
passa
ore
a
contemplarle
,
a
confrontarle
,
ad
appuntarle
sulla
parete
.
Non
si
sa
bene
cosa
gli
passi
per
la
mente
,
di
che
ordine
siano
le
sue
sensazioni
.
È
l
'
oggettivazione
di
un
torpore
che
se
nella
prima
parte
è
interrotto
dalla
precipite
parentesi
dei
giochi
amorosi
alla
lunga
si
riflette
nel
film
,
guidato
da
un
ritmo
lento
che
affloscia
il
suspense
.
Passato
dal
cinema
intellettuale
al
thriller
,
Anto
,
nioni
sembra
aver
portato
con
sé
il
vizio
dei
tempi
lunghi
,
dei
silenzi
poco
espressivi
,
il
rifiuto
di
quel
gusto
per
l
'
ellissi
in
cui
invece
si
esprime
il
meglio
del
cinema
moderno
.
Ma
all
'
interno
d
'
una
cornice
un
po
'
annosa
e
opaca
,
Blow
up
ha
dei
gruppi
di
sequenze
riuscite
:
sono
,
all
'
inizio
,
tutte
quelle
del
rituale
cui
sono
sottoposte
le
modelle
fotografiche
;
le
visite
al
negozio
dell
'
antiquario
;
lo
svogliato
rapporto
con
la
donna
venuta
a
riprendere
il
rotolino
;
la
liturgia
della
camera
oscura
;
la
zuffa
giocosa
con
le
ragazzine
(
una
data
nella
storia
del
cinema
:
un
nudo
femminile
non
depilato
,
chissà
se
ce
n
'
era
bisogno
)
e
l
'
enigmatico
finale
,
sul
quale
il
pubblico
si
scervellerà
:
tutte
scene
che
confermano
certe
bravure
di
Antonioni
,
ma
anche
,
inserite
nel
tessuto
del
film
,
la
sua
difficoltà
di
sciogliere
in
fluente
,
spontaneo
racconto
acute
intuizioni
.
Ispirato
a
una
novella
dell
'
argentino
Cortazar
,
il
film
ha
del
resto
qualche
imbarazzo
già
nella
sceneggiatura
,
di
Antonioni
e
Tonino
Guerra
;
più
volte
si
ha
la
sensazione
che
certi
personaggi
siano
stati
inventati
per
mettere
sangue
in
una
materia
anemica
anziché
per
vera
necessità
narrativa
.
Considerando
la
vivace
scenografia
dello
studio
,
i
bei
colori
di
Di
Palma
,
le
eleganti
toilettes
delle
modelle
,
i
globi
oculari
dell
'
interprete
(
nuovo
arrivato
)
David
Hemmings
,
veri
obiettivi
fotografici
protesi
sul
mondo
,
e
la
partecipazione
,
però
non
determinante
,
di
Vanessa
Redgrave
,
di
Sarah
Miles
e
dell
'
indossatrice
Veruschka
,
il
film
dà
nell
'
insieme
un
'
impressione
di
languore
.
Come
di
un
fiore
che
non
abbia
avuto
la
forza
di
aprirsi
,
e
tuttavia
serbi
un
'
ombra
di
profumo
.