StampaQuotidiana ,
Mi
ha
commosso
la
lettera
dei
monarchici
piemontesi
che
vorrebbero
esporre
la
bandiera
il
17
marzo
(
il
diciassette
,
non
il
27;
è
del
17
marzo
la
legge
con
cui
Vittorio
Emanuele
assume
per
sé
e
successori
il
titolo
di
re
d
'
Italia
)
,
ma
a
condizione
che
il
drappo
recasse
lo
stemma
sabaudo
.
Mi
auguro
che
la
loro
richiesta
sia
accolta
;
vi
scorgerei
soprattutto
la
tranquilla
coscienza
di
una
repubblica
che
non
ha
ancora
quindici
anni
di
vita
,
ma
che
sembra
ormai
alla
quasi
totalità
degl
'
italiani
la
sola
forma
statale
concepibile
,
sì
che
se
molti
altri
ritorni
del
passato
sono
da
temere
,
quello
al
capo
dello
Stato
che
è
tale
solo
perché
appartiene
ad
una
certa
famiglia
,
sia
tra
i
più
impensabili
.
Se
nutro
scarsa
simpatia
per
certi
monarchici
,
più
persuasi
che
mai
che
la
monarchia
non
ritornerà
,
senza
nessun
legame
con
la
tradizione
sabauda
,
senza
nessun
desiderio
di
provocare
crisi
di
regime
,
ma
che
costruiscono
piccoli
partiti
con
lo
stesso
accorgimento
con
cui
in
seno
alle
grandi
anonime
si
possono
creare
gruppi
omogenei
,
che
possedendo
un
dieci
per
cento
,
anche
meno
,
delle
azioni
,
possono
negoziare
un
apporto
decisivo
nelle
assemblee
-
questi
monarchici
piemontesi
,
tutti
volti
ancora
alle
glorie
sabaude
,
oltre
Vittorio
Emanuele
II
a
Vittorio
Amedeo
,
ad
Emanuele
Filiberto
,
mi
sono
veramente
simpatici
.
Così
come
a
Croce
finivano
di
essere
cari
gli
ultimi
nostalgici
borbonici
,
e
recensiva
con
qualche
compiacimento
un
dimenticato
romanzo
di
Amilcare
Lauria
,
che
raffigurava
due
antichi
ufficiali
di
Ferdinando
II
,
mai
riconciliati
con
l
'
Italia
,
ma
che
si
entusiasmavano
e
commuovevano
leggendo
sui
giornali
degli
eroismi
e
dei
sacrifici
italiani
nello
scontro
di
Dogali
.
In
un
mondo
ove
tutti
guardano
all
'
avvenire
e
dimenticano
ciò
ch
'
è
alle
spalle
(
salvo
per
la
piccola
parte
in
cui
glorie
o
rancori
siano
ancora
merce
utilizzabile
)
,
ove
il
disinteresse
delle
masse
per
la
storia
è
generale
,
a
chi
ritiene
che
questo
disinteresse
sia
imbarbarimento
non
può
dispiacere
certo
tenace
attaccamento
al
passato
.
Il
tricolore
!
Quando
io
nascevo
c
'
erano
ancora
,
particolarmente
a
Roma
e
nell
'
antico
Stato
pontificio
,
delle
famiglie
che
lo
rifiutavano
;
in
certi
palazzi
dell
'
aristocrazia
nera
non
apparve
che
con
1'11
febbraio
1929;
in
altri
una
prima
timida
apparizione
l
'
aveva
fatta
nel
1915
.
Nella
stessa
Torino
del
cinquantenario
sembrava
grosso
ardimento
che
qualche
istituto
religioso
,
dinanzi
alle
cui
finestre
sfilavano
cortei
,
l
'
inalberasse
.
Ma
nessun
confronto
con
ciò
ch
'
era
seguito
in
Francia
,
dove
per
un
buon
secolo
,
fino
alla
prima
guerra
mondiale
,
erano
rimasti
tenaci
gli
astii
contro
il
tricolore
;
dove
ancora
intorno
al
1890
vecchie
damigelle
chiuse
negli
aviti
castelli
di
provincia
guardavano
con
sbigottimento
i
nipoti
che
militavano
sotto
il
tricolore
;
il
conte
di
Chambord
aveva
rinunciato
al
trono
piuttosto
che
accettarlo
;
nella
striscia
rossa
del
suo
drappo
aristocratici
e
legittimisti
scorgevano
ancora
tutto
il
sangue
versato
dalla
Rivoluzione
francese
.
In
Italia
è
apparso
segno
di
convergenza
;
quando
ancora
non
era
ammesso
in
chiesa
e
nelle
processioni
,
i
circoli
cattolici
adornavano
con
nastri
tricolori
i
loro
stendardi
bianchi
od
azzurri
;
il
partito
comunista
lo
accettò
senza
esitare
,
sia
pure
affiancato
alla
bandiera
rossa
del
proletariato
mondiale
.
Il
fascismo
ebbe
senso
politico
sufficiente
per
comprendere
che
non
era
il
caso
di
modificare
la
bandiera
;
nello
stemma
dello
Stato
furono
inseriti
i
fasci
littori
;
la
bandiera
rimase
inalterata
.
Si
sovvertivano
tutte
le
istituzioni
,
l
'
eredità
risorgimentale
era
tutta
dispersa
,
ma
si
avvertiva
che
nei
cuori
degl
'
italiani
ancora
viveva
,
che
occorreva
celare
quanto
possibile
quella
dispersione
,
almeno
agli
occhi
dei
semplici
,
non
toccare
ai
simboli
.
Saggiamente
la
Repubblica
non
appose
sul
tricolore
né
berretti
frigi
,
né
croci
,
né
spade
,
né
libri
,
né
falci
;
volle
fosse
la
bandiera
di
tutti
.
E
tale
deve
restare
;
la
concessione
che
auspico
è
per
un
giorno
di
rievocazione
del
passato
;
non
dovrebbe
aprire
la
via
all
'
uso
di
due
bandiere
.
Certo
,
non
è
una
bandiera
,
non
un
simbolo
,
che
può
attenuare
le
divisioni
profonde
,
il
modo
radicalmente
diverso
di
guardare
alle
mète
da
raggiungere
,
al
nuovo
assetto
che
ci
si
deve
proporre
.
Un
abbraccio
in
un
giorno
di
festa
non
elimina
questi
distacchi
.
Può
solo
giovare
a
ricordare
,
anche
ai
più
remoti
da
ogni
senso
nazionalista
,
anche
a
chi
si
sente
cittadino
del
mondo
,
la
realtà
di
questa
famiglia
italiana
,
che
ha
suoi
problemi
,
sue
solidarietà
(
Torino
avverte
più
che
mai
,
attraverso
l
'
intensa
immigrazione
,
come
i
mali
di
altre
regioni
assurgano
a
mali
nazionali
,
come
certi
germi
infetti
allignino
più
prosperosi
in
un
tessuto
più
ricco
:
ingenua
e
fallace
speranza
,
quella
che
basti
il
benessere
economico
a
stroncare
certe
malattie
sociali
)
.
Anche
il
cittadino
del
mondo
che
sia
uomo
di
buona
volontà
comincerà
a
cercar
di
fare
il
bene
tra
coloro
cui
è
vicino
,
di
ripulire
il
giardinetto
della
sua
casa
.
Non
si
risolve
alcun
problema
con
abbracci
e
con
oblii
;
occorre
però
ben
distinguere
le
nostalgie
cui
non
possiamo
aderire
ma
che
non
recano
in
sé
alcun
pericolo
per
l
'
indomani
,
da
correnti
d
'
idee
gravide
di
minacce
,
soprattutto
da
quei
movimenti
irrazionalistici
,
fondati
sul
culto
della
razza
o
del
sangue
,
sulla
esaltazione
della
violenza
,
suscettibili
di
minare
il
mondo
della
ragione
,
del
lavoro
pacifico
,
che
ci
sforziamo
di
edificare
.
Mi
sembra
che
la
Repubblica
abbia
dato
segno
di
non
essere
afflitta
dai
complessi
d
'
inferiorità
,
dai
timori
senza
perché
,
che
troppa
parte
hanno
avuto
ed
hanno
nella
trama
della
vita
italiana
,
non
volendo
dimenticare
nelle
manifestazioni
,
nei
discorsi
del
centenario
,
l
'
apporto
che
diede
la
monarchia
alla
formazione
della
unità
.
I
sintetici
ed
equilibrati
articoli
di
Salvatorelli
hanno
rappresentato
il
giusto
terreno
su
cui
ci
si
deve
porre
.
I
riconoscimenti
del
passato
non
possono
avere
alcun
peso
sulla
realtà
del
presente
e
dell
'
avvenire
.
Tanto
più
,
come
nel
caso
,
quando
non
danno
vita
a
miti
;
se
Napoleone
ed
in
una
certa
misura
anche
Luigi
XIV
possono
essere
ombre
che
oltr
'
Alpe
déstino
qualche
apprensione
,
è
perché
il
predominio
del
potere
militare
,
la
divinizzazione
di
un
uomo
,
l
'
accentramento
dello
Stato
nelle
mani
di
uno
solo
,
costituiscono
pericoli
sempre
incombenti
.
La
figura
del
Re
Galantuomo
non
può
essere
invocata
a
dare
lustro
ad
alcuna
concezione
illiberale
,
ad
approntare
giustificazioni
storiche
a
qualsiasi
colpo
di
mano
ai
danni
della
legalità
democratica
.
Per
questo
,
mi
auguro
che
sia
concesso
ai
monarchici
piemontesi
,
per
la
celebrazione
torinese
del
centenario
,
quel
che
domandano
.