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> autore_s:"Jemolo Arturo Carlo"
Giustizia e legge ( Jemolo Arturo Carlo , 1976 )
StampaQuotidiana ,
In una serie di scritti minori , che troveranno , spero , la loro fusione in un libro che riuscirà davvero fondamentale , Sergio Cotta affronta alcuni dei problemi più sentiti : ciò che rappresentino nel nostro tempo giustizia , diritto e politica . Credo tutti concordiamo sulla equivocità di ciascuno di questi termini : giacché la storia ci dimostra quanto in ogni civiltà ed in ogni epoca varii il concetto del giusto ; come la legalità possa essere posta al servizio così dei più alti ideali di bene , come della iniquità più profonda ( la legge ha persino talora obbligato il figlio a denunciare i genitori per le loro opinioni avverse al regime dominante ) ; la politica , poi , dovrebbe significare l ' arte di reggere la cosa pubblica nel migliore dei modi , quello che comunemente si chiama il « modo giusto » ( e ritorniamo alle varie maniere con cui si può concepire la giustizia ) ; ma è spesso interpretata come l ' arte del dominio , il modo di conquistare e conservare il potere . In uno scritto « Diritto e politica » pubblicato nella rivista Justitia , Cotta parte dal monito di Francesco Carnelutti , negli ultimi anni , quando sempre più confidava nella carità cristiana : « Sempre meno diritto ! » : altamente significativo in chi era stato uno dei più alti costruttori del diritto positivo . Facile constatare come questo monito non sia stato raccolto , come il legislatore , pungolato dai vari gruppi , prolifichi sempre più nella creazione di nuove norme . Cotta , cristiano convinto , riconosce che la legalità implica misura di diritti e di doveri ; mentre la vita cristiana trascende nella pienezza dell ' amore , ogni contrapposizione di diritti e di doveri ( l ' esempio del dovere del povero di restituire al ricco ciò che ha ottenuto in prestito , che contrasta alla carità cristiana ) . Questa è però solo una fonte secondaria dell ' antigiuridicismo ampiamente oggi diffuso specie tra i giovani , nel senso che non si chiede più l ' applicazione della legge , quanto un continuo adattamento di questa applicazione a quella che alle varie tendenze politiche , e così a quelle dominanti , sembra realizzazione della giustizia : che viene poi a identificarsi con quello che a ciascuno appare il più equo assetto sociale . Ora , sempre ci furono reciproche influenze tra politica e diritto ; ma il diritto fu sempre considerato il limite della politica e non viceversa . Che la normativa abbia trovato tradizionale espressione nel termine legge , significa che si riteneva che in questo termine confluissero leggi giuridiche , morali , di natura , divine , in una apertura che abbracciasse l ' intero universo dell ' uomo composto in una regolare armonia . L ' autonomia del singolo dev ' essere strumento necessario perché l ' uomo non si esaurisca nel cittadino . L ' idea di una legalità connessa soltanto ad ordinamenti politici , postula il rinnegamento di un diritto universale . L ' art. 3 della nostra Costituzione , sacrosanto principio di eguaglianza , se interpretato , come alcuni vogliono , quale una gigantesca clausola equitativa , che consente al giudice di giudicare secondo equità , porta alla dissoluzione dell ' ordinamento giuridico . Resta la norma Quod judici placuit legis habeat vigore ; viene meno il senso dell ' universale normatività del diritto e così la sicurezza del vivere . Se , come oggi , si affievolisce la solidarietà civica ed in uno Stato si affermano diverse forze politiche , il legame giuridico ( che dovrebbe essere pacificatore ) attraverso il giudice politicizzante fa del diritto uno strumento di lotta ; e si perpetua la divisione del mondo secondo nazioni , ideologie , asserite verità in contrasto tra loro . Ho scritto altre volte che se tutti aspirano alla giustizia , allorché si tratti poi di valutare se una legge od un comportamento siano o meno giusti , le opinioni appaiono sempre disparate . Nell ' articolo « Primato o complementarità della giustizia ? » sulla Rivista internazionale di scienze giuridiche Cotta osserva che nell ' opinione generalizzata dell ' uomo d ' oggi la giustizia sovrasta tutti gli altri valori ispiratori che guidano l ' azione . ( E sarei tratto a dire che sempre l ' uomo ha detto a parole di volere la giustizia , anche quando riteneva giusto che ci fossero ceti privilegiati , con un trattamento particolare , se poi Cotta non aggiungesse che la giustizia di cui si afferma il primato è intesa in una prospettiva essenzialmente politica ; è cioè uno dei modi con cui nei vari periodi si ritenne o meno giusto un comportamento ; oggi è la giustizia a vantaggio dei più poveri ) . Non solo gli altri valori che un tempo apparvero le grandi mire da raggiungere non valgono se non accompagnati alla giustizia ( libertà senza giustizia = privilegio ; sviluppo senza giustizia = sfruttamento ; ordine , legalità , pace senza giustizia = disordine , ipocrisia , imposizione - scrive Cotta ) , ma egli va oltre . Per un cattolico convinto come lui , la somma virtù è la carità ; ma , osservatore acuto del proprio tempo , constata altresì che - nel sentire d ' oggi - carità senza giustizia è considerata paternalismo ( storia delle parole : divenuta spregiativa quella che indica l ' affetto protettivo del padre verso i figli ) , sentimentalismo . Carità , libertà , sviluppo apparvero valori che dovessero segnare le direttive della umanità in epoche relativamente a noi vicine . Ma il primato della libertà si è iscritto in una visione ottimistica , che non ha riscontro nella realtà , e conduce alla selezione del migliore , del più atto . Lo sviluppo esige ordinamento , limitazione della libertà di ciascuno , e si iscrive nel quadro di un economismo utilizzante ; e si è visto che favorisce i paesi ed i ceti più sviluppati , va a ritmo rallentato per i più poveri . Ma la carità ? Come avviene che tanti cristiani sembrino subordinarla alla incidenza sociale della giustizia ? « Il fatto è che la carità è pazienza , sopportazione , sacrificio e rischio accettati gioiosamente : tutto perdona e nulla pretende » ; riflette un ' idea tutta propria e singolare della dignità umana , che non si esprime nella rivendicazione dei propri diritti , bensì nel dono e nel perdono fino al sacrificio di sé . Ma se posso tollerare il torto fatto a me , posso tollerare quello fatto agli altri ? Essa non dà la sicurezza , e non riconosce una eguale dignità per tutti . Ma Cotta , mentre constata che il primato della giustizia supera il soggettivismo ed il volontarismo nel fare , l ' economismo puro , il dono - sacrificio , riconosce che la giustizia di cui oggi si afferma il primato è intesa in una prospettiva essenzialmente politica : è contrapposta non solo alla legge positiva , ma alla categoria del giuridico , là dove strutturalmente diritto e giustizia non differiscono . La espressione « giustizia sociale » designa l ' ordine armonioso di una comunità ; ma quest ' ordine può essere contrapposto a quello di un ' altra ( penso al sentire della comunità svizzera rispetto ai bisogni delle comunità più povere ) . Per sostenere il primato della giustizia occorre considerarla in una dimensione universale , ed allora non può essere attuata che attraverso il diritto : la vecchia concezione del diritto , non equivalente a legge nazionale , ma agli eterni concetti di giusto e d ' ingiusto , non può realizzarsi che mediante la giuridicità . Senza di questa non riusciremo mai ad attuare la giustizia : chi amministrerà la comunità in cui essa si realizza ? Chi proteggerà dai violenti , che sempre esisteranno ? Fissato una volta un ordine armonioso e globale , poiché né lo sviluppo , né la tecnica si arrestano , senza un ordine giuridico esso o degenererebbe , o esigerebbe l ' arresto di ogni altro fattore . San Paolo non è superato , non siamo all ' epoca post - cristiana , se non per chi non ha una concezione anarcoide del cristianesimo primitivo : ma San Paolo è completato dalla filosofia greca ( le cui grandi linee ben conosceva ) : la giuridicità condizione necessaria per l ' attuazione della giustizia .