StampaQuotidiana ,
Ad
Erto
,
la
SADE
arrivò
nel
1956
.
Praticamente
poteva
agire
come
in
ogni
altro
luogo
,
poiché
aveva
in
tasca
la
concessione
di
sfruttamento
delle
acque
del
Vajont
.
Aveva
,
quindi
,
la
«
pubblica
utilità
»
che
la
proteggeva
,
che
le
copriva
ogni
malversazione
.
Era
un
formidabile
biglietto
da
visita
,
che
le
serviva
da
lasciapassare
.
Ma
con
i
contadini
di
Erto
le
cose
non
erano
tanto
facili
.
È
un
popolo
per
certi
versi
primitivo
,
con
punte
di
arguzia
e
di
sospetto
;
dal
grande
,
generoso
cuore
verso
gli
amici
,
ma
soprattutto
libero
da
ogni
costrizione
.
La
saggezza
gli
deriva
,
forse
,
da
una
lunga
tradizione
di
isolamento
come
comunità
,
che
conserva
gelosamente
usi
e
costumi
antichi
,
di
una
civiltà
primitiva
,
appunto
,
ma
basata
sulla
giustizia
senza
cavilli
e
sulla
verità
senza
veli
.
Guidava
,
allora
,
l
'
amministrazione
comunale
di
Erto
,
la
signora
Caterina
Filippin
,
che
i
suoi
compaesani
chiamavano
familiarmente
Cate
.
In
quel
periodo
essa
si
batté
coraggiosamente
alla
testa
del
suo
popolo
,
contro
gli
espropri
,
che
la
SADE
voleva
risarcire
a
dieci
lire
il
metro
quadro
.
Parlamentò
con
i
tecnici
arrivati
sul
posto
per
le
stime
;
inoltrò
ricorsi
e
controricorsi
.
Riuscì
,
anche
,
a
rialzare
le
quotazioni
che
,
tuttavia
,
rimanevano
ancora
troppo
basse
.
Non
era
solo
il
valore
reale
del
terreno
che
i
contadini
pretendevano
.
Su
quella
terra
avevano
giocato
,
erano
cresciuti
,
avevano
fatto
l
'
amore
,
erano
nati
i
loro
figli
.
Senza
quella
terra
avrebbero
dovuto
andarsene
dal
paese
anche
i
vecchi
e
le
donne
,
come
i
più
giovani
già
facevano
per
tradizione
secolare
,
per
miseria
secolare
.
E
dove
si
trapiantavano
con
l
'
elemosina
elargita
dalla
SADE
?
Questo
era
il
punto
.
Cedere
sì
,
ma
non
prostituirsi
.
Inoltre
,
la
SADE
pretendeva
d
'
espropriare
nuovi
terreni
,
avendo
deciso
di
rialzare
ancora
di
più
il
livello
d
'
invaso
.
La
concessione
parlava
,
è
vero
,
di
una
quota
massima
di
677
metri
,
ma
la
società
elettrica
,
dopo
aver
fatto
i
suoi
conti
,
intravide
la
possibilità
di
altri
grandi
guadagni
,
se
avesse
ottenuto
l
'
autorizzazione
a
sopraelevare
il
livello
delle
acque
di
altri
45
metri
e
mezzo
,
portandole
a
quota
722,50
.
Inoltrò
la
domanda
in
tale
senso
al
ministero
dei
Lavori
Pubblici
ed
ottenne
la
nuova
autorizzazione
,
malgrado
l
'
opposizione
del
Comune
e
dei
privati
cittadini
.
Con
i
proprietari
il
monopolio
non
intendeva
troppo
parlamentare
.
Aveva
le
carte
scritte
in
mano
e
,
a
tempo
debito
,
le
avrebbe
fatte
valere
.
Era
tanto
sicuro
di
ciò
che
tirava
le
cose
per
le
lunghe
,
apposta
,
per
logorare
la
resistenza
dei
singoli
.
Aveva
tempo
davanti
a
sé
.
Stava
costruendo
la
diga
,
per
intanto
.
I
contadini
avrebbero
creduto
quando
si
fossero
trovati
davanti
al
lavoro
compiuto
;
alla
grande
e
maestosa
diga
che
doveva
essere
l
'
orgoglio
di
tutti
e
alla
«
pubblica
utilità
»
che
ne
derivava
di
invasare
la
valle
.
Per
intanto
non
bisognava
urtarli
più
del
necessario
.
Per
mantenere
l
'
ordine
nel
paese
c
'
erano
i
carabinieri
.
Il
primo
gruppo
della
Benemerita
fu
installato
ad
Erto
qualche
anno
prima
che
arrivasse
sul
posto
la
SADE
.
Si
disse
che
ce
n
'
era
bisogno
,
a
causa
di
risse
e
di
adulteri
,
cui
troppo
spesso
gli
ertani
si
lasciavano
andare
.
Facevano
una
netta
distinzione
tra
quello
che
era
di
Dio
e
quello
che
era
di
Cesare
pur
essendo
,
sostanzialmente
,
religiosi
.
Anzi
,
la
vita
di
Gesù
aveva
tanta
attrattiva
su
di
loro
,
che
il
venerdì
santo
quelli
di
Erto
mettevano
in
scena
all
'
aperto
,
tra
le
vie
e
sulle
colline
del
paese
,
una
rappresentazione
della
passione
di
Cristo
,
forse
tra
le
più
belle
che
esistano
ancora
in
Italia
.
Era
,
per
la
verità
,
di
gusto
pagano
,
ma
ad
essa
si
preparavano
coscienziosamente
tutto
l
'
anno
,
parti
e
costumi
,
con
l
'
orgoglio
di
far
ben
figurare
il
paese
di
fronte
agli
spettatori
che
convenivano
ad
Erto
dalla
provincia
di
Belluno
e
di
Udine
e
da
altre
città
del
Veneto
.
Era
una
cosa
loro
,
non
volevano
preti
.
I
parroci
succedutisi
ad
Erto
avevano
cercato
molte
volte
di
far
smettere
la
tradizione
,
per
oltraggio
alla
religione
.
Non
vi
erano
riusciti
.
Un
brutto
giorno
la
sindachessa
cambiò
parere
.
Si
mise
a
spargere
la
voce
che
,
contro
la
SADE
,
nessuno
la
avrebbe
spuntata
.
Tanto
valeva
cedere
,
prima
che
succedesse
il
peggio
.
Qualcuno
s
'
impaurì
.
Se
lo
diceva
il
sindaco
che
era
sempre
stato
dalla
parte
dei
contadini
,
voleva
dire
che
ne
sapeva
qualcosa
.
Altri
non
rimasero
convinti
del
nuovo
atteggiamento
assunto
dalla
prima
cittadina
del
paese
.
La
SADE
,
comunque
,
aveva
raggiunto
il
suo
scopo
.
I
cittadini
di
Erto
si
trovavano
divisi
ed
era
il
momento
opportuno
per
approfondire
il
solco
della
discordia
,
per
tirarne
il
proprio
tornaconto
.
Il
monopolio
elettrico
si
mosse
sul
terreno
diplomatico
,
come
fosse
entro
un
ministero
.
Avvicinò
i
dubbiosi
e
giocò
,
con
loro
,
al
rialzo
dei
prezzi
.
Dalla
sua
aveva
già
la
sindachessa
,
che
aveva
dato
l
'
esempio
cedendo
le
terre
al
monopolio
.
In
capo
a
qualche
mese
la
SADE
aveva
portato
a
termine
il
disegno
che
si
era
prefissa
.
Si
era
acquistata
,
pagando
bene
,
la
complicità
e
l
'
omertà
di
alcuni
proprietari
che
,
ora
,
facevano
la
propaganda
per
la
società
.
La
SADE
raccolse
un
magro
frutto
da
questa
manovra
.
I
contadini
più
deboli
e
ormai
senza
una
guida
,
si
presentarono
spontaneamente
al
monopolio
,
che
pagò
la
loro
terra
a
18
lire
il
metro
quadro
.
Ma
la
maggioranza
si
unì
attorno
a
un
capo
,
il
signor
Pietro
Carrara
,
che
guidava
un
comitato
di
protesta
.
La
voce
di
questi
montanari
vessati
dalla
SADE
arrivò
fin
dentro
il
Senato
.
Il
senatore
Giacomo
Pellegrini
,
nel
riferire
il
suo
interessamento
al
comitato
di
Erto
,
espresse
il
convincimento
che
a
Roma
la
cosa
non
interessava
.
Tutto
andava
come
voleva
la
SADE
,
che
aveva
ancora
l
'
ultima
carta
nel
mazzo
da
giocare
.
E
la
buttò
sulla
tavola
vincendo
il
piatto
.
Fece
sapere
a
quanti
ancora
resistevano
che
dovevano
decidersi
.
O
accettare
con
le
buone
,
oppure
sarebbero
stati
espropriati
con
la
forza
e
i
denari
del
risarcimento
versati
in
banca
a
nome
del
titolare
catastale
del
fondo
.
Era
una
operazione
che
le
veniva
consentita
in
virtù
della
concessione
che
teneva
in
mano
per
«
pubblica
utilità
»
.
I
lavori
,
nella
valle
,
li
doveva
fare
e
lo
Stato
le
dava
questa
facoltà
.
Era
la
fine
per
i
montanari
di
Erto
.
Resistere
ancora
voleva
dire
non
vedere
forse
mai
quei
pochi
denari
.
I
terreni
,
in
moltissimi
casi
,
erano
ancora
intestati
al
primitivo
proprietario
,
morto
da
tanto
tempo
.
Gli
eredi
erano
molti
e
sparsi
un
po
'
ovunque
,
ad
Erto
e
in
altre
città
italiane
e
straniere
.
Per
entrarne
in
possesso
,
essi
avrebbero
dovuto
fare
lunghe
pratiche
burocratiche
e
procure
notarili
.
Spendere
molti
denari
.
Alcuni
cedettero
al
ricatto
.
Altri
resistettero
,
ma
si
trovano
ancora
oggi
con
i
soldi
vincolati
in
una
banca
.
La
SADE
aveva
ormai
mano
libera
per
costruire
l
'
impianto
.
Ai
contadini
espropriati
fu
offerto
un
posto
di
lavoro
sulla
grande
diga
e
molti
di
loro
morirono
nel
corso
della
sua
costruzione
.
È
bene
spiegare
in
che
modo
la
SADE
ottenne
la
concessione
per
lo
sfruttamento
delle
acque
del
Vajont
.
Alla
luce
della
terribile
tragedia
,
il
pensiero
di
come
essa
riuscì
ad
averla
in
mano
fa
semplicemente
rabbrividire
.
Il
decreto
porta
la
data
dell
'
ottobre
1943
.
L
'
Italia
era
precipitata
nel
caos
.
Non
esisteva
,
praticamente
,
un
governo
.
A
Roma
,
in
quei
giorni
gli
ebrei
venivano
rastrellati
dai
tedeschi
.
Nulla
più
era
efficiente
.
Le
donne
italiane
rivestivano
di
abiti
borghesi
i
soldati
fuggiaschi
per
sottrarli
alla
cattura
.
L
'
unica
cosa
valida
di
quei
momenti
erano
i
gruppi
antifascisti
che
si
andavano
organizzando
per
la
lotta
partigiana
.
Eppure
,
dentro
il
ministero
dei
Lavori
Pubblici
di
Roma
,
la
SADE
trovò
o
pagò
un
funzionario
disposto
a
mettere
un
timbro
e
una
firma
di
un
ministro
fasullo
sotto
la
concessione
.
Un
documento
che
nessun
governo
del
dopo
guerra
contestò
mai
al
monopolio
elettrico
.
Mentre
il
popolo
italiano
pensava
ad
organizzarsi
e
a
lottare
per
la
liberazione
del
paese
,
moriva
per
i
propri
ideali
di
democrazia
e
di
giustizia
sociale
,
la
SADE
maneggiava
nei
ministeri
,
imbrogliando
le
carte
,
per
non
perdere
quella
che
credeva
l
'
ultima
partita
.
Il
Vajont
aveva
avuto
un
assurdo
inizio
prima
di
avere
una
tragica
fine
.
La
costruzione
del
lago
artificiale
e
la
sopraelevazione
delle
acque
a
quota
722,50
creava
un
altro
grosso
problema
per
i
valligiani
di
Erto
.
Il
centro
veniva
diviso
da
alcune
sue
frazioni
,
situate
sul
versante
sinistro
della
valle
.
In
quella
zona
sorgevano
tre
centri
abitati
:
Pineda
,
Prada
e
Liron
.
Inoltre
molti
abitanti
di
Erto
possedevano
ancora
terreni
sul
lato
opposto
del
paese
e
case
,
dove
si
trasferivano
con
il
bestiame
dalla
primavera
all
'
autunno
.
I
contadini
raggiungevano
i
due
versanti
in
un
batter
d
'
occhio
,
attraverso
sentieri
che
percorrevano
veloci
quanto
gli
scoiattoli
.
Erano
abituati
da
sempre
a
quelle
primitive
vie
di
comunicazione
.
Perciò
avevano
costruito
i
villaggi
dall
'
altra
parte
del
paese
,
dove
c
'
era
l
'
unica
buona
terra
da
coltivare
.
Le
donne
s
'
erano
allenate
fin
da
piccole
a
portare
la
gerla
in
spalla
carica
di
fieno
,
letame
e
patate
.
I
bambini
percorrevano
gli
stessi
sentieri
per
recarsi
alla
scuola
del
paese
,
anche
con
la
neve
.
La
SADE
era
tenuta
,
secondo
quanto
era
scritto
nel
disciplinare
di
concessione
,
a
mettere
in
opera
tutte
le
misure
necessarie
per
garantire
il
normale
bisogno
delle
popolazioni
.
Ed
esse
volevano
una
passerella
che
attraversasse
la
valle
.
La
SADE
,
in
un
primo
tempo
,
accettò
di
costruirla
.
In
seguito
,
probabilmente
dopo
l
'
autorizzazione
a
sopraelevare
il
livello
dell
'
acqua
,
si
rifiutò
.
Disse
che
avrebbe
,
invece
,
costruito
una
strada
di
circonvallazione
,
bella
e
panoramica
.
Per
i
contadini
la
strada
significava
sette
chilometri
di
percorso
per
andare
e
tornare
dal
paese
.
A
piedi
,
poiché
,
a
quel
tempo
,
nessuno
possedeva
neppure
una
motocicletta
.
Significava
fatica
e
perdita
di
tempo
per
le
donne
che
dovevano
recarsi
al
paese
per
le
spese
,
per
i
bambini
che
dovevano
andare
a
scuola
.
Ed
era
un
grosso
inconveniente
in
caso
di
urgenti
necessità
,
quali
il
medico
o
qualche
ammalato
grave
da
trasportare
.
Per
di
più
,
la
strada
veniva
costruita
su
un
percorso
che
ad
ogni
primavera
con
il
disgelo
e
ad
ogni
autunno
con
le
piogge
,
franava
.
La
gente
si
oppose
.
Iniziò
la
seconda
ondata
di
proteste
anti
-
SADE
.
La
società
elettrica
corse
ai
ripari
.
Capì
che
con
i
contadini
di
Erto
bisognava
mettere
nero
su
bianco
per
convincerli
.
E
il
nero
che
stava
scritto
sulle
sue
carte
ufficiali
parlava
chiaro
in
favore
dei
contadini
.
Bisognava
,
allora
,
modificare
le
carte
.
La
sua
mano
era
abbastanza
lunga
per
arrivare
dappertutto
.
Un
giorno
si
presentò
ad
Erto
con
un
nuovo
disciplinare
di
concessione
,
con
il
quale
il
ministro
competente
la
esonerava
dal
costruire
il
ponte
perché
«
la
natura
del
terreno
non
reggeva
all
'
opera
»
.
Il
terreno
di
Erto
era
tutto
della
stessa
natura
.
Secondo
le
carte
dei
ministeri
e
della
SADE
il
ponte
non
si
poteva
costruire
perché
era
pericoloso
,
ma
la
diga
e
il
bacino
invece
,
si
potevano
fare
.
I
contadini
ricorsero
contro
il
nuovo
disciplinare
.
Nessuno
li
ascoltò
.
La
SADE
,
intanto
,
segnò
il
tracciato
della
strada
e
cominciò
a
costruirla
.
Man
mano
che
i
lavori
avanzavano
espropriava
i
contadini
,
senza
nemmeno
chiedere
il
loro
permesso
.
Passava
sui
loro
terreni
,
rovinandoli
;
davanti
alle
loro
case
;
sui
loro
cortili
.
«
Pubblica
utilità
»
-
diceva
.
Gli
ertani
,
umiliati
e
inferociti
,
protestarono
giustamente
,
verso
autorità
locali
,
provinciali
e
nazionali
,
il
loro
diritto
ad
essere
trattati
almeno
umanamente
.
Le
loro
proteste
suonarono
sempre
a
vuoto
.
Ci
fu
una
persona
,
per
la
verità
,
che
ritenne
giuste
le
proteste
dei
contadini
.
Fu
l
'
ingegner
Desidera
,
allora
ingegnere
capo
del
Genio
Civile
di
Belluno
.
Questi
,
di
sua
iniziativa
,
fece
fermare
i
lavori
della
strada
.
Il
giorno
dopo
questa
sua
presa
di
posizione
venne
trasferito
da
Belluno
.
Una
mattina
,
un
contadino
,
esasperato
,
affrontò
i
tecnici
della
SADE
brandendo
un
'
accetta
.
«
Se
fate
ancora
un
passo
sul
mio
vi
ammazzo
tutti
»
-
gridò
.
I
carabinieri
lo
andarono
a
prelevare
e
lo
denunciarono
per
minaccia
a
mano
armata
.
Cosa
dovevano
fare
gli
ertani
di
fronte
alla
prepotenza
legalizzata
,
di
fronte
a
una
società
privata
che
dettava
legge
,
di
fronte
a
uno
Stato
che
proteggeva
i
forti
contro
i
deboli
?
Pensarono
di
costituire
un
consorzio
di
capi
famiglia
,
che
avesse
veste
giuridica
per
affrontare
i
potenti
.
Indissero
una
pubblica
assemblea
,
che
si
tenne
una
domenica
mattina
,
con
il
vento
che
spazzava
via
l
'
ultima
neve
.
Invitarono
,
per
l
'
occasione
,
i
parlamentari
della
circoscrizione
,
di
ogni
partito
.
Tranne
l
'
on.
Giorgio
Bettiol
di
Belluno
,
nessuno
si
fece
vivo
.
La
riunione
ebbe
luogo
il
3
maggio
1959
nella
rustica
sala
da
ballo
dell
'
ENAL
,
alla
presenza
del
notaio
dott.
Adolfo
Soccal
di
Belluno
,
che
redasse
l
'
atto
costitutivo
e
legalizzò
le
firme
dei
136
capi
famiglia
,
che
sottoscrissero
il
documento
.
La
riunione
fu
molto
più
numerosa
.
Intere
famiglie
si
recarono
sul
luogo
dell
'
assemblea
,
anche
molte
donne
con
i
bambini
,
che
nel
corso
della
prima
messa
domenicale
avevano
sentito
le
parole
di
esortazione
del
parroco
don
Doro
,
affinché
tutti
aderissero
all
'
iniziativa
«
sacrosanta
»
.
Quella
mattina
successe
un
fatto
che
turbò
un
poco
i
presenti
.
Un
imponente
vecchio
,
Giovanni
Martinelli
,
era
giunto
da
oltre
la
valle
con
due
cartelli
.
«
Abbasso
la
SADE
»
e
«
Abbasso
il
governo
»
-
c
'
era
scritto
.
Aveva
ragione
da
vendere
,
visti
i
precedenti
.
I
carabinieri
si
indispettirono
e
gli
ordinarono
di
depositarli
in
un
angolo
.
Lui
si
rifiutò
fieramente
.
I
carabinieri
glieli
strapparono
con
la
forza
,
malgrado
che
egli
tentasse
di
trattenerli
.
«
Se
non
li
molla
la
denuncio
per
resistenza
a
pubblico
ufficiale
»
-
scandì
l
'
uomo
in
divisa
.
Giovanni
Martinelli
aveva
fatto
la
guerra
del
'15-'18;
aveva
aiutato
i
partigiani
nell
'
ultima
guerra
;
aveva
avuto
la
casa
bruciata
dai
tedeschi
e
,
dal
governo
non
aveva
ricevuto
una
lira
per
i
danni
subiti
.
Era
uno
dei
più
energici
nelle
proteste
;
uno
dei
più
sicuri
che
la
montagna
dovesse
franare
e
provocare
una
tragedia
.
Quella
terribile
notte
del
Vajont
,
l
'
acqua
gli
avrebbe
portato
via
un
figlio
di
23
anni
.
L
'
assemblea
si
svolse
con
ordine
,
ma
in
un
clima
di
ribellione
che
ognuno
covava
dentro
il
petto
da
tempo
.
Una
vecchia
disse
:
«
Se
i
ladri
vengono
a
rubare
in
casa
mio
,
io
ho
ben
il
diritto
di
prendere
il
fucile
e
difendermi
»
.
A
presidente
del
consorzio
fu
eletta
la
signora
Lina
Carrara
,
moglie
di
quel
Pietro
Carrara
,
che
fu
uno
dei
primi
animatori
delle
proteste
anti
-
SADE
.
Egli
,
dopo
l
'
esproprio
dei
terreni
,
era
stato
costretto
ad
accettare
lavoro
dalla
società
elettrica
.
Morì
in
un
infortunio
occorsogli
durante
la
costruzione
della
diga
.
Sua
moglie
,
insegnante
elementare
a
Pordenone
,
accettò
subito
l
'
incarico
degli
ertani
,
in
nome
di
una
solidarietà
umana
che
non
si
sentiva
di
tradire
,
verso
i
compaesani
di
suo
marito
,
che
avevano
offerto
il
proprio
sangue
numerosi
all
'
epoca
dell
'
infortunio
,
nel
generoso
tentativo
di
salvarlo
.
Molti
ertani
parlarono
quel
giorno
.
Degli
espropri
,
della
strada
e
del
costruendo
bacino
.
Qualche
mese
prima
,
nel
vicino
lago
artificiale
di
Forno
di
Zoldo
,
era
franato
un
pezzo
di
montagna
.
Anche
ad
Erto
il
terreno
era
di
natura
franosa
,
in
pendenza
dal
40
al
70%
.
Il
paese
era
addirittura
costruito
su
terra
di
riporto
alluvionale
.
I
contadini
portavano
l
'
esempio
di
Forno
di
Zoldo
e
di
Vallesella
di
Cadore
.
In
ambedue
i
casi
l
'
acqua
dei
laghi
artificiali
,
col
suo
continuo
movimento
ondoso
,
aveva
«
mangiato
»
il
terreno
di
natura
franosa
e
provocato
disastri
.
A
Vallesella
tutte
le
case
si
erano
spaccate
.
Gli
ertani
manifestarono
la
loro
apprensione
e
si
proposero
di
condurre
avanti
una
lotta
organizzata
«
per
la
difesa
e
la
rinascita
della
valle
ertana
»
.
Questa
fu
,
appunto
,
la
denominazione
data
al
consorzio
.
Una
giornalista
dell
'
Unità
,
presente
all
'
assemblea
,
riferì
sul
suo
giornale
la
cronaca
dell
'
avvenimento
,
registrando
le
impressioni
della
popolazione
di
Erto
in
merito
all
'
invaso
.
Fu
denunciata
all
'
autorità
giudiziaria
,
dal
brigadiere
dei
carabinieri
Battistini
,
per
«
notizie
false
e
tendenziose
atte
a
turbare
l
'
ordine
pubblico
»
.
La
denuncia
aveva
il
chiaro
scopo
di
intimorire
gli
ertani
;
di
stroncare
la
loro
resistenza
.
Ottenne
il
risultato
opposto
,
poiché
molti
contadini
si
offersero
di
andare
a
testimoniare
al
processo
.
Tra
la
denuncia
e
la
celebrazione
del
processo
passò
un
anno
.
Nel
frattempo
,
precisamente
il
6
novembre
1960
,
dal
monte
Toc
franarono
alcune
centinaia
di
metri
cubi
di
materiale
.
Un
appezzamento
di
bosco
,
della
lunghezza
di
duecento
metri
,
sprofondò
nel
lago
.
L
'
ondata
che
si
sollevò
fu
abbastanza
grande
,
ma
non
fece
vittime
,
essendo
il
livello
dell
'
acqua
alquanto
basso
.
Il
franamento
spazzò
via
numerose
case
che
erano
state
espropriate
per
l
'
invaso
e
provocò
larghe
fenditure
in
tutta
la
zona
del
Toc
.
Chi
non
aveva
ancora
creduto
al
pericolo
si
rese
conto
che
il
paese
era
destinato
alla
rovina
.
Il
30
novembre
1960
si
celebrò
il
processo
a
carico
dell
'
Unità
.
I
giudici
di
Milano
ascoltarono
con
interesse
la
deposizione
della
giornalista
e
quella
dei
montanari
di
Erto
.
Esaminarono
attentamente
le
fotografie
che
riproducevano
la
zona
.
Si
informarono
minuziosamente
della
situazione
di
Erto
e
Casso
,
facendo
un
po
'
di
confusione
nel
pronunciare
i
due
strambi
nomi
.
Gli
ertani
si
appellarono
ai
giudici
con
foga
contadina
,
affinché
la
loro
sentenza
fosse
un
allarme
che
destasse
l
'
attenzione
delle
autorità
sulla
sorte
della
zona
.
I
giudici
,
alfine
si
ritirarono
.
Rimasero
pochissimo
in
camera
di
consiglio
.
Quando
ritornarono
in
aula
lessero
una
sentenza
di
piena
assoluzione
,
ritenendo
che
,
nell
'
articolo
incriminato
«
nulla
vi
era
di
falso
,
di
esagerato
o
di
tendenzioso
»
.
Ma
neppure
l
'
autorevole
sentenza
di
un
tribunale
indusse
la
pubblica
autorità
ad
intervenire
indifesa
delle
popolazioni
minacciate
.
Il
consorzio
di
Erto
intensificò
la
lotta
,
interessando
della
sicurezza
delle
popolazioni
prefetti
,
uffici
del
Genio
Civile
,
la
SADE
,
la
Provincia
,
il
Parlamento
.
Il
consiglio
provinciale
votò
all
'
unanimità
un
ordine
del
giorno
in
data
13
febbraio
1961
sulla
situazione
di
pericolo
del
Vajont
,
che
fu
personalmente
recato
a
Roma
da
una
delegazione
dello
stesso
consiglio
,
guidata
dal
presidente
dott.
Alessandro
da
Borso
.
Di
ritorno
da
Roma
,
nel
riferire
al
consiglio
sull
'
esito
della
missione
,
egli
espresse
il
suo
sconforto
dichiarando
:
«
la
SADE
è
uno
Stato
nello
Stato
»
.
La
solita
giornalista
dell
'
Unità
scrisse
un
altro
articolo
,
in
data
21
febbraio
1961
,
denunciando
un
pericolo
che
avrebbe
potuto
divenire
tragedia
.
In
esso
,
tra
l
'
altro
,
diceva
:
«
Una
enorme
massa
di
50
milioni
di
metri
cubi
di
materiale
,
tutta
una
montagna
sul
versante
sinistro
del
lago
artificiale
,
sta
franando
.
Non
si
può
sapere
se
il
cedimento
sarà
lento
o
se
avverrà
con
terribile
schianto
.
In
questo
ultimo
caso
non
si
possono
prevedere
le
conseguenze
.
Può
darsi
che
la
famosa
diga
tecnicamente
tanto
decantata
,
e
a
ragione
,
resista
.
Se
si
verificasse
il
contrario
e
quando
il
lago
fosse
pieno
,
sarebbe
un
immane
disastro
per
lo
stesso
paese
di
Longarone
adagiato
in
fondovalle
»
.
Qualcuno
si
domanderà
:
ma
la
SADE
sapeva
,
era
al
corrente
della
situazione
di
pericolo
nel
Vajont
?
La
risposta
è
:
si
,
la
SADE
sapeva
perfettamente
,
ma
aveva
tutto
l
'
interesse
a
non
renderlo
pubblico
,
in
vista
della
nazionalizzazione
.
L
'
impianto
doveva
passare
allo
Stato
in
piena
efficienza
,
affinché
venisse
ripagato
per
intero
,
dopo
che
era
già
stato
sovvenzionato
nel
corso
della
sua
costruzione
con
altissime
percentuali
sulla
spesa
totale
,
dal
60
all'80%
.
Tuttavia
,
in
segreto
,
la
SADE
fece
i
suoi
esperimenti
.
Incaricò
l
'
Istituto
di
idraulica
dell
'
Università
di
Padova
,
di
cui
era
ed
è
titolare
il
prof.
Ghetti
,
di
effettuare
una
prova
su
modello
per
misurare
,
su
scala
ridotta
,
gli
effetti
della
caduta
del
Toc
e
della
tracimazione
delle
acque
del
lago
oltre
la
diga
.
L
'
esperimento
venne
fatto
a
Nove
di
Fadalto
.
Diede
risultati
sconcertanti
,
che
furono
tenuti
segreti
.
In
base
alla
prova
effettuata
,
l
'
acqua
sarebbe
tracimata
in
misura
di
2-3
milioni
di
metri
cubi
e
il
Toc
avrebbe
franato
di
50
milioni
di
metri
cubi
di
materiale
.
La
notte
del
9
ottobre
franò
per
200
milioni
di
metri
cubi
di
materiale
e
tracimò
60
milioni
di
metri
cubi
d
'
acqua
.
L
'
esperimento
,
condotto
con
dovizia
di
mezzi
e
da
tecnici
altamente
qualificati
,
si
dimostrò
errato
.
Ma
anche
se
l
'
acqua
del
Vajont
fosse
precipitata
nella
misura
calcolata
sull
'
abitato
posto
sotto
la
diga
,
dove
si
trovava
anche
la
cartiera
di
Verona
sarebbero
morte
due
o
trecento
persone
,
nella
migliore
delle
ipotesi
.
Per
la
SADE
il
problema
era
quello
di
poter
continuare
ad
utilizzare
il
bacino
,
di
non
interrompere
la
produzione
,
quando
la
montagna
sarebbe
caduta
.
L
'
invaso
del
Vajont
era
il
più
importante
invaso
dei
collegati
Boite
-
Maè
-
Piave
-
Vajont
.
Era
un
grosso
bacino
di
riserva
le
cui
acque
,
venivano
avviate
ad
alimentare
la
grossa
centrale
di
Soverzene
in
tempo
di
«
magra
»
del
Piave
.
Era
,
perciò
,
il
più
importante
.
Interrompere
l
'
attività
del
bacino
,
sia
pure
a
causa
di
una
grossa
,
minacciosa
frana
in
movimento
,
voleva
dire
perdere
miliardi
di
guadagno
.
Ormai
il
bacino
era
fatto
e
bisognava
utilizzarlo
al
massimo
.
Si
doveva
andare
avanti
fin
che
si
poteva
.
E
prevedere
il
modo
di
utilizzare
le
acque
anche
dopo
.
Per
la
SADE
il
rischio
valeva
la
candela
.
Il
monopolio
elettrico
chiamò
dall
'
estero
varie
commissioni
di
esperti
per
studiare
il
problema
.
Essi
consigliarono
di
costruire
un
tunnel
di
scarico
sotterraneo
,
con
sbocchi
a
monte
e
a
valle
della
diga
,
nel
caso
che
la
montagna
,
cadendo
,
formasse
due
laghi
.
Erano
già
in
grado
di
prevedere
con
esattezza
come
la
caduta
del
Toc
sarebbe
avvenuta
.
La
SADE
li
ascoltò
e
costruì
l
'
opera
.
Nella
primavera
del
1963
,
poco
prima
del
decreto
di
nazionalizzazione
,
il
lago
venne
riempito
per
la
prima
volta
fino
a
quota
702
metri
.
Per
«
precauzione
»
ci
si
tenne
al
di
sotto
di
20
metri
dal
massimo
livello
consentito
.
Bisogna
dire
che
la
commissione
di
collaudo
nominata
dal
Consiglio
superiore
dei
Lavori
Pubblici
non
collaudò
mai
l
'
impianto
del
Vajont
.
Tra
gli
stessi
componenti
esistevano
opinioni
opposte
sulla
validità
dell
'
opera
fin
dall
'
autunno
1960
,
all
'
epoca
della
caduta
della
prima
frana
.
Proprio
per
l
'
esistenza
di
queste
opinioni
diverse
la
commissione
divenne
un
organismo
permanente
,
con
facoltà
di
collaudo
in
corso
d
'
opera
.
Ciò
voleva
dire
provare
,
tentare
e
vedere
.
Fino
alla
primavera
del
1963
si
erano
fatti
soltanto
tentativi
e
prove
.
Il
bacino
veniva
«
invasato
»
di
pochi
metri
alla
volta
e
poi
svuotato
per
misurare
la
stabilità
del
terreno
.
Nell
'
estate
del
1963
esso
appariva
colmo
d
'
acqua
.
Ma
anche
in
questa
occasione
il
collaudo
non
ebbe
luogo
.
Il
geologo
prof.
Penta
dissentì
dagli
altri
colleghi
della
commissione
,
manifestando
seri
dubbi
sulla
stabilità
futura
della
zona
.
Il
ministro
dei
Lavori
Pubblici
al
quale
furono
presentate
le
due
ipotesi
contrarie
formulate
dai
membri
della
commissione
,
accolse
la
più
ottimista
.
E
diede
parere
favorevole
al
pieno
invaso
del
bacino
senza
che
questo
fosse
stato
mai
collaudato
dai
tecnici
.
Dopo
qualche
mese
,
la
spalla
sinistra
della
diga
presentò
qualche
difficoltà
.
Forse
la
pressione
dell
'
acqua
era
troppo
forte
.
Si
corse
ai
ripari
,
immettendo
continuamente
«
iniezioni
»
di
cemento
nei
punti
ritenuti
più
vulnerabili
.
L
'
operazione
non
risultò
di
grande
sollievo
.
Bisognava
ridurre
il
livello
del
lago
,
per
salvare
la
diga
.
Riducendo
l
'
acqua
era
probabile
che
cadesse
il
Toc
.
La
SADE
si
trovò
di
fronte
a
un
grosso
problema
tecnico
.
Venne
presa
la
decisione
di
abbassare
le
acque
a
ritmo
lentissimo
,
tenendo
contemporaneamente
d
'
occhio
la
montagna
.
I
tecnici
incominciarono
a
svuotare
il
lago
mentre
la
frana
avanzava
,
ormai
,
di
40
centimetri
il
giorno
.
Pensavano
di
poter
terminare
lo
svaso
entro
la
fine
di
novembre
.
Un
mese
prima
della
catastrofe
,
il
vice
-
sindaco
di
Erto
,
Martinelli
,
scrisse
una
allarmante
lettera
all
'
ENEL
-
SADE
,
alla
Prefettura
e
al
Genio
Civile
di
Udine
,
esperimento
seri
dubbi
sulla
stabilità
delle
sponde
del
lago
e
chiedendo
«
di
provvedere
a
togliere
dal
Comune
di
Erto
e
Casso
le
cause
dello
stato
di
pericolo
pubblico
prima
che
succedano
,
come
in
altri
paesi
,
danni
riparabili
e
non
riparabili
;
quindi
mettere
la
popolazione
di
Erto
in
uno
stato
di
tranquillità
e
di
sicurezza
e
solo
dopo
rimettere
in
attività
il
bacino
di
Erto
»
.
L
'
ENEL
-
SADE
rispondeva
dichiarando
«
piuttosto
azzardate
»
le
previsioni
del
Comune
,
e
asserendo
che
l
'
abitato
non
correva
assolutamente
alcun
pericolo
.
Una
settimana
prima
della
tragedia
i
tecnici
in
servizio
sulla
diga
manifestano
apertamente
,
ai
dirigenti
,
la
loro
preoccupazione
.
Sordi
boati
e
scosse
del
terreno
sono
all
'
ordine
del
giorno
.
I
tecnici
parlano
del
pericolo
anche
con
gli
amici
,
tramite
il
filo
del
telefono
:
«
Qui
da
un
momento
all
'
altro
si
va
tutti
in
barca
»
;
«
Sto
mangiando
e
la
scodella
balla
»
.
Tre
giorni
prima
del
disastro
l
'
ing.
Caruso
dell
'
ENEL
,
viene
delegato
a
seguire
in
permanenza
l
'
andamento
della
frana
.
Il
geometra
Ritmajer
che
era
stato
trasferito
a
Venezia
viene
bloccato
sulla
diga
.
Gli
operai
addetti
ai
servizi
non
vogliono
più
andare
a
lavorare
.
Il
vice
-
sindaco
di
Longarone
,
Terenzio
Arduini
,
telefona
al
Genio
Civile
di
Belluno
per
essere
rassicurato
sulle
voci
di
grave
pericolo
che
circola
nella
zona
.
Viene
rassicurato
.
Nel
pomeriggio
del
9
,
fino
alle
ultime
ore
prima
della
tremenda
valanga
d
'
acqua
,
partono
per
Venezia
,
sede
dell
'
ENEL
-
SADE
,
drammatiche
telefonate
dai
geometri
sulla
diga
,
annunciando
l
'
imminente
pericolo
.
«
Mi
lasci
vedova
»
grida
la
moglie
del
geometra
Giannelli
,
inutilmente
tentando
di
convincere
il
marito
a
non
tornare
al
suo
posto
di
lavoro
.
Alle
ore
21
si
risponde
al
geometra
Ritmajer
,
che
tempesta
di
telefonate
la
direzione
di
Venezia
,
di
«
dormire
con
un
occhio
aperto
»
ma
di
stare
calmo
,
che
a
Venezia
non
si
prevede
tanto
pericolo
.
Sempre
alle
21
si
mandano
due
carabinieri
a
Longarone
nei
villaggi
sotto
la
diga
per
avvertire
la
popolazione
di
non
allarmarsi
«
se
dalla
diga
uscirà
un
po
'
d
'
acqua
»
.
Alla
stessa
ora
l
'
ing.
Caruso
chiede
ai
carabinieri
di
far
bloccare
il
traffico
sulla
statale
d
'
Alemagna
,
senza
preoccuparsi
che
la
strada
passa
proprio
in
mezzo
al
centro
abitato
di
Longarone
.
Nessuno
pensa
di
far
evacuare
i
paesi
.
Probabilmente
si
fidava
fin
troppo
della
prova
sul
modello
effettuata
dia
grandi
professori
,
equivalente
al
gioco
dei
bambini
che
buttano
sassi
in
un
catino
d
'
acqua
.
Alle
10,45
il
Toc
frana
nel
lago
,
sollevando
una
paurosa
ondata
d
'
acqua
.
Questa
si
alza
terribile
un
centinaio
di
metri
sopra
la
diga
,
tracima
dalla
stessa
e
piomba
di
schianto
sull
'
abitato
di
Longarone
,
spazzandolo
via
dalla
faccia
della
terra
.
A
monte
della
diga
,
un
'
altra
ondata
impazzisce
violenta
da
un
alto
all
'
altro
della
valle
,
risucchiando
dentro
il
lago
interi
villaggi
.
Oltre
2.500
vittime
in
tre
minuti
d
'
apocalisse
.
L
'
assassinio
è
compiuto
.
StampaQuotidiana ,
Belluno
,
4
maggio
-
A
Erto
,
in
Valcellina
,
130
capi
famiglia
uomini
e
donne
,
si
sono
consorziati
per
creare
un
organismo
che
abbia
veste
giuridica
nel
difendere
i
diritti
e
gli
interessi
dei
singoli
e
della
collettività
del
paese
di
fronte
alle
prepotenze
e
ai
soprusi
che
la
SADE
va
da
anni
compiendo
nella
zona
.
Il
nuovo
organismo
è
stato
denominato
«
Consorzio
per
la
rinascita
e
la
salvaguardia
della
valle
ertana
»
.
A
tale
scopo
si
è
svolta
ad
Erto
una
manifestazione
popolare
sotto
gli
auspici
del
comitato
provinciale
di
rinascita
della
montagna
presieduta
dal
compagno
on.
Bettiol
e
dal
compagno
Celso
,
segretario
della
Federazione
bellunese
del
PSI
.
Durante
la
manifestazione
sono
state
raccolte
anche
le
firme
in
calce
alla
proposta
di
legge
di
iniziativa
popolare
per
la
montagna
sulla
quale
sono
stati
espressi
unanimi
consensi
.
Sono
intervenute
le
famiglie
direttamente
interessate
alla
difesa
dei
loro
beni
minacciati
od
espropriati
dalla
SADE
e
moltissimi
altri
montanari
che
nell
'
egoismo
della
società
elettrica
e
nell
'
inerzia
del
governo
intravvedono
un
pericolo
grave
per
la
stessa
esistenza
del
paese
a
ridosso
del
quale
si
sta
costruendo
un
bacino
artificiale
di
150
milioni
di
metri
cubi
d
'
acqua
,
che
un
domani
eroderanno
il
terreno
di
natura
franosa
,
potrebbero
far
sprofondare
le
case
nel
lago
.
Per
di
più
il
lago
dividerebbe
irrimediabilmente
il
villaggio
dalle
sue
terre
più
fertili
isolando
oltre
valle
decine
di
case
.
E
la
SADE
non
vuol
provvedere
alla
costruzione
del
ponte
che
manterrebbe
congiunto
il
centro
del
paese
alle
sue
frazioni
.
Inoltre
un
fatto
grave
e
contrario
a
tutte
le
leggi
,
che
ha
avuto
inizio
da
qualche
mese
e
che
tuttora
,
perdura
,
ha
portato
all
'
esasperazione
gli
abitanti
della
valle
.
Essi
si
vedono
continuamente
invadere
ed
espropriare
i
propri
campi
dalle
società
che
hanno
in
appalto
la
costruzione
della
strada
di
circonvallazione
per
conto
della
SADE
.
Nessun
decreto
di
espropriazione
o
trattative
per
la
cessione
dei
beni
sono
intervenuti
fra
la
SADE
e
i
proprietari
.
La
società
elettrica
infrange
tutte
le
leggi
dello
Stato
e
i
contadini
hanno
sempre
dovuto
sottostare
finora
ai
soprusi
della
SADE
.
Qualche
giorno
fa
si
è
perfino
fatto
sgomberare
con
la
forza
dalla
propria
casa
una
famiglia
con
sei
figli
perché
si
dovevano
far
brillare
le
mine
per
aprire
un
passaggio
alla
strada
.
La
famiglia
ha
dovuto
trovare
provvisoriamente
ricovero
in
una
fredda
stalla
(
la
neve
è
a
poche
centinaia
di
metri
dal
paese
)
dove
si
trova
alloggiata
tuttora
.
La
gente
non
ne
può
più
di
tante
ingiustizie
e
qualche
volta
tenta
di
difendere
da
sé
i
propri
diritti
.
Una
vecchia
che
gira
la
pianura
veneta
con
la
gerla
a
vendere
cucchiai
di
legno
e
che
è
stata
espropriata
di
piccoli
pezzi
di
campo
da
tutte
e
due
le
parti
del
torrente
ci
ha
detto
:
«
Se
un
ladro
viene
a
portare
via
la
mia
roba
,
a
sparare
le
mine
sotto
la
mia
casa
,
allora
io
posso
ben
prendere
il
fucile
e
difendermi
»
.
Un
abitante
della
frazione
Pineda
venuto
alla
manifestazione
con
un
cartello
di
protesta
contro
la
SADE
ha
detto
:
«
Ho
avuto
la
casa
bruciata
dai
tedeschi
e
lo
Stato
non
mi
ha
ancora
dato
niente
per
i
danni
di
guerra
.
I
miei
figli
hanno
dovuto
andare
a
lavorare
all
'
estero
.
Ora
mi
toglieranno
di
prepotenza
anche
il
campo
.
Io
non
sono
italiano
per
il
governo
.
Sono
solo
me
stesso
e
da
solo
ora
mi
difenderò
»
.
Sono
discorsi
questi
della
popolazione
di
Erto
che
forse
non
sono
perfettamente
in
linea
con
le
leggi
,
ma
contengono
una
saggezza
montanara
perfettamente
a
posto
con
la
logica
e
il
buon
senso
.
Infatti
se
il
governo
per
primo
non
è
in
grado
di
fare
rispettare
le
leggi
,
perché
mai
dovrebbero
rispettarle
i
cittadini
sottoposti
alle
angherie
della
SADE
e
alla
debolezza
del
governo
stesso
?
Non
c
'
è
nessuno
a
Erto
-
tranne
il
sindaco
che
per
essere
una
donna
ha
dimostrato
assai
poca
sensibilità
venendo
meno
alla
fiducia
che
in
lei
avevano
riposto
i
suoi
concittadini
-
che
non
sia
solidale
con
la
popolazione
.
Anche
il
parroco
don
Luigi
Doro
è
dalla
parte
dei
suoi
parrocchiani
.
Ieri
a
tutte
e
due
le
messe
domenicali
ha
esortato
dal
pulpito
la
popolazione
a
recarsi
a
firmare
per
la
costruzione
del
consorzio
.
Una
signora
del
luogo
ora
domiciliata
a
Pordenone
,
è
venuta
apposta
a
Erto
per
essere
presente
e
partecipare
alla
costituzione
del
Consorzio
che
segna
l
'
inizio
di
nuove
battaglie
per
imporre
allo
Stato
l
'
applicazione
delle
leggi
e
alla
SADE
il
rispetto
dei
patti
contratti
con
la
popolazione
.
«
Legalità
»
e
«
giustizia
»
sono
la
parole
che
pronunciano
con
fermezza
i
montanari
della
Valcellina
.
Ed
è
nel
rispetto
della
legalità
e
della
giustizia
,
purché
tale
rispetto
sia
reciproco
,
che
essi
imposteranno
tutte
le
loro
future
azioni
per
la
difesa
della
loro
terra
.
StampaQuotidiana ,
Belluno
,
7
novembre
-
Il
lago
artificiale
di
Erto
,
nel
cui
bacino
le
acque
sono
state
immesse
da
appena
un
mese
,
ha
già
cominciato
a
provocare
disastri
.
Un
'
enorme
frana
è
precipitata
in
questi
giorni
entro
il
lago
,
staccandosi
dai
terreni
sulla
sponda
sinistra
in
località
Toc
,
poco
più
su
della
grande
diga
del
Vajont
.
Un
appezzamento
di
bosco
e
prato
della
lunghezza
di
circa
300
metri
ha
ceduto
all
'
erosione
delle
acque
ed
è
piombato
entro
il
lago
.
Non
si
conosce
con
esattezza
la
quantità
del
materiale
franato
;
certo
si
tratta
di
diverse
centinaia
di
metri
cubi
.
Si
sa
soltanto
con
precisione
che
esso
ha
fatto
alzare
il
livello
dell
'
acqua
di
un
metro
e
10
centimetri
.
I
valligiani
di
Erto
hanno
fatto
ieri
un
altro
calcolo
:
hanno
preso
come
riferimento
l
'
altezza
del
vecchio
ponte
sul
Colomber
che
è
alto
138
metri
.
Il
materiale
franato
ha
quasi
raggiunto
la
spalletta
del
ponte
,
una
trentina
di
metri
sotto
.
Il
conto
è
per
ciò
fatto
.
Per
puro
caso
il
disastro
non
ha
registrato
qualche
tragedia
.
All
'
ora
in
cui
si
è
verificato
il
crollo
,
circa
verso
le
13
,
ragazzi
e
valligiani
sono
soliti
aggirarsi
con
rudimentali
zattere
nel
punto
del
lago
dove
la
frana
è
precipitata
per
trarre
in
salvo
dalle
case
,
per
metà
sommerse
,
travi
e
materiale
vario
.
Quel
giorno
non
c
'
era
nessuno
.
La
frana
ha
fatto
sollevare
un
'
immensa
colonna
di
acqua
che
ha
spezzato
come
fuscelli
i
muri
delle
case
ancora
in
piedi
.
Ora
non
si
vedono
più
e
sembra
che
non
siano
mai
esistite
.
Gli
abitanti
del
Toc
,
colti
alla
sprovvista
,
sono
stati
presi
dal
panico
tanto
più
che
alcune
case
sono
proprio
vicine
al
luogo
franato
.
Pure
alla
sprovvista
sono
stati
presi
i
tecnici
e
i
dirigenti
della
S.A.D.E.
che
,
accorsi
sul
luogo
,
hanno
fatto
evacuare
le
famiglie
,
che
sono
fuggite
trascinandosi
dietro
i
pochi
capi
di
bestiame
.
Quasi
tutte
le
case
della
zona
presentano
numerose
fenditure
.
Ovunque
si
temono
altri
cedimenti
.
Le
spie
di
vetro
fatte
apporre
sui
muri
si
sono
spezzate
rivelando
l
'
insidia
che
sovrasta
la
zona
.
A
ridosso
del
lago
,
per
una
lunghezza
di
600
metri
,
i
reticolati
della
S.A.D.E.
sbarrano
la
strada
e
numerosi
cartelli
avvisano
della
presenza
di
un
grave
pericolo
.
Oggi
due
lussuosissime
macchine
sono
giunte
sul
posto
,
quelli
che
la
popolazione
chiama
«
i
pezzi
grossi
»
della
S.A.D.E.
Apparivano
preoccupati
;
hanno
controllato
,
osservato
;
se
ne
sono
andati
all
'
avvicinarsi
dei
valligiani
.
«
Non
vogliono
rispondere
alle
loro
domande
.
S
'
interessano
solo
del
loro
lago
,
di
noi
non
importa
loro
proprio
niente
»
.
Questi
sono
stati
gli
amari
,
ma
quanto
veritieri
,
commenti
degli
abitanti
della
zona
.
Si
era
dunque
nel
giusto
quando
,
raccogliendo
le
preoccupazioni
della
popolazione
,
e
memori
delle
precedenti
esperienze
di
Vallesella
e
Forno
di
Zoldo
,
si
denunciava
l
'
esistenza
di
un
sicuro
pericolo
costituito
dalla
formazione
del
lago
.
E
il
pericolo
diventa
sempre
più
incombente
.
Sul
luogo
della
frana
il
terreno
continua
a
cedere
,
si
sente
un
impressionante
rumore
di
terra
e
sassi
che
continuano
a
precipitare
.
E
le
larghe
fenditure
sul
terreno
,
che
abbracciano
una
superficie
di
interi
chilometri
non
possono
certo
rendere
tranquilli
.
StampaQuotidiana ,
Belluno
,
20
febbraio
-
Una
delegazione
guidata
dal
dott.
Da
Borso
,
presidente
dell
'
Ente
provinciale
conferirà
a
Roma
con
i
ministri
dei
Lavori
pubblici
e
delle
Finanze
ai
quali
verranno
sottoposte
le
richieste
che
il
Consiglio
provinciale
ha
unanimemente
formulato
sui
problemi
idroelettrici
,
alcuni
dei
quali
sono
arrivati
a
una
tale
acutizzazione
che
comportano
per
il
governo
una
chiara
e
decisa
scelta
finale
.
Se
finora
le
autorità
governative
hanno
potuto
impunemente
svolgere
una
politica
di
promesse
per
i
montanari
e
di
concessioni
per
la
società
elettrica
ora
,
per
quanto
riguarda
la
provincia
di
Belluno
,
siamo
allo
scontro
finale
:
ora
il
governo
non
dovrà
soltanto
dire
ma
fare
adoperare
le
leggi
come
devono
essere
adoperate
,
poiché
anche
i
suoi
migliori
sostenitori
periferici
-
amministratori
,
deputati
,
parroci
-
hanno
rinunciato
a
continuare
a
difendere
apertamente
il
suo
operato
,
perché
è
a
tutti
fin
troppo
chiaro
che
esso
giova
soltanto
al
potente
monopolio
.
La
discussione
avvenuta
in
Consiglio
provinciale
sulla
mozione
del
compagno
on.
Bettiol
ha
dimostrato
l
'
agitazione
,
l
'
imbarazzo
dei
d.c.
locali
e
il
loro
tentativo
,
seppur
strumentale
,
dettato
dall
'
esigenza
di
differenziare
almeno
a
parole
il
loro
operato
da
quello
del
governo
per
esigenze
propagandistiche
di
partito
e
personali
,
di
risalire
una
china
che
erano
andati
scendendo
pian
piano
,
rendendoli
complici
della
volontà
del
governo
in
fatti
incresciosi
e
talvolta
dolorosi
,
di
fronte
ai
quali
ci
si
limitava
a
deplorare
,
ma
non
si
era
in
grado
d
'
imporsi
,
di
protestare
,
di
ottenere
il
proprio
diritto
.
A
scuotere
le
coscienze
ci
sono
voluti
fatti
e
avvenimenti
che
i
d.c.
non
potevano
prevedere
.
C
'
è
voluta
la
ribellione
dei
cittadini
di
Domegge
,
che
si
son
sentiti
indegnamente
beffati
dopo
anni
di
fiduciosa
attesa
per
la
loro
frazione
di
Vallesella
,
rovinata
dal
bacino
SADE
.
Il
governo
e
le
autorità
provinciali
dovevano
appoggiare
e
incoraggiare
l
'
azione
intrapresa
da
quei
cittadini
per
la
difesa
del
loro
paese
;
invece
si
lasciava
alla
SADE
ogni
possibilità
di
sottrarsi
sempre
ai
propri
obblighi
di
legge
,
anche
quando
la
stessa
ha
allungato
una
settantina
di
milioni
per
riparare
le
case
danneggiate
,
a
titolo
però
di
elargizione
e
non
di
preciso
indennizzo
di
responsabilità
.
Un
atto
inutile
,
perché
le
case
continuano
a
dissestarsi
,
ma
che
l
'
avarissima
SADE
,
come
dice
una
relazione
del
Comune
di
Domegge
,
«
ha
praticato
come
un
'
iniezione
di
morfina
al
malato
dolorante
,
solo
per
addormentarne
il
dolore
,
ma
non
è
servita
per
addormentare
la
coscienza
della
popolazione
»
mentre
,
continua
sempre
la
relazione
«
in
altra
sede
si
,
la
iniezione
è
servita
e
qualcuno
si
è
addormentato
»
.
È
questa
,
una
precisa
accusa
al
potere
costituito
.
L
'
amarezza
e
la
sfiducia
dei
cittadini
di
Domegge
si
è
clamorosamente
manifestata
con
l
'
astensione
totale
dal
voto
per
le
elezioni
amministrative
dello
scorso
novembre
,
che
ha
assunto
un
preciso
atto
di
protesta
.
Il
rigetto
da
parte
della
GPA
della
delibera
con
la
quale
il
Comune
di
Domegge
aveva
deciso
d
'
istruire
una
pratica
giudiziaria
contro
la
SADE
,
era
stata
la
goccia
che
aveva
fatto
traboccare
il
vaso
.
Ed
anche
i
d.c.
hanno
dovuto
aprire
gli
occhi
sulla
realtà
.
Un
'
altra
realtà
che
deve
essere
affrontata
con
urgenza
è
quella
che
si
sta
verificando
ad
Erto
per
l
'
invaso
del
Vajont
.
Il
P.C.I.
ne
ha
parlato
a
iosa
e
sembrava
che
le
sue
parole
fossero
lanciate
al
vento
.
Ora
si
sta
determinando
l
'
irreparabile
quello
che
noi
avevamo
sempre
temuto
e
denunciato
.
Una
enorme
massa
di
50
milioni
di
metri
cubi
di
materiale
,
tutta
una
montagna
sul
versante
sinistro
del
lago
artificiale
,
sta
franando
.
Non
si
può
sapere
se
il
cedimento
sarà
lento
o
se
avverrà
con
un
terribile
schianto
.
In
quest
'
ultimo
caso
non
si
possono
prevedere
le
conseguenze
.
Può
darsi
che
la
famosa
diga
tecnicamente
tanto
decantata
e
a
ragione
,
resista
(
se
si
verificasse
il
contrario
e
quando
il
lago
fosse
pieno
sarebbe
un
'
immane
disastro
per
lo
stesso
paese
di
Longarone
adagiato
in
fondovalle
)
,
ma
sorgeranno
lo
stesso
altri
problemi
di
natura
difficile
e
preoccupante
.
I
più
illustri
tecnici
fatti
convocare
per
l
'
occasione
da
varie
parti
del
mondo
,
hanno
suggerito
alla
SADE
di
costruire
una
galleria
per
far
defluire
l
'
acqua
da
un
lago
all
'
altro
quando
la
montagna
cadendo
,
avrà
di
fatto
formato
due
invasi
.
Non
si
sa
cosa
succederà
dell
'
agglomerato
del
paese
quando
il
lago
superiore
sarà
pieno
,
poiché
è
notorio
che
esso
è
interamente
poggiato
su
terreno
di
frana
.
La
SADE
dice
che
sotto
questo
terreno
esiste
uno
strato
di
roccia
.
Ma
come
ci
si
può
fidare
di
un
giudizio
che
il
monopolio
ha
fallito
in
pieno
già
diverse
volte
anche
in
provincia
,
come
a
Forno
di
Zoldo
e
nella
stessa
zona
di
Erto
?
Il
compagno
Bettiol
ha
chiesto
ed
ottenuto
che
l
'
Ente
Provincia
si
associ
al
Comune
per
far
fare
altre
perizie
sul
sottosuolo
di
Erto
,
per
dare
tranquillità
a
quei
cittadini
che
si
trovano
in
uno
stato
di
perenne
agitazione
anche
perché
sulla
sinistra
,
come
tante
volte
denunciato
anche
dal
nostro
giornale
,
continuano
a
cadere
frane
sulla
nuova
strada
di
circonvallazione
e
una
ventina
di
famiglie
sono
anche
attualmente
prive
di
ogni
via
di
collegamento
con
il
paese
,
perché
un
pezzo
di
strada
è
stata
travolta
e
distrutta
dagli
ultimi
franamenti
.
Questa
è
la
realtà
umana
della
popolazione
.
Poi
c
'
è
la
realtà
dei
cavilli
giuridici
e
delle
sentenze
.
Come
è
noto
il
Tribunale
superiore
delle
acque
pubbliche
ha
emesso
ultimamente
una
sentenza
che
priva
il
bacino
imbrifero
del
Piave
di
180
milioni
all
'
anno
e
di
un
miliardo
e
mezzo
di
arretrati
,
perché
concede
alla
SADE
di
sottrarsi
all
'
obbligo
di
corrispondere
i
sovraccanoni
sugli
impianti
di
Fadalto
.
Qui
i
d.c.
vorrebbero
giuocare
sull
'
equilibrio
,
attribuendo
tutta
la
colpa
alla
magistratura
.
E
ai
profani
di
queste
cose
forse
parrebbe
tale
se
non
esistessero
precedenti
costituiti
da
precise
richieste
,
dibattiti
,
azioni
di
enti
locali
e
iniziative
anche
legislative
,
svolti
in
passato
presso
il
governo
e
il
ministro
competente
,
richiedenti
l
'
estensione
del
pagamento
del
sovraccanone
a
tutti
gli
impianti
esistenti
.
È
il
governo
,
perciò
il
responsabile
dell
'
attuale
sentenza
,
come
è
responsabile
di
aver
concesso
i
rimanenti
125
moduli
d
'
acqua
,
che
ancora
esistevano
nell
'
ormai
striminzito
Piave
contro
il
parere
degli
enti
locali
,
ed
averli
concessi
per
60
anni
alla
SADE
,
che
li
utilizza
negli
impianti
di
Fadalto
,
proprio
quando
stanno
per
scadere
le
precedenti
concessioni
per
quegli
impianti
,
prorogando
di
fatto
tutte
le
concessioni
di
quella
zona
fino
al
2019
.
Ma
l
'
assurdo
ancora
più
grave
è
che
autorizza
la
società
elettrica
a
compiere
un
vero
furto
legalizzato
,
poiché
le
si
concede
la
facoltà
d
'
iniziare
a
pagare
i
sovraccanoni
per
i
125
moduli
dell
'
ultima
concessione
al
termine
dei
lavori
,
che
di
fatto
non
esistono
se
non
per
un
semplice
canale
,
poiché
gli
impianti
sono
già
al
completo
.
Cosicché
la
SADE
già
sfrutta
quest
'
acqua
fin
dal
1954
(
e
illegalmente
anche
prima
come
è
stato
documentato
)
senza
dover
ancora
pagare
una
lira
.
È
un
mostruoso
assurdo
che
non
trova
precedenti
e
di
cui
è
interamente
responsabile
il
governo
.
StampaQuotidiana ,
Ponte
delle
Alpi
,
9
notte
-
Sono
a
Ponte
delle
Alpi
:
la
strada
è
bloccata
da
agenti
della
polizia
,
carabinieri
,
soldati
.
Non
si
passa
.
Solo
le
autoambulanze
,
i
mezzi
della
polizia
e
dell
'
esercito
possono
passare
il
posto
di
blocco
,
avanzare
verso
Longarone
,
il
paese
di
duemila
abitanti
sommerso
nella
notte
dalla
valanga
d
'
acqua
che
l
'
ha
investito
dopo
che
la
diga
sul
Vajont
ha
ceduto
.
Le
notizie
giungono
incerte
,
frammentarie
,
confuse
,
rimbalzano
nella
notte
da
un
crocchio
all
'
altro
:
si
parla
di
decine
di
morti
,
qualcuno
dice
centinaia
.
Una
ventata
di
terrore
è
passata
,
insieme
al
torrente
impietoso
,
sprigionatosi
dalla
diga
«
saltata
»
.
Venendo
verso
Ponte
delle
Alpi
ho
visto
,
alla
periferia
di
Belluno
e
in
altri
paesi
,
donne
coi
bambini
in
braccio
fuggire
nella
notte
,
lontano
dal
Piave
le
cui
acque
,
per
un
raggio
di
molti
chilometri
,
si
sono
spaventosamente
ingrossate
.
Anche
qui
,
a
Ponte
delle
Alpi
,
molta
gente
ha
abbandonato
la
casa
,
è
fuggita
perché
le
acque
del
Piave
hanno
raggiunto
un
'
altezza
che
mette
paura
.
Mentre
tento
ancora
,
inutilmente
,
di
forzare
il
posto
di
blocco
giungono
altre
forze
di
polizia
e
reparti
dell
'
esercito
,
vigili
del
fuoco
da
tutte
le
province
venete
.
Solo
questo
incessante
e
frenetico
affluire
delle
squadre
di
soccorso
dà
per
ora
un
'
idea
della
gravità
del
disastro
che
ha
colpito
Longarone
,
il
paese
che
si
trova
ai
piedi
della
grande
diga
crollata
,
e
la
vallata
del
Piave
.
Qualcuno
dice
che
il
crollo
è
stato
parziale
e
che
i
danni
forse
sono
più
limitati
di
quello
che
pareva
in
un
primo
momento
.
Ma
sono
voci
,
soltanto
voci
.
Quello
che
tutti
dicono
è
che
a
Longarone
i
morti
e
i
feriti
sono
molti
.
Duemila
persone
sorprese
nel
sonno
dalla
disastrosa
inondazione
;
Solo
qualcuno
ha
udito
il
rombo
minaccioso
delle
acque
che
stavano
scatenandosi
nella
loro
corsa
di
morte
.
La
grande
maggioranza
è
stata
sorpresa
a
casa
,
nel
letto
.
Decine
di
abitazioni
sono
state
spazzate
via
dalla
furia
delle
acque
.
Impossibile
telefonare
a
Longarone
:
le
comunicazioni
sono
interrotte
.
Questa
impossibilità
di
comunicare
rende
più
drammatica
l
'
ansia
che
pervade
quanti
si
assiepano
,
in
attesa
di
notizie
,
attorno
al
posto
di
blocco
di
Ponte
delle
Alpi
e
a
quelli
istituiti
in
altre
località
della
zona
.
Un
testimonio
oculare
ha
portato
a
Longarone
le
seguenti
drammatiche
notizie
:
il
paese
è
stato
spazzato
via
per
tre
quarti
della
sua
estensione
.
L
'
aspetto
è
agghiacciante
,
non
si
ode
un
gemito
,
sembra
un
immenso
cimitero
.
Molte
decine
di
persone
,
intere
famiglie
,
mancano
all
'
appello
.
Le
frazioni
attorno
a
Longarone
sono
pure
state
investite
dall
'
enorme
massa
di
acqua
:
Pirago
sarebbe
completamente
distrutta
,
Villanova
e
Faè
semidistrutte
,
Codissago
molto
danneggiata
.
La
massa
d
'
acqua
che
si
è
riversata
nella
valle
seminando
distruzione
e
morte
sarebbe
di
60
milioni
di
metri
cubi
.
Sulle
cause
del
disastro
non
si
hanno
particolari
.
Par
che
una
enorme
frana
si
sia
staccata
dalla
montagna
precipitando
nel
bacino
della
diga
e
sollevando
un
'
ondata
d
'
acqua
di
grandiose
proporzioni
.
Non
è
accertato
se
l
'
ondata
ha
tracimato
dal
bordo
della
diga
riversandosi
nella
vallata
o
se
la
pressione
dell
'
acqua
mossa
dalla
frana
ha
fatto
crollare
la
diga
stessa
.
Numerosi
feriti
sono
stati
trasportati
negli
ospedali
di
Auronzo
,
Pieve
di
Cadore
,
Cortina
e
Belluno
.
C
'
è
bisogno
di
sangue
:
un
pressante
appello
è
stato
lanciato
ai
donatori
.
Con
le
prime
luci
dell
'
alba
elicotteri
ed
aerei
sorvoleranno
la
zona
colpita
e
solo
allora
si
avranno
le
esatte
dimensioni
del
disastro
.
StampaQuotidiana ,
Belluno
,
10
-
È
stato
un
genocidio
.
Lo
gridano
i
pochi
sopravvissuti
,
resi
folli
dal
terrore
della
valanga
d
'
acqua
e
dalla
disperazione
di
trovarsi
soli
e
impotenti
a
superare
una
realtà
tragica
,
fatta
oramai
di
nulla
,
o
meglio
fatta
di
sassi
e
melma
amalgamati
dal
sangue
dei
loro
cari
.
Una
realtà
che
ha
sconvolto
all
'
improvviso
la
fisionomia
di
intieri
paesi
,
ma
che
era
purtroppo
prevedibile
da
anni
,
da
quando
ancora
all
'
inizio
dei
lavori
del
grande
invaso
idroelettrico
del
Vajont
i
tecnici
sapevano
di
costruire
su
terreno
argilloso
e
franabile
,
che
perciò
potevano
portare
alla
catastrofe
.
Genocidio
quindi
,
da
gridare
ad
alta
voce
a
tutti
,
affinché
il
grido
scuota
le
coscienze
del
popolo
e
il
popolo
,
la
cui
pelle
non
conta
mai
niente
di
fronte
ai
dividenti
dei
padroni
del
vapore
,
spazzi
via
alfine
con
un
'
ondata
di
collera
e
di
sdegno
chi
gioca
impunemente
,
a
sangue
freddo
,
con
la
vita
di
migliaia
di
creature
umane
,
allo
scopo
di
accrescere
i
propri
profitti
e
il
proprio
potere
.
Che
qualcuno
,
se
ne
ha
il
coraggio
,
mi
smentisca
in
questo
momento
.
Io
assumo
la
responsabilità
di
quanto
dico
;
i
colpevoli
si
assumano
la
responsabilità
di
quanto
hanno
fatto
.
E
la
giustizia
giudichi
.
Affermo
che
si
sono
responsabilità
morali
e
materiali
.
Ho
seguito
la
vicenda
dell
'
invaso
del
Vajont
con
passione
non
solo
da
giornalista
,
ma
di
figlia
di
questo
popolo
contadino
e
montanaro
che
si
ribella
alla
retorica
delle
«
virtù
tradizionali
»
che
mal
nasconde
il
cinismo
dello
sfruttamento
più
spietato
.
Con
questo
cuore
ho
seguito
tutte
le
vicissitudini
,
le
resistenze
,
le
paure
dei
montanari
di
Erto
contro
la
«
Sade
»
,
non
per
impedirle
di
costruire
il
grande
bacino
idroelettrico
del
Vajont
,
ma
per
impedire
di
compiere
un
delitto
.
L
'
intuito
e
l
'
esperienza
di
quei
montanari
,
confortati
peraltro
da
pareri
di
grandi
geologi
,
indicavano
la
Valle
del
Vajont
non
adatta
a
reggere
la
pressione
di
160
milioni
di
metri
-
cubi
d
'
acqua
.
La
realtà
ha
dimostrato
la
ragione
dei
montanari
,
non
quella
dei
tecnici
della
«
Sade
»
.
La
società
elettrica
sapeva
che
le
pareti
dell
'
invaso
erano
formate
dal
terreno
di
una
enorme
frana
caduta
centinaia
di
anni
fa
,
sulla
quale
è
sorto
in
seguito
il
paese
di
Erto
.
Sapeva
che
il
Monte
Toc
era
esso
stesso
parte
di
quella
frana
e
che
era
prevedibile
che
l
'
acqua
immessa
nel
bacino
dovesse
erodere
piano
piano
il
sottosuolo
e
provocare
disastri
.
Quattro
anni
fa
,
quando
è
stata
esperimentata
la
resistenza
del
bacino
,
grosse
fenditure
avevano
segnato
le
case
di
S
.
Martino
e
delle
altre
frazioni
di
Erto
alle
pendici
del
Toc
.
Esse
piano
piano
si
estesero
a
ridosso
del
monte
,
facendo
nascere
la
paura
tra
gli
abitanti
di
Erto
.
Costoro
si
appellarono
inutilmente
ad
ogni
autorità
possibile
dando
veste
giuridica
ad
un
largo
comitato
unitario
che
lottò
per
anni
nel
tentativo
di
opporsi
alla
costruzione
dell
'
invaso
,
sorretto
anche
dall
'
autorevole
parere
tecnico
del
geologo
prof.
Gortani
,
contrario
in
pieno
alla
perizia
del
geologo
della
«
Sade
»
,
prof.
Dal
Piaz
.
Il
prof.
Gortani
riteneva
,
infatti
,
pazzesco
costruire
il
bacino
su
un
terreno
tanto
inadatto
come
quello
di
Erto
.
Il
comitato
inoltrò
ricorsi
.
Organizzò
petizioni
e
pubbliche
proteste
.
Interessò
autorità
governative
e
amministratori
locali
.
Presso
qualcuna
di
queste
autorità
la
voce
del
comitato
venne
accolta
.
Il
Consiglio
provinciale
,
in
data
15
febbraio
1961
,
votava
all
'
unanimità
un
ordine
del
giorno
per
chiedere
la
revoca
di
ogni
concessione
alla
«
Sade
»
per
inadempienze
di
legge
.
In
esso
si
faceva
preciso
riferimento
alla
situazione
del
Vajont
chiedendo
l
'
approntamento
tempestivo
di
tutte
le
misure
di
sicurezza
per
garantire
la
incolumità
di
quelle
popolazioni
.
Fu
una
presa
di
posizione
che
restò
senza
risposta
.
Cosa
sarebbe
successo
se
il
monte
fosse
franato
nel
lago
al
massimo
della
sua
capienza
?
Io
mi
feci
portavoce
di
quei
montanari
e
scrissi
per
«
l
'
Unità
»
un
articolo
,
indicando
quello
che
sarebbe
potuto
accadere
e
che
oggi
è
accaduto
così
come
esattamente
lo
avevo
descritto
.
La
pubblica
autorità
mi
accusò
di
propagare
notizie
false
e
tendenziose
atte
a
turbare
l
'
ordine
pubblico
.
L
'
autorità
giudiziaria
mi
incriminò
di
reato
,
senza
peraltro
recarsi
sul
posto
per
accertare
la
verità
.
Venni
processato
a
Milano
assieme
al
direttore
responsabile
dell
'
«
Unità
»
.
A
Milano
si
offersero
generosamente
di
venire
a
testimoniare
tanti
abitanti
di
Erto
che
mi
ebbero
vicina
nelle
loro
proteste
,
nelle
loro
pubbliche
manifestazioni
,
nel
sostenere
la
lotta
;
cosa
che
non
fecero
tanti
parlamentari
governativi
e
non
governativi
di
allora
,
malgrado
fossero
stati
ufficialmente
invitati
ad
intervenire
dalla
popolazione
.
Io
e
il
compagno
onorevole
Bettiol
,
che
rappresentavamo
il
Partito
comunista
,
fummo
solo
e
sempre
gli
unici
a
sostenere
attivamente
le
ragioni
dei
montanari
di
Erto
.
Essi
mi
difesero
energicamente
davanti
ai
giudici
del
Tribunale
di
Milano
e
dimostrarono
,
con
prove
e
testimonianze
,
non
solo
che
io
avevo
scritto
la
verità
,
ma
che
tutto
il
paese
si
trovava
in
pericolo
e
che
,
assieme
ad
Erto
,
anche
i
paesi
del
Longaronese
correvano
rischi
.
I
giudici
mi
assolsero
,
ma
le
autorità
che
dovevano
tener
conto
dei
fatti
e
impedire
un
possibile
massacro
,
diedero
invece
via
libera
alla
«
Sade
»
per
i
suoi
esperimenti
criminosi
.
Fatti
,
oltretutto
,
con
i
miliardi
del
popolo
italiano
,
i
tanti
miliardi
che
il
governo
diede
alla
«
Sade
»
a
fondo
perduto
per
la
costruzione
del
lago
artificiale
e
che
,
magari
,
ora
stanno
al
sicuro
oltre
frontiera
.
Miliardi
rubati
al
popolo
,
col
consenso
delle
autorità
di
governo
.
Quelle
stessa
autorità
che
gestendo
oggi
gli
impianti
idroelettrici
,
e
sapendo
che
da
circa
un
mese
la
situazione
del
Vajont
peggiorava
,
non
hanno
provveduto
a
scongiurare
la
immane
sciagura
che
si
è
abbattuta
stanotte
sul
Bellunese
,
creando
un
cimitero
su
una
vasta
zona
popolata
.
Sto
scrivendo
queste
righe
col
cuore
stretto
dai
rimorsi
per
non
aver
fatto
di
più
per
indurre
il
popolo
di
queste
terre
a
ribellarsi
alla
minaccia
mortale
che
ora
è
diventata
una
tragica
realtà
.
Oggi
tuttavia
non
si
può
soltanto
piangere
.
È
tempo
di
imparare
qualcosa
.
StampaQuotidiana ,
Non
mi
ricordo
esattamente
quando
ho
cominciato
ad
occuparmi
del
Vajont
.
Probabilmente
sette
anni
fa
,
quando
sono
cominciati
gli
espropri
da
parte
della
SADE
.
Era
il
mio
lavoro
normale
di
tutti
i
giorni
.
I
proprietari
-
tutti
piccoli
coltivatori
che
dal
loro
pezzetto
di
terra
ricavavano
un
aiuto
in
natura
che
serviva
ad
integrare
il
loro
magro
bilancio
-
si
rifiutavano
di
cedere
al
monopolio
,
a
un
prezzo
irrisorio
,
la
loro
terra
.
Era
terra
ricavata
molte
volte
dai
pendii
e
bonificata
con
il
lavoro
di
generazioni
.
Rappresentava
un
valore
materiale
e
affettivo
insieme
.
Ogni
lotta
dei
montanari
contro
il
monopolio
elettrico
cominciava
da
qui
.
Non
era
lotta
contro
il
progresso
,
ma
contro
chi
in
nome
del
progresso
si
riempiva
il
portafoglio
a
spese
altrui
.
Occuparmi
del
Vajont
non
era
stato
perciò
che
continuare
quello
che
facevo
da
quando
,
lasciata
la
mia
Brigata
partigiana
,
cominciai
a
lavorare
per
il
Partito
.
Dopo
la
Liberazione
la
SADE
costruì
in
provincia
di
Belluno
diversi
bacini
idroelettrici
:
a
Pieve
di
Cadore
,
ad
Arsiè
,
a
Forno
di
Zoldo
e
nella
Valle
del
Mis
.
Per
ogni
impianto
mi
era
capitato
di
scrivere
qualcosa
contro
la
SADE
.
I
soprusi
,
le
prepotenze
della
società
elettrica
erano
,
come
si
dice
,
il
pane
quotidiano
di
ogni
giornalista
che
avesse
voluto
parlare
di
ciò
che
stava
a
cuore
dei
montanari
di
queste
vallate
.
Non
rivelavo
segreti
,
non
svelavo
fatti
misteriosi
per
il
gusto
di
dare
addosso
ai
capitalisti
,
riferivo
quel
che
vedevo
,
quel
che
sentivo
accadere
intorno
a
me
.
Chiunque
facesse
questo
mestiere
avrebbe
potuto
scrivere
le
stesse
cose
.
Anche
altri
ci
hanno
provato
ma
senza
riuscire
mai
a
leggere
sul
loro
giornale
quello
che
avevano
scritto
.
E
qualcuno
ha
passato
dei
guai
per
essersi
occupato
della
SADE
senza
ascoltare
i
consigli
della
società
.
Il
coraggio
e
l
'
onestà
di
un
giornalista
non
bastano
per
poter
scrivere
la
verità
su
un
giornale
.
Ricordo
un
episodio
accaduto
a
Vallesella
di
Cadore
.
Due
anni
fa
la
popolazione
di
questo
paese
si
rifiutò
in
massa
di
recarsi
a
votare
in
segno
di
protesta
contro
il
governo
che
non
aveva
fatto
rispettare
alla
SADE
i
propri
impegni
,
per
le
case
rovinate
nelle
acque
del
lago
.
Il
sindaco
convocò
allora
una
conferenza
stampa
per
chiedere
a
tutti
i
corrispondenti
locali
dei
giornali
italiani
di
scrivere
le
ragioni
di
questa
singolare
protesta
.
Ma
alla
conferenza
stampa
ci
andammo
solo
in
due
,
io
e
il
corrispondente
del
Giorno
.
Gli
altri
preferirono
ignorare
la
cosa
.
I
primi
pezzi
su
Erto
e
sul
Vajont
li
ho
scritti
per
raccontare
come
venivano
portati
avanti
gli
espropri
.
La
SADE
ricattava
i
contadini
:
o
accettare
le
cifre
stabilite
dal
monopolio
oppure
subire
gli
espropri
di
autorità
:
il
denaro
intanto
veniva
versato
in
banca
all
'
intestatario
catastale
del
terreno
che
magari
era
morto
o
espatriato
.
Chi
in
effetti
lavorava
il
pezzo
di
terra
espropriato
rischiava
di
non
aver
mai
in
mano
quei
soldi
o
di
ottenerli
dopo
pratiche
che
sarebbero
durate
degli
anni
e
a
prezzo
di
spese
non
indifferenti
.
In
queste
condizioni
i
contadini
,
uno
dopo
l
'
altro
,
hanno
ceduto
.
In
seguito
sorse
un
altro
problema
.
Alcune
frazioni
di
Erto
venivano
tagliate
fuori
dal
centro
con
l
'
invaso
.
Esse
erano
collegate
al
capoluogo
da
sentieri
che
attraversavano
la
valle
.
I
contadini
li
percorrevano
come
scoiattoli
.
Molti
ertani
possedevano
i
terreni
sull
'
opposto
versante
.
Come
si
sarebbero
trovati
dopo
la
realizzazione
del
lago
?
Chiesero
una
passerella
che
collegasse
i
due
versanti
.
In
un
primo
tempo
la
SADE
disse
che
l
'
avrebbe
costruita
.
Poi
,
attraverso
le
leve
di
potere
che
possedeva
,
si
fece
dare
un
'
altra
concessione
dal
ministero
che
la
esonerava
dal
costruire
la
passerella
.
Al
suo
posto
avrebbe
fatto
una
strada
di
circonvallazione
.
Per
gli
ertani
significava
un
lungo
e
accidentato
percorso
,
soprattutto
d
'
inverno
:
per
i
bambini
delle
frazioni
che
dovevano
recarsi
a
scuola
al
capoluogo
;
per
le
vecchie
,
che
all
'
alba
andavano
a
messa
;
per
i
contadini
che
dovevano
percorrere
oltre
tre
chilometri
per
lavorare
i
loro
terreni
.
E
poi
c
'
era
il
pericolo
di
frane
in
una
zona
dove
queste
cadevano
in
continuazione
nei
mesi
del
disgelo
;
più
di
6
chilometri
tra
andata
e
ritorno
per
le
provviste
,
per
il
medico
e
per
tutti
i
casi
di
emergenza
che
si
potevano
verificare
.
L
'
amministrazione
comunale
di
Erto
inoltrò
un
pro
-
memoria
all
'
ufficio
del
Genio
Civile
di
Belluno
perché
il
ministero
dei
Lavori
Pubblici
fosse
informato
.
Non
ottenne
nulla
e
la
SADE
cominciò
a
costruire
la
strada
.
Non
si
preoccupò
neppure
di
avvisare
i
proprietari
dei
terreni
.
Andava
avanti
coi
bulldozer
.
I
valligiani
erano
esasperati
.
Un
mattino
gli
operai
dell
'
impresa
vennero
affrontati
da
un
contadino
che
brandiva
un
'
accetta
.
«
Se
fate
ancora
un
passo
avanti
la
uso
»
,
disse
.
Chi
l
'
aveva
ridotto
alla
disperazione
?
Anche
per
questo
episodio
scrissi
una
corrispondenza
.
Raccontai
i
fatti
.
La
polemica
era
nelle
cose
.
La
strada
,
comunque
,
si
fece
.
Nel
frattempo
nel
bacino
di
Forno
di
Zoldo
franò
un
grosso
lembo
di
montagna
.
La
popolazione
di
Erto
si
allarmò
.
Se
a
Forno
aveva
fatto
precipitare
la
montagna
cosa
sarebbe
accaduto
del
loro
paese
che
poggiava
tutto
su
terra
argillosa
?
Queste
cose
i
contadini
le
sapevano
da
sempre
,
ma
vollero
interrogare
i
famosi
geologi
.
E
il
parere
dei
tecnici
e
degli
scienziati
confermò
le
loro
paure
:
era
pura
follia
costruire
un
bacino
sul
luogo
.
Le
perizie
geologiche
diedero
esca
a
nuove
polemiche
e
le
proteste
si
fecero
più
vivaci
.
Si
arrivò
a
costituire
un
«
Consorzio
per
la
difesa
della
valle
ertana
»
al
quale
aderirono
136
capi
famiglia
.
In
quella
occasione
scrissi
l
'
articolo
per
il
quale
mi
processarono
.
Raccontai
quanto
avevano
detto
i
montanari
all
'
assemblea
costitutiva
del
Consorzio
.
Avevo
commesso
il
«
reato
»
di
registrare
i
fatti
e
un
vice
brigadiere
dei
carabinieri
mi
accusò
di
aver
diffuso
«
notizie
false
e
tendenziose
atte
a
turbare
l
'
ordine
pubblico
»
.
Fossi
veramente
riuscita
a
turbarlo
l
'
ordine
della
SADE
,
oggi
non
saremmo
qui
a
piangere
i
nostri
morti
e
a
maledire
i
responsabili
!
Qualcuno
molto
più
in
alto
di
un
funzionario
di
polizia
sperava
di
tappare
la
bocca
,
di
intimorire
e
mettere
a
tacere
i
valligiani
.
Tra
la
denuncia
e
il
processo
scrissi
altri
pezzi
.
E
furono
probabilmente
quelli
che
contribuirono
a
farmi
assolvere
.
Nel
frattempo
,
infatti
,
sul
monte
Toc
si
erano
prodotte
fenditure
e
successivamente
una
frana
era
precipitata
giù
dalla
montagna
.
Parlai
del
pericolo
di
nuovi
smottamenti
e
crolli
,
parlai
di
una
massa
di
50
milioni
di
metri
cubi
che
minacciava
di
piombare
a
valle
.
E
sbagliai
solo
per
difetto
.
Venne
il
giorno
del
processo
.
I
montanari
di
Erto
si
presentarono
davanti
ai
giudici
di
Milano
in
qualità
di
testi
.
«
Qui
ci
sono
le
prove
.
Se
non
ci
credete
venite
voi
stessi
a
vedere
.
Signori
giudici
,
fate
qualcosa
perché
non
succeda
di
peggio
»
.
Della
SADE
al
processo
non
si
fece
vivo
nessuno
.
Neppure
il
brigadiere
che
stese
la
denuncia
si
presentò
.
Il
Tribunale
fece
il
possibile
.
Sentenziò
che
i
fatti
denunciati
erano
veri
,
che
il
pericolo
c
'
era
.
Ma
chi
considerava
un
articolo
sull
'
Unità
più
pericoloso
di
una
frana
grossa
come
una
montagna
restò
inerte
.
Chi
doveva
trarre
le
conseguenze
dalla
sentenza
non
mosse
un
dito
,
anzi
autorizzò
la
SADE
a
costruire
al
diga
mortale
.
Ora
che
l
'
irreparabile
è
accaduto
,
c
'
è
ancora
chi
ha
il
coraggio
di
affermare
che
a
Roma
nessuno
sapeva
.
Come
se
la
Camera
,
il
Senato
,
dove
le
mie
,
le
nostre
denuncie
sono
state
portate
dinanzi
ai
ministri
responsabili
non
stessero
a
Roma
,
ma
nella
capitale
del
Tanganika
.
C
'
è
poi
l
'
ipotesi
che
invoca
il
silenzio
di
fronte
ai
lutti
e
alle
devastazioni
,
che
incolpa
di
tutto
le
forze
della
natura
.
E
c
'
è
chi
ci
considera
soltanto
dei
giornalisti
più
bravi
e
più
coraggiosi
degli
altri
ed
è
disposto
a
riconoscere
che
,
sì
,
qualche
straccio
di
tecnico
può
essere
buttato
all
'
aria
purché
non
si
tocchi
il
sistema
,
purché
non
si
arrivi
alla
radice
.
Non
sono
né
più
brava
né
più
coraggiosa
di
tanti
miei
colleghi
.
Non
volevo
certo
diventare
famosa
per
un
fatto
così
tragico
quando
scrivevo
contro
la
SADE
.
Volevo
semplicemente
impedire
che
questo
disastro
colpisse
i
montanari
della
terra
dove
sono
nata
,
dove
ho
fatto
la
guerra
partigiana
,
dove
ho
vissuto
tutta
la
mia
vita
.
E
ora
non
riesco
neanche
a
esprimere
la
mia
collera
,
il
mio
furore
per
non
esserci
riuscita
.
StampaQuotidiana ,
Belluno
-
Arrivare
ad
Erto
di
notte
in
questo
periodo
dell
'
anno
,
col
vento
che
soffia
e
la
luna
-
come
quella
sera
-
che
illumina
l
'
immobile
paesaggio
della
frana
del
Toc
,
serpeggiato
da
stradine
tracciate
sulla
sabbia
,
fa
l
'
impressione
di
entrare
in
un
mondo
di
fantasmi
,
le
cui
porte
si
aprono
all
'
altezza
della
diga
del
Vajont
.
O
forse
ancora
prima
,
a
Fortogna
,
sulla
strada
di
Alemagna
.
La
vallata
del
Vajont
non
è
cambiata
dalla
notte
della
tragedia
.
È
stato
detto
ormai
tante
volte
,
ma
bisogna
ripeterlo
,
gridarlo
,
perché
chi
porta
la
responsabilità
del
«
dopo
»
non
si
lamenti
se
qualcosa
succede
da
queste
parti
,
in
questo
villaggio
di
fronte
al
Toc
,
dove
104
famiglie
,
oltre
300
persone
,
vivono
ormai
da
anni
un
ritorno
al
paese
che
ha
il
significato
della
protesta
.
Un
ritorno
che
è
stato
amaro
,
ma
assai
meno
umiliante
della
carità
di
un
affitto
in
casa
altrui
,
a
Cimolais
o
Claut
,
quando
una
casa
propria
esisteva
nel
vecchio
villaggio
,
disabitata
e
in
preda
di
topi
.
Trecento
persone
che
non
hanno
creduto
e
non
credono
alle
promesse
di
ministri
e
di
«
autorità
responsabili
»
.
Alla
luce
della
realtà
esistente
,
quelli
che
allora
sono
ritornati
ad
Erto
contro
la
legge
che
li
aveva
scacciati
,
e
che
ci
vivono
tuttora
in
un
isolamento
che
soltanto
una
testarda
volontà
può
sopportare
,
dimostrano
polemicamente
di
aver
avuto
ragione
sul
futuro
della
comunità
.
Non
è
sorto
niente
,
infatti
,
in
nessun
luogo
,
che
possa
dare
adito
a
speranze
,
che
tanti
ertani
del
resto
credevano
realizzabili
a
Maniago
,
per
esempio
.
Non
è
sorta
ancora
nessuna
casa
,
tranne
le
fondamenta
della
solita
fatidica
prima
pietra
in
quella
landa
,
espropriata
per
pochi
soldi
ai
contadini
locali
per
essere
trasformata
nel
nuovo
paese
di
Erto
a
valle
.
L
'
Erto
a
monte
,
a
quota
830
,
per
quelli
che
avevano
scelto
di
rimanere
nella
valle
del
Vajont
,
è
anch
'
esso
una
speranza
ormai
abbandonata
da
chi
ci
credeva
.
Sostenere
ancora
queste
illusioni
è
lecito
?
È
possibile
,
è
giusto
-
la
domanda
è
da
porsi
-
alimentare
speranze
che
dopo
tre
anni
e
mezzo
sono
ancora
soltanto
segni
sulla
carta
?
E
differentemente
,
come
pensa
il
Governo
di
sistemare
la
comunità
?
*
*
*
Lo
Stato
ha
speso
per
gli
ertani
,
dal
9
ottobre
1963
ad
oggi
,
oltre
tre
miliardi
di
sussidi
.
Di
lavoro
sul
posto
non
ce
n
'
è
;
andare
all
'
estero
significa
abbandonare
la
cura
di
interessi
familiari
,
una
necessità
creata
dalla
tragedia
e
che
nessuno
ha
ancora
risolto
.
È
più
facile
,
oltretutto
,
scegliere
la
via
sulla
quali
li
ha
istradati
il
governo
:
sussidio
a
tempo
indeterminato
.
È
un
risultato
voluto
dai
governanti
.
Con
tre
miliardi
si
poteva
ricostruire
,
o
quasi
,
un
piccolo
paese
come
Erto
.
Allora
,
per
quale
determinazione
,
per
quale
assurdo
disegno
si
è
preferito
disgregare
una
comunità
,
mettere
i
suoi
abitanti
gli
uni
contro
gli
altri
,
perseguitare
chi
non
crede
più
alle
promesse
,
in
definitiva
creare
dei
ribelli
al
posto
degli
uomini
che
un
tempo
coltivavano
questa
valle
con
pazienza
e
sacrificio
?
*
*
*
All
'
imbocco
del
paese
di
Erto
,
all
'
altezza
del
cimitero
,
c
'
è
un
cartello
che
vieta
il
transito
causa
il
terreno
franoso
.
Il
divieto
dura
fino
alla
piazzetta
,
che
un
tempo
non
aveva
nome
essendo
l
'
unica
piazza
del
paese
che
dopo
il
Vajont
è
stata
intitolata
«9
ottobre
»
.
Tra
la
piazza
e
il
cimitero
le
case
sono
abitate
.
Sulla
strada
è
vietato
passare
,
ma
non
è
vietato
agli
ertani
abitare
in
quella
zona
dove
si
asserisce
esservi
pericolo
.
Non
è
vietato
celebrare
le
funzioni
religiose
nella
chiesa
-
il
prete
arriva
una
volta
ogni
tanto
-
situata
dentro
il
perimetro
franoso
.
Ricercare
una
logica
negli
avvenimenti
del
Vajont
,
di
prima
,
di
dopo
,
di
adesso
,
è
come
ricercare
un
ago
in
un
pagliaio
.
Nei
giorni
prima
della
tragedia
si
era
imposto
agli
ertani
di
sfollare
le
bestie
della
zona
del
Toc
,
ma
non
la
gente
.
Adesso
si
fa
altrettanto
,
si
blocca
la
strada
,
ma
ci
si
può
abitare
sopra
.
Qualche
ertano
ride
amaramente
,
qualche
altro
si
infuria
.
Ben
presto
il
cartello
scompare
.
Arrivano
i
carabinieri
e
vanno
difilati
da
un
membro
del
comitato
locale
,
che
per
non
avere
peli
sulla
lingua
è
considerato
il
più
«
sovversivo
»
di
tutti
.
Lo
tirano
fuori
di
casa
e
gli
chiedono
:
«
Chi
è
stato
ad
asportare
il
cartello
?
»
.
E
lui
risponde
rivolgendo
alla
forza
pubblica
un
'
altra
domanda
:
«
Chi
è
stato
ad
ammazzarmi
la
famiglia
?
»
.
Malgrado
la
vita
da
primitivi
che
sono
costretti
a
fare
,
questi
ertani
serbano
ancora
una
logica
invidiabile
.
Chi
è
stato
,
infatti
,
a
provocare
la
tragedia
?
Ancora
ufficialmente
non
si
sa
.
Ogni
piccola
cosa
che
succede
,
anche
la
rivendicazione
di
un
diritto
normale
da
parte
di
coloro
che
abitano
il
vecchio
paese
,
è
vista
come
una
sollevazione
.
Gli
ertani
sono
pedinati
se
escono
dal
paese
,
se
vanno
in
montagna
,
se
si
riuniscono
;
sorvegliati
come
confinati
.
E
confinati
lo
sono
,
anche
se
volontari
.
La
sensibilità
delle
autorità
non
arriva
a
comprendere
lo
stato
d
'
animo
,
la
psicologia
che
si
è
creata
in
questa
gente
,
distrutta
,
rovinata
,
prima
dal
monopolio
elettrico
,
poi
dall
'
incapacità
dei
pubblici
poteri
.
Per
ogni
cosa
che
accade
,
gli
ertani
sono
chiamati
a
Cimolais
dai
carabinieri
.
Frasi
come
:
«
Questa
volta
ti
sbatto
dentro
»
sono
all
'
ordine
del
giorno
.
«
Siamo
trattati
come
delinquenti
,
dopo
che
ci
hanno
ridotti
in
questo
stato
.
La
colpa
è
ancora
nostra
,
capisci
?
»
.
*
*
*
Quella
sera
era
il
venerdì
santo
.
Un
tempo
,
per
tradizione
popolare
,
veniva
realizzata
una
bellissima
passione
di
Cristo
.
Quest
'
anno
la
tradizione
non
è
stata
rispettata
,
e
sarebbe
stata
una
notte
adatta
,
col
vento
che
ululava
nella
valle
sotto
lo
splendore
di
una
luna
che
illuminava
la
parete
bianca
del
Toc
,
la
sua
enorme
ferita
lasciata
dalla
montagna
precipitata
dentro
il
lago
.
In
chiesa
si
celebrava
la
funzione
religiosa
,
ma
l
'
unica
osteria
del
paese
era
piena
di
gente
e
parlare
di
qualcosa
che
avesse
attinenza
con
i
problemi
del
Vajont
era
come
accendere
una
miccia
.
Perciò
uscimmo
con
un
gruppo
,
che
poi
s
'
ingrossò
dentro
l
'
abitazione
di
uno
di
quei
«
desperes
»
.
Disperati
di
tutto
e
per
tutto
.
Si
parlò
a
lungo
,
di
case
,
di
persone
,
della
politica
.
Un
ex
socialista
ci
disse
:
«
Qui
hanno
restituito
140
tessere
del
PSU
per
protesta
.
I
socialisti
sono
al
governo
e
ci
lasciano
in
queste
condizioni
»
.
«
Ma
cosa
avete
intenzione
di
fare
per
smuovere
le
acque
stantie
dell
'
indifferenza
o
quanto
meno
della
lentezza
con
cui
si
affrontano
i
vostri
problemi
?
»
.
Ormai
gli
ertani
sono
diventati
sospettosi
di
tutti
,
stentano
ad
esprimere
le
loro
intenzioni
per
paura
che
qualcuno
faccia
la
spia
alle
autorità
o
al
sindaco
,
che
non
va
mai
a
visitarli
ad
Erto
.
«
Stai
pur
sicura
che
qualcosa
faremo
,
ormai
ci
hanno
preso
in
giro
fin
troppo
»
.
Ma
non
dicono
cosa
.
Anche
questi
misteri
sono
perfettamente
intonati
all
'
ambiente
.
Sulla
strada
del
ritorno
,
caracollando
con
la
macchina
sopra
la
frana
del
Toc
-
un
gran
canyon
che
attraversa
la
valle
del
Vajont
per
diversi
chilometri
-
ci
sembrava
di
essere
stati
dentro
un
incubo
assurdo
,
come
nei
sogni
.
Soltanto
che
dai
sogni
ci
si
risveglia
rallegrandoci
di
riaffiorare
in
una
diversa
realtà
.
Quelli
di
Erto
il
loro
incubo
lo
vivono
da
tre
anni
e
passa
,
e
se
da
esso
non
li
si
fa
uscire
presto
,
rischiano
di
non
essere
più
recuperabili
per
una
vita
diversa
StampaQuotidiana ,
Belluno
,
9
aprile
.
-
Cinque
operai
bellunesi
morti
assieme
sotto
una
valanga
di
neve
è
una
notizia
sconvolgente
e
drammatica
anche
per
la
popolazione
di
una
provincia
abituata
da
secoli
a
stare
col
cuore
sospeso
,
sempre
in
attesa
di
qualche
dolorosa
notizia
dai
cantieri
all
'
estero
e
delle
altre
province
italiane
,
dove
la
manodopera
bellunese
è
più
che
di
casa
.
Qui
,
in
queste
zone
di
emigrazione
,
quando
un
lutto
colpisce
una
famiglia
,
l
'
intera
comunità
si
sente
partecipe
della
disgrazia
.
«
È
capitato
a
te
,
ma
potrebbe
essere
capitato
a
me
»
,
è
una
frase
che
qualche
volta
si
dice
ma
che
più
spesso
si
indovina
,
soprattutto
nel
muto
linguaggio
delle
donne
degli
emigrati
,
madri
e
spose
accomunate
per
anni
dallo
stesso
tarlo
doloroso
delle
lunghe
separazioni
dai
mariti
e
dai
figli
;
dalla
paura
di
sciagure
,
e
purtroppo
dalla
speranza
che
non
succedano
,
e
infine
dall
'
attesa
spasmodica
del
loro
ritorno
stagionale
.
E
così
,
domani
o
dopodomani
,
altri
cinque
lavoratori
torneranno
alle
proprie
case
,
ma
dentro
una
bara
.
Sono
i
cinque
bellunesi
ghermiti
ieri
dalla
«
morte
bianca
»
in
Valle
Aurina
,
un
luogo
a
quattro
passi
da
casa
,
dove
erano
contenti
di
essere
andati
a
lavorare
,
avvezzi
com
'
erano
quasi
tutti
all
'
emigrazione
in
terre
lontane
.
Le
loro
famiglie
,
alcune
delle
quali
hanno
appreso
la
notizia
dai
giornali
,
sono
piombate
nella
disperazione
.
Non
abbiamo
fatto
gli
sciacalli
in
cerca
di
notizie
intime
;
abbiamo
rispettato
il
dolore
delle
famiglie
.
Ma
abbiamo
parlato
con
amici
e
conoscenti
delle
vittime
nei
loro
paesi
d
'
origine
.
E
ancora
una
volta
,
come
purtroppo
molto
spesso
è
avvenuto
,
le
conversazioni
hanno
illustrato
la
solita
triste
condizione
di
una
provincia
senza
lavoro
,
che
costringe
i
propri
abitanti
a
vere
odissee
,
sballottandoli
in
giro
per
il
mondo
in
nome
di
una
civiltà
tanto
decantata
dai
nostri
governi
ma
tanto
lontana
dai
bisogni
degli
uomini
.
Ecco
il
paese
di
Vito
Lise
,
anni
38
,
capo
minatore
,
e
di
Angelo
De
Zanet
,
di
35
anni
:
Sospirolo
.
Quattromila
abitanti
,
il
90
percento
degli
uomini
validi
emigrati
.
Registra
la
percentuale
più
alta
in
tutta
la
provincia
di
silicotici
.
Anche
Vito
Lise
,
il
capo
minatore
,
travolto
dalla
valanga
,
aveva
ormai
girato
,
a
trentotto
anni
,
mezzo
mondo
:
la
Svizzera
,
il
Congo
,
l
'
Argentina
,
il
Venezuela
.
Quando
tornava
reclutava
altre
persone
del
villaggio
di
San
Zenon
,
dove
abitava
,
ed
esse
gliene
erano
grate
.
Andavano
volentieri
con
lui
,
lo
stimavano
per
la
sua
serietà
e
preparazione
professionale
.
Era
figlio
di
minatore
.
Suo
padre
è
attualmente
all
'
ospedale
con
la
silicosi
.
Con
lui
in
valle
Aurina
c
'
erano
altri
due
fratelli
;
uno
si
è
salvato
per
caso
dalla
valanga
.
Angelo
De
Zanet
,
pure
lui
da
San
Zenon
,
faceva
parte
di
una
schiera
di
cinque
fratelli
,
che
sono
tutti
emigrati
.
Lui
aveva
conosciuto
tutte
le
miniere
di
ferro
e
di
carbone
della
Germania
.
Questo
è
il
paese
di
Sospirolo
,
dove
oggi
una
terza
famiglia
di
emigrati
è
in
lutto
.
L
'
operaio
Francesco
Viel
,
di
53
anni
,
è
deceduto
di
sincope
in
un
cantiere
della
Svizzera
.
Trichiana
,
Longarone
,
San
Gregorio
nelle
Alpi
,
i
paesi
degli
altri
tre
operai
deceduti
in
valle
Aurina
,
presentano
le
stesse
caratteristiche
.
Tre
-
quattromila
abitanti
,
un
migliaio
di
emigrati
.
Giovanni
De
Bastian
,
di
Trichiana
,
era
figlio
unico
.
Sua
madre
non
fa
che
ripetere
,
pazza
di
dolore
:
«
Chissà
quante
volte
avrà
chiamato
aiuto
prima
di
morire
»
.
Nessuno
riesce
a
convincerla
che
suo
figlio
è
morto
sull
'
istante
.
Di
Antonio
Bristot
,
da
Longarone
,
le
donne
della
frazione
di
Pirago
,
dove
abitava
con
la
famiglia
,
assicurano
tutte
«
che
era
un
grandissimo
lavoratore
»
.
È
il
massimo
omaggio
che
le
genti
di
montagna
possono
rivolgere
a
un
morto
.
La
quinta
delle
vittime
,
Renato
Bulz
,
da
San
Gregorio
nelle
Alpi
,
era
il
più
giovane
:
diciassette
anni
appena
.
Un
'
età
in
cui
non
si
è
ancora
uomini
per
le
leggi
dello
Stato
ma
purtroppo
si
è
considerati
uomini
da
sfruttare
sul
piano
fisico
e
produttivo
.
L
'
elenco
delle
vittime
sul
lavoro
si
allunga
così
anno
dopo
anno
,
accanto
alle
località
dove
avvengono
le
sciagure
,
che
restano
impresse
per
sempre
nella
memoria
delle
famiglie
degli
emigranti
bellunesi
.
Non
importa
se
le
disgrazie
avvengono
in
Italia
o
all
'
estero
,
se
la
località
si
chiama
Marchinelle
,
Zermatt
o
Valle
Aurina
.
Esse
significano
comunque
sempre
sofferenze
e
dolore
per
le
famiglie
dei
trentasettemila
emigrati
bellunesi
e
richiamano
alle
loro
gravi
responsabilità
i
governanti
italiani
,
che
mai
hanno
voluto
prendere
in
seria
considerazione
il
problema
delle
zone
di
emigrazione
,
salvo
che
sul
piano
dei
discorsi
e
delle
promesse
,
specialmente
nei
periodi
delle
varie
campagne
elettorali
.
StampaQuotidiana ,
Belluno
,
22
gennaio
.
-
A
Carassagno
D
'
Arsiè
trentaquattro
persone
continuano
lo
sciopero
a
rovescio
,
per
la
costruzione
della
strada
che
colleghi
la
frazione
al
capoluogo
.
Il
loro
gesto
continua
ad
avere
la
solidarietà
della
stampa
e
perfino
della
radio
,
che
oggi
ha
trasmesso
nel
notiziario
veneto
un
servizio
registrato
sul
luogo
.
Le
uniche
persone
che
ancora
non
si
sono
mosse
sono
le
autorità
comunali
,
provinciali
e
centrali
,
alle
quali
erano
state
inoltrare
petizioni
e
telegrammi
,
il
tutto
rimasto
ancora
senza
risposta
.
Il
sindaco
se
ne
lava
le
mani
con
la
scusa
che
non
ci
sono
soldi
e
quindi
la
questione
deve
essere
risolta
dal
centro
.
Ciò
può
essere
vero
,
ma
lui
,
come
prima
autorità
del
Comune
,
cosa
fa
per
far
intervenire
o
sollecitare
ad
intervenire
le
autorità
centrali
?
E
il
prefetto
,
al
quale
era
stata
inoltrata
una
petizione
firmata
da
coloro
che
hanno
dato
inizio
ai
lavori
,
il
prefetto
,
che
rappresenta
il
governo
centrale
,
cosa
ha
fatto
per
venire
in
aiuto
di
questa
gente
che
è
sotto
la
sua
giurisdizione
?
E
il
ministro
Bertinelli
,
informato
con
un
telegramma
di
quanto
sta
accadendo
a
Carassagno
?
Silenzio
su
tutto
il
fronte
della
Democrazia
cristiana
e
del
governo
.
Intanto
,
quelli
di
Carassagno
continuano
a
dodici
giorni
la
loro
azione
di
protesta
,
proseguendo
i
lavori
di
sterro
perché
la
loro
strada
la
vogliono
veder
fatta
.
Sono
decisi
ad
andare
fino
in
fondo
,
e
dopo
qualcuno
dovrà
pure
pagare
il
lavoro
fatto
.
«
Perché
avete
dato
inizio
ai
lavori
?
»
.
A
questa
domanda
dei
radio
-
intervistatori
hanno
risposto
diversi
protagonisti
dello
sciopero
a
rovescio
.
«
Perché
non
crediamo
più
alle
promesse
»
;
«
Perché
la
strada
è
il
principale
elemento
di
civiltà
»
;
«
Per
non
restare
più
isolati
dal
mondo
»
;
«
Per
poterci
recare
dal
medico
e
in
farmacia
»
.
Una
donna
che
partecipa
allo
sciopero
,
ha
risposto
:
«
Domani
una
ragazza
della
frazione
di
sposa
e
deve
fare
a
piedi
venti
chilometri
per
recarsi
in
chiesa
»
.
Tutti
gli
abitanti
del
villaggio
hanno
un
loro
validissimo
motivo
per
volere
la
strada
,
un
motivo
che
ha
trovato
nella
solidarietà
di
ognuno
di
loro
il
coraggio
di
diventare
forza
ed
unità
e
di
dare
avvio
ai
lavori
che
non
interromperanno
,
fino
a
quando
le
autorità
competenti
non
manifestino
concretamente
la
volontà
di
realizzare
l
'
opera
tanto
necessaria
.
Pensiamo
alla
giovane
sposa
di
Carassagno
,
che
nella
giornata
più
bella
della
sua
vita
,
è
costretta
a
percorrere
infreddolita
il
lungo
sentiero
infangato
,
senza
l
'
ausilio
di
un
mezzo
necessario
.
Le
provviste
per
il
pranzo
di
nozze
dovranno
essere
portate
a
spalle
dai
Boldi
,
l
'
acqua
per
cuocerle
dovrà
essere
attinta
e
trasportata
a
spalla
dai
Boldi
,
una
borgata
a
tre
-
quattro
chilometri
da
Carassagno
,
dove
c
'
è
l
'
unico
acquedotto
di
tutta
la
zona
,
rappresentato
da
un
lungo
e
rattoppato
tubo
di
gomma
che
,
sospeso
per
aria
sopra
il
torrente
,
attraversa
la
valle
da
un
versante
all
'
altro
,
e
riversa
il
suo
prezioso
liquido
in
un
mastello
posto
a
fianco
della
carreggiata
.
È
l
'
unica
«
moderna
»
opera
pubblica
fatta
dall
'
Amministrazione
comunale
,
tranne
la
scuoletta
dei
Boldi
,
che
però
è
chiusa
,
essendo
stata
costruita
troppo
distante
dal
luogo
dove
sono
i
bambini
in
età
scolastica
.