StampaQuotidiana ,
Charles
Baudelaire
nei
suoi
Fiori
include
anche
Weber
,
appaiandolo
,
un
po
'
all
'
ingrosso
,
col
Delacroix
:
sotto
un
ciclo
nel
quale
passano
fanfare
«
comme
un
soupir
étouffé
de
Weber
»
.
Strane
son
queste
fanfare
che
sospirano
,
e
ben
poco
weberiane
;
ma
forse
qui
Weber
c
'
è
entrato
perché
il
poeta
aveva
bisogno
di
rimare
col
vert
del
cielo
.
Il
Franco
cacciatore
è
del
'21
,
i
Fiori
del
male
escono
nel
'57
.
Poco
più
di
un
trentennio
era
dunque
bastato
a
divulgare
la
gloria
del
barone
Karl
Maria
von
Weber
,
e
,
insieme
,
l
'
equivoco
che
gravò
sempre
su
di
lui
in
Francia
,
dove
il
Freischütz
subì
esecuzioni
-
massacro
benché
si
debba
al
Berlioz
la
musica
dei
recitativi
,
che
nell
'
intenzione
del
Weber
dovevano
essere
parlati
secondo
il
carattere
del
Singspiel
tedesco
.
A
questa
forma
,
che
è
rituale
in
Germania
,
è
ieri
tornato
il
maestro
Carlo
Maria
Giulini
che
per
l
'
occasione
ha
fatto
ritradurre
tutti
i
recitativi
:
e
poiché
stavolta
i
cantanti
dovevano
recitare
in
una
lingua
a
essi
familiare
i
risultati
sono
stati
ben
più
soddisfacenti
che
nella
Carniera
.
Si
è
detto
che
il
Franco
cacciatore
è
un
'
opera
tipicamente
germanica
e
che
solo
un
tedesco
può
amarla
;
e
il
primo
a
esprimere
questo
giudizio
fu
Richard
Wagner
che
al
Weber
dell
'
Euryanthe
deve
,
per
il
suo
Lohengrin
,
più
di
qualcosa
.
Ma
questa
opinione
,
giustificata
nel
suo
tempo
,
è
ora
difficilmente
sostenibile
.
Un
'
opera
che
avesse
caratteri
puramente
nazionali
sarebbe
un
'
opera
da
museo
,
non
un
'
opera
viva
:
e
in
verità
,
anche
senza
voler
fare
un
ingeneroso
confronto
tra
Weber
e
Wagner
,
il
Franco
cacciatore
ha
,
nei
suoi
limiti
,
una
purezza
di
stile
che
invano
si
cercherebbe
nelle
opere
romantiche
del
primo
Wagner
.
È
un
frutto
singolare
,
maturato
al
momento
giusto
:
e
poiché
in
arte
non
crediamo
ai
coups
de
dés
,
ai
terni
al
lotto
,
dobbiamo
ammettere
che
il
musicista
giunto
al
momento
opportuno
(
si
chiami
esso
Weber
o
Bizet
)
sia
sempre
e
in
ogni
caso
meritevole
della
propria
fortuna
.
Karl
Maria
von
Weber
era
un
uomo
nato
nel
Settecento
,
un
tedesco
di
buona
cultura
non
soltanto
musicale
,
un
uomo
che
a
diciassette
anni
era
già
direttore
del
Teatro
di
Breslavía
e
che
a
vent
'
anni
poteva
conversare
con
uomini
come
Goethe
e
Wieland
.
Se
la
sua
educazione
e
la
sua
cultura
lo
portavano
naturalmente
a
vagheggiare
un
tipo
d
'
opera
in
musica
che
fosse
intensamente
nazionale
(
e
in
ciò
la
sua
poetica
concordava
con
quella
dei
romantici
tedeschi
)
quel
molto
di
settecentesco
che
viveva
in
lui
lo
portava
a
mantener
viva
l
'
unità
del
dramma
musicale
secondo
gli
schemi
che
nel
Settecento
(
il
grande
secolo
dei
musicisti
viaggiatori
e
cosmopoliti
)
avevano
fruttato
indiscutibili
capolavori
.
Il
problema
generale
era
(
ed
è
tuttora
)
quello
di
riempire
gli
schemi
,
non
di
distruggerli
;
e
il
problema
specifico
di
Weber
era
di
trovare
un
testo
,
un
libretto
che
gli
permettesse
di
fondere
insieme
il
senso
del
gotico
e
quello
dell
'
intimità
familiare
(
il
gemütlich
)
,
il
dramma
feerico
e
la
pastorale
,
la
vivacità
della
kermesse
e
la
bruma
della
leggenda
.
Trovò
l
'
argomento
che
gli
occorreva
nel
canovaccio
che
un
certo
avvocato
Friedrich
Kind
tolse
dal
Gespensterbuch
di
Apel
e
di
Laun
;
e
su
quello
,
servendosi
di
non
molti
temi
espressivi
e
senza
rinunciare
affatto
ai
pezzi
chiusi
,
alle
arie
,
ai
duetti
e
ai
concertati
,
gettò
la
musica
dei
suoi
corni
e
dei
suoi
clarinetti
,
l
'
incanto
di
uno
stile
robusto
e
ingenuo
,
fiabesco
e
insieme
fortemente
naturale
,
che
apparenta
Weber
(
e
non
so
se
il
raffronto
sia
stato
fatto
mai
)
con
l
'
arte
di
quel
francese
innamorato
della
Germania
,
Gérard
de
Nerval
,
di
cui
proprio
due
giorni
fa
ricorreva
il
centenario
della
morte
.
Ne
è
nata
un
'
opera
che
è
anche
un
fatto
di
cultura
,
l
'
uovo
di
Colombo
del
primo
romanticismo
.
Il
Freischütz
non
è
opera
che
possa
essere
amata
e
compresa
solo
dai
tedeschi
;
ma
è
opera
che
richiede
da
parte
dello
spettatore
non
tedesco
una
certa
iniziazione
culturale
:
in
difetto
di
questa
(
e
senza
pretendere
che
il
pubblico
di
ieri
mancasse
del
viatico
necessario
)
è
certo
ch
'
essa
doveva
essere
presentata
agli
odierni
spettatori
in
un
quadro
particolarmente
appropriato
.
Compito
non
facile
,
eppure
ieri
risolto
assai
bene
da
un
'
esecuzione
che
è
complessivamente
la
più
proporzionata
ed
equilibrata
che
si
sia
avuta
alla
Scala
nella
presente
stagione
.
Non
si
giunge
ai
risultati
ottenuti
ieri
da
Carlo
Maria
Giulini
senza
molto
studio
e
senza
una
squisita
intelligenza
e
sensibilità
.
L
'
esecuzione
della
stregonesca
scena
della
Bocca
del
Lupo
,
dov
'
è
raccolto
in
nuce
mezzo
secolo
di
musica
romantica
ancora
non
nata
,
l
'
introduzione
,
le
danze
,
le
arie
e
i
concertati
e
l
'
apoteosi
finale
hanno
trovato
nel
Giulini
quella
fermezza
,
quell
'
energia
e
insieme
quella
misura
che
solo
un
concertatore
di
prim
'
ordine
e
ormai
perfettamente
maturo
per
le
maggiori
prove
poteva
dare
.
Sul
palcoscenico
-
ed
è
fatto
poco
frequente
alla
Scala
-
non
un
artista
che
appaia
una
forza
sprecata
,
un
pesce
fuor
d
'
acqua
.
Agata
è
Victoria
de
Los
Angeles
di
cui
sarebbe
inutile
fare
l
'
elogio
dopo
il
ricordo
che
ha
lasciato
fra
noi
:
ha
mezzi
di
grande
concertista
,
senso
stilistico
perfetto
,
«
attacchi
»
e
modulazione
eccezionali
.
Come
attrice
non
si
spreca
ma
il
suo
portamento
è
sempre
nobile
.
Una
sorpresa
piovuta
dal
cielo
è
Eugenia
Ratti
che
in
un
mese
è
alla
sua
terza
opera
alla
Scala
:
già
franca
e
disinvolta
,
domina
una
voce
estesa
,
ferma
e
brillante
che
autorizza
le
migliori
speranze
.
Il
tenore
Picchi
nella
difficile
parte
dell
'
ingenuo
Max
canta
con
molta
quadratura
e
sicurezza
brani
che
darebbero
il
mal
di
mare
se
eseguiti
da
artisti
più
celebri
di
lui
.
E
il
Rossi
Lemeni
raffigura
con
forte
dizione
e
perfetta
arte
scenica
la
parte
del
diabolico
Kaspar
,
che
gli
permette
,
nella
scena
della
foresta
,
di
ottenere
un
vero
successo
personale
.
Tutti
gli
altri
:
l
'
Adani
,
il
Montarsolo
,
il
Sordello
,
lo
Zaccaria
e
lo
Zampieri
sono
pienamente
all
'
altezza
della
situazione
.
La
regia
di
Josef
Gielen
è
di
molto
effetto
ma
non
ci
sarebbe
spiaciuto
che
il
nero
diavolo
Samiel
si
facesse
vedere
di
più
:
non
abbiamo
sentito
odor
di
bruciaticcio
nel
primo
e
nell
'
ultimo
quadro
.
Vivacemente
colorati
,
troppo
a
nostro
gusto
,
i
bozzetti
e
i
figurini
di
Nicola
Benois
.
La
musica
di
Weber
ha
un
colore
d
'
anima
,
non
un
colore
visivo
.
E
forse
non
era
necessario
costruire
un
autentico
otto
volante
nella
Valle
dei
Lupi
.
I
cori
,
istruiti
da
Norberto
Mola
,
hanno
cantato
assai
bene
,
senza
esagerare
nelle
rustiche
intonazioni
che
sono
necessarie
in
questa
partitura
.
Luci
c
pirotecnica
nell
'
infernale
scena
della
fusione
del
piombo
maledetto
sono
state
amministrate
con
grande
effetto
.
Il
pubblico
ha
applaudito
con
calore
alla
fine
di
ogni
quadro
e
il
maestro
Giulini
,
il
regista
Gielen
,
il
Benois
e
il
maestro
Mola
sono
stati
chiamati
più
volte
alla
ribalta
coi
principali
interpreti
.
Applausi
a
scena
aperta
alla
Los
Angeles
e
alla
Ratti
,
e
alla
fine
un
'
ovazione
per
tutti
.