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> autore_s:"Montale Eugenio"
Paul Hindemith ( Montale Eugenio , 1961 )
StampaQuotidiana ,
Venezia , 15 aprile - Un intero concerto di musiche per flauto rischia di annoiare mortalmente quando l ' esecutore non abbia la bravura di Severino Gazzelloni che si è presentato nel pomeriggio di ieri nelle sale Apollinee della Fenice con un nutrito programma . In breve egli ci ha dato un saggio dell ' evoluzione tecnica che ha subìto il suo strumento a partire dall ' Après - midi d ' un faune di Debussy . Abbiamo così ascoltato difficilissime musiche moderne e di estrema avanguardia . Di André Jolivet Cinque Incantesimi per flauto solo accompagnati da esoteriche didascalie ; del tedesco - americano Stefan Wolpe una Sonata per flauto e pianoforte ali ordinaria amministrazione seriale ; di Edgar Varèse Density 21 , 5 , un difficile brano che risale al '36 e che impone portentose acrobazie allo strumentista ; di Olivier Messiaen un massiccio Merlo nero per flauto e pianoforte , virtuosistico all ' eccesso e alquanto opprimente ; di Debussy l ' ormai classica Syrinx per flauto solo , un piccolo capolavoro ; di Franco Evangelisti alcune Proporzioni per flauto solo , di una soporifera aridità . Completavano il programma una Sonatine per flauto solo ali Pierre Boulez , seconda versione scritta per il Gazzelloni di un ' opera che fu composta nel '36 e che si può ascoltare disponendo di molta pazienza ; e un recente lavoro di Mario Peragallo , Vibrazioni per tre flauti , pianoforte e tiptofono : uno strumento che è una specie di carillon di percussioni d ' ogni tipo a intonazione indeterminata . Completano l ' insieme l ' ottavino , il flauto e un diapason a tasto . Nulla di eccezionale , ma un successo di stima . Il pubblico ha applaudito con entusiasmo il fenomenale Gazzelloni e il valente pianista Frederik Rzewski . Nel concerto serale , che si è tenuto nella Scuola Grande di San Rocco , Paul Hindemith , dirigendo l ' Orchestra della Fenice , ci ha fatto conoscere la sua Pittsburgh Symphony , da lui scritta per festeggiare il bicentenario di quella città . È un lavoro di ampie proporzioni , ma di troppo evidente carattere occasionale . Altre musiche da lui dirette : La grande fuga in si bemolle opera 133 per orchestra d ' archi di Beethoven ; le Variazioni di Blacher su un tema di Paganini ( opera 26 ) per orchestra ; la Sinfonia opera 21 di Webern per orchestra da camera che il programma annuncia come la bibbia dell ' ermetismo musicale e che per la sua brevità si ascolta ancora con piacere . Vivissimo il successo , scarso l ' interesse .
«Il franco cacciatore» di Weber ( Montale Eugenio , 1955 )
StampaQuotidiana ,
Charles Baudelaire nei suoi Fiori include anche Weber , appaiandolo , un po ' all ' ingrosso , col Delacroix : sotto un ciclo nel quale passano fanfare « comme un soupir étouffé de Weber » . Strane son queste fanfare che sospirano , e ben poco weberiane ; ma forse qui Weber c ' è entrato perché il poeta aveva bisogno di rimare col vert del cielo . Il Franco cacciatore è del '21 , i Fiori del male escono nel '57 . Poco più di un trentennio era dunque bastato a divulgare la gloria del barone Karl Maria von Weber , e , insieme , l ' equivoco che gravò sempre su di lui in Francia , dove il Freischütz subì esecuzioni - massacro benché si debba al Berlioz la musica dei recitativi , che nell ' intenzione del Weber dovevano essere parlati secondo il carattere del Singspiel tedesco . A questa forma , che è rituale in Germania , è ieri tornato il maestro Carlo Maria Giulini che per l ' occasione ha fatto ritradurre tutti i recitativi : e poiché stavolta i cantanti dovevano recitare in una lingua a essi familiare i risultati sono stati ben più soddisfacenti che nella Carniera . Si è detto che il Franco cacciatore è un ' opera tipicamente germanica e che solo un tedesco può amarla ; e il primo a esprimere questo giudizio fu Richard Wagner che al Weber dell ' Euryanthe deve , per il suo Lohengrin , più di qualcosa . Ma questa opinione , giustificata nel suo tempo , è ora difficilmente sostenibile . Un ' opera che avesse caratteri puramente nazionali sarebbe un ' opera da museo , non un ' opera viva : e in verità , anche senza voler fare un ingeneroso confronto tra Weber e Wagner , il Franco cacciatore ha , nei suoi limiti , una purezza di stile che invano si cercherebbe nelle opere romantiche del primo Wagner . È un frutto singolare , maturato al momento giusto : e poiché in arte non crediamo ai coups de dés , ai terni al lotto , dobbiamo ammettere che il musicista giunto al momento opportuno ( si chiami esso Weber o Bizet ) sia sempre e in ogni caso meritevole della propria fortuna . Karl Maria von Weber era un uomo nato nel Settecento , un tedesco di buona cultura non soltanto musicale , un uomo che a diciassette anni era già direttore del Teatro di Breslavía e che a vent ' anni poteva conversare con uomini come Goethe e Wieland . Se la sua educazione e la sua cultura lo portavano naturalmente a vagheggiare un tipo d ' opera in musica che fosse intensamente nazionale ( e in ciò la sua poetica concordava con quella dei romantici tedeschi ) quel molto di settecentesco che viveva in lui lo portava a mantener viva l ' unità del dramma musicale secondo gli schemi che nel Settecento ( il grande secolo dei musicisti viaggiatori e cosmopoliti ) avevano fruttato indiscutibili capolavori . Il problema generale era ( ed è tuttora ) quello di riempire gli schemi , non di distruggerli ; e il problema specifico di Weber era di trovare un testo , un libretto che gli permettesse di fondere insieme il senso del gotico e quello dell ' intimità familiare ( il gemütlich ) , il dramma feerico e la pastorale , la vivacità della kermesse e la bruma della leggenda . Trovò l ' argomento che gli occorreva nel canovaccio che un certo avvocato Friedrich Kind tolse dal Gespensterbuch di Apel e di Laun ; e su quello , servendosi di non molti temi espressivi e senza rinunciare affatto ai pezzi chiusi , alle arie , ai duetti e ai concertati , gettò la musica dei suoi corni e dei suoi clarinetti , l ' incanto di uno stile robusto e ingenuo , fiabesco e insieme fortemente naturale , che apparenta Weber ( e non so se il raffronto sia stato fatto mai ) con l ' arte di quel francese innamorato della Germania , Gérard de Nerval , di cui proprio due giorni fa ricorreva il centenario della morte . Ne è nata un ' opera che è anche un fatto di cultura , l ' uovo di Colombo del primo romanticismo . Il Freischütz non è opera che possa essere amata e compresa solo dai tedeschi ; ma è opera che richiede da parte dello spettatore non tedesco una certa iniziazione culturale : in difetto di questa ( e senza pretendere che il pubblico di ieri mancasse del viatico necessario ) è certo ch ' essa doveva essere presentata agli odierni spettatori in un quadro particolarmente appropriato . Compito non facile , eppure ieri risolto assai bene da un ' esecuzione che è complessivamente la più proporzionata ed equilibrata che si sia avuta alla Scala nella presente stagione . Non si giunge ai risultati ottenuti ieri da Carlo Maria Giulini senza molto studio e senza una squisita intelligenza e sensibilità . L ' esecuzione della stregonesca scena della Bocca del Lupo , dov ' è raccolto in nuce mezzo secolo di musica romantica ancora non nata , l ' introduzione , le danze , le arie e i concertati e l ' apoteosi finale hanno trovato nel Giulini quella fermezza , quell ' energia e insieme quella misura che solo un concertatore di prim ' ordine e ormai perfettamente maturo per le maggiori prove poteva dare . Sul palcoscenico - ed è fatto poco frequente alla Scala - non un artista che appaia una forza sprecata , un pesce fuor d ' acqua . Agata è Victoria de Los Angeles di cui sarebbe inutile fare l ' elogio dopo il ricordo che ha lasciato fra noi : ha mezzi di grande concertista , senso stilistico perfetto , « attacchi » e modulazione eccezionali . Come attrice non si spreca ma il suo portamento è sempre nobile . Una sorpresa piovuta dal cielo è Eugenia Ratti che in un mese è alla sua terza opera alla Scala : già franca e disinvolta , domina una voce estesa , ferma e brillante che autorizza le migliori speranze . Il tenore Picchi nella difficile parte dell ' ingenuo Max canta con molta quadratura e sicurezza brani che darebbero il mal di mare se eseguiti da artisti più celebri di lui . E il Rossi Lemeni raffigura con forte dizione e perfetta arte scenica la parte del diabolico Kaspar , che gli permette , nella scena della foresta , di ottenere un vero successo personale . Tutti gli altri : l ' Adani , il Montarsolo , il Sordello , lo Zaccaria e lo Zampieri sono pienamente all ' altezza della situazione . La regia di Josef Gielen è di molto effetto ma non ci sarebbe spiaciuto che il nero diavolo Samiel si facesse vedere di più : non abbiamo sentito odor di bruciaticcio nel primo e nell ' ultimo quadro . Vivacemente colorati , troppo a nostro gusto , i bozzetti e i figurini di Nicola Benois . La musica di Weber ha un colore d ' anima , non un colore visivo . E forse non era necessario costruire un autentico otto volante nella Valle dei Lupi . I cori , istruiti da Norberto Mola , hanno cantato assai bene , senza esagerare nelle rustiche intonazioni che sono necessarie in questa partitura . Luci c pirotecnica nell ' infernale scena della fusione del piombo maledetto sono state amministrate con grande effetto . Il pubblico ha applaudito con calore alla fine di ogni quadro e il maestro Giulini , il regista Gielen , il Benois e il maestro Mola sono stati chiamati più volte alla ribalta coi principali interpreti . Applausi a scena aperta alla Los Angeles e alla Ratti , e alla fine un ' ovazione per tutti .
«La Walchiria» di Wagner ( Montale Eugenio , 1955 )
StampaQuotidiana ,
Fino a una trentina d ' anni fa l ' Italia aveva assimilato Wagner a modo suo : riducendolo , con molti tagli , a proporzioni ragionevoli e rendendolo così eseguibile da ugole italiane , in genere migliori di quelle tedesche ma molto meno resistenti alla fatica . Si era così formata una classe di buoni cantanti wagneriani in lingua italiana , oggi dispersa o dimenticata . È un peccato , perché qualche onesta Brunilde nostrana avrebbe potuto , con un po ' di riposo , trasformarsi in una decente Norma e magari in una accettabile Minnie pucciniana ( se è vero che alla Scala hanno rinunziato quest ' anno alla Fanciulla del West non avendo a disposizione un ' interprete adeguata ) . E i tenori italiani capaci di esser Sigfrido o Walter , oggi che il repertorio moderno impone un estremo eclettismo , avrebbero potuto trovare impiego in altre parti . In ogni modo le cose sono andate come tutti sanno ; e oggi anche in città di provincia italiane è facile che Wagner si dia in tedesco , con artisti tedeschi e in edizioni più o meno integrali , ma sempre di lunga durata . Venuto meno il compromesso che si era formato ( stile press ' a poco tedesco ma voci italiane e un po ' di respiro al pubblico ) , alquanto diradato lo stuolo dei « bidelli del Walhalla » , dei wagneriani intransigenti che si recavano a teatro con la loro brava guida tematica e che trovavano « troppo corto » l ' interminabile duetto fra Ortruda e Telramondo , nel Lohengrin ; sparito o quasi il manipolo dei maniaci che giudicavano il poema dei Nibelunghi come la summa di tutta una tradizione orfico - teosofica dopo la quale a poeti e musicisti non sarebbe restato che il compito d ' incrociar le braccia e tacere per sempre ; resta ancora ai drammi wagneriani della Tetralogia la possibilità di trovare in Italia un pubblico nuovo . È un pubblico composto , in parte , da nemici del melodramma di tipo nostrano , da gente che detesta le stupide parole dei nostri libretti e le inverosimili , indecifrabili trame che Donizetti e Verdi rivestirono di note . A coloro per i quali la sola musica è quella di Bach , a chi crede che il nostro melodramma sia « una barba » , Wagner offre uno strano rimedio che consiste nell ' intensificazione degli assurdi lamentati : una serie di canovacci talmente incomprensibili che non comprendere diventa una condizione favorevole all ' immersione nell ' opera d ' arte . L ' ascoltatore attuale ( italiano ) di Wagner non intende né le parole né i fatti e il suo godimento è in proporzione diretta dell ' assurdità della situazione in cui si vede immerso . Wagner offre situazioni , musica e canto allo stato puro , incandescente : è antologico perché potreste prenderlo a spizzico e ogni sua pagina ha sempre valore di morceau choisi , ma è anche unitario perché il suo segno è uguale dovunque . Per diversi motivi di fronte a Wagner devono arrendersi tanto i sostenitori dell ' arte come totalità ( che spesso vuol dir noia ) quanto i fedeli del « pezzo » , della scintilla , dell ' ispirazione . Furore e pedantesca lentezza , raptus e istrionica ricerca degli effetti sono le componenti del genio wagneriano , un genio riassuntivo che liquida molte possibilità e chiude per sempre molte porte . Dopo di lui i migliori musicisti furono coloro che lottarono tutta la vita per « non fare del Wagner » , magari utilizzando e componendo in nuova sintesi qualche suo spicciolo , qualche suo aspetto secondario . Da Wagner , soprattutto da quello del Tristano , viene gran parte del cromatismo della musica contemporanea , in particolare quello della musica seriale , dei dodici suoni in libertà ( o in nuova servitù ) . Ma Wagner era anche un inventore di formidabili temi , un mistico che tirava al sodo e applicava a colpo sicuro un suo particolare montaggio , con l ' intelligenza un po ' fredda e applicata del grande uomo di teatro e del grande letterato . I suoi successori più o meno diretti ( escluso lo Strauss operista , che un giorno sarà certo rivalutato ) mancano di quel côté bête in difetto del quale è inutile affrontare opere di lunga lena . Ieri sera abbiamo risentito dunque Wagner cantato in tedesco e nella sua integrità , diretto da un maestro come Otto Ackermann che non è un astro di prima grandezza ma possiede l ' autorità necessaria e che in opere simili ( e anche nel genere della musica leggera ) ha sempre dimostrato di sapere il fatto suo ; e abbiamo ascoltato cantanti di valore molto ineguale , ma tutti in possesso di un ottimo stile wagneriano . Che effetto ci farebbero oggi le vecchie esecuzioni di Mascheroni e di Rodolfo Ferrari , del tenore Borgatti e di Teresina Burchi ? È quasi impossibile dirlo . I cantanti italiani sono obbligati , dalla nostra lingua , ai suoni rotondi , impostati , all ' intonazione precisa : qualità che in Wagner , escluso s ' intende il Lohengrin , sono richieste in misura secondaria . Wagner stanca terribilmente le ugole italiane ; ho memoria di un Parsifal in cui tre Gurnemanz dovettero cedere le armi dopo una sola rappresentazione . Wotan e Brunilde parlano e cantano insieme , nelle nostre opere canto e recitativo sono regolati da leggi assai diverse . Martha Moedl ( Brunilde ) è come un motore che abbia incredibili qualità di ripresa : quando sembra stanca e si direbbe che l ' « appoggio » sia caduto , la sua impennata si dispiega ancora e la voce torna a espandersi quasi in modo immateriale . È una grande cantante e una buona Brunilde , anche se non possiamo chiederle la tempestosa , ciclonica vocalità di una Flagstad . Senza troppe finezze ma sonora come una tromba è la voce di Leonie Rysanek ( Siglinde ) ; e in questa esecuzione Siglinde potrebbe essere Brunilde o viceversa . Manca forse il distacco necessario . Bellissima voce , fin troppo dolce ha Grace Hoffmann , soddisfacente Fricka . Hans Hotter è un Wotan potente ed espressivo , di una resistenza eccezionale ; Ludwig Weber , vecchia conoscenza , dà molto carattere alla parte del bieco Hunding . Meno persuasivo è il Siegmund di Wolfgang Windgassen , che pure sopporta bene una parte massacrante . Non tutte egualmente disciplinate le otto Walkirie , signore Mariella Angioletti , Luisa Villa , Elfriede Wild , Veronica Wolfram , Nelde Clavel , Martha Thompson , Hanna Ludwig e , ancora , Grace Hoffmann . L ' allestimento scenico , i bozzetti e i figurini sono quelli , già noti , di Nicola Benois ; la regia è di Mario Frigerio , come sempre misuratissimo e pieno di buon senso . In complesso un ' esecuzione non tutta di prim ' ordine , ma di sicura impronta artistica . Il pubblico - un pubblico , naturalmente , da « tutto esaurito » - l ' ha applaudita a lungo , evocando molte volte alla ribalta i principali interpreti e il maestro Ackermann , la cui ancor bruna zazzera , quando si vedeva emergere dal golfo mistico , non ha avuto un attimo di riposo .