StampaQuotidiana ,
Venezia
,
15
aprile
-
Un
intero
concerto
di
musiche
per
flauto
rischia
di
annoiare
mortalmente
quando
l
'
esecutore
non
abbia
la
bravura
di
Severino
Gazzelloni
che
si
è
presentato
nel
pomeriggio
di
ieri
nelle
sale
Apollinee
della
Fenice
con
un
nutrito
programma
.
In
breve
egli
ci
ha
dato
un
saggio
dell
'
evoluzione
tecnica
che
ha
subìto
il
suo
strumento
a
partire
dall
'
Après
-
midi
d
'
un
faune
di
Debussy
.
Abbiamo
così
ascoltato
difficilissime
musiche
moderne
e
di
estrema
avanguardia
.
Di
André
Jolivet
Cinque
Incantesimi
per
flauto
solo
accompagnati
da
esoteriche
didascalie
;
del
tedesco
-
americano
Stefan
Wolpe
una
Sonata
per
flauto
e
pianoforte
ali
ordinaria
amministrazione
seriale
;
di
Edgar
Varèse
Density
21
,
5
,
un
difficile
brano
che
risale
al
'36
e
che
impone
portentose
acrobazie
allo
strumentista
;
di
Olivier
Messiaen
un
massiccio
Merlo
nero
per
flauto
e
pianoforte
,
virtuosistico
all
'
eccesso
e
alquanto
opprimente
;
di
Debussy
l
'
ormai
classica
Syrinx
per
flauto
solo
,
un
piccolo
capolavoro
;
di
Franco
Evangelisti
alcune
Proporzioni
per
flauto
solo
,
di
una
soporifera
aridità
.
Completavano
il
programma
una
Sonatine
per
flauto
solo
ali
Pierre
Boulez
,
seconda
versione
scritta
per
il
Gazzelloni
di
un
'
opera
che
fu
composta
nel
'36
e
che
si
può
ascoltare
disponendo
di
molta
pazienza
;
e
un
recente
lavoro
di
Mario
Peragallo
,
Vibrazioni
per
tre
flauti
,
pianoforte
e
tiptofono
:
uno
strumento
che
è
una
specie
di
carillon
di
percussioni
d
'
ogni
tipo
a
intonazione
indeterminata
.
Completano
l
'
insieme
l
'
ottavino
,
il
flauto
e
un
diapason
a
tasto
.
Nulla
di
eccezionale
,
ma
un
successo
di
stima
.
Il
pubblico
ha
applaudito
con
entusiasmo
il
fenomenale
Gazzelloni
e
il
valente
pianista
Frederik
Rzewski
.
Nel
concerto
serale
,
che
si
è
tenuto
nella
Scuola
Grande
di
San
Rocco
,
Paul
Hindemith
,
dirigendo
l
'
Orchestra
della
Fenice
,
ci
ha
fatto
conoscere
la
sua
Pittsburgh
Symphony
,
da
lui
scritta
per
festeggiare
il
bicentenario
di
quella
città
.
È
un
lavoro
di
ampie
proporzioni
,
ma
di
troppo
evidente
carattere
occasionale
.
Altre
musiche
da
lui
dirette
:
La
grande
fuga
in
si
bemolle
opera
133
per
orchestra
d
'
archi
di
Beethoven
;
le
Variazioni
di
Blacher
su
un
tema
di
Paganini
(
opera
26
)
per
orchestra
;
la
Sinfonia
opera
21
di
Webern
per
orchestra
da
camera
che
il
programma
annuncia
come
la
bibbia
dell
'
ermetismo
musicale
e
che
per
la
sua
brevità
si
ascolta
ancora
con
piacere
.
Vivissimo
il
successo
,
scarso
l
'
interesse
.
StampaQuotidiana ,
Charles
Baudelaire
nei
suoi
Fiori
include
anche
Weber
,
appaiandolo
,
un
po
'
all
'
ingrosso
,
col
Delacroix
:
sotto
un
ciclo
nel
quale
passano
fanfare
«
comme
un
soupir
étouffé
de
Weber
»
.
Strane
son
queste
fanfare
che
sospirano
,
e
ben
poco
weberiane
;
ma
forse
qui
Weber
c
'
è
entrato
perché
il
poeta
aveva
bisogno
di
rimare
col
vert
del
cielo
.
Il
Franco
cacciatore
è
del
'21
,
i
Fiori
del
male
escono
nel
'57
.
Poco
più
di
un
trentennio
era
dunque
bastato
a
divulgare
la
gloria
del
barone
Karl
Maria
von
Weber
,
e
,
insieme
,
l
'
equivoco
che
gravò
sempre
su
di
lui
in
Francia
,
dove
il
Freischütz
subì
esecuzioni
-
massacro
benché
si
debba
al
Berlioz
la
musica
dei
recitativi
,
che
nell
'
intenzione
del
Weber
dovevano
essere
parlati
secondo
il
carattere
del
Singspiel
tedesco
.
A
questa
forma
,
che
è
rituale
in
Germania
,
è
ieri
tornato
il
maestro
Carlo
Maria
Giulini
che
per
l
'
occasione
ha
fatto
ritradurre
tutti
i
recitativi
:
e
poiché
stavolta
i
cantanti
dovevano
recitare
in
una
lingua
a
essi
familiare
i
risultati
sono
stati
ben
più
soddisfacenti
che
nella
Carniera
.
Si
è
detto
che
il
Franco
cacciatore
è
un
'
opera
tipicamente
germanica
e
che
solo
un
tedesco
può
amarla
;
e
il
primo
a
esprimere
questo
giudizio
fu
Richard
Wagner
che
al
Weber
dell
'
Euryanthe
deve
,
per
il
suo
Lohengrin
,
più
di
qualcosa
.
Ma
questa
opinione
,
giustificata
nel
suo
tempo
,
è
ora
difficilmente
sostenibile
.
Un
'
opera
che
avesse
caratteri
puramente
nazionali
sarebbe
un
'
opera
da
museo
,
non
un
'
opera
viva
:
e
in
verità
,
anche
senza
voler
fare
un
ingeneroso
confronto
tra
Weber
e
Wagner
,
il
Franco
cacciatore
ha
,
nei
suoi
limiti
,
una
purezza
di
stile
che
invano
si
cercherebbe
nelle
opere
romantiche
del
primo
Wagner
.
È
un
frutto
singolare
,
maturato
al
momento
giusto
:
e
poiché
in
arte
non
crediamo
ai
coups
de
dés
,
ai
terni
al
lotto
,
dobbiamo
ammettere
che
il
musicista
giunto
al
momento
opportuno
(
si
chiami
esso
Weber
o
Bizet
)
sia
sempre
e
in
ogni
caso
meritevole
della
propria
fortuna
.
Karl
Maria
von
Weber
era
un
uomo
nato
nel
Settecento
,
un
tedesco
di
buona
cultura
non
soltanto
musicale
,
un
uomo
che
a
diciassette
anni
era
già
direttore
del
Teatro
di
Breslavía
e
che
a
vent
'
anni
poteva
conversare
con
uomini
come
Goethe
e
Wieland
.
Se
la
sua
educazione
e
la
sua
cultura
lo
portavano
naturalmente
a
vagheggiare
un
tipo
d
'
opera
in
musica
che
fosse
intensamente
nazionale
(
e
in
ciò
la
sua
poetica
concordava
con
quella
dei
romantici
tedeschi
)
quel
molto
di
settecentesco
che
viveva
in
lui
lo
portava
a
mantener
viva
l
'
unità
del
dramma
musicale
secondo
gli
schemi
che
nel
Settecento
(
il
grande
secolo
dei
musicisti
viaggiatori
e
cosmopoliti
)
avevano
fruttato
indiscutibili
capolavori
.
Il
problema
generale
era
(
ed
è
tuttora
)
quello
di
riempire
gli
schemi
,
non
di
distruggerli
;
e
il
problema
specifico
di
Weber
era
di
trovare
un
testo
,
un
libretto
che
gli
permettesse
di
fondere
insieme
il
senso
del
gotico
e
quello
dell
'
intimità
familiare
(
il
gemütlich
)
,
il
dramma
feerico
e
la
pastorale
,
la
vivacità
della
kermesse
e
la
bruma
della
leggenda
.
Trovò
l
'
argomento
che
gli
occorreva
nel
canovaccio
che
un
certo
avvocato
Friedrich
Kind
tolse
dal
Gespensterbuch
di
Apel
e
di
Laun
;
e
su
quello
,
servendosi
di
non
molti
temi
espressivi
e
senza
rinunciare
affatto
ai
pezzi
chiusi
,
alle
arie
,
ai
duetti
e
ai
concertati
,
gettò
la
musica
dei
suoi
corni
e
dei
suoi
clarinetti
,
l
'
incanto
di
uno
stile
robusto
e
ingenuo
,
fiabesco
e
insieme
fortemente
naturale
,
che
apparenta
Weber
(
e
non
so
se
il
raffronto
sia
stato
fatto
mai
)
con
l
'
arte
di
quel
francese
innamorato
della
Germania
,
Gérard
de
Nerval
,
di
cui
proprio
due
giorni
fa
ricorreva
il
centenario
della
morte
.
Ne
è
nata
un
'
opera
che
è
anche
un
fatto
di
cultura
,
l
'
uovo
di
Colombo
del
primo
romanticismo
.
Il
Freischütz
non
è
opera
che
possa
essere
amata
e
compresa
solo
dai
tedeschi
;
ma
è
opera
che
richiede
da
parte
dello
spettatore
non
tedesco
una
certa
iniziazione
culturale
:
in
difetto
di
questa
(
e
senza
pretendere
che
il
pubblico
di
ieri
mancasse
del
viatico
necessario
)
è
certo
ch
'
essa
doveva
essere
presentata
agli
odierni
spettatori
in
un
quadro
particolarmente
appropriato
.
Compito
non
facile
,
eppure
ieri
risolto
assai
bene
da
un
'
esecuzione
che
è
complessivamente
la
più
proporzionata
ed
equilibrata
che
si
sia
avuta
alla
Scala
nella
presente
stagione
.
Non
si
giunge
ai
risultati
ottenuti
ieri
da
Carlo
Maria
Giulini
senza
molto
studio
e
senza
una
squisita
intelligenza
e
sensibilità
.
L
'
esecuzione
della
stregonesca
scena
della
Bocca
del
Lupo
,
dov
'
è
raccolto
in
nuce
mezzo
secolo
di
musica
romantica
ancora
non
nata
,
l
'
introduzione
,
le
danze
,
le
arie
e
i
concertati
e
l
'
apoteosi
finale
hanno
trovato
nel
Giulini
quella
fermezza
,
quell
'
energia
e
insieme
quella
misura
che
solo
un
concertatore
di
prim
'
ordine
e
ormai
perfettamente
maturo
per
le
maggiori
prove
poteva
dare
.
Sul
palcoscenico
-
ed
è
fatto
poco
frequente
alla
Scala
-
non
un
artista
che
appaia
una
forza
sprecata
,
un
pesce
fuor
d
'
acqua
.
Agata
è
Victoria
de
Los
Angeles
di
cui
sarebbe
inutile
fare
l
'
elogio
dopo
il
ricordo
che
ha
lasciato
fra
noi
:
ha
mezzi
di
grande
concertista
,
senso
stilistico
perfetto
,
«
attacchi
»
e
modulazione
eccezionali
.
Come
attrice
non
si
spreca
ma
il
suo
portamento
è
sempre
nobile
.
Una
sorpresa
piovuta
dal
cielo
è
Eugenia
Ratti
che
in
un
mese
è
alla
sua
terza
opera
alla
Scala
:
già
franca
e
disinvolta
,
domina
una
voce
estesa
,
ferma
e
brillante
che
autorizza
le
migliori
speranze
.
Il
tenore
Picchi
nella
difficile
parte
dell
'
ingenuo
Max
canta
con
molta
quadratura
e
sicurezza
brani
che
darebbero
il
mal
di
mare
se
eseguiti
da
artisti
più
celebri
di
lui
.
E
il
Rossi
Lemeni
raffigura
con
forte
dizione
e
perfetta
arte
scenica
la
parte
del
diabolico
Kaspar
,
che
gli
permette
,
nella
scena
della
foresta
,
di
ottenere
un
vero
successo
personale
.
Tutti
gli
altri
:
l
'
Adani
,
il
Montarsolo
,
il
Sordello
,
lo
Zaccaria
e
lo
Zampieri
sono
pienamente
all
'
altezza
della
situazione
.
La
regia
di
Josef
Gielen
è
di
molto
effetto
ma
non
ci
sarebbe
spiaciuto
che
il
nero
diavolo
Samiel
si
facesse
vedere
di
più
:
non
abbiamo
sentito
odor
di
bruciaticcio
nel
primo
e
nell
'
ultimo
quadro
.
Vivacemente
colorati
,
troppo
a
nostro
gusto
,
i
bozzetti
e
i
figurini
di
Nicola
Benois
.
La
musica
di
Weber
ha
un
colore
d
'
anima
,
non
un
colore
visivo
.
E
forse
non
era
necessario
costruire
un
autentico
otto
volante
nella
Valle
dei
Lupi
.
I
cori
,
istruiti
da
Norberto
Mola
,
hanno
cantato
assai
bene
,
senza
esagerare
nelle
rustiche
intonazioni
che
sono
necessarie
in
questa
partitura
.
Luci
c
pirotecnica
nell
'
infernale
scena
della
fusione
del
piombo
maledetto
sono
state
amministrate
con
grande
effetto
.
Il
pubblico
ha
applaudito
con
calore
alla
fine
di
ogni
quadro
e
il
maestro
Giulini
,
il
regista
Gielen
,
il
Benois
e
il
maestro
Mola
sono
stati
chiamati
più
volte
alla
ribalta
coi
principali
interpreti
.
Applausi
a
scena
aperta
alla
Los
Angeles
e
alla
Ratti
,
e
alla
fine
un
'
ovazione
per
tutti
.
StampaQuotidiana ,
Fino
a
una
trentina
d
'
anni
fa
l
'
Italia
aveva
assimilato
Wagner
a
modo
suo
:
riducendolo
,
con
molti
tagli
,
a
proporzioni
ragionevoli
e
rendendolo
così
eseguibile
da
ugole
italiane
,
in
genere
migliori
di
quelle
tedesche
ma
molto
meno
resistenti
alla
fatica
.
Si
era
così
formata
una
classe
di
buoni
cantanti
wagneriani
in
lingua
italiana
,
oggi
dispersa
o
dimenticata
.
È
un
peccato
,
perché
qualche
onesta
Brunilde
nostrana
avrebbe
potuto
,
con
un
po
'
di
riposo
,
trasformarsi
in
una
decente
Norma
e
magari
in
una
accettabile
Minnie
pucciniana
(
se
è
vero
che
alla
Scala
hanno
rinunziato
quest
'
anno
alla
Fanciulla
del
West
non
avendo
a
disposizione
un
'
interprete
adeguata
)
.
E
i
tenori
italiani
capaci
di
esser
Sigfrido
o
Walter
,
oggi
che
il
repertorio
moderno
impone
un
estremo
eclettismo
,
avrebbero
potuto
trovare
impiego
in
altre
parti
.
In
ogni
modo
le
cose
sono
andate
come
tutti
sanno
;
e
oggi
anche
in
città
di
provincia
italiane
è
facile
che
Wagner
si
dia
in
tedesco
,
con
artisti
tedeschi
e
in
edizioni
più
o
meno
integrali
,
ma
sempre
di
lunga
durata
.
Venuto
meno
il
compromesso
che
si
era
formato
(
stile
press
'
a
poco
tedesco
ma
voci
italiane
e
un
po
'
di
respiro
al
pubblico
)
,
alquanto
diradato
lo
stuolo
dei
«
bidelli
del
Walhalla
»
,
dei
wagneriani
intransigenti
che
si
recavano
a
teatro
con
la
loro
brava
guida
tematica
e
che
trovavano
«
troppo
corto
»
l
'
interminabile
duetto
fra
Ortruda
e
Telramondo
,
nel
Lohengrin
;
sparito
o
quasi
il
manipolo
dei
maniaci
che
giudicavano
il
poema
dei
Nibelunghi
come
la
summa
di
tutta
una
tradizione
orfico
-
teosofica
dopo
la
quale
a
poeti
e
musicisti
non
sarebbe
restato
che
il
compito
d
'
incrociar
le
braccia
e
tacere
per
sempre
;
resta
ancora
ai
drammi
wagneriani
della
Tetralogia
la
possibilità
di
trovare
in
Italia
un
pubblico
nuovo
.
È
un
pubblico
composto
,
in
parte
,
da
nemici
del
melodramma
di
tipo
nostrano
,
da
gente
che
detesta
le
stupide
parole
dei
nostri
libretti
e
le
inverosimili
,
indecifrabili
trame
che
Donizetti
e
Verdi
rivestirono
di
note
.
A
coloro
per
i
quali
la
sola
musica
è
quella
di
Bach
,
a
chi
crede
che
il
nostro
melodramma
sia
«
una
barba
»
,
Wagner
offre
uno
strano
rimedio
che
consiste
nell
'
intensificazione
degli
assurdi
lamentati
:
una
serie
di
canovacci
talmente
incomprensibili
che
non
comprendere
diventa
una
condizione
favorevole
all
'
immersione
nell
'
opera
d
'
arte
.
L
'
ascoltatore
attuale
(
italiano
)
di
Wagner
non
intende
né
le
parole
né
i
fatti
e
il
suo
godimento
è
in
proporzione
diretta
dell
'
assurdità
della
situazione
in
cui
si
vede
immerso
.
Wagner
offre
situazioni
,
musica
e
canto
allo
stato
puro
,
incandescente
:
è
antologico
perché
potreste
prenderlo
a
spizzico
e
ogni
sua
pagina
ha
sempre
valore
di
morceau
choisi
,
ma
è
anche
unitario
perché
il
suo
segno
è
uguale
dovunque
.
Per
diversi
motivi
di
fronte
a
Wagner
devono
arrendersi
tanto
i
sostenitori
dell
'
arte
come
totalità
(
che
spesso
vuol
dir
noia
)
quanto
i
fedeli
del
«
pezzo
»
,
della
scintilla
,
dell
'
ispirazione
.
Furore
e
pedantesca
lentezza
,
raptus
e
istrionica
ricerca
degli
effetti
sono
le
componenti
del
genio
wagneriano
,
un
genio
riassuntivo
che
liquida
molte
possibilità
e
chiude
per
sempre
molte
porte
.
Dopo
di
lui
i
migliori
musicisti
furono
coloro
che
lottarono
tutta
la
vita
per
«
non
fare
del
Wagner
»
,
magari
utilizzando
e
componendo
in
nuova
sintesi
qualche
suo
spicciolo
,
qualche
suo
aspetto
secondario
.
Da
Wagner
,
soprattutto
da
quello
del
Tristano
,
viene
gran
parte
del
cromatismo
della
musica
contemporanea
,
in
particolare
quello
della
musica
seriale
,
dei
dodici
suoni
in
libertà
(
o
in
nuova
servitù
)
.
Ma
Wagner
era
anche
un
inventore
di
formidabili
temi
,
un
mistico
che
tirava
al
sodo
e
applicava
a
colpo
sicuro
un
suo
particolare
montaggio
,
con
l
'
intelligenza
un
po
'
fredda
e
applicata
del
grande
uomo
di
teatro
e
del
grande
letterato
.
I
suoi
successori
più
o
meno
diretti
(
escluso
lo
Strauss
operista
,
che
un
giorno
sarà
certo
rivalutato
)
mancano
di
quel
côté
bête
in
difetto
del
quale
è
inutile
affrontare
opere
di
lunga
lena
.
Ieri
sera
abbiamo
risentito
dunque
Wagner
cantato
in
tedesco
e
nella
sua
integrità
,
diretto
da
un
maestro
come
Otto
Ackermann
che
non
è
un
astro
di
prima
grandezza
ma
possiede
l
'
autorità
necessaria
e
che
in
opere
simili
(
e
anche
nel
genere
della
musica
leggera
)
ha
sempre
dimostrato
di
sapere
il
fatto
suo
;
e
abbiamo
ascoltato
cantanti
di
valore
molto
ineguale
,
ma
tutti
in
possesso
di
un
ottimo
stile
wagneriano
.
Che
effetto
ci
farebbero
oggi
le
vecchie
esecuzioni
di
Mascheroni
e
di
Rodolfo
Ferrari
,
del
tenore
Borgatti
e
di
Teresina
Burchi
?
È
quasi
impossibile
dirlo
.
I
cantanti
italiani
sono
obbligati
,
dalla
nostra
lingua
,
ai
suoni
rotondi
,
impostati
,
all
'
intonazione
precisa
:
qualità
che
in
Wagner
,
escluso
s
'
intende
il
Lohengrin
,
sono
richieste
in
misura
secondaria
.
Wagner
stanca
terribilmente
le
ugole
italiane
;
ho
memoria
di
un
Parsifal
in
cui
tre
Gurnemanz
dovettero
cedere
le
armi
dopo
una
sola
rappresentazione
.
Wotan
e
Brunilde
parlano
e
cantano
insieme
,
nelle
nostre
opere
canto
e
recitativo
sono
regolati
da
leggi
assai
diverse
.
Martha
Moedl
(
Brunilde
)
è
come
un
motore
che
abbia
incredibili
qualità
di
ripresa
:
quando
sembra
stanca
e
si
direbbe
che
l
'
«
appoggio
»
sia
caduto
,
la
sua
impennata
si
dispiega
ancora
e
la
voce
torna
a
espandersi
quasi
in
modo
immateriale
.
È
una
grande
cantante
e
una
buona
Brunilde
,
anche
se
non
possiamo
chiederle
la
tempestosa
,
ciclonica
vocalità
di
una
Flagstad
.
Senza
troppe
finezze
ma
sonora
come
una
tromba
è
la
voce
di
Leonie
Rysanek
(
Siglinde
)
;
e
in
questa
esecuzione
Siglinde
potrebbe
essere
Brunilde
o
viceversa
.
Manca
forse
il
distacco
necessario
.
Bellissima
voce
,
fin
troppo
dolce
ha
Grace
Hoffmann
,
soddisfacente
Fricka
.
Hans
Hotter
è
un
Wotan
potente
ed
espressivo
,
di
una
resistenza
eccezionale
;
Ludwig
Weber
,
vecchia
conoscenza
,
dà
molto
carattere
alla
parte
del
bieco
Hunding
.
Meno
persuasivo
è
il
Siegmund
di
Wolfgang
Windgassen
,
che
pure
sopporta
bene
una
parte
massacrante
.
Non
tutte
egualmente
disciplinate
le
otto
Walkirie
,
signore
Mariella
Angioletti
,
Luisa
Villa
,
Elfriede
Wild
,
Veronica
Wolfram
,
Nelde
Clavel
,
Martha
Thompson
,
Hanna
Ludwig
e
,
ancora
,
Grace
Hoffmann
.
L
'
allestimento
scenico
,
i
bozzetti
e
i
figurini
sono
quelli
,
già
noti
,
di
Nicola
Benois
;
la
regia
è
di
Mario
Frigerio
,
come
sempre
misuratissimo
e
pieno
di
buon
senso
.
In
complesso
un
'
esecuzione
non
tutta
di
prim
'
ordine
,
ma
di
sicura
impronta
artistica
.
Il
pubblico
-
un
pubblico
,
naturalmente
,
da
«
tutto
esaurito
»
-
l
'
ha
applaudita
a
lungo
,
evocando
molte
volte
alla
ribalta
i
principali
interpreti
e
il
maestro
Ackermann
,
la
cui
ancor
bruna
zazzera
,
quando
si
vedeva
emergere
dal
golfo
mistico
,
non
ha
avuto
un
attimo
di
riposo
.