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Il nostro galateo di giornalisti ( Montanelli Indro , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Il nostro galateo di giornalisti « borghesi » c ' impone di pubblicare questa lettera , ma non ci vieta una succinta replica : a ) Non vedo che differenza faccia la data di quelle dichiarazioni : non c ' era bisogno di aspettare la prova del Giornale per sapere quali fossero le nostre posizioni : sono quelle che abbiamo sempre tenuto . 130 b ) Fra i giornalisti della mia generazione , io sono conosciuto ( s ' informi , sig. Capanna , s ' informi ) come uno dei pochissimi che non ebbero mai commercio coi gerarchi . Quelli che ho conosciuto , li ho conosciuti solo dopo la Liberazione . Ma anche se li avessi conosciuti prima , non me ne vergognerei , visto che di carriera politica non ne ho fatta né con loro né dopo di loro . Nel nostro mestiere ( e io non ne ho mai fatti altri ) , i gradi li conferiscono i lettori . c ) E ' falso che il Giornale taccia le iniziative della Regione . Le registra sempre , anche quando recano la firma di Mario Capanna . E nessuno lo sa meglio di lui , che è in continuo contatto coi nostri cronisti , a chiedere favori quasi sempre esauditi . d ) Grazie per la qualifica di « maestro » . Se io lo sia in senso positivo o negativo , non sta a lei giudicarlo . Sarà il futuro a dire chi , fra lei e me , ha servito gl ' interessi dei giovani , dei lavoratori ecc . , e chi se n ' è servito per arrampicarsi più su . e ) Due colonne di piombo sono troppe . Come avrà visto , non le concedo nemmeno a me stesso . Ma se lei vuole esporre le sue ragioni , questo giornale è pronto ad ospitarle , come certamente i giornali vostri , se voi aveste vinto , non avrebbero fatto con le nostre . Naturalmente mi riservo di contestarle sul presupposto - forse errato - che il vate della contestazione sia tenuto a riconoscermene il diritto .
Caro Paolo ( Montanelli Indro , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Caro Paolo , non ti dirò che alla tua età non si ha diritto a tanta disperazione , perché sarebbe retorico e falso : è proprio a vent ' anni invece che si hanno le disperazioni : ci sono passato anch ' io . Ma è il motivo che te la ispira che mi sembra sbagliato dalle fondamenta . Tu mi fai un discorso intelligente , molto acuto , che dimostra una maturità in anticipo sui tuoi anni , per dimostrarmi che non c ' è scampo perché il Pci arriverà in ogni caso al potere . Io non ci credo . Ma ammettiamolo pure . E una volta arrivato al potere , che cosa ci porta ? Ci porta , mi dirai , la sua intolleranza , e una polizia capace di praticarla soffocando ogni voce di dissenso . Giusto . Questo gli basterà a mantenerlo , il potere , per dieci o vent ' anni , che io non vorrei vivere , che tu non vorresti vivere , ma che nella storia di un popolo non contano molto . E poi ? Poi , sarebbe il crollo , perché il comunismo non ha più nulla da dire a nessuno , nemmeno ai russi . Sta in piedi grazie alla sua armatura di ferro , ma per niente altro . Guardati intorno , caro Paolo . Il vero motivo per cui le dittature di destra fanno meno paura di quella comunista è perché non hanno un vangelo , voglio dire una vera e propria ideologia . Nascono da emergenze , per riempire un vuoto di potere ( democrazia italiana 1922 , repubblica di Weimar 1932 ) , ristabiliscono un ordine purchessia , e vi si mummificano . Infatti durano , al massimo , quanto dura il dittatore , al quale non riescono a dare successori come si è visto in Spagna e Portogallo . Per il semplice motivo che la successione presuppone un ' eredità , e le dittature di destra sono , quanto a patrimonio ideologico , nullatenenti . I comunisti , un vangelo lo hanno , o meglio lo avevano : il marxismo . Il marxismo è un sistema , diciamo così , a ciclo completo : politico , economico , culturale . Ed è questo patrimonio che , consentendogli la continuità da una generazione all ' altra , ce lo faceva temere come un fenomeno irreversibile . Ma ora , caro Paolo , non più . Il marxismo è in pieno sfacelo dovunque , ma soprattutto là dove si è realizzato . Si sostiene solo con la violenza , che ha saputo organizzare come mai nessuno ; ma non è riuscito a sopprimere il capitalismo perché dopo aver distrutto quello privato ha dovuto istaurarne uno di Stato che si rivela dieci volte peggiore , anche per le classi lavoratrici , di quello privato , e nel campo del pensiero le uniche sue voci vive sono quelle del dissenso . Ora anche l ' ultima illusione , quella pacifista dell ' internazionalismo proletario , è caduta : proletari vietnamiti e proletari cambogiani si sbranano su uno sfondo sovrastato dalla guerra fredda fra Russia e Cina . Di tutte le soluzioni proposte dal marxismo , non ce n ' è una che abbia retto e regga alla prova dei fatti . Il cosiddetto « revisionismo » , in atto in tutta la cultura marxista dell ' Occidente , non è che la mascheratura del ripudio di quella che ancora vent ' anni fa ( fino alla rivolta dell ' Ungheria ) poteva apparire come una grande speranza . La tua disperazione , caro Paolo , è nulla in confronto a quella che devono provare i marxisti in buona fede ( che sono pochi : i più sono soltanto degli opportunisti ) , che nel marxismo credevano di aver trovato una risposta ai loro perché , e ora sono al buio . Certo , il comunismo ha ancora la forza per conquistare l ' Italia , e magari l ' Europa : missili e carri armati per questa impresa , ne ha abbastanza . Ma non ha che quelli . Potrà distruggere tutto , ma è incapace di costruire qualcosa di umanamente valido . E quindi è condannato alla sconfitta finale . Puzza già di morto . Caro Paolo , non posso guarirti dalla disperazione . E nemmeno lo voglio . La disperazione è un buon concime , per la formazione di un uomo , come lo intendo io . Continua a macerartici , dentro e , se ti fa piacere , vieni a trovare questa nostra famiglia di ex - disperati , che nell ' azione hanno trovato la loro medicina .
Mattei ( Montanelli Indro , 1970 )
StampaQuotidiana ,
In questi ultimi giorni sono usciti due libri su Enrico Mattei , il fondatore dell ' ENI . Uno è un " giallo " che pretende fornire le fila dell ' attentato di cui egli sarebbe rimasto vittima , e non val la pena parlarne : non perché l ' ipotesi sia da scartare a priori , ma perché gli autori non riescono a basarla che su congetture e induzioni scopertamente romanzate all ' insegna del sensazionale . L ' altro , no : è un profilo serio e penetrantissimo , scritto da un inglese che a Mattei fu molto vicino in qualità di consulente : Paul H . Frankel . S ' intitola Petrolio e potere ( « La Nuova Italia » ed . , 175 pagg . , L . l.000 ) . E non è soltanto una biografia ; è anche un saggio , asciutto e chiarissimo , come solo sanno scriverne gl ' inglesi , su tutto il problema delle fonti d ' energia . D ' altra parte , solo così inquadrato si può capire e valutare Mattei . E di capirlo e valutarlo , è ormai tempo . L ' uomo non aveva del resto nulla d ' insondabile e misterioso . Come tutti i grandi caratteri , Mattei era un carattere semplice , perfino rozzo . La cosa che più mi colpì , nell ' unico personale contatto ch ' ebbi con lui una sera a cena , fu l ' intensità della sua concentrazione . Parlò di una cosa sola , sempre di quella : ogni volta che cercavo di spostare il discorso su altri fatti e interessi , il suo volto si chiudeva e assumeva l ' espressione del sordo . Frankel dice che , sebbene non avesse mai avuto nulla a che fare col fascismo , Mattei ne aveva respirato l ' aria , come del resto tutti gli uomini della sua generazione . L ' idea di un ' Italia negletta e defraudata dei suoi diritti a un " posto al sole " in lui era diventata convinzione profonda forse perché il posto al sole aveva dovuto guadagnarselo egli stesso , figlio di un povero carabiniere meridionale costretto a lavorar di gomiti per inserirsi nel mondo degli affari lombardo . Nulla di straordinario in questa vicenda . Milano è piena d ' immigrati che hanno battuto la stessa strada e incontrato le medesime difficoltà ; ma che una volta arrivati , se ne sono gettati dietro le spalle il ricordo . Mattei , no . Anche dopo che vi ebbe raggiunto una posizione di tutto rispetto , per lui Milano rimase sempre " la plutocrazia " . Non era invidia : e lo dimostra il fatto che Mattei non fece mai nulla per esservi accolto , anche quando avrebbe potuto farlo da padrone . Mattei non ambì mai agli status symbols della grande borghesia imprenditoriale né mai chiese l ' ammissione al club . Vedeva veramente in questa categoria l ' oppressore privilegiato . Era convinto che in Italia i poveri fossero poveri perché i ricchi erano ricchi . E fu per questo che esercitò tanta suggestione anche fuori d ' Italia .. Quando Mattei diceva ai Paesi sottosviluppati che il loro sottosviluppo dipendeva dalla rapacità degli sfruttatori , non lo diceva soltanto per fare i propri affari . Ci credeva . In lui c ' era una componente di messianismo populista . Aveva degli uomini una concezione manichea : di qua i deboli e buoni , di là i potenti e cattivi . Ricordo una sua intervista in televisione in cui egli parlava dell ' ENI come di un disarmato gattino perso nel bosco tra belve rapaci . La menzogna era smaccata e mi fece trasalire d ' indignazione : l ' ENI in quel momento aveva già zanne e artigli da tigre . Eppure , dopo capii che Mattei era in buona fede e che proprio questa era la sua forza : per diventare il vindice di un sopruso , aveva bisogno di sentirsene la vittima . Quanto ci sia di favoloso e leggendario in ciò che i suoi agiografi spacciano per biografico , non conta . Conta solo il fatto ch ' egli abbia ispirato favole e leggende . Forse per esempio non è del tutto vero che il suo impero nacque da un gesto di disobbedienza quando , nominato dal governo commissario dell ' Azienda Generale Petroli ( AGI P ) col compito di liquidarla , vi si rifiutò con un ' insolente lettera di sfida . Ma è del tutto vero che in quel momento egli non aveva la minima idea di ciò che stava facendo e dove sarebbe andato a parare . Frankel dice che subito dopo la Liberazione , Mattei non aveva affatto deciso su che strada mettersi , ma che caso mai propendeva più per la politica che per gli affari . E probabile . Si era fatto un bel nome nella Resistenza di cui era stato il Grande Elemosiniere , era strettamente legato ai suoi più prestigiosi capi , e aveva un vasto seguito fra i partigiani . Inoltre , per gli affari , gli mancava il maggiore propellente : la sete di denaro . Mattei era più ricco prima di creare la sua azienda che durante e dopo . Egli amava solo il potere , e l ' amore del potere esclude tutti gli altri . Ma probabilmente si era già accorto che la politica in Italia non conduce al potere . Conduce solo alla politica , per la quale a lui mancavano non solo le qualità , ma anche i difetti che contano ancora di più : era un pessimo oratore e credeva in ciò che faceva con una convinzione e ostinazione che lo rendevano inaccessibile a quell ' arte del compromesso , di cui la politica ormai non fa più il mezzo , ma il fine . Tuttavia la sua scelta fu solo di strumento , non di obbiettivo . Preferì il petrolio al Parlamento perché pensò che fosse più facile dominare il Parlamento col petrolio che il petrolio col Parlamento . Del petrolio sapeva ben poco , allora . Sapeva soltanto che le nostro forniture dipendevano da quelle grandi compagnie internazionali in cui egli vedeva la più perfetta e abominevole incarnazione della " plutocrazia " . Frankel dice che non ci fu mai verso di convincerlo ch ' esse non formavano un vero e proprio " cartello " , come lui spregiosamente lo chiamava , cioè un monopolio , e che i loro profitti non erano poi così esosi , come lui valutava . Mattei doveva crederlo perché solo così poteva riuscire a farlo credere ai Paesi produttori . Egli portava nelle sue menzogne una carica di sincerità che le rendeva irresistibili . Non conosco i capi delle compagnie petrolifere . Penso che sul piano tecnico e manageriale debbano essere uomini agguerritissimi , rotti a qualunque astuzia , e con un pelo sullo stomaco alto così . Ma sul piano umano la loro ottusità deve toccare livelli da Himalaya , a giudicarne dal modo con cui hanno condotto la lotta contro l ' ENI . Essi risero quando Mattei , alla vista delle prime gocce di petrolio portate alla superficie dalle sue sonde in Val Padana , annunciò con la voce rotta dall ' emozione che l ' Italia aveva trovato nelle sue viscere la cassaforte di una ricchezza aperta a tutti . Avevano ragione in quanto la cassaforte non conteneva che quelle poche gocce . Ma non capirono che in un Paese appena reduce dalle mortificazioni della disfatta , più che di petrolio , c ' era bisogno di fiducia , e che quell ' annunzio riecheggiante il solito « L ' Italia farà da sé » , ne ridava . Essi risero quando Mattei si mise a profondere miliardi per costruire le più belle moderne e lussuose stazioni di servizio con la scritta " Supercortemaggiore , la potente benzina italiana " . Avevano ragione perché quella benzina italiana era fornita dall ' Anglo - Iranian inglese . Ma non capirono che queste ostentazioni affezionavano la pubblica opinione a un ' illusione cui non avrebbe mai più rinunziato , dando così a Mattei la forza di tradurla in realtà . Essi credettero che Mattei fosse un venditore di tappeti . Sbagliavano . Era un venditore di sogni , merce molto più pericolosa , anche perché facilmente esportabile e non soggetta a dogana . Nessuno può dire se , nel momento in cui il suo aereo precipitò , egli fosse alla vigilia di una clamorosa vittoria o di una irreparabile disfatta . Cioè potrebbe dirlo solo il suo successore Cefis , che si rifiuta di parlare . E noto che Cefis , prima stretto collaboratore di Mattei , se n ' era poi allontanato - e , mi dicono , in malo modo - per dissensi sui criteri di gestione dell ' azienda dove rientrò dopo la morte del fondatore . Eppure non ha mai pronunciato che parole di rispetto , quasi di venerazione , nei suoi confronti . Io credo che Mattei abbia commesso molti sbagli , ma che proprio questi diano la misura dell ' uomo . Chiunque altro ne sarebbe stato travolto . Lui no , perché era più grosso di essi , un personaggio ibseniano , cui è superfluo cercar di attribuire un ' aureola di martire tessendo cattivi romanzi gialli sulla sua fine . Non ne ha bisogno .
Andreotti ( Montanelli Indro , 1970 )
StampaQuotidiana ,
Nel '68 , quando fu costituito il primo governo Rumor , nel leggere la lista dei partecipanti , molti rimasero di stucco : il nome di Giulio Andreotti non vi figurava . Era la prima volta che succedeva da oltre vent ' anni . Di quanti ministeri si siano composti e decomposti in quest ' arco di tempo , ho perso il conto ; ma tutti ricordavamo che non ce n ' era stato uno di cui Andreotti non avesse occupato qualche posto - chiave . Dal sottosegretariato alla Presidenza del Consiglio alle Finanze , dalle Finanze al Tesoro , dal Tesoro alla Difesa , dalla Difesa all ' Industria , Andreotti si era ormai accreditato come il jolly della politica italiana , una specie di Domenghini buono per tutti i ruoli sia d ' attacco che di difesa . Gli eurologi - come potremmo chiamare gli esperti del Cremlino democristiano che , come tutti sanno , ha la sua sede all ' EUR - ravvisarono nell ' esclusione il segno di una parabola discendente . Andreotti , dissero , è caduto vittima di un eccesso di abilità . A furia di non volersi legare a nessun gruppo per restare in una posizione di arbitro rispetto a quelli altrui e fare tra loro l ' ago della bilancia , è rimasto isolato , e ora ne paga il fio . La sua è ormai una battaglia di retroguardia , con cui tenta di salvare il salvabile , cioè la sua posizione di " notabile " . Quella non può insidiargliela nessuno , data la sua base elettorale fra le più forti del partito : oltre duecentomila voti di preferenza . Ma su di essa ha ripiegato , rinunziando alla lotta per il primato . Giovane com ' è , può anche darsi che torni la sua ora . Ma chissà quanto dovrà aspettarla . L ' ha aspettata due anni : che , per un ' inversione di parabola , sono un po ' pochi . E ' chiaro che Andreotti , lungi dal rinunziare , faceva in questo frattempo una corsa di difesa in coda al plotone per prendere la volata e batterlo sull ' ultima rampa . Non so se questo piano lo avesse in testa fin dal '68 . So soltanto che , per lasciarsi emarginare da una lista di governo , qualcosa in testa doveva averla . L ' ha sempre avuta , fin dal tempo in cui sembrava che la sua sorte fosse indissolubilmente legata a quella di De Gasperi . Con questo - intendiamoci - non vogliamo dire ch ' egli abbia tradito il suo iniziatore e patrono . Anzi , fra tutti i pupilli dello statista trentino , è uno dei più fedeli alla sua memoria , e l ' ha dimostrato anche nell ' eccellente saggio biografico che gli ha dedicato . La sua non è l ' orazione funebre di Antonio sulla tomba di Cesare . Si sente che parla d ' un Maestro , anzi del Maestro . Ma al cadavere non rimase abbracciato e non ne seguì la sorte , come una vedova indiana , sulla pira . Quell ' operazione di svincolo , a volerla compiere senza incorrere in accusa di fellonia e ingratitudine , non era facile . Anche per ragioni di anagrafe ( è nato nel '19 ) , Andreotti non aveva meriti " ante marcia " . Come antifascista , tutto il suo capitale morale consisteva nell ' amicizia di De Gasperi , da lui conosciuto un giorno del '41 , nella biblioteca Vaticana . Studente poco più che ventenne , Andreotti c ' era andato - dice - a cercarvi dei documenti sulla Marina pontificia . Il bibliotecario ignorava che ce ne fosse stata una e si meravigliò che quel ragazzo se ne interessasse , e proprio in quel momento . Ce ne meravigliamo un po ' anche noi , pur conoscendo le curiosità dell ' uomo e la sua passione per la Storia . De Gasperi allora non era che un ospite mal sopportato della Curia , ma il suo nome cominciava a uscire dall ' oblio in cui il regime lo aveva piombato . Il giovane studioso trovò molto istruttiva la conversazione con lui , sebbene di Marina del tutto digiuno . Tornò a vederlo con sempre maggior frequenza , e di lì a poco si trovò travasato nella redazione del Popolo , che aveva ripreso clandestinamente le sue pubblicazioni sotto la direzione di Gonella . Aveva inciampato in De Gasperi al momento giusto : quello in cui i dispersi superstiti del vecchio partito popolare si riunivano sotto la sua guida , cercavano di ricostituire alla svelta i quadri e avevano bisogno , per vitaminizzarli , di giovani . Gli unici che avessero una fedina politica pulita erano quelli che non avevano avuto il tempo di sporcarla : quelli delle ultimissime leve , cui Andreotti apparteneva . De Gasperi nutriva una invincibile diffidenza per gli uomini della generazione successiva alla sua , tutti più o meno figli della lupa . Preferiva i nipoti . E fra i nipoti , predilesse Andreotti per motivi che possiamo soltanto ricostruire per induzione . De Gasperi era un cattolico , non un clericale , e già fin d ' allora aveva i suoi guai col Vaticano . Pio XII non lo amava . Viceversa Andreotti in Vaticano ci stava come una trota nel torrente , o per meglio dire come un ' anguilla nella mota . Non so se vi avesse già dei protettori quando andò a fare quelle tali ricerche nella Biblioteca . Ma fatto sta che in quel labirinto di corridoi , in quell ' andirivieni di passi felpati , fra tutti quei Monsignori dalla voce sommessa e dal linguaggio allusivo , si orientò subito , come guidato da un radar . Vado - ripeto - per ipotesi . Ma non mi sembra azzardato supporre che in quel mondo egli sia stato , per De Gasperi , un prezioso ambasciatore , e che anche a questo debba il suo fulmineo inizio di carriera : deputato a ventott ' anni , prima di trenta era già sottosegretario alla Presidenza , cioè l ' uomo più vicino al capo e più al corrente delle sue manovre . Andava anche , mi dicono , a messa insieme a lui , e tutti credevano che facessero la stessa cosa . Ma non era così . In chiesa , De Gasperi parlava con Dio ; Andreotti col prete . Era una divisione di compiti perfetta . Quale profitto l ' allievo avesse tratto da quell ' esperienza , lo si vide alla scomparsa del maestro . Si vestì da orfano , ma senza avanzar pretese all ' eredità : e in tal modo si sottrasse alla spietata epurazione che invece colpì i grandi diadochi del defunto : Scelba , Gonella eccetera . Da che parte sia stato in questi sedici anni di guerra di successione , nessun eurologo è in grado di dirlo con certezza . Con certezza si sa soltanto che nel partito non c ' è stata maggioranza in cui egli non sia entrato né ministero di cui non abbia fatto parte . Nell ' arruffato giuoco di correnti , che ha ridotto la dicci a un vortice , anche lui ha la sua , che si chiama " Primavera " e che di professione fa la fidanzata : anche il nome l ' aiuta a dire all ' ultimo momento che ancora " non ha l ' età " . Per quale sottile combinazione di pesi e contrappesi il partito ora abbia affidato a lui la nuova operazione di governo , è materia d ' ipotesi . Ma forse il motivo va ricercato appunto nelle difficoltà coniugali ch ' essa comporta , e di cui Andreotti si è dimostrato il massimo esperto . Mi pare che vi abbia accennato egli stesso quando , uscendo dal Quirinale , disse che la collaborazione fra i quattro partiti non implicava un matrimonio , lasciando capire che poteva limitarsi allo " struscio " . A quest ' ardua impresa , nessuno è più qualificato di lui che ha strusciato sempre senza compromettersi mai . L ' uomo è distaccato , freddo , guardingo , a sangue ghiaccio . Non c ' è pericolo che impenni sull ' ostacolo . E abituato ad aggirarlo , e lo dimostra la disinvoltura con cui ha regolarmente fatto le sue « entrate » - ora da destra , ora da sinistra - che tanto hanno confuso gli osservatori . Come arma di riserva , dispone anche dell ' umorismo . Andreotti è l ' unico uomo politico italiano che ne possieda , e forse molto più di quanto mostra . Lo amministra con parsimonia perché sa benissimo quanto sia pericoloso , in un paese marcio di solennità e di retorica come il nostro . Ma ogni tanto lo tira fuori come un gatto gli artigli , e sono questi graffi che conferiscono alla sua eloquenza un timbro particolare . Andreotti non è un grande oratore : gliene mancano la rotondità e i voli . Ma è uno squisito parlatore , uno schermidore che assesta il colpo senza perdere mai la guardia , un agguerrito débatteur pieno di garbo e di cattiveria , cioè di una cattiveria corretta dal garbo . Ce n ' è per tutti , amici e nemici , perché in questo romano pontificio convivono in perfetta armonia un Monsignore e un Pasquino . E vorrei sapere quante altre ce ne sono nel suo « Diario » segreto che , mi dicono ( e ci credo perché del memorialista ha la passione e tutte le qualità ) , egli tiene scrupolosamente aggiornato . Peccato che non faremo in tempo a leggerlo perché Andreotti non lo pubblicherà prima del suo ritiro dalla politica che coinciderà con il suo congedo dalla vita . E non ha che cinquant ' anni . È autenticamente colto , cioè di quelli che non credono che la cultura sia cominciata con la sociologia e finisca lì . Come abbia fatto a formarsela , avendo cominciato a fare il ministro prima dei trent ' anni e non avendo più smesso , Dio solo lo sa . Ma mi dicono ch ' è sempre riuscito a trovare il tempo di annaffiarla . E questo è a dir poco sorprendente perché , oltre che dal daffare governativo , egli dev ' essere oberato da quello elettorale come capo di una delle più vaste clientele d ' Italia . Secondo qualcuno , la sua segreteria sarebbe la più efficiente centrale di « raccomandazioni » , pur in un Paese e in un partito in cui l ' efficienza si sfoga solo lì . Ma va a metano , cioè senza far fumo né residuati . E ' una specialità di Andreotti quella di non lasciar mai impronte digitali . Un industriale mi ha raccontato : « Un giorno Andreotti mi parlò di un suo protetto in tali termini che io stavo per offrirgli un posto di direttore generale , quando lui mi chiese di assumerlo come fattorino . Promuovendo quella specie di Einstein a impiegato , mi sentivo ancora in debito con lui » . Una volta chiesero ad Andreotti , per l ' ennesima volta ministro , se non avvertiva il pericolo che alla fine il potere lo logorasse . « Il potere logora coloro che non lo hanno » rispose placidamente . E oggi non ha certo di che ricredersi . Egli offre anche questa garanzia : di conoscere come nessuno la macchina dello Stato perché di tutti i suoi ingranaggi ha fatto l ' esperienza sul vivo , e tale è la prontezza con cui se ne impadronisce che dovunque è passato ha lasciato il ricordo di un " competente " . Ma questa , per un uomo di governo , è la qualità che conta meno , in Italia . Anzi , può anch ' essere considerata negativa .
Aldo Crespi ( Montanelli Indro , 1978 )
StampaQuotidiana ,
Il dottor Aldo Crespi è morto alla bella età di 93 anni , ma credo che avrebbe fatto volentieri a meno di arrivarci . Sebbene lucidissimo , o forse proprio per questo , l ' ultimo periodo lo ha trascorso in amara solitudine , distaccato dal mondo , chiuso nella sua casa senz ' altra compagnia che quella dei propri ricordi . I ricordi del dottor Aldo erano il Corriere della Sera , di cui per quasi mezzo secolo fu proprietario e editore insieme ai suoi due fratelli Mario e Vittorio , scomparsi da tempo . Fu nel '25 che , secondo una certa leggenda , essi " s ' impadronirono " del giornale di via Solferino , estromettendone Albertini con l ' aiuto del fascismo . Non è qui il caso di far polemiche . Ma crediamo che , se fosse sopravvissuto , lo stesso Albertini , nella sua immacolata onestà , avrebbe contestato questa versione dei fatti . La maggioranza azionaria del Corriere era già , grazie al loro padre Benigno , in mano ai Crespi . Quando Mussolini ne decise l ' allontanamento , fu lo stesso Albertini a proporre loro di rilevare la sua quota , che venne pagata - a quanto ne so - una cinquantina di milioni : prezzo considerato , coi milioni di quei tempi , abbastanza equo . Dei tre , il dottor Aldo era di gran lunga quello più attaccato al giornale . Ma di questo amore erano a conoscenza solo gl ' intimi perché era considerato peccaminoso . I fratelli Crespi non erano litigiosi come quelli Perrone del Messaggero , che trascorsero la vita a farsi processi tra loro . Però si sorvegliavano strettamente , in modo che nessuno potesse apparire più editore dell ' altro . La legge di famiglia imponeva che le decisioni le prendessero d ' accordo , ma l ' accordo era difficile da trovare . Nel bagno annesso al loro ufficio c ' erano tre saponi e tre salviette , ognuna con la sua cifra : anche l ' epidermide volevano salva dal contagio . In quell ' ufficio , il dottor Aldo avrebbe volentieri trascorso le sue giornate , domenica compresa . Ma siccome gli altri due ci venivano una volta sola alla settimana , anche lui si sentiva in obbligo di osservare la regola . Vi arrivavano insieme , in modo da escludere " precedenze " passando da una porticina quasi di servizio per non farsi notare . Una volta che , trovandola chiusa , imboccarono quella principale , furono bruscamente scacciati da un fattorino che , non avendoli mai visti , non sapeva chi fossero . Nemmeno io , in trentasette anni di Corriere , li ho mai visti passare per le stanze e gli anditi della redazione . Fuori di lì li conobbi , e qualche volta li incontravo , ma dalla conversazione era severamente bandito l ' argomento del giornale . Del giornale , parlavano solo col direttore , poco anche con lui , e tutti e tre insieme . Tale era il dettato costituzionale di quella curiosa monarchia trina . Fu parecchio dopo la Liberazione che seppi di dover loro qualcosa . I tedeschi mi avevano arrestato e sulla mia testa pendeva la condanna a morte . Qualcuno della Gestapo andò dai Crespi e chiese , per la mia pelle , un milione . I Crespi lo sborsarono senza batter ciglio . Ma questo racconto mi fu fatto dietro giuramento di non farne mai parola con loro . Dopo vent ' anni mi considerai esentato dall ' impegno e , morti ormai Mario e Vittorio , ne parlai col dottor Aldo . Non negò , ma finse di non ricordar bene come si erano svolte le cose , poi concluse : « Se andarono veramente così , non fu un cattivo affare » , e cambiò discorso . A quei tempi , avevo stabilito con lui una certa dimestichezza , e qualche volta m ' invitava al Biffo , la bella villa che aveva in Brianza . Non mi ci trovavo molto ad agio perché sua moglie Giuseppina ne aveva fatto un centro di mondanità , nella quale ho sempre guazzato male . Ma credo che il dottor Aldo mi c ' invitasse appunto per avere sotto mano qualcuno che ci guazzasse male quanto lui e gli facesse compagnia nelle passeggiate nel parco e nella sua appartata libreria . I suoi interessi erano più letterari che politici . Era uomo di buone , anche se non vaste letture , tutte nel filone e nel gusto di quel cattolicesimo liberale manzoniano , ch ' era tipico della grande borghesia milanese , quando Milano aveva una grande borghesia . Scriveva anche , ma di nascosto . E ricordo lo sgomento che s ' impadronì di tutti noi al Corriere , quando si seppe che aveva pubblicato un libro sotto lo pseudonimo Alpi . A chi sarebbe toccata la difficile incombenza di recensirlo in modo da evitare lo sgarbo di una stroncatura senza cadere nella piaggeria ? Per fortuna giunse , discreto ma perentorio , l ' ordine d ' ignorare il libro . Quando , con l ' animo sollevato dal cessato pericolo , mi decisi a leggerlo , mi accorsi che si poteva parlarne bene senza ricorrere al falso : non erano più che bozzetti e ritratti di personaggi della vita ambrosiana , ma centrati e vivaci , pur tra i vezzi un po ' stantii di uno stile ottocentesco . Non mi sono mai accorto ch ' egli fosse il " padrone " nel senso che a questa parola davano i giornali concorrenti e avversari . Mai , in trentasette anni , mi fece rilievi su qualche articolo , o mi suggerì argomenti . Una sola volta ricevetti da lui un biglietto di sommessa doglianza , che conservo , e che cominciava così : « Caro Montanelli , Ella sa con quanta simpatia , partecipazione e ammirazione ho seguito e seguo i suoi scritti , sempre trovandovi ( anche nei più impertinenti ) motivi di consenso . Mi permetta quindi , per una volta , di fare eccezione e di esprimerle un addolorato dissenso - di cui tuttavia Ella è liberissimo di non tenere alcun conto - per quanto ha detto a proposito della conversione di Manzoni ... » . Ecco : quando parlava da " padrone " , il dottor Aldo Crespi lo faceva in questi termini , e solo per difendere Manzoni . Poco prima di passar la mano alla figlia nella gestione del Corriere , lo incontrai ai giardini , di fronte ai quali abitava e dove , quando era a Milano , andava sovente a passeggiare . Non mi fece cenno delle sue intenzioni di ritiro . Mi disse soltanto che si sentiva molto stanco - aveva passato da un pezzo gli ottanta - e infatti la sua alta e fragile figura non era più dritta come una volta . Poi , si rinchiuse in casa , e non lo rividi che quando mi pregò di passare da lui per ringraziarmi di un libro che gli avevo mandato . Capii che si trattava di una scusa , e lo era . Per la prima volta , mi chiese esplicitamente cosa pensavo del Corriere nella sua nuova versione . Altrettanto esplicitamente glielo dissi . Un velo di tristezza gli scese sugli occhi . « Me lo immaginavo » rispose , e parlammo d ' altro , a lungo e affettuosamente . Capii che quello era un addio , e infatti non ci vedemmo più . Quando seppe che anch ' io me n ' ero andato , mi scrisse una lettera che " affidata al riserbo dell ' amico " , non chiedeva risposta , anzi la escludeva . A mia volta gliene scrissi una quando seppi che anche l ' ultima fetta di Corriere , quella ch ' era stata sua , era passata in proprietà ad altro editore . Gli chiedevo se potevo andarlo a trovare . Attraverso un comune amico mi pregò di non farlo " perché temeva di commuoversi " . L ' ultimo messaggio , anch ' esso orale , me lo mandò attraverso il medesimo amico , pochi giorni dopo l ' uscita del Giornale : « Grazie » diceva « di avermi ridato da leggere un Corriere » . Il dottor Aldo morì allora , credo . E con lui moriva un certo tipo di editore , il cui unico torto è stato quello di non aver allevato dei successori . Non erano stati i Crespi a fare la grandezza del Corriere , ma erano stati i Crespi , e particolarmente il dottor Aldo , a salvarne quanto , nei mutati tempi , si poteva salvare . Non ho mai capito se il Corriere era com ' era perché lui era così , o se lui era così perché il Corriere era com ' era . So soltanto che , senza mai interferirvi , quest ' uomo schivo e discreto sapeva fare tutt ' uno di se stesso e del suo giornale . Che al Corriere ci fosse un padrone noi ci accorgemmo solo quando lui non fu più tale . E anche per questo ce ne andammo .
Il «crociato siculo» ( Montanelli Indro , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Un amico palermitano mi ha mandato una cartolina con una veduta della sua città in cui spicca il convitto Don Bosco , soffocato in mezzo a tanti altri edifici . Un tempo - un tempo che ho fatto in tempo a conoscere - , al posto di quella mareggiata di cemento , c ' era uno stupendo parco . Al centro del parco c ' era una stupenda villa , la villa Ranchibile , e al centro della villa c ' era uno dei più bizzarri personaggi che si potessero incontrare nella pur bizzarrissima Sicilia : il principe di Maletto . Non l ' ho conosciuto : è morto , credo , prima ch ' io nascessi . Ma ho avuto come compagno d ' arme , proprio lì a Palermo , un suo nipote , che me ne raccontò le avventure , del resto note a tutta la città . Erano avventure sedentarie perché il principe non si mosse mai dalla sua casa , anzi dalla sua biblioteca . Solitario e misantropo , afflitto da una sorta di agorafobia , il mondo esterno se l ' era ricostruito sui libri che divorava insaziabilmente . A un certo punto sprofondò in quelli sulle Crociate , e tanto vi s ' immerse e compenetrò che alla fine concepì il disegno di farne una per conto suo , ma dal vero , cioè tutta a piedi e in costume dell ' epoca : lungo saio di tela grezza con la croce bianca disegnata sul petto , cappuccio , spada e scudo . Il sarto non si meravigliò molto quando il principe gli fece quell ' ordinativo per sé e per Alfio , il suo cuoco , da cui naturalmente egli si sarebbe fatto accompagnare come i Cavalieri dell ' epoca dai loro famigli : era abituato alle stranezze di quel suo cliente . A meravigliarsi , quando il principe gli comunicò la sua decisione , fu Alfio , al quale parve incredibile che il suo padrone si fosse deciso a mettere il naso fuori di casa . « Voscienza perdoni » disse . « Ma quanto ci vuole per arrivare a Gerusalemme ? » « A una media di venticinque chilometri al giorno , duemilacinquecentosettantasei giorni , compresi quelli di riposo per la domenica e le feste consacrate » rispose il principe squadernando sotto gli occhi atterriti del cuoco la carta geografica su cui aveva disegnato tutto l ' itinerario . « E come lascio la famiglia per tutto questo tempo ? » balbettò il poveretto quando ebbe ripreso fiato « e pure a voscienza la pasta con le sarde come ce la faccio ? » « Me la farai , me la farai : il Signore non ci abbandonerà proprio quando andiamo in pellegrinaggio al suo Santo Sepolcro » rispose placidamente il principe . E per un paio di settimane tenne il poveruomo nell ' angoscia di quella partenza , citandogli l ' esempio dei servitori del Medio Evo che non muovevano obiezioni , anzi seguivano con entusiasmo il loro signore quando li conduceva in Terrasanta . Poi , una bella mattina , gli annunciò che il pellegrinaggio lo avrebbero fatto senza muoversi di lì , dentro il parco , e quindi non si preoccupasse della pasta con le sarde : l ' avrebbero mangiata come sempre , cucinata come sempre , se non dalle mani del cuoco , da quelle della moglie del cuoco . Il principe aveva studiato mesi e mesi per calcolare quanti giri del parco occorrevano per coprire idealmente la distanza fra Palermo e Gerusalemme . Suo nipote me lo disse , ma non me lo ricordo . Comunque , erano diecine di migliaia . E gli sembrava che il Signore potesse contentarsene , anche se li faceva intorno alla villa . I due crociati partirono all ' alba di un giorno di primavera , presente il parroco che gli diede la benedizione . Il principe era stato molto incerto se noleggiare , per ragioni di verisimiglianza , un cavallo . Ma poi ci aveva rinunziato per non attribuirsi - aveva detto - un trattamento di favore rispetto ad Alfio , in realtà perché non aveva mai cavalcato e aveva paura di cascare . Consentì però ad Alfio di comprare un mulo per caricarvi il bagaglio perché il principe , sempre per ragioni di verisimiglianza , lo voleva sia pur ridotto , ma completo . C ' erano la tunica e i calzari di ricambio , le pezze da piedi , le fiasche d ' acqua per l ' attraversamento dei deserti , il libro dei salmi e gl ' itinerari con le date perché , come aveva spiegato ad Alfio , bisognava essere puntuali agli appuntamenti con Goffredo di Buglione , Tancredi e gli altri comandanti di colonna . Il primo giorno camminarono sette ore , quattro al mattino , tre al pomeriggio , con siesta sotto un leccio al centro del parco , dove la moglie di Alfio li raggiunse con la pasta alle sarde . Alfio la trovò scotta , ma il principe lo redarguì severamente : i veri crociati , disse , non avevano mangiato per anni che orzo e fave , quando li trovavano . Per cui , dopo il pasto , gli ordinò un certo numero di pateravegloria di ringraziamento al Signore per la manna che gli aveva dato . Quando calò il sole , drizzarono una specie di tenda , di cui il principe aveva studiato e fatto copiare il modello sull ' iconografia medievale , ci misero a dormire il mulo , e ritornarono in villa , ma senza smettere la loro divisa di crociati . Prima di andare a letto pregarono che il Signore gli desse la forza di arrivare fino al suo Santo Sepolcro . L ' indomani ricominciarono , sempre al canto del gallo e con la benedizione del parroco ( il quale però disse che d ' allora in poi sarebbe venuto una volta la settimana : bastava ) . D ' estate cambiarono orario : partivano addirittura al buio , e alle dieci si fermavano , per lasciare che la calura si sfogasse , facendo sosta e siesta presso una fontanella che , secondo il principe , era quella del Clitunno , dove , secondo i suoi calcoli , erano arrivati . Alfio si arrampicava su un muretto , metteva una mano a visiera sugli occhi , e scrutava l ' orizzonte . « Vedi nessuno ? » gli chiedeva il principe . «Nessuno.» « Sono in ritardo » diceva il principe con disappunto , e si rimetteva a consultare le carte con gli orari . Oppure Alfio diceva : « C ' è gente » . « Sono i nostri » gli faceva eco il principe . « Dio sia lodato . » Riprendevano a camminare al tramonto , e quando si accendevano le luci della città , il principe annunciava : « E Lubiana » . Camminarono anni , e il loro passo si faceva sempre più stanco perché diventavano vecchi . Alfio chiese una riduzione di orario , ma inutilmente . « Qua non arriviamo più » brontolava . « Dobbiamo arrivare , e per questo dobbiamo camminare : il Signore ce ne darà la forza . Così diceva Goffredo , e così dobbiamo dire noi . » « E picchì ? » chiedeva Alfio . « Chi è questo Goffredo ? » Ma il principe non lo ascoltava . « Perché avremmo vissuto » diceva « se non per vedere il Santo Sepolcro ? » « Mio padre e mio nonno hanno vissuto » rispondeva Alfio . « E che , il Santo Sepolcro hanno visto ? Bagheria hanno visto . » Il mulo morì , bisognò rimpiazzarlo . Morì anche il parroco , e il suo giovane sostituto si rifiutò di venire a dare la benedizione ai pellegrini . Infine morì anche una sorella del principe , che stava all ' altro capo della città . Ma il principe non poté andarla a vedere , e nemmeno partecipare ai suoi funerali , perché in quel momento era in vista di Costantinopoli . Le ultime tappe furono penose perché il principe soffriva di prostata , e ogni poco doveva fermarsi . Ma l ' approssimarsi di Gerusalemme moltiplicava le sue forze . E l ' arrivo fu epico . Il principe fece l ' ultimo chilometro quasi di corsa , recitò a fiato mozzo il Tasso : « Ecco apparir Gerusalem si vede - ecco additar Gerusalem si scorge - , ecco da mille voci unitamente - Gerusalemme salutar si sente » , e cadde in ginocchio . Anche Alfio era contento : contento di aver finito quella sgambata . I giorni successivi i due crociati fecero il giro dei Luoghi Santi , raccogliendosi in preghiera su ognuno di essi . Caricarono il mulo di reliquie . Poi il principe annunciò : « E ora intraprendiamo la strada del ritorno » . Alfio lo fissò , capì le sue intenzioni , si sfilò di dosso tunica e cappuccio e , indicando con la mano la villa , rispose : « A Gerusalemme sugnu e a Gerusalemme sto » . Stavolta però il principe gli dette ragione . Anche lui rimase a Gerusalemme , e due anni dopo ci morì . Le sue ultime parole furono : « Dite al Conte Goffredo ... » .
Caro Fiorelli ( Montanelli Indro , 1978 )
StampaQuotidiana ,
Il celebre giornalista che ha inventato i due neologismi è ( tanto per cambiare ) Longanesi che una sera , sorprendendo me e Ansaldo in trattoria a discutere su certe tipologie umane , tagliò la questione con una delle sue solite perentorie battute : « Tutte baggianate . Gli uomini si dividono in due categorie : i nardones e i leccobardi » . Sono sicuro che inventò quelle parole lì per lì perché non seppe darci nessuna spiegazione della loro etimologia ( solo in seguito risultò che nardones gli era rimasto nell ' orecchio dai suoi tempi di Napoli dove c ' è un vicolo , una volta famoso per i suoi bordelli , che s ' intitola così ) , ma in compenso cominciò subito a chiarirci il concetto con riferimenti storici concreti . « Per esempio - disse - Churchill era un nardones , Eden un leccobardo ; Stalin era un nardones , Trotzki un leccobardo ; Cesare era un nardones , Augusto un leccobardo . Mussolini e Franco erano nardones ; mentre Hitler no , era un leccobardo Gli avventori delle tavole accanto avevano smesso di mangiare e di parlare fra loro per ascoltare Longanesi che , come al solito , declamava . E piano piano , senza conoscerci né conoscersi tra loro , cominciarono a partecipare al giuoco di quella contrapposizione , facendo domande e accendendo discussioni . « E oggi ? » chiedevano . « Oggi - pontificava Longanesi - , assistiamo a un fenomeno di leccobardizzazione collettiva : la democrazia cristiana . C ' erano tre nardones soli in quel partito : Don Sturzo , De Gasperi e Scelba , e appunto per questo sono stati eliminati . Ma anche all ' estero i nardones sono pochi : Mao , Tito , De Gaulle , Salazar ... No , mi sbaglio : Salazar è leccobardo . » Fu un contagio . Accorsero anche dai tavoli più lontani , la discussione diventò generale , durò accesissima fino alle due del mattino . E se lei , caro Fiorelli , si prova a riaprirla coi suoi amici , al caffè o al circolo , vedrà che ottiene lo stesso effetto . Ci cascano tutti , tutti ci si divertono . Ma attenzione : che nessuno tenti di spiegare quei due termini e di dargli un significato preciso . Granzotto , che ci si è provato , ha fatto fiasco : per fare un nardones ci vuol altro che la calma , la serenità eccetera : Petrarca era calmo e sereno , eppure era un leccobardo . E per fare un leccobardo non bastano la magrezza e la bile : Dante possedeva al massimo sia l ' una che l ' altra , eppure era un nardones . No , né all ' uno né all ' altro archetipo si possono attribuire connotati definiti . Contentatevi delle esemplificazioni , e soprattutto sfuggite alla tentazione di stabilire , fra i due termini , una gerarchia . Nardonismo non è affatto sinonimo di grandezza , come leccobardismo non è affatto sinonimo di meschinità . Fra i nardones ci sono molti grandi , ma c ' è anche , per esempio , Starace ch ' era solo un bravo e onesto coglione . Mentre fra i leccobardi c ' è un Roosevelt , canaglia sì , ma di non comuni dimensioni , molto più grosso di Johnson che era nardones ( come Truman e Nixon ) . Fra i contemporanei , i due leccobardi più esemplari sono stati Paolo VI e Moro . Wojtyla è certamente nardones . Su Andreotti , sono incerto : a volte mi sembra un leccobardo travestito da nardones , a volte un nardones travestito da leccobardo : comunque , un travestito . Caro Fiorelli , dia retta a me . Stasera stessa apra coi suoi amici questa discussione . Vedrà : ci rimarrete appiccicati fino all ' alba , come successe a noi e continua ogni tanto a succederci . Perché Longanesi aveva ragione : le due categorie umane son quelle . E sebbene io non sia riuscito a spiegargliene la differenza , sono sicuro che lei l ' ha capita .
Caro amico ( Montanelli Indro , 1978 )
StampaQuotidiana ,
Caro amico , non solo capisco la sua amarezza e il suo sdegno , ma li condivido . L ' Università italiana è in pezzi : anzi è in pezzi la scuola italiana , a tutti i livelli . Logico che , quanto più si sale di livello , tanto più siano avvertibili , e funeste , la degradazione dell ' insegnamento , la disorganizzazione : insomma il caos demagogico . Non voglio dilungarmi sulle ragioni specifiche di questa o quella rivendicazione , agitazione , occupazione . Ce n ' è sempre . Stia pur certo che , se non cambia il clima generale della scuola italiana , rimosso un ostacolo se ne presenterà un altro , all ' infinito , in una spirale progressiva ( e pseudo progressista ) che porta alla paralisi . Prima che i rivoluzionari e riformatori si mettessero all ' opera , l ' Università italiana non era certo perfetta . Peccava di accademismo ; non preparava i ragazzi all ' esercizio delle professioni cui aspiravano ; dava posto eccessivo , nella composizione della massa studentesca , ai figli della borghesia ; era dominata da « baroni » che a volte avevano conquistato il loro titolo professorale per veri meriti , ed esercitavano la loro missione con scrupolo , e a volte erano soltanto pompose e arroganti nullità . Pur con tutti questi grossi difetti , l ' Università italiana nel suo complesso reggeva , dal punto di vista degli studi e delle ricerche , il confronto con le Università estere . Alcuni Atenei , e alcune facoltà , erano di altissimo livello . Era , quella , una Università , che doveva certamente essere migliorata , resa più efficiente dal punto di vista tecnico , più giusta dal punto di vista sociale , e più severa - rilievo che riguarda soprattutto talune sedi - dal punto di vista degli studi . Se si fosse agito in questo senso , gli studenti di modeste condizioni economiche , ma bravi - come immagino sia suo figlio - avrebbero potuto ottenere non solo la gratuità della frequenza , ma un presalario sufficiente per vivere , e riservato a chi meritasse questo sacrificio della collettività . Gli svogliati , gli eterni fuori corso , i venditori di chiacchiere demagogiche , anche se ricchi e privilegiati economicamente , fuori . Ma sull ' onda dell ' ormai mitico '68 , sotto la spinta di sciagurati agitatori , come Capanna , che si proclamavano apostoli degli studenti , e sono stati i loro peggiori nemici , con la complicità di professori malati di giovanilismo spensierato , deboli , politicamente ambiziosi , con l ' avallo di governanti sprovveduti e populisti , si è proceduto in senso opposto : Università aperte a tutti , studi declassati , lauree a portata di qualsiasi somaro , gli Atenei trasformati in covi di una rivoluzione permanente e inconcludente , tanti Lenin in sessantaquattresimo associati all ' insegnamento . Questa stravolta riforma , culminata nei fasti del 27 a tutti ( da qualche professore vergognosamente accettato ) nelle facoltà di architettura , ha punito , caro amico , proprio le famiglie come la sua . I giovani intelligenti e diligenti , che hanno fretta di laurearsi perché un padre operaio deve scannarsi per mantenerli agli studi , sono bloccati dalle lotte continue di professori politicizzati e di compagni « rivoluzionari » con Kawasaki e vacanze alle Seychelles . Quando il suo ragazzo entrerà - le auguro presto - nella professione riuscirà probabilmente , perché è in gamba e perché ha scelto una facoltà che ritengo sia tra le meno affollate . Ma altri faticheranno immensamente trovandosi a competere con laureati che sono bestie : ma grazie al metodo Capanna hanno completato senza fatica i corsi , e sono ammanigliati , e hanno famiglie influenti . I « rivoluzionari » hanno cioè punito proprio i figli dei proletari , che asseriscono vociando di voler redimere . Se tanti studenti in gamba che sono figli di povera gente non potranno essere , nella vita , ciò che avrebbero voluto , e dovranno ammainare le ali delle loro legittime aspirazioni , ne rendano grazie ai demagoghi .
Caro Bertani ( Montanelli Indro , 1978 )
StampaQuotidiana ,
Caro Bertani , è curioso : di tutti i nostri lettori , lei è l ' unico ad aver interpretato quel mio articolo come una presa di posizione contro le centrali elettronucleari . Non è così , e tengo a ribadirlo per chiunque possa essere caduto nello stesso abbaglio . Se ho fatto un ' allusione a Hiroshima , cioè all ' uso perverso che si può fare dell ' energia nucleare , è stato solo per prevenire la propaganda avversaria che certamente si varrà di questo ingannevole , ma suggestivo argomento per impostare il suo referendum . E per controbatterlo ne ho portati altri tre che mi sembrano di facile comprensione anche per il lettore più digiuno di questa materia , e quindi i più adatti a una contro - propaganda di massa : 1° ) Il fatto di non avere centrali termonucleari non basterebbe a metterci al riparo da catastrofi tipo Hiroshima perché in un mondo nuclearizzato , « zone di rispetto » non ne esistono . 2° ) Le installazioni termonucleari costruite finora ( e sono più di 600 ) non hanno mai dato luogo a incidenti , e si dimostrano anche meno inquinanti di tante altre . 3° ) Lo sviluppo industriale è a un bivio : o infila la strada termonucleare , o dovrà rassegnarsi a restare a corto , di qui a un po ' , di fonti di energia perché il petrolio non è inesauribile e costa sempre più caro . Più di questo , caro Bertani , che dovevo dire ? Lei forse mi rimprovera di non avere abbastanza sottolineato la differenza che passa fra l ' uso bellico e distruttivo , e quello pacifico e costruttivo , dell ' energia nucleare . Ma , santo Dio , questa differenza la conoscono tutti ed è implicita nel discorso . Nessuno dubita , nessuno può dubitare che l ' Italia voglia le centrali per lanciarsi nella gara dell ' armamento atomico : d ' imbecilli nel nostro Paese ce ne sono tanti , ma non fino al punto di correr dietro a simili sogni , o per meglio dire incubi . Il mio ragionamento era questo , già implicito nel titolo dell ' articolo ( A lume di candela ) : « Decidiamoci : o l ' energia termonucleare , o il ritorno alla candela » . E questo , lei , me lo chiama un argomento contro l ' energia termonucleare ?
Caro Banfi ( Montanelli Indro , 1978 )
StampaQuotidiana ,
Caro Banfi , vedo che lei ha abbastanza ben capito la differenza , per quanto refrattaria ad ogni definizione , fra nardones e leccobardi . Per quanto mi riguarda , anch ' io credo che spetti ai lettori , non a me , stabilire a quale categoria appartengo . Lei però rischia di trarli in inganno spacciando per leccobardismo il mio invito a votare Dc « con schifo , con rabbia , con voltastomaco » ecc. E glielo dimostro con un esempio . Lei , vedo , elenca Churchill fra i nardones , e ha ragione perché ne era addirittura un archetipo . Ma non crede lei che , dopo aver passato la vita a combattere il comunismo , avesse anche lui la rabbia , lo schifo e il voltastomaco quando dovette allearsi con Stalin e stringergli la mano ? E crede che questo basti a trasformarlo in leccobardo ? Con ciò non voglio mettermi , per l ' amordiddio , sul piano di Churchill . Voglio soltanto dire che un uomo non si può giudicarlo dalle azioni che compie in stato di necessità . Eppoi , non creda che la qualifica di leccobardo mi offenderebbe . Pericle ( dico Pericle ) lo era . Lo era Erasmo . E molte sono le volte in cui un leccobardo - p . es. Federico il grande di Prussia - ha fregato i nardones . Anche fra i nostri contemporanei , guardi un Giscard d ' Estaing . Più leccobardo di lui , si muore . Eppure , sebbene non ne abbia le forze , riesce a tenersi alla pari di un nardones come Schmidt . Dimenticavo di aggiungere che il discorso vale anche per le donne . Esse passano quasi sempre per leccobarde . Ma anche fra loro ci sono le nardones . Anzi , di solito succede questo : che uno crede di sposare una leccobarda , e poi si trova in casa una nardones , e che nardones . Prenda la signora Anna Bonomi . Ma forse l ' esempio è scelto male : la signora Bonomi non ha mai nemmeno tentato di passare per leccobarda .