StampaQuotidiana ,
Il
nostro
galateo
di
giornalisti
«
borghesi
»
c
'
impone
di
pubblicare
questa
lettera
,
ma
non
ci
vieta
una
succinta
replica
:
a
)
Non
vedo
che
differenza
faccia
la
data
di
quelle
dichiarazioni
:
non
c
'
era
bisogno
di
aspettare
la
prova
del
Giornale
per
sapere
quali
fossero
le
nostre
posizioni
:
sono
quelle
che
abbiamo
sempre
tenuto
.
130
b
)
Fra
i
giornalisti
della
mia
generazione
,
io
sono
conosciuto
(
s
'
informi
,
sig.
Capanna
,
s
'
informi
)
come
uno
dei
pochissimi
che
non
ebbero
mai
commercio
coi
gerarchi
.
Quelli
che
ho
conosciuto
,
li
ho
conosciuti
solo
dopo
la
Liberazione
.
Ma
anche
se
li
avessi
conosciuti
prima
,
non
me
ne
vergognerei
,
visto
che
di
carriera
politica
non
ne
ho
fatta
né
con
loro
né
dopo
di
loro
.
Nel
nostro
mestiere
(
e
io
non
ne
ho
mai
fatti
altri
)
,
i
gradi
li
conferiscono
i
lettori
.
c
)
E
'
falso
che
il
Giornale
taccia
le
iniziative
della
Regione
.
Le
registra
sempre
,
anche
quando
recano
la
firma
di
Mario
Capanna
.
E
nessuno
lo
sa
meglio
di
lui
,
che
è
in
continuo
contatto
coi
nostri
cronisti
,
a
chiedere
favori
quasi
sempre
esauditi
.
d
)
Grazie
per
la
qualifica
di
«
maestro
»
.
Se
io
lo
sia
in
senso
positivo
o
negativo
,
non
sta
a
lei
giudicarlo
.
Sarà
il
futuro
a
dire
chi
,
fra
lei
e
me
,
ha
servito
gl
'
interessi
dei
giovani
,
dei
lavoratori
ecc
.
,
e
chi
se
n
'
è
servito
per
arrampicarsi
più
su
.
e
)
Due
colonne
di
piombo
sono
troppe
.
Come
avrà
visto
,
non
le
concedo
nemmeno
a
me
stesso
.
Ma
se
lei
vuole
esporre
le
sue
ragioni
,
questo
giornale
è
pronto
ad
ospitarle
,
come
certamente
i
giornali
vostri
,
se
voi
aveste
vinto
,
non
avrebbero
fatto
con
le
nostre
.
Naturalmente
mi
riservo
di
contestarle
sul
presupposto
-
forse
errato
-
che
il
vate
della
contestazione
sia
tenuto
a
riconoscermene
il
diritto
.
StampaQuotidiana ,
Caro
Paolo
,
non
ti
dirò
che
alla
tua
età
non
si
ha
diritto
a
tanta
disperazione
,
perché
sarebbe
retorico
e
falso
:
è
proprio
a
vent
'
anni
invece
che
si
hanno
le
disperazioni
:
ci
sono
passato
anch
'
io
.
Ma
è
il
motivo
che
te
la
ispira
che
mi
sembra
sbagliato
dalle
fondamenta
.
Tu
mi
fai
un
discorso
intelligente
,
molto
acuto
,
che
dimostra
una
maturità
in
anticipo
sui
tuoi
anni
,
per
dimostrarmi
che
non
c
'
è
scampo
perché
il
Pci
arriverà
in
ogni
caso
al
potere
.
Io
non
ci
credo
.
Ma
ammettiamolo
pure
.
E
una
volta
arrivato
al
potere
,
che
cosa
ci
porta
?
Ci
porta
,
mi
dirai
,
la
sua
intolleranza
,
e
una
polizia
capace
di
praticarla
soffocando
ogni
voce
di
dissenso
.
Giusto
.
Questo
gli
basterà
a
mantenerlo
,
il
potere
,
per
dieci
o
vent
'
anni
,
che
io
non
vorrei
vivere
,
che
tu
non
vorresti
vivere
,
ma
che
nella
storia
di
un
popolo
non
contano
molto
.
E
poi
?
Poi
,
sarebbe
il
crollo
,
perché
il
comunismo
non
ha
più
nulla
da
dire
a
nessuno
,
nemmeno
ai
russi
.
Sta
in
piedi
grazie
alla
sua
armatura
di
ferro
,
ma
per
niente
altro
.
Guardati
intorno
,
caro
Paolo
.
Il
vero
motivo
per
cui
le
dittature
di
destra
fanno
meno
paura
di
quella
comunista
è
perché
non
hanno
un
vangelo
,
voglio
dire
una
vera
e
propria
ideologia
.
Nascono
da
emergenze
,
per
riempire
un
vuoto
di
potere
(
democrazia
italiana
1922
,
repubblica
di
Weimar
1932
)
,
ristabiliscono
un
ordine
purchessia
,
e
vi
si
mummificano
.
Infatti
durano
,
al
massimo
,
quanto
dura
il
dittatore
,
al
quale
non
riescono
a
dare
successori
come
si
è
visto
in
Spagna
e
Portogallo
.
Per
il
semplice
motivo
che
la
successione
presuppone
un
'
eredità
,
e
le
dittature
di
destra
sono
,
quanto
a
patrimonio
ideologico
,
nullatenenti
.
I
comunisti
,
un
vangelo
lo
hanno
,
o
meglio
lo
avevano
:
il
marxismo
.
Il
marxismo
è
un
sistema
,
diciamo
così
,
a
ciclo
completo
:
politico
,
economico
,
culturale
.
Ed
è
questo
patrimonio
che
,
consentendogli
la
continuità
da
una
generazione
all
'
altra
,
ce
lo
faceva
temere
come
un
fenomeno
irreversibile
.
Ma
ora
,
caro
Paolo
,
non
più
.
Il
marxismo
è
in
pieno
sfacelo
dovunque
,
ma
soprattutto
là
dove
si
è
realizzato
.
Si
sostiene
solo
con
la
violenza
,
che
ha
saputo
organizzare
come
mai
nessuno
;
ma
non
è
riuscito
a
sopprimere
il
capitalismo
perché
dopo
aver
distrutto
quello
privato
ha
dovuto
istaurarne
uno
di
Stato
che
si
rivela
dieci
volte
peggiore
,
anche
per
le
classi
lavoratrici
,
di
quello
privato
,
e
nel
campo
del
pensiero
le
uniche
sue
voci
vive
sono
quelle
del
dissenso
.
Ora
anche
l
'
ultima
illusione
,
quella
pacifista
dell
'
internazionalismo
proletario
,
è
caduta
:
proletari
vietnamiti
e
proletari
cambogiani
si
sbranano
su
uno
sfondo
sovrastato
dalla
guerra
fredda
fra
Russia
e
Cina
.
Di
tutte
le
soluzioni
proposte
dal
marxismo
,
non
ce
n
'
è
una
che
abbia
retto
e
regga
alla
prova
dei
fatti
.
Il
cosiddetto
«
revisionismo
»
,
in
atto
in
tutta
la
cultura
marxista
dell
'
Occidente
,
non
è
che
la
mascheratura
del
ripudio
di
quella
che
ancora
vent
'
anni
fa
(
fino
alla
rivolta
dell
'
Ungheria
)
poteva
apparire
come
una
grande
speranza
.
La
tua
disperazione
,
caro
Paolo
,
è
nulla
in
confronto
a
quella
che
devono
provare
i
marxisti
in
buona
fede
(
che
sono
pochi
:
i
più
sono
soltanto
degli
opportunisti
)
,
che
nel
marxismo
credevano
di
aver
trovato
una
risposta
ai
loro
perché
,
e
ora
sono
al
buio
.
Certo
,
il
comunismo
ha
ancora
la
forza
per
conquistare
l
'
Italia
,
e
magari
l
'
Europa
:
missili
e
carri
armati
per
questa
impresa
,
ne
ha
abbastanza
.
Ma
non
ha
che
quelli
.
Potrà
distruggere
tutto
,
ma
è
incapace
di
costruire
qualcosa
di
umanamente
valido
.
E
quindi
è
condannato
alla
sconfitta
finale
.
Puzza
già
di
morto
.
Caro
Paolo
,
non
posso
guarirti
dalla
disperazione
.
E
nemmeno
lo
voglio
.
La
disperazione
è
un
buon
concime
,
per
la
formazione
di
un
uomo
,
come
lo
intendo
io
.
Continua
a
macerartici
,
dentro
e
,
se
ti
fa
piacere
,
vieni
a
trovare
questa
nostra
famiglia
di
ex
-
disperati
,
che
nell
'
azione
hanno
trovato
la
loro
medicina
.
Mattei ( Montanelli Indro , 1970 )
StampaQuotidiana ,
In
questi
ultimi
giorni
sono
usciti
due
libri
su
Enrico
Mattei
,
il
fondatore
dell
'
ENI
.
Uno
è
un
"
giallo
"
che
pretende
fornire
le
fila
dell
'
attentato
di
cui
egli
sarebbe
rimasto
vittima
,
e
non
val
la
pena
parlarne
:
non
perché
l
'
ipotesi
sia
da
scartare
a
priori
,
ma
perché
gli
autori
non
riescono
a
basarla
che
su
congetture
e
induzioni
scopertamente
romanzate
all
'
insegna
del
sensazionale
.
L
'
altro
,
no
:
è
un
profilo
serio
e
penetrantissimo
,
scritto
da
un
inglese
che
a
Mattei
fu
molto
vicino
in
qualità
di
consulente
:
Paul
H
.
Frankel
.
S
'
intitola
Petrolio
e
potere
(
«
La
Nuova
Italia
»
ed
.
,
175
pagg
.
,
L
.
l.000
)
.
E
non
è
soltanto
una
biografia
;
è
anche
un
saggio
,
asciutto
e
chiarissimo
,
come
solo
sanno
scriverne
gl
'
inglesi
,
su
tutto
il
problema
delle
fonti
d
'
energia
.
D
'
altra
parte
,
solo
così
inquadrato
si
può
capire
e
valutare
Mattei
.
E
di
capirlo
e
valutarlo
,
è
ormai
tempo
.
L
'
uomo
non
aveva
del
resto
nulla
d
'
insondabile
e
misterioso
.
Come
tutti
i
grandi
caratteri
,
Mattei
era
un
carattere
semplice
,
perfino
rozzo
.
La
cosa
che
più
mi
colpì
,
nell
'
unico
personale
contatto
ch
'
ebbi
con
lui
una
sera
a
cena
,
fu
l
'
intensità
della
sua
concentrazione
.
Parlò
di
una
cosa
sola
,
sempre
di
quella
:
ogni
volta
che
cercavo
di
spostare
il
discorso
su
altri
fatti
e
interessi
,
il
suo
volto
si
chiudeva
e
assumeva
l
'
espressione
del
sordo
.
Frankel
dice
che
,
sebbene
non
avesse
mai
avuto
nulla
a
che
fare
col
fascismo
,
Mattei
ne
aveva
respirato
l
'
aria
,
come
del
resto
tutti
gli
uomini
della
sua
generazione
.
L
'
idea
di
un
'
Italia
negletta
e
defraudata
dei
suoi
diritti
a
un
"
posto
al
sole
"
in
lui
era
diventata
convinzione
profonda
forse
perché
il
posto
al
sole
aveva
dovuto
guadagnarselo
egli
stesso
,
figlio
di
un
povero
carabiniere
meridionale
costretto
a
lavorar
di
gomiti
per
inserirsi
nel
mondo
degli
affari
lombardo
.
Nulla
di
straordinario
in
questa
vicenda
.
Milano
è
piena
d
'
immigrati
che
hanno
battuto
la
stessa
strada
e
incontrato
le
medesime
difficoltà
;
ma
che
una
volta
arrivati
,
se
ne
sono
gettati
dietro
le
spalle
il
ricordo
.
Mattei
,
no
.
Anche
dopo
che
vi
ebbe
raggiunto
una
posizione
di
tutto
rispetto
,
per
lui
Milano
rimase
sempre
"
la
plutocrazia
"
.
Non
era
invidia
:
e
lo
dimostra
il
fatto
che
Mattei
non
fece
mai
nulla
per
esservi
accolto
,
anche
quando
avrebbe
potuto
farlo
da
padrone
.
Mattei
non
ambì
mai
agli
status
symbols
della
grande
borghesia
imprenditoriale
né
mai
chiese
l
'
ammissione
al
club
.
Vedeva
veramente
in
questa
categoria
l
'
oppressore
privilegiato
.
Era
convinto
che
in
Italia
i
poveri
fossero
poveri
perché
i
ricchi
erano
ricchi
.
E
fu
per
questo
che
esercitò
tanta
suggestione
anche
fuori
d
'
Italia
..
Quando
Mattei
diceva
ai
Paesi
sottosviluppati
che
il
loro
sottosviluppo
dipendeva
dalla
rapacità
degli
sfruttatori
,
non
lo
diceva
soltanto
per
fare
i
propri
affari
.
Ci
credeva
.
In
lui
c
'
era
una
componente
di
messianismo
populista
.
Aveva
degli
uomini
una
concezione
manichea
:
di
qua
i
deboli
e
buoni
,
di
là
i
potenti
e
cattivi
.
Ricordo
una
sua
intervista
in
televisione
in
cui
egli
parlava
dell
'
ENI
come
di
un
disarmato
gattino
perso
nel
bosco
tra
belve
rapaci
.
La
menzogna
era
smaccata
e
mi
fece
trasalire
d
'
indignazione
:
l
'
ENI
in
quel
momento
aveva
già
zanne
e
artigli
da
tigre
.
Eppure
,
dopo
capii
che
Mattei
era
in
buona
fede
e
che
proprio
questa
era
la
sua
forza
:
per
diventare
il
vindice
di
un
sopruso
,
aveva
bisogno
di
sentirsene
la
vittima
.
Quanto
ci
sia
di
favoloso
e
leggendario
in
ciò
che
i
suoi
agiografi
spacciano
per
biografico
,
non
conta
.
Conta
solo
il
fatto
ch
'
egli
abbia
ispirato
favole
e
leggende
.
Forse
per
esempio
non
è
del
tutto
vero
che
il
suo
impero
nacque
da
un
gesto
di
disobbedienza
quando
,
nominato
dal
governo
commissario
dell
'
Azienda
Generale
Petroli
(
AGI
P
)
col
compito
di
liquidarla
,
vi
si
rifiutò
con
un
'
insolente
lettera
di
sfida
.
Ma
è
del
tutto
vero
che
in
quel
momento
egli
non
aveva
la
minima
idea
di
ciò
che
stava
facendo
e
dove
sarebbe
andato
a
parare
.
Frankel
dice
che
subito
dopo
la
Liberazione
,
Mattei
non
aveva
affatto
deciso
su
che
strada
mettersi
,
ma
che
caso
mai
propendeva
più
per
la
politica
che
per
gli
affari
.
E
probabile
.
Si
era
fatto
un
bel
nome
nella
Resistenza
di
cui
era
stato
il
Grande
Elemosiniere
,
era
strettamente
legato
ai
suoi
più
prestigiosi
capi
,
e
aveva
un
vasto
seguito
fra
i
partigiani
.
Inoltre
,
per
gli
affari
,
gli
mancava
il
maggiore
propellente
:
la
sete
di
denaro
.
Mattei
era
più
ricco
prima
di
creare
la
sua
azienda
che
durante
e
dopo
.
Egli
amava
solo
il
potere
,
e
l
'
amore
del
potere
esclude
tutti
gli
altri
.
Ma
probabilmente
si
era
già
accorto
che
la
politica
in
Italia
non
conduce
al
potere
.
Conduce
solo
alla
politica
,
per
la
quale
a
lui
mancavano
non
solo
le
qualità
,
ma
anche
i
difetti
che
contano
ancora
di
più
:
era
un
pessimo
oratore
e
credeva
in
ciò
che
faceva
con
una
convinzione
e
ostinazione
che
lo
rendevano
inaccessibile
a
quell
'
arte
del
compromesso
,
di
cui
la
politica
ormai
non
fa
più
il
mezzo
,
ma
il
fine
.
Tuttavia
la
sua
scelta
fu
solo
di
strumento
,
non
di
obbiettivo
.
Preferì
il
petrolio
al
Parlamento
perché
pensò
che
fosse
più
facile
dominare
il
Parlamento
col
petrolio
che
il
petrolio
col
Parlamento
.
Del
petrolio
sapeva
ben
poco
,
allora
.
Sapeva
soltanto
che
le
nostro
forniture
dipendevano
da
quelle
grandi
compagnie
internazionali
in
cui
egli
vedeva
la
più
perfetta
e
abominevole
incarnazione
della
"
plutocrazia
"
.
Frankel
dice
che
non
ci
fu
mai
verso
di
convincerlo
ch
'
esse
non
formavano
un
vero
e
proprio
"
cartello
"
,
come
lui
spregiosamente
lo
chiamava
,
cioè
un
monopolio
,
e
che
i
loro
profitti
non
erano
poi
così
esosi
,
come
lui
valutava
.
Mattei
doveva
crederlo
perché
solo
così
poteva
riuscire
a
farlo
credere
ai
Paesi
produttori
.
Egli
portava
nelle
sue
menzogne
una
carica
di
sincerità
che
le
rendeva
irresistibili
.
Non
conosco
i
capi
delle
compagnie
petrolifere
.
Penso
che
sul
piano
tecnico
e
manageriale
debbano
essere
uomini
agguerritissimi
,
rotti
a
qualunque
astuzia
,
e
con
un
pelo
sullo
stomaco
alto
così
.
Ma
sul
piano
umano
la
loro
ottusità
deve
toccare
livelli
da
Himalaya
,
a
giudicarne
dal
modo
con
cui
hanno
condotto
la
lotta
contro
l
'
ENI
.
Essi
risero
quando
Mattei
,
alla
vista
delle
prime
gocce
di
petrolio
portate
alla
superficie
dalle
sue
sonde
in
Val
Padana
,
annunciò
con
la
voce
rotta
dall
'
emozione
che
l
'
Italia
aveva
trovato
nelle
sue
viscere
la
cassaforte
di
una
ricchezza
aperta
a
tutti
.
Avevano
ragione
in
quanto
la
cassaforte
non
conteneva
che
quelle
poche
gocce
.
Ma
non
capirono
che
in
un
Paese
appena
reduce
dalle
mortificazioni
della
disfatta
,
più
che
di
petrolio
,
c
'
era
bisogno
di
fiducia
,
e
che
quell
'
annunzio
riecheggiante
il
solito
«
L
'
Italia
farà
da
sé
»
,
ne
ridava
.
Essi
risero
quando
Mattei
si
mise
a
profondere
miliardi
per
costruire
le
più
belle
moderne
e
lussuose
stazioni
di
servizio
con
la
scritta
"
Supercortemaggiore
,
la
potente
benzina
italiana
"
.
Avevano
ragione
perché
quella
benzina
italiana
era
fornita
dall
'
Anglo
-
Iranian
inglese
.
Ma
non
capirono
che
queste
ostentazioni
affezionavano
la
pubblica
opinione
a
un
'
illusione
cui
non
avrebbe
mai
più
rinunziato
,
dando
così
a
Mattei
la
forza
di
tradurla
in
realtà
.
Essi
credettero
che
Mattei
fosse
un
venditore
di
tappeti
.
Sbagliavano
.
Era
un
venditore
di
sogni
,
merce
molto
più
pericolosa
,
anche
perché
facilmente
esportabile
e
non
soggetta
a
dogana
.
Nessuno
può
dire
se
,
nel
momento
in
cui
il
suo
aereo
precipitò
,
egli
fosse
alla
vigilia
di
una
clamorosa
vittoria
o
di
una
irreparabile
disfatta
.
Cioè
potrebbe
dirlo
solo
il
suo
successore
Cefis
,
che
si
rifiuta
di
parlare
.
E
noto
che
Cefis
,
prima
stretto
collaboratore
di
Mattei
,
se
n
'
era
poi
allontanato
-
e
,
mi
dicono
,
in
malo
modo
-
per
dissensi
sui
criteri
di
gestione
dell
'
azienda
dove
rientrò
dopo
la
morte
del
fondatore
.
Eppure
non
ha
mai
pronunciato
che
parole
di
rispetto
,
quasi
di
venerazione
,
nei
suoi
confronti
.
Io
credo
che
Mattei
abbia
commesso
molti
sbagli
,
ma
che
proprio
questi
diano
la
misura
dell
'
uomo
.
Chiunque
altro
ne
sarebbe
stato
travolto
.
Lui
no
,
perché
era
più
grosso
di
essi
,
un
personaggio
ibseniano
,
cui
è
superfluo
cercar
di
attribuire
un
'
aureola
di
martire
tessendo
cattivi
romanzi
gialli
sulla
sua
fine
.
Non
ne
ha
bisogno
.
StampaQuotidiana ,
Nel
'68
,
quando
fu
costituito
il
primo
governo
Rumor
,
nel
leggere
la
lista
dei
partecipanti
,
molti
rimasero
di
stucco
:
il
nome
di
Giulio
Andreotti
non
vi
figurava
.
Era
la
prima
volta
che
succedeva
da
oltre
vent
'
anni
.
Di
quanti
ministeri
si
siano
composti
e
decomposti
in
quest
'
arco
di
tempo
,
ho
perso
il
conto
;
ma
tutti
ricordavamo
che
non
ce
n
'
era
stato
uno
di
cui
Andreotti
non
avesse
occupato
qualche
posto
-
chiave
.
Dal
sottosegretariato
alla
Presidenza
del
Consiglio
alle
Finanze
,
dalle
Finanze
al
Tesoro
,
dal
Tesoro
alla
Difesa
,
dalla
Difesa
all
'
Industria
,
Andreotti
si
era
ormai
accreditato
come
il
jolly
della
politica
italiana
,
una
specie
di
Domenghini
buono
per
tutti
i
ruoli
sia
d
'
attacco
che
di
difesa
.
Gli
eurologi
-
come
potremmo
chiamare
gli
esperti
del
Cremlino
democristiano
che
,
come
tutti
sanno
,
ha
la
sua
sede
all
'
EUR
-
ravvisarono
nell
'
esclusione
il
segno
di
una
parabola
discendente
.
Andreotti
,
dissero
,
è
caduto
vittima
di
un
eccesso
di
abilità
.
A
furia
di
non
volersi
legare
a
nessun
gruppo
per
restare
in
una
posizione
di
arbitro
rispetto
a
quelli
altrui
e
fare
tra
loro
l
'
ago
della
bilancia
,
è
rimasto
isolato
,
e
ora
ne
paga
il
fio
.
La
sua
è
ormai
una
battaglia
di
retroguardia
,
con
cui
tenta
di
salvare
il
salvabile
,
cioè
la
sua
posizione
di
"
notabile
"
.
Quella
non
può
insidiargliela
nessuno
,
data
la
sua
base
elettorale
fra
le
più
forti
del
partito
:
oltre
duecentomila
voti
di
preferenza
.
Ma
su
di
essa
ha
ripiegato
,
rinunziando
alla
lotta
per
il
primato
.
Giovane
com
'
è
,
può
anche
darsi
che
torni
la
sua
ora
.
Ma
chissà
quanto
dovrà
aspettarla
.
L
'
ha
aspettata
due
anni
:
che
,
per
un
'
inversione
di
parabola
,
sono
un
po
'
pochi
.
E
'
chiaro
che
Andreotti
,
lungi
dal
rinunziare
,
faceva
in
questo
frattempo
una
corsa
di
difesa
in
coda
al
plotone
per
prendere
la
volata
e
batterlo
sull
'
ultima
rampa
.
Non
so
se
questo
piano
lo
avesse
in
testa
fin
dal
'68
.
So
soltanto
che
,
per
lasciarsi
emarginare
da
una
lista
di
governo
,
qualcosa
in
testa
doveva
averla
.
L
'
ha
sempre
avuta
,
fin
dal
tempo
in
cui
sembrava
che
la
sua
sorte
fosse
indissolubilmente
legata
a
quella
di
De
Gasperi
.
Con
questo
-
intendiamoci
-
non
vogliamo
dire
ch
'
egli
abbia
tradito
il
suo
iniziatore
e
patrono
.
Anzi
,
fra
tutti
i
pupilli
dello
statista
trentino
,
è
uno
dei
più
fedeli
alla
sua
memoria
,
e
l
'
ha
dimostrato
anche
nell
'
eccellente
saggio
biografico
che
gli
ha
dedicato
.
La
sua
non
è
l
'
orazione
funebre
di
Antonio
sulla
tomba
di
Cesare
.
Si
sente
che
parla
d
'
un
Maestro
,
anzi
del
Maestro
.
Ma
al
cadavere
non
rimase
abbracciato
e
non
ne
seguì
la
sorte
,
come
una
vedova
indiana
,
sulla
pira
.
Quell
'
operazione
di
svincolo
,
a
volerla
compiere
senza
incorrere
in
accusa
di
fellonia
e
ingratitudine
,
non
era
facile
.
Anche
per
ragioni
di
anagrafe
(
è
nato
nel
'19
)
,
Andreotti
non
aveva
meriti
"
ante
marcia
"
.
Come
antifascista
,
tutto
il
suo
capitale
morale
consisteva
nell
'
amicizia
di
De
Gasperi
,
da
lui
conosciuto
un
giorno
del
'41
,
nella
biblioteca
Vaticana
.
Studente
poco
più
che
ventenne
,
Andreotti
c
'
era
andato
-
dice
-
a
cercarvi
dei
documenti
sulla
Marina
pontificia
.
Il
bibliotecario
ignorava
che
ce
ne
fosse
stata
una
e
si
meravigliò
che
quel
ragazzo
se
ne
interessasse
,
e
proprio
in
quel
momento
.
Ce
ne
meravigliamo
un
po
'
anche
noi
,
pur
conoscendo
le
curiosità
dell
'
uomo
e
la
sua
passione
per
la
Storia
.
De
Gasperi
allora
non
era
che
un
ospite
mal
sopportato
della
Curia
,
ma
il
suo
nome
cominciava
a
uscire
dall
'
oblio
in
cui
il
regime
lo
aveva
piombato
.
Il
giovane
studioso
trovò
molto
istruttiva
la
conversazione
con
lui
,
sebbene
di
Marina
del
tutto
digiuno
.
Tornò
a
vederlo
con
sempre
maggior
frequenza
,
e
di
lì
a
poco
si
trovò
travasato
nella
redazione
del
Popolo
,
che
aveva
ripreso
clandestinamente
le
sue
pubblicazioni
sotto
la
direzione
di
Gonella
.
Aveva
inciampato
in
De
Gasperi
al
momento
giusto
:
quello
in
cui
i
dispersi
superstiti
del
vecchio
partito
popolare
si
riunivano
sotto
la
sua
guida
,
cercavano
di
ricostituire
alla
svelta
i
quadri
e
avevano
bisogno
,
per
vitaminizzarli
,
di
giovani
.
Gli
unici
che
avessero
una
fedina
politica
pulita
erano
quelli
che
non
avevano
avuto
il
tempo
di
sporcarla
:
quelli
delle
ultimissime
leve
,
cui
Andreotti
apparteneva
.
De
Gasperi
nutriva
una
invincibile
diffidenza
per
gli
uomini
della
generazione
successiva
alla
sua
,
tutti
più
o
meno
figli
della
lupa
.
Preferiva
i
nipoti
.
E
fra
i
nipoti
,
predilesse
Andreotti
per
motivi
che
possiamo
soltanto
ricostruire
per
induzione
.
De
Gasperi
era
un
cattolico
,
non
un
clericale
,
e
già
fin
d
'
allora
aveva
i
suoi
guai
col
Vaticano
.
Pio
XII
non
lo
amava
.
Viceversa
Andreotti
in
Vaticano
ci
stava
come
una
trota
nel
torrente
,
o
per
meglio
dire
come
un
'
anguilla
nella
mota
.
Non
so
se
vi
avesse
già
dei
protettori
quando
andò
a
fare
quelle
tali
ricerche
nella
Biblioteca
.
Ma
fatto
sta
che
in
quel
labirinto
di
corridoi
,
in
quell
'
andirivieni
di
passi
felpati
,
fra
tutti
quei
Monsignori
dalla
voce
sommessa
e
dal
linguaggio
allusivo
,
si
orientò
subito
,
come
guidato
da
un
radar
.
Vado
-
ripeto
-
per
ipotesi
.
Ma
non
mi
sembra
azzardato
supporre
che
in
quel
mondo
egli
sia
stato
,
per
De
Gasperi
,
un
prezioso
ambasciatore
,
e
che
anche
a
questo
debba
il
suo
fulmineo
inizio
di
carriera
:
deputato
a
ventott
'
anni
,
prima
di
trenta
era
già
sottosegretario
alla
Presidenza
,
cioè
l
'
uomo
più
vicino
al
capo
e
più
al
corrente
delle
sue
manovre
.
Andava
anche
,
mi
dicono
,
a
messa
insieme
a
lui
,
e
tutti
credevano
che
facessero
la
stessa
cosa
.
Ma
non
era
così
.
In
chiesa
,
De
Gasperi
parlava
con
Dio
;
Andreotti
col
prete
.
Era
una
divisione
di
compiti
perfetta
.
Quale
profitto
l
'
allievo
avesse
tratto
da
quell
'
esperienza
,
lo
si
vide
alla
scomparsa
del
maestro
.
Si
vestì
da
orfano
,
ma
senza
avanzar
pretese
all
'
eredità
:
e
in
tal
modo
si
sottrasse
alla
spietata
epurazione
che
invece
colpì
i
grandi
diadochi
del
defunto
:
Scelba
,
Gonella
eccetera
.
Da
che
parte
sia
stato
in
questi
sedici
anni
di
guerra
di
successione
,
nessun
eurologo
è
in
grado
di
dirlo
con
certezza
.
Con
certezza
si
sa
soltanto
che
nel
partito
non
c
'
è
stata
maggioranza
in
cui
egli
non
sia
entrato
né
ministero
di
cui
non
abbia
fatto
parte
.
Nell
'
arruffato
giuoco
di
correnti
,
che
ha
ridotto
la
dicci
a
un
vortice
,
anche
lui
ha
la
sua
,
che
si
chiama
"
Primavera
"
e
che
di
professione
fa
la
fidanzata
:
anche
il
nome
l
'
aiuta
a
dire
all
'
ultimo
momento
che
ancora
"
non
ha
l
'
età
"
.
Per
quale
sottile
combinazione
di
pesi
e
contrappesi
il
partito
ora
abbia
affidato
a
lui
la
nuova
operazione
di
governo
,
è
materia
d
'
ipotesi
.
Ma
forse
il
motivo
va
ricercato
appunto
nelle
difficoltà
coniugali
ch
'
essa
comporta
,
e
di
cui
Andreotti
si
è
dimostrato
il
massimo
esperto
.
Mi
pare
che
vi
abbia
accennato
egli
stesso
quando
,
uscendo
dal
Quirinale
,
disse
che
la
collaborazione
fra
i
quattro
partiti
non
implicava
un
matrimonio
,
lasciando
capire
che
poteva
limitarsi
allo
"
struscio
"
.
A
quest
'
ardua
impresa
,
nessuno
è
più
qualificato
di
lui
che
ha
strusciato
sempre
senza
compromettersi
mai
.
L
'
uomo
è
distaccato
,
freddo
,
guardingo
,
a
sangue
ghiaccio
.
Non
c
'
è
pericolo
che
impenni
sull
'
ostacolo
.
E
abituato
ad
aggirarlo
,
e
lo
dimostra
la
disinvoltura
con
cui
ha
regolarmente
fatto
le
sue
«
entrate
»
-
ora
da
destra
,
ora
da
sinistra
-
che
tanto
hanno
confuso
gli
osservatori
.
Come
arma
di
riserva
,
dispone
anche
dell
'
umorismo
.
Andreotti
è
l
'
unico
uomo
politico
italiano
che
ne
possieda
,
e
forse
molto
più
di
quanto
mostra
.
Lo
amministra
con
parsimonia
perché
sa
benissimo
quanto
sia
pericoloso
,
in
un
paese
marcio
di
solennità
e
di
retorica
come
il
nostro
.
Ma
ogni
tanto
lo
tira
fuori
come
un
gatto
gli
artigli
,
e
sono
questi
graffi
che
conferiscono
alla
sua
eloquenza
un
timbro
particolare
.
Andreotti
non
è
un
grande
oratore
:
gliene
mancano
la
rotondità
e
i
voli
.
Ma
è
uno
squisito
parlatore
,
uno
schermidore
che
assesta
il
colpo
senza
perdere
mai
la
guardia
,
un
agguerrito
débatteur
pieno
di
garbo
e
di
cattiveria
,
cioè
di
una
cattiveria
corretta
dal
garbo
.
Ce
n
'
è
per
tutti
,
amici
e
nemici
,
perché
in
questo
romano
pontificio
convivono
in
perfetta
armonia
un
Monsignore
e
un
Pasquino
.
E
vorrei
sapere
quante
altre
ce
ne
sono
nel
suo
«
Diario
»
segreto
che
,
mi
dicono
(
e
ci
credo
perché
del
memorialista
ha
la
passione
e
tutte
le
qualità
)
,
egli
tiene
scrupolosamente
aggiornato
.
Peccato
che
non
faremo
in
tempo
a
leggerlo
perché
Andreotti
non
lo
pubblicherà
prima
del
suo
ritiro
dalla
politica
che
coinciderà
con
il
suo
congedo
dalla
vita
.
E
non
ha
che
cinquant
'
anni
.
È
autenticamente
colto
,
cioè
di
quelli
che
non
credono
che
la
cultura
sia
cominciata
con
la
sociologia
e
finisca
lì
.
Come
abbia
fatto
a
formarsela
,
avendo
cominciato
a
fare
il
ministro
prima
dei
trent
'
anni
e
non
avendo
più
smesso
,
Dio
solo
lo
sa
.
Ma
mi
dicono
ch
'
è
sempre
riuscito
a
trovare
il
tempo
di
annaffiarla
.
E
questo
è
a
dir
poco
sorprendente
perché
,
oltre
che
dal
daffare
governativo
,
egli
dev
'
essere
oberato
da
quello
elettorale
come
capo
di
una
delle
più
vaste
clientele
d
'
Italia
.
Secondo
qualcuno
,
la
sua
segreteria
sarebbe
la
più
efficiente
centrale
di
«
raccomandazioni
»
,
pur
in
un
Paese
e
in
un
partito
in
cui
l
'
efficienza
si
sfoga
solo
lì
.
Ma
va
a
metano
,
cioè
senza
far
fumo
né
residuati
.
E
'
una
specialità
di
Andreotti
quella
di
non
lasciar
mai
impronte
digitali
.
Un
industriale
mi
ha
raccontato
:
«
Un
giorno
Andreotti
mi
parlò
di
un
suo
protetto
in
tali
termini
che
io
stavo
per
offrirgli
un
posto
di
direttore
generale
,
quando
lui
mi
chiese
di
assumerlo
come
fattorino
.
Promuovendo
quella
specie
di
Einstein
a
impiegato
,
mi
sentivo
ancora
in
debito
con
lui
»
.
Una
volta
chiesero
ad
Andreotti
,
per
l
'
ennesima
volta
ministro
,
se
non
avvertiva
il
pericolo
che
alla
fine
il
potere
lo
logorasse
.
«
Il
potere
logora
coloro
che
non
lo
hanno
»
rispose
placidamente
.
E
oggi
non
ha
certo
di
che
ricredersi
.
Egli
offre
anche
questa
garanzia
:
di
conoscere
come
nessuno
la
macchina
dello
Stato
perché
di
tutti
i
suoi
ingranaggi
ha
fatto
l
'
esperienza
sul
vivo
,
e
tale
è
la
prontezza
con
cui
se
ne
impadronisce
che
dovunque
è
passato
ha
lasciato
il
ricordo
di
un
"
competente
"
.
Ma
questa
,
per
un
uomo
di
governo
,
è
la
qualità
che
conta
meno
,
in
Italia
.
Anzi
,
può
anch
'
essere
considerata
negativa
.
StampaQuotidiana ,
Il
dottor
Aldo
Crespi
è
morto
alla
bella
età
di
93
anni
,
ma
credo
che
avrebbe
fatto
volentieri
a
meno
di
arrivarci
.
Sebbene
lucidissimo
,
o
forse
proprio
per
questo
,
l
'
ultimo
periodo
lo
ha
trascorso
in
amara
solitudine
,
distaccato
dal
mondo
,
chiuso
nella
sua
casa
senz
'
altra
compagnia
che
quella
dei
propri
ricordi
.
I
ricordi
del
dottor
Aldo
erano
il
Corriere
della
Sera
,
di
cui
per
quasi
mezzo
secolo
fu
proprietario
e
editore
insieme
ai
suoi
due
fratelli
Mario
e
Vittorio
,
scomparsi
da
tempo
.
Fu
nel
'25
che
,
secondo
una
certa
leggenda
,
essi
"
s
'
impadronirono
"
del
giornale
di
via
Solferino
,
estromettendone
Albertini
con
l
'
aiuto
del
fascismo
.
Non
è
qui
il
caso
di
far
polemiche
.
Ma
crediamo
che
,
se
fosse
sopravvissuto
,
lo
stesso
Albertini
,
nella
sua
immacolata
onestà
,
avrebbe
contestato
questa
versione
dei
fatti
.
La
maggioranza
azionaria
del
Corriere
era
già
,
grazie
al
loro
padre
Benigno
,
in
mano
ai
Crespi
.
Quando
Mussolini
ne
decise
l
'
allontanamento
,
fu
lo
stesso
Albertini
a
proporre
loro
di
rilevare
la
sua
quota
,
che
venne
pagata
-
a
quanto
ne
so
-
una
cinquantina
di
milioni
:
prezzo
considerato
,
coi
milioni
di
quei
tempi
,
abbastanza
equo
.
Dei
tre
,
il
dottor
Aldo
era
di
gran
lunga
quello
più
attaccato
al
giornale
.
Ma
di
questo
amore
erano
a
conoscenza
solo
gl
'
intimi
perché
era
considerato
peccaminoso
.
I
fratelli
Crespi
non
erano
litigiosi
come
quelli
Perrone
del
Messaggero
,
che
trascorsero
la
vita
a
farsi
processi
tra
loro
.
Però
si
sorvegliavano
strettamente
,
in
modo
che
nessuno
potesse
apparire
più
editore
dell
'
altro
.
La
legge
di
famiglia
imponeva
che
le
decisioni
le
prendessero
d
'
accordo
,
ma
l
'
accordo
era
difficile
da
trovare
.
Nel
bagno
annesso
al
loro
ufficio
c
'
erano
tre
saponi
e
tre
salviette
,
ognuna
con
la
sua
cifra
:
anche
l
'
epidermide
volevano
salva
dal
contagio
.
In
quell
'
ufficio
,
il
dottor
Aldo
avrebbe
volentieri
trascorso
le
sue
giornate
,
domenica
compresa
.
Ma
siccome
gli
altri
due
ci
venivano
una
volta
sola
alla
settimana
,
anche
lui
si
sentiva
in
obbligo
di
osservare
la
regola
.
Vi
arrivavano
insieme
,
in
modo
da
escludere
"
precedenze
"
passando
da
una
porticina
quasi
di
servizio
per
non
farsi
notare
.
Una
volta
che
,
trovandola
chiusa
,
imboccarono
quella
principale
,
furono
bruscamente
scacciati
da
un
fattorino
che
,
non
avendoli
mai
visti
,
non
sapeva
chi
fossero
.
Nemmeno
io
,
in
trentasette
anni
di
Corriere
,
li
ho
mai
visti
passare
per
le
stanze
e
gli
anditi
della
redazione
.
Fuori
di
lì
li
conobbi
,
e
qualche
volta
li
incontravo
,
ma
dalla
conversazione
era
severamente
bandito
l
'
argomento
del
giornale
.
Del
giornale
,
parlavano
solo
col
direttore
,
poco
anche
con
lui
,
e
tutti
e
tre
insieme
.
Tale
era
il
dettato
costituzionale
di
quella
curiosa
monarchia
trina
.
Fu
parecchio
dopo
la
Liberazione
che
seppi
di
dover
loro
qualcosa
.
I
tedeschi
mi
avevano
arrestato
e
sulla
mia
testa
pendeva
la
condanna
a
morte
.
Qualcuno
della
Gestapo
andò
dai
Crespi
e
chiese
,
per
la
mia
pelle
,
un
milione
.
I
Crespi
lo
sborsarono
senza
batter
ciglio
.
Ma
questo
racconto
mi
fu
fatto
dietro
giuramento
di
non
farne
mai
parola
con
loro
.
Dopo
vent
'
anni
mi
considerai
esentato
dall
'
impegno
e
,
morti
ormai
Mario
e
Vittorio
,
ne
parlai
col
dottor
Aldo
.
Non
negò
,
ma
finse
di
non
ricordar
bene
come
si
erano
svolte
le
cose
,
poi
concluse
:
«
Se
andarono
veramente
così
,
non
fu
un
cattivo
affare
»
,
e
cambiò
discorso
.
A
quei
tempi
,
avevo
stabilito
con
lui
una
certa
dimestichezza
,
e
qualche
volta
m
'
invitava
al
Biffo
,
la
bella
villa
che
aveva
in
Brianza
.
Non
mi
ci
trovavo
molto
ad
agio
perché
sua
moglie
Giuseppina
ne
aveva
fatto
un
centro
di
mondanità
,
nella
quale
ho
sempre
guazzato
male
.
Ma
credo
che
il
dottor
Aldo
mi
c
'
invitasse
appunto
per
avere
sotto
mano
qualcuno
che
ci
guazzasse
male
quanto
lui
e
gli
facesse
compagnia
nelle
passeggiate
nel
parco
e
nella
sua
appartata
libreria
.
I
suoi
interessi
erano
più
letterari
che
politici
.
Era
uomo
di
buone
,
anche
se
non
vaste
letture
,
tutte
nel
filone
e
nel
gusto
di
quel
cattolicesimo
liberale
manzoniano
,
ch
'
era
tipico
della
grande
borghesia
milanese
,
quando
Milano
aveva
una
grande
borghesia
.
Scriveva
anche
,
ma
di
nascosto
.
E
ricordo
lo
sgomento
che
s
'
impadronì
di
tutti
noi
al
Corriere
,
quando
si
seppe
che
aveva
pubblicato
un
libro
sotto
lo
pseudonimo
Alpi
.
A
chi
sarebbe
toccata
la
difficile
incombenza
di
recensirlo
in
modo
da
evitare
lo
sgarbo
di
una
stroncatura
senza
cadere
nella
piaggeria
?
Per
fortuna
giunse
,
discreto
ma
perentorio
,
l
'
ordine
d
'
ignorare
il
libro
.
Quando
,
con
l
'
animo
sollevato
dal
cessato
pericolo
,
mi
decisi
a
leggerlo
,
mi
accorsi
che
si
poteva
parlarne
bene
senza
ricorrere
al
falso
:
non
erano
più
che
bozzetti
e
ritratti
di
personaggi
della
vita
ambrosiana
,
ma
centrati
e
vivaci
,
pur
tra
i
vezzi
un
po
'
stantii
di
uno
stile
ottocentesco
.
Non
mi
sono
mai
accorto
ch
'
egli
fosse
il
"
padrone
"
nel
senso
che
a
questa
parola
davano
i
giornali
concorrenti
e
avversari
.
Mai
,
in
trentasette
anni
,
mi
fece
rilievi
su
qualche
articolo
,
o
mi
suggerì
argomenti
.
Una
sola
volta
ricevetti
da
lui
un
biglietto
di
sommessa
doglianza
,
che
conservo
,
e
che
cominciava
così
:
«
Caro
Montanelli
,
Ella
sa
con
quanta
simpatia
,
partecipazione
e
ammirazione
ho
seguito
e
seguo
i
suoi
scritti
,
sempre
trovandovi
(
anche
nei
più
impertinenti
)
motivi
di
consenso
.
Mi
permetta
quindi
,
per
una
volta
,
di
fare
eccezione
e
di
esprimerle
un
addolorato
dissenso
-
di
cui
tuttavia
Ella
è
liberissimo
di
non
tenere
alcun
conto
-
per
quanto
ha
detto
a
proposito
della
conversione
di
Manzoni
...
»
.
Ecco
:
quando
parlava
da
"
padrone
"
,
il
dottor
Aldo
Crespi
lo
faceva
in
questi
termini
,
e
solo
per
difendere
Manzoni
.
Poco
prima
di
passar
la
mano
alla
figlia
nella
gestione
del
Corriere
,
lo
incontrai
ai
giardini
,
di
fronte
ai
quali
abitava
e
dove
,
quando
era
a
Milano
,
andava
sovente
a
passeggiare
.
Non
mi
fece
cenno
delle
sue
intenzioni
di
ritiro
.
Mi
disse
soltanto
che
si
sentiva
molto
stanco
-
aveva
passato
da
un
pezzo
gli
ottanta
-
e
infatti
la
sua
alta
e
fragile
figura
non
era
più
dritta
come
una
volta
.
Poi
,
si
rinchiuse
in
casa
,
e
non
lo
rividi
che
quando
mi
pregò
di
passare
da
lui
per
ringraziarmi
di
un
libro
che
gli
avevo
mandato
.
Capii
che
si
trattava
di
una
scusa
,
e
lo
era
.
Per
la
prima
volta
,
mi
chiese
esplicitamente
cosa
pensavo
del
Corriere
nella
sua
nuova
versione
.
Altrettanto
esplicitamente
glielo
dissi
.
Un
velo
di
tristezza
gli
scese
sugli
occhi
.
«
Me
lo
immaginavo
»
rispose
,
e
parlammo
d
'
altro
,
a
lungo
e
affettuosamente
.
Capii
che
quello
era
un
addio
,
e
infatti
non
ci
vedemmo
più
.
Quando
seppe
che
anch
'
io
me
n
'
ero
andato
,
mi
scrisse
una
lettera
che
"
affidata
al
riserbo
dell
'
amico
"
,
non
chiedeva
risposta
,
anzi
la
escludeva
.
A
mia
volta
gliene
scrissi
una
quando
seppi
che
anche
l
'
ultima
fetta
di
Corriere
,
quella
ch
'
era
stata
sua
,
era
passata
in
proprietà
ad
altro
editore
.
Gli
chiedevo
se
potevo
andarlo
a
trovare
.
Attraverso
un
comune
amico
mi
pregò
di
non
farlo
"
perché
temeva
di
commuoversi
"
.
L
'
ultimo
messaggio
,
anch
'
esso
orale
,
me
lo
mandò
attraverso
il
medesimo
amico
,
pochi
giorni
dopo
l
'
uscita
del
Giornale
:
«
Grazie
»
diceva
«
di
avermi
ridato
da
leggere
un
Corriere
»
.
Il
dottor
Aldo
morì
allora
,
credo
.
E
con
lui
moriva
un
certo
tipo
di
editore
,
il
cui
unico
torto
è
stato
quello
di
non
aver
allevato
dei
successori
.
Non
erano
stati
i
Crespi
a
fare
la
grandezza
del
Corriere
,
ma
erano
stati
i
Crespi
,
e
particolarmente
il
dottor
Aldo
,
a
salvarne
quanto
,
nei
mutati
tempi
,
si
poteva
salvare
.
Non
ho
mai
capito
se
il
Corriere
era
com
'
era
perché
lui
era
così
,
o
se
lui
era
così
perché
il
Corriere
era
com
'
era
.
So
soltanto
che
,
senza
mai
interferirvi
,
quest
'
uomo
schivo
e
discreto
sapeva
fare
tutt
'
uno
di
se
stesso
e
del
suo
giornale
.
Che
al
Corriere
ci
fosse
un
padrone
noi
ci
accorgemmo
solo
quando
lui
non
fu
più
tale
.
E
anche
per
questo
ce
ne
andammo
.
StampaQuotidiana ,
Un
amico
palermitano
mi
ha
mandato
una
cartolina
con
una
veduta
della
sua
città
in
cui
spicca
il
convitto
Don
Bosco
,
soffocato
in
mezzo
a
tanti
altri
edifici
.
Un
tempo
-
un
tempo
che
ho
fatto
in
tempo
a
conoscere
-
,
al
posto
di
quella
mareggiata
di
cemento
,
c
'
era
uno
stupendo
parco
.
Al
centro
del
parco
c
'
era
una
stupenda
villa
,
la
villa
Ranchibile
,
e
al
centro
della
villa
c
'
era
uno
dei
più
bizzarri
personaggi
che
si
potessero
incontrare
nella
pur
bizzarrissima
Sicilia
:
il
principe
di
Maletto
.
Non
l
'
ho
conosciuto
:
è
morto
,
credo
,
prima
ch
'
io
nascessi
.
Ma
ho
avuto
come
compagno
d
'
arme
,
proprio
lì
a
Palermo
,
un
suo
nipote
,
che
me
ne
raccontò
le
avventure
,
del
resto
note
a
tutta
la
città
.
Erano
avventure
sedentarie
perché
il
principe
non
si
mosse
mai
dalla
sua
casa
,
anzi
dalla
sua
biblioteca
.
Solitario
e
misantropo
,
afflitto
da
una
sorta
di
agorafobia
,
il
mondo
esterno
se
l
'
era
ricostruito
sui
libri
che
divorava
insaziabilmente
.
A
un
certo
punto
sprofondò
in
quelli
sulle
Crociate
,
e
tanto
vi
s
'
immerse
e
compenetrò
che
alla
fine
concepì
il
disegno
di
farne
una
per
conto
suo
,
ma
dal
vero
,
cioè
tutta
a
piedi
e
in
costume
dell
'
epoca
:
lungo
saio
di
tela
grezza
con
la
croce
bianca
disegnata
sul
petto
,
cappuccio
,
spada
e
scudo
.
Il
sarto
non
si
meravigliò
molto
quando
il
principe
gli
fece
quell
'
ordinativo
per
sé
e
per
Alfio
,
il
suo
cuoco
,
da
cui
naturalmente
egli
si
sarebbe
fatto
accompagnare
come
i
Cavalieri
dell
'
epoca
dai
loro
famigli
:
era
abituato
alle
stranezze
di
quel
suo
cliente
.
A
meravigliarsi
,
quando
il
principe
gli
comunicò
la
sua
decisione
,
fu
Alfio
,
al
quale
parve
incredibile
che
il
suo
padrone
si
fosse
deciso
a
mettere
il
naso
fuori
di
casa
.
«
Voscienza
perdoni
»
disse
.
«
Ma
quanto
ci
vuole
per
arrivare
a
Gerusalemme
?
»
«
A
una
media
di
venticinque
chilometri
al
giorno
,
duemilacinquecentosettantasei
giorni
,
compresi
quelli
di
riposo
per
la
domenica
e
le
feste
consacrate
»
rispose
il
principe
squadernando
sotto
gli
occhi
atterriti
del
cuoco
la
carta
geografica
su
cui
aveva
disegnato
tutto
l
'
itinerario
.
«
E
come
lascio
la
famiglia
per
tutto
questo
tempo
?
»
balbettò
il
poveretto
quando
ebbe
ripreso
fiato
«
e
pure
a
voscienza
la
pasta
con
le
sarde
come
ce
la
faccio
?
»
«
Me
la
farai
,
me
la
farai
:
il
Signore
non
ci
abbandonerà
proprio
quando
andiamo
in
pellegrinaggio
al
suo
Santo
Sepolcro
»
rispose
placidamente
il
principe
.
E
per
un
paio
di
settimane
tenne
il
poveruomo
nell
'
angoscia
di
quella
partenza
,
citandogli
l
'
esempio
dei
servitori
del
Medio
Evo
che
non
muovevano
obiezioni
,
anzi
seguivano
con
entusiasmo
il
loro
signore
quando
li
conduceva
in
Terrasanta
.
Poi
,
una
bella
mattina
,
gli
annunciò
che
il
pellegrinaggio
lo
avrebbero
fatto
senza
muoversi
di
lì
,
dentro
il
parco
,
e
quindi
non
si
preoccupasse
della
pasta
con
le
sarde
:
l
'
avrebbero
mangiata
come
sempre
,
cucinata
come
sempre
,
se
non
dalle
mani
del
cuoco
,
da
quelle
della
moglie
del
cuoco
.
Il
principe
aveva
studiato
mesi
e
mesi
per
calcolare
quanti
giri
del
parco
occorrevano
per
coprire
idealmente
la
distanza
fra
Palermo
e
Gerusalemme
.
Suo
nipote
me
lo
disse
,
ma
non
me
lo
ricordo
.
Comunque
,
erano
diecine
di
migliaia
.
E
gli
sembrava
che
il
Signore
potesse
contentarsene
,
anche
se
li
faceva
intorno
alla
villa
.
I
due
crociati
partirono
all
'
alba
di
un
giorno
di
primavera
,
presente
il
parroco
che
gli
diede
la
benedizione
.
Il
principe
era
stato
molto
incerto
se
noleggiare
,
per
ragioni
di
verisimiglianza
,
un
cavallo
.
Ma
poi
ci
aveva
rinunziato
per
non
attribuirsi
-
aveva
detto
-
un
trattamento
di
favore
rispetto
ad
Alfio
,
in
realtà
perché
non
aveva
mai
cavalcato
e
aveva
paura
di
cascare
.
Consentì
però
ad
Alfio
di
comprare
un
mulo
per
caricarvi
il
bagaglio
perché
il
principe
,
sempre
per
ragioni
di
verisimiglianza
,
lo
voleva
sia
pur
ridotto
,
ma
completo
.
C
'
erano
la
tunica
e
i
calzari
di
ricambio
,
le
pezze
da
piedi
,
le
fiasche
d
'
acqua
per
l
'
attraversamento
dei
deserti
,
il
libro
dei
salmi
e
gl
'
itinerari
con
le
date
perché
,
come
aveva
spiegato
ad
Alfio
,
bisognava
essere
puntuali
agli
appuntamenti
con
Goffredo
di
Buglione
,
Tancredi
e
gli
altri
comandanti
di
colonna
.
Il
primo
giorno
camminarono
sette
ore
,
quattro
al
mattino
,
tre
al
pomeriggio
,
con
siesta
sotto
un
leccio
al
centro
del
parco
,
dove
la
moglie
di
Alfio
li
raggiunse
con
la
pasta
alle
sarde
.
Alfio
la
trovò
scotta
,
ma
il
principe
lo
redarguì
severamente
:
i
veri
crociati
,
disse
,
non
avevano
mangiato
per
anni
che
orzo
e
fave
,
quando
li
trovavano
.
Per
cui
,
dopo
il
pasto
,
gli
ordinò
un
certo
numero
di
pateravegloria
di
ringraziamento
al
Signore
per
la
manna
che
gli
aveva
dato
.
Quando
calò
il
sole
,
drizzarono
una
specie
di
tenda
,
di
cui
il
principe
aveva
studiato
e
fatto
copiare
il
modello
sull
'
iconografia
medievale
,
ci
misero
a
dormire
il
mulo
,
e
ritornarono
in
villa
,
ma
senza
smettere
la
loro
divisa
di
crociati
.
Prima
di
andare
a
letto
pregarono
che
il
Signore
gli
desse
la
forza
di
arrivare
fino
al
suo
Santo
Sepolcro
.
L
'
indomani
ricominciarono
,
sempre
al
canto
del
gallo
e
con
la
benedizione
del
parroco
(
il
quale
però
disse
che
d
'
allora
in
poi
sarebbe
venuto
una
volta
la
settimana
:
bastava
)
.
D
'
estate
cambiarono
orario
:
partivano
addirittura
al
buio
,
e
alle
dieci
si
fermavano
,
per
lasciare
che
la
calura
si
sfogasse
,
facendo
sosta
e
siesta
presso
una
fontanella
che
,
secondo
il
principe
,
era
quella
del
Clitunno
,
dove
,
secondo
i
suoi
calcoli
,
erano
arrivati
.
Alfio
si
arrampicava
su
un
muretto
,
metteva
una
mano
a
visiera
sugli
occhi
,
e
scrutava
l
'
orizzonte
.
«
Vedi
nessuno
?
»
gli
chiedeva
il
principe
.
«Nessuno.»
«
Sono
in
ritardo
»
diceva
il
principe
con
disappunto
,
e
si
rimetteva
a
consultare
le
carte
con
gli
orari
.
Oppure
Alfio
diceva
:
«
C
'
è
gente
»
.
«
Sono
i
nostri
»
gli
faceva
eco
il
principe
.
«
Dio
sia
lodato
.
»
Riprendevano
a
camminare
al
tramonto
,
e
quando
si
accendevano
le
luci
della
città
,
il
principe
annunciava
:
«
E
Lubiana
»
.
Camminarono
anni
,
e
il
loro
passo
si
faceva
sempre
più
stanco
perché
diventavano
vecchi
.
Alfio
chiese
una
riduzione
di
orario
,
ma
inutilmente
.
«
Qua
non
arriviamo
più
»
brontolava
.
«
Dobbiamo
arrivare
,
e
per
questo
dobbiamo
camminare
:
il
Signore
ce
ne
darà
la
forza
.
Così
diceva
Goffredo
,
e
così
dobbiamo
dire
noi
.
»
«
E
picchì
?
»
chiedeva
Alfio
.
«
Chi
è
questo
Goffredo
?
»
Ma
il
principe
non
lo
ascoltava
.
«
Perché
avremmo
vissuto
»
diceva
«
se
non
per
vedere
il
Santo
Sepolcro
?
»
«
Mio
padre
e
mio
nonno
hanno
vissuto
»
rispondeva
Alfio
.
«
E
che
,
il
Santo
Sepolcro
hanno
visto
?
Bagheria
hanno
visto
.
»
Il
mulo
morì
,
bisognò
rimpiazzarlo
.
Morì
anche
il
parroco
,
e
il
suo
giovane
sostituto
si
rifiutò
di
venire
a
dare
la
benedizione
ai
pellegrini
.
Infine
morì
anche
una
sorella
del
principe
,
che
stava
all
'
altro
capo
della
città
.
Ma
il
principe
non
poté
andarla
a
vedere
,
e
nemmeno
partecipare
ai
suoi
funerali
,
perché
in
quel
momento
era
in
vista
di
Costantinopoli
.
Le
ultime
tappe
furono
penose
perché
il
principe
soffriva
di
prostata
,
e
ogni
poco
doveva
fermarsi
.
Ma
l
'
approssimarsi
di
Gerusalemme
moltiplicava
le
sue
forze
.
E
l
'
arrivo
fu
epico
.
Il
principe
fece
l
'
ultimo
chilometro
quasi
di
corsa
,
recitò
a
fiato
mozzo
il
Tasso
:
«
Ecco
apparir
Gerusalem
si
vede
-
ecco
additar
Gerusalem
si
scorge
-
,
ecco
da
mille
voci
unitamente
-
Gerusalemme
salutar
si
sente
»
,
e
cadde
in
ginocchio
.
Anche
Alfio
era
contento
:
contento
di
aver
finito
quella
sgambata
.
I
giorni
successivi
i
due
crociati
fecero
il
giro
dei
Luoghi
Santi
,
raccogliendosi
in
preghiera
su
ognuno
di
essi
.
Caricarono
il
mulo
di
reliquie
.
Poi
il
principe
annunciò
:
«
E
ora
intraprendiamo
la
strada
del
ritorno
»
.
Alfio
lo
fissò
,
capì
le
sue
intenzioni
,
si
sfilò
di
dosso
tunica
e
cappuccio
e
,
indicando
con
la
mano
la
villa
,
rispose
:
«
A
Gerusalemme
sugnu
e
a
Gerusalemme
sto
»
.
Stavolta
però
il
principe
gli
dette
ragione
.
Anche
lui
rimase
a
Gerusalemme
,
e
due
anni
dopo
ci
morì
.
Le
sue
ultime
parole
furono
:
«
Dite
al
Conte
Goffredo
...
»
.
StampaQuotidiana ,
Il
celebre
giornalista
che
ha
inventato
i
due
neologismi
è
(
tanto
per
cambiare
)
Longanesi
che
una
sera
,
sorprendendo
me
e
Ansaldo
in
trattoria
a
discutere
su
certe
tipologie
umane
,
tagliò
la
questione
con
una
delle
sue
solite
perentorie
battute
:
«
Tutte
baggianate
.
Gli
uomini
si
dividono
in
due
categorie
:
i
nardones
e
i
leccobardi
»
.
Sono
sicuro
che
inventò
quelle
parole
lì
per
lì
perché
non
seppe
darci
nessuna
spiegazione
della
loro
etimologia
(
solo
in
seguito
risultò
che
nardones
gli
era
rimasto
nell
'
orecchio
dai
suoi
tempi
di
Napoli
dove
c
'
è
un
vicolo
,
una
volta
famoso
per
i
suoi
bordelli
,
che
s
'
intitola
così
)
,
ma
in
compenso
cominciò
subito
a
chiarirci
il
concetto
con
riferimenti
storici
concreti
.
«
Per
esempio
-
disse
-
Churchill
era
un
nardones
,
Eden
un
leccobardo
;
Stalin
era
un
nardones
,
Trotzki
un
leccobardo
;
Cesare
era
un
nardones
,
Augusto
un
leccobardo
.
Mussolini
e
Franco
erano
nardones
;
mentre
Hitler
no
,
era
un
leccobardo
Gli
avventori
delle
tavole
accanto
avevano
smesso
di
mangiare
e
di
parlare
fra
loro
per
ascoltare
Longanesi
che
,
come
al
solito
,
declamava
.
E
piano
piano
,
senza
conoscerci
né
conoscersi
tra
loro
,
cominciarono
a
partecipare
al
giuoco
di
quella
contrapposizione
,
facendo
domande
e
accendendo
discussioni
.
«
E
oggi
?
»
chiedevano
.
«
Oggi
-
pontificava
Longanesi
-
,
assistiamo
a
un
fenomeno
di
leccobardizzazione
collettiva
:
la
democrazia
cristiana
.
C
'
erano
tre
nardones
soli
in
quel
partito
:
Don
Sturzo
,
De
Gasperi
e
Scelba
,
e
appunto
per
questo
sono
stati
eliminati
.
Ma
anche
all
'
estero
i
nardones
sono
pochi
:
Mao
,
Tito
,
De
Gaulle
,
Salazar
...
No
,
mi
sbaglio
:
Salazar
è
leccobardo
.
»
Fu
un
contagio
.
Accorsero
anche
dai
tavoli
più
lontani
,
la
discussione
diventò
generale
,
durò
accesissima
fino
alle
due
del
mattino
.
E
se
lei
,
caro
Fiorelli
,
si
prova
a
riaprirla
coi
suoi
amici
,
al
caffè
o
al
circolo
,
vedrà
che
ottiene
lo
stesso
effetto
.
Ci
cascano
tutti
,
tutti
ci
si
divertono
.
Ma
attenzione
:
che
nessuno
tenti
di
spiegare
quei
due
termini
e
di
dargli
un
significato
preciso
.
Granzotto
,
che
ci
si
è
provato
,
ha
fatto
fiasco
:
per
fare
un
nardones
ci
vuol
altro
che
la
calma
,
la
serenità
eccetera
:
Petrarca
era
calmo
e
sereno
,
eppure
era
un
leccobardo
.
E
per
fare
un
leccobardo
non
bastano
la
magrezza
e
la
bile
:
Dante
possedeva
al
massimo
sia
l
'
una
che
l
'
altra
,
eppure
era
un
nardones
.
No
,
né
all
'
uno
né
all
'
altro
archetipo
si
possono
attribuire
connotati
definiti
.
Contentatevi
delle
esemplificazioni
,
e
soprattutto
sfuggite
alla
tentazione
di
stabilire
,
fra
i
due
termini
,
una
gerarchia
.
Nardonismo
non
è
affatto
sinonimo
di
grandezza
,
come
leccobardismo
non
è
affatto
sinonimo
di
meschinità
.
Fra
i
nardones
ci
sono
molti
grandi
,
ma
c
'
è
anche
,
per
esempio
,
Starace
ch
'
era
solo
un
bravo
e
onesto
coglione
.
Mentre
fra
i
leccobardi
c
'
è
un
Roosevelt
,
canaglia
sì
,
ma
di
non
comuni
dimensioni
,
molto
più
grosso
di
Johnson
che
era
nardones
(
come
Truman
e
Nixon
)
.
Fra
i
contemporanei
,
i
due
leccobardi
più
esemplari
sono
stati
Paolo
VI
e
Moro
.
Wojtyla
è
certamente
nardones
.
Su
Andreotti
,
sono
incerto
:
a
volte
mi
sembra
un
leccobardo
travestito
da
nardones
,
a
volte
un
nardones
travestito
da
leccobardo
:
comunque
,
un
travestito
.
Caro
Fiorelli
,
dia
retta
a
me
.
Stasera
stessa
apra
coi
suoi
amici
questa
discussione
.
Vedrà
:
ci
rimarrete
appiccicati
fino
all
'
alba
,
come
successe
a
noi
e
continua
ogni
tanto
a
succederci
.
Perché
Longanesi
aveva
ragione
:
le
due
categorie
umane
son
quelle
.
E
sebbene
io
non
sia
riuscito
a
spiegargliene
la
differenza
,
sono
sicuro
che
lei
l
'
ha
capita
.
StampaQuotidiana ,
Caro
amico
,
non
solo
capisco
la
sua
amarezza
e
il
suo
sdegno
,
ma
li
condivido
.
L
'
Università
italiana
è
in
pezzi
:
anzi
è
in
pezzi
la
scuola
italiana
,
a
tutti
i
livelli
.
Logico
che
,
quanto
più
si
sale
di
livello
,
tanto
più
siano
avvertibili
,
e
funeste
,
la
degradazione
dell
'
insegnamento
,
la
disorganizzazione
:
insomma
il
caos
demagogico
.
Non
voglio
dilungarmi
sulle
ragioni
specifiche
di
questa
o
quella
rivendicazione
,
agitazione
,
occupazione
.
Ce
n
'
è
sempre
.
Stia
pur
certo
che
,
se
non
cambia
il
clima
generale
della
scuola
italiana
,
rimosso
un
ostacolo
se
ne
presenterà
un
altro
,
all
'
infinito
,
in
una
spirale
progressiva
(
e
pseudo
progressista
)
che
porta
alla
paralisi
.
Prima
che
i
rivoluzionari
e
riformatori
si
mettessero
all
'
opera
,
l
'
Università
italiana
non
era
certo
perfetta
.
Peccava
di
accademismo
;
non
preparava
i
ragazzi
all
'
esercizio
delle
professioni
cui
aspiravano
;
dava
posto
eccessivo
,
nella
composizione
della
massa
studentesca
,
ai
figli
della
borghesia
;
era
dominata
da
«
baroni
»
che
a
volte
avevano
conquistato
il
loro
titolo
professorale
per
veri
meriti
,
ed
esercitavano
la
loro
missione
con
scrupolo
,
e
a
volte
erano
soltanto
pompose
e
arroganti
nullità
.
Pur
con
tutti
questi
grossi
difetti
,
l
'
Università
italiana
nel
suo
complesso
reggeva
,
dal
punto
di
vista
degli
studi
e
delle
ricerche
,
il
confronto
con
le
Università
estere
.
Alcuni
Atenei
,
e
alcune
facoltà
,
erano
di
altissimo
livello
.
Era
,
quella
,
una
Università
,
che
doveva
certamente
essere
migliorata
,
resa
più
efficiente
dal
punto
di
vista
tecnico
,
più
giusta
dal
punto
di
vista
sociale
,
e
più
severa
-
rilievo
che
riguarda
soprattutto
talune
sedi
-
dal
punto
di
vista
degli
studi
.
Se
si
fosse
agito
in
questo
senso
,
gli
studenti
di
modeste
condizioni
economiche
,
ma
bravi
-
come
immagino
sia
suo
figlio
-
avrebbero
potuto
ottenere
non
solo
la
gratuità
della
frequenza
,
ma
un
presalario
sufficiente
per
vivere
,
e
riservato
a
chi
meritasse
questo
sacrificio
della
collettività
.
Gli
svogliati
,
gli
eterni
fuori
corso
,
i
venditori
di
chiacchiere
demagogiche
,
anche
se
ricchi
e
privilegiati
economicamente
,
fuori
.
Ma
sull
'
onda
dell
'
ormai
mitico
'68
,
sotto
la
spinta
di
sciagurati
agitatori
,
come
Capanna
,
che
si
proclamavano
apostoli
degli
studenti
,
e
sono
stati
i
loro
peggiori
nemici
,
con
la
complicità
di
professori
malati
di
giovanilismo
spensierato
,
deboli
,
politicamente
ambiziosi
,
con
l
'
avallo
di
governanti
sprovveduti
e
populisti
,
si
è
proceduto
in
senso
opposto
:
Università
aperte
a
tutti
,
studi
declassati
,
lauree
a
portata
di
qualsiasi
somaro
,
gli
Atenei
trasformati
in
covi
di
una
rivoluzione
permanente
e
inconcludente
,
tanti
Lenin
in
sessantaquattresimo
associati
all
'
insegnamento
.
Questa
stravolta
riforma
,
culminata
nei
fasti
del
27
a
tutti
(
da
qualche
professore
vergognosamente
accettato
)
nelle
facoltà
di
architettura
,
ha
punito
,
caro
amico
,
proprio
le
famiglie
come
la
sua
.
I
giovani
intelligenti
e
diligenti
,
che
hanno
fretta
di
laurearsi
perché
un
padre
operaio
deve
scannarsi
per
mantenerli
agli
studi
,
sono
bloccati
dalle
lotte
continue
di
professori
politicizzati
e
di
compagni
«
rivoluzionari
»
con
Kawasaki
e
vacanze
alle
Seychelles
.
Quando
il
suo
ragazzo
entrerà
-
le
auguro
presto
-
nella
professione
riuscirà
probabilmente
,
perché
è
in
gamba
e
perché
ha
scelto
una
facoltà
che
ritengo
sia
tra
le
meno
affollate
.
Ma
altri
faticheranno
immensamente
trovandosi
a
competere
con
laureati
che
sono
bestie
:
ma
grazie
al
metodo
Capanna
hanno
completato
senza
fatica
i
corsi
,
e
sono
ammanigliati
,
e
hanno
famiglie
influenti
.
I
«
rivoluzionari
»
hanno
cioè
punito
proprio
i
figli
dei
proletari
,
che
asseriscono
vociando
di
voler
redimere
.
Se
tanti
studenti
in
gamba
che
sono
figli
di
povera
gente
non
potranno
essere
,
nella
vita
,
ciò
che
avrebbero
voluto
,
e
dovranno
ammainare
le
ali
delle
loro
legittime
aspirazioni
,
ne
rendano
grazie
ai
demagoghi
.
StampaQuotidiana ,
Caro
Bertani
,
è
curioso
:
di
tutti
i
nostri
lettori
,
lei
è
l
'
unico
ad
aver
interpretato
quel
mio
articolo
come
una
presa
di
posizione
contro
le
centrali
elettronucleari
.
Non
è
così
,
e
tengo
a
ribadirlo
per
chiunque
possa
essere
caduto
nello
stesso
abbaglio
.
Se
ho
fatto
un
'
allusione
a
Hiroshima
,
cioè
all
'
uso
perverso
che
si
può
fare
dell
'
energia
nucleare
,
è
stato
solo
per
prevenire
la
propaganda
avversaria
che
certamente
si
varrà
di
questo
ingannevole
,
ma
suggestivo
argomento
per
impostare
il
suo
referendum
.
E
per
controbatterlo
ne
ho
portati
altri
tre
che
mi
sembrano
di
facile
comprensione
anche
per
il
lettore
più
digiuno
di
questa
materia
,
e
quindi
i
più
adatti
a
una
contro
-
propaganda
di
massa
:
1°
)
Il
fatto
di
non
avere
centrali
termonucleari
non
basterebbe
a
metterci
al
riparo
da
catastrofi
tipo
Hiroshima
perché
in
un
mondo
nuclearizzato
,
«
zone
di
rispetto
»
non
ne
esistono
.
2°
)
Le
installazioni
termonucleari
costruite
finora
(
e
sono
più
di
600
)
non
hanno
mai
dato
luogo
a
incidenti
,
e
si
dimostrano
anche
meno
inquinanti
di
tante
altre
.
3°
)
Lo
sviluppo
industriale
è
a
un
bivio
:
o
infila
la
strada
termonucleare
,
o
dovrà
rassegnarsi
a
restare
a
corto
,
di
qui
a
un
po
'
,
di
fonti
di
energia
perché
il
petrolio
non
è
inesauribile
e
costa
sempre
più
caro
.
Più
di
questo
,
caro
Bertani
,
che
dovevo
dire
?
Lei
forse
mi
rimprovera
di
non
avere
abbastanza
sottolineato
la
differenza
che
passa
fra
l
'
uso
bellico
e
distruttivo
,
e
quello
pacifico
e
costruttivo
,
dell
'
energia
nucleare
.
Ma
,
santo
Dio
,
questa
differenza
la
conoscono
tutti
ed
è
implicita
nel
discorso
.
Nessuno
dubita
,
nessuno
può
dubitare
che
l
'
Italia
voglia
le
centrali
per
lanciarsi
nella
gara
dell
'
armamento
atomico
:
d
'
imbecilli
nel
nostro
Paese
ce
ne
sono
tanti
,
ma
non
fino
al
punto
di
correr
dietro
a
simili
sogni
,
o
per
meglio
dire
incubi
.
Il
mio
ragionamento
era
questo
,
già
implicito
nel
titolo
dell
'
articolo
(
A
lume
di
candela
)
:
«
Decidiamoci
:
o
l
'
energia
termonucleare
,
o
il
ritorno
alla
candela
»
.
E
questo
,
lei
,
me
lo
chiama
un
argomento
contro
l
'
energia
termonucleare
?
StampaQuotidiana ,
Caro
Banfi
,
vedo
che
lei
ha
abbastanza
ben
capito
la
differenza
,
per
quanto
refrattaria
ad
ogni
definizione
,
fra
nardones
e
leccobardi
.
Per
quanto
mi
riguarda
,
anch
'
io
credo
che
spetti
ai
lettori
,
non
a
me
,
stabilire
a
quale
categoria
appartengo
.
Lei
però
rischia
di
trarli
in
inganno
spacciando
per
leccobardismo
il
mio
invito
a
votare
Dc
«
con
schifo
,
con
rabbia
,
con
voltastomaco
»
ecc.
E
glielo
dimostro
con
un
esempio
.
Lei
,
vedo
,
elenca
Churchill
fra
i
nardones
,
e
ha
ragione
perché
ne
era
addirittura
un
archetipo
.
Ma
non
crede
lei
che
,
dopo
aver
passato
la
vita
a
combattere
il
comunismo
,
avesse
anche
lui
la
rabbia
,
lo
schifo
e
il
voltastomaco
quando
dovette
allearsi
con
Stalin
e
stringergli
la
mano
?
E
crede
che
questo
basti
a
trasformarlo
in
leccobardo
?
Con
ciò
non
voglio
mettermi
,
per
l
'
amordiddio
,
sul
piano
di
Churchill
.
Voglio
soltanto
dire
che
un
uomo
non
si
può
giudicarlo
dalle
azioni
che
compie
in
stato
di
necessità
.
Eppoi
,
non
creda
che
la
qualifica
di
leccobardo
mi
offenderebbe
.
Pericle
(
dico
Pericle
)
lo
era
.
Lo
era
Erasmo
.
E
molte
sono
le
volte
in
cui
un
leccobardo
-
p
.
es.
Federico
il
grande
di
Prussia
-
ha
fregato
i
nardones
.
Anche
fra
i
nostri
contemporanei
,
guardi
un
Giscard
d
'
Estaing
.
Più
leccobardo
di
lui
,
si
muore
.
Eppure
,
sebbene
non
ne
abbia
le
forze
,
riesce
a
tenersi
alla
pari
di
un
nardones
come
Schmidt
.
Dimenticavo
di
aggiungere
che
il
discorso
vale
anche
per
le
donne
.
Esse
passano
quasi
sempre
per
leccobarde
.
Ma
anche
fra
loro
ci
sono
le
nardones
.
Anzi
,
di
solito
succede
questo
:
che
uno
crede
di
sposare
una
leccobarda
,
e
poi
si
trova
in
casa
una
nardones
,
e
che
nardones
.
Prenda
la
signora
Anna
Bonomi
.
Ma
forse
l
'
esempio
è
scelto
male
:
la
signora
Bonomi
non
ha
mai
nemmeno
tentato
di
passare
per
leccobarda
.