StampaQuotidiana ,
Caro
senatore
,
il
suo
discorso
non
fa
una
grinza
.
Io
sono
perfettamente
d
'
accordo
con
lei
che
una
spesa
di
74
miliardi
,
e
anche
quella
di
270
prevista
per
il
'79
,
è
ben
poca
cosa
in
confronto
al
valore
dell
'
enorme
patrimonio
artistico
da
salvare
;
e
anzi
questo
giornale
è
sempre
stato
in
prima
linea
nel
reclamare
che
a
questa
difesa
siano
dati
mezzi
sempre
più
grandi
ed
efficienti
.
Ma
Ricossa
non
contestava
affatto
questa
tesi
.
Semplicemente
diceva
:
Prendiamo
il
più
modesto
di
tutti
i
nostri
bilanci
,
quello
per
i
Beni
culturali
,
74
miliardi
appena
.
Il
cittadino
è
in
grado
di
controllare
come
viene
amministrato
questo
stanziamento
,
e
se
esso
serve
di
più
a
mantenere
il
suddetto
patrimonio
o
coloro
che
vi
sovrintendono
?
No
.
E
allora
figuriamoci
quanto
è
in
grado
di
controllare
una
spesa
globale
di
64
mila
miliardi
,
qual
è
quella
dello
Stato
,
del
suo
Stato
.
Questo
,
diceva
Ricossa
.
Egli
ha
portato
l
'
esempio
del
bilancio
dei
Beni
culturali
perché
,
appunto
per
la
sua
modestia
,
era
quello
che
meglio
si
prestava
a
dimostrare
il
suo
assunto
che
trova
consenzienti
-
glielo
posso
garantire
-
tutti
i
lettori
.
Perché
tutti
i
lettori
-
anche
questo
le
posso
garantire
-
hanno
le
scatole
piene
di
questo
Stato
ciaccione
,
avido
e
dissipatore
,
che
vuol
fare
troppe
cose
e
le
fa
malissimo
,
a
cominciare
da
una
contabilità
talmente
ingarbugliata
che
nessuno
,
nemmeno
i
cosiddetti
uomini
di
Stato
e
la
loro
burocrazia
,
riescono
a
capirci
più
nulla
.
Lei
non
vorrà
negarmi
,
spero
,
che
l
'
enorme
prelievo
che
lo
Stato
fa
del
pubblico
denaro
viene
adibito
soprattutto
a
mantenere
coloro
che
lo
maneggiano
,
e
a
mantenerli
male
perché
sono
troppi
e
costretti
ad
operare
in
un
guazzabuglio
di
leggi
che
li
condanna
all
'
inefficienza
e
al
parassitismo
:
Non
so
se
i
Beni
culturali
facciano
eccezione
alla
regola
.
Ma
la
regola
è
quella
che
dice
Ricossa
:
uno
Stato
che
dovunque
mette
le
mani
combina
guai
e
per
ripararli
ha
sempre
più
bisogno
di
succhiare
quattrini
al
cittadino
senza
dargli
modo
di
controllare
come
li
usa
.
Per
difendersi
non
c
'
è
che
un
mezzo
:
ridurre
la
spesa
pubblica
,
che
significa
anche
ridurre
gl
'
interventi
dello
Stato
,
insomma
riprivatizzare
il
Paese
.
Ne
convenga
anche
lei
,
caro
senatore
.
Altrimenti
,
perde
i
voti
.
Lei
parla
di
contraddizione
,
caro
Lo
Cascio
,
e
ha
ragione
.
Ma
il
problema
va
posto
,
a
mio
avviso
,
in
termini
un
po
'
diversi
da
quelli
esposti
nella
sua
lettera
.
E
'
vero
:
il
mondo
politico
italiano
intrattiene
rapporti
assidui
con
gli
esponenti
di
quegli
stati
dell
'
Est
«
socialista
»
che
hanno
indubbie
connotazioni
totalitarie
.
Ciò
può
turbare
la
coscienza
dei
democratici
ma
è
difficilmente
evitabile
,
anche
se
certe
inutili
sbracature
e
indulgenze
sono
eccessive
.
L
'
impero
sovietico
è
una
realtà
.
Così
come
è
una
realtà
la
assoluta
prevalenza
numerica
,
nel
mondo
,
dei
regimi
dittatoriali
sui
regimi
democratici
.
Se
questi
ultimi
dovessero
chiudersi
in
se
stessi
,
rifiutando
ogni
contatto
con
gli
«
impuri
»
,
e
troncando
con
essi
rapporti
diplomatici
,
economici
,
culturali
,
si
arriverebbe
a
una
situazione
paradossale
:
alla
situazione
cioè
di
una
coalizione
della
libertà
che
rinuncerebbe
ad
influire
sulle
vicende
del
mondo
,
e
che
,
respingendoli
in
blocco
,
costringerebbe
gli
altri
,
i
non
liberi
,
ossia
,
ripetiamo
,
la
maggioranza
degli
stati
,
a
coalizzarsi
a
loro
volta
.
La
confusione
tra
morale
e
politica
produce
effetti
di
solito
negativi
,
a
volte
catastrofici
.
Se
ne
è
accorto
anche
Carter
,
che
giuoca
la
carta
cinese
contro
la
carta
russa
pur
sapendo
perfettamente
che
,
quanto
a
democrazia
,
se
Mosca
piange
Pechino
non
ride
.
Io
penso
,
insomma
,
che
la
politica
internazionale
di
un
Paese
debba
accettare
questi
compromessi
e
adattarsi
agli
incontri
,
ai
brindisi
,
ai
comunicati
finali
,
con
tutte
le
loro
ipocrisie
e
reticenze
.
La
contraddizione
,
secondo
me
,
sta
altrove
.
Sotto
la
spinta
dei
partiti
di
sinistra
e
della
loro
propaganda
la
politica
estera
italiana
pecca
di
duplicità
e
di
incoerenza
.
Se
la
ragion
di
stato
deve
prevalere
sulla
morale
internazionale
,
se
impone
di
colloquiare
con
i
totalitari
,
la
regola
deve
valere
per
tutti
:
per
la
Unione
Sovietica
come
per
il
Cile
,
per
l
'
Albania
come
per
la
Rhodesia
.
Invece
non
è
così
.
Non
si
vuole
che
sia
così
.
Pertini
,
Andreotti
e
Forlani
,
possono
tranquillamente
recarsi
in
visita
ufficiale
a
Mosca
,
ma
guai
se
si
azzardassero
a
visitare
Argentina
e
Cile
;
possono
ricevere
Gheddafi
,
ma
guai
se
accogliessero
a
Roma
Pinochet
.
Abbiamo
normali
rappresentanze
diplomatiche
perfino
nell
'
Uganda
di
Idi
Amin
,
ma
non
a
Santiago
del
Cile
.
Allora
qual
è
il
criterio
?
Vale
la
ragion
di
stato
,
che
consiglia
di
mantenere
canali
in
ogni
direzione
,
o
vale
la
morale
politica
,
che
consiglierebbe
di
negare
reciprocità
di
rapporti
a
chi
non
ha
le
carte
in
regola
con
la
democrazia
?
Non
si
sa
.
O
piuttosto
si
sa
benissimo
.
In
obbedienza
non
a
un
criterio
uniforme
,
ma
al
vociare
propagandistico
e
al
ricatto
parlamentare
,
si
usano
due
pesi
e
due
misure
.
I
totalitari
di
sinistra
sono
ritenuti
internazionalmente
più
frequentabili
di
quelli
di
destra
.
La
Farnesina
si
indigna
:
ma
con
juicio
.
StampaQuotidiana ,
Caro
amico
(
visto
che
lei
mi
considera
tale
)
,
se
l
'
allusione
sul
modo
in
cui
vivono
certi
giornali
è
rivolta
al
nostro
,
la
invito
senz
'
altro
a
fare
un
sopralluogo
da
noi
,
pagandole
anche
biglietto
e
diaria
,
e
in
compagnia
di
uno
stuolo
di
avvocati
e
commercialisti
per
controllare
,
fatture
alla
mano
,
quanto
e
da
dove
introiamo
,
quanto
e
come
spendiamo
.
Si
accorgerebbe
che
,
come
rigore
amministrativo
,
e
non
soltanto
amministrativo
,
abbiamo
lezioni
da
dare
,
non
da
prendere
,
specie
dai
Comuni
e
dalle
Province
.
Per
quanto
concerne
la
sua
attività
di
consigliere
provinciale
,
lei
ha
tutto
il
diritto
di
credere
che
in
essa
rientri
anche
la
politica
estera
nazionale
;
io
ho
quello
di
pensare
e
di
scrivere
che
gli
elettori
eleggono
un
consigliere
provinciale
perché
s
'
interessi
delle
cose
della
provincia
,
non
della
Rhodesia
e
dello
Zimbabwe
,
delle
quali
può
benissimo
occuparsi
quando
parla
con
gli
amici
al
caffè
,
non
quando
siede
nel
consiglio
provinciale
.
Chi
di
noi
due
abbia
ragione
,
lasciamolo
giudicare
ai
lettori
.
Quanto
alla
Dc
,
lei
fa
benissimo
,
come
militante
e
gerarca
,
a
difenderla
.
Ma
non
può
dire
che
chi
vota
per
essa
perde
,
dopo
aver
depositato
la
scheda
nell
'
urna
,
qualsiasi
diritto
,
compreso
quello
di
avvertire
certi
puzzi
e
di
turarsi
il
naso
.
Noi
,
lo
sappiamo
benissimo
,
non
possiamo
impedirvi
di
puzzare
;
ma
voi
non
potete
impedirci
di
sentire
il
puzzo
e
di
dire
che
lo
sentiamo
.
Resta
la
questione
dei
butteri
,
di
cui
lei
si
aderge
a
difensore
.
Ma
contro
chi
?
Io
sono
un
vecchio
amico
dei
butteri
coi
quali
ho
convissuto
intere
estati
,
quando
mio
nonno
mi
conduceva
a
caccia
a
Capalbio
e
dintorni
.
Magari
ce
ne
fossero
ancora
,
perché
erano
gran
gente
.
Ma
dove
fossero
la
Rhodesia
e
lo
Zimbabwe
non
lo
sapevano
,
né
credo
che
lo
sappiano
oggi
,
se
ce
n
'
è
ancora
qualcuno
.
Ecco
tutto
,
caro
amico
.
StampaQuotidiana ,
Pubblico
insieme
queste
due
lettere
perché
mi
pare
ch
'
esse
formino
un
perfetto
pendant
,
a
conferma
di
quanto
dicevo
nell
'
articolo
(
è
il
caso
di
dirlo
)
incriminato
.
Per
coloro
che
non
lo
avessero
letto
,
o
non
lo
ricordassero
,
ne
riassumerò
brevemente
la
tesi
.
Non
capisco
,
dicevo
,
perché
il
contrasto
fra
Stato
e
Chiesa
sull
'
aborto
faccia
scandalo
.
Essi
parlano
a
due
diversi
interlocutori
:
l
'
uno
al
cittadino
,
l
'
altra
al
credente
.
Quando
l
'
uno
concede
come
diritto
ciò
che
l
'
altra
proibisce
come
peccato
,
sta
ad
ognuno
di
noi
decidere
secondo
coscienza
il
da
farsi
.
Nessuno
è
condannato
all
'
aborto
.
È
una
facoltà
.
Lo
Stato
non
poteva
non
regolarla
,
visti
i
pericoli
e
le
ingiustizie
della
pratica
clandestina
.
La
Chiesa
non
può
non
condannare
questa
pratica
.
Non
è
la
prima
volta
,
e
non
è
questo
il
solo
caso
in
cui
norma
civile
e
norma
religiosa
discordano
.
La
grande
conquista
dello
Stato
di
diritto
è
di
porre
il
cittadino
nella
condizione
di
scegliere
fra
l
'
una
e
l
'
altra
.
Ora
il
sig.
Tornaquinci
mi
dice
addio
perché
non
trova
questa
posizione
abbastanza
laica
,
il
sig.
Strampelli
mi
dice
addio
perché
non
trova
questa
posizione
abbastanza
cattolica
.
Sembra
che
dicano
cose
antitetiche
.
E
invece
dicono
la
stessa
cosa
.
Dicono
cioè
che
non
vogliono
esser
loro
a
scegliere
.
Secondo
l
'
uno
questo
compito
spetta
allo
Stato
,
secondo
l
'
altro
alla
Chiesa
,
senza
rendersi
conto
che
uno
Stato
che
proibisse
alla
Chiesa
d
'
interloquire
su
un
problema
morale
come
questo
sarebbe
uno
Stato
totalitario
,
così
come
una
Chiesa
che
proibisse
allo
Stato
di
regolare
un
problema
come
questo
,
che
è
anche
civile
,
sarebbe
una
teocrazia
.
Per
quanto
mi
dispiaccia
perderli
(
e
mi
dispiace
moltissimo
)
,
debbo
riconoscere
che
il
nostro
giornale
non
è
fatto
per
questi
lettori
.
Noi
ci
rivolgiamo
a
quelli
che
,
fra
un
imperativo
civile
e
un
imperativo
religioso
,
accettano
di
assumersi
la
responsabilità
di
una
scelta
,
anche
quando
è
angosciosa
come
nel
caso
dell
'
aborto
.
In
quanti
siamo
?
Non
lo
so
.
Certo
,
una
minoranza
.
Ma
una
minoranza
di
uomini
,
qualifica
che
spetta
solo
a
coloro
che
hanno
una
coscienza
,
e
non
sono
disposti
a
portarla
all
'
ammasso
pur
sapendo
di
avere
in
essa
il
tribunale
più
difficile
cui
rispondere
.
Anche
in
pochi
,
è
preferibile
restare
tra
noi
.
StampaQuotidiana ,
Forse
non
riuscirò
a
parlare
di
Leo
Longanesi
come
le
circostanze
vorrebbero
,
con
rispettoso
distacco
.
E
non
sarebbe
neanche
giusto
chiedermelo
.
La
mia
vita
è
stata
così
ultimamente
mescolata
alla
sua
,
o
per
meglio
dire
invasa
la
lui
,
che
ci
vorrà
del
tempo
prima
che
possa
raggiungere
nei
suoi
riguardi
una
certa
imparzialità
.
Lasciatemi
dunque
dire
,
alla
rinfusa
,
le
poche
cose
che
;
ella
rinfusa
mi
tornano
in
mente
.
Avevo
vent
'
anni
quando
gli
andai
incontro
,
attratto
da
ciò
che
in
lui
più
brillava
:
la
genialità
,
l
'
inventiva
,
l
'
originalità
.
E
ora
,
a
cose
fatte
,
mi
accorgo
di
essergli
rimasto
accanto
,
finché
ho
potuto
,
per
la
tristezza
,
la
malinconia
,
e
a
volte
la
disperazione
,
che
dietro
tutto
questo
si
nascondeva
.
Era
di
poco
maggiore
di
me
.
Ma
Longanesi
è
uno
dei
pochissimi
uomini
al
mondo
che
non
abbia
dovuto
aspettare
i
figli
dei
suoi
coetanei
per
farsene
dei
discepoli
e
che
abbia
saputo
diventare
il
maestro
della
sua
generazione
.
A
diciott
'
anni
,
senza
corredo
di
studi
e
senza
aver
mai
messo
il
naso
fuori
della
sua
Romagna
,
era
già
sul
podio
a
dirigere
l
'
orchestra
.
Non
aveva
avuto
esitazioni
nell
'
imboccare
la
strada
.
E
naturalmente
aveva
scelto
quella
che
,
dal
punto
di
vista
personale
,
non
menava
a
nulla
.
Quest
'
uomo
che
passava
per
avaro
,
e
che
sul
conto
dell
'
albergo
e
del
ristorante
lo
era
,
ha
trascorso
la
vita
a
scialacquare
tutto
il
suo
patrimonio
d
'
ingegno
e
ad
arricchirne
gli
altri
,
gratis
.
Io
stesso
,
di
quel
poco
che
ho
fatto
,
non
riesco
più
a
distinguere
ciò
che
è
mio
da
ciò
che
è
suo
.
Ora
mi
domando
se
aveva
accantonato
qualcosa
dentro
i
suoi
tiretti
:
se
,
oltre
tutto
quel
che
dava
d
'
idee
,
di
spunti
,
di
trovate
,
di
pretesti
,
aveva
serbato
qualcosa
per
sé
.
Temo
di
no
.
Questo
lavoratore
infaticabile
ha
lavorato
soltanto
a
disperdersi
,
e
oltre
agl
'
inediti
del
suo
Diario
non
si
troverà
nulla
.
Lo
ritroveremo
solo
noi
,
nelle
lettere
che
ci
scrisse
nelle
giornate
di
accoramento
e
di
solitudine
,
ch
'
erano
regolarmente
sette
nella
settimana
,
e
toccavano
la
punta
più
patetica
la
domenica
,
quando
la
festa
gl
'
imponeva
l
'
ozio
,
il
suo
peggiore
e
più
sottile
nemico
.
Allora
erano
lunghe
pagine
descrittive
di
ciò
che
vedeva
dalla
sua
finestra
.
Quante
cose
vedeva
,
Leo
,
da
quel
modesto
osservatorio
dal
quale
,
a
noi
,
non
era
mai
riuscito
contare
che
qualche
tegola
,
qualche
albero
,
qualche
cencio
teso
sul
filo
ad
asciugare
!
Il
canto
di
una
ragazza
sul
balcone
bastava
a
rimescolargli
dentro
tutto
un
mondo
.
E
ne
venivano
fuori
stupende
pagine
di
lirismo
:
i
suoi
regali
,
dei
quali
egli
stesso
l
'
indomani
si
era
già
dimenticato
.
A
questo
Leo
segreto
e
inedito
,
una
intera
leva
di
giornalisti
e
di
scrittori
ha
succhiato
il
proprio
latte
.
Non
tutti
lo
sanno
.
Non
tutti
se
lo
ricordano
.
Ma
l
'
influenza
di
Longanesi
è
stata
decisiva
,
nel
gusto
e
nel
costume
letterario
di
questo
Paese
,
più
di
quanto
non
lo
sia
stata
quella
di
qualsiasi
altro
uomo
.
Ed
è
morto
povero
e
quasi
solo
.
Non
bisogna
darne
la
colpa
a
nessuno
,
perché
questo
era
il
suo
destino
,
ed
egli
lo
subiva
senza
ribellarvisi
.
«
È
vero
»
mi
disse
un
giorno
che
avevamo
litigato
,
voglio
dire
che
avevamo
litigato
più
violentemente
del
solito
,
perché
non
si
faceva
altro
dalla
mattina
alla
sera
,
«
io
sono
come
Saturno
:
mi
mangio
i
figli
,
e
un
giorno
mi
mangerò
anche
te
.
Anzi
,
a
dirti
la
verità
,
ti
ho
già
mangiato
.
»
Poi
aggiunse
,
con
una
smorfia
di
disgusto
:
«
E
non
hai
neanche
un
buon
sapore
»
.
Leo
non
mi
aveva
affatto
mangiato
,
perché
era
un
cannibale
vegetariano
.
E
con
tutta
la
«
cattiveria
»
di
cui
faceva
sfoggio
,
a
parole
,
guadagnandosi
una
fama
di
malvagio
di
cui
era
fierissimo
,
non
ha
mai
torto
un
capello
a
nessuno
.
Ma
bisognava
stare
con
lui
in
posizione
di
difesa
perché
la
sua
amicizia
era
anche
una
spaventosa
tirannia
.
Ira
questo
che
gli
rimproveravo
,
quando
si
lamentava
di
essere
solo
.
Egli
aveva
allevato
un
po
'
tutti
,
ma
avrebbe
preteso
che
fossero
rimasti
all
'
infinito
a
poppare
alla
sua
mammella
generosa
.
Invece
avevano
messo
i
denti
e
si
erano
allontanati
per
la
loro
strada
:
Pannunzio
dirige
«
Il
Mondo
»
,
Arrigo
Benedetti
«
L
'
Espresso
»
,
Soldati
e
Flaiano
fanno
il
cinema
.
Era
fatale
che
avvenisse
,
e
mentalmente
anche
lui
lo
accettava
.
Ma
la
mente
di
Leo
andava
in
un
verso
,
e
Longanesi
in
un
altro
.
Non
ricordava
,
non
voleva
ricordare
che
questi
uomini
avevano
fatto
strada
-
e
una
bella
strada
-
con
le
gambe
che
lui
gli
aveva
dato
.
Avrebbe
potuto
trarne
una
pigmalionica
fierezza
.
Invece
,
nulla
.
Per
lui
era
tutto
e
soltanto
«
tradimento
»
.
Era
successo
anche
col
povero
Brancati
,
che
un
tempo
era
stato
il
preferito
dei
suoi
figli
.
Era
un
piccolo
retore
di
provincia
,
quando
si
accostò
a
Longanesi
,
e
si
credeva
nato
per
scrivere
dei
brutti
poemi
epici
,
edificanti
e
celebrativi
.
Ero
presente
il
giorno
in
cui
,
con
la
buona
grazia
che
lo
distingueva
,
Leo
gli
randellò
un
libro
in
testa
urlandogli
:
«
Legga
questo
,
somaro
!
È
Gogol
,
il
suo
fratello
maggiore
.
Anche
lei
è
un
Gogol
.
Di
Catania
»
.
Aveva
già
annusato
i
libri
che
Vitaliano
si
portava
in
corpo
e
che
sotto
lo
stimolo
di
Leo
avrebbe
scritto
.
E
già
ne
aveva
anticipato
la
più
esatta
misura
critica
.
Era
successo
con
Buzzati
,
su
cui
nessuno
avrebbe
puntato
un
soldo
e
di
cui
fu
il
primo
editore
.
Intelligenza
?
No
.
È
la
qualità
di
cui
più
si
è
parlato
a
proposito
di
Longanesi
,
ed
è
la
più
grossa
stupidaggine
che
si
sia
detta
di
lui
.
Longanesi
non
era
un
uomo
intelligente
,
non
era
nemmeno
un
intellettuale
.
La
logica
non
ha
guidato
nessuno
dei
suoi
gesti
,
forse
egli
non
sapeva
nemmeno
dove
stesse
di
casa
.
Condurre
con
lui
in
porto
un
ragionamento
era
un
'
impresa
disperata
.
Di
fronte
al
più
banale
sillogismo
,
inciampava
.
Longanesi
era
un
artista
geniale
,
il
solo
che
abbia
incontrato
nella
mia
vita
.
E
come
tutti
gli
artisti
andava
a
naso
,
a
intuito
,
con
un
invisibile
radar
al
posto
del
cervello
.
Procedeva
a
furia
d
'
intuizioni
che
avevano
del
miracoloso
e
che
facevano
perfino
pensare
a
qualcosa
di
diabolico
.
Non
sapeva
cosa
volesse
dire
deduzione
.
Il
suo
processo
era
tutto
induttivo
,
dal
piccolo
particolare
al
generale
.
Uno
sguardo
,
la
piega
di
una
bocca
,
un
gesto
,
gli
bastavano
a
ricostruire
una
persona
e
a
pronunziare
su
di
essa
giudizi
spietati
e
irrevocabili
.
Un
giorno
mi
raccontò
di
essere
diventato
antifascista
,
in
tram
,
guardando
il
didietro
di
un
console
della
milizia
in
piedi
di
fronte
a
lui
.
Quando
scoppiò
la
guerra
,
mi
disse
:
«
Che
catastrofe
!
Pensa
a
quanti
reduci
avremo
,
quando
sarà
finita
!
»
.
Questi
famosi
motti
di
Longanesi
(
ci
sarebbe
da
compilarne
volumi
)
facevano
immediatamente
il
giro
della
città
,
creandogli
intorno
un
'
aureola
ingannatrice
di
uomo
sarcastico
e
paradossale
,
imprevedibile
e
«
brillante
»
.
Ma
si
trattava
di
ben
altro
:
imbrogliando
tutti
,
o
quasi
tutti
,
con
lo
specchietto
di
queste
sue
apparenti
assurdità
,
Longanesi
ha
condotto
,
dal
primo
all
'
ultimo
giorno
,
e
con
un
impegno
di
crociato
,
la
più
seria
e
disperata
battaglia
che
mai
sia
stata
ingaggiata
da
uno
scrittore
.
Vogliamo
dire
,
per
semplificare
,
ch
'
è
stato
l
'
ultimo
vero
grande
difensore
della
«
destra
»
?
Diciamolo
pure
,
forse
anche
perché
egli
stesso
desidera
che
questo
sia
detto
.
Ma
la
verità
è
-
e
un
giorno
su
questo
punto
ci
ripromettiamo
di
fare
il
chiaro
-
che
Longanesi
non
si
è
mai
sognato
di
difendere
una
classe
cui
non
apparteneva
e
in
cui
non
credeva
,
né
un
'
ideologia
politica
.
Ogni
tentativo
di
giudicarlo
su
questo
piano
è
semplicemente
ridicolo
e
meschino
.
Fosse
nato
in
Francia
,
Longanesi
avrebbe
trovato
probabilmente
interessi
reali
a
cui
partecipare
,
e
perfino
un
partito
in
cui
inserirsi
.
In
Italia
egli
è
stato
costretto
a
inventare
letteralmente
il
mondo
,
di
cui
poi
si
è
Fatto
il
paladino
.
In
questo
miscuglio
di
Renard
e
di
Toulouse
-
Lautrec
,
c
'
è
anche
un
pizzico
di
Don
Chisciotte
truccato
da
Sancio
Pancia
.
L
'
Italia
ch
'
egli
ha
difeso
era
una
pura
e
semplice
creazione
della
sua
fantasia
,
del
suo
gusto
e
di
una
cultura
costruita
a
furia
,
più
che
di
letture
e
di
studio
,
di
balenanti
intuizioni
.
Quest
'
uomo
piccolissimo
,
che
soffriva
atrocemente
della
propria
statura
,
era
molto
più
grande
del
mondo
in
cui
viveva
e
ne
traboccava
continuamente
di
fuori
.
Per
questo
era
difficile
stargli
accanto
.
E
per
questo
era
impossibile
abbandonarlo
senza
sentirsi
«
traditore
»
,
come
lui
diceva
,
anzi
addirittura
parricida
.
Quel
suo
eterno
scegliere
la
posizione
più
scomoda
,
la
trincea
più
battuta
,
l
'
esercito
più
sconfitto
,
ci
poneva
continuamente
di
fronte
a
un
insormontabile
caso
di
coscienza
.
Dichiaro
senza
rossore
che
ho
rinnegato
molte
mie
convinzioni
per
restare
fedele
a
Longanesi
,
e
non
me
ne
pento
.
Oggi
l
'
unico
rimorso
che
ho
è
quello
di
non
essere
rimasto
sempre
fedele
a
lui
,
l
'
uomo
più
importante
della
mia
vita
,
quello
che
ho
più
amato
e
odiato
,
il
solo
maestro
che
mi
riconosca
anche
nelle
giravolte
più
rischiose
e
nei
più
azzardati
zig
zag
.
E
non
sono
il
solo
a
trovarmi
in
queste
condizioni
.
Proprio
mentre
scrivo
questo
arruffato
articolo
,
mi
hanno
telefonato
Arrigo
Benedetti
e
Mario
Soldati
,
che
pure
sembrano
camminare
così
sicuri
su
una
strada
diversa
da
quella
su
cui
Longanesi
ci
aveva
tutti
avviati
.
«
E
ora
?
»
mi
hanno
chiesto
con
voce
di
pianto
.
«
Come
faremo
a
scrivere
senza
più
la
paura
e
la
speranza
di
ciò
che
avrebbe
detto
Longanesi
leggendoci
?
»
Si
sentivano
orfani
anche
loro
,
come
me
.
Nessuno
degl
'
italiani
contemporanei
ha
lasciato
,
o
lascerà
,
morendo
,
il
vuoto
che
lascia
Longanesi
.
In
nessuna
generazione
un
italiano
ha
scavato
così
a
fondo
e
durevolmente
come
ha
fatto
Longanesi
in
quella
nostra
.
Forse
qualcuno
la
troverà
un
'
esagerazione
,
suggeritami
dall
'
emozione
della
sua
morte
.
E
invece
è
una
vecchia
certezza
,
di
cui
m
'
impegno
a
riconoscere
la
validità
anche
nel
più
lontano
futuro
.
È
difficile
dimostrarlo
,
perché
di
suo
rimane
ben
poco
,
un
milionesimo
di
quello
che
avrebbe
potuto
darci
,
e
impossibile
da
raccogliere
in
un
'
opera
organica
,
sbriciolato
com
'
è
in
frammenti
di
diario
,
in
abbozzi
di
disegni
,
appunti
e
schemi
.
L
'
avaro
Longanesi
era
troppo
occupato
ad
arricchire
noi
per
accumulare
di
suo
.
Per
me
,
non
oso
fare
il
conto
di
quello
che
mi
rimarrebbe
,
se
dovessi
restituirgli
tutto
ciò
che
mi
ha
dato
.
Non
ho
avuto
il
tempo
di
dirglielo
,
ora
è
troppo
tardi
,
uno
stupido
pudore
mi
ha
sempre
trattenuto
.
Ma
anche
il
pudore
me
lo
aveva
insegnato
lui
.
StampaQuotidiana ,
Roma
,
luglio
-
Il
20
giugno
scorso
ci
fu
in
televisione
un
dibattito
sul
nuovo
Ente
per
l
'
energia
elettrica
,
o
ENEL
,
di
cui
proprio
quel
giorno
era
stata
annunciata
la
nascita
.
Fra
gl
'
intervenuti
c
'
era
il
mio
collega
Domenico
Bartoli
,
che
a
un
certo
punto
chiese
al
consigliere
di
Stato
Mezzanotte
se
non
c
'
era
il
pericolo
che
questo
nuovo
Ente
calcasse
le
orme
di
un
altro
che
,
costituito
dieci
anni
fa
per
servire
lo
Stato
,
ne
era
diventato
il
padrone
.
L
'
allusione
all
'
ENI
era
chiara
,
ma
forse
i
telespettatori
ricorderanno
che
il
consigliere
Mezzanotte
cercò
,
nella
risposta
,
di
non
nominarlo
.
Succede
spesso
,
perché
questa
sigla
sembra
che
scotti
le
labbra
di
chi
la
pronuncia
.
Quella
sull
'
ENI
oramai
è
diventata
in
Italia
,
e
forse
anche
all
'
estero
,
una
disputa
teologica
tra
«
fedeli
»
e
«
infedeli
»
,
e
chi
non
è
né
di
questi
né
di
quelli
ha
paura
a
cacciarcisi
in
mezzo
.
La
stampa
indipendente
,
appunto
per
conservare
quest
'
aureola
di
indipendenza
preferisce
evitare
l
'
argomento
,
lasciandolo
in
monopolio
agli
esaltatori
e
ai
denigratori
,
le
cui
arringhe
o
requisitorie
hanno
nascosto
al
pubblico
gli
esatti
termini
del
problema
.
Con
un
misto
di
civetteria
e
di
spavalderia
,
l
'
ingegner
Enrico
Mattei
,
presidente
dell
'
ENI
,
ha
raccolto
tutto
ciò
che
si
è
scritto
contro
di
lui
e
il
suo
Ente
in
una
ventina
di
volumi
che
,
a
vederli
di
lontano
,
si
potrebbero
prendere
per
l
'
Opera
Omnia
di
un
Gide
o
di
un
Proust
,
tanto
sono
ben
rilegati
.
A
mio
parere
,
manca
solo
,
sul
frontespizio
,
il
motto
che
meglio
le
converrebbe
:
«
Molti
nemici
,
molto
onore
»
.
Ma
è
sottinteso
.
Evidentemente
Mattei
,
per
fornire
la
misura
della
propria
grandezza
,
preferisce
il
metro
dell
'
odio
a
quello
dell
'
amore
.
Deve
ritenerlo
più
producente
,
e
i
risultati
gli
hanno
dato
ragione
.
A
furia
di
controversie
,
egli
è
entrato
ormai
nel
mito
popolare
,
e
una
voce
o
per
meglio
dire
un
bisbiglio
largamente
diffuso
indica
in
lui
il
vero
«
padrone
del
vapore
»
.
Se
ciò
gli
giovi
o
gli
nuoccia
è
difficile
dire
,
perché
quando
gli
italiani
si
mettono
a
cercare
«
il
padrone
»
non
si
sa
mai
se
lo
fanno
col
timore
o
con
la
speranza
di
trovarlo
.
C
'
è
chi
dice
(
la
frase
è
di
uno
dei
nostri
più
autorevoli
politici
)
che
,
per
guarire
l
'
Italia
delle
sue
molte
magagne
,
basterebbe
mettere
in
prigione
Mattei
.
Ma
c
'
è
chi
dice
anche
che
se
l
'
Italia
oggi
ha
un
prestigio
nel
mondo
,
lo
deve
a
Mattei
.
Lo
hanno
paragonato
a
Hitler
e
a
Fidel
Castro
,
ma
anche
a
Cromwell
,
a
Lawrence
e
a
Garibaldi
,
e
una
importante
rivista
americana
ha
scritto
addirittura
che
Mattei
è
l
'
italiano
che
più
ha
contribuito
a
trasformare
la
faccia
del
suo
Paese
dopo
l
'
imperatore
Augusto
.
In
sé
e
per
sé
,
il
rango
di
Mattei
non
sembra
giustificare
la
mobilitazione
di
sì
imponenti
paralleli
storici
.
L
'
ENI
,
o
Ente
nazionale
idrocarburi
,
di
cui
è
presidente
,
è
di
certo
un
grosso
«
carrozzone
»
,
ma
di
proporzioni
assai
più
modeste
di
quelle
per
esempio
dell
'
IRI
,
dei
cui
dirigenti
nessuno
,
ch
'
io
sappia
,
ha
avuto
l
'
onore
di
vedersi
paragonato
nemmeno
a
Nino
Bixio
.
Ma
il
fatto
è
che
i
dirigenti
dell
'
IRI
,
l
'
IRI
lo
dirigono
soltanto
;
con
l
'
ENI
,
Mattei
s
'
identifica
molto
più
consustanzialmente
di
quanto
gli
stessi
Agnelli
e
Valletta
,
faccio
per
dire
,
s
'
identifichino
con
la
FIAT
.
Ecco
perché
una
biografia
dell
'
ENI
non
può
che
risolversi
in
una
biografia
di
Mattei
,
la
quale
a
sua
volta
sembra
che
non
possa
risolversi
che
in
una
accusa
o
in
una
esaltazione
.
Io
mi
proverò
a
non
cadere
né
in
questa
né
in
quella
,
ma
mi
rendo
conto
che
l
'
impegno
è
piuttosto
difficile
.
Avverto
anche
il
lettore
che
non
mi
riprometto
di
fare
nessuna
rivelazione
sensazionale
o
scandalistica
.
Vorrei
soltanto
riuscire
a
spiegargli
che
cosa
è
l
'
ENI
,
come
funziona
,
e
perché
il
suo
presidente
è
diventato
bersaglio
di
tante
lodi
e
di
tante
critiche
,
di
tante
speranze
e
di
tanti
sospetti
.
Mattei
viene
da
una
famiglia
poverissima
di
origine
abruzzese
,
sebbene
egli
sia
nato
a
Acqualagna
nelle
Marche
.
Suo
padre
era
brigadiere
dei
carabinieri
,
quando
quelle
regioni
erano
infestate
dai
banditi
.
Un
giorno
ne
incocciò
uno
che
tentò
di
darsi
alla
fuga
,
ma
s
'
impigliò
in
un
filo
di
ferro
e
cadde
.
«
Chillu
filu
!
...
Chillu
filu
!...»
continuò
a
lamentarsi
lo
sciagurato
per
tutti
gli
anni
dell
'
ergastolo
cui
lo
condannarono
.
Era
il
famoso
brigante
Musolino
.
Il
brigadiere
si
congedò
nel
'
19
col
grado
e
la
pensione
di
maresciallo
e
con
cinque
figli
a
carico
.
Per
farli
studiare
voleva
stabilirsi
a
Camerino
,
dove
c
'
è
anche
l
'
Università
.
Ma
la
vita
lì
era
troppo
cara
,
e
si
decise
per
Matelica
,
dove
trovò
un
posto
di
guardacaccia
.
Tuttavia
la
mensa
non
doveva
essere
abbondante
in
casa
Mattei
;
e
Enrico
,
a
quindici
anni
,
dovette
lasciare
gli
studi
e
mettersi
a
fare
il
verniciatore
in
una
fabbrica
.
Di
lì
emigrò
in
un
'
industria
conciaria
come
fattorino
;
e
in
tre
anni
,
con
annibalico
piglio
,
fu
promosso
contabile
,
capocontabile
,
vicedirettore
,
direttore
.
Così
,
prima
di
aver
raggiunto
la
maggiore
età
,
si
trovò
alla
testa
di
un
'
azienda
con
centocinquanta
fra
operai
e
impiegati
.
Fin
d
'
allora
poteva
«
sedersi
»
sui
risultati
raggiunti
e
contentarsi
di
una
comoda
esistenza
di
«
vitellone
»
riuscito
,
con
un
buon
stipendio
,
un
avvenire
senza
grandi
orizzonti
ma
sicuro
,
e
la
«
fuori
serie
»
alla
porta
per
trascorrere
le
domeniche
a
Pesaro
e
sedurvi
la
sciantosa
di
passaggio
.
Invece
,
con
gran
disperazione
di
suo
padre
,
a
ventitré
anni
piantò
tutto
,
andò
a
Milano
e
ripartì
da
zero
.
Dapprima
trovò
la
rappresentanza
di
una
ditta
tedesca
.
Poi
si
mise
a
fare
il
piazzista
d
'
impianti
industriali
,
e
forse
fu
in
questo
mestiere
che
trovò
la
misura
di
se
stesso
.
I
clienti
non
resistevano
alle
seduzioni
di
questo
loro
fornitore
non
per
la
sua
abilità
e
facondia
:
Mattei
è
scarso
e
scarno
parlatore
,
non
irraggia
simpatia
,
non
sprigiona
calore
umano
.
Ma
convince
perché
è
convinto
egli
stesso
.
C
'
è
nelle
sue
parole
e
nel
suo
sguardo
una
carica
di
onestà
e
di
sincerità
che
disarma
qualunque
sospetto
.
La
sua
firma
conferisce
a
qualunque
cosa
egli
l
'
apponga
un
primato
di
eccellenza
cui
tutti
finiscono
per
credere
perché
il
primo
a
crederci
è
lui
.
Io
non
ci
ho
parlato
che
un
paio
di
volte
,
e
in
ambedue
le
occasioni
mi
sono
sentito
a
disagio
per
il
fatto
di
non
riuscire
a
condividere
certe
sue
opinioni
.
Ne
provavo
una
specie
di
rimorso
.
Forse
anche
i
direttori
di
banca
ebbero
la
stessa
impressione
quando
Mattei
chiese
loro
un
prestito
per
impiantare
una
fabbrica
di
prodotti
chimici
.
Egli
non
aveva
nulla
da
offrire
in
garanzia
.
Ma
chi
poteva
dubitare
che
la
sua
merce
avrebbe
battuto
qualunque
concorrenza
come
qualità
e
prezzo
?
I
capitali
si
trovarono
e
la
fiducia
si
dimostrò
fondata
.
A
trent
'
anni
,
Mattei
era
un
industriale
,
sia
pure
di
modeste
proporzioni
.
Ancora
una
volta
egli
aveva
puntato
tutta
la
posta
su
una
ambizione
più
grande
e
aveva
vinto
.
Ora
la
sua
strada
sembrava
irrevocabilmente
segnata
.
Ma
la
guerra
e
la
disfatta
gli
proposero
un
'
altra
avventura
,
e
lui
non
esitò
.
Sulle
opinioni
politiche
di
Mattei
e
sull
'
autenticità
della
sua
vocazione
democristiana
,
ci
sarebbe
da
discutere
a
lungo
.
Ma
ciò
che
a
discussioni
non
si
presta
,
sebbene
ci
si
sia
provati
a
farne
,
è
la
sua
condotta
di
capo
partigiano
.
Lasciamo
stare
certi
episodi
e
aneddoti
che
si
ritrovano
tali
e
quali
nella
biografia
di
tutti
gli
eroi
da
Plutarco
in
giù
:
gli
agiografi
,
si
sa
,
hanno
scarsa
fantasia
.
Però
Mattei
fu
un
resistente
coraggioso
e
risoluto
e
un
eccellente
organizzatore
di
brigate
partigiane
,
delle
quali
fu
una
specie
di
Grande
Elemosiniere
.
Lo
arrestarono
,
ed
evase
.
Tornarono
ad
arrestarlo
,
e
lui
riuscì
a
farsi
liberare
raccontando
una
storia
che
,
in
bocca
a
chiunque
altro
,
non
avrebbe
persuaso
nessuno
;
ma
che
,
in
bocca
a
lui
,
con
quella
carica
di
onestà
e
di
sincerità
ch
'
egli
sa
mettere
in
tutto
ciò
che
dice
,
incusse
nei
suoi
carcerieri
il
rimorso
di
non
crederci
.
Tanti
meriti
gli
valsero
la
medaglia
d
'
oro
della
Resistenza
,
la
stella
d
'
argento
(
oh
,
ironia
!
)
americana
appuntatagli
sul
petto
dal
generale
Clark
,
e
l
'
elezione
a
deputato
.
Sembrava
che
la
politica
dovesse
essere
la
sua
nuova
industria
,
ci
si
aspettava
che
la
battesse
col
solito
piglio
annibalico
,
e
molti
furono
stupiti
ch
'
egli
si
contentasse
di
un
incarico
minore
come
quello
di
commissario
per
l
'
Agip
.
L
'
Azienda
Generale
Italiana
Petroli
era
stata
un
'
invenzione
del
fascismo
per
la
ricerca
degli
idrocarburi
,
aveva
sempre
vivacchiato
male
perché
gl
'
idrocarburi
non
era
mai
riuscita
a
trovarli
,
e
ora
non
era
che
un
rottame
alla
deriva
,
di
cui
lo
Stato
intendeva
liberarsi
al
più
presto
.
Il
ministro
delle
Finanze
,
Soleri
,
valutava
a
una
sessantina
di
milioni
di
lire
le
sue
antiquate
attrezzature
,
e
diede
ordine
al
commissario
Mattei
di
liquidarle
per
quella
cifra
.
Mattei
disobbedì
.
Intuizione
?
Non
so
.
Se
le
attrezzature
erano
antiquate
,
i
tecnici
che
lavoravano
al
servizio
dell
'
Agip
erano
giovani
e
in
gamba
.
Pur
con
quegli
scarsi
mezzi
,
un
po
'
di
metano
lo
avevano
trovato
e
si
dicevano
certi
d
'
imponenti
giacimenti
.
Non
erano
che
congetture
,
ma
Mattei
ebbe
il
merito
di
crederci
,
e
fu
il
solo
a
puntarci
sopra
.
Da
Roma
seguitavano
a
ingiungergli
di
liquidare
;
e
lui
rispondeva
scavando
pozzi
.
Li
scavava
dovunque
,
infischiandosi
dei
diritti
dei
comuni
,
delle
province
e
dei
privati
,
e
non
so
nemmeno
dove
attingesse
i
soldi
per
pagare
tecnici
e
operai
.
Oramai
si
era
convinto
che
il
petrolio
c
'
era
,
e
quindi
ci
doveva
essere
.
Perché
questa
è
la
caratteristica
dell
'
uomo
:
come
Giovanna
d
'
Arco
e
de
Gaulle
,
egli
ascolta
solo
le
voci
di
dentro
e
non
crede
che
a
quelle
.
Un
giorno
di
marzo
del
'49
una
massiccia
nuvola
di
metano
oscurò
il
cielo
di
Caviaga
e
di
Ripalta
.
Il
metano
è
indizio
sicuro
di
petrolio
.
E
molti
italiani
,
a
quella
notizia
,
pensarono
quasi
con
intenerita
compassione
al
povero
duce
,
che
per
vent
'
anni
aveva
clamorosamente
reclamato
il
diritto
dell
'
Italia
alla
sua
parte
di
materie
prime
e
specialmente
d
'
idrocarburi
,
per
procurarsele
ci
aveva
condotto
fino
in
Etiopia
,
ed
era
morto
senz
'
accorgersi
che
le
aveva
sotto
il
sedere
perché
l
'
orgoglio
autarchico
gli
aveva
impedito
d
'
importare
dall
'
America
i
mezzi
tecnici
e
finanziari
per
cercarle
.
Non
so
se
Mattei
abbia
riflettuto
su
questa
esperienza
di
cui
è
stato
il
beneficiario
.
Secondo
i
suoi
esaltatori
,
solo
un
fortunato
caso
volle
che
,
insieme
a
un
folto
stuolo
di
giornalisti
e
di
fotografi
,
il
ministro
Vanoni
si
trovasse
presente
a
Cortemaggiore
quando
,
insieme
a
un
altro
nuvolone
di
metano
,
uno
zampillo
di
petrolio
eruppe
dal
suolo
.
Naturalmente
il
caso
non
c
'
entrava
affatto
.
Ma
noi
ascriviamo
a
merito
,
non
a
demerito
di
Mattei
,
e
a
riconoscimento
del
suo
tempismo
e
intuito
politico
,
la
ben
pianificata
spettacolarità
e
drammatizzazione
della
scena
.
Ora
che
i
giacimenti
d
'
idrocarburi
erano
apparsi
di
tale
entità
da
rendere
conveniente
lo
sfruttamento
,
la
valle
del
Po
era
stata
presa
letteralmente
d
'
assalto
dalle
compagnie
private
,
e
il
ministero
per
l
'
Industria
e
il
Commercio
era
sepolto
sotto
una
valanga
di
richieste
di
concessioni
.
Secondo
una
vecchia
legge
del
'27
,
chiunque
poteva
ottenere
il
permesso
di
fare
ricerche
nel
sottosuolo
.
Non
era
chiaramente
detto
che
dalla
scoperta
d
'
idrocarburi
derivasse
automaticamente
un
diritto
di
sfruttamento
:
ma
era
considerato
implicito
.
Tuttavia
le
compagnie
premevano
perché
questo
automatismo
diventasse
esplicito
,
e
specialmente
í
legali
americani
della
Esso
Standard
lo
fecero
in
maniera
pesante
e
malaccorta
.
A
Mattei
,
per
assicurarsi
un
monopolio
che
la
legge
non
prevedeva
e
che
anzi
sembrava
incompatibile
coi
princìpi
liberisti
cui
s
'
ispirava
il
governo
di
De
Gasperi
,
non
restava
che
un
'
arma
:
suscitare
una
grande
suggestione
collettiva
e
patriottica
,
persuadendo
gl
'
italiani
ch
'
essi
erano
i
depositari
di
una
immensa
ricchezza
,
da
difendere
coi
denti
contro
la
rapacità
dei
monopoli
privati
e
le
interferenze
dello
«
straniero
»
.
Ci
riuscì
con
la
indovinata
regia
di
Cortemaggiore
.
Io
stesso
ricordo
l
'
emozione
che
suscitò
nella
redazione
di
questo
giornale
la
notizia
recata
dai
trafelati
cronisti
e
fotografi
di
ritorno
dal
teatro
di
quel
sensazionale
avvenimento
.
Nessuno
pensò
al
metano
.
Tutti
restammo
ipnotizzati
dallo
zampillo
di
petrolio
che
nelle
nostre
fantasie
(
e
purtroppo
anche
nei
resoconti
della
stampa
)
diventò
rivolo
,
torrente
,
cateratta
,
fino
a
trasformare
la
valle
del
Po
in
una
specie
di
Texas
.
Il
petrolio
!
Avevamo
il
petrolio
.
Mattei
non
badò
ai
mezzi
per
tener
caldi
quegli
entusiasmi
.
A
un
certo
punto
si
diffuse
o
fu
diffusa
la
voce
che
«
il
nemico
»
aveva
in
animo
di
appiccare
il
fuoco
a
qualche
pozzo
per
poter
muovere
a
Mattei
l
'
accusa
d
'
incompetenza
o
negligenza
.
Era
vero
?
A
ogni
buon
conto
,
Mattei
rimobilitò
i
suoi
ex
partigiani
e
li
dispose
di
fazione
ai
giacimenti
che
,
sacralizzati
dalle
armi
e
dalle
uniformi
di
quei
bravi
giovanotti
,
vennero
per
così
dire
incorporati
nel
mito
della
Resistenza
e
ne
condivisero
l
'
intoccabilità
.
«
La
cassaforte
è
aperta
»
dichiarò
Mattei
in
una
intervista
a
questo
giornale
,
«
basta
affondarci
le
mani
per
trarne
tesori
.
»
Ma
queste
mani
,
naturalmente
,
dovevano
essere
italiane
.
Anche
le
discussioni
in
Parlamento
risentirono
di
quest
'
atmosfera
,
e
il
ministro
socialdemocratico
Ivan
Matteo
Lombardo
rilevò
con
ironia
che
molti
argomenti
sembravano
presi
a
prestito
da
certi
giornali
del
defunto
regime
come
«
Il
Tevere
»
e
«
L
'
Impero
»
.
La
battaglia
per
assicurare
allo
Stato
,
cioè
a
Mattei
,
il
monopolio
delle
ricerche
e
dello
sfruttamento
degl
'
idrocarburi
nella
valle
del
Po
fu
lunga
,
e
non
vai
la
pena
ritracciarne
le
fasi
.
Mattei
forse
non
l
'
avrebbe
vinta
,
se
non
avesse
avuto
dalla
sua
il
ministro
delle
Finanze
Vanoni
e
lo
stesso
presidente
De
Gasperi
.
Vanoni
era
un
uomo
di
grande
intelligenza
e
competenza
economica
,
onesto
,
timido
e
malinconico
,
su
cui
certo
non
faceva
presa
la
demagogia
autarchica
e
nazionalista
.
Qualcuno
dice
che
fu
succubo
del
carattere
autoritario
e
imperioso
di
Mattei
,
ma
io
non
ci
credo
.
E
che
Vanoni
,
democristiano
di
adozione
,
aveva
origini
socialiste
.
Non
era
un
esacerbato
statalizzatore
;
ma
accettava
che
lo
Stato
si
sostituisse
all
'
iniziativa
privata
,
specie
in
certi
settori
di
pubblica
utilità
com
'
è
quello
della
produzione
di
energia
.
Quanto
a
De
Gasperi
,
che
di
economia
s
'
intendeva
poco
,
fu
mosso
da
considerazioni
politiche
.
L
'
idea
che
degli
americani
s
'
impiantassero
in
una
zona
«
calda
»
come
quella
padana
,
dove
in
quel
momento
si
moriva
con
molta
facilità
,
fornendo
pretesto
coi
loro
altezzosi
e
stupidi
compounds
ai
risentimenti
comunisti
sempre
strettamente
legati
a
quelli
nazionalisti
,
gli
fece
paura
.
Mattei
veniva
dalla
Resistenza
,
aveva
dalla
sua
i
partigiani
,
agiva
in
nome
dello
Stato
e
dell
'
anticapitalismo
.
Era
impossibile
attaccarlo
come
«
colonialista
»
,
«
imperialista
»
e
«
sfruttatore
del
popolo
»
.
Così
si
consumò
l
'
esclusione
dell
'
iniziativa
privata
,
italiana
e
straniera
,
dalla
valle
del
Po
;
e
il
10
febbraio
del
'53
fu
varata
la
legge
che
istituiva
l
'
ENI
e
conferiva
a
Mattei
i
poteri
che
oggi
tanto
inquietano
la
pubblica
opinione
.
StampaQuotidiana ,
Oggi
prende
il
via
il
volo
verso
la
Luna
,
la
più
grande
avventura
umana
di
tutti
i
tempi
.
Così
grande
che
ogni
tentativo
di
magnificarla
ci
sembrerebbe
retorico
e
vuoto
.
Ci
limiteremo
a
dire
che
la
coscienza
-
per
chi
ce
l
'
ha
-
di
appartenere
a
una
società
e
a
una
generazione
capaci
di
realizzare
simili
imprese
ci
procura
qualche
prurito
di
orgoglio
.
Con
buona
pace
dei
contestatori
.
Vorremmo
solo
fare
due
piccole
osservazioni
.
La
prima
è
di
ordine
,
diciamo
così
,
cautelativo
.
Forse
in
tutto
il
mondo
,
ma
certamente
in
Italia
,
ci
sembra
che
il
pubblico
si
disponga
a
seguire
sul
video
questa
straordinaria
vicenda
con
una
fiducia
quasi
assoluta
nella
sua
riuscita
.
È
abbastanza
naturale
,
dato
il
successo
dei
voli
precedenti
.
Gli
americani
ci
hanno
male
abituati
.
A
parte
il
tragico
incidente
dei
tre
astronauti
carbonizzati
,
che
tuttavia
si
verificò
prima
del
lancio
,
in
sede
di
collaudo
delle
apparecchiature
,
l
'
Ente
spaziale
americano
non
ha
registrato
sconfitte
.
Né
c
'
è
nemmeno
da
sospettare
che
ne
abbia
tenuta
nascosta
qualcuna
.
Gli
americani
accettano
di
farsi
torchiare
dal
fisco
per
finanziare
la
conquista
del
cielo
.
Ma
esigono
che
essa
si
svolga
sotto
gli
occhi
loro
e
di
tutti
,
senza
segreti
.
Il
fatto
che
fin
qui
ogni
tappa
sia
stata
puntualmente
raggiunta
secondo
la
tabella
di
marcia
non
deve
tuttavia
trarci
in
inganno
.
Von
Braun
,
il
grande
architetto
di
questi
voli
,
ha
parlato
chiaro
:
confido
,
ha
detto
,
nella
vittoria
,
ma
un
margine
d
'
incertezza
c
'
è
.
E
del
resto
,
se
non
ci
fosse
,
la
più
grande
avventura
umana
non
sarebbe
né
avventura
né
umana
:
che
sono
i
due
attributi
per
i
quali
tanto
ci
esalta
.
Il
secondo
punto
riguarda
lo
sforzo
organizzativo
di
cui
essa
è
il
risultato
.
Per
arrivare
a
questo
traguardo
,
l
'
America
ha
speso
ventiquattro
miliardi
di
dollari
,
qualcosa
come
sedici
o
diciassettemila
miliardi
di
lire
.
Ma
non
lasciamoci
ipnotizzare
dalla
macroscopicità
di
queste
cifre
.
Ventiquattro
miliardi
di
dollari
non
rappresentano
che
lo
0.50
per
cento
del
reddito
nazionale
americano
,
una
briciola
dunque
.
E
infatti
quello
del
finanziamento
è
stato
,
per
il
governo
di
Washington
,
il
problema
meno
arduo
da
risolvere
.
Molto
più
complesso
dev
'
essere
stato
quello
del
coordinamento
.
L
'
economia
americana
non
è
un
'
economia
di
Stato
,
che
lo
Stato
possa
orientare
a
sua
volontà
,
concentrandone
le
capacità
inventive
e
produttive
nel
campo
che
più
gli
convenga
.
Deve
fare
i
conti
coi
privati
,
e
deve
farli
senza
polizia
e
campi
di
concentramento
(
o
,
come
oggi
si
dice
con
soave
eufemismo
,
di
"
rieducazione
"
)
.
Ecco
perché
,
all
'
inizio
della
sfida
spaziale
fra
America
e
Russia
,
tutti
o
quasi
tutti
puntavano
piuttosto
sulla
Russia
,
che
oltre
a
godere
di
un
notevole
margine
di
anticipo
,
poteva
impegnarvi
tutto
il
suo
potenziale
tecnologico
e
industriale
.
Trattandosi
di
una
"
programmazione
"
di
gigantesche
dimensioni
,
ci
pareva
che
i
sovietici
fossero
in
grado
di
attuarla
con
maggiore
rapidità
ed
efficienza
.
Non
è
stato
così
,
e
il
fatto
dovrebbe
indurci
a
qualche
riflessione
.
All
'
approntamento
dell
'
Apollo
11
hanno
collaborato
-
ci
dicono
-
trecentomila
tecnici
,
che
non
sono
impiegati
di
Stato
,
e
ventimila
imprese
,
che
non
sono
imprese
di
Stato
.
Sono
dati
sommari
e
grossolani
.
Ma
bastano
a
farci
capire
quale
chiarezza
e
reciproca
fiducia
,
in
America
,
debbano
improntare
i
rapporti
fra
il
settore
pubblico
e
quello
privato
.
Evidentemente
fra
l
'
uno
e
l
'
altro
c
'
è
dialogo
aperto
.
E
in
un
caso
come
questo
,
non
è
difficile
capire
come
si
è
svolto
,
anche
perché
la
stampa
americana
ce
ne
ha
fornito
parecchie
indicazioni
.
Lo
stato
non
si
è
limitato
a
delle
"
commesse
"
.
Ha
convocato
i
singoli
imprenditori
,
i
loro
stati
maggiori
tecnici
,
i
dirigenti
dei
grandi
istituti
di
studio
e
di
ricerca
,
e
ha
discusso
con
loro
l
'
opportunità
di
una
vasta
mobilitazione
di
mezzi
e
di
energie
per
la
conquista
dello
spazio
.
Ci
sono
stati
dissensi
e
opposizioni
.
Ce
ne
sono
ancora
.
Non
tutti
gli
americani
sono
persuasi
di
ciò
che
l
'
America
fa
in
cielo
:
qualcuno
dice
che
farebbe
meglio
a
occuparsi
un
po
'
più
della
terra
e
che
la
conquista
della
Luna
rappresenta
per
essa
ciò
che
la
costruzione
delle
piramidi
rappresentò
per
l
'
Egitto
:
un
inutile
e
rovinoso
scialo
.
Ma
alla
fine
ha
prevalso
la
tesi
politica
:
che
la
conquista
della
Luna
costituisce
non
soltanto
un
primato
cui
il
paese
non
può
rinunciare
,
ma
anche
il
pretesto
e
l
'
occasione
di
un
balzo
avanti
tecnologico
,
di
cui
tutta
la
produzione
,
e
quindi
tutta
la
società
,
risentiranno
i
benefici
effetti
.
Non
vogliamo
entrare
nel
merito
di
questa
polemica
,
fuori
portata
delle
nostre
modestissime
competenze
.
Vogliamo
soltanto
rilevare
che
anche
una
democrazia
,
quando
p
efficiente
,
può
programmare
senza
punto
rinnegarsi
,
cioè
nel
pieno
rispetto
delle
libertà
del
cittadino
.
Certo
,
occorre
uno
Stato
che
non
si
atteggi
a
persecutore
del
privato
e
dei
privati
che
non
si
atteggino
a
vittime
dello
Stato
.
Ma
l
'
efficienza
di
un
sistema
politico
consiste
proprio
in
questo
.
E
l
'
impresa
dell
'
Apollo
11
ne
rappresenta
per
l
'
appunto
il
magnifico
frutto
.
Essa
è
figlia
di
una
mobilitazione
,
ma
senza
cartolina
-
precetto
,
per
arruolamento
volontario
.
La
più
grande
avventura
umana
di
tutti
i
tempi
è
grande
anche
per
questo
:
perché
dimostra
che
perfino
nelle
"
pianificazioni
"
in
cui
sembrerebbe
per
sua
natura
sfavorita
,
la
libertà
paga
più
e
meglio
del
totalitarismo
.