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> autore_s:"Montanelli Indro"
Caro senatore ( Montanelli Indro , 1978 )
StampaQuotidiana ,
Caro senatore , il suo discorso non fa una grinza . Io sono perfettamente d ' accordo con lei che una spesa di 74 miliardi , e anche quella di 270 prevista per il '79 , è ben poca cosa in confronto al valore dell ' enorme patrimonio artistico da salvare ; e anzi questo giornale è sempre stato in prima linea nel reclamare che a questa difesa siano dati mezzi sempre più grandi ed efficienti . Ma Ricossa non contestava affatto questa tesi . Semplicemente diceva : Prendiamo il più modesto di tutti i nostri bilanci , quello per i Beni culturali , 74 miliardi appena . Il cittadino è in grado di controllare come viene amministrato questo stanziamento , e se esso serve di più a mantenere il suddetto patrimonio o coloro che vi sovrintendono ? No . E allora figuriamoci quanto è in grado di controllare una spesa globale di 64 mila miliardi , qual è quella dello Stato , del suo Stato . Questo , diceva Ricossa . Egli ha portato l ' esempio del bilancio dei Beni culturali perché , appunto per la sua modestia , era quello che meglio si prestava a dimostrare il suo assunto che trova consenzienti - glielo posso garantire - tutti i lettori . Perché tutti i lettori - anche questo le posso garantire - hanno le scatole piene di questo Stato ciaccione , avido e dissipatore , che vuol fare troppe cose e le fa malissimo , a cominciare da una contabilità talmente ingarbugliata che nessuno , nemmeno i cosiddetti uomini di Stato e la loro burocrazia , riescono a capirci più nulla . Lei non vorrà negarmi , spero , che l ' enorme prelievo che lo Stato fa del pubblico denaro viene adibito soprattutto a mantenere coloro che lo maneggiano , e a mantenerli male perché sono troppi e costretti ad operare in un guazzabuglio di leggi che li condanna all ' inefficienza e al parassitismo : Non so se i Beni culturali facciano eccezione alla regola . Ma la regola è quella che dice Ricossa : uno Stato che dovunque mette le mani combina guai e per ripararli ha sempre più bisogno di succhiare quattrini al cittadino senza dargli modo di controllare come li usa . Per difendersi non c ' è che un mezzo : ridurre la spesa pubblica , che significa anche ridurre gl ' interventi dello Stato , insomma riprivatizzare il Paese . Ne convenga anche lei , caro senatore . Altrimenti , perde i voti . Lei parla di contraddizione , caro Lo Cascio , e ha ragione . Ma il problema va posto , a mio avviso , in termini un po ' diversi da quelli esposti nella sua lettera . E ' vero : il mondo politico italiano intrattiene rapporti assidui con gli esponenti di quegli stati dell ' Est « socialista » che hanno indubbie connotazioni totalitarie . Ciò può turbare la coscienza dei democratici ma è difficilmente evitabile , anche se certe inutili sbracature e indulgenze sono eccessive . L ' impero sovietico è una realtà . Così come è una realtà la assoluta prevalenza numerica , nel mondo , dei regimi dittatoriali sui regimi democratici . Se questi ultimi dovessero chiudersi in se stessi , rifiutando ogni contatto con gli « impuri » , e troncando con essi rapporti diplomatici , economici , culturali , si arriverebbe a una situazione paradossale : alla situazione cioè di una coalizione della libertà che rinuncerebbe ad influire sulle vicende del mondo , e che , respingendoli in blocco , costringerebbe gli altri , i non liberi , ossia , ripetiamo , la maggioranza degli stati , a coalizzarsi a loro volta . La confusione tra morale e politica produce effetti di solito negativi , a volte catastrofici . Se ne è accorto anche Carter , che giuoca la carta cinese contro la carta russa pur sapendo perfettamente che , quanto a democrazia , se Mosca piange Pechino non ride . Io penso , insomma , che la politica internazionale di un Paese debba accettare questi compromessi e adattarsi agli incontri , ai brindisi , ai comunicati finali , con tutte le loro ipocrisie e reticenze . La contraddizione , secondo me , sta altrove . Sotto la spinta dei partiti di sinistra e della loro propaganda la politica estera italiana pecca di duplicità e di incoerenza . Se la ragion di stato deve prevalere sulla morale internazionale , se impone di colloquiare con i totalitari , la regola deve valere per tutti : per la Unione Sovietica come per il Cile , per l ' Albania come per la Rhodesia . Invece non è così . Non si vuole che sia così . Pertini , Andreotti e Forlani , possono tranquillamente recarsi in visita ufficiale a Mosca , ma guai se si azzardassero a visitare Argentina e Cile ; possono ricevere Gheddafi , ma guai se accogliessero a Roma Pinochet . Abbiamo normali rappresentanze diplomatiche perfino nell ' Uganda di Idi Amin , ma non a Santiago del Cile . Allora qual è il criterio ? Vale la ragion di stato , che consiglia di mantenere canali in ogni direzione , o vale la morale politica , che consiglierebbe di negare reciprocità di rapporti a chi non ha le carte in regola con la democrazia ? Non si sa . O piuttosto si sa benissimo . In obbedienza non a un criterio uniforme , ma al vociare propagandistico e al ricatto parlamentare , si usano due pesi e due misure . I totalitari di sinistra sono ritenuti internazionalmente più frequentabili di quelli di destra . La Farnesina si indigna : ma con juicio .
Caro amico ( Montanelli Indro , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Caro amico ( visto che lei mi considera tale ) , se l ' allusione sul modo in cui vivono certi giornali è rivolta al nostro , la invito senz ' altro a fare un sopralluogo da noi , pagandole anche biglietto e diaria , e in compagnia di uno stuolo di avvocati e commercialisti per controllare , fatture alla mano , quanto e da dove introiamo , quanto e come spendiamo . Si accorgerebbe che , come rigore amministrativo , e non soltanto amministrativo , abbiamo lezioni da dare , non da prendere , specie dai Comuni e dalle Province . Per quanto concerne la sua attività di consigliere provinciale , lei ha tutto il diritto di credere che in essa rientri anche la politica estera nazionale ; io ho quello di pensare e di scrivere che gli elettori eleggono un consigliere provinciale perché s ' interessi delle cose della provincia , non della Rhodesia e dello Zimbabwe , delle quali può benissimo occuparsi quando parla con gli amici al caffè , non quando siede nel consiglio provinciale . Chi di noi due abbia ragione , lasciamolo giudicare ai lettori . Quanto alla Dc , lei fa benissimo , come militante e gerarca , a difenderla . Ma non può dire che chi vota per essa perde , dopo aver depositato la scheda nell ' urna , qualsiasi diritto , compreso quello di avvertire certi puzzi e di turarsi il naso . Noi , lo sappiamo benissimo , non possiamo impedirvi di puzzare ; ma voi non potete impedirci di sentire il puzzo e di dire che lo sentiamo . Resta la questione dei butteri , di cui lei si aderge a difensore . Ma contro chi ? Io sono un vecchio amico dei butteri coi quali ho convissuto intere estati , quando mio nonno mi conduceva a caccia a Capalbio e dintorni . Magari ce ne fossero ancora , perché erano gran gente . Ma dove fossero la Rhodesia e lo Zimbabwe non lo sapevano , né credo che lo sappiano oggi , se ce n ' è ancora qualcuno . Ecco tutto , caro amico .
Pubblico insieme queste due lettere ( Montanelli Indro , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Pubblico insieme queste due lettere perché mi pare ch ' esse formino un perfetto pendant , a conferma di quanto dicevo nell ' articolo ( è il caso di dirlo ) incriminato . Per coloro che non lo avessero letto , o non lo ricordassero , ne riassumerò brevemente la tesi . Non capisco , dicevo , perché il contrasto fra Stato e Chiesa sull ' aborto faccia scandalo . Essi parlano a due diversi interlocutori : l ' uno al cittadino , l ' altra al credente . Quando l ' uno concede come diritto ciò che l ' altra proibisce come peccato , sta ad ognuno di noi decidere secondo coscienza il da farsi . Nessuno è condannato all ' aborto . È una facoltà . Lo Stato non poteva non regolarla , visti i pericoli e le ingiustizie della pratica clandestina . La Chiesa non può non condannare questa pratica . Non è la prima volta , e non è questo il solo caso in cui norma civile e norma religiosa discordano . La grande conquista dello Stato di diritto è di porre il cittadino nella condizione di scegliere fra l ' una e l ' altra . Ora il sig. Tornaquinci mi dice addio perché non trova questa posizione abbastanza laica , il sig. Strampelli mi dice addio perché non trova questa posizione abbastanza cattolica . Sembra che dicano cose antitetiche . E invece dicono la stessa cosa . Dicono cioè che non vogliono esser loro a scegliere . Secondo l ' uno questo compito spetta allo Stato , secondo l ' altro alla Chiesa , senza rendersi conto che uno Stato che proibisse alla Chiesa d ' interloquire su un problema morale come questo sarebbe uno Stato totalitario , così come una Chiesa che proibisse allo Stato di regolare un problema come questo , che è anche civile , sarebbe una teocrazia . Per quanto mi dispiaccia perderli ( e mi dispiace moltissimo ) , debbo riconoscere che il nostro giornale non è fatto per questi lettori . Noi ci rivolgiamo a quelli che , fra un imperativo civile e un imperativo religioso , accettano di assumersi la responsabilità di una scelta , anche quando è angosciosa come nel caso dell ' aborto . In quanti siamo ? Non lo so . Certo , una minoranza . Ma una minoranza di uomini , qualifica che spetta solo a coloro che hanno una coscienza , e non sono disposti a portarla all ' ammasso pur sapendo di avere in essa il tribunale più difficile cui rispondere . Anche in pochi , è preferibile restare tra noi .
Addio a Longanesi ( Montanelli Indro , 1957 )
StampaQuotidiana ,
Forse non riuscirò a parlare di Leo Longanesi come le circostanze vorrebbero , con rispettoso distacco . E non sarebbe neanche giusto chiedermelo . La mia vita è stata così ultimamente mescolata alla sua , o per meglio dire invasa la lui , che ci vorrà del tempo prima che possa raggiungere nei suoi riguardi una certa imparzialità . Lasciatemi dunque dire , alla rinfusa , le poche cose che ; ella rinfusa mi tornano in mente . Avevo vent ' anni quando gli andai incontro , attratto da ciò che in lui più brillava : la genialità , l ' inventiva , l ' originalità . E ora , a cose fatte , mi accorgo di essergli rimasto accanto , finché ho potuto , per la tristezza , la malinconia , e a volte la disperazione , che dietro tutto questo si nascondeva . Era di poco maggiore di me . Ma Longanesi è uno dei pochissimi uomini al mondo che non abbia dovuto aspettare i figli dei suoi coetanei per farsene dei discepoli e che abbia saputo diventare il maestro della sua generazione . A diciott ' anni , senza corredo di studi e senza aver mai messo il naso fuori della sua Romagna , era già sul podio a dirigere l ' orchestra . Non aveva avuto esitazioni nell ' imboccare la strada . E naturalmente aveva scelto quella che , dal punto di vista personale , non menava a nulla . Quest ' uomo che passava per avaro , e che sul conto dell ' albergo e del ristorante lo era , ha trascorso la vita a scialacquare tutto il suo patrimonio d ' ingegno e ad arricchirne gli altri , gratis . Io stesso , di quel poco che ho fatto , non riesco più a distinguere ciò che è mio da ciò che è suo . Ora mi domando se aveva accantonato qualcosa dentro i suoi tiretti : se , oltre tutto quel che dava d ' idee , di spunti , di trovate , di pretesti , aveva serbato qualcosa per sé . Temo di no . Questo lavoratore infaticabile ha lavorato soltanto a disperdersi , e oltre agl ' inediti del suo Diario non si troverà nulla . Lo ritroveremo solo noi , nelle lettere che ci scrisse nelle giornate di accoramento e di solitudine , ch ' erano regolarmente sette nella settimana , e toccavano la punta più patetica la domenica , quando la festa gl ' imponeva l ' ozio , il suo peggiore e più sottile nemico . Allora erano lunghe pagine descrittive di ciò che vedeva dalla sua finestra . Quante cose vedeva , Leo , da quel modesto osservatorio dal quale , a noi , non era mai riuscito contare che qualche tegola , qualche albero , qualche cencio teso sul filo ad asciugare ! Il canto di una ragazza sul balcone bastava a rimescolargli dentro tutto un mondo . E ne venivano fuori stupende pagine di lirismo : i suoi regali , dei quali egli stesso l ' indomani si era già dimenticato . A questo Leo segreto e inedito , una intera leva di giornalisti e di scrittori ha succhiato il proprio latte . Non tutti lo sanno . Non tutti se lo ricordano . Ma l ' influenza di Longanesi è stata decisiva , nel gusto e nel costume letterario di questo Paese , più di quanto non lo sia stata quella di qualsiasi altro uomo . Ed è morto povero e quasi solo . Non bisogna darne la colpa a nessuno , perché questo era il suo destino , ed egli lo subiva senza ribellarvisi . « È vero » mi disse un giorno che avevamo litigato , voglio dire che avevamo litigato più violentemente del solito , perché non si faceva altro dalla mattina alla sera , « io sono come Saturno : mi mangio i figli , e un giorno mi mangerò anche te . Anzi , a dirti la verità , ti ho già mangiato . » Poi aggiunse , con una smorfia di disgusto : « E non hai neanche un buon sapore » . Leo non mi aveva affatto mangiato , perché era un cannibale vegetariano . E con tutta la « cattiveria » di cui faceva sfoggio , a parole , guadagnandosi una fama di malvagio di cui era fierissimo , non ha mai torto un capello a nessuno . Ma bisognava stare con lui in posizione di difesa perché la sua amicizia era anche una spaventosa tirannia . Ira questo che gli rimproveravo , quando si lamentava di essere solo . Egli aveva allevato un po ' tutti , ma avrebbe preteso che fossero rimasti all ' infinito a poppare alla sua mammella generosa . Invece avevano messo i denti e si erano allontanati per la loro strada : Pannunzio dirige « Il Mondo » , Arrigo Benedetti « L ' Espresso » , Soldati e Flaiano fanno il cinema . Era fatale che avvenisse , e mentalmente anche lui lo accettava . Ma la mente di Leo andava in un verso , e Longanesi in un altro . Non ricordava , non voleva ricordare che questi uomini avevano fatto strada - e una bella strada - con le gambe che lui gli aveva dato . Avrebbe potuto trarne una pigmalionica fierezza . Invece , nulla . Per lui era tutto e soltanto « tradimento » . Era successo anche col povero Brancati , che un tempo era stato il preferito dei suoi figli . Era un piccolo retore di provincia , quando si accostò a Longanesi , e si credeva nato per scrivere dei brutti poemi epici , edificanti e celebrativi . Ero presente il giorno in cui , con la buona grazia che lo distingueva , Leo gli randellò un libro in testa urlandogli : « Legga questo , somaro ! È Gogol , il suo fratello maggiore . Anche lei è un Gogol . Di Catania » . Aveva già annusato i libri che Vitaliano si portava in corpo e che sotto lo stimolo di Leo avrebbe scritto . E già ne aveva anticipato la più esatta misura critica . Era successo con Buzzati , su cui nessuno avrebbe puntato un soldo e di cui fu il primo editore . Intelligenza ? No . È la qualità di cui più si è parlato a proposito di Longanesi , ed è la più grossa stupidaggine che si sia detta di lui . Longanesi non era un uomo intelligente , non era nemmeno un intellettuale . La logica non ha guidato nessuno dei suoi gesti , forse egli non sapeva nemmeno dove stesse di casa . Condurre con lui in porto un ragionamento era un ' impresa disperata . Di fronte al più banale sillogismo , inciampava . Longanesi era un artista geniale , il solo che abbia incontrato nella mia vita . E come tutti gli artisti andava a naso , a intuito , con un invisibile radar al posto del cervello . Procedeva a furia d ' intuizioni che avevano del miracoloso e che facevano perfino pensare a qualcosa di diabolico . Non sapeva cosa volesse dire deduzione . Il suo processo era tutto induttivo , dal piccolo particolare al generale . Uno sguardo , la piega di una bocca , un gesto , gli bastavano a ricostruire una persona e a pronunziare su di essa giudizi spietati e irrevocabili . Un giorno mi raccontò di essere diventato antifascista , in tram , guardando il didietro di un console della milizia in piedi di fronte a lui . Quando scoppiò la guerra , mi disse : « Che catastrofe ! Pensa a quanti reduci avremo , quando sarà finita ! » . Questi famosi motti di Longanesi ( ci sarebbe da compilarne volumi ) facevano immediatamente il giro della città , creandogli intorno un ' aureola ingannatrice di uomo sarcastico e paradossale , imprevedibile e « brillante » . Ma si trattava di ben altro : imbrogliando tutti , o quasi tutti , con lo specchietto di queste sue apparenti assurdità , Longanesi ha condotto , dal primo all ' ultimo giorno , e con un impegno di crociato , la più seria e disperata battaglia che mai sia stata ingaggiata da uno scrittore . Vogliamo dire , per semplificare , ch ' è stato l ' ultimo vero grande difensore della « destra » ? Diciamolo pure , forse anche perché egli stesso desidera che questo sia detto . Ma la verità è - e un giorno su questo punto ci ripromettiamo di fare il chiaro - che Longanesi non si è mai sognato di difendere una classe cui non apparteneva e in cui non credeva , né un ' ideologia politica . Ogni tentativo di giudicarlo su questo piano è semplicemente ridicolo e meschino . Fosse nato in Francia , Longanesi avrebbe trovato probabilmente interessi reali a cui partecipare , e perfino un partito in cui inserirsi . In Italia egli è stato costretto a inventare letteralmente il mondo , di cui poi si è Fatto il paladino . In questo miscuglio di Renard e di Toulouse - Lautrec , c ' è anche un pizzico di Don Chisciotte truccato da Sancio Pancia . L ' Italia ch ' egli ha difeso era una pura e semplice creazione della sua fantasia , del suo gusto e di una cultura costruita a furia , più che di letture e di studio , di balenanti intuizioni . Quest ' uomo piccolissimo , che soffriva atrocemente della propria statura , era molto più grande del mondo in cui viveva e ne traboccava continuamente di fuori . Per questo era difficile stargli accanto . E per questo era impossibile abbandonarlo senza sentirsi « traditore » , come lui diceva , anzi addirittura parricida . Quel suo eterno scegliere la posizione più scomoda , la trincea più battuta , l ' esercito più sconfitto , ci poneva continuamente di fronte a un insormontabile caso di coscienza . Dichiaro senza rossore che ho rinnegato molte mie convinzioni per restare fedele a Longanesi , e non me ne pento . Oggi l ' unico rimorso che ho è quello di non essere rimasto sempre fedele a lui , l ' uomo più importante della mia vita , quello che ho più amato e odiato , il solo maestro che mi riconosca anche nelle giravolte più rischiose e nei più azzardati zig zag . E non sono il solo a trovarmi in queste condizioni . Proprio mentre scrivo questo arruffato articolo , mi hanno telefonato Arrigo Benedetti e Mario Soldati , che pure sembrano camminare così sicuri su una strada diversa da quella su cui Longanesi ci aveva tutti avviati . « E ora ? » mi hanno chiesto con voce di pianto . « Come faremo a scrivere senza più la paura e la speranza di ciò che avrebbe detto Longanesi leggendoci ? » Si sentivano orfani anche loro , come me . Nessuno degl ' italiani contemporanei ha lasciato , o lascerà , morendo , il vuoto che lascia Longanesi . In nessuna generazione un italiano ha scavato così a fondo e durevolmente come ha fatto Longanesi in quella nostra . Forse qualcuno la troverà un ' esagerazione , suggeritami dall ' emozione della sua morte . E invece è una vecchia certezza , di cui m ' impegno a riconoscere la validità anche nel più lontano futuro . È difficile dimostrarlo , perché di suo rimane ben poco , un milionesimo di quello che avrebbe potuto darci , e impossibile da raccogliere in un ' opera organica , sbriciolato com ' è in frammenti di diario , in abbozzi di disegni , appunti e schemi . L ' avaro Longanesi era troppo occupato ad arricchire noi per accumulare di suo . Per me , non oso fare il conto di quello che mi rimarrebbe , se dovessi restituirgli tutto ciò che mi ha dato . Non ho avuto il tempo di dirglielo , ora è troppo tardi , uno stupido pudore mi ha sempre trattenuto . Ma anche il pudore me lo aveva insegnato lui .
StampaQuotidiana ,
Roma , luglio - Il 20 giugno scorso ci fu in televisione un dibattito sul nuovo Ente per l ' energia elettrica , o ENEL , di cui proprio quel giorno era stata annunciata la nascita . Fra gl ' intervenuti c ' era il mio collega Domenico Bartoli , che a un certo punto chiese al consigliere di Stato Mezzanotte se non c ' era il pericolo che questo nuovo Ente calcasse le orme di un altro che , costituito dieci anni fa per servire lo Stato , ne era diventato il padrone . L ' allusione all ' ENI era chiara , ma forse i telespettatori ricorderanno che il consigliere Mezzanotte cercò , nella risposta , di non nominarlo . Succede spesso , perché questa sigla sembra che scotti le labbra di chi la pronuncia . Quella sull ' ENI oramai è diventata in Italia , e forse anche all ' estero , una disputa teologica tra « fedeli » e « infedeli » , e chi non è né di questi né di quelli ha paura a cacciarcisi in mezzo . La stampa indipendente , appunto per conservare quest ' aureola di indipendenza preferisce evitare l ' argomento , lasciandolo in monopolio agli esaltatori e ai denigratori , le cui arringhe o requisitorie hanno nascosto al pubblico gli esatti termini del problema . Con un misto di civetteria e di spavalderia , l ' ingegner Enrico Mattei , presidente dell ' ENI , ha raccolto tutto ciò che si è scritto contro di lui e il suo Ente in una ventina di volumi che , a vederli di lontano , si potrebbero prendere per l ' Opera Omnia di un Gide o di un Proust , tanto sono ben rilegati . A mio parere , manca solo , sul frontespizio , il motto che meglio le converrebbe : « Molti nemici , molto onore » . Ma è sottinteso . Evidentemente Mattei , per fornire la misura della propria grandezza , preferisce il metro dell ' odio a quello dell ' amore . Deve ritenerlo più producente , e i risultati gli hanno dato ragione . A furia di controversie , egli è entrato ormai nel mito popolare , e una voce o per meglio dire un bisbiglio largamente diffuso indica in lui il vero « padrone del vapore » . Se ciò gli giovi o gli nuoccia è difficile dire , perché quando gli italiani si mettono a cercare « il padrone » non si sa mai se lo fanno col timore o con la speranza di trovarlo . C ' è chi dice ( la frase è di uno dei nostri più autorevoli politici ) che , per guarire l ' Italia delle sue molte magagne , basterebbe mettere in prigione Mattei . Ma c ' è chi dice anche che se l ' Italia oggi ha un prestigio nel mondo , lo deve a Mattei . Lo hanno paragonato a Hitler e a Fidel Castro , ma anche a Cromwell , a Lawrence e a Garibaldi , e una importante rivista americana ha scritto addirittura che Mattei è l ' italiano che più ha contribuito a trasformare la faccia del suo Paese dopo l ' imperatore Augusto . In sé e per sé , il rango di Mattei non sembra giustificare la mobilitazione di sì imponenti paralleli storici . L ' ENI , o Ente nazionale idrocarburi , di cui è presidente , è di certo un grosso « carrozzone » , ma di proporzioni assai più modeste di quelle per esempio dell ' IRI , dei cui dirigenti nessuno , ch ' io sappia , ha avuto l ' onore di vedersi paragonato nemmeno a Nino Bixio . Ma il fatto è che i dirigenti dell ' IRI , l ' IRI lo dirigono soltanto ; con l ' ENI , Mattei s ' identifica molto più consustanzialmente di quanto gli stessi Agnelli e Valletta , faccio per dire , s ' identifichino con la FIAT . Ecco perché una biografia dell ' ENI non può che risolversi in una biografia di Mattei , la quale a sua volta sembra che non possa risolversi che in una accusa o in una esaltazione . Io mi proverò a non cadere né in questa né in quella , ma mi rendo conto che l ' impegno è piuttosto difficile . Avverto anche il lettore che non mi riprometto di fare nessuna rivelazione sensazionale o scandalistica . Vorrei soltanto riuscire a spiegargli che cosa è l ' ENI , come funziona , e perché il suo presidente è diventato bersaglio di tante lodi e di tante critiche , di tante speranze e di tanti sospetti . Mattei viene da una famiglia poverissima di origine abruzzese , sebbene egli sia nato a Acqualagna nelle Marche . Suo padre era brigadiere dei carabinieri , quando quelle regioni erano infestate dai banditi . Un giorno ne incocciò uno che tentò di darsi alla fuga , ma s ' impigliò in un filo di ferro e cadde . « Chillu filu ! ... Chillu filu !...» continuò a lamentarsi lo sciagurato per tutti gli anni dell ' ergastolo cui lo condannarono . Era il famoso brigante Musolino . Il brigadiere si congedò nel ' 19 col grado e la pensione di maresciallo e con cinque figli a carico . Per farli studiare voleva stabilirsi a Camerino , dove c ' è anche l ' Università . Ma la vita lì era troppo cara , e si decise per Matelica , dove trovò un posto di guardacaccia . Tuttavia la mensa non doveva essere abbondante in casa Mattei ; e Enrico , a quindici anni , dovette lasciare gli studi e mettersi a fare il verniciatore in una fabbrica . Di lì emigrò in un ' industria conciaria come fattorino ; e in tre anni , con annibalico piglio , fu promosso contabile , capocontabile , vicedirettore , direttore . Così , prima di aver raggiunto la maggiore età , si trovò alla testa di un ' azienda con centocinquanta fra operai e impiegati . Fin d ' allora poteva « sedersi » sui risultati raggiunti e contentarsi di una comoda esistenza di « vitellone » riuscito , con un buon stipendio , un avvenire senza grandi orizzonti ma sicuro , e la « fuori serie » alla porta per trascorrere le domeniche a Pesaro e sedurvi la sciantosa di passaggio . Invece , con gran disperazione di suo padre , a ventitré anni piantò tutto , andò a Milano e ripartì da zero . Dapprima trovò la rappresentanza di una ditta tedesca . Poi si mise a fare il piazzista d ' impianti industriali , e forse fu in questo mestiere che trovò la misura di se stesso . I clienti non resistevano alle seduzioni di questo loro fornitore non per la sua abilità e facondia : Mattei è scarso e scarno parlatore , non irraggia simpatia , non sprigiona calore umano . Ma convince perché è convinto egli stesso . C ' è nelle sue parole e nel suo sguardo una carica di onestà e di sincerità che disarma qualunque sospetto . La sua firma conferisce a qualunque cosa egli l ' apponga un primato di eccellenza cui tutti finiscono per credere perché il primo a crederci è lui . Io non ci ho parlato che un paio di volte , e in ambedue le occasioni mi sono sentito a disagio per il fatto di non riuscire a condividere certe sue opinioni . Ne provavo una specie di rimorso . Forse anche i direttori di banca ebbero la stessa impressione quando Mattei chiese loro un prestito per impiantare una fabbrica di prodotti chimici . Egli non aveva nulla da offrire in garanzia . Ma chi poteva dubitare che la sua merce avrebbe battuto qualunque concorrenza come qualità e prezzo ? I capitali si trovarono e la fiducia si dimostrò fondata . A trent ' anni , Mattei era un industriale , sia pure di modeste proporzioni . Ancora una volta egli aveva puntato tutta la posta su una ambizione più grande e aveva vinto . Ora la sua strada sembrava irrevocabilmente segnata . Ma la guerra e la disfatta gli proposero un ' altra avventura , e lui non esitò . Sulle opinioni politiche di Mattei e sull ' autenticità della sua vocazione democristiana , ci sarebbe da discutere a lungo . Ma ciò che a discussioni non si presta , sebbene ci si sia provati a farne , è la sua condotta di capo partigiano . Lasciamo stare certi episodi e aneddoti che si ritrovano tali e quali nella biografia di tutti gli eroi da Plutarco in giù : gli agiografi , si sa , hanno scarsa fantasia . Però Mattei fu un resistente coraggioso e risoluto e un eccellente organizzatore di brigate partigiane , delle quali fu una specie di Grande Elemosiniere . Lo arrestarono , ed evase . Tornarono ad arrestarlo , e lui riuscì a farsi liberare raccontando una storia che , in bocca a chiunque altro , non avrebbe persuaso nessuno ; ma che , in bocca a lui , con quella carica di onestà e di sincerità ch ' egli sa mettere in tutto ciò che dice , incusse nei suoi carcerieri il rimorso di non crederci . Tanti meriti gli valsero la medaglia d ' oro della Resistenza , la stella d ' argento ( oh , ironia ! ) americana appuntatagli sul petto dal generale Clark , e l ' elezione a deputato . Sembrava che la politica dovesse essere la sua nuova industria , ci si aspettava che la battesse col solito piglio annibalico , e molti furono stupiti ch ' egli si contentasse di un incarico minore come quello di commissario per l ' Agip . L ' Azienda Generale Italiana Petroli era stata un ' invenzione del fascismo per la ricerca degli idrocarburi , aveva sempre vivacchiato male perché gl ' idrocarburi non era mai riuscita a trovarli , e ora non era che un rottame alla deriva , di cui lo Stato intendeva liberarsi al più presto . Il ministro delle Finanze , Soleri , valutava a una sessantina di milioni di lire le sue antiquate attrezzature , e diede ordine al commissario Mattei di liquidarle per quella cifra . Mattei disobbedì . Intuizione ? Non so . Se le attrezzature erano antiquate , i tecnici che lavoravano al servizio dell ' Agip erano giovani e in gamba . Pur con quegli scarsi mezzi , un po ' di metano lo avevano trovato e si dicevano certi d ' imponenti giacimenti . Non erano che congetture , ma Mattei ebbe il merito di crederci , e fu il solo a puntarci sopra . Da Roma seguitavano a ingiungergli di liquidare ; e lui rispondeva scavando pozzi . Li scavava dovunque , infischiandosi dei diritti dei comuni , delle province e dei privati , e non so nemmeno dove attingesse i soldi per pagare tecnici e operai . Oramai si era convinto che il petrolio c ' era , e quindi ci doveva essere . Perché questa è la caratteristica dell ' uomo : come Giovanna d ' Arco e de Gaulle , egli ascolta solo le voci di dentro e non crede che a quelle . Un giorno di marzo del '49 una massiccia nuvola di metano oscurò il cielo di Caviaga e di Ripalta . Il metano è indizio sicuro di petrolio . E molti italiani , a quella notizia , pensarono quasi con intenerita compassione al povero duce , che per vent ' anni aveva clamorosamente reclamato il diritto dell ' Italia alla sua parte di materie prime e specialmente d ' idrocarburi , per procurarsele ci aveva condotto fino in Etiopia , ed era morto senz ' accorgersi che le aveva sotto il sedere perché l ' orgoglio autarchico gli aveva impedito d ' importare dall ' America i mezzi tecnici e finanziari per cercarle . Non so se Mattei abbia riflettuto su questa esperienza di cui è stato il beneficiario . Secondo i suoi esaltatori , solo un fortunato caso volle che , insieme a un folto stuolo di giornalisti e di fotografi , il ministro Vanoni si trovasse presente a Cortemaggiore quando , insieme a un altro nuvolone di metano , uno zampillo di petrolio eruppe dal suolo . Naturalmente il caso non c ' entrava affatto . Ma noi ascriviamo a merito , non a demerito di Mattei , e a riconoscimento del suo tempismo e intuito politico , la ben pianificata spettacolarità e drammatizzazione della scena . Ora che i giacimenti d ' idrocarburi erano apparsi di tale entità da rendere conveniente lo sfruttamento , la valle del Po era stata presa letteralmente d ' assalto dalle compagnie private , e il ministero per l ' Industria e il Commercio era sepolto sotto una valanga di richieste di concessioni . Secondo una vecchia legge del '27 , chiunque poteva ottenere il permesso di fare ricerche nel sottosuolo . Non era chiaramente detto che dalla scoperta d ' idrocarburi derivasse automaticamente un diritto di sfruttamento : ma era considerato implicito . Tuttavia le compagnie premevano perché questo automatismo diventasse esplicito , e specialmente í legali americani della Esso Standard lo fecero in maniera pesante e malaccorta . A Mattei , per assicurarsi un monopolio che la legge non prevedeva e che anzi sembrava incompatibile coi princìpi liberisti cui s ' ispirava il governo di De Gasperi , non restava che un ' arma : suscitare una grande suggestione collettiva e patriottica , persuadendo gl ' italiani ch ' essi erano i depositari di una immensa ricchezza , da difendere coi denti contro la rapacità dei monopoli privati e le interferenze dello « straniero » . Ci riuscì con la indovinata regia di Cortemaggiore . Io stesso ricordo l ' emozione che suscitò nella redazione di questo giornale la notizia recata dai trafelati cronisti e fotografi di ritorno dal teatro di quel sensazionale avvenimento . Nessuno pensò al metano . Tutti restammo ipnotizzati dallo zampillo di petrolio che nelle nostre fantasie ( e purtroppo anche nei resoconti della stampa ) diventò rivolo , torrente , cateratta , fino a trasformare la valle del Po in una specie di Texas . Il petrolio ! Avevamo il petrolio . Mattei non badò ai mezzi per tener caldi quegli entusiasmi . A un certo punto si diffuse o fu diffusa la voce che « il nemico » aveva in animo di appiccare il fuoco a qualche pozzo per poter muovere a Mattei l ' accusa d ' incompetenza o negligenza . Era vero ? A ogni buon conto , Mattei rimobilitò i suoi ex partigiani e li dispose di fazione ai giacimenti che , sacralizzati dalle armi e dalle uniformi di quei bravi giovanotti , vennero per così dire incorporati nel mito della Resistenza e ne condivisero l ' intoccabilità . « La cassaforte è aperta » dichiarò Mattei in una intervista a questo giornale , « basta affondarci le mani per trarne tesori . » Ma queste mani , naturalmente , dovevano essere italiane . Anche le discussioni in Parlamento risentirono di quest ' atmosfera , e il ministro socialdemocratico Ivan Matteo Lombardo rilevò con ironia che molti argomenti sembravano presi a prestito da certi giornali del defunto regime come « Il Tevere » e « L ' Impero » . La battaglia per assicurare allo Stato , cioè a Mattei , il monopolio delle ricerche e dello sfruttamento degl ' idrocarburi nella valle del Po fu lunga , e non vai la pena ritracciarne le fasi . Mattei forse non l ' avrebbe vinta , se non avesse avuto dalla sua il ministro delle Finanze Vanoni e lo stesso presidente De Gasperi . Vanoni era un uomo di grande intelligenza e competenza economica , onesto , timido e malinconico , su cui certo non faceva presa la demagogia autarchica e nazionalista . Qualcuno dice che fu succubo del carattere autoritario e imperioso di Mattei , ma io non ci credo . E che Vanoni , democristiano di adozione , aveva origini socialiste . Non era un esacerbato statalizzatore ; ma accettava che lo Stato si sostituisse all ' iniziativa privata , specie in certi settori di pubblica utilità com ' è quello della produzione di energia . Quanto a De Gasperi , che di economia s ' intendeva poco , fu mosso da considerazioni politiche . L ' idea che degli americani s ' impiantassero in una zona « calda » come quella padana , dove in quel momento si moriva con molta facilità , fornendo pretesto coi loro altezzosi e stupidi compounds ai risentimenti comunisti sempre strettamente legati a quelli nazionalisti , gli fece paura . Mattei veniva dalla Resistenza , aveva dalla sua i partigiani , agiva in nome dello Stato e dell ' anticapitalismo . Era impossibile attaccarlo come « colonialista » , « imperialista » e « sfruttatore del popolo » . Così si consumò l ' esclusione dell ' iniziativa privata , italiana e straniera , dalla valle del Po ; e il 10 febbraio del '53 fu varata la legge che istituiva l ' ENI e conferiva a Mattei i poteri che oggi tanto inquietano la pubblica opinione .
Partono per la Luna ( Montanelli Indro , 1969 )
StampaQuotidiana ,
Oggi prende il via il volo verso la Luna , la più grande avventura umana di tutti i tempi . Così grande che ogni tentativo di magnificarla ci sembrerebbe retorico e vuoto . Ci limiteremo a dire che la coscienza - per chi ce l ' ha - di appartenere a una società e a una generazione capaci di realizzare simili imprese ci procura qualche prurito di orgoglio . Con buona pace dei contestatori . Vorremmo solo fare due piccole osservazioni . La prima è di ordine , diciamo così , cautelativo . Forse in tutto il mondo , ma certamente in Italia , ci sembra che il pubblico si disponga a seguire sul video questa straordinaria vicenda con una fiducia quasi assoluta nella sua riuscita . È abbastanza naturale , dato il successo dei voli precedenti . Gli americani ci hanno male abituati . A parte il tragico incidente dei tre astronauti carbonizzati , che tuttavia si verificò prima del lancio , in sede di collaudo delle apparecchiature , l ' Ente spaziale americano non ha registrato sconfitte . Né c ' è nemmeno da sospettare che ne abbia tenuta nascosta qualcuna . Gli americani accettano di farsi torchiare dal fisco per finanziare la conquista del cielo . Ma esigono che essa si svolga sotto gli occhi loro e di tutti , senza segreti . Il fatto che fin qui ogni tappa sia stata puntualmente raggiunta secondo la tabella di marcia non deve tuttavia trarci in inganno . Von Braun , il grande architetto di questi voli , ha parlato chiaro : confido , ha detto , nella vittoria , ma un margine d ' incertezza c ' è . E del resto , se non ci fosse , la più grande avventura umana non sarebbe né avventura né umana : che sono i due attributi per i quali tanto ci esalta . Il secondo punto riguarda lo sforzo organizzativo di cui essa è il risultato . Per arrivare a questo traguardo , l ' America ha speso ventiquattro miliardi di dollari , qualcosa come sedici o diciassettemila miliardi di lire . Ma non lasciamoci ipnotizzare dalla macroscopicità di queste cifre . Ventiquattro miliardi di dollari non rappresentano che lo 0.50 per cento del reddito nazionale americano , una briciola dunque . E infatti quello del finanziamento è stato , per il governo di Washington , il problema meno arduo da risolvere . Molto più complesso dev ' essere stato quello del coordinamento . L ' economia americana non è un ' economia di Stato , che lo Stato possa orientare a sua volontà , concentrandone le capacità inventive e produttive nel campo che più gli convenga . Deve fare i conti coi privati , e deve farli senza polizia e campi di concentramento ( o , come oggi si dice con soave eufemismo , di " rieducazione " ) . Ecco perché , all ' inizio della sfida spaziale fra America e Russia , tutti o quasi tutti puntavano piuttosto sulla Russia , che oltre a godere di un notevole margine di anticipo , poteva impegnarvi tutto il suo potenziale tecnologico e industriale . Trattandosi di una " programmazione " di gigantesche dimensioni , ci pareva che i sovietici fossero in grado di attuarla con maggiore rapidità ed efficienza . Non è stato così , e il fatto dovrebbe indurci a qualche riflessione . All ' approntamento dell ' Apollo 11 hanno collaborato - ci dicono - trecentomila tecnici , che non sono impiegati di Stato , e ventimila imprese , che non sono imprese di Stato . Sono dati sommari e grossolani . Ma bastano a farci capire quale chiarezza e reciproca fiducia , in America , debbano improntare i rapporti fra il settore pubblico e quello privato . Evidentemente fra l ' uno e l ' altro c ' è dialogo aperto . E in un caso come questo , non è difficile capire come si è svolto , anche perché la stampa americana ce ne ha fornito parecchie indicazioni . Lo stato non si è limitato a delle " commesse " . Ha convocato i singoli imprenditori , i loro stati maggiori tecnici , i dirigenti dei grandi istituti di studio e di ricerca , e ha discusso con loro l ' opportunità di una vasta mobilitazione di mezzi e di energie per la conquista dello spazio . Ci sono stati dissensi e opposizioni . Ce ne sono ancora . Non tutti gli americani sono persuasi di ciò che l ' America fa in cielo : qualcuno dice che farebbe meglio a occuparsi un po ' più della terra e che la conquista della Luna rappresenta per essa ciò che la costruzione delle piramidi rappresentò per l ' Egitto : un inutile e rovinoso scialo . Ma alla fine ha prevalso la tesi politica : che la conquista della Luna costituisce non soltanto un primato cui il paese non può rinunciare , ma anche il pretesto e l ' occasione di un balzo avanti tecnologico , di cui tutta la produzione , e quindi tutta la società , risentiranno i benefici effetti . Non vogliamo entrare nel merito di questa polemica , fuori portata delle nostre modestissime competenze . Vogliamo soltanto rilevare che anche una democrazia , quando p efficiente , può programmare senza punto rinnegarsi , cioè nel pieno rispetto delle libertà del cittadino . Certo , occorre uno Stato che non si atteggi a persecutore del privato e dei privati che non si atteggino a vittime dello Stato . Ma l ' efficienza di un sistema politico consiste proprio in questo . E l ' impresa dell ' Apollo 11 ne rappresenta per l ' appunto il magnifico frutto . Essa è figlia di una mobilitazione , ma senza cartolina - precetto , per arruolamento volontario . La più grande avventura umana di tutti i tempi è grande anche per questo : perché dimostra che perfino nelle " pianificazioni " in cui sembrerebbe per sua natura sfavorita , la libertà paga più e meglio del totalitarismo .